Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema 8820739925, 9788820739928

Carlo Lizzani è uno dei maestri del cinema italiano e con i suoi film ha segnato non solo la Storia della Settima arte,

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Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema
 8820739925, 9788820739928

Table of contents :
Lizzani tra i film sulla storia e la storia del cinema - De Santi, Gualtiero
Rossellini e Lizzani - Valli, Bernardo
Lizzani e la Resistenza - Pozzi, Emilio
Lizzani e la storia - Miro Gori, Gianfranco
Gli anni della censura - Medici, Antonio
Carlo Lizzani, il Realismo e il Documentario - Marchetti, Bianca Maria
Il Gobbo : note a margine - Lenti, Maria
La vita agra : l’impossibilità del romanzo a essere film - Bernini, Riccardo
Celluloide, materia e segno - Gambelli, Stefano
Tipologie vs caratteri : riflessioni sull’uso delle fonti documentarie nei costumi di due film di Carlo Lizzani - Ortolani, Cristina
Carlo Lizzani e le nuove tecnologie - Niccolini, Daniela
Varenna 1994 : quattro chiacchiere con Carlo Lizzani - Pozzi, Emilio
Appendice -
Gli autori -

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Cinema e storia 8 Content accessed by Alma Mater Studiorum - Univ. di Bologna [IP address 137.204.24.180] on 15/09/2018

Collana diretta da Pasquale Iaccio

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CARLO LIZZANI Cinema, storia e storia del cinema a cura di Gualtiero De Santi e Bernardo Valli

Liguori Editore

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INDICE

1

Lizzani tra i film sulla storia e la storia del cinema di Gualtiero De Santi

15

Rossellini e Lizzani di Bernardo Valli

27

Lizzani e la Resistenza di Emilio Pozzi

37

Lizzani e la storia di Gianfranco Miro Gori

43

Gli anni della censura di Antonio Medici

63

Carlo Lizzani, il Realismo e il Documentario di Bianca Maria Marchetti

85

Il Gobbo: note a margine di Maria Lenti

89

La vita agra: l’impossibilita` del romanzo a essere film di Riccardo Bernini

93

Celluloide, materia e segno di Stefano Gambelli

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viii

INDICE

103

Tipologie vs caratteri. Riflessioni sull’uso delle fonti documentarie nei costumi di due film di Carlo Lizzani di Cristina Ortolani

123

Carlo Lizzani e le nuove tecnologie di Daniela Niccolini

143

Varenna 1994. Quattro chiacchiere con Carlo Lizzani di Emilio Pozzi

Appendice Soggetti e progetti non realizzati

155 159

Cronache di poveri amanti

193

Un nuovo “genere”: il fantaerotico

199

Progetto “La collana del Centenario”

205

Tragedia telefonica

215

Festival (La parola ai giurati)

229

L’uomo che sapeva troppo (I mille volti di Richard Sorge)

239

Il Venticinque Luglio

247

Milano crocevia d’Europa

255

Obiettivo sul Novecento, o immagini e volti del XX secolo

257

Europa. Il piu` grande spettacolo del mondo

261

Crimini e intrighi nella Roma del I secolo d.C.

271

L’indagine di via Rapallo. Tre proposte

279

L’uomo che comprava il tempo

283

Napoli 1799

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INDICE

287

Lezioni di cinema

291

La paura

297

Guerra di donne (Napoli 1799)

303

Progetto Esperia

309

Minifiction

313

Il ballo dei pavoni

325

Le grandi inchieste di Teleuniverso

333

Gli Autori

ix

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA di Gualtiero De Santi

1. Cineasta legato alla prospezione storica un po’ quasi per definizione – per propria scelta e poetica – sin dai lontani documentari che lo videro avviarsi alla regia sul finire degli anni ’40 e sin dai primi lungometraggi, Carlo Lizzani e` stato ed e` tuttora anche un critico ed uno studioso del cinema. Le tematiche dei film da lui diretti hanno infatti privilegiato – pur se non nell’interezza della sua produzione – le vicende pubbliche della nazione italiana e del nostro popolo. Concentrandosi in un primo momento sugli anni compresi tra il fascismo e la ricostruzione del dopoguerra (con un ideale epicentro nella lotta di Liberazione e nella Resistenza), di lı` poi volgendosi verso una linea di tendenza che ha guidato il regista alla rivisitazione e al recupero di un certo Ottocento (si pensi alle fatiche piu` recenti de Le cinque giornate). A riprova, aggiungeremmo – come hanno indicato eminenti saggisti politici e come, per rimanere nell’ambito del cinema, dimostro` a suo tempo Luchino Visconti – che si debbono e si possono rinvenire le radici e persino i nodi irrisolti della questione italiana nel fondamento politico e sociale dato a suo tempo alla nostra unita` nazionale. Ne era consapevole lo stesso Lizzani quando, al momento dell’uscita del Processo di Verona nei primi mesi del 1963, si trovo` a sottolineare in un articolo ospitato dalla rivista di Guido Aristarco “Cinema Nuovo” la correlazione esistente tra l’impianto storico e critico del proprio film e quanto egli si aspettava che sarebbe arrivato dal Gattopardo di Visconti, ancora inedito e non conosciuto dal grande pubblico. Da un lato abbiamo dunque il regista, mirante il piu` spesso a organizzare e filmare materiali storici. Per altro lato andava in Carlo

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Lizzani sempre meglio disponendosi e affinandosi il lavoro critico. Un lavoro che in un certo senso antecede persino il suo ingaggio nel cinema e nella regia, risalendo ai primi anni ’40 quando egli era ancora un giovane di belle speranze al quale pero` era arrisa la fortuna di collaborare con testate prestigiose, non soltanto di cinema. Ma un lavoro ostensibilmente mai cessato (ne fanno fede i numerosissimi interventi saggistici, raccolti ad esempio nel volume Attraverso il Novecento, e i diversi libri editi), che avrebbe raggiunto l’apice nel saggio sulla storia del cinema italiano, a diverse riprese aggiornato ma comunque individuabile in quel non corposo volumetto (172 pagine di testo, seguite da una filmografia e da indicazioni di metodo stilate da Leopoldo Paciscopi e Giorgio Signorini) che l’editore fiorentino Parenti, un benemerito della nostra cultura civile e avanzata, mando` alle stampe nel 1953 chiudendone la realizzazione nel mese di giugno di quell’anno medesimo. Il titolo che il volume recava – senza presunzione e senza accademismi – era Il cinema italiano. Si voleva realizzare un’opera aperta e soprattutto non paludata, che non venisse a esibire sin dall’inizio referenze accademicoscientifiche. Ma quell’indicazione del titolo era poi assai precisa giacche´, piu` che voler comporre una storia, era importante dar risposte alle domande che sorgevano ormai in tutto il mondo intorno alla natura del cinema neorealista. Un particolare curioso fu che, sulla sovraccoperta esterna del volume, del nostro Carlo Lizzani comparisse solo il cognome, un po’ alla sovietica o almeno come si faceva nei cast credit dei film provenienti dall’Urss, mentre il risarcimento del nome di battesimo si aveva agio di riscontrarlo sulla copertina e nel frontespizio. Poi, come si sa, accogliendo altri umori e esperienze, e anche allargandosi verso ulteriori punti di vista, il titolo originale si sarebbe variamente modificato. Cosı` ad esempio l’edizione impressa nell’aprile 1979 a cura degli Editori Riuniti recitava espressamente Il cinema italiano 1895-1979 (ma si ricorse in ogni caso anche a Storia del cinema italiano: con il che si rientrava ampiamente nella norma e nel genere). Ma in Lizzani, per un cospicuo corso d’anni, il lavoro del regista e quello dello storico (sia pure con un sale e un piglio critico sempre versati sul presente) hanno comunque proceduto in parallelo. Si sono unificati e forse per cosı` dire hanno comunicato nella persona dell’autore, nelle idee da lui professate, in breve nella militanza culturale. Poi ad un certo punto si e` visto con piena e totale nettezza

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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come Carlo Lizzani, pur continuando a raccontare storie e a fare insomma fiction, piegasse gli strumenti del proprio cinema verso una scelta o comunque verso una misura di tipo storiografico. Nel caso sopra menzionato de Il Processo di Verona, quello che poteva apparire il concatenamento tra vicenda privata e tragedia nazionale risulto` tale da costringere a linee interpretative che non potevano rimanere indefinite. Nel senso che c’erano dettagli importanti del racconto non celabili alla cinepresa e che non dovevano restare in sospeso e imprecisati per l’economia e il senso narrativi. Non era soltanto questione di gettare una maggiore luce su tutta una serie di interrogativi e incertezze ancora a quei tempi largamente impregiudicati. Tale, ad esempio, la misteriosa e forse sovrestimata avventura dei diari di Galeazzo Ciano, utilizzati per la propria salvezza come armi di ricatto verso fascisti o nazisti, oppure il ruolo tenuto in quei tragici frangenti dalle diverse personalita`, a cominciare da Edda Ciano per venire al Duce e ai suoi lividi gerarchi. Ancora alcuni anni dopo, nel 1974, un problema simile si sarebbe ripresentato con un film sempre di stretto impianto storiografico, Mussolini ultimo atto. Essendo il cinema un’arte della visione e dell’azione, fu giocoforza far vedere come fossero stati uccisi il dittatore e la Petacci: e qui la scelta drammaturgica diveniva la risposta a uno dei quesiti storici su cui piu` ci si era inquisiti e scontrati nell’ultimo trentennio (e su cui come si sa si sarebbe ancora molto continuato a discutere). Ma, appunto per il senso e le linee del cinema, la macchina formale che ne surcodificava e infine organizzava le regole obbligo`, nel caso dei film d’impianto storico, a una scelta anche storiografica (del resto presente come abbiamo detto nel Luchino Visconti del Gattopardo: quantunque pochi dei critici italiani si fossero avveduti che nell’affresco cinematografico del romanzo di Tomasi di Lampedusa l’autore milanese aveva fatto largo uso dei piu` recenti testi della nostra migliore storiografia sul Risorgimento, testi inesistenti nel tessuto connettivo dell’opera letteraria del Lampedusa con tesi neppure prese in considerazione dallo scrittore siciliano). Se i problemi di un legame tra un pensiero in qualche modo interpretativo e storiografico e la realizzazione di film storici opera in Lizzani apertamente gia` con film quali L’oro di Roma e Il Processo di Verona, e` forse piu` caratterizzante e sintomatico tutto quel che avvenne in seguito. Allorquando capito` al regista romano di superare le soglie fluide e mobili del racconto di finzione da cui avevano ricevuto connotazione i suoi maggiori film del decennio ’50-’60 (da

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Achtung! Banditi! a Cronache di poveri amanti sino a Il gobbo), per approdare ad uno standard un po’ rosselliniano, ma anche un po’ documentaristico. Penso a quelle pellicole che raccontano la vita e le convinzioni ideali di grandi personalita` del secolo passato. Tale ad esempio il film del 1986 su Giorgio Amendola (Un’isola). E nullameno il passo ulteriore e definitivo, su cui alla fine si sarebbe saldato tutto – il cinema e la storia, la storia del nostro paese e quella del cinema italiano (e che anzi fa del nostro cinema a cominciare da Roma citta` aperta lo specchio esatto delle nostre vicende nazionali) – fu il momento in cui Lizzani si diede a realizzare i suoi ritratti d’autore. Quelli di Roberto Rossellini, di Luchino Visconti, di Cesare Zavattini; poi i tanti realizzati per il Museo del Cinema di Torino su personalita` grandi e piccole della nostra cinematografia. Cosı` in conclusione, per Lizzani fare storia del cinema dirigendo film storici e portando sullo schermo personaggi prima comuni (i partigiani e i ribelli di Achtung! Banditi! o i cornacchiesi della Firenze di Cronache poveri amanti), indi appartenenti alla storia ufficiale, da Benito Mussolini sino al dirigente rivoluzionario Nikolaj Ivanovicˇ Bukharin in Caro Gorbaciov, ha avuto lo stesso significato di delineare quella che era in quel momento o che era stata la storia del cinema. Avanti – come s’e` ricordato – tracciandola e argomentandone gli snodi in libri e riviste, cioe` in ambito storiografico e critico; poi trasportando in un qualche modo la scrittura saggistica sul grande schermo, facendola infine divenire anche scrittura cinematografica. Da un lato abbiamo allora opere di racconto storico come Fontamara, pur con tutto il suo portato romanzesco, o come Il Processo di Verona oppure L’oro di Roma; dall’altro film sulla storia del cinema come Celluloide. Probabilmente, e` riducendo per il grande schermo il libro di Ugo Pirro sulla nascita e la realizzazione di Roma citta` aperta, il filmmanifesto del neorealismo, costruendo cioe` un racconto intorno ad un film – quello di Roberto Rossellini e Sergio Amidei – che era sı` di finzione, ma avvertito e sentito da tutti alla stregua di una rappresentazione oggettiva degli anni dell’occupazione e della guerra, che a Lizzani deve essere venuta in mente l’idea di excursus e medaglioni filmati sulla straordinaria vicenda del nostro cinema, dal dopoguerra fino a tutto il trentennio-quarantennio successivo. Medaglioni affidati pero` – e questo e` il fatto cruciale – alla scrittura non unicamente della penna ma altrettanto della cinepresa. Insomma, per Carlo Lizzani fare storia col cinema ha voluto dire

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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anche raccontare la storia della nostra cinematografia con l’ausilio e il tramite dell’occhio cinematografico. 2. Forse non e` propriamente intorno al cardine del realismo, e nemmeno in senso stretto del neorealismo, che ruota l’asse del discorso espressivo di Carlo Lizzani. Si puo` invece individuare la piu` importante carta d’identita` formale della sua produzione, tanto critica che creativa, in una peculiare difesa di una linea civile del film cui la storia per sua parte concorre. Ben ovvio che, su questa posizione, l’influenza di maggior forza sia stata quella della corrente neorealistica (usiamo intentivamente tale formula perche´ non crediamo alla definizione che individua tanti neorealismi in ciascheduno degli autori maggiori o intermedi: pur nello svolgimento a confronto e a divario, non solo stilistico, ricorrono evidentemente in tutti questi autori comuni e ben condivisi denominatori formali). Del resto Lizzani, che ha sempre ostacolato con l’arma della riflessione il processo di revisione che al riguardo e` venuto divampando nella critica italiana dopo il convegno di Pesaro del 1974, e` tornato su tali questioni con la consueta lucidita` in numerose occasioni. Ultima delle quali l’articolo scritto in ricordo di Alberto Lattuada nel numero 2 di “Libero” (la rivista del documentario prodotta dal Premio Bizzarri). Afferma Lizzani: «Non voglio qui allargare il discorso al tema piu` generale dell’identita` stessa del movimento neorealista. Da decenni insisto sugli aspetti di rivoluzione formale, oltre che di contenuti, del movimento, relegando nell’aneddotica le tante motivazioni contingenti che certamente ne aiutarono la nascita: i pochi mezzi a disposizione, la mancanza di teatri di posa ecc.». La tensione e gli ideali anche formali del dopoguerra e degli anni ’50 – con un cinema che si vuole espressivo della totalita` del popolo e della societa`, in grado di recare contributi determinanti alla crescita del paese e alla sua riconoscibilita` attraverso la cultura – compongono per cosı` dire una delle cellule armoniche dell’opera di Lizzani, pur con i sostanziali e in certi casi decisivi cambiamenti intervenuti nel quarantennio successivo e con quella varieta` di tematiche e stili che ne hanno connotato lo svolgimento. Cio` perche´ Lizzani ha in fatto praticato se non tutti almeno numerosi generi, dalla commedia al dramma al western, dal documentario al film storico via via sino alle cronache filmate quasi in presa diretta con i cosiddetti “instant movies”. Se gli intendimenti e le speranze degli anni d’avvio hanno offerto

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

anche al regista romano vari pretesti di figura per i suoi film maggiori e per i tanti non realizzati, quegli stessi intendimenti hanno pur dovuto confrontarsi con la realta` della macchina cinematografica e del potere economico e politico. L’emarginazione che gli venne comminata negli anni ’50, pur dopo i successi di Achtung! Banditi! e soprattutto di Cronache di poveri amanti, fu in fatto superata da Lizzani con l’accettazione della natura disparatamente necessitata del cinema. Prima esplicitando – grazie a Lo svitato, una commedia del tutto fuori riga e decisamente innovativa, e insieme grazie a un documentario bello e affascinante anche a un riguardo visivo, La muraglia cinese – le capacita` conquistate sul piano del proprio lavoro di regista e raccontatore di storie. Poi anche registrando e imprimendo nel mestiere le variazioni e le crisi del nostro cinema, ma anche aiutandone o almeno seguendone da presso le trasformazioni. L’opera di Lizzani, dalla meta` degli anni ’50 e poi dagli anni ’60 in avanti, ha certo tradito l’esigenza e la foga di un costante adeguamento alla novita` (che era quello che la critica che l’aveva sostenuto e seguito si attendeva in fondo da lui). Si potrebbe anche pensare con qualche probante ragione – e del resto e` stato scritto – che il suo impegno anche ideale abbia infine trovato una propria ubicazione nelle qualita` del mestiere come nelle propensioni etiche della regia. Laddove all’opposto la pratica mai abbandonata della scrittura saggistica e critica poteva essere meglio svincolata dai lacci delle esigenze produttive e contingenti e, magari, continuare ad agire se non oppositivamente quanto meno dialetticamente. Eppure e` anche nel cinema vivo e vissuto, cioe` nell’impegno di realizzazione dei propri film pur nel dedalo delle regole e delle costrizioni, che Lizzani si e` mostrato non al tutto libero ma sicuramente non conforme e omologato alle dominanti linee culturali. Gia` la vicenda raccontata nel Il gobbo si teneva discosto dalle regole del film resistenziale delineando un caso di delinquenza banditesca insorta sul ceppo della guerra di liberazione: un caso, si sarebbe potuto dire dopo, di deviazione che offriva pero` materia di riflessione se non al revisionismo storico certo a una diversa considerazione di quegli eventi in sede anche storiografica. Lo scarto piu` forte e radicale intervenne nondimeno con Il Processo di Verona. La parola d’ordine della storia inverata in un corpo collettivo non vi si trovo` disattesa, ma fu poi in parte traslata e calata in un dramma di corte dalle cupe note shakespeariane. Lizzani concede il primo piano a personaggi familiari al grande pubblico e

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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soprattutto ad un pubblico avveduto e politicizzato: Rachele Mussolini, il di lei tristo consorte, poi il genero Galeazzo, la figlia Edda. Questo non era mai accaduto in una pellicola italiana, se non in quelle di costume o ottocentesche (da Scipione l’africano a Camicie rosse, per intenderci). Insieme alla notorieta` delle figure principali e dei comprimari, furono le sottolineature in primo piano dei volti e dei gesti, determinate appunto dal cinema, a costringere a un tipo di introspezione psicologica, e insomma di partecipazione che in parte parve rasentare l’ossessione calcografica e l’ambiguita`. La scoperta del film e` che la storia quotidiana non fluisce nel solco della prevedibilita` dialettica o pseudodialettica. Quasi essa, e il racconto che la sorregge, si prendessero gioco dell’ovvieta`. Qualcosa di affine si sarebbe poi ripresentato col successivo La vita agra, tratto dal gran libro anarchico di Luciano Bianciardi, quantunque Lizzani si presti a travasarne l’inquieto umore nei gradienti di una commedia all’italiana dal tono temperato cui non viene pero` negato un finale guizzo apocalittico. Anche le pellicole sul neo-gangsterismo metropolitano (da Svegliati e uccidi a Banditi a Milano) e quelle sulla delinquenza e devianza sociale in ambito rurale e isolano (Barbagia), si sottraggono palesemente alle regole del “politically correct”. Nel senso che lo schema forse corrivo e facile dell’identita` tra banditismo e ribellione sociale, che era stato imperante nel dopoguerra e negli anni ’50 (da Il lupo della Sila a Il brigante Musolino a Non c’e` pace tra gli ulivi, da La citta` si difende allo stesso secondo film di Lizzani, Ai margini della metropoli) e anche negli anni ’60 (con Banditi ad Orgosolo, con Il brigante) raggiungendo ovviamente l’acme coi parametri della contestazione, viene forzatamente abbandonato a favore di un modello sociologico e dunque anche interpretativo che risulta ben differente. Nella mutata vita metropolitana cambiavano le regole fondamentali di convivenza; con l’avanzare del consumismo cadeva la solidarieta` dei decenni antecedenti, mentre emergevano fenomeni nuovi non spiegabili con le sole chiavi esplicative dell’emarginazione e della poverta`. I film di Lizzani di questo periodo furono avversati da certa critica di ultrasinistra (penso ad es. ad “Ombre rosse”) per il loro punto di vista non appiattito sul luogo comune. Una vocazione cosı` controcorrente avrebbe avuto seguito in Fontamara, dove l’assunzione del tema dell’affrancamento sociale e anche certa proclivita` all’illustrazione escludevano perentoriamente il modello millenaristico e palingenetico – e anche ingenuamente populista – di Silone; poi si

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

sarebbe ripresentata nei film sul terrorismo politico, fenomeno che Lizzani fu tra i primi ad affrontare al cinema, persino con gli “instant movies”. E in un qualche modo anche i medaglioni filmici sui protagonisti maggiori e minori del nostro cinema, segnatamente i due piu` importanti su Rossellini e Visconti, non seguono le usuali trafile e le consuete modalita` interpretative. Una simile attitudine non sembrerebbe in Lizzani in nulla predeterminata. Essa e` invece trovata sul campo, nel vivo della realta` e delle contraddizioni messe in luce dall’occhio filmico. Il gobbo non e` infatti aprioristicamente un film di deviazione nella resistenza (o se lo e`, sembra piu` un film gangsteristico all’americana ambientato tra guerra e dopoguerra in un quartiere di Roma). Ne´ gli “instant movies” presuppongono un punto di vista preventivo dell’autore. Al pari di quei secondi anni ’50 quando non c’era in Lizzani alcun prospettivismo, cosı` nei decenni successivi lo schema valutativo ed espressivo e dunque anche storico non viene affidandosi a alcun movimento condizionato. Il fatto e` che il regime di segni del cinema lizzaniano, pur nella conformita` ai tratti delle sceneggiature e nel complessivo disegno di una regia esecutiva e inscenante, delinea nel proprio divenire – e nel divenire delle immagini – un preciso piano di consistenza, in contrasto appunto con le piu` ovvie risoluzioni ma in stretto legame con un livello di complessita` percepito emozionalmente. Alvaro il gobbo del Quarticciolo non e` insomma sempre buono perche´ proletario e combattente, ne´ Edda Ciano e Claretta Petacci (quest’ultima in Mussolini ultimo atto) sono creature dell’orrore e della crudelta` quantunque ovviamente abbagliate dal fascismo e di esso indubbie complici. A un primo livello di enunciazione affidato allo scenario (alla cui elaborazione Lizzani assai spesso prende parte), fanno ovviamente ` a questo punto che il cinema si interna nelle seguito le riprese. E cose. Ed e` lı` che mutano le intenzioni di partenza. Un po’ come se all’assicurazione concessa da soggetto e sceneggiatura elaborati in collaborazione con solide figure professionali (tra le quali spicca un Ugo Pirro), e regolati dalla stessa figura e ideologia del regista, facesse poi riscontro l’ingresso in un territorio aperto e in una linea di discorso impregiudicata. Un po’ appunto secondo quei modi rosselliniani, che Lizzani ben conosceva e che aveva del resto sperimentato ai tempi di Germania anno zero. Non voluta ma connaturata alla personalita` del nostro regista,

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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questa maniera di procedere si condiziona a caratteristiche entro cui si sviluppa il processo di preparazione del film e poi delle specifiche riprese. Potrebbero qui addursi gli esempi de La muraglia cinese e de L’oro di Roma. Nel primo caso quel che un semiologo strutturalista (Deleuze o Parnet) avrebbe potuto designare sotto la formula del concatenamento tra desiderio e enunciazione, subisce lo scacco della realta`. La volonta` infatti di abbozzare un’opera che descrivesse un paese accerchiato e isolato dall’imperialismo ma nobilitato dalla sua operosita` e dalla sua rivoluzione, si trovo` nel concreto a fare i conti con le chiusure di una burocrazia implacabile e cieca. Cosı` il piu` durevole vestigio lasciato a Lizzani dall’esperienza de La muraglia cinese e` stato l’utilizzo di una criticita` applicata al comunismo reale e poi successivamente all’ideologia astratta. In questo modo – aggiungerei – viene anche aperta la strada al Gobbo e congiuntamente a Il Processo di Verona. L’ulteriore caso su cui riflettere potrebbe essere L’oro di Roma. Pochi erano stati i film – in Europa ma ancor piu` in Italia – che avevano raccontato l’odissea degli ebrei. Quel che oggigiorno, invadendo integralmente il proscenio della memoria storica degli anni di guerra, viene definito alquanto impropriamente olocausto, negli anni ’50 e ’60 era avvertito soltanto come un momento della complessa vicenda bellica e della lotta al nazi-fascismo. Se con L’oro di Roma il merito di Carlo Lizzani e` stato di affrontare – primo tra i registi italiani di qualita` dopo il Gillo Pontecorvo di Kapo`, apparso l’anno precedente – le vicende di una comunita` ebraica, il lavoro di organizzazione del film e la stessa messinscena hanno portato alla luce le non poche reticenze e anche le contraddizioni della comunita` israelita romana. L’elegia sulle vittime dell’intolleranza e del razzismo non ha insomma disegnato per converso una quadratura al tutto limpida della parte perseguitata. Il gesto effrattivo e in questo senso complesso della vita reale – che Lizzani sempre coglie – taglia infine fuori ogni prospezione aprioristica. La scrittura oscilla sempre su margini di imprevedibilita`. La storia di prima linea e ufficiale cede il posto a una cronaca che si miniaturizza in un dedalo di simultaneita` tra le persone concrete e i vortici del quotidiano. 3. Dietro tanto fervore, c’e` evidentemente il miracolo della rinascita del cinema italiano nel secondo dopoguerra: la sua qualita` rivoluzionaria nell’ambito non soltanto della cinematografia ma altrettanto

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

della nostra cultura nazionale. E c’e` una cultura stretta tra il vecchio e il nuovo, divisa tra un logoro accademismo e quel realismo di fine Ottocento che recava impressi sulle proprie bandiere i nomi di Francesco De Sanctis e Giovanni Verga. Stendendo il capitolo sulle origini del cinema italiano nel suo libro del 1953, Lizzani cita infatti le conclusioni – peraltro celebri ma in quegli anni assai meditate e ricordate – della desanctisiana Storia della letteratura italiana: «Abbiamo il romanzo storico: ci manca la storia e il romanzo. E ci manca il dramma. [...] Ci incalza ancora l’Accademia, l’Arcadia, il classicismo e il romanticismo. Continua l’enfasi e la retorica, argomento di poca serieta` di studi e di vita». ` un De Sanctis – quello affrontato dal Lizzani storiografo del E cinema e anche della cultura – passato al vaglio di Gramsci ma forse anche piu` della ricezione e interpretazione del pensatore sardo in quei primi anni Cinquanta (appena dopo la diffusione delle Lettere dal carcere e in contemporanea con l’apparire dei Quaderni). Cosı` la critica gramsciana all’incapacita` della borghesia nel dotarsi di una solida strumentazione interpretativa e culturale fornisce anche allo storico del cinema il modello di una precisa iconografia. Una tale incapacita`, o difficolta`, viene spiegata in termini economici e politici – con la formazione cioe` di un blocco sociale conservatore ma anche con l’atteggiamento rinunciatario del fronte riformista (onde la nascita del fascismo). Carlo Lizzani si muove insomma sulla scia delle idee innovative del dopoguerra (o allora tenute per tali). Scontorna il repertorio tradizionale degli storiografi e degli storici del cinema, ma fissa la propria materia – l’evoluzione del cinema italiano – all’interno di una cornice e sul pedale di ragioni comunque strutturali e primarie sicuramente non presenti ad altri (per citare alcuni studiosi che pubblicarono in quei primi anni ’50, la Prolo di Storia del cinema muto italiano, il Luigi Rognoni di Cinema muto, dalle origini al 1930, e poi Mario Verdone, lo stesso talentoso Pietro Bianchi o Roberto Paolella). Nella panoramica che Lizzani traccia della nostra societa` e di una cultura sempre a rischio di scivolare nell’oleografia, si fa strada l’ipotesi che gia` il cinema del periodo muto fosse l’occasione per uscire da quelle secche. Questo sarebbe potuto accadere anche prima che quell’esperienza giungesse negativamente a connotarsi del contrasto tra il positivismo naturalista da un lato, e il dannunzianesimo o se si vuole l’elitarismo dall’altro. Su questo quadro arretrato e pro-

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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vinciale, finiva per gravare ancor piu` pesantemente l’interdetto crociano contro la tecnica – dunque anche contro il cinema – e in breve contro la modernita`. Certo, lo scenario tratteggiato e argomentato nel libro di Lizzani intorno al primo andare dell’arte del film e anche dei fatti letterari non si discosta dalle convenzioni dello storicismo del tempo (regole e convenzioni oggi ampiamente digerite e per certi aspetti anche superate, ma in quegli anni sentite in una posizione d’avanguardia e comunque fortemente contrastate dai settori conservatori). Tale scenario rimane comunque in filo con il lavoro cosı` della nuova storiografia del tempo come della critica piu` avanzata. Se esso ripete, tutto sommato, posizioni largamente condivise perlomeno a sinistra, e piu` specificamente in ambito marxista, il contributo piu` peculiare di Lizzani e` l’aver collocato il film neoreali` sta in un punto risolutivo di un’intera crisi della cultura italiana. E infatti il cinema – piu` di tutte le altre arti coeve, dal romanzo alla pittura con cui comunque presenta interconnessioni a largo raggio – che realmente racconta l’Italia uscita dal disastro della guerra con forza di verita` e passione. In piu` – annota Lizzani nell’Introduzione – si sente per la prima volta «pulsare vicino al cuore dell’artista quello piu` grande del popolo». La vessata questione della separazione dei letterati dalla vita nazionale sembrava risolta da una produzione cinematografica che era in fatto popolare e democratica al medesimo tempo. Sino al punto da far antivedere – ad es. nel legame tra quei cineasti e la societa` italiana – qualcosa che fondatamente richiamava il blocco sociale teorizzato da Gramsci tra popolo e intellettuali. Sul piano piu` specifico della storiografia – a differenza dei tanti che pensavano solo al passato, in particolare al muto – Lizzani ebbe l’intuizione che si potesse anche storicizzare il presente. La stessa idea avrebbe in fondo anche guidato Mario Gromo per il suo volume sul Cinema italiano (1903-1953), apparso l’anno dopo nel ’54. Ma il punto forte in Lizzani era il marchio di discontinuita` impresso dal cinema neorealista rispetto al passato anche recente. Un marchio cosı` impellente ed emotivo da spingere a interrogativi cruciali: «Cos’e` in sostanza questo nuovo cinema italiano? Cosa vuole? A cosa mirano i suoi autori?». In breve si puo` dire che Lizzani si sia fatto storico del nostro cinema per rispondere a domande che investivano la nostra societa` e la nostra cultura: e volendo, da cineasta schierato, dar conto e testimonianza delle grandi novita` del neorealismo. Va da se´ che la

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

viva e sempre motivata partecipazione al fervore neorealista, prima da critico poi da regista ed autore (e infine come storico), non ha avuto alcun timore di aprirsi a una posizione militante. Infine stendere la storia del cinema italiano e` stato allora per lui – come per tanti altri intellettuali ed artisti – anche un modo per agevolarne il cammino e chiarificarne le prospettive. E quel che valeva per il cinema, valeva anche per la societa`. Come dire che l’istoriabilita` del cinema italiano contribuiva a affermarne il risalto, del tutto unico nel panorama contemporaneo delle arti nazionali, ma insieme a sostenerne la novita`. Cio` allo scopo di un’acquisizione di metodi e temi – cioe` di orientamenti politici e culturali – che si pensava dovessero servire all’avanzamento generale della societa` e delle sue componenti piu` illuminate (c’e` al riguardo una riflessione di Calvino molto eloquente). Non per questo il libro di Lizzani va letto unicamente quale mezzo rivolto ad un fine. Invero, sotto la partecipazione e la passione ideologica (per dirla al modo pasoliniano), si stagliava in esso un profilo analitico e argomentativo di tutto rispetto. Un profilo che possedeva un volto letterario e storiografico, ma anche il risvolto progettuale del regista. Lizzani era infatti fermamente convinto che il filone neorealista segnasse un punto di cesura tutt’affatto radicale rispetto a ogni creazione passata (lo avrebbe poi ribadito negli anni ’80 e ’90, in avversione alle tendenze revisionistiche e sociologizzanti di una parte dei nuovi storici del cinema e di certa cinefilia abbagliata dall’effimero). Per questo egli pote´ accettare il giudizio di Umberto Barbaro intorno al cinema muto italiano e alla sua congenita debolezza: «Quello che gli manca non e` poco: e` una concreta visione del mondo e un piu` elevato contenuto morale. Senza i quali arte non si da`». ` l’aspetto per cui Lizzani si vuole e si pensa, almeno allora ma E forse anche adesso, apertamente barbariano. Un dominio della tecnica appare nel cinema largamente necessario, ma non esiste tecnica che sia apprezzabile se priva di «una sostanza umana, storica di cui nutrirsi». E il contenuto, come insegna Francesco De Sanctis, non puo` essere distinguibile dalla forma. Si arriva per tale via alle determinazioni fondamentali: «Una nazione riesce ad interessare con la propria cultura, con il proprio cinematografo gli altri popoli, a patto che non violi le leggi di sviluppo del proprio organismo, a patto che si trasformi e porti il suo contributo alla costruzione di una comune civilta` democratica. Non

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LIZZANI TRA I FILM SULLA STORIA E LA STORIA DEL CINEMA

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esistono per il cinematografo, come per la letteratura, o la musica o le altre arti, modelli eterni buoni per ogni tempo, espedienti e meccanismi adatti alla psicologia di tutti gli uomini in ogni momento. [...] Una cinematografia, insomma, puo` riuscire ad essere “universale” qualora affondi le radici nel suolo della nazione d’origine e partecipi delle lotte, dei contrasti vivi del popolo in cammino verso il progresso». Il prospettivismo che qui e` forse professato – da Lizzani corretto nel prosieguo degli anni soprattutto col suo impegno di autore – corrisponde un po’ al pedaggio che si doveva necessariamente pagare al proprio tempo. Cio` non impedisce che il saggista fili il proprio racconto al di fuori del luogo comune. Se fecondo e` il richiamo alle contraddizioni che attraversano la realta` – un po’ al modo pasoliniano, poco dunque aderendo alla vulgata sociologica e populista –, e` pero` piu` importante quella congiunzione che va a saldarsi tra realta` e verita`, nel passaggio critico del libro in cui si cerca di definire il senso del neorealismo. Quella connessione, quantunque derivata da un articolo scritto da Antonio Pietrangeli per “Bianco e Nero” nell’agosto del 1942, coglie il valore di novita` del linguaggio neorealista nella sua possibilita` di riallacciarsi a un’essenza della materia. Rimane dunque accosto al tracciato ontologico delineato da Bazin per Vittorio De Sica (vedi Qu’est-ce que le cine´ma), tracciato ugualmente imperativo in Rossellini e in Cesare Zavattini (come lo sarebbe stato in seguito per Pasolini). Lizzani e` troppo concreto, o storicista, per aderirvi sino in fondo, e dunque preferisce una linea d’attenzione verso l’uomo e le sue attivita` (il “lavoro”, la “fatica quotidiana degli umili”), nel tentativo di una “prima riscoperta dell’Italia”. Recupera anche ragioni e prospettive che erano appartenute a saggisti antecedenti, Francesco Pasinetti ad esempio, la cui Storia del cinema del 1938 gli pare essere pur nel suo limite «documento del nuovo movimento d’idee» e su cui anche il giovane Lattuada si sarebbe trovato a riflettere («Il concetto di storia richiama comunemente la necessita` di trovare insieme alla esposizione dei fatti il giudizio su di essi e sulla loro nascita e conseguenze, il paragone di una serie di fatti con altre serie, la presenza critica che difende e condanna e dentro i limiti di una osservazione oggettiva stabilisce la gerarchia dei valori e dei nomi corrispondenti»; cosı` il futuro autore del Cappotto in “Corrente di vita giovanile” all’altezza di tempo del settembre 1939).

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Ma, insomma, la storia redatta da Carlo Lizzani racchiude e contempera positivamente le espressioni cruciali del neorealismo. Se mai confermando l’asserto che ci sono infine tante storie del cinema quanti sono in fatto i movimenti culturali e storici. Per questo il suo lavoro storiografico incontra i termini epistemologici e concettuali sul perno di un neorealismo visto non nell’immediatezza documentaria – sentita in cio` nel suo limite, pur nell’incandescenza espressiva e nella germinalita` linguistica – ma invece nel ramificarsi dei processi sociali. Finalmente, raccontando il nostro cinema, Lizzani non si perde nella pletora dei rilievi marginali e delle vicende di contesto. Eleva al contrario un’armatura le cui intenzioni offrano occasione di figura teorica a quella attrazione verso la storia, che avrebbe continuato ad essere la passione di maggior forza della sua cinematografia.

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ROSSELLINI E LIZZANI di Bernardo Valli

Alla fine di un percorso critico rigoroso Carlo Lizzani nel suo documentario su Roberto Rossellini ci mostra il regista a Parigi in occasione della premie`re del suo ultimo film Il Messia; gli e` accanto Caterina D’Amico Bendico`, sceneggiatrice, produttrice del film, ma anche sua ultima donna. Seduto ad un tavolo nella hall dell’Hotel Raphael, il suo albergo di sempre nella capitale francese, cerca di ingannare la tensione facendo un solitario con le carte, poi sorridendo esprime una sua riflessione su due tipi di pubblico cinematografico, quello composto dai fans e quello di massa, rilevando in particolare un grande pregio di quest’ultimo: permette il pagamento di una grande quantita` i debiti. Nell’economia molto discreta e calibrata di un documentario in cui le cose non dette o solo accennate assumono un’importanza pari o superiore a quella delle cose esplicite, la scelta di Lizzani di mostrare questo aspetto di Roberto Rossellini e` quanto meno significativa. Lo e` soprattutto in quanto alla fine di un lucido percorso critico, essenziale, ma anche esaustivo, Lizzani intende mettere in risalto un aspetto che ai piu` potrebbe risultare una semplice battuta di spirito detta per rompere la tensione, una questione marginale, un particolare che pero` di fatto ha contato moltissimo nella vita e nella carriera di questo maestro del cinema italiano. Infatti se analizziamo con attenzione la carriera cinematografica di Rossellini ci accorgiamo che le questioni finanziarie in genere, quelle relative alla copertura del budget di molti film e l’assillo dei debiti, sono delle costanti che accompagnano e condizionano la sua vita professionale dall’esordio alle ultime battute. Il suo modo di stare nel cinema e` segnato da questo problema, frutto di tutta una

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

serie di scelte che lasciano trasparire una difficile convivenza con il mondo della produzione e con quel cinema ufficiale i cui rituali e le cui regole egli ha cercato sempre di evitare, subendole alle volte come un sopruso. Il Messia e` un film del 1975. Sono questi gli ultimi anni della sua vita che egli passa in prevalenza realizzando progetti per la televisione, mezzo che ha scelto, in parte costretto dai ripetuti insuccessi commerciali dei suoi film precedenti, ma anche perche´ si era convinto che per lui fosse oramai venuto il momento di abbandonare il cinema spettacolo in favore dell’informazione e della didattica. ` il periodo in cui i suoi interessi sono sempre piu` rivolti verso le E problematiche della scienza, della tecnica, della storia e della filosofia, mentre le sue frequentazioni e i viaggi sono sempre piu` orientati ad aprire contatti con scienziati, filosofi ed intellettuali. Con essi cerca di costruire ampi progetti che prevedono un cinema diverso ed un nuovo modello di televisione, il tutto orientato didatticamente. La determinazione di abbandonare definitivamente il cinema spettacolo molto probabilmente era maturata in lui gia` nel lontano 1957, quando, al ritorno dall’India, montando il materiale girato in quel paese, aveva avuto modo di riflettere sulle enormi potenzialita` del mezzo televisivo. Dopo la parentesi cinematografica degli anni 1959-62, Rossellini si orienta senza indugi verso il cinema-saggio, di cui parla anche in 1 una famosa intervista ai “Cahiers du Cine´ma” e si preoccupa di mettere in cantiere una vastissima quantita` di progetti, che cerca in tutti i modi di farsi finanziare dalla televisione, dalle industrie o da altri soggetti che trova utile coinvolgere, a volte anche in maniera abbastanza avventurosa. Ma i problemi economici e finanziari non lo abbandonano neppure in questa parte della vita, in qualche caso diventano piu` gravi. Il progetto complessivo legato al cinema-saggio, una specie di storia del mondo descritta a puntate, risultava nei fatti estremamente difficile da realizzare per l’elevato costo di ogni singolo capitolo, ma anche per l’ampiezza e la durata nel tempo dell’impresa. Le parole di Rossellini in occasione della prima a Parigi del Messia sembrano mettere in risalto questa dimensione, ma possono diventare, se ben utilizzate, anche una specie di chiave per leggere un 1

Intervista a Roberto Rossellini, a cura di J. Domarchi e F. Hoveyda, in “Cahiers du Cine´ma”, n. 133, luglio 1962, pp. 1-15.

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ROSSELLINI E LIZZANI

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percorso autorale che ha suscitato entusiasmi e feroci polemiche fino dal suo primo apparire. Una delle questioni che maggiormente hanno agitato la critica e` stata la presunta superficialita` di Rossellini, alimentata da varie mitologie, prima fra tutte l’abitudine di girare senza sceneggiatura e quella eclatante di abbandonare alle volte il set in mano ai collaboratori. Secondo questa vulgata critica egli non sarebbe stato altro che un esempio classico di genio italiano tutto intuito e sregolatezza a cui, per girare i film migliori, avrebbe giovato moltissimo la capacita` geniale di improvvisare, ma sarebbe mancata la cultura e la propensione alla riflessione. Da questo punto di vista gia` per suoi grandi film dell’immediato dopoguerra infatti veniva introdotta, in maniera piu` o meno esplicita, l’espressione “umanesimo rosselliniano”, ovvero quell’innovativo sguardo, per quanto riguardava lo stile attento al mondo ed al suo divenire, a cui pero` sembrava non corrispondere una forte presa di posizione ideologica. Un cinema quello di Rossellini, quindi, che sarebbe stato caratterizzato da una forte e nuova attenzione visiva verso cio` che accade, a cui pero` corrispondeva una scarsa elaborazione ideologica di fondo. Un’accusa che esplode in maniera palese e violenta verso la fine della carriera in occasione dell’uscita di Anno uno, film in cui le accuse di superficialita`, visione generica del mondo, ma anche sguardo democristiano quindi propagandistico, diventano pressanti. Lizzani da subito si preoccupa di affermare il contrario cercando di dimostrare, fin dalle prime battute del documentario, come nella realta` il giovane Rossellini da ragazzo avesse avuto modo di affinare il proprio sapere attraverso personaggi illustri della cultura, in particolare modo della musica, come Alfano, Zandonai e Mascagni, che erano amici del fratello ed abituali frequentatori di casa sua. Frequentazioni culturali importanti che nel frattempo si manifestano anche in campo cinematografico attraverso le prime collaborazioni con uomini di cinema del calibro di un Camerini, di un Alessandrini o attraverso gli scambi di opinione con gli intellettuali che facevano parte della redazione della rivista “Cinema”. Quest’ultima in modo particolare, fondata da Vittorio Mussolini, figlio del Duce, era uno spazio di dissenso e critica all’interno del regime fascista, dove il giovane Rossellini aveva avuto modo di conoscere ed apprezzare le idee di alcuni fra gli illustri personaggi che avrebbero successivamente fatto diventare importante il cinema

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

italiano. Erano questi uomini dalla grande personalita` come Luchino Visconti, Giuseppe de Santis, Michelangelo Antonioni e lo stesso Carlo Lizzani, che a loro volta dimostravano di apprezzare le qualita` umane e professionali del giovane Roberto Rossellini, malgrado egli fosse in quel periodo, fra l’altro, impegnato a realizzare film di propaganda piu` o meno esplicita per il regime fascista. Si tratta della Nave bianca con De Robertis, Un pilota ritorna e L’uomo della croce, film la cui realizzazione ha pesato non poco sulle alterne vicende critiche del futuro inventore del Neorealismo. A molti osservatori, successivamente, infatti questa collaborazione con il Regime, in uno dei settori a maggiore valenza strategica per il tempo, risultava ingiustificabile e a poco sembravano contare le obiezioni basate sul fatto che in quel periodo ci fosse uno scarso lavoro e una mancanza oggettiva di alternative. Nel migliore dei casi questo comportamento di Rossellini veniva attribuito al solito atteggiamento superficiale nei confronti del mondo ed alla mancanza di saldi principi ideologici. Nella prospettiva critica assunta da Lizzani, invece, queste esperienze cinematografiche di Rossellini sotto il regime fascista sono viste nel segno di una certa continuita`, ovvero come una specie di palestra in cui il giovane regista avrebbe messo a punto il proprio linguaggio cinematografico. In queste pellicole infatti si possono trovare alcuni elementi che successivamente diventeranno importanti in Roma citta` aperta e nel Neorealismo. Fra questi e` sicuramente rilevante l’uso del dialetto nella Nave Bianca, ma anche l’utilizzo del pianosequenza ed una certa visione della guerra che anticipa Paisa` nel Pilota ritorna. Su un piano piu` generale, ma in maniera molto evidente, in questi film si manifestano tutti quegli interrogativi sulla persona ed il significato globale dell’esistenza che saranno presenti nel suo grande cinema successivo. Per Lizzani quindi il coinvolgimento di Rossellini con le tematiche ufficiali di questi film, girati nel periodo in cui il Regime fascista era ancora vivo, e` relativo. Film che anzi, a ben guardare, lasciano trasparire elementi stilistici fortemente innovativi ed un senso della storia in cui, in particolare modo, la guerra e` vista come un’epidemia che coinvolge tutti, civili, militari, partigiani, tematica questa che verra` portata alle estreme conseguenze nel film capolavoro Paisa` . A riprova di questa impostazione critica nel documentario Lizzani riporta la testimonianza molto importante di Sergio Amidei, sceneggiatore e collaboratore stretto di Rossellini in Roma citta`

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ROSSELLINI E LIZZANI

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aperta ed in altri film da lui diretti in seguito, ma soprattutto militante comunista abbastanza intransigente e dal carattere a dir poco incendiario (come traspare anche dal film Celluloide diretto dallo stesso Carlo Lizzani in cui viene messo in evidenza il rapporto conflittuale fra i due con una manifesta sottolineatura del ruolo di Amidei nella realizzazione del film). In questa intervista lo sceneggiatore attesta con chiarezza che Rossellini, da persona fidata, frequentava gia` durante l’occupazione nazista la sua casa, che era fra l’altro la sede del partito comunista. Sistemata questa annosa questione, Lizzani prende in considerazione Germania anno zero, film che viene definito come ancora piu` trasgressivo di Paisa` . Infatti, dopo avere realizzato Roma citta` aperta e Paisa` , due film non totalmente apprezzati in patria, ma che comunque lo impongono all’attenzione della critica internazionale, dopo avere subı`to la perdita gravissima del figlio primogenito Romano, Rossellini, con finanziamenti francesi, gira questo film senza attori di nome e personaggi consolatori. ` questo un film «sulle condizioni attuali della Germania nel E marasma della disfatta, sotto il peso dell’occupazione militare, tra il disgregamento della vita civile. Il soggetto e` di Basilio Franchina il quale, per la sua diretta conoscenza dell’argomento mi e` stato di grande aiuto nel ricostruire e drammatizzare gli aspetti della vita 2 tedesca di oggi» come aveva avuto modo di dire lui stesso . Ma ben presto la grande collaborazione di Franchina si tramuto` in uno scontro personale tanto che a lui subentro` come aiuto regista lo stesso Carlo Lizzani il quale descrive questa esperienza cosı`: La prima laurea in regia me la diede Rossellini quando, subito dopo Caccia Tragica, ebbi la fortuna di trovare una collaborazione come aiuto regista con lui in Germania anno zero [...]. Allora Rossellini mi contatto` e mi disse: “Vai a Parigi, io ti raggiungo domani”. E invece arrivo` dopo un mese [...]. Cosı` mi mando` a Berlino di nuovo tutto solo con la stessa promessa di raggiungermi domani e invece anche in questa citta` lo attesi un altro mese sempre pagato in tutto e per tutto da questo produttore fantasma. Poi sempre Lizzani afferma: “[...] dopo settimane di discussione con i collaboratori tedeschi, Trauberg e Colpet, due amici di Billy Wilder e di Marlene Dietrich, si arrivo` ad avere in mano un elenco di 15 scene esposte sinteticamente in 15 pagine. Ogni pagina raccontava chiaramente, in poche righe, quello 2

In Gianni Rondolino, Roberto Rossellini, Torino, U.T.E.T., 1989, p. 130.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

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che era lo sviluppo dell’itinerario psicologico del piccolo Edmund, la figura centrale del film. Come le stazioni di una ideale Via Crucis3.

Da queste affermazioni traspare chiaramente quale fosse il ruolo della sceneggiatura per Rossellini, il quale utilizzava di solito scalette molto succinte, che aveva a sua volta l’abitudine di interpretare a proprio modo in ripresa. Sulla questione sono state scritte e dette molte cose, ed in particolare per questo motivo sono nate molte incomprensioni fra il regista ed i produttori i quali, non potendo contare sulla certezza della sceneggiatura, si trovavano spesso con i piani di ripresa alterati e i budget stravolti. Rossellini stesso poi non faceva nulla per rendere meno evidente questa situazione, infatti cosı` era il suo modo di concepire il cinema, metodo controverso su cui pero` lo stesso Lizzani ha qualche cosa da dire di importante come testimone. Infatti nel caso di Germania anno zero ed in maniera piu` specifica per quanto riguarda la scena del suicidio del bambino tutti sanno che venne girata da Lizzani, e` lui stesso a dirlo: «Inoltre, dopo averla dettagliatamente preparata, Rossellini mi fece girare la scena finale, quella piu` drammatica, del suicidio del piccolo Edmund»4: ma alla fine nel contesto quella ripresa, che era il frutto di mesi e mesi di discussioni e verifiche, risulta omogenea al resto del film ed e` in tutto rosselliniana. Ne risulta sempre piu` un Rossellini che usa attori non professionisti, incapace di lavorare con sceneggiature definite, con la voglia di scoprire attraverso la macchina da presa il divenire del set, il tutto senza volere volutamente troppo mettere in scena, elaborare e rendere artificiale un mondo la cui nuda semplicita` lo aveva sempre affascinato. Emerge in maniera inconfondibile un Rossellini che rifugge i meccanismi convenzionali del cinema con le sue ritualita` (riprese nel teatro di posa, tecniche sofisticate e costose, divismo, mitizzazione del regista come artista e creatore di un linguaggio spesso fine a se stesso, apparato mediatico di contorno), si manifesta sempre piu` il suo tentativo di utilizzare il mezzo come un semplice strumento di scrittura attraverso il quale era possibile scoprire la verita` del mondo (nel documentario di Lizzani la figlia Isabella dice che il padre pensava alla cinepresa come ad una semplice penna). Un 3

Ivi, pp. 130-131. Renzo Rossellini-Osvaldo Contenti, Chat room Roberto Rossellini, Roma, Luca Sossella editore, 2002, p. 37. 4

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ROSSELLINI E LIZZANI

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modo di vedere la realta` da documentarista su cui, in maniera troppo facile e semplicistica, si e` insistito eccessivamente attribuendo a Rossellini una congenita «propensione verso il documentario», genere con il quale avrebbe iniziato la carriera cinematografica (vedi Fantasia sottomarina, Il Ruscello di Ripasottile), metodo che poi lo avrebbe accompagnato per tutta la vita. Secondo questa interpretazione, che emerge in maniera piu` o meno evidente, ma che comunque sta sullo sfondo di molte analisi e visioni critiche, Rossellini non sarebbe altro che un grande documentarista che a fatica si e` inserito all’interno del mondo del cinema a soggetto portandosi ostinatamente dietro gli straordinari strumenti che aveva sviluppato per inseguire quella originaria vocazione, con i quali ha aperto varchi insospettabili ed innovato il linguaggio stesso del cinema. Lizzani non assume nella sua interezza un siffatto punto di vista, ma nel documentario, mettendo in risalto questo aspetto della vicenda cinematografica di Rossellini, sostiene che quando egli, dopo alterne vicende private e professionali, si sentı` emarginato da tutto, trovo` il modo di andare con entusiasmo in India a fare un lungo documentario di tipo antropologico, come per rinascere. In definitiva, se si osserva l’opera e la carriera nel suo complesso ci si accorge che tutta la vita professionale di Rossellini e` caratterizzata e scandita da cio` che per un osservatore esterno potrebbe essere definita la gestione dell’incertezza, ma che per lui diventa, fuori ed in particolare modo sul set, una dialettica creativa. Una dimensione che per altri sarebbe stata devastante, ma che lui riesce a gestire, inventando un metodo, quello che egli stesso definiva “il mio metodo”. Con grande senso della misura, Carlo Lizzani, in Celluloide (tratto dall’omonimo libro di Ugo Pirro), descrive questo procedimento dialettico nel suo divenire attraverso la messa in scena del caos produttivo e creativo all’interno del quale viene realizzato il suo primo capolavoro, Roma citta` aperta, film con il quale il “metodo Rossellini” prende corpo. Un metodo che sicuramente rischia di sembrare un controsenso dal punto di vista terminologico, in quanto non e` programmato a tavolino e non si presenta come il marchio di fabbrica di un autore. Esso si materializza nello scontro dialettico che si realizza prima e durante le riprese, intorno e sul set, dove pero` alla fine tutti quegli elementi, anche molto diversi fra loro, trovano una loro composizione nel ritmo delle immagini che sullo schermo, a film finito, risultano coese e meravigliosamente presenti. Verso la fine della carriera Rossellini, fiaccato dalle troppe

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

guerre, anche private (la fine della vicenda sentimentale con la Bergman innanzitutto), ed emarginato in maniera pesante dal mercato e dalla critica che lo ignorava, scopre, come si e` gia` detto, lo strumento televisivo inteso come risorsa tecnologica e linguistica nuova. Anticipando tutti, pensa di potere realizzare un progetto culturale ad ampio respiro, scopre un nuovo territorio, comincia a credere di avere trovato un luogo dove finalmente sarebbe stato possibile esprimere le proprie idee essendo condizionato da un minore numero di vincoli, tecnici, economici ed organizzativi. Pensava soprattutto di potere disporre di un media facile e di strumenti che tutti potevano usare senza dovere rispettare le esagerazioni di una professione, che negli anni si era rinchiusa all’interno di mitologie fuorvianti. Per dire qualche cosa di sensato ed originale sul mondo, soprattutto di utile, pensava fosse necessario ancora una volta rompere le righe riducendo la complessita` dell’apparato tecnico ed economico che si era formato attorno al cinema ed anche alla televisione. Sapeva che per raggiungere un pubblico di massa con il suo progetto doveva utilizzare strumenti leggeri e modalita` produttive non ortodosse. Osannato dalla giovane critica francese che lo aveva preso a modello e finalmente celebrato come un genio innovatore (fra l’altro anche per la tanto contestata “Trilogia del sentimento”), non si fa prendere dall’esaltazione come altri colleghi. Anzi, parlando del suo rapporto con la Nouvelle Vague sostiene, forse con troppa umilta`, che del metodo Rossellini per quei giovani erano stati importanti solo la semplificazione tecnica ed il non volere essere condizionati dalla macchina del cinema. Un condizionamento che non volle subire neppure dopo i successi internazionali dei grandi film neorealisti, i quali avrebbero potuto aprirgli le porte di Hollywood, facilitato in cio` anche dalla nuova avventura sentimentale con una diva come la Bergman, che al contrario impiega molto rossellinianamente nel film Stromboli. (Un’opera, come dice Lizzani, dove si esprime la sua nuova ricerca «su un mondo che appare pacificato solo in maniera esteriore»). O nello straordinario percorso di Viaggio in Italia in cui, come ancora nel suo documentario, mette molto bene in risalto Carlo Lizzani, viene evidenziato «un aspetto dell’esistenza umana dove i piccoli conflitti individuali diventano le particelle di un mondo piu` grande». Dimensione che trova una sua spiegazione nel finale del film in cui i due protagonisti, travolti dalla folla, scoprono la propria fragilita`.

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ROSSELLINI E LIZZANI

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Scelta professionale, questa, che e` conosciuta, per distinguerla dalla “Trilogia della guerra”, con il nome di “Trilogia del sentimento”, la quale non viene capita da quelli che malgrado tutto lo avevano esaltato per i grandi film neorealisti e che volevano continuasse a lavorare in quel modo. Che non viene amata dal pubblico il quale non lo segue nei cinema dove si proiettano i suoi film, che non viene apprezzata dai produttori che cominciano vederlo come un rischio. Di fatto viene emarginato e questo avviene in particolare modo in Italia, ma come si e` gia` detto, e` scoperto come autore ed esaltato dai giovani leoni della Nouvelle Vague francese (quelli che hanno inventato la politica dell’autore) senza che lui facesse nulla per apparire come tale. Diventa autore acclamato nel suo paese solo in seguito, quando il suo cinema, seguendo il filo di una ricerca culturale ostinata, viene accettato dai piu` anche per la scrittura assolutamente innovativa e tutti nel mondo ne parlano come tale. Dal documentario di Lizzani emerge un Roberto Rossellini grande regista ma soprattutto intellettuale, che ha attraversato le altalenanti stagioni della vita professionale sorretto non tanto dalla voglia di essere un artista o un creatore, ma dalla volonta` di ricercare e di approfondire ed indagare la realta` di volta in volta con lo spirito dell’antropologo, dello storico, dello psicologo o del sociologo, da ultimo anche con quello dello scienziato. Il motore del suo stare nel cinema poi nella televisione sono sempre stati i problemi di conoscenza, ma nell’ultimo periodo della vita essi sembrano ampliarsi riempiendo i suoi giorni. In particolare, come ci confessa la figlia Isabella (nell’intervista riportata nel documentario), negli ultimi anni passa molto tempo steso a letto a scartabellare e leggere libri di vario tipo, poi prende e va a discutere con i migliori intellettuali in tutte le parti del mondo. Rossellini non parte mai da problemi di ordine puramente estetico, poiche´ il cinema poi la televisione sono per lui strumenti (la penna) con cui si puo` lavorare sui problemi per poi divulgarli trasmettendo conoscenza. Da questo punto di vista i film o i programmi televisivi diventano conseguentemente oggetti molto simili, che riflettono il suo modo di pensare e quindi di lavorare. Nel documentario Lizzani non a caso riporta una dichiarazione di Rossellini stesso in cui afferma di essere disgustato nei confronti di chi divinizza la macchina da presa e di sentirsi semplicemente un professionista e non un artista.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Meglio sarebbe affermare che lo stile della ricerca ed i suoi strumenti diventano la forma dei film che realizza. E non si tratta mai di semplice documentarismo o meglio del lavoro di un documentarista, (senza volere togliere nulla a questo mestiere), che si cimenta nel film narrativo, rimanendo segnato nel bene e nel male da questa origine. Rossellini, quando sceglie di lavorare quasi esclusivamente con il mezzo televisivo ne abbraccia senza rimpianti in tutto e per tutto il metodo dal punto di vista produttivo, tecnico, realizzativo e linguistico. Utilizza in particolare il pianosequenza che, come afferma il figlio Renzo, diventa il solo modo con cui gira, ed introduce fra le varie innovazioni tecniche, il telecomando allo zoom (una sua invenzione) per aver piu` ampio spazio di manovra e quindi ridurre i tempi di ripresa ed anche i costi. Al di la` delle questioni contingenti, che possono presentarsi come diverse nel tempo, ma che sono prevalentemente di tipo finanziario, per Rossellini il grande ed il piccolo schermo sono speculari. Infatti, come dice Lizzani: Se nel suo cinema c’e` il pulviscolo della storia, la gente di tutti i giorni, i rottami lasciati dalla risacca del dopoguerra e dalla civilta` del benessere, nella televisione ci sono i grandi protagonisti del pensiero e della vicenda storica. In questi film sulla storia dell’uomo c’e` sempre l’evocazione di quelle dimensioni universali di spazio e di tempo in cui gli esseri viventi emergono, ricercano e si interrogano sui destini della propria esistenza e sui valori comuni al di la` delle barriere etiche, religiose ed ideologiche. Un processo che e` iniziato con Paisa` (il colloquio dei frati con i cappellani militari americani). Giunto alle soglie dei settant’anni Rossellini si considerava oramai un poco “al di fuori della mischia”, immerso totalmente nella sua grande visione utopistica dell’uomo e della societa`, quasi un “vecchio saggio”, che aveva ancora molto da imparare ma anche molto da insegnare5.

Dopo avere fallito al Centro Sperimentale di Cinematografia di cui era stato presidente con molto entusiasmo ma poca capacita` organizzativa, dopo essersi messo contro quasi tutti con Anno uno, un film che lo stesso figlio Renzo considerava un’opera in cui il padre 6 aveva ceduto al ricatto della politica per motivi economici , Rossel-

5 6

Gianni Rondolino, op. cit., 1989, p. 325. Ivi, p. 327.

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ROSSELLINI E LIZZANI

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lini si dedica alla realizzazione di tre grandi progetti. Si tratta del Messia, l’unico che realizza, del Carlo Marx e di un film sulla scienza. Quest’ultimo progetto era il frutto di una riflessione ancora piu` ampia che in quel periodo Rossellini faceva sul rapporto fra etica e scienza. Proprio di questo parla nel 1973 all’interno dell’auditorio della Cappella Rothko di Huston e Carlo Lizzani mette, con grande scelta di tempo, questo discorso alla fine del suo lavoro, quasi che queste parole fossero il testamento spirituale dell’uomo e dell’intellettuale, poi anche del regista Rossellini: Non sono uno scienziato ma mi sono interessato molto di scienza. Provo ad imparare qualche cosa per colmare le mie lacune, non so in che misura ci sia riuscito, ma qualche cosa ho fatto. Ho la sensazione che sia possibile usare la scienza... Oggi scienza e morale possono camminare insieme perche´ il grande dono della natura o di Dio o come lo si vuole chiamare e` i nostro cervello, la nostra intelligenza. Abbiamo lo strumento ma non sappiamo usarlo. Allora quali opportunita` abbiamo per il futuro? Abbiamo l’opportunita` dei mass media. E se oggi usassimo bene questi mass media potremmo realizzare un progetto simile.

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LIZZANI E LA RESISTENZA di Emilio Pozzi

Di fronte all’indignazione che si puo` provare per certi rigurgiti pseudostorici contro la Resistenza, negli ultimi tempi particolarmente velenosi, soprattutto da parte di chi si e` stato zitto per anni ed e` poi uscito allo scoperto, convinto che il vento tirasse ormai da un’altra parte, e` sorprendente la serenita` con la quale, negli incontri personali e negli scritti, affronta l’argomento, Carlo Lizzani. Anche se si parla dei suoi documentari e dei suoi film. Se si discute ancora sulla rivoluzione francese, sulla Vandea, addirittura sui Borboni, non e` negativo per lui che gli storici continuino a discutere della Resistenza, perche´ ogni evento epocale e` attraversato da luci ed ombre, e l’analisi rigorosa degli avvenimenti fa scoprire che non c’e` purezza assoluta, anche da parte di chi giustamente lottava per il progresso, per la trasformazione della societa` e credeva nella liberta` e nella giustizia. Un atteggiamento che gli fa certo onore e che mette in luce il rigore dello storico che, come i seguaci della linea storiografica francese delle “Annales” che fa capo a Marc Bloch e a Lucien Febvre, sin dal 1933, mette persino in dubbio l’autenticita` del documento, respingendone il valore di monumento. (Si chiedeva Febvre: «Il fatto in se´, questo preteso atomo della storia, dove mai 1 andremo a prenderlo?» O, per dirla con altri maestri, «di tutte le cose sicure, la piu` sicura e` il dubbio». Ma cosa si intende per Resistenza? Anche Giovanni Vento e Massimo Mida, quando affrontarono, nel 1959, il rapporto fra Ci1

Nella lezione inaugurale al Colle`ge de France nel dicembre 1933. Giovanni Vento-Massimo Mida, Cinema e resistenza, Firenze, Luciano Landi Editore, 1959. 2

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

nema e Resistenza2, si posero il quesito e nell’introduzione al volume antologico, prendendo le mosse dalla letteratura, dopo aver notato che questo capitolo della storia ha prodotto una sorta di pubblicistica monca qualche volta equivoca e comunque non copiosa, osservarono che il fenomeno veniva limitato da un lato sia nel senso dello spazio (Europa) e del tempo (seconda guerra mondiale), che nel senso dei contenuti (lotta partigiana), dall’altro lo si allarga fino a includervi movimenti quali il colonialismo, la rivoluzione ungherese, le lotte sindacali. E, venendo allo specifico scrissero: La letteratura cinematografica, che pure avrebbe potuto dire una parola chiara al riguardo, ha invece accettato anch’essa simili concezioni: sicche´ mentre per alcuni film sulla Resistenza si intendono film sulla lotta dei partigiani europei durante la seconda guerra mondiale, per altri ‘puo` essere un film che abbia come soggetto Garibaldi o i fratelli Rosselli, lo sciopero dei portuali genovesi o i maestri che lottano contro il conformismo scolastico e via dicendo.

E propendono, pur ammettendo che la definizione di Resistenza possa essere estesa nel senso dello spazio, del tempo e dei contenuti, per la tesi che «di fronte alla Resistenza devono esserci sempre il nazismo e il fascismo». E ancora ricordare la divisione tra Resistenza disarmata, civile e politica e la Resistenza armata, concetti sui quali si 3 esercito`, con estrema onesta` intellettuale, lo storico Augusto Monti . Il dibattito e` continuato negli anni, potendo parallelamente osservare che il cinema italiano, nelle sue linee generali, non ha indugiato, salvo qualche caso isolato, nella retorica sulla Resistenza. Lizzani, che dalla retorica non si e` mai fatto coinvolgere, ha quasi scherzosamente osservato che ‘non ne ha avuto neanche il tempo’. Semmai il cinema italiano ha avuto il coraggio di guardare anche dall’altra parte, a cominciare da Tiro al piccione di Giuliano Montaldo. Prima che cominciassero i revisionismi interessati, con ambigui tentativi di intorbidare le acque, l’analisi fu stimolata specialmente dalla rivista “Cinema nuovo”. Da gente cioe` con le carte asciutte che volevano preservare proprio i valori alti della Resistenza, respingendo mistificazioni, mascheramenti di generi, riverniciature malfatte. E i problemi connessi, oltre che sulle scelte stilistiche e di 3

Augusto Monti, Introduzione a Antologia della Resistenza di Luisa Sturani, Torino, Centro del libro popolare, 1951.

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LIZZANI E LA RESISTENZA

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linguaggio, anche sui mutamenti di criteri produttivi e sulle censure operate attraverso i mancati finanziamenti dell’industria del cinema, sono stati denunciati e discussi negli anni in polemici convegni. Ne va ricordato uno che si svolse a Grugliasco, nei pressi di Torino, nel 1963, dal titolo ‘Tendenze attuali del cinema antifascista italiano’ e che ebbe al centro una relazione forte nei toni e nei concetti di Gianni Rondolino, che se la prese anche, nella sua filippica, con Lizzani e con il suo Processo di Verona. Eppure Lizzani ha sistematicamente riflettuto sulle sue opere in chiave resistenziale. E l’ha fatto da almeno quattro angolazioni: come storico, come critico, come sceneggiatore e, ovviamente come regista. Per alcune prese di posizione e` stato criticato, anche dagli amici, i quali, ad esempio, quando realizzo` Il gobbo nel 1960, si erano posti la domanda se fosse giusto ricordare la figura di un giovanissimo criminale che sı` aveva partecipato alla Resistenza ma che “ricordato oggi potrebbe dare l’idea di una Resistenza che abbia aperto le porte incautamente a qualche spirito violento”. Lizzani, in quell’occasione replico` che parlare di un personaggio come Alvaro Cosenza detto ‘il gobbo’, impersonato 4 sullo schermo da Ge´rard Blain , fosse invece utile per vedere all’interno di qualsiasi movimento, contraddizioni e sbandamenti. E indubbiamente gli argomenti piu` scomodi, in chiave anche autocritica, e` giusto che siano rivisti da chi ha vissuto esperienze contraddittorie di entusiasmo e di sofferenza. Sotto questo profilo hanno acquistato, nel tempo, maggiore valore emblematico Il terrorista di Gianfranco 5 6 De Bosio o La battaglia di Algeri di Gillo Pontecorvo, due autori che nella propria biografia personale possono annoverare l’appartenenza alla Resistenza, combattuta all’estremo. E le discussioni anche su queste opere non sono mancate. Ma e` giusto che sia cosı` perche´ – anche Lizzani e` d’accordo sull’idea – quando si scrive la storia, si scrive sempre nel presente. Ecco dunque la motivazione per la quale un certo filo rosso che parte dalle pulsioni della Resistenza, ma si stempera nei temi delle condizioni sociali, cause anche di devianze, si ritrovano in quei suoi film che semplicisticamente sono stati definiti di cronaca. Portare insomma nella societa` via via i valori per i quali si e` combattuto. E che non hanno avuto compimento. 4

Altri interpreti: Anna Maria Ferrero, Bernard Blier, Pier Paolo Pasolini. Oltre a De Bosio il film e` sceneggiato da Luigi Squarzina. Interpreti Gianmaria Volonte´, Philippe Le Roy, Giulio Bosetti, Tino Carraro, Carlo Bagno, Franco Graziosi. Produttori Tullio Kezich e Alberto Soffientini con la 22 dicembre. 6 Il film e` del 1966 ed e` di produzione italiana e algerina, con attori algerini. 5

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Occorre tuttavia far attenzione, e questo e` molto difficile, ad evitare che i singoli episodi anche se possono talvolta essere considerati come simboli, rappresentativi di un’intera stagione siano assunti come metafora di un intero periodo. E in questa ottica, per quanto riguarda Lizzani, vanno considerati Achtung! Banditi! e Il sole sorge ancora firmato da Aldo Vergano ma nel quale la partecipazione di Lizzani come sceneggiatore e` rilevante. Per Achtung! Banditi! mi rifaccio al giudizio espresso da Fernaldo Di Giammatteo, non sempre tenero con i film sulla Resistenza: «Un’opera a meta` strada fra l’emozione e il ripensamento critico. Nel seguire l’insorgere della Resistenza a Genova il regista trova accenti di sincera partecipazione 7 ma insieme compie uno sforzo di storicizzazione non volgare» . Molto negativi furono invece i giudizi di Mario Gromo e Luigi Chiarini (entrambi su ‘Bianco e nero’). E questa linea Lizzani segue coerentemente quando tratta i temi resistenziali. Nulla s’ha da aggiungere a quanto anche altri critici come Guido Aristarco, Gianni Rondolino, Luigi Fossati, Claudio Zucchelli scrissero nel 1951, su questo film, analizzandolo senza farsi cogliere da conformismo postresistenziale. Nella sua recensione, pubblicata su “Cinema nuovo”, Aristarco annotava tuttavia una significativa coincidenza. «E non si puo` dire casuale il fatto che Achtung! Banditi! esca quasi contemporaneamente a Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana 8 raccolte per l’editore Einaudi » da Giovanni Pirelli e Piero Malvezzi. «Che andiamo cercando noi vivi – si domanda nella prefazione Enzo Enriquez Agnoletti – in queste ultime parole scritte in un momento in cui l’uomo e` sotto il piu` grave peso di questa vita? E con che diritto leggiamo queste pagine, una dopo l’altra per trovarci chissa` che cosa, ma certo qualcosa di noi e per noi: con che diritto interpretiamo, confrontiamo e concludiamo? Non e` il desiderio di raccogliere pii cimeli e testimonianze di un’epoca lontana, indiscussa, da raccontare con partecipazione, ma con freddezza a coloro che non sanno. Troppo ci e` vicino quel tempo anche se sentiamo di coprirlo con gli strati opachi della memoria, se tentiamo talvolta di non lasciar giungere fino a noi quelle voci, che non ci lascerebbero vivere come viviamo, che forse vorrebbero che fossimo tanto diversi da quello che siamo».

7 Cristina Bragaglia e Fernaldo Di Giammatteo, Nel cinema, storia di una rappresentazione di genere, in Arti e Resistenza, a cura di Emilio Pozzi, Milano, M&B Publishing, 2005, p. 47. 8 Nel solo 1952 sono state stampate quattro edizioni.

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LIZZANI E LA RESISTENZA

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La citazione di Enriquez Agnoletti stimola Aristarco ad accostarla al film di Lizzani: «Ma se quel tempo e` ancor troppo vicino a noi, non fa piu` parte della cronaca, e` storia; e` patrimonio nazionale. A esso noi ci possiamo avvicinare e vederlo ormai con sereno e eppur ` quanto ha tentato Carlo Lizzani». Agsempre relativo distacco. E giungendo: «Lizzani ha dunque ripreso con spirito nuovo il tema della Resistenza». Dal canto suo un altro critico, Giulio Cattivelli, riconosceva al film di Lizzani di essere un esempio isolato e importante, trattandosi del primo film sulla Resistenza realizzato con sufficiente distacco e con piena coscienza storica del fenomeno «individuato e rappresentato non in aspetti occasionali e marginali, bensı` nelle sue componenti essenziali». Il discorso critico sui film sulla Resistenza era dunque gia` cominciato. Qualche anno dopo era proprio Lizzani a sostenere che occorreva riprendere in mano i testi, i film e fare una revisione critica, controllare cio` che in essi risultava non ‘nuovo cinema’, ‘stil nuovo’ ma cascami, piatto verismo, quando non addirittura naturalismo, folklore nell’accezione comune e volgare del termine o indubbia predisposizione, in molti autori, a poetiche lontane dal realismo. Per quanto lo riguardava, lo spirito che aveva impregnato gli entusiasmi della Resistenza, si e` indirizzato verso tre filoni: quello storico (Il processo di Verona, Mussolini ultimo atto e Le cinque giornate 9 di Milano ), quello ispirato a opere della letteratura (Cronache di 10 poveri amanti da Pratolini), e quello che prende spunto da personaggi e fatti della cronaca, dietro la quale ci sono le cause del malvivere. Oltre a Il gobbo, Banditi a Milano, Svegliati e uccidi (Lutring), Torino nera, Storie di vita e di malavita, San Babila ore venti: un delitto inutile e persino Mamma Ebe. Viene la tentazione di fare un passo indietro e considerare Lizzani, nel profondo, e il suo rapporto con la Resistenza, in sintonia con le sue motivazioni formative (e non prescindono quindi da un vissuto iniziale). Quello che gli ha consentito di capire come e in che maniera, a volte casuale, a volte confusa, un giovane poteva approdare all’uno o all’altro fronte. 9

Realizzato per la Rai nel 2003. Il film e` del 1954. Ne sono interpreti Marcello Mastroianni, Antonella Lualdi, Cosetta Greco, Annamaria Ferrero. Su questo progetto aveva lavorato anche Luchino Visconti. 10

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Molti della sua generazione hanno attraversato il fascismo, prendendo atto che se da un lato spendeva monete decisamente false, dall’altro metteva sul tavolo altre monete il cui suono non era stonato: l’anticapitalismo e la socialita`, ad esempio. Erano parole affascinanti che spingevano ad andare oltre, al di la` della pubblicistica fascista, a leggere Labriola, per fare un caso... Paradossalmente e` improprio, o deviante, usare il termine fascista per Franco e Pinochet o i colonnelli greci; quelli sono stati dittatori e carnefici, privi di qualsiasi ideologia. Per Lizzani, Mussolini invento` un tipo di ideologia che coniugava il socialismo con il nazionalismo, una formula, il socialismo nazionale. Da questa premessa, che sviluppo` il sogno di un impero, mentre gli imperi coloniali andavano sgretolandosi, e che riverso` nella repubblica sociale i 19 punti dei Sansepolcristi, ha tenuto conto Lizzani in quei suoi film nei quali si e` occupato di Mussolini e di alcune sue vicende. E colse il rischio, in cui qualcuno e` scivolato, di considerare alcune idee come valori. Per Lizzani non ci possono essere equivoci. Mentre si vede Mussolini ultimo atto, nel momento in cui il dittatore e` sconfitto, e questo potrebbe generare un senso di pieta`, quasi un cedimento, non lo si puo` non collegare almeno a due altre opere (Un’isola, tratto dal libro di Giorgio Amendola e Fontamara ispirato al romanzo di Ignazio Silone), per riconoscere che il messaggio di condanna del fascismo e della sua violenza e` forte e chiaro. Incontrandolo a Roma, Lizzani mi ha confidato: Tutto questo io l’ho vissuto e mi sono reso conto di quanto poteva essere facile cadere, in buona fede nel trabocchetto. Incontrai, pochi giorni dopo l’8 settembre, a Roma, Enrico Fulchignoni, regista e critico, che non era un ragazzino ingenuo e che mi conosceva anche per quello che avevo cominciato a scrivere sul nuovo cinema. Ci intendevamo anche a distanza su certi punti, mi considerava un elemento emergente. Mi butto` le braccia al collo, dicendomi: “Finalmente ...”. Ci fu un equivoco perche´ io, dando per scontato che tutti i giovani intellettuali appartenessero alla ‘fronda’, pensavo alludesse con quel ‘finalmente’ a quello che stava cambiando dopo l’otto settembre e non mi ero reso conto che lui invece era uscito dal teatro Adriano, dove era stato ad ascoltare il discorso del Maresciallo Rodolfo Graziani. “Finalmente – continuo` – la Repubblica, finalmente la socialita`, il vero fascismo”. Era limpido, in buona fede. E ando` al Nord, ma evidentemente capı` quasi subito che la strada giusta non era quella, tant’e` che non si trova il suo nome negli scritti della gente di Salo`. Questo per dire quanto fosse impalpabile e leggero il crinale che poteva dividere tanti giovani intellettuali di fronda.

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LIZZANI E LA RESISTENZA

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L’occasione di un incontro con Lizzani, per la verifica di alcuni elementi cronologici della sua biografia, ha indotto lui stesso a una riflessione di bilancio sul valore attuale dei suoi film, in un’ottica globale e su alcune lacune tematiche del cinema italiano. Si e` reso conto ad esempio – e qui spunta lo storico – di un valore che e` sempre stato sottovalutato e che avrebbe dovuto figurare maggiormente nel contesto dei temi ispirati alla Resistenza: la fabbrica, l’immagine del lavoro. A parte I compagni11 di Monicelli e La classe operaia va in paradiso12 di Elio Petri. Sono pochissimi i film in cui la figura dell’operaio decanti tutto quello che e` stato fatto e detto in senso positivo e negativo; in realta`, nel cinema italiano i personaggi predominanti sono la piccola borghesia, ambienti popolari distanti dalla fabbrica, i disoccupati, gli emigranti e gli immigrati. La cronaca della storia. Ecco un altro filone, intuito da Aristarco, caro a Lizzani. Anche se gli ha sempre dato fastidio la sommaria definizione di ‘regista della cronaca’, perche´ sembra sottovalutare i suoi contributi al cinema sulla storia contemporanea. E sul tema specifico mette conto di riferire una sua riflessione13. Mi sono chiesto se per caso non avessi sbagliato quando realizzai Il processo di Verona e Mussolini ultimo atto; mi sentii con la coscienza a posto. Ho sempre creduto che si debba suscitare lo spirito critico dello spettatore, e non pensare che il pubblico non abbia la capacita` di dare ` per questo che ritengo che un giudizio, senza essere suggestionato. E in due film come Il processo di Verona e Mussolini ultimo atto la condanna del fascismo appaia chiara, attraverso molti elementi. I personaggi vanno letti in controluce. In Mussolini ultimo atto io mostro il personaggio che si traveste da militare tedesco, che abbandona i suoi uomini; lascio allo spettatore tracce molto evidenti che possono portare a un giudizio molto severo, al di la perfino dell’attimo di pieta` che si puo` provare per un vinto. E ne Il processo di Verona ci sono brani del diario di Galeazzo Ciano che da soli valgono piu` di una condanna risolta con effetti drammaturgici.

11 ` del 1963. Interpreti Marcello Mastroianni, Annie Girardot, Folco Lulli, Renato E Salvatori, Bernard Blier. 12 ` del 1971. Interpreti Gianmaria Volonte´, Mariangela Melato, Salvo Randone, Mietta E Albertini. 13 A colloquio con l’A. il 14 febbraio 2004 a Roma.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Il riferimento potrebbe sembrar rivolto al film Salo` o le 120 giornate di Sodoma di Pier Paolo Pasolini. Per chiarire ogni dubbio Lizzani precisa: Pasolini fa parte di una stagione in cui il cinema staccandosi definitivamente dal neorealismo passa al racconto di tipo metaforico, sotto forma dell’apologo. Ignorando grammatica e sintassi e manipolando all’interno di questi racconti i dati, che sono messi in un ordine sintattico di tipo realistico,possono essere fraintesi. Mi sembra che a questo sia dovuto il dibattito acceso attorno al Salo` di Pasolini, perche´ siamo di fronte a una trasformazione del linguaggio che il cinema italiano aveva adottato nel neorealismo fino a diventare maniera. Il rimescolamento di dati e di idee fu, forse, la ragione dello scandalo. Per me questo e` un dato positivo del film e di altri film di quella stagione, non solo di Pasolini, che spesso vennero fraintesi o giudicati secondo lo schema realistico. Positivo o no, si stacca dall’ideologia della Resistenza. E mi colpı` il modo di raccontare, la struttura narrativa e apprezzai il coraggio con il quale, in modo diverso da quello tradizionale, veniva declinata la tematica della Resistenza.

Su altro versante ideologico ma con altrettanta autocritica Roberto Rossellini, molti anni prima, mentre girava Era notte a Roma, dedicato ai nove mesi durante i quali la capitale attraverso ore struggenti attendeva ansiosamente la liberazione, lottando per avvicinarne il giorno, confidava a Mino Argentieri14: ` giunta l’ora di riesaminare criticamente il nostro passato recente e di E vederlo forse con minore incisivita` di una volta, ma con maggiore coscienza delle ragioni rintracciabili al fondo degli avvenimenti vissuti.

Era il 1960, quindici anni dopo Roma citta` aperta. Eppure era gia` tempo di dire (e queste parole di Rossellini sono pubblicate sull’Unita` del 30 gennaio): Oltre tutto questa ricerca di un tempo che fu cioe` imposta dalla necessita` morale e civile di ricordare a chi ha dimenticato e di informare coloro i quali non sanno. In un’Italia dove rispuntano le croci uncinate, sarebbe criminoso sottrarsi alle responsabilita` che attendono i democratici e quanti hanno combattuto per un mondo nuovo e migliore.

14

Intervista pubblicata sull’“Unita`” il 30 gennaio 1960.

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LIZZANI E LA RESISTENZA

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Quelle svastiche avevano indignato anche un magistrato torinese, 15 Domenico Peretti Griva , il quale – ospitato da “Cinema nuovo” – scrive una lettera aperta al Sindaco di Roma Cioccetti che si era rifiutato di ospitare una celebrazione partigiana, asserendo che – essendo ormai a buon punto il processo di pacificazione degli animi – non era opportuno riattizzare gli odi. Rievocati i fatti, e una visita al campo di Auschwitz, Peretti Griva conclude amaramente: Ecco di nuovo le sinistre svastiche in Germania, in Italia, persino negli Stati Uniti. Signor Cioccetti, e` questa la pacificazione ormai conclusa, che sconsiglia di celebrare la Resistenza? Ma questo obbrobrioso rigurgito fa diventare cattivi anche i buoni. Il perdono si nega allo sfrontato recidivo. Si tenga pure cari, signor Cioccetti, i suoi missini che le consentono di restare sindaco di Roma. Ma gli uomini che sentono la voce della liberta`, della civilta` e della dignita` umana, tornano a raggrupparsi nella ‘resistenza’ per far argine con ogni mezzo alla risorgente nefandezza.

Sono passati 46 anni. Le croci uncinate continuano a rispuntare. I valori della Resistenza sono calpestati e derisi da chi, pur ricoprendo alti ruoli istituzionali, vorrebbe mettere sotto i piedi anche la Costituzione che dalla Resistenza e` nata. A questo punto l’onesta disamina dei film di Lizzani, soprattutto di Achtung! Banditi!, merita un aggiornamento. O meglio ancora una riproposizione nelle sale cinematografiche. Il bianco e nero riacquista la sua drammaticita`, il grande schermo dilata le sequenze che incombano ammonitrici sui dubbiosi. Cosı` fu... Non c’erano cineprese della realta` a documentare quegli orrori. Ci furono gli occhi dei testimoni, degli scampati, a raccontare poi. E il cinema e` anche questo. Cosı` come le sequenze finali di Roma citta` aperta non potranno essere mai cancellate dalla memoria. Al di la` la di ogni distinguo. Accettiamo come verita` storica lo spirito del cinema italiano come lo descrisse Roberto Rossellini: «Nel cinema si rispecchiava una irrefrenabile volonta` di scoprire, conoscere, rilevare; prendeva forma un modo originale di raccontare che sconvolgeva i canoni accademici, il mito della prosa d’arte e della calligrafia, gli artisti lavoravano sulla materia piu` feconda: l’uomo». Il confronto tra il presente e un passato che sembra essere 15

In “Cinema nuovo”, anno IX, n. 143, genn.-febb. 1960.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

tornato ci ha portato lontano dal discorso su Lizzani. Il quale, comunque, ha appena cominciato a girare un film tratto da un romanzo di Marco Nozza che racconta il primo eccidio di ebrei in Italia dopo l’8 settembre 1943. L’augurio e` che l’occhio al presente, e il ricordo del passato, stimolino ancora la sua volonta` di dire, nel cinema, parole forti e chiare. Con l’entusiasmo di allora.

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LIZZANI E LA STORIA di Gianfranco Miro Gori

1. Don Camillo Nel cinema italiano del secondo dopoguerra, ci sono almeno due don Camillo. Il piu` famoso e` un personaggio inventato da Giovanni Guareschi. Con la faccia di Fernandel, ha debuttato nel 1952 in Don ` un Camillo di Julien Duvivier. L’altro lo precede. Appare nel 1946. E personaggio di Il sole sorge ancora di Aldo Vergano: uno dei piu` importanti film neorealisti. Questo don Camillo, interpretato da Carlo Lizzani, e` un prete che sta dalla parte della Resistenza, come don Pietro (Aldo Fabrizi) di Roma citta` aperta (1945) di Roberto 1 Rossellini . Entrambi vengono fucilati. Ma mentre don Pietro-Fabrizi muore in un posto solitario, don Camillo-Lizzani giunge davanti al plotone d’esecuzione in mezzo alla folla. Alto. Segaligno. Recita le litanie in latino. La gente gli risponde: «Ora pro nobis!». La macchina ` un crescendo da presa mostra alternativamente il prete e la folla. E parossistico. Al centro, questa figura che si staglia fiera ma priva di iattanza. Don Camillo rappresenta un popolo: la sua ansia di riscatto, la sua voglia di liberta` (e di giustizia). Lo rappresenta con lo strumento proprio del suo stato: la preghiera. Non combatte con le armi come i suoi sodali; ma da che parte stia e l’importanza del suo spazio e del suo ruolo sono incontrovertibili. Semplificando, potremmo suggerire che si tratta di un modo di alludere all’incontro tra le masse cattoliche e comuniste. Un presagio del compromesso storico che fu introdotto, all’inizio degli anni Settanta, da Enrico

1

Lo stesso don Camillo-Fernandel ha partecipato alla Resistenza a fianco del suo rivale Peppone.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Berlinguer, un riflesso della politica coeva del PCI di Palmiro Togliatti. D’altra parte, anche in momenti diversi del nostro cinema appaiono religiosi che stanno col popolo e addirittura si mettono alla sua testa. Il che non deve destare stupore in un paese pervaso di ` il caso, per fare un esempio, di padre cattolicesimo come l’Italia. E Costanzo (Gianfranco Giachetti) in 1860 (1934), il capolavoro di Alessandro Blasetti. Che ricostruiva, in maniera magistrale, la spedizione dei Mille di Garibaldi. Superfluo e`, a questo punto, ribadire che il cinema riflette la realta` sociale e, a volte, anticipa con intuizioni profetiche l’evolvere degli eventi.

2. Prete e giornalista Carlo Lizzani, allora giovane critico cinematografico e sceneggiatore, veste i panni del prete che, pur non essendo il protagonista del film, campeggia. Capace di suscitare forti emozioni, s’iscrive nelle teste degli spettatori come figura di alta moralita`. Oltre vent’anni dopo, regista accreditato e pluridecorato, Lizzani ritorna in scena. Il film e` Barbagia (La societa` del malessere) (1969) da lui stesso diretto. Vi compare per pochi secondi nei panni di un giornalista che deve realizzare un servizio su Graziano Cassitta, il bandito sardo protagonista del film. Quelle del prete e del giornalista sono altrettante firme che Lizzani ha lasciato impresse nella pellicola. Non importa qui quanto volontarie, coscienti. Importa cio` che il giornalista e il prete rappresentano. Il primo, con tutta evidenza, il desiderio di documentare, di divulgare fatti e protagonisti della nostra vicenda nazionale; il secondo la spinta etica, la volonta` ferrea, fino alla morte, di stare dalla parte giusta che e` quella della liberta` e della giustizia. Non v’e` alcun dubbio che uno dei tratti salienti del cinema di Lizzani e` quello di riflettere sulla realta` sociale e la storia raccontando avvenimenti quasi in presa diretta. Da giornalista. Un atteggiamento che e` tipico dei suoi primi documentari ma anche di molti film. Cito il film d’esordio: Achtung! Banditi! (1951) che ritorna alla Resistenza appena pochi anni dopo l’accadere dei fatti, e chiude cronologicamente il periodo dello slancio neorealista resistenziale: Giorni di gloria (1945), un film di montaggio di Mario Serandrei, Giuseppe De

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LIZZANI E LA STORIA

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Santis, in collaborazione con Luchino Visconti e Marcello Pagliero; Roma citta` aperta gia` citato; Davanti a lui tremava tutta Roma (1946), di Carmine Gallone; Un giorno nella vita (1946), di Blasetti; Paisa` (1946), di Rossellini; Il sole sorge ancora appunto; Vivere in pace (1946), di Luigi Zampa. Altrettanto tipica del cinema di Lizzani e` la scelta morale. Stare dalla parte giusta per un regista significa svolgere una funzione pedagogica (in una recente intervista, egli stesso ha definito appunto il suo ultimo film televisivo, Le cinque giornate di Milano 2 (2004), una “fiction a carattere pedagogico” ). Raccontare il passato, anche prossimo, al fine di trarre un insegnamento per il presente e il futuro. Nulla di pedante e di scolastico naturalmente. Ma una teoria e una prassi cinematografica sviluppate con coerenza estrema nell’arco di oltre sessant’anni di attivita`. All’inizio degli anni Quaranta, Lizzani debutta come critico cinematografico. L’inizio del nuovo millennio lo vede ancora assai attivo e fecondo di progetti. Per citare solo quelli di carattere storico, con le sue stesse parole: la riduzione televisiva di Le confessioni di un italiano, romanzo risorgimentale di Ippolito Nievo; un film dal libro di Andreotti, Operazione Appia Antica «sul passaggio dal fascismo alla liberazione»; La passione di Angela, «storia di una san Francesco donna, un’‘eretica’ per la chiesa, vissuta nel Due3 Trecento»; un «‘ritratto’ di Sergio Amidei» .

3. Il regista e la storia d’Italia Parlare di Lizzani e la storia significa parlare di Lizzani tout court. Non per la banale ragione che i film sono prodotti storici, ma per lo specifico modo di porsi del regista nei confronti della storia nazionale e, all’interno di questa, della storia del cinema: la messa in scena del passato – come s’e` detto – e` lo strumento per capire il presente e progettare il futuro. Concentriamo l’attenzione sui suoi film di finzione per il cinema e la televisione. Parlano a un pubblico ampio. Sono, dunque, socialmente assai piu` rappresentativi dei documentari. Dei quali non ci occuperemo, anche se hanno un peso assai rilevante nella carriera di Lizzani: dai primi documentati militanti dell’immediato dopoguerra come Togliatti e` ritornato (che riproponeva, mutatis mutandis, in ter2 3

Gabriella Gallozzi, Lizzani, la fantasia non invecchia, “l’Unita`”, 22 novembre 2004. Ivi.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

mini di contenuto e di stile, le modalita` del Luce: il capo e la massa, Togliatti e il popolo comunista) fino agli ultimi, tutti interni alla storia del cinema italiano, e dedicati a Visconti, Rossellini e Zavattini. Che costituiscono una sorta di omaggio e di panoramica sui padri fondatori del cinema italiano del dopoguerra. (Non sara` superfluo rammentare che Lizzani ha scritto un’assai importante storia del cinema italiano piu` volte pubblicata). La filmografia narrativa del nostro regista puo` essere vista come l’autobiografia di una nazione. Guardiamo i film e il loro argomento, senza dimenticare che in un paese politicizzato come l’Italia, i cineasti, in gran parte legati agli ambienti dell’opposizione, e in alcuni casi direttamente impegnati nei partiti di sinistra, con le loro opere hanno, non di rado, partecipato al dibattito politico in modo piu` o meno diretto. L’epoca risorgimentale: Le cinque giornate di Milano recentissimo; L’amante di Gramigna (1968) dall’omonima novella verghiana: il fenomeno del banditismo sociale subito dopo l’unita` d’Italia. Il fascismo: Cronache di poveri amanti (1953) dal romanzo omonimo di Pratolini: l’ascesa del fascismo a Firenze; Fontamara (1980) dal romanzo omonimo di Silone: il fascismo nelle campagne e la presa di coscienza dei cafoni; Il processo di Verona (1963): dal 25 luglio ’43, quando il Gran Consiglio del fascismo voto` l’ordine del giorno Grandi, fino al processo del ’44 contro i gerarchi “traditori”: tra essi il film segue con particolare attenzione la vicenda di Galeazzo Ciano e sua moglie Edda Mussolini, figlia del Duce; Mussolini ultimo atto (1974): gli ultimi giorni di vita del dittatore. A questa serie andrebbe aggiunto, anche se cronologicamente sfalsato, San Babila ore 20: un delitto inutile (1976): la giornata criminale di un gruppo neofascista sanbabilino. Il nazismo: L’oro di Roma (1961): il nazista Kappler impone un riscatto agli ebrei, poi si accanisce comunque contro di loro. La Resistenza: Achtung! Banditi!: un gruppo di partigiani trova il sostegno, nella sua lotta, degli operai di una fabbrica; Il gobbo (1960): la vicenda del gobbo del Quarticciolo, dalla Resistenza alla criminalita` nel dopoguerra. A essi collegato e` Celluloide: ricostruisce la realizzazione di Roma citta` aperta e, attraverso un gioco di specchi, ritorna alla Resistenza. Il boom economico: Esterina (1959): il conflitto citta`-campagna nella vicenda di una giovane contadina che arriva nella metropoli; La vita agra (1964): dall’omonimo libro di Bianciardi, ancora la provincia contro la metropoli.

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LIZZANI E LA STORIA

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Il terrorismo: Nucleo zero (1984) dal romanzo omonimo di Luce D’Eramo; Stato d’emergenza (1994) sul rapimento del generale Dozier da parte delle brigate rosse; sul medesimo argomento Kleinhoff Hotel (1977) ma ambientato in Germania. Le biografie: Svegliati e uccidi (Lutring) (1966) sull’omonimo fuorilegge; Banditi a Milano (1968), Piero Cavallero e la sua banda; Barbagia (La societa` del malessere) (1969) ispirato alle gesta di Graziano Mesina, il bandito sardo; Mamma Ebe (1985), la santona Eva Gigliola Giorgini e il suo processo; Un’isola (1986), Giorgio Amendola uno dei capi storici del partito comunista; Caro Gorbaciov (1988), Nikolaj Ivanovic Bucharin bolscevico della prima ora fatto fucilare da Stalin; Maria Jose´ – L’ultima regina (2001): moglie di Umberto II di Savoia che cinse la corona d’Italia per un lasso di tempo brevissimo. L’elenco proposto, indubbiamente rappresentativo della storia patria contemporanea, necessita di almeno una postilla sostanziale. Se, infatti, risulta – almeno a mio modo di vedere – puramente accademica l’annosa questione se i film siano fedeli alla materia storica trattata (sono film, opere narrative, spettacoli per un pubblico, non libri di storia ai quali viene richiesto di essere fedeli e di apporre le note a pie` di pagina; semmai ai film storici si potra` chiedere di restituire l’atmosfera dell’epoca messa in scena), piu` pertinente appare la seguente domanda: e` legittimo definire storici non pochi dei film in elenco che, in gergo tecnico, vengono definiti instant-movie ovvero film su vicende appena accadute? non manca a essi, insomma, quel distanziamento dai fatti narrati che la tradizione degli studi storici postula? Non nutro certezze. Propongo, nondimeno, di accogliere la categoria di storia immediata introdotta da Jean Lacouture, che parla di una storiografia fondata sulla «prossimita` temporale della redazione delle opere al soggetto trattato, e la 4 vicinanza materiale dell’autore ai fatti che esamina» .

4. Il metodo Lizzani Se i film storici sono film ambientati nel passato (ovviamente), anche recente, in che modo vengono presentati agli spettatori e quali sono i 4

Jean Lacouture, La storia immediata, in Jacques Le Goff (a cura di), La nuova storia, Mondadori, Milano, 1980, p. 210.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

modi di Lizzani? Il regista utilizza quasi tutte le possibilita` che il medium gli offre: — la voce fuori campo che informa e commenta: e` la voce, in fondo, dello storico; — i testi scritti come didascalie, giornali, volantini, lettere, relazioni ecc. — i materiali iconografici come disegni e fotografie; — i materiali audio e video come cinegiornali, documentari e film di finzione, programmi televisivi e radiofonici; — gli episodi e i personaggi famosi che ognuno riconosce come storici. Esibendo questi tipi di documenti, i film si accreditano come storici e suggeriscono implicitamente agli spettatori: cio` che state vedendo, cio` che state ascoltando e` la storia. Com’e` accaduta; i fatti come sono accaduti. All’origine il regista si e` documentato: ha studiato i testi sull’argomento magari incrociandoli; si e` rivolto agli esperti. Ma quando, a esempio, gli si e` posto il problema della ricostruzione dei personaggi, come li ha trattati? anzitutto non creando dei sosia – ha spiegato Lizzani stesso5 – ma utilizzando «un quadro tipologico piu` ampio e flessibile». Non – se mi e` permesso chiosare – il vero fotografico, ma il verosimile filmico. Non la verita` – per quanto e` possibile parlare di verita` storica a proposito di un film che rappresenta comunque un punto di vista – dei dettagli, ma quelle delle atmosfere, dei comportamenti, delle tendenze di fondo. Questo – detto in estrema sintesi – il metodo Lizzani.

5

Conversazione su Maria Jose´, in Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, Roma, Gremese, 2001, p. 108.

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GLI ANNI DELLA CENSURA di Antonio Medici

In liberta` vigilata 25 aprile 1945: cacciati via nazisti e fascisti, si apriva finalmente per l’Italia una stagione di democrazia e di liberta` che per il cinema, pero`, fu di breve durata. Non fecero a tempo ad assaporarne il gusto, i nostri migliori registi, che gia` gli alfieri di un nuovo conformismo cominciarono ad affilare... le forbici. Nell’ottobre di quell’anno, al teatro Quirino di Roma si tenne il primo festival cinematografico dell’Italia libera, con in programma, tra l’altro, Roma citta` aperta di Roberto Rossellini. Si annunciava l’esperienza neorealista, che pur tra le macerie lasciate dalla guerra – Cinecitta` ospitava gli sfollati, i mezzi tecnici depredati e trasferiti al Nord – trasse alimento dallo spirito della Resistenza e trovo` la forza di realizzare opere di grande novita`, che diedero al nostro cinema prestigio internazionale. Il 5 dello stesso mese, il governo italiano, cui partecipavano tutti i partiti del Comitato di liberazione nazionale, abrogo` molte delle disposizione legislative sul cinema adottate dal fascismo, tra cui la censura preventiva sui soggetti dei film. Ma non abolı` il “Regolamento per la vigilanza governativa sulle pellicole cinematografiche” del 24 settembre 1923, in base al quale, previo esame di un’apposita commissione, veniva autorizzata la circolazione dei film sia per il mercato nazionale, sia per l’esportazione all’estero. In sede di esame, i film potevano incorrere in una nutrita casistica di proibizioni, tra cui «la rappresentazione di scene offensive del pudore, della morale, del buon costume e della pubblica decenza; di fatti contrari alla reputazione e al decoro nazionale e all’ordine pubblico, o che turberebbero i rapporti internazionali; di soggetti offensivi del decoro e del

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

prestigio delle istituzioni e autorita` pubbliche, del regio esercito e della regia armata, o comunque offensivi dei privati cittadini, e che costituiscano l’apologia di un reato e incitamento all’odio tra le classi sociali»; inoltre, l’articolo 14 dello stesso “Regolamento” consentiva all’autorita` preposta di richiamare, quando volesse, i film che avevano gia` ottenuto il nulla-osta di circolazione e di sottoporli a un nuovo esame «sia di propria iniziativa, sia a seguito di reclamo di autorita`, di enti pubblici, di privati o a istanza di rappresentanze diplomatiche». Strano a dirsi, ma fu proprio il governo sostenuto dai partiti antifascisti a mantenere in vigore lo strumento della censura. Della questione si discusse anche in seno all’Assemblea costituente, e il risultato fu – a parere di Argentieri – «un imperfetto 1 coordinamento fra gli articoli relativi alla liberta` di espressione» inseriti nella carta costituzionale: mentre il 33 proclama che «l’arte e la scienza sono libere e libero ne e` l’insegnamento», il 21 fissa i limiti della liberta` d’espressione, vietando le manifestazioni «contrarie al buon costume», nei confronti delle quali la legge interviene per «prevenire e reprimere» (formulazione dell’on. Moro). Tuttavia, osserva Argentieri, queste indicazioni non consentivano l’esercizio di quell’estesa casistica censoria appena ricordata, e che invece venne mantenuta per piu` di un decennio, fino al 1962, in violazione della carta costituzionale. Del resto, la stessa Assemblea costituente istituı`, con la prima legge sul cinema del dopoguerra (16 maggio 1947, n. 379), un Ufficio per la cinematografia presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, con il compito di distribuire provvidenze economiche alla produzione e di concedere il nulla-osta per la proiezione in pubblico dei film, secondo le norme di quello stesso “Regolamento” del 1923 gia` in vigore. La legge prevedeva in sovrappiu` anche la facolta` (cioe` la decisione “volontaria”) del produttore di sottoporre le sceneggiature all’Ufficio per un’approvazione preventiva. Si gettavano cosı` le basi di quel meccanismo di ricatto verso il cinema italiano, per cui il governo da un lato concedeva sostegno economico a un’industria che ne aveva estremo bisogno dopo le distruzioni della guerra, ma dall’altro interveniva pesantemente, attraverso la censura, per condizionarne la direzione di sviluppo. Un meccanismo che faceva tornare indietro le lancette della storia agli anni del regime. Non a caso, nel nuovo Ufficio per la cinematografia, che si insedio` in via Veneto a 1

Mino Argentieri, La censura nel cinema italiano, Roma, Editori Riuniti, 1974, p. 65.

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GLI ANNI DELLA CENSURA

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Roma e che fu presieduto per primo dal democristiano Cappa, riapparvero facce note, a cominciare dal direttore generale Nicola De Pirro, ex squadrista e sciarpa littoria, ex segretario generale dell’Anfis (Associazione nazionale fascista delle industrie dello spettacolo). Espulse le sinistre dal governo – che a dire il vero non e` che avessero battagliato molto per difendere la liberta` d’espressione –, e dopo le elezioni del 1948, che assicurarono un’ampia vittoria alla Democrazia Cristiana, questo quadro normativo trovo` un’ulteriore sistemazione con la legge Andreotti (29 dicembre 1949, n. 958), il quale ricoprı` la carica di sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega allo spettacolo fino al 1953. Con essa, il produttore che avesse aspirato a un aiuto dallo Stato (cioe` quasi tutto il cinema italiano), sarebbe stato costretto a passare per via Veneto, dove erano ubicati gli uffici del sottosegretario: 1) per ottenere un finanziamento; 2) per esibire preventivamente il soggetto del film, il piano finanziario e di lavorazione nonche´ l’elenco del personale tecnico ed artistico con le relative mansioni, sotto la pena di essere escluso totalmente o parzialmente dal contributo statale; 3) per ottenere il nullaosta di circolazione in pubblico; 4) per avere il permesso di eventuale esportazione all’estero del film stesso2.

A tirar le somme, l’effetto combinato delle pressioni censorie e delle modalita` con cui venne esercitato il sostegno pubblico fece piombare sul cinema italiano, per tutti gli anni Cinquanta e oltre, una pesante cappa di divieti, “raccomandazioni”, impedimenti, pastoie, che non solo ebbero il loro peso nello spegnere lo slancio neorealista, ma furono di intralcio anche allo stesso sviluppo commerciale del settore cinematografico.

Difficile sfuggire Quando Carlo Lizzani sul finire degli anni Quaranta esordı` alla regia, si trovo` a fare i conti con la censura fin dal suo primo film documentario, Togliatti e` ritornato (1948), firmato insieme con Basilio Franchina. Visto il suo impegno nel movimento neorealista, e la sua militanza comunista, non poteva andare altrimenti. Il film, prodotto 2

Lorenzo Quaglietti, Storia economico politica del cinema italiano. 1945-1980, Roma, Editori Riuniti, 1980, p. 67.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

direttamente dal Pci, e` la cronaca della giornata del 26 settembre 1948, quando Togliatti, dopo la degenza in ospedale per l’attentato subı`to, torna a parlare al popolo comunista nel corso di una festa dell’«Unita`» a Roma. Le immagini mostrano prima il grande corteo che attraversa la citta`, con le rappresentanze di tutte le Federazioni comuniste italiane, e poi il comizio di Togliatti al Foro italico, dove si svolge la festa. Il sonoro e` composto da un commento parlato scritto da Felice Chilanti e dall’incisione fonografica del discorso del leader comunista. Il nulla-osta venne concesso dagli uffici il 12 gennaio 1949, ma rilasciato in copia per la circolazione del film solo tre anni dopo, il 28 aprile 1952. Con esso si pretese la soppressione sia di alcuni passi del commento («tutto un popolo che ha deciso di dimenticare l’altro 3 stato, quello dei questori e della celere, e di vivere tutte queste [...] il suo stato, quello della sua liberta`»; «vi si annidano i sociali traditori e democristiani, giornali e agenti vari dell’imperialismo straniero»), sia di alcune scene di repertorio montate sul discorso di Togliatti, e ritenute «estranee» al documentario: le cariche della celere, le immagini del Presidente del consiglio (De Gasperi) e del Ministro dell’interno (Scelba); le testate di alcuni quotidiani con titoli come «Piombo per i comunisti», «La bomba atomica su Mosca», «L’Italia 4 non puo` restare neutrale». Secondo quanto ricorda Lizzani , di fronte alle richieste di tagli, in questo come in altri casi, Giancarlo Pajetta, responsabile della propaganda del PCI, chiamava direttamente Giu` da presumere, percio`, lio Andreotti e avviava un sorta di trattativa. E che l’intervento censorio fosse stato all’inizio ancor piu` pesante, e che il nulla-osta infine ottenuto fosse il frutto di compromessi. Togliatti e` ritornato traduce in discorso audiovisivo la linea politica di un partito che vuole mostrarsi profondamente radicato nell’identita` nazionale (le federazioni regionali del Pci inscenano, nel corteo, tradizioni e costumi locali), evidentemente in contrapposizione all’accusa di essere l’agente di una potenza straniera (l’URSS); un partito che vuole accreditarsi come forza pacifica, ordinata e com-

3

Parola illeggibile. Il nulla-osta alla circolazione di Togliatti e` ritornato e` tra il materiale di corredo cartaceo collegato alla copia del film depositata presso la Fondazione Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico. Presso la stessa Fondazione sono conservati anche i documenti relativi a I fatti di Modena, Nel Mezzogiorno qualcosa e` cambiato, Modena, una citta` dell’Emilia rossa. 4 In una conversazione raccolta da chi scrive. Alla stessa fanno riferimento le dichiarazioni di Lizzani riportate piu` avanti, se non vi sono altre indicazioni.

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patta, contro cui si scatena l’odio degli avversari, i quali vengono cosı` additati non solo come fomentatori del gesto che ha messo a repentaglio la vita di Togliatti, ma anche seminatori di discordia e di ` su questo secondo aspetto conflitto contro tutto il popolo italiano. E che interviene la censura, tra l’altro facendo riferimento a quel passo del “Regolamento” del 1923 in cui si vieta l’«incitamento all’odio tra le classi sociali»: si rimuove cosı` da immagini e commento la “guerra fredda” tra le maggiori forze politiche dell’epoca, che nelle piazze, nei comizi e nella stampa era tutt’altro che “fredda”, con manifestazioni, scioperi, azioni di lotta duramente represse anche nel sangue. Infatti, quando la Libertas Film (casa di produzione collegata al PCI) presento` alla commissione di censura I fatti di Modena, girato da Lizzani5 subito dopo l’eccidio di sei operai della fabbrica Orsi, sui quali la polizia aveva sparato il 9 gennaio 1950 nel corso di una manifestazione di sciopero, il nulla-osta venne concesso (il 6 marzo dello stesso anno) a patto di «limitare la proiezione alla parte che ha inizio con l’uscita delle salme dall’ospedale [fino] alla fine del discorso di Togliatti». Lizzani ricorda, in una video-testimonianza realizzata dall’Archivio audiovisivo del movimento operaio e democratico, che il film si apriva con una serie di inquadrature sulle strade che erano state teatro del massacro: i punti di vista scelti e i movimenti della macchina da presa confutavano la versione data dai responsabili delle forze dell’ordine, i quali avevano dichiarato che essendo i manifestanti in prossimita` di travolgerli, si erano visti costretti a sparare. Il regista, evidentemente sulla base delle testimonianze raccolte tra gli stessi operai, ricostruiva un altro scenario, in cui la polizia aveva aperto il fuoco quando il corteo era ancora lontano e per nulla in grado di minacciare fisicamente le sue postazioni. Questa la parte che venne tagliata dal film, che doveva avere il carattere di intervento immediato di “controinformazione”. Nelle immagini superstiti, vi e` il dolore composto della folla che accompagna i funerali degli operai uccisi, a testimonianza del comportamento responsabile di una forza politica che e` lungi dall’abbandonarsi alla rabbia o alla ribellione incontrollata.

5 Dopo Togliatti e` ritornato, il regista inizio` a lavorare a un documentario promosso dalla Federterra sulla riforma agraria, dal titolo Riscatto della terra (1949), che pero` non fu portato a termine.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

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Sud e Nord Nel dicembre del 1949, il PCI organizzo` le “Assise per la rinascita del Mezzogiorno” a Salerno, Crotone, Bari e Matera, grandi appuntamenti collettivi cui parteciparono i massimi dirigenti del partito e che chiamarono a raccolta in assemblee pubbliche contadini, braccianti, operai e ceti medi con l’intento di denunciare le condizioni di miseria in cui versava la gran parte delle regioni meridionali, ma anche per prospettarne il riscatto grazie al protagonismo delle forze progressiste e del lavoro. Dalle immagini girate nel corso di quella iniziativa e nelle localita` piu` significative dell’Italia meridionale, nacque Nel Mezzogiorno qualcosa e` cambiato, uno dei documentari piu` vigorosi di Lizzani, in cui il regista si smarca in parte dagli accenti della propaganda per dare concretezza alla denuncia appassionata di condizioni di vita che offendono la dignita` umana. La sua macchina da presa entra nelle grotte dei Sassi di Matera, dove convivono uomini e animali, inquadra i bambini seminudi che non hanno ancora diritto all’istruzione nei vicoli dei paesini pugliesi e lucani o nei bassi di Napoli, gli sfollati che ancora vivono tra le macerie della guerra, i campi incolti e abbandonati, e contrappone a tutto questo lo spirito nuovo che nasce dalle forze del lavoro, impegnate a sottrarre il destino del Sud alla rassegnazione e alla dimenticanza dello Stato italiano. Il film passo` al vaglio della censura il 7 aprile 1950, che ne elimino` le scene di occupazione delle terre e la frase del commento, scritto da Mario Alicata, in cui si diceva che «nelle assemblee preparatorie convocate in ogni fabbrica, in ogni rione, in ogni villaggio, non soltanto sono stati raccolti in quaderni di rivendicazione i bisogni che assillano le popolazioni meridionali ma e` stata anche riconfermata l’esigenza di non fermarsi alla denuncia pura e semplice e di passare dalla denuncia all’azione». Come gia` abbiamo notato, ogni pur piccolo ma preciso riferimento ai conflitti e alle azioni di lotta contro le ingiustizie presenti nella societa` italiana di quegli anni impensieriva i censori, che con vigile attenzione intervenivano a tagliare. Trattamento riservato anche a Modena, una citta` dell’Emilia rossa (nulla-osta del 19 aprile 6 1950) , in cui Lizzani fa il ritratto di una citta` che rinasce dalle distruzioni della guerra, consapevole della sua storia recente e lon-

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Il film ebbe circolazione anche con il titolo Via Emilia km 145, probabilmente per ragioni di censura.

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tana e proiettata verso un futuro di efficienza e ammodernamento. Il film perse le parole: «i braccianti senza terre spinti dalle miserie occupano le riserve di caccia. Sotto i loro colpi vigorosi cedono i privilegi che sono di ostacolo alla produzione». I colpi vigorosi sono rimasti pero` nelle immagini, che si riferiscono a uno dei tanti scioperi alla rovescia che si facevano in quegli anni, con i braccianti che tagliano via arbusti ed erbacce dalle terre lasciate incolte dai latifondisti. L’immagine dell’Italia che ci consegnano i primi documentari di Lizzani e` quella classica di un paese diviso tra un Sud drammaticamente arretrato e regioni del Nord slanciate verso uno sviluppo moderno, in cui il PCI si propone come agente di progresso, con un progetto di direzione e di governo, coerentemente con la linea togliattiana che tende ad accreditare il Partito comunista come forza politica che eredita e rilancia in avanti la migliore tradizione della cultura nazionale. Il commento non sfugge alla retorica tipica della propaganda di sinistra in quegli anni, una propaganda “ingenua”, nel senso di scopertamente tale, non solo se vista con gli occhi di oggi, ma anche se confrontata con quella molto piu` “insinuante” dei film coevi prodotti dai Comitati civici di Luigi Gedda per la Democrazia cristiana, che avevano fatto tesoro della consulenza degli esperti 7 americani arruolati per la campagna elettorale del 1948 . Le immagini, a loro volta, enfatizzano da un lato la massa popolare, il protagonista collettivo operaio e contadino, dall’altro i dirigenti del Pci, Togliatti sopra tutti, ma anche Di Vittorio e Longo; il montaggio si incarica di giustapporre i primi piani (trascelti anche tra i volti anonimi della gente comune) e i campi lunghi affollati, a suggellare la saldatura tra i capi e i militanti, o la fusione dei singoli nel corpo collettivo. Ma accanto a tali procedimenti retorici, questi film mostrano un’adesione schietta alla materia affrontata e un andamento “narrativo” spedito, essenziale, senza troppe lungaggini. Tra l’altro, c’e` in essi una aspetto molto moderno, ed e` il rigore con cui Lizzani cerca di dare all’immagine il carattere di documento, proprio perche´ la denuncia abbia forza, accentuando la qualita` ostensiva dell’inquadratura, sia che essa si riempia di grandi masse, sia che si fermi sui corpi segnati dalla miseria. 7 Tra l’altro, in molti dei film prodotti dai Comitati civici si “denunciava” la propaganda di sinistra con molta efficacia, ricorrendo a procedimenti parodistici, iperbolici, etc. di notevole modernita`.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

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Il coraggio dell’indipendenza In realta`, piu` che le singole sforbiciate, e` il sistema complessivo della ` lo censura a tenere sotto pressione il cinema italiano in quegli anni. E stesso Lizzani a sottolinearlo in un articolo apparso su “Cinema” il 8 15 aprile 1949, con il titolo Pericoli del conformismo , dove egli metteva in guardia da uno stato di cose in cui poteva farsi strada il ripiegamento dei cineasti dalle posizioni di avanguardia del neorealismo. Ricordando il caso di Gioventu` perduta di Germi, che l’anno prima la commissione di censura avrebbe voluto bocciare e che fu salvato grazie alla mobilitazione di registi e intellettuali, Lizzani notava che proprio in quel momento i produttori avevano cominciato a sostenere che in fondo il pubblico era stanco di storie drammatiche, di solitudine e miseria, e che era necessario finalmente voltar pagina. Insomma, si presentavano le condizioni perche´ si saldassero gli interessi degli ambienti culturalmente piu` retrivi con quelli dei produttori cinematografici, che «detenendo il denaro, dispongono effettivamente della possibilita` di censurare la nostra produzione, scartando “a priori” certi soggetti, bocciando “a priori” certe iniziative», influenzando con consigli e suggerimenti i cineasti. E questi ultimi, per contraccolpo, rischiavano di cadere nelle pastoie di un nuovo conformismo, per effetto dell’auto-censura e delle sirene del mercato; di fronte a questi pericoli, Lizzani invitava i registi a raddoppiare l’impegno per il rinnovamento preso non casualmente alla fine della guerra e semmai ad approfondire quella ricerca della verita` sul proprio paese e su se stessi che era appena all’inizio. Le preoccupazioni del regista erano tanto fondate che per realizzare il suo primo lungometraggio, Achtung! Banditi! (1951) non si avvalse di un produttore in senso tradizionale, ma di una Cooperativa spettatori produttori cinematografici, nella cui costituzione fu coinvolto da Giuliani G. De Negri (che era stato comandante partigiano) e Giuseppe Virgilio Dagnino, animatori di un cineclub a Genova. Lizzani vi si era recato per presentare il suo Nel Mezzogiorno qualcosa e` cambiato, e i due, dopo molte insistenze nei mesi successivi, lo avevano convinto a dirigere un film sulla Resistenza. Nell’immediato dopoguerra, esperimenti di produzione al di fuori dei canali “professionali” erano gia` stati fatti, non solo per il

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Ora in Carlo Lizzani, Attraverso il Novecento, Roma, Scuola nazionale di cinema/Lindau, 1998, pp. 61-64. Corsivi dell’autore.

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cinema documentario, ma anche per alcuni film di finzione, come Il sole sorge ancora (1946) di Aldo Vergano e Caccia tragica (1946) di Giuseppe De Santis, tutti e due prodotti dall’Anpi. I risultati, dal punto di vista commerciale, non erano stati esaltanti, poiche´ alle pellicole non fu consentito il pieno accesso alla distribuzione nelle sale. Ad entrambe le esperienze aveva preso parte Lizzani come sceneggiatore e interprete. Il collegamento con esse era anche assicurato da Giorgio “Geo” Agliani, capo partigiano nelle Brigate Garibaldi, che aveva organizzato la produzione dei due film e che era il referente a Roma della Cooperativa. Imbarcarsi in una esperienza di produzione indipendente assicurava certamente la possibilita` di mettere in cantiere un progetto che avrebbe trovato scarso ascolto tra le case di produzione cinematografiche e un sicuro rifiuto del credito statale, ma comportava allo stesso tempo ampi rischi economici. Il programma della Cooperativa, pero`, era ambizioso e innovativo, poiche´ cercava il sostegno culturale e materiale del film da fare tra il suo stesso potenziale pubblico, attraverso una campagna fatta di riunioni, dibattiti pubblici, incontri, in cui fu lanciato il suo finanziamento popolare9. L’esito dell’impresa fu positivo, tanto che Achtung! Banditi! fu uno dei migliori incassi della stagione 1951-52!10 Il film racconta un episodio di lotta partigiana a ridosso dell’inverno del 1944, quando un gruppo di resistenti compie una spedizione a Genova per procurarsi delle armi, ma la fabbrica nella quale sono nascoste, a causa delle agitazioni operaie, viene occupata dai tedeschi. Nel corso della notte, partigiani e lavoratori prendono il controllo dell’edificio, nascondono i pezzi piu` importanti dei macchinari che i tedeschi vogliono trasferire in Germania e, dopo una cruenta battaglia, riescono a riprendere la strada della montagna. Alcuni compagni cadono negli scontri, ma altri si uniscono a loro nella lotta per la liberta`. Dalle carte conservate nell’archivio privato di Lizzani, si evince 9 Le singole quote erano offerte al prezzo di 500 lire. Alla Cooperativa, fondata con il sostegno dell’Anpi, aderirono, oltre agli autori, alcuni interpreti e tecnici del film, singoli cittadini, ma anche categorie sindacali e la stessa Lega delle cooperative, che versarono quote piu` corpose. La promozione del progetto fu appoggiata da nomi illustri del cinema italiano (tra i quali Checchi, Girotti, De Santis, Visconti), mentre Pajetta, responsabile della propaganda del PCI, ottenne una sostanziosa somma per la prevendita del film in alcuni paesi dell’Est. Cfr. Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, Roma, Gremese, 2001, pp. 16-17. 10 Cfr. Carlo Lizzani, Film senza ricette, in «L’Unita`», 26 gennaio 1952, ora in Id., Attraverso il Novecento, cit., pp. 64-66.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

che gli autori si avvalsero della facolta` prevista dalla legge Andreotti di sottoporre la sceneggiatura del film agli uffici del sottosegretario allo spettacolo, al fine di ottenere una valutazione preventiva dell’opera ed evitare noie per il rilascio del nulla-osta a film ultimato. Vi e` tra esse un documento, datato 5 febbraio 1951, di notevole interesse ` una relazione molto dettagliata sulla scenegper piu` di un motivo. E 11 giatura, di cui non e` dato sapere l’estensore ; da essa si possono ricavare le modifiche apportate al film su “consiglio” degli uffici, le motivazioni addotte e, non ultimo, un certo acume critico nella disamina della sceneggiatura. Rispetto al film ultimato, una sola e` la sequenza di rilievo che viene soppressa: Domenico (arruolatosi tra gli alpini per poter tornare in Italia da un campo di concentramento nazista) si reca con alcuni compagni presso la fabbrica occupata dai tedeschi, per chieder loro di lasciar uscire la sorella Anna (Gina Lollobrigida). I nazisti allontanano gli alpini in malo modo, mentre un gruppo di donne, familiari degli operai costretti in fabbrica, li prende di petto, insultandoli, sputandogli addosso, malmenandoli e disarmandone uno. Un tale trattamento di uomini che vestivano la divisa dell’esercito italiano non poteva essere tollerato dalla censura. Appare invece mutilata nella parte iniziale la sequenza in cui un tranviere in sciopero e` braccato a colpi di mitra dai fascisti: nel film, infatti, si vede solo un uomo fuggire sul greto del fiume, dove viene raggiunto dai colpi dei due assalitori, uno dei quali e` poi ucciso dai partigiani. Eliminata anche la scena in cui un medico opera clandestinamente il commissario partigiano ferito, ma questo taglio e` probabilmente dovuto a ragioni di ritmo narrativo. Viene modificata la morte dell’ingegnere, che in sceneggiatura si fa saltare in aria piuttosto che consegnarsi ai tedeschi, mentre nel film muore impiccato a una gru per mano dei tedeschi, insieme con l’operaio Marco; quest’ultimo, in sceneggiatura, faceva la stessa fine, ma per mano delle brigate nere. Meno peso ha nel film, rispetto al progetto iniziale, il tema dell’amore tra il commissario politico (Giuliano Montaldo) e Anna, solo accennato nel finale, e uno sviluppo piu` rapido l’episodio che determina il passaggio di Domenico nelle file partigiane. «Se questo film fosse uscito subito dopo la liberazione – si legge

11 Il documento e` intestato «Presidenza del Consiglio dei ministri – Divisione generale dello spettacolo – Divisione produzione cinematografica», e reca il titolo «Revisione cinematografica preventiva. Appunto».

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nella parte della relazione di censura intitolata “Giudizio” – avrebbe potuto testimoniare, sia pure in forma parziale, certi aspetti della nostra guerra di liberazione, documentando l’apporto dei partigiani comunisti e del popolo minuto in genere (operai, contadini, umili donne, etc.) alla conquista della liberta` democratica. Ora, a distanza di tanti anni da tali eventi e con situazioni radicalmente mutate in campo internazionale, il lavoro, che non ha il freddo distacco delle documentazioni storiche ma che vive su motivi di calda e appassionata fantasia, si ammanta volontariamente od involontariamente (ma noi propendiamo per il primo senso) di spunti di polemica politica che scaturiscono dallo stesso racconto cinematografico». Il relatore manifesta il suo disappunto anche di fronte al fatto che «non c’e` episodio, non c’e` parola di umanita` che lasci intendere, anche negli spasimi della morte, la possibilita` di una conciliazione futura fra i due blocchi in lotta»; inoltre, anche se non viene dichiarata esplicitamente l’appartenenza politica del gruppo partigiano, vi sono abbondanti indizi che essi siano comunisti, e percio` il film manifesta «un’impostazione ed un carattere di polemica di parte, se non di partito». Analogamente a Il sole sorge ancora di Aldo Vergano – si argomenta ancora nella relazione – Achtung! Banditi! in definitiva «intende attribuire ancora una volta il riscatto e la liberazione del popolo italiano a un moto rivoluzionario» di ispirazione comunista, che trascina le masse alla conquista di idee democratiche, mentre «la borghesia viene raffigurata come assenteista, spregiudicata, cinica, con sfumature di doppio giuoco, come avviene nella figura del diplomatico o della donna adultera, oppure piu` o meno al rimorchio delle idee insurrezionali, come avviene nel personaggio dell’ingegnere, amico degli operai, o del medico che opera clandestinamente il commissario ferito». Ad aggravare la situazione c’e` poi il fatto che «il lavoro insiste fortemente sui temi della guerra civile, presentando italiani contro italiani», tanto che «si ha la sensazione che una frattura irrimediabile si sia ormai verificata nel popolo italiano». L’estensore della relazione fa quindi notare come «lo spettacolo penoso di una guerra fratricida» sia «dannoso in questo momento alla formazione di una coscienza unitaria italiana e lesivo verso l’estero del nostro prestigio di popolo civile», e come il film presenti «un richiamo all’armamento individuale su di un piano rivoluzionario» che non giova a «quel voluto disarmo dei cittadini per trasferire la difesa su di un piano organizzato, in senso nazionale, da parte dello Stato». «Tutti questi motivi – conclude l’estensore – ci portano ad

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

esprimere ampie riserve sulla opportunita` di una realizzazione del genere nel momento attuale, sia per i riflessi interni, in quanto il lavoro contrasta con una auspicabile pacificazione e distensione degli animi, sia per i riflessi esterni, in quanto il film ripropone, in tutta la sua asprezza, l’odio contro i tedeschi che faticosamente si cercano di inserire nel quadro di un’Europa riorganizzata democraticamente». Consiglia quindi di tagliare le scene dell’impiccagione dell’operaio da parte dei fascisti e quella del maltrattamento degli alpini, e di attenuare le figure del diplomatico e dell’adultera, anche se questi suggerimenti, fa notare, non modificano di molto l’impostazione del film. Dagli ampi stralci riportati, si vede bene che le motivazioni addotte a giustificare gli interventi censori erano di natura squisitamente politica. E infatti l’ufficio del direttore generale dello spettacolo De Pirro, dopo aver sentito anche il parere del Ministero degli esteri e del Ministero degli interni, rispose alla Cooperativa il 2 maggio 1951, non concedendo «il suo preventivo benestare» alla realizzazione del film, e anzi facendo presente «le sue piu` ampie riserve circa il rilascio del nulla-osta di proiezione in pubblico». Gli autori, intanto, erano andati avanti nella realizzazione, boicottati anche dall’esercito, che non aveva prestato ne´ armi ne´ divise. Parallelamente, avevano inoltrato il 17 luglio 1951 una nuova richiesta di esame della sceneggiatura, probabilmente con le modifiche suggerite: su questo documento, in una nota manoscritta da qualche funzionario, si legge che l’opera e` gia` stata ultimata e che «si e` d’accordo con Agliani che ci fara` vedere il film al primo montaggio, se sara` necessario. Nell’attuale edizione molte scene – che fornivano motivi di rilievo – sono state eliminate o attenuate». Giorgio Agliani, come si e` detto, era il referente della Cooperativa a Roma, ed e` da presumere che seguisse tutte le pratiche burocratiche con la Presidenza del consiglio. Dalla nota si evince anche che i contatti con i funzionari erano costanti e che questi, al di la` delle carte bollate, si spingevano anche a visionare le pellicole prima del passaggio ufficiale per la commissione di revisione che avrebbe rilasciato il nulla-osta. Evidentemente, chiunque si mettesse sulla strada di realizzare un film, era costretto a tenere in debito conto i loro consigli, per non incorrere in bocciature al momento del nulla-osta, che avrebbero comportato non pochi danni economici. «L’indice dei film» del Centro cattolico cinematografico, che svolgeva un fondamentale ruolo di orientamento per il vasto circuito

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delle sale parrocchiali e il pubblico cattolico, sconsiglio` la visione di 12 Achtung! Banditi! per le «scene di brutale violenza» in esso contenute. Inoltre, l’Ufficio per la cinematografia nego` il nulla-osta per l’esportazione all’estero della pellicola per ben cinque anni. A parere di Lizzani, questa decisione fu presa non solo perche´ si voleva cancellare il tema della guerra civile e rimuovere il passato fascista, ma anche per scoraggiare l’iniziativa indipendente della produzione cooperativistica, che non passando per i finanziamenti statali era piu` difficilmente controllabile. Nonostante tutto, la prima esperienza della Cooperativa ebbe complessivamente un esito positivo, e Lizzani si accredito` come uno dei cineasti piu` promettenti tra i giovani.

Tra progetti bocciati e nuove iniziative Le difficolta`, pero`, erano tutt’altro che alle spalle. Come ricorda lo stesso regista, in quel clima di censura preventiva non ufficiale De Pirro lo chiamo` un paio di volte, chiedendogli di non insistere su certi argomenti, di fare altri tipi di film... Tanti i progetti bocciati in quegli anni, e non solo di Lizzani. La Cooperativa, ad esempio, aveva intenzione di produrre un film sulla Resistenza dei soldati italiani a Cefalonia, che pero` non si fece. Un progetto che invece si concretizzo`, ma con un produttore “tradizionale”, fu Ai margini della metropoli (1952), tratto da un’inchiesta giornalistica di Mario Massimi sul caso di Lionello Egidi, un giovane romano accusato di aver ucciso e gettato in un pozzo la tredicenne Annarella Bracci. Il film uscı` dopo aver subı`to pesanti interventi censori, tanto che Lizzani riscosse poi le «congratulazioni verbali» di De Pirro (!). Il regista, pero`, ebbe a dichiarare: «Di una cosa sono certo: se avessi i mezzi a mia disposizione, rifarei il film da capo, come lo avevo inizialmente progettato, impostando un problema che stava molto a cuore non solo a me, ma a tutta l’opinione 13 pubblica, impressionata dal caso Egidi» . Storia di un disoccupato che, pur essendo innocente, viene incriminato per la morte di una ragazza, e scagionato solo dopo un secondo delitto commesso dal vero colpevole, il film non riesce a fondere pienamente il melodramma e l’intento di denuncia. La censura ebbe particolare ri12 13

Cfr. Mino Argentieri, La censura nel cinema italiano, cit., p. 91. Ivi, p. 101.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

guardo a preservare l’immagine della polizia, che aveva avuto in tutta 14 la vicenda un comportamento tutt’altro che irreprensibile . Ma le forze dell’ordine, in quegli anni, erano “intangibili” anche per le minuzie. Dopo aver girato l’episodio L’amore che si paga, inserito nel collettivo Amore in citta` (1953), Lizzani avrebbe voluto realizzare con la Cooperativa spettatori produttori cinematografici un film dedicato alle condizioni di vita delle genti del Delta padano. Anche in questo caso, gli uffici governativi intervennero a sconsigliare e l’impresa non partı`. Il soggetto, dal titolo Gli uomini del fiume, scritto con Chilanti e 15 Sartarelli, fu pubblicato sulla rivista “Cinema nuovo” nella rubrica “I film che avrebbero voluto fare”: attraverso le vicende di una famiglia di braccianti di Castelmassa sul Po si ripercorrevano anni cruciali della storia italiana, dal fascismo all’alluvione del Polesine, passando per la guerra, la Resistenza e le lotte per ottenere condizioni di vita migliori. Messi da parte Gli uomini del fiume, alla Cooperativa si presento` la possibilita` di portare sullo schermo Cronache di poveri amanti (1954), tratto dall’omonimo romanzo di Vasco Pratolini. I diritti dell’opera erano stati acquistati anni prima da Sergio Amidei, il quale aveva anche steso, insieme allo stesso Pratolini, una sceneggiatura per Visconti, che doveva dirigere il film. Lo scrittore ricorda che «non mancava altro, come si dice in gergo, che “partire”. Poi, coloro che dovevano finanziare il film cambiarono parere». Stesso esito ebbe l’interessamento di Giuseppe De Santis e di altri, poiche´ ogni volta 16 manco` un «produttore che avesse del coraggio» . Il coraggio non manco` agli agguerriti soci della Cooperativa

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Anna Maria (Annarella) Bracci scomparve dalla sua casa di Primavalle, quartiere periferico di Roma, il 18 febbraio 1950 e fu ritrovata morta in un pozzo di campagna il 3 marzo successivo. Lionello Egidi, detto “il biondino”, fermato dalla polizia, venne trattenuto illegalmente per 15 giorni, durante i quali confesso` l’omicidio, ma, trasferito a Regina Coeli, ritratto` tutto. La Corte di assise di Roma lo assolse una prima volta per insufficienza di prove nel 1952, risultando che la confessione da lui firmata gli era stata estorta mediante torture. Due anni dopo fu arrestato per molestie a un’altra ragazzina e condannato a 3 anni e 6 mesi. Nel processo d’appello per l’omicidio di Annarella, nel 1955, venne condannato a 26 anni e 8 mesi, ma nel 1957 la Cassazione annullo` la sentenza ed Egidi venne scarcerato. Torno` in carcere nel 1961, accusato di molestie ad un bambino di otto anni. Condannato a 6 anni, venne definitivamente assolto nel 1966. 15 Cfr. Carlo Lizzani, Gli uomini del fiume, in “Cinema nuovo”, III, 31, 15 marzo 1954, p. 153. 16 Vasco Pratolini, Ho ritrovato i poveri amanti nella cronache di Carlo Lizzani, in “Cinema nuovo”, II, 20, 1 ottobre 1953, p. 207.

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spettatori produttori: Sergio Amidei regalo` i diritti del romanzo, entrando in compartecipazione come produttore; mise anche a disposizione, con il consenso di Visconti, la sceneggiatura approntata in precedenza, sulla quale Lizzani intervenne con Mida e Dagnino. Il film, insieme a Senso, entro` nel dibattito sul realismo critico, quale esempio di quel passaggio dalla «cronaca alla storia» auspicato da Aristarco e dal gruppo della rivista “Cinema nuovo”. Fu apprezzata la galleria di personaggi che animava la popolare via del Corno a Firenze, colta negli anni dell’avvento del fascismo e della prima opposizione clandestina, per l’approfondimento dei caratteri e in quanto rilettura del passato utile a interpretare il presente. Cronache ando` in concorso al festival di Cannes, dove raccolse ampi consensi, ma su questo – ricorda Lizzani – c’e` un episodio famoso «narrato da Jean Cocteau, che era presidente della giuria, a Sergio Amidei, che poi lo riferı` a noi. Lo scrittore racconto`, con quella sua fantasia un po’ surreale, di una notte in cui De Pirro era andato a bussare alla sua camera, si era messo in ginocchio, e aveva implorato di non premiare il film con la Palma d’oro, altrimenti in Italia i comunisti avrebbero vinto le elezioni». E cosı` fu. L’opera ottenne comunque il Gran premio della giuria. Quanto alla censura preventiva, il regista oggi rammenta che «ci furono problemi riguardo all’accenno all’omosessualita` della signora, che gia` era attenuatissima, anche a causa del nostro moralismo di sinistra. Di queste cose era difficile parlare. Pero` c’era il romanzo di Pratolini, che era un successo internazionale, e che proprio per questo ci metteva al riparo da richieste di tagli troppo pesanti». In un intervento di poco successivo al film, Lizzani, riprendendo in considerazione criticamente certi aspetti non del tutto risolti delle Cronache, li addebitava anche alle pressioni ricevute: «prima di inviare il film a Cannes mi fu suggerito di mutare alcune battute del dialogo e di eliminarne delle altre. Debbo anche confessare che d’accordo con la produzione, ho ritenuto necessario non approfondire alcuni temi che sarebbero riusciti particolarmente “ostici” alla nostra troppo 17 oculata censura» . Il film non ebbe facile circolazione nelle sale italiane e oltretutto gli fu negato il visto di esportazione all’estero: gli esiti commerciali non positivi concorsero alla chiusura dell’esperienza della Cooperativa. Sulla quale pero` ebbe il suo peso anche l’atteggiamento ambiva17

Carlo Lizzani, Io approvo i fidanzati, in “Cinema nuovo”, III, 40, 1 agosto 1954, p. 64.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

lente dei dirigenti del Pci: ve ne e` traccia in un articolo di Massimo Mida apparso su “Cinema nuovo” nell’ambito dibattito che prese il titolo “Sciolti dal giuramento”, in cui si esaminavano i rapporti tra artisti e intellettuali da un lato, e dogmi comunisti dall’altro. Mida lamentava la scarsa attenzione del Pci all’esperienza della Cooperativa, ma allo stesso tempo sosteneva che essa si era burocratizzata e che aveva finito per assomigliare a una qualsiasi casa di produzione cinematografica. Egli polemizzava anche con la scelta del soggetto di Cronache di poveri amanti, a suo dire poco popolare, e comunque non rispondente alle richieste degli spettatori soci, che volevano altre opere sulla Resistenza. A questo proposito, lo stesso Lizzani, rievocando l’esperienza della Cooperativa, che «nasceva proprio dalla necessita` di poter portare avanti quei progetti che i produttori tradizionali non sostenevano», fa cenno a «una riunione in cui Togliatti sconsiglio` di seguire via separate, perche´ se era vero che la censura interveniva con mano pesante, era altrettanto vero che, pur essendo piu` semplice far film indipendenti, questi poi venivano boicottati». La presa di posizione del leader comunista sugli affari del cinema era in sintonia con le sue scelte piu` generali, tendenti a inserire il Pci nel solco della tradizione culturale nazionale. Ne scaturı` un atteggiamento per molti versi aristocratico e conservatore, che gli impedı` di comprendere fino in fondo i meccanismi della cultura di massa che in quegli anni si faceva largo anche nel nostro paese. Oggi Lizzani ritiene che, pur essendo giusta l’idea che i comunisti non dovessero autoescludersi dagli ambiti culturali piu` importanti e prestigiosi, quella di abbandonare la Cooperativa al suo destino «fu una mossa sbagliata, perche´ tenerla in piedi sarebbe stato un polo di controllo della situazione, anche facendo un solo film all’anno».

Gli anni piu` duri Il periodo successivo a Cronache di poveri amanti fu il piu` difficile per il regista. Il film ebbe grandi apprezzamenti e dunque molti produttori si fecero avanti con una serie di proposte, ma tutte nel segno dello spettacolo d’evasione e dell’avventura. Lizzani, al contrario, era convinto che per «gareggiare con le industrie straniere» era necessario non abbandonare le conquiste del neorealismo, ma proseguire su quella strada che aveva dato prestigio internazionale al nostro cinema, approfondendola in opere serie e di grande impegno. Tanti i

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GLI ANNI DELLA CENSURA

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progetti che si vide respingere: a una proposta della Minerva film di 18 portare sullo schermo L’amante di Gramigna , l’autore, non interessato dalla passione morbosa delle pagine verghiane, ma piuttosto dal tema del banditismo, rispose con un progetto alternativo, una riduzione cinematografica da un testo di Vincenzo Padula, Antonello capo brigante calabrese, che non venne preso in considerazione; stesso destino ebbero le sue proposte di tradurre in film alcune opere goldoniane, cosı` come non passarono i progetti relativi a Cristo si e` fermato a Eboli e a Le confessioni di un italiano, cui pure aveva iniziato a lavorare. «Vi piace il mio cimitero?», concludeva con amara ironia il regista dopo questa carrellata di rifiuti. A quell’epoca era alle prese con la sceneggiatura di un nuovo film sulla Resistenza, appoggiato da Ferruccio Parri, che aveva intenzione di aiutare gli autori nella ricostruzione di un episodio della lotta di liberazione, quello della «prima missione radio italiana, paracadutata nel Nord durante la 19 primavera del 1944» . Un film che Lizzani sperava di veder realizzato per il decennale della Resistenza e che invece, anch’esso, non ando` in porto. Sono anni in cui la coerenza si paga a caro prezzo. Le continue pressioni dei burocrati, gli attacchi degli ambienti governativi e del vasto apparato clericale spingevano gli autori sulla via dell’autocensura. I produttori, del resto, non e` che fossero particolarmente combattivi, anche perche´ i successi commerciali del neorealismo erano stati modesti, ed essi non avevano molta voglia di esporsi su progetti di quel tipo. Anzi, proprio nel 1954 l’Anica varo` una commissione di auto-censura, che doveva vagliare e consigliare sui film piu` problematici. Gli organi di stampa vicini al governo e agli ambienti di destra, come “Il Borghese” e “L’Europeo”, nel corso del 1955 orchestrarono una vera e propria campagna maccartista, con liste di autori comunisti e accuse generiche contro tutto il cinema italiano di «lavorare per Togliatti». In piu`, la cinematografia nazionale si trovava stretta in una crisi economica dalle prospettive incerte: la legge del 1949 era arrivata a scadenza e il governo non aveva ancora chiarito se volesse prorogare e in che forma il sostegno pubblico alla produzione, e soprattutto se intendesse attenuare le ingerenze della

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Film che Lizzani poi realizzo` nel 1968. Cfr. Edgardo Pavesi, Quando il Nord e il Sud si parlavano di nascosto, in “Cinema nuovo”, III, 39, 15 luglio 1954, p. 25. Cfr. anche Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, cit., pp. 28-29. 19

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

censura, richiesta avanzata dalle forze di sinistra e da quasi tutto il mondo del cinema. Tale il contesto in cui Lizzani riuscı` a realizzare Lo svitato (1955), una «una specie di via d’uscita, un film che doveva essere di evasione, anche se poi non lo era. Ecco l’auto-censura, perche´ non potevi proprio vivere, pero` si potevano fare delle cose dignitose, con Dario Fo e Franca Rame. E fu gia` un miracolo trovare un produttore». L’anno dopo fu varata una nuova legge sul cinema (la n. 897 del 31 luglio 1956), che confermava le provvidenze statali ancora per tre 20 anni, poi dilazionate fino al 1965 . Il governo si impegno` a por mano anche alla questione della censura, ma la promessa fu onorata solo nel 1962. Ancora un importante progetto mancato si colloca in questi anni: quello di Simplon tunnel, film che avrebbe raccontato il lavoro di scavo del traforo del Sempione, in cui operai provenienti da tutta Europa avevano modo di incontrarsi, solidarizzare e lottare insieme. Lizzani aveva coinvolto nell’impresa anche Giuliani De Negri ed era in vista una coproduzione con la Repubblica democratica tedesca, ma il solito De Pirro “sconsiglio`” di procedere. Cosı` come intervenne sui produttori per bloccare un documentario di lungometraggio sull’Unione sovietica, per il quale c’era stato l’interessamento di 21 personaggi del calibro di Ponti e De Laurentiis . All’inizio del 1957 si concretizzo` invece il progetto di un documentario sulla Cina, che ebbe una complessa lavorazione e porto` alla realizzazione di La Muraglia cinese (1958), uno dei risultati piu` interessanti di Lizzani, per saper comunicare il senso della scoperta di un mondo distante dall’Occidente, allora pochissimo conosciuto. Molti gli impedimenti burocratici che il regista si trovo` ad affrontare, tra cui i tabu` tradizionali fatti rispettare dalla autorita` rivoluzionarie cinesi, come quelli di non mostrare le spalle nude o i piccoli piedi delle donne. In Italia, erano arrivati intanto il miracolo economico, la modernizzazione, l’aggiornamento della morale e dei costumi. L’industria del cinema risaliva la china, si erano consolidate le imprese di produttori come Ponti e De Laurentiis, e Lizzani era ormai considerato tra i registi di sicuro mestiere. Film come Esterina (1959) e Il 20

Le leggi sul cinema varate nel dopoguerra avevano una scadenza perche´ il sostegno pubblico all’industria cinematografica in teoria avrebbe dovuto essere transitorio, utile a farla uscire da un periodo di crisi. In realta`, esse furono prorogate di volta in volta e con la legge del 4 novembre 1965, n. 1213, divennero permanenti. 21 Cfr. Carlo Lizzani, Viaggio in Oriente, in Attraverso il Novecento, cit., p. 70.

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GLI ANNI DELLA CENSURA

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carabiniere a cavallo (1961), con Nino Manfredi, rappresentano un suo «avvicinamento e anche un’integrazione al sistema produttivo di 22 tono medio» , verso il quale la censura limita le sue intromissioni, e non ha quel carattere di pesante ingerenza di segno politico. Ne Il carabiniere a cavallo, ad esempio, gli interventi, anche nel titolo che doveva essere solo Il carabiniere, hanno lo scopo di attutire la presa in giro dell’arma, secondo i dettami di quel famoso “Regolamento” del 1923, ormai inattuali nel mutato contesto dei costumi sociali. Piu` problematica, invece, fu la realizzazione de Il gobbo (1960), con cui Lizzani ritornava ai temi della Resistenza del suo esordio, ma con De Laurentiis come produttore. Storia del giovanissimo Alvaro Cosenza, detto “il gobbo del Quarticciolo” (una borgata di Roma), che fu prima partigiano, poi informatore dei servizi segreti e bandito, per finire ammazzato in circostanze poco chiare – il film subı` diverse sforbiciate censorie nei dialoghi, e l’eliminazione di alcune sequenze: quella in cui il gobbo minaccia un carabiniere, ma subito dopo gli asciuga il sudore della fronte; quella in cui gli abitanti del quartiere dedicano una via a un bambino morto durante l’occupazione tedesca per salvare la vita di Alvaro. Come sempre, le autorita` non si toccano e i tedeschi nemmeno. A cio` si aggiunga che, proprio in previsione della censura, Lizzani imposta un film diverso da quello che avrebbe voluto. «Si poteva fare, con Il gobbo, il ritratto di un momento essenziale della nostra storia contemporanea. Ma [...] ci sarebbe voluto – e a priori – il benestare di una censura almeno come quella americana, che non considera offesa allo Stato la critica ai funzionari 23 corrotti e ai sistemi non ortodossi di tutela della legge» . In luogo di un’opera corale con un preciso sfondo storico, il film dunque si concentra tutto sul protagonista, sulla sua carica vitalistica, primitiva, feroce, che ne segna fatalmente il destino. Siamo giunti all’inizio degli anni Sessanta, quando, in un paese profondamente cambiato dal miracolo economico, le battaglie delle forze di sinistra e del mondo della cultura ottengono finalmente la riforma della censura. La nuova legge, varata il 12 aprile 1962, aboliva il rilascio del nulla-osta per gli spettacoli teatrali, ma lo conservava per il cinema. «Tuttavia e` innegabile – scrive Argentieri – che la nuova regolamentazione spazza [via] una casistica sconfinata e, delegando l’esercizio della vigilanza anche alle rappresentanze delle cate22 23

Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, cit., p. 31. Carlo Lizzani, Prefazione a Il gobbo, ora in Id., Attraverso il Novecento, cit., p. 90.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

gorie cinematografiche, attenua le intromissioni del potere esecutivo 24 e della burocrazia ministeriale» . La legge prevedeva, infatti, il diniego del nulla-osta di circolazione delle pellicole solo per motivi di offesa al buon costume e al comune sentimento della morale. Si demandava, invece, alla magistratura ordinaria il compito di ravvisare reati specifici. Era previsto, infine, che la Tv non potesse trasmettere i film vietati ai minori di diciotto anni. Negli anni successivi, pero`, il meccanismo del ricatto economico continuo` a rimanere in piedi contro i film piu` scomodi: ad esempio, Salvatore Giuliano di Rosi fu realizzato senza la sovvenzione statale, mentre il film De Santis, Noi che facciamo crescere il grano, sulla strage di contadini che occuparono le terre a Melissa, non si fece. La Banca nazionale del lavoro, infatti, continuava a chiedere pareri preventivi sulle sceneggiature agli uffici che avrebbero esaminato il film per il rilascio del nulla-osta di circolazione, e quando questi pareri erano negativi, come nel caso del film di De Santis, non erogava il credito.

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Mino Argentieri, La censura nel cinema italiano, cit., p. 201.

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO di Bianca Maria Marchetti

Il termine “documentario” fu impiegato per la prima volta nel febbraio del 1926, in una rassegna sul quotidiano “New York Sun”, firmata da John Grierson, a proposito del film Moana, realizzato dal regista Robert Flaherty. ` piuttosto difficile circoscrivere l’area semantica che il termine E stesso e` chiamato a coprire; non e` facile definire con rigore, il genere, la classe o l’insieme al quale appartengono i film documentaristici. Si tratta di una delle prime incertezze che si incontrano nell’affrontare un discorso riguardante questa particolare tematica. In ogni caso, si puo` parlare di una “pratica” documentaria del cinema, una modalita` narrativa che, come tale, comporta un particolare atteggiamento semiotico e ideologico nei confronti della materia del contenuto. John Grierson nell’approfondire il suo discorso intorno ai principi fondamentali del cinema documentario e, in modo particolare intorno all’opera di Flaherty, non intendeva certamente proporre una definizione valida per tutta la produzione non-fiction nel suo complesso, ma al contrario gli premeva individuare un nuovo approccio nei confronti di questa forma di espressione filmica. Ed infatti egli ravvisa nella forma documentaria la possibilita` di 1 «rielaborare criticamente e drammatizzare il materiale naturale» . Percio` ad una concezione del film come puro sguardo si sostituisce l’idea del film come discorso, nel quale le immagini acquisiscono la 1

John Grierson, Documentario e Realta`, a cura di Forsyth Hardye e Fernaldo Di Giammatteo, Roma, Bianco e Nero, 1950.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

funzione di “documento” e si inseriscono in un contesto piu` ampio, piu` strutturato e di carattere drammatico. Secondo lo storico Tom Gunning: «La nascita del documentario avviene nel momento in cui il materiale filmico viene rielaborato e collocato in un contesto discorsivo esplicito per mezzo del montaggio e delle didascalie. Invece che una semplice successione di vedute, il documentario plasma con le prime immagini un argomento articola2 to» . In prima istanza, possiamo affermare che il documentario si pone come oggetto un referente reale e, per cogliere questa realta` preesistente, si attua un’elaborazione discorsiva sia organizzando un testo fondato sulla cancellazione del processo di scrittura filmica, sia rendendo percettibili le modalita` dell’enunciazione e lo stesso enunciatore. Secondo Christian Metz, nel regno del cinema, tutti i generi non narrativi, – il documentario, il film tecnico, ecc. – sono diventati province periferiche, contee, per cosı` dire, mentre il lungometraggio di finzione romanzesca tratteggia sempre piu` nettamente la via maestra 3 dell’espressione filmica» . Il semiologo osserva, tuttavia, che i film non narrativi si distinguono dai veri film piu` per il contenuto sociale che non per i loro procedimenti linguistici, e che le grandi figure fondamentali della semiologia del cinema conservano la loro identita` anche nel cinema di non finzione. Dunque questa appartenenza al “regno” del cinema conferma la non separabilita` del documentario dalle regole linguistiche ed estetiche dell’arte cinematografica. Per quanto riguarda il rapporto che intercorre fra cinema e realta`, qualsiasi film di finzione puo` essere considerato, sotto un certo punto di vista, un documentario. Infatti, esso e` documento dell’epoca in cui e` stato prodotto e di determinati modelli culturali. Anche il documentario parte dal reale per ritrovarlo, coglierlo e elaborarlo attraverso l’immagine che comunque, restituisce un determinato punto di vista della realta`. Un’inquadratura presuppone sempre una selezione delle immagini: il film “marca” inevitabilmente della propria soggettivita` cio` che 2 Tom Gunning, Prima del documentario: il cinema non fiction delle origini e l’estetica della “veduta”, in Un mondo di immagini. Immagini del mondo prima del cinema documentario, Ancona, Transeuropa, 1995, p. 18. 3 Christian Metz, Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1980, p. 142.

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO

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viene rappresentato intervenendo attraverso delle scelte stilistiche precise, attraverso posizioni e angolazioni, elaborando dunque, un procedimento linguistico tutt’altro che casuale. In generale si puo` affermare che la nozione di documentario e` strettamente legata alla questione del Realismo cinematografico e alle sue tematiche. L’estetica stessa del documentario, infatti, investe in modo diretto il problema centrale del cinema, cioe` la riflessione sul rapporto cinema-realta` e, piu` in generale, tra realta` e rappresentazione. La questione del realismo nel cinema documentario, nello specifico rapporto che si instaura tra immagine filmica e reale rappresentato, non puo` essere ricondotta solamente ad un discorso di maggiore o minore fedelta` delle immagini ad una determinata realta`. Non si tratta, a nostro avviso, di operare una naturale imitazione delle cose reali ma di penetrare in un mondo fatto di relazioni all’interno delle quali i fatti, i comportamenti, le situazioni, prendono forma e significato concreto. Nella storia del linguaggio cinematografico il concetto di “Realismo”, nella sua pluralita` di significati, ha dato luogo ad una serie di teorie nella pratica e nella metodologia critica e ad una pluralita` di linee differenti. Be´la Bala´zs, partendo dal rifiuto del concetto di piatta riproduzione e dalla negazione del realismo come “doppio”, restituisce autonomia allo stesso realismo, definendolo “forma di rappresentazione” e non “rispecchiamento”. La realta` costituisce quel “contenuto che effettivamente determina la 4 forma” che e` stile, creativita` e invenzione . Dunque, realismo come assunzione di un momento formale, come indicazione di uno stile, come produzione e non riproduzione di qualcosa. Andre´ Bazin con il termine realismo intende qualcosa che si colloca in profondita`, nelle radici dell’espressione e si allontana da quella concezione di riproduzione/rispecchiamento elaborata da G. 5 Luka´cs . 4 5

Be´la Bala´zs, Il film. Evoluzione ed essenza di un’arte nuova, Torino, Einaudi, 1979, p. 306. Gyo¨rgy Luka´cs, Il marxismo e la critica letteraria, Torino, Einaudi, 1964.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

L’idea di fondo di Bazin ed anche il suo punto di arrivo e` quella di un cinema che, prima ancora di rappresentare la realta`, se ne fa partecipe. Il suo realismo e` una “ricerca ontologica” sul senso del reale che finisce per andare oltre l’idea di “riproduzione meccanica del reale”, giungendo all’idea di un cinema-verita` che e` tale perche´ svela e 6 indaga il senso dell’esistere . In sostanza, il cinema e` legato ontologicamente alla realta` e dunque non si limita a riprodurla ma nel riprodurla si fa realta` dotata di un forte spessore simbolico e analogico. Una realta` che si interroga sul proprio significato e percio` sul senso stesso di quel mondo che riproduce e di cui si fa riflesso. Gianfranco Bettetini sostiene che l’immagine filmica ha un forte potere di rappresentazione della realta`; pur tuttavia, e` sempre possibile rintracciare dietro all’immagine oggettiva della realta` l’«intenzionalita` direttiva, la sua sensibilita` d’autore e il suo rapporto culturale 7 con gli uomini e con il mondo» . Quindi il documentario sara` l’espressione di un atto interpretativo, di un punto di vista, di una selezione e di una ricerca. Il termine realismo acquista cosı` una nuova significazione che, lontano da ogni connotazione meramente riproduttiva, ne sottolinea il valore creativo sempre legato ad un contesto storico. Carlo Lizzani si muove su questa linea: il suo realismo e` un realismo pieno. La sua idea di realismo, maturata all’interno del progetto neorealista attento al “farsi” e al “mutare” della storia, e` «...quella visione cinematografica che sia o si sforzi di essere studio e interpretazione poetica della realta` che ci circonda, nella profondita` e 8 complessita` dei suoi conflitti e delle sue contraddizioni» . Afferma l’Autore: «Eravamo contro una concezione del neorealismo ridotto solamente alla osservazione della cronaca. (...) Bisognava vedere nei dettagli della realta` quotidiana la storia che passa, e non solamente la cronaca»9. Il neorealismo doveva diventare realismo. 6

Andre´ Bazin, Che cosa e` il cinema, Milano, Garzanti, 1986. Gianfranco Bettetini, Cinema: lingua e scrittura, Milano, Bompiani, 1968. 8 Carlo Lizzani, Cronache di poveri amanti. Il film e il dibattito sul realismo, in Id., Attraverso il Novecento, Torino, Scuola Nazionale di Cinema/Lindau, 1998, p. 68. 9 Carlo Lizzani, L’occhio critico del Neorealismo, intervista a cura di Henry Talvat, Actes du 15e Festival International, Cine´ma Me´diterrane´e, Montpellier 22 octobre-1er novembre 1993, a cura di Miche`le Driguez, Festival di Montpellier, agosto 1994, in op. cit., p. 319. 7

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO

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In sostanza, se non scatta il meccanismo creativo, se non si va alle fonti della storia per ritrovare tradizioni e caratteri, non si coglie l’ideologia segreta di un ambiente culturale, non si fa realismo, ma solo rappresentazione del superficiale. E ancora si palesa nel Regista un approccio rosselliniano alla realta`: rendere sullo schermo, attraverso l’immagine, i fatti con umilta` e essenzialita`, utilizzare l’immagine come specchio della realta`, attraverso una lente trasparente e rivelatrice. Nella sua poetica d’Autore, infatti, Lizzani prediligera` il fatto, l’evento storico, il documento reale, il personaggio interprete e voce della storia. Nel 1942, nella vita professionale di Carlo Lizzani accade un avvenimento fondamentale: l’incontro con Roberto Rossellini e con quegli intellettuali anticonformisti e di opposizione alle formulazioni populiste della dottrina fascista conosciuti all’interno della rivista “Cinema”, molti dei quali diventeranno i protagonisti del movimento Neorealista: Visconti, De Santis, Antonioni, i fratelli Puccini, Zavattini. Nel 1947, Lizzani con grande entusiasmo accetta l’offerta di Rossellini di seguirlo a Berlino per un nuovo film come aiuto regista e sceneggiatore: si trattava del film Germania anno zero. Fu un momento magico nella vita di Lizzani che, in quei mesi di soggiorno a Berlino, ebbe modo di vivere un’esperienza esaltante, fondamentale nella sua carriera di cineasta, ma anche globale e di vita. Matura in lui, in quei mesi, la consapevolezza di essere partecipe di un movimento di pensiero che andava al di la` delle diverse inclinazioni estetiche e politiche e che avrebbe determinato la svolta del cinema italiano. Lizzani e il Gruppo “Cinema” avevano elaborato in quegli anni una concezione estetica che, nelle linee essenziali, era radicata nel pensiero storico secondo la linea De Sanctis-Labriola-Croce: il loro storicismo era quello derivante dall’“esperienza”, dalla prassi piu` che dalla riflessione teorica, dall’aver vissuto in prima persona l’evolversi tragico degli eventi, la frantumazione e il crollo delle ideologie. In quegli anni di fronda, il territorio del dibattito furono la conversazione, il dialogo, lo scontro. Le loro idee, in campo estetico, si manifestavano nella battaglia del cinema contro la letteratura, dell’immagine contro i formalismi, gli estetismi e la retorica.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

La comune passione per il cinema e una solidarieta` politica fecero da cemento fra questi giovani intellettuali che andavano riscoprendo l’antifascismo e il marxismo: «Tra un Pabst, un Murnau, un 10 Vigo, ci capimmo subito» . Fin dal suo nascere il Neorealismo si era mostrato come un movimento composito, privo di unitarieta`, al cui interno si muovevano diverse forme espressive. Non si trattava di una scuola ma di un nuovo modo di guardare la realta`: un rivoluzionario sguardo sul mondo e sulla Storia che scaturiva da una coscienza comune. ` un momento fondamentale per il cinema italiano di quegli anni E in quanto esso si riappropria dell’esperienza del “vedere”. E nel farlo ritrova la sostanza vera e profonda delle cose diventando esso stesso veicolo privilegiato della visione del reale. In un certo senso il cinema torna alle sue origini: ritrova la sua essenza nel linguaggio della realta`, nell’improvvisazione, nel caso, nella costruzione quotidiana della sceneggiatura. Le storie sono le vicende dell’uomo, la realta` delle persone e i loro modi di vivere, i drammi che tutti possono riconoscere lontani dalle mistificazioni e dalla retorica del regime. Il cinema arte di “fatti” e di “uomini”, questa l’essenza del discorso poetico di Lizzani, ben tratteggiato dallo studioso Gualtiero De Santi quando afferma nel suo saggio: «C’e` insomma in Lizzani una attitudine partecipe ma anche un certo distacco, che consente di cogliere le cose con maggiore complessita` e senza moralismi... Non piu` novella ma romanzo, non naturalismo o realismo oggettivo ma al 11 contrario realismo critico» .

Lo sguardo documentario Il cinema documentario ha avuto una parte rilevante nella vita professionale di Carlo Lizzani che, nel corso degli anni all’interno del dibattito teorico, ha frequentemente sottolineato l’importanza e l’utilita` del cinema documentario e, in genere, del “corto”, rivendican-

10 Carlo Lizzani, Riso amaro. Un film diretto da Giuseppe De Santis, Roma, Officina, 1978, in op. cit., p. 166. 11 Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, Roma, Gremese Editore, 2001, p. 22.

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO

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done la dignita` di linguaggio espressivo, la sua liberta` semantica e ideologica, insieme ad una chiara coscienza del mezzo. Cosı` affermava: «...una delle poche forze... e` la forza dei cinegiornali liberi. Un tessuto osseo in formazione, che si prepara a sostenere, a controbattere sul terreno della videoinformazione magnetica, 12 libera, di domani, l’offensiva dell’editoria conservatrice» . Purtroppo nel panorama cinematografico italiano il documentario ha avuto spesso una vita difficile, destinato a rimanere «un’area di poesia e di ricerca», spesso palestra per la formazione di nuovi talenti 13 artistici . Hanno iniziato col documentario che voleva essere “cinema di documentazione” Blasetti, Rossellini, De Santis, Antonioni, lo stesso Lizzani e Zavattini. Carlo Lizzani ha portato avanti un discorso teorico-critico molto importante e fermo sul “corto” dagli anni Quaranta agli anni Settanta e, dalle pagine di “Cinema Nuovo”, attraverso importanti saggi tra i quali La quarta eta` dell’immagine in movimento, ha indicato nella televisione e nella tecnologia digitale una nuova area di sviluppo e di 14 crescita per il documentario . Il digitale leggero, infatti, nel campo della produzione audiovisiva rappresenta una grande rivoluzione, un grande salto di qualita` consentendo liberta` creativa e estrema facilita` nella diffusione, grazie alla rete telematica. L’Autore ha piu` volte evidenziato la grande pluralita` e flessibilita` del linguaggio audiovisivo, la sua liberta` temporale, la ricchezza dei suoi modelli, dei generi e dei sottogeneri e tutto il potenziale didattico e culturale della televisione. Durante gli anni della gestione della Mostra di Venezia fu tra i primi a presentare anche prodotti televisivi, pagine di cinema non-fiction nella sezione “Officina”. Anche Cesare Zavattini, grande precursore, con convinzione aveva individuato nel cinema “minore” una delle piu` importanti vie da seguire per sfuggire alla forte impostazione economica della grande industria cinematografica, sempre piu` difficilmente attaccabile nella sua area, dove prevale una rigida struttura di consumo. 12 Carlo Lizzani, La quarta eta` dell’immagine in movimento, in “Cinema Nuovo”, Novembre-Dicembre 1969, p. 412. 13 Carlo Lizzani, Un’altra “storia infinita”, in A proposito del film documentario, Roma, Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico, Annali I, 1998, p. 38. 14 Carlo Lizzani, La quarta eta` dell’immagine in movimento, cit., Novembre-Dicembre 1969, Gennaio-Febbraio 1970, Marzo-Aprile 1970.

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` possibile fare cinema, diceva Zavattini, vero cinema, rifiutando E il sistema, creando un circuito alternativo e valorizzando quella 15 «straordinaria liberta` che il cinema minore possiede in potenza...» . Zavattini, partendo dalla convinzione che il cinema dovesse avere una funzione etica, cioe` diventare strumento di conoscenza e informazione per tutti, aveva individuato in esso la capacita` di fotografare la “quotidianita` e l’immediatezza”, atteggiamento da lui definito “morale”, come “morale” e` lo sguardo sulla realta` libero da preconcetti. Si tratta di quello “Sguardo documentaristico”, carattere distintivo del Neorealismo cinematografico che lo stesso Luigi Chiarini definı` la «...forza di documentazione del cinema (...) che non si estrinseca in un piatta riproduzione della realta`, perche´ sempre e` documento delle idee, del sentimento, del punto di vista di un 16 artista» . Ed ancora Lorenzo Cuccu nello studio La visione come problema evidenzia «...il carattere documentaristico» del neorealismo inteso «non in senso contenutistico ma in senso strutturale» (...) «...costruire e proporre lo svolgimento del film come esperienza “in fieri” (...) 17 come libero e aperto discorso filmico sul reale...» . Dunque e` proprio nel carattere documentaristico del neorealismo che si puo` rintracciare quella linea continua che da Flaherty, attraverso il realismo di Vertov, di Eisenstein e di Pudovkin, matura e confluisce in una coscienza documentaria che trova la sua «naturale 18 materia nella realta`» . Il film documentario ha saputo fare propria quella che e` stata l’esigenza primaria del nostro cinema: il racconto della realta` italiana. Esso non puo` essere considerato percio`, a nostro avviso, come semplice erede del neorealismo ma degno continuatore di una corrente che potremmo definire “etica”, quella capacita` visionaria che caratterizza la ricerca documentaristica e cinematografica da Rossellini in poi.

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Cesare Zavattini, Conversazione prima, in “Cinema documentario”, Anno I – n. 1, Aprile-Giugno 1966, p. 10. 16 Luigi Chiarini, Il linguaggio delle cose, in “Cinema nuovo”, n. 59, 25 Maggio 1955, p. 385. 17 Lorenzo Cuccu, La visione come problema. Forme e svolgimento del cinema di Antonioni, Roma, Bulzoni, 1973, pp. 170-171. 18 Luigi Chiarini, Arte e tecnica del film, Bari, Laterza, 1965, p. 165.

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Anche nell’opera di Lizzani l’attivita` documentaristica e` essa stessa, primariamente, una indagine sulla realta`, tentativo di “svelare” il senso profondo delle cose, di coglierne il significato. Ai documentari l’Autore si dedica gia` fin dagli anni Quaranta girando il primo film nel Sud d’Italia, attraversando in lungo e in largo la Cina, da Pechino alla Mongolia, dal Sinkiang al Tibet e a Shanghai, nel 1957 per il primo film occidentale sulla Cina Popolare, La Muraglia Cinese. Nel 1971-72, tra guerra e dopoguerra, in India, Giappone, Thailandia, Corea, Nepal per un documentario di sei ore: Facce dell’Asia che cambia, poi in Africa, nel 1976 per girare un film sulla liberazione dell’Angola e sullo spettacolare processo ai mercenari bianchi, dopo la rivoluzione e la vittoria di Agostino Leto. «Insomma», scrive Lizzani, «ho sempre trovato il modo, attraverso un giornale, un film, un programma televisivo, di essere presente nei punti caldi della terra, o la` dove la lava cominciava appena a raffred19 darsi...» . Il Regista, infatti, per oltre cinquant’anni ha percorso e filmato attraverso i continenti i grandi cambiamenti della Storia, la lotta dei popoli per l’autodeterminazione e per la propria liberta`. La produzione documentaristica diventa, al pari del suo cinema di finzione, la sua “coscienza” del cinema, il suo “sguardo” sulla realta` e sull’uomo. Possiamo affermare che i suoi documentari non sono stati, come spesso accade, l’esercizio e prova d’Autore in vista di un racconto elaborato, ma un vero e proprio microcosmo poetico. Essi tracciano l’itinerario di una maturazione narrativa e insieme dispongono in campo scenari, figure, atmosfere e costanti per le opere che realizzera` nell’arco di quasi cinquant’anni. E comunque, tutto il cinema di Lizzani sviluppa una riflessione sul rapporto tra realta` e rappresentazione: analizzare, percio` i piu` importanti momenti della sua carriera di documentarista costituisce la base del discorso critico sulle sue scelte future, sugli orientamenti e sulle caratteristiche che assumera` il suo lavoro di cineasta nei successivi periodi della sua vita. Conclusasi la grande stagione del neorealismo, alla fine degli anni Quaranta, la cultura cinematografica era scivolata in una crisi di “forme”, di “tendenze” e di “contenuti”. 19

Carlo Lizzani, Luanda meta` anni Settanta. La lancetta segna Sud Africa, in “Cinema Nuovo”, n. 3 Maggio-Giugno 1991, p. 54.

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In un articolo pubblicato sulla rivista “Cinema”, nel 1949, dal titolo Pericoli del conformismo, Carlo Lizzani evidenzia i “pericoli” minaccianti la produzione cinematografica italiana che stava dimostrando «stanchezza della verita` » e «fuga dal vero». L’Autore scuote le menti dei cineasti e li incoraggia a leggere «nelle pieghe del nostro antico paesaggio», dove «si annidano misteri ed esistenze che costituiscono miniere preziose per l’artista esploratore». «Esistono ancora le campagne e le fabbriche, le case dense di dramma della nostra provincia, che ancora aspettano la scoperta e la poesia, c’e` la nostra storia, ma quella vera, senza retorica, che attende ancora un’interpretazione. C’e` il Sud, che preme per il riscatto dal folclore, come, sul piano politico, preme per le sue 20 riforme» . All’inizio degli anni Cinquanta anche la situazione del cinema documentario in Italia, non era certo incoraggiante: cineasti, teorici, lanciano segnali di allarme. Scrive Lizzani in un appassionato articolo apparso nella rivista “Cinema”, Il documentario alla retroguardia: «Basta, cari amici, con i quadri, i disegni, le gallerie e i monumenti, fate parlare gli uomini!». Il documentario italiano ha bisogno di rinnovamento, di temi nuovi: il “lavoro umano”, la “fatica quotidiana”, “la felicita` e la 21 drammaticita` del vero paesaggio italiano” . Non poche responsabilita` furono attribuite alla legislazione cinematografica italiana che aveva determinato una situazione di forte speculazione da parte delle case produttrici pronte a cogliere nel documentario soprattutto il profitto. Fortunatamente, proprio in quegli anni si stava formando un piccolo gruppo di autori documentaristi, fra i quali Antonioni, Risi, Comencini, Maselli, Vancini, Zurlini, lo stesso Lizzani, De Seta ed altri che rappresentavano l’eccezione e che, gia` dai loro primi lavori, manifestavano un determinato linguaggio e un certo stile. Dalle pagine di “Filmcritica” Carlo Lizzani esprime la condanna del documentarismo estetizzante, folcloristico, fatti di albe, tramonti e monumenti, per esprimere la sua linea e il suo metodo: «...imporre al documentario la lingua e le caratteristiche di realismo», (...) «met-

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Carlo Lizzani, Pericoli del conformismo, in “Cinema”, n. 12, Aprile 1949, pp. 358-359. Carlo Lizzani, Il documentario alla retroguardia, in “Cinema”, n. 35, 30 Marzo 1950, p.

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tere la produzione documentaristica italiana sul piano del reali22 smo...» . Proprio in quegli anni, siamo nel 1948, era iniziata l’esperienza documentaristica di Lizzani con la regia di alcuni film: Festa dell’Unita` (1948), Nel Mezzogiorno qualcosa e` cambiato (1949), Riscatto della terra (1949), Togliatti e` ritornato (1949), Modena, citta` dell’Emilia Rossa (1950), conosciuto anche come Via Emilia km 145. Il piu` interessante ed anche il piu` completo realizzato nel 1949, Nel Mezzogiorno qualcosa e` cambiato, rispondeva ad un’esigenza e ad una attenzione che il Regista aveva gia` manifestato, alcuni anni prima da critico, verso aspetti e problemi della realta` nazionale e, in modo particolare, verso le aree piu` sconosciute del paese. Il suo e` un percorso culturale di scoperta del Sud d’Italia e, al tempo stesso, un film di denuncia sulla miseria e sull’arretratezza di quelle terre e di quelle citta`. Infatti il Mezzogiorno in quegli anni veniva considerato come un mondo di emarginazione, come mondo dei vinti: il regista ne fu colpito e volle conoscere la ribellione del movimento popolare e approfondire il fenomeno dell’occupazione delle terre abbandonate. Nel documentario emerge un Sud che fatica a rinascere e a ricostruirsi: si vedono, accanto ad un moto di protesta per il possesso delle terre, scene di estremo squallore: la gente che vive nelle grotte, la promiscuita` con gli animali. Non esiste mediazione culturale, il suo e` un linguaggio diretto, che si basa esclusivamente sulla propria esperienza. La macchina da presa scopre i volti del Sud, della sofferenza, il paesaggio e la gente, l’ambiente e la vita. La sua partecipazione diretta crea un documento autentico, composto di fatti reali e concreti. La miseria spaventosa, la repressione esercitata sulla popolazione ribellatasi allo sfruttamento, in sostanza lo studio dell’elemento umano, conducono l’Autore verso i problemi sociali. Ed infatti il film e` prima di tutto un documento sociale ed umano, nel quale si evidenziano con forza la verita` e la vita. L’arte del documentarista e` prima di tutto lo scrupolo della verita` testimoniale ed oggettiva: questa era la profonda lezione che scatu-

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Carlo Lizzani, Addio documentario, in “Filmcritica”, n. 2, Giugno 1951, pp. 38-39.

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riva dalle opere di Flaherty, di Rouch, di Ivens, Autori che sicuramente avevano inciso nella formazione del giovane Lizzani. Possiamo altresı` aggiungere che se da un lato si puo` parlare di attenzione ai problemi sociali di un’umanita` sofferente, allo stesso modo e` evidente la passione per il paesaggio italiano, per quel paesaggio drammatico e intenso che tornera` nei suoi film carico di autenticita` e di vitalita`. In questo breve documentario si individua con chiarezza uno stile, o meglio l’inizio di uno stile e di un linguaggio. Fu il suo biglietto da visita, perche´ piacque molto a Carlo Levi, a Ernesto De Martino e a Vittorio De Sica. Togliatti e` ritornato, realizzato da Lizzani insieme a Basilio Franchina, riprende la festa popolare organizzata per festeggiare il ritorno di Palmiro Togliatti all’attivita` politica dopo l’attentato del 14 luglio 1948. La manifestazione si svolse con la partecipazione di migliaia di cittadini che giunsero a Roma da ogni parte d’Italia e che, in corteo, attraversarono la citta` fino al Foro Italico. Il documentario si divide in due parti: le riprese del corteo fino all’incontro al Foro Italico con le rappresentanze delle Federazioni comuniste d’Italia. Presenta la forma del cinegiornale classico, con la voce narrante a commento delle immagini. Anche il breve documentario realizzato nel 1950, dal titolo Modena, citta` dell’Emilia Rossa, tratta delle lotte economiche, dei problemi dell’occupazione e della modernizzazione della citta` di Modena. I fatti di Modena, girato nel 1950, e` la cronaca del funerale di sessanta operai uccisi dalla polizia durante lo sciopero: per queste ragioni fu ampiamente censurato.

Progetto Cina “La Muraglia Cinese” L’iniziativa di realizzare un film documentario in Cina nasce nel dicembre del 1955, quando un produttore italiano comunica a Lizzani la straordinaria idea: percorrere con la macchina da presa l’enorme Paese asiatico, ancora poco conosciuto, ed entrare in contatto con popoli e forme di vita lontani dalla loro esperienza.

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Dopo molte incertezze e difficolta`, mesi di contatti e di colloqui, finalmente si approda ad un pre-contratto tra lo Studio Centrale Documentario di Pechino e l’Astra Cinematografica Associata con Leonardo Bonzi, che tra le altre cose prevedeva l’elaborazione del soggetto-traccia del film. Due anni intensi ed impegnativi, fra il 1956 e il 1958, quelli che Lizzani trascorrera` nel Paese per portare a termine il suo non facile obiettivo. Dei vari momenti annotera` in un diario le idee, le riflessioni, le delusioni che non mancheranno durante la realizzazione del film. Gia` la definizione della linea da seguire per l’impostazione e lo sviluppo del film e` portatrice di problemi: le autorita` cinesi temono, per una sorta di orgoglio antico, che ne possa scaturire un’immagine distorta e che al mondo Occidentale venga presentato un quadro doloroso del popolo cinese. Ma ha commentato Lizzani: «Piu` toccante sara` l’immagine della Cina antica (...) piu` legittimamente potro` inserire nel film pagine ` una questione estetica, di equilibrio, non solo epiche del presente. E 23 politica» . Il film sulla Cina deve essere “emotivo”, deve contenere pagine dense di significato, emozionanti sia dell’antico che del Paese moderno. Obiettivo particolarmente difficile da conseguire, in quanto al di qua e al di la` della macchina da presa le opinioni divergono, su una serie di problemi di carattere artistico e sociale. Ma tali divergenze iniziali poi si appianano: ormai il ponte della comunicazione era gettato. Senza pretendere di dare un quadro completo dello sterminato paese, ne´ giudizi totalizzanti e approssimativi, il regista sa cogliere aspetti significativi della societa` di un paese che si trasforma nell’obiettivo di creare «...un prodotto culturale utile all’intesa fra gli uomini»24. Nel documentario sulla Cina Lizzani concentra il suo interesse sulla storia millenaria del Paese e sulla operosita` antica degli uomini, sulla loro umanita`, sulle loro tradizioni. Il lavoro e` una delle componenti essenziali dell’universo poetico del regista: esso, nelle varie parti del film, e` di volta in volta inteso come emancipazione, lotta per la sopravvivenza, sfida della natura. 23 Carlo Lizzani, Viaggio in Oriente. 12 Aprile 1956, in Id., Attraverso il Novecento, cit., pp. 70 e sgg. 24 Ivi, p. 81.

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Come piu` volte e` stato affermato, il cineasta concepisce la realta` in maniera dialettica, si entusiasma per le azioni umane volte ad operare mutamenti della storia e della natura ed esprime questo suo modo di sentire e di pensare nella maniera piu` appropriata: un montaggio a volte serrato, incalzante, “a pezzi brevi”, fortemente ritmato, permette di dare allo spettatore un’idea di quanto la realta` del Paese sia varia, complessa, mutevole. Il film dalle prime inquadrature cattura l’attenzione dello spettatore per la convivenza in quell’immenso e affascinante paese di vecchio e di nuovo. E colpisce la pacifica ma decisa e continua, evoluzione verso il nuovo. La realta` della Cina viene intesa dall’Autore nella sua complessita` e nel suo movimento continuo. Collaborazione di vecchio e nuovo che in un popolo di antica civilta` assume caratteri del tutto particolari: accanto a forme di vita modernissime di certe metropoli sopravvivono modi e aspetti antichi, addirittura feudali. Una simile impressione si rinnova continuamente sotto gli occhi di chi scorre il film. La Muraglia Cinese e` un film che guarda ad un popolo all’indomani della rivoluzione culturale e, attraverso una serie di episodi distinti, ripercorre con sguardo documentario momenti e cicli della sua storia, fra stagioni ed epoche. Le inquadrature panoramiche che aprono il film sull’immenso territorio cinese danno immediatamente l’idea di uno sguardo che ispeziona lo spazio aperto ed evidenziano il taglio documentaristico ed esplorativo del film. Ci sembra uno sguardo «testimoniale e oggettivo», secondo la riflessione elaborata da Lino Micciche`, in quanto esso «permette al regista di registrare gli eventi senza turbarne l’andamento»25. La macchina da presa si muove in modo attivo, partecipa ma non interviene direttamente, introduce lo spettatore nella citta` dal fascino eterno: Hong Kong, il fiume, il porto mentre la voce fuori campo lo accompagna nella narrazione. Poi con movimento rapido e fluente 25 Lino Micciche`, Documentario e finzione, in Studi su dodici sguardi d’Autore in cortometraggio, a cura di Lino Micciche`, Roma-Torino, Associazione Philip Morris Progetto Cinema/Lindau, 1995, p. 22.

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viene contrapposta l’immagine della citta` moderna al dettaglio di strumenti antichi e di abili mani che suonano: il vecchio e il nuovo, l’antico e il moderno sono, fin dalle prime sequenze la chiave di lettura di un percorso filmico che lega al suo interno spazi senza fine e un tempo eterno. Lizzani presenta l’uomo e il suo rapporto con la natura: terra, mare, cielo, come sorgente di vitalita` ma anche di quotidiana lotta. Tra i piu` significativi episodi da approfondire, appare quello della Pesca col cormorano, dove ritmo figurativo e movimento compongono un quadro vivace, solenne e commosso. Dopo una panoramica iniziale sul paesaggio, sul fiume e sulle montagne, la sequenza si apre con il movimento dell’acqua del fiume e delle zattere spinte dai pescatori: inizialmente il movimento e` lento, regolare, fatto di gesti sapienti, ordinati, che appartengono al tempo. Poi si ha un rapidissimo cambio di ritmo e lo stile diventa concitato: inquadrature brevi, stacchi, tuffi, giochi, voli sottolineati dal movimento dei corpi dei pescatori. Il rito della pesca si e` trasformato in una danza antica sull’acqua. Anche il successivo episodio, quello del Fiume Giallo ghiacciato, e` costruito interamente sul movimento e sulla variazione di ritmo. L’apertura e` affidata ad un piano sequenza sulla Muraglia Cinese: un’immagine che riassume un tempo eterno. Poi lo sguardo corre verso volti di bambini che scrutano il cielo, solcato da un aereo. All’improvviso il rumore di un bombardamento: il ghiaccio esplode. La macchina da presa segue il movimento lento del ghiaccio che si sgretola, si spacca e poi, lentamente prende a scivolare. L’inquadratura si allarga, il movimento si fa piu` regolare, ampio, fluido. Anche in questo brano nella scansione del racconto filmico, forte e` il senso del ritmo che Lizzani rende in modo efficace e trascinante: l’esplosione del ghiaccio e` percepita come la cessazione di un pericolo, come una liberazione sottolineata dallo scorrere fluente delle acque del fiume. La sposa venduta e` un episodio molto intenso da un punto di

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vista narrativo, nel quale Lizzani racconta la storia di un ragazza di campagna, venduta dal padre ad una famiglia piu` ricca e data in sposa ad un bambino. Il brano costruito come un racconto mostra con efficacia il destino amaro di una ragazza, nella Cina dalla tradizione antica, umiliata e costretta a subire la volonta` del genitore. Le immagini sintetizzano il carattere intimo e segreto di questa realta`, conferendo a tutto l’episodio tenerezza e commozione. L’episodio si chiude con inquadrature fortemente drammatiche per contrasti di luci e di ombre: la fuga della ragazza che di notte scappa nella campagna, la cui immagine cupa ben si accorda allo stato d’animo della giovane in un’atmosfera che rievoca la tensione visiva espressionista. A queste ultime inquadrature viene efficacemente contrapposta l’immagine radiosa della ragazza ingegnere che sale, per la prima volta, sui tralicci del grande cantiere dove svolgera` il proprio lavoro. Particolarmente interessante e` l’episodio del Fiume come morte. Questo brano per scelte espressive e per struttura formale ricorda lo splendido episodio sul Delta del Po che conclude Paisa` di Roberto Rossellini; ritroviamo in esso la stessa “partecipazione drammatica”26 del paesaggio, la presenza delle acque immobili, la linea dell’orizzonte che taglia il quadro fra cielo e acqua, mentre l’azione viene ridotta a pochi frammenti: le inquadrature si susseguono con un ritmo naturale, senza forzature nel rispetto della loro integrita` di fatto, lasciando che il senso emerga dalla realta` stessa. L’Autore mostra con pochi ma incisivi tratti l’arrivo del temporale, il furore delle acque del fiume e l’inondazione delle terre. Segue un lungo piano sequenza, lentamente da sinistra a destra sulla massa d’acqua che tutto sommerge in un inquietante spettacolo di morte, quindi la macchina da presa riprende il suo movimento da destra, lungo la linea dell’orizzonte che taglia il quadro mentre la gente allineata scappa dal disastro. Poi un rapido cambiamento: uno stacco e la vita ricomincia, la terra riemerge dalle acque, il lavoro riparte. E il brano si chiude sullo sguardo forte dell’Autore che si mostra

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Andre´ Bazin, in op. cit., p. 297.

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mettendosi in evidenza, sul movimento di macchina a seguire un carro che trasporta materiale per la ricostruzione. La Muraglia Cinese si chiude cosı` in simmetria con l’inizio sul Paese e sulla citta` che si allontanano. In conclusione cio` che emerge in questo film “documento” e` la grande attenzione dell’Autore per l’uomo che possiamo definire centro della sua riflessione poetica di cineasta; da un punto di vista stilistico, i singoli episodi sono legati da una centralita` ritmica, da un movimento coinvolgente al fine di far emergere costantemente l’importanza dell’uomo e del suo agire, della sua volonta` tesa verso un fine preciso. In tal modo cio` che viene mostrato non e` mai fine a stesso, ma in funzione di una prospettiva molto ampia, nei confronti della quale il singolo evento non e` che una piccola tappa di un vasto mosaico. C’e` da dire che l’influenza del Neorealismo e` evidente, il rigore stilistico dell’esperienza neorealista e rosselliniana rimane nella sinteticita` delle inquadrature, ma possiamo altresı` affermare che movimento e ritmo del montaggio si ispirano al cinema sovietico. Il film, uscito nel 1958, ottenne dalla critica importanti riconoscimenti: il Primo Premio al festival di Bruxelles, il Foemina ed anche il Nastro d’Argento per la particolare cura della fotografia. Facce dell’Asia che cambia e` un lungo documentario televisivo girato fra il 1970 e il 1972, attraverso il Giappone, la Corea del Sud, il Vietnam, la Cambogia, il Laos, la Thailandia e l’India: civilta` intatte, immobili da migliaia di anni, con le loro masse sterminate, le estensioni enormi e il loro isolamento. In questo lavoro Lizzani mette a confronto l’Oriente e l’Occidente, due grandi famiglie umane che hanno costruito la loro identita` seguendo diverse linee di sviluppo. Il primo, un universo compatto, dalle forti tradizioni immutate nel tempo; l’altro rapido nella crescita ma anche nella decadenza, dai grandi progressi scientifici ma in perpetuo contrasto con la natura, nel tentativo di dominarla e trasformarla. La macchina da presa e` di nuovo la` dove precipitano gli eventi, dove si verificano terremoti di coscienza, dove si spazzano via le ideologie, nello sforzo di capire, seguendo un percorso storico che e` quello della conoscenza. Ad un certo punto la lancetta segna il Sud: l’Africa, l’Angola. «Il lavoro mi ha sempre portato dappertutto e anche per l’Africa

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ho aspettato... un motivo che me ne schiudesse le porte», «organizzare e girare un documentario sulla liberazione del Paese e sul processo dei mercenari bianchi accusati di stragi e sabotaggi dopo la ritirata dei portoghesi»27. Cosı` si esprimeva Lizzani a proposito del film Africa Nera Africa Rossa, girato nel 1976, per la Rai. Prendendo spunto dal processo contro i mercenari, il Regista si propone di svolgere un’indagine sugli anni della lotta e sull’opera di ricostruzione del Paese. Il processo ai mercenari e` un “fatto” sintomatico della fine di un’epoca, di un mondo: di lı` ha inizio la storia contemporanea dell’Angola. E nello stesso tempo e` una lezione di storia: uno studio sulla nascita di una Nazione dalla resistenza e dalla lotta, iniziando col guardare da vicino il problema dei mercenari, per allargare lo sguardo al contesto angolano in generale. ` un documentario su una rivoluzione, su un paese che comincia E a vivere la propria indipendenza e nel farlo si scontra con le potenze occidentali. ` una “spedizione”, un «...insomma, questo non e` un film. E 28 viaggio in una rivoluzione» . Qualche anno piu` tardi, nel 1982, Lizzani partecipa ad un ampio progetto: Le capitali culturali d’Europa, ideato dalla Rai e dall’Istituto Luce, che affidano la regia di dodici documentari sulle piu` importanti citta` Europee, agli Autori piu` significativi del cinema italiano: Antonioni, Bertolucci, Monicelli, Olmi, Soldati, Zeffirelli ed altri29. Il nostro Autore, insieme ad Arturo Zavattini che cura la fotografia e a Pino Donaggio che scrive le musiche, compone un quadro d’insieme organico e completo con l’opera Omaggio a Venezia dove si confrontano cinema, citta`, storia. Dalle riprese aeree sulla laguna a quelle dal motoscafo, attraverso le carrellate, la macchina da presa si attiva in un gioco di movimenti e di lunghe panoramiche a scoprire un universo architettonico, uno spazio che si offre, si mostra per confluire in quello del film.

27 Carlo Lizzani, Algeri e i “panni sporchi” italiani, in Id., Attraverso il Novecento, cit., pp. 135 e sgg. 28 Ivi, p. 141. 29 Nel 1990 Carlo Lizzani realizza il film Cagliari nell’ambito del progetto Le capitali culturali d’Europa.

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO

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Venezia diventa il luogo di eventi narrativi, mostrati e immaginati: la regata storica, il carnevale, le maschere, il teatro del Settecento, gli interni di palazzi storici, di chiese antiche e di musei. Un’architettura che diventa uno scenario teatrale, ogni scorcio e` un’inquadratura, e` un fuori campo. Il percorso di Lizzani e` quello legato alla storia e alla memoria della citta`, il viaggio di uno sguardo attraverso il flusso continuo di immagini, di sequenze e di citazioni. Quale Venezia ci viene mostrata? Quella rarefatta e struggente di Morte a Venezia, quella sensuale e drammatica di Senso, quella torbida e decadente di Fellini. Reminiscenze, frammenti, cinema nel cinema, riflessione di una citta` sulla sua storia, intreccio di pittura, architettura e cinema. Nel 1984 Lizzani prende parte insieme ad altri cineasti alla realizzazione di un film dal titolo L’Addio a Berlinguer, per ricostruire attraverso numerose testimonianze la figura dell’uomo politico, scomparso in modo drammatico e improvviso, del quale vengono sottolineate le notevoli capacita` e il ruolo ricoperto nello scenario politico nazionale. Le immagini scorrono pregnanti e incisive a sottolineare anche l’impressionante folla di cittadini accorsa a Roma per l’estremo omaggio. Nello stesso anno collabora al film Sabatoventiquattromarzo, lavoro collettivo dedicato ad una grande manifestazione sindacale. Nel suo percorso culturale, di ricerca e di riflessione teorica intenso e articolato, Carlo Lizzani, uomo e storico del cinema, non manca di arricchire il suo discorso artistico con tematiche riguardanti il prodotto culturale filmico, in genere, la tutela e la conservazione del film come bene culturale. Nel corso degli anni egli ha lavorato in questa direzione attraverso Convegni di studi e dibattiti, al fine di conservare e studiare il cinema come opera d’arte, ma proponendo altresı` il film «...come testo di storia, come documento, come presenza del tempo e come eredita` da tramandare»30.

30

Carlo Lizzani, Tutela e diffusione del patrimonio cinematografico. Il film come bene culturale, in Id., Attraverso il Novecento, cit., p. 196.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

E dunque nel pensare un cinema come “saggistica, documento, discorso”31 che si inserisce un importante progetto ideato fra il 1999 e il 2003 con la realizzazione di tre film-saggio, con la produzione in parte della Rai, definiti dallo stesso Autore: “grandi lezioni di cinema”, documenti della storia del cinema italiano. In questi tre film, Luchino Visconti, Roberto Rossellini, Cesare Zavattini, il cinema si racconta attraverso la voce dei suoi protagonisti: sono autobiografici, costruiti come un diario, autentici. Si puo` parlare di film sul cinema, nei quali viene mostrata e raccontata la storia del cinema sempre in connessione con la vita dei suoi protagonisti. Sono stimolanti per l’impostazione ad essi data e si prestano ad una lettura che si snoda su due livelli: quello della realta` storica, del realismo della vita dei protagonisti, ricostruita attraverso voci, testimonianze, ricordi e l’altro che potremmo definire metafilmico, metalinguistico, fatto di riferimenti espliciti al cinema, di citazioni e di omaggi. Il primo documentario su Luchino Visconti, Immagini per una biografia, e` un significativo saggio che ripercorre la vita dell’Uomo e dell’Artista, nella cornice dei luoghi viscontiani, nei quali egli ha trascorso l’adolescenza, dove si e` formato e dove ha girato i suoi film: Ferrara per Ossessione, la Sicilia per La Terra trema e Il Gattopardo, Milano per Rocco e i suoi fratelli, la Germania per la trilogia tedesca. Il film ripropone alcune immagini esemplari e alcune scene famose, intervallandole con interviste e conversazioni a testimoni e collaboratori del Maestro. Ne emerge un ritratto profondo di un Artista che “racconta” la decadenza, senza esserlo, testimone di una societa` che scompare: per Lizzani, “un analista” che conosce a fondo la societa` che descrive. Roberto Rossellini e` raccontato in un film documentario, girato nel 2001, per conto di Rai Cinema, riproponendo le tappe della sua formazione: a Roma, a Parigi, nei luoghi in cui visse e nei quali videro la luce i suoi film.

31

Carlo Lizzani, Il cinema e` solo arte o anche saggistica, documento, discorso? Quale mostra alle soglie degli anni ’80?, in op. cit., pp. 183-185.

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CARLO LIZZANI, IL REALISMO E IL DOCUMENTARIO

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Carlo Lizzani, in prima persona, racconta come testimone diretto delle vicenda storica del cinema italiano di quegli anni il viaggio di un grande Artista. Le citazioni delle sue opere scandiscono il suo percorso artistico, fatto di ideali e contrassegnato da una profonda coerenza. Rossellini non fu travolto dal cinema americano, al contrario compı` un’importante innovazione: innesto` la figura di Ingrid Bergman, icona del cinema hollywoodiano, in quello italiano contribuendo cosı` alla costruzione di una identita` italiana ed europea e alla definizione di un linguaggio cinematografico moderno. Lizzani sottolinea il passaggio di Rossellini dal Cinema alla stagione televisiva, ai grandi testi della Storia e ai grandi personaggi del passato: tutto questo motivato da una continua ansia di conoscenza e dalla volonta` di raccontare. Intenso il documentario su Cesare Zavattini, realizzato nel 2003, prodotto tra gli altri da Rai Trade e Istituto Luce, che raccoglie e sintetizza in un’ora la storia di un Autore dalla personalita` complessa, a volte contraddittoria e provocatoria. Con questo ritratto, Lizzani propone allo spettatore il percorso culturale e professionale di un Artista, lo straordinario contributo poetico a tante opere filmiche, ormai appartenenti alla storia del cinema, attraverso le voci di personaggi a lui vicini, come Bernardo Bertolucci, Enzo Biagi, Tonino Guerra che del Maestro sottolinea la straordinaria attualita` e l’importanza che le sue illuminanti anticipazioni continuano a racchiudere, ancora oggi, nel panorama culturale italiano. Fu un uomo d’arte e di cultura, ma anche progettista e divulgatore, di grande tensione ideale e organizzativa. In conclusione, in queste tre importanti monografie Lizzani rende esplicita la riflessione sul rapporto cinema e vita, sulla storia del cinema e sul suo linguaggio, attraverso lo sguardo poetico e nostalgico di uomo oltre che di cineasta. Come Autore ha sempre cercato di congiungere un’etica ed un’estetica e lo ha fatto con assoluta liberta` di linguaggio, di sperimentazione di nuove idee sul cinema, con un continuo interscambio fra generi e modelli, con profonda coscienza e unita` di stile.

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IL GOBBO: NOTE A MARGINE di Maria Lenti

«Si chiamano banditi quelli che vogliono cambiare il mondo?» chiede Alvaro Cosenza, il Gobbo ancora armato e “in guerra”, al suo amico partigiano che le armi, invece, le ha consegnate nelle mani degli alleati americani dopo aver combattuto per liberare Roma dai nazifascisti. Il desiderio di giustizia del Gobbo si scontra in tutto il film con il suo mettersi in gioco in una spirale di violenza e di vendetta. Ad iniziare da quella su Ninetta, una intensa e dolente Anna Maria Ferrero, che, pure, forse ama: paga lei le colpe di un padre, – (Moretti-Ivo Garrani) poi giustiziato comunque dal Gobbo quando, fascista sempre in piena regola e funzione, si fara` torturatore di un compagno di Alvaro, il Monco (Pier Paolo Pasolini) –, nella piu` classica e terribile delle vendette ad personam, in cui si mescolano, in chi ne e` carnefice, accanimento e piacere. Ne´ varra`, nel film e nella vita, il risarcimento sentimentale, il tentativo di farsi, lui stupratore, amoroso difensore o “pagatore” in una dinamica topica, o non rara, del vissuto di tali soprusi. Le altre violenze a seguire: gli omicidi, le aggressioni, contro tedeschi e gerarchi italiani, il saldo di conti verso una malavita che opera in suo nome, i controlli, protervamente tesi e imposti pistola in mano, alle mense “popolari” delle suore, in una lotta tutta individuale, non accettata e non inglobata nelle decisioni partigiane, non adeguata alle (e lontana dalle) necessita` del CNL. Alvaro Cosenza – un Ge´rard Blain a tratti sofferente e impavido come un eroe romantico –, nato in una borgata, il Quarticciolo, che delle caratteristiche insediative coatte del fascismo ha tutto il sapore e lo squallore, cresciuto (si suppone dal taciuto confluito nella vicenda di un diciannovenne piu` grande della sua eta`) senza arte ne´

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

parte ma con un forte senso di giustizia, da` corpo al suo sentire senza discernere le modalita` per vederlo realizzato o compiuto. La spinta primigenia, un atto d’amore verso i suoi simili come lui vessati e tartassati e sottomessi, si manifesta distruttiva e lo porta a percorrere la via piu` diretta, la piu` facile sembrerebbe, ma in definitiva la piu` difficile perche´ inconcludente sul piano del fine e dello scopo, la piu` arrischiata e compromissoria se ha a che fare con una lotta come quella di Liberazione, la piu` tragica perche´ mortale, anche per se´ e per la ragazza. La vicenda intreccia privato e pubblico: ma bastano pochi tratti a Carlo Lizzani per aderire alle (e portare lo spettatore sulle) posizioni antifasciste dei partigiani (sara` Cencio-Nino Castelnuovo a dire al Gobbo la diversita` tra la sua guerra e quella dei partigiani organizzati o quella tutta politica nella Roma “vigilata” dal comando americano), mentre proseguira` a descrivere la strada della forza (del protagonista) che sfida talora se stessa, della forza che aderisce alla forza e non vi si sottrae, seguendo il bandito del Quarticciolo, nei suoi conati, nei tentativi di salvare se´ e gli altri, tentativi fine a se stessi, nella gratuita` tutta esterna e infantile, pertanto drammatica, di gesti e atti dimostrativi, fino alla capitolazione per morte. Il desiderio del Gobbo non trova, meglio, non cerca la via di uscita da una pulsione cui basterebbe la consapevolezza della necessita` di un incontro tra un dentro e un dentro (rivelatore, ma e` un lampo, il pensiero sul figlio, che lo farebbe essere “come gli altri”) anche di coscienza politica o sociale, e tra questo nucleo e il fuori: sul canale di una adesione al mondo e a se´, si direbbe oggi, ossia senza scarti e crepe nel proprio essere, almeno lı` dove e` possibile. Era possibile ieri? Negli ultimi anni a vari livelli (politico, filosofico, culturale, ...) si e` indagato su come contrastare guerra e violenza, terrorismo, soprusi di ogni genere. Le risposte hanno avuto un de´calage, nel cerchio che ha messo in moto le domande, anche nei comportamenti individuali. Cosı`, forse, e` piu` possibile oggi riconoscere il desiderio e farne sostanza dell’agirsi, dell’agire, con gli altri, politicamente e nella polis, sostanza innervata con la necessita` di tempi che chiedono soluzioni alla violenza e non aggiunte ad essa o sue intensificazioni. Questo assunto ha una valenza interiore che, cosı` come e` posta, non interessava il regista teso a indagare, in buona parte della sua filmografia (non vi manca pero` una performance freudiana: La casa del tappeto giallo), oltre alla citta` assorbita dalla malavita e alle bande

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IL GOBBO: NOTE A MARGINE

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malavitose come sintomo di una malattia della societa` anche nel versante del terrorismo degli anni ottanta, l’eta` fascista e i suoi corollari: gli anfratti sociali e alcuni squarci di vita quotidiana, i misfatti dei protagonisti storici, i loro atti mancati, la coscienza degli altri che lottano contro ma per. Dunque, la vita di Alvaro Cosenza descritta nel film tende naturalmente (senza schemi e pre-ordinazioni storiche e con una pietas sotterranea mai giustificativa), a mettere in risalto l’estraneita` di un giovane, pur generoso, alla storia politica contemporanea e la inanita` dei suoi gesti: benche´ qualche fascista e alcuni nazisti paghino con la vita il loro essere tali, come responsabili di ignominie e prevaricazioni, i suoi atti non sortiscono effetti e nulla cambia per quelli come lui. (Che il figlio non nasca non e` privo di significato, al di la` delle motivazioni che possono spingere Ninetta ad abortire). Anzi sara` ancora una volta la legalita` di un potere (le forze dell’ordine), cui il Gobbo si ribella incapace in ogni caso di accogliere il succo delle sue azioni («Voi li chiamate danni quelli che faccio io?», dira` ai partigiani che non approvano la sua condotta e che, pertanto, gli chiedono di andarsene altrove perche´ non vi siano falle nella presenza della loro lotta), ad avere la meglio, a ristabilire l’ordine. Lo sconfinamento, che aveva subordinato le ragioni collettive alla soggettivita` immediata e violenta, segna i suoi confini. Accertati e fatti nostri i conti con una storia che i conti aveva, giustamente, fatti gia` con se stessa, il personaggio di Alvaro Cosenza oggi suscita interrogativi e riscontri e rimette in ballo – o ha rimesso in ballo nei periodi della nostra storia piu` recente, degli anni settanta e ottanta, ma direi anche delle ultime uscite terroristiche – domande e risposte, su una ribellione tutta di getto, cruda e privata, e una azione, invece, politica alternativa, in forme appunto politiche gia` sperimentate o che si possono ricercare, studiare. E, prima ancora o accanto, puo` muovere un interrogarsi spanto in un versante che ci riguarda politicamente, ci riguarda culturalmente e ci riguarda individualmente: il versante dell’analisi del desiderio cieco e dell’esatto suo contrario, il desiderio che si riconosce in un percorso fatto e da fare.

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LA VITA AGRA: ` L’IMPOSSIBILITA DEL ROMANZO A ESSERE FILM di Riccardo Bernini

Il film La vita agra, tratto dal romanzo di Luciano Bianciardi, e` un ritratto amaro delle conseguenze nefaste del miracolo economico degli anni Sessanta. Molti furono i tentativi di mettere su pellicola la bolla di sapone del Boom e quasi tutti questi tentativi sfociavano e si esaurivano nella commedia o nella satira. Anche il film di Carlo Lizzani non fa eccezione. Il romanzo e` invero disilluso e veramente drammatico, oserei dire grottesco ma non sicuramente adatto alla riduzione in forma di commedia. Probabilmente il regista piu` adatto, se questa cosa proprio si doveva fare, poteva essere Pietro Germi. Tra i vari film sul miracolo economico ne possiamo ricordare due oltre a quello di Lizzani: il primo non e` che un pallido riflesso del suo stesso tentativo critico ed e` La cuccagna di Luciano Salce, che vede protagonista un acerbo e mai maturato, come attore, Luigi Tenco. Il secondo piu` mistico (e postmiracolistico) e` Teorema di Pier Paolo Pasolini, il vero film sulla crisi della borghesia industriale italiana e sulla impossibilita` di un intervento critico al sistema. Semmai – a ben guardare – l’unica possibilita`, come poi si evince dal film, e` l’intervento divino. Ma torniamo a noi: il cinema, trovandosi di fronte a un’opera di letteratura e` quasi sempre in imbarazzo al momento di doverla ridurre per lo schermo. Anche Carlo Lizzani, proprio a motivo del suo rigore, si e` trovato ad affrontare questa difficolta`. Chiaramente oggi, per chi scrive, e` piuttosto difficile risalire ai motivi di certi tagli o cambiamenti operati rispetto al romanzo originario. Questa versione cinematografica de La vita agra presenta i tratti tipici della commedia amara, a momenti esistenziale.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

In letteratura il tempo e lo spazio narrativo possono essere infiniti; nel cinema non funziona allo stesso modo perche´ tutto deve essere necessariamente limitato soprattutto in un film come questo, realizzato da un regista esperto, autore sı`, ma sempre anche a contatto con lo spettatore. Lo scrittore, qui Luciano Bianciardi, e` spesso schivo e genera le sue immagini mentali per sistemarle sulla carta. Bianciardi conosce benissimo il mestiere di scrittore e spesso la critica, anche attualmente, lo considera un buon romanziere ma non vuole o non puo` riconoscere quando egli va oltre. Lizzani in fondo commette, ma solo in parte, lo stesso errore: rispetto al libro infatti si prende certe liberta` che pero` funzionano in modo leggero. Il romanzo non e` affatto un’opera cosı` leggera, anzi direi che, a tratti, la sua assurdita` ne fa un libro che mira a demolire l’anima – se c’e` – del miracolo economico. Bianciardi descrive i pezzi del delirio post-miracolistico, un delirio chiaramente in esito. A differenza di altri film dello stesso regista, questa Vita agra non ha i tratti tipici di quella necessita` che ha sempre caratterizzato altre sue fondamentali opere. Banditi a Milano o Il Processo di Verona e perche´ no, anche Il Gobbo nascono da un’urgenza del tempo o della storia e proprio dietro le pressioni della storia sono nati i capolavori della affollata filmografia lizzaniana. ` fin troppo chiaro che La vita agra non e` allo stesso livello di E altri film del regista ed e` anche chiaro che del romanzo ci resta un aspetto facilmente percepibile, qualcosa in forma di commedia. Il libro di Bianciardi ci mostra invero un uomo profondamente irrisolto che non e` riuscito ad essere cio` che si era imposto di essere e non trova nell’era postindustriale, nella sua naturale evoluzione, le giuste risposte agli enigmi che l’esistenza gli mette davanti. Il suo e` un progetto piu` ampio e manifesta una indubbia durezza d’animo ma come tutti i progetti distruttivi tende a scomparire proprio nel suo farsi poiche´ contempla uno sforzo immane e una grande disperazione spirituale. Il romanzo ha aspetti indubbiamente autobiografici e il protagonista, infedele traduttore sottopagato, e` in verita` lo stesso Bianciardi... Quando uno scrittore decide di cedere i diritti del suo romanzo per farne un film e` anche chiaro che controlla da vicino la sua riduzione, ma in questo caso mi pare che lo svogliato Luciano non ci abbia messo troppo l’occhio. Come tutte le persone molto intelli-

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` DEL ROMANZO A ESSERE FILM LA VITA AGRA: L’IMPOSSIBILITA

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genti anche Luciano Bianciardi lascia che la letteratura resti letteratura e che il cinema compia la sua opera di cinetismo. A volte tutto funziona piuttosto bene, altre volte il cinema travisa del tutto la materia letteraria realizzando un prodotto per coloro che restano sedotti dalla forza delle immagini. Tutta la materia del cinema e` incredibilmente seducente e spesso e` facile cadere nell’errore di pensare ad esempio che i vari Promessi Sposi dello schermo abbiano poi lo stesso valore di quelli sulla carta. Per questo motivo Bianciardi lascia campo libero alla macchina cinema, lascia che sia essa a tendere, a pretendere di spiegare quello che succede ai protagonisti di un romanzo che non era pensato per lo schermo: anzi, la fantasia dello scrittore si spinge ben oltre il rappresentabile. Il cinema chiaramente, per fronteggiare un’opera di narrativa, deve compiere delle scelte obbligate, ovvero immaginare e rappresentare la pagina scritta invece dello spettatore. Il quale e` spesse volte ignaro del processo di sottrazione. Lizzani stesso, quando ha avuto a che fare con Bianciardi, e` ricorso ad una scelta del tutto sua, quella appunto di mettere in evidenza la leggibilita` della filigrana comica, laddove per comico si intende amaramente comico, proprio come avveniva nel teatro dove lo spettacolo comico era piuttosto un dramma satiresco, e come tale non ha nulla a che vedere con il comico cinematografico. Una certa critica un poco troppo seria e forse meno dotata di quanto crede, ha sempre visto nel nostro autore un progressivo decadimento verso il cattivo gusto. Spesso uno scrittore e` costretto a compiere scelte piu` complesse di quanto si creda ed e` piu` o meno questo che e` successo con La vita agra. Bianciardi forse non sapeva che quello sarebbe stato il romanzo che in molti avrebbero ricordato ma certamente sapeva che quella era l’opera della sua vita, non soltanto intesa come il suo capolavoro definitivo. Di definitivo c’e` poco, in realta` e` un costante mettersi in gioco. Onore a Lizzani per aver visto nel romanzo un’elegia anti-industriale in un’epoca in cui tutti, o quasi, cantavano inni d’amore al progresso industriale. Nel film come nel romanzo c’e` pochissimo amore e i legami sono tutti ironici, flebilissimi, volatili, anche per il protagonista l’amore e` qualcosa di complicato. A conclusione del nostro discorso possiamo senza dubbio aggiungere una postilla che, del resto ha sempre fatto parte del discorso teorico legato al cinema e riguarda l’impossibilita` di principio che impedisce la piena trasposizione di un romanzo in pellicola.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Non resta che ammettere questa impossibilita`; credo che sia anche per questo che Bianciardi ha lasciato che il film prendesse una determinata piega verso la commedia.

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CELLULOIDE, MATERIA E SEGNO di Stefano Gambelli

Non e` la prima volta che la macchina da presa appare in un film di Lizzani. Era gia` avvenuto ne Il processo di Verona, dove il rumore del trascinamento della pellicola irrompe e si espande sull’inquadratura finale del cadavere di Ciano. Nello stesso film compaiono anche inserti documentari che mostrano la liberazione di Mussolini sul Gran Sasso e il suo successivo incontro con Hitler: immagini nere, finzionali e reali, che sprigionano, sanciscono e rimandano alla morte, di cui, alla cinepresa, e` demandato il compito di fissare il meccanico orrore che i fatti e i personaggi della storia e del film hanno profuso, e di cui sono a loro volta e misura intrisi. In Celluloide, trent’anni dopo, ma meno di un anno separa gli accadimenti, Sergio Amidei sceneggiatore cosı` accoglie le perplessita` di Rossellini sceneggiatore e regista a proposito di un primo finale di quello che sara` Roma citta` aperta: «Se i ragazzi stanno fermi a guardare... significa che cio` che hanno visto [la fucilazione di don Pietro] ha la meglio e vince la morte e loro soccombono. Ma se i bambini si muovono e voltano le spalle alla macchina da presa che gli ha fatto vedere la morte e si allontanano, l’idea e` capovolta, cioe` vanno verso il futuro, che e` l’opposto della morte, la speranza». Analogamente, ma sul piano cromatico e di nuovo, documentale, all’inizio del film gli inserti di reportage dell’entrata a Roma degli alleati passano dal bianco e nero dei primi spezzoni al colore delle immagini successive, permettendo alla finzione di legarsi alla realta` nel segno della sopravvenuta gioia e liberazione. Celluloide, il titolo del libro di Pirro mantenuto dal film: materia prima del farsi del cinema ma pure sinonimo del mondo fittizio cui esso si associa e rimanda: la concretezza fisica, chimica e tattile della sostanza da cui fantasmagorica-

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

mente scaturiscono emozioni e sogni, e in cui del pari si conserva l’attualita` e si costruisce la memoria. Titolo empirico che perfettamente indica e sintetizza cio` che fluisce nelle pagine del libro e nelle immagini del film: la pratica e l’esperienza del cinema. A Cinecitta`, con il traffico di via Tuscolana, esterno giorno, oggi, comincia la ri-costruzione lizzaniana; per proseguire all’interno di uno studio cinematografico, in un vasto camerino dove alcuni attori (Massimo Ghini, Giancarlo Giannini, Anna Falchi, Lina Sastri, Antonello Fassari) si stanno truccando. I personaggi che devono interpretare, ai quali devono dare il proprio volto, e fondare i loro mimemi per un pubblico che gia` sa e conosce, sono, e non e` poco, Roberto Rossellini, Sergio Amidei, Maria Michi, Anna Magnani, Aldo Fabrizi, ritratti nelle fotografie che ciascuno ha, rispettivamente, davanti: icone di cinema, riverberi di mito, schegge di storia, nelle quali si cerca ispirazione, e con le quali si istituisce, sin da subito, un (arduo) confronto. Lo stesso Lizzani compare brevemente riflesso in uno specchio mentre dispensa consigli. Eppure facilmente, quasi naturalmente, merce´ un artificio ardito della sceneggiatura a determinare un mondo d’invenzione a scostamenti progressivi rispetto alla realta` della grande finzione rosselliniana filtrata dai successivi postulati narrativi del romanzo di Pirro, il film si avvia entrando nel tempo, nei fatti, nei personaggi, nell’epoca, in un’epoca: quella del cessare ` il rumore di un della guerra, quella del principiare del neorealismo. E aereo a destare l’attenzione di Ghini e di Giannini (ma sono gia` Rossellini e Amidei) che, spinti dalla curiosita` per cio` che accade fuori («Basta guardarsi intorno e trovi tutti i soggetti che vuoi»), si avvicinano alla finestra. Cinquant’anni fa: gli americani arrivano a Cinecitta` occupata dagli sfollati e lı` trasformando i resti del vecchio cinema italiano, «gli elmi di cartapesta, le spade di latta, le tuniche», in un giocoso e colorato carnevale ne segnano la fine. Dalle immagini di repertorio che seguono sbuca il volto del personaggio con il quale si apre il libro di Pirro: Jone Tuzi, segretaria di edizione, «un nome sconosciuto soltanto a chi si e` occupato di cinema sempre alla ` questo il primo di una serie innumerevole di personaggi, lontana». E storie, aneddoti, che si intrecciano nelle pagine del libro, e sui quali la sceneggiatura interviene delimitando il panorama a chi e a quanto ha direttamente a che fare con il progetto e la lavorazione di Roma citta` aperta. Quel flusso di episodi, casi, vicende che legano tra loro – senza che vengano sempre a diretto contatto – molte delle figure piu` significative del cinema italiano alle prese con quanto accadeva nel

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CELLULOIDE, MATERIA E SEGNO

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periodo compreso tra l’occupazione nazista e la liberazione, e che davvero conferiscono al racconto il tono di «avventure», inevitabilmente si perde nel passaggio dal letterario al filmico. Ma cosı` accade pure che mischiando luoghi e fatti reali decantati da un’invenzione ad altri luoghi e fatti stillati da un’altra finzione alla cui base tuttavia resta, come per la prima, un orizzonte referenziale fatto di eventi minuti e salienti e d’un capo d’opera, la ricomposizione, di finzione, si riveli in definitiva un quanto mai reale «sviluppo della nostra conoscenza dei fatti». Del resto appare gia` problematica e temeraria l’idea, ancorche´ riuscita negli esiti poco (poiche´ volutamente tali) mimetici, di ridare un volto alla Magnani, a Rossellini, a Fabrizi: pressoche´ impensabile, visivamente, dar forma credibile alle espressioni di De Sica «attore brillante e patetico» di fronte al generale tedesco che vorrebbe mandarlo a Venezia «per partecipare alla rinascita del cinema italiano e fascista», nell’altrettanto patetica e appassionata narrazione di Pirro. Proprio in riferimento a De Sica, alla popolarita` del suo volto e della sua voce, si delinea, quasi per contrasto, il confronto con una certa “inaccessibilita`” di Rossellini – peraltro non del tutto risolta nella rappresentazione di Lizzani, forse sovraesposta nella tentazione, questa sı` tutta rosselliniana, di fare divulgazione di storia, e dipintura a ritratto dei suoi protagonisti. Se infatti l’iniziale insuccesso e le perduranti incomprensioni rispetto a Roma citta` aperta si ripeteranno di lı` a breve per Sciuscia`, le successive carriere dei due grandi maestri seguiranno strade assai diverse per cio` che concerne l’impatto con il pubblico; e il pathos desichiano sara` infatti sempre sentito piu` vicino e congenito rispetto a “l’obbiettiva constatazione dei fatti”, l’incombenza della morte, l’attesa, l’inesorabilita` dei film del regista romano; e pur essendo Roma citta` aperta il piu` spurio della trilogia del dopoguerra, il piu` contaminato e forse proprio per questo il piu` popolare, anche dai suoi fotogrammi si dirama una lividezza tragica lontana dal colore di Celluloide, libro e film. D’altro canto, il senso del lavoro di Lizzani e di Pirro non si alloca in un’analisi critica del capolavoro rosselliniano: esso non si da` come modello di riferimento a cui accostarsi, e non e` l’opera nella sua forma compiuta a voler essere restituita o indagata. I fotogrammi di Roma citta` aperta che appaiono nel film sono talmente pochi e brevi che si impongono come bagliori, luci immanenti, frammenti di un risultato che ha del miracoloso, e del meraviglioso. Celluloide e` davvero la pellicola, il composto sensibile, il substrato da cui quelle immagini sono scatu-

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

rite, e continuano a balenare: e` la loro storia. Che e` poi quella degli uomini – delle loro idee, del loro lavoro, dei loro umori, delle loro vicissitudini – che le realizzarono, e del tempo e delle condizioni in cui cio` avvenne. Operazione comunque difficile e rischiosa, e per piu` di un motivo. Per cio` che Roma citta` aperta ha rappresentato e rappresenta sul piano della visualita`: la sua intangibilita` iconica e, non paradossalmente ma parallelamente, la sua “riduzione” iconografica a poche scene madri: sacralita` del remoto che esemplarmente riflette la distanza storica, la lontananza civica del cinema, del pubblico, della societa` attuali dall’estetica e dall’etica del neorealismo. Operazione che Lizzani artisticamente tenta, linguisticamente svolge facendo ricorso a piu` livelli finzionali. Accanto al prologo, alle immagini d’epoca, ai frammenti rosselliniani, sussistono infatti altri inserti che costellano d’aperture semantiche (le opzioni, le scelte, gli scarti, le differenze) il “metatesto” e tassellano di testimonianze storiche (vere, finte, verosimili: deformate certo, falsificate forse: false mai) la narrazione: flashforward, soprattutto, di cio` che Rossellini e Amidei immaginano, vedono, del soggetto o della sceneggiatura. Sono immagini in bianco e nero che servono non ad “imitare” quelle vere di Roma citta` aperta, cui pure “indicalmente” rinviano, bensı` a mantenerle ad una distanza rispettosa, quasi un filtro – come per l’incipit – di fronte, a fronte della materia originaria. L’idea del film prende avvio dalle discussioni fra i due autori, dal racconto di Amidei di un pericolo corso in prima persona, dai sopralluoghi; si fa e si disfa, procedendo per sottrazioni («Via la luna, via il pitosforo...») alla ricerca dell’essenziale; o per accumulo, alla ricerca di altri segni del mondo (don Pappagallo, Teresa Gullace). Parallelamente alla stesura del soggetto procede un’altra ricerca, la piu` concreta e contingente, ma pure avente nella sua stessa materialita` funzione di simbolo e verita` di documento: il denaro per la realizzazione del film, la caccia ai possibili produttori. Se la pista di una ricca contessa indicata a Rossellini dall’ex comandante di marina Civallero, conosciuto ai tempi di Uomini sul fondo, e da Salvo D’Angelo, produttore sfortunato de La porta del cielo, si rivela un bidone, dando modo al film di sottolineare il lato galante e menzognero del regista insieme alle condizioni davvero precarie dell’apparato produttivo nelle quali il nuovo cinema nasceva, ricco di conseguenze si rivelera` l’incontro con Peppino Amato. Insieme a quello di Amidei, il personaggio forse piu` riuscito e convincente del film dal punto di vista attoriale, con

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CELLULOIDE, MATERIA E SEGNO

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Massimo Dapporto pronto a restituirne l’arroganza, la millanteria, la miopia intellettuale, ma pure la veracita` partenopea, insieme ad una simpatia spontanea: quasi un prototipo delle caratteristiche della figura del produttore cosı` come si e` affermata in buona parte dell’immaginario cinematografico italiano. Se Rossellini smussa, cela, blandisce, Amidei sentenzia, strepita, s’indigna. La rottura con Amato (che pochi anni dopo di Rossellini finanziera` Francesco giullare di Dio) e` inevitabile: «Qual e` il cuore di questo film? Non vedo cuori... Avevamo detto niente politica e invece e` politicissimo. Avevamo detto speranza, carita` e tu ci hai messo lacrime, sangue... Parlate di verita`, la verita` non deve essere esagerata, deve essere sincera...» lamenta, e il suo pensiero e` chiaro, il produttore napoletano. Non diversamente da quanto pretenderebbe il signor Mosco per distribuire l’opera finita: «Via scene terribili, via morbosita`, via cocaina: e soprattutto, via politica». Della travagliata e pure entusiasmante lavorazione di Roma citta` aperta, Cellulloide restituisce le fasi e le vicende passando dal titolo di un primo vago soggetto “Borsa nera”, al successivo e ancora generico “Storie di ieri”, a quello piu` vicino di “Citta` aperta”. Il metodo e i luoghi di lavoro di Rossellini e Amidei, la scelta degli attori, le riprese, il montaggio. I sopralluoghi, la dettatura, l’incontro e le prime difficolta` con Fabrizi e la Magnani, la casualita` e l’abilita` – “fiuto”, verrebbe da dire, per quel miscuglio, reso percettibile allo spettatore, di sensorialita` ed intuito nell’individuazione di volti e figure “giusti” prima ancora che adatti o adeguati –, persino la luce ` far rivivere, ri-costruendone il farsi, fissanartificiale insufficiente. E done con il doppio passo dell’invenzione e della fattualita` il divenire, momenti (istanti e punti, circostanze e congiunture) emozionanti, del cinema e del film, restituiti attraverso un sapere che letteralmente vuol “dare sapore” e “far conoscere”, miscelando meticolosita` e fascinazione, nostalgia e riguardo, disincanto e prossimita`. A volte forse si semplifica nel dire e nel mostrare, e un fittizio che scivola nello spurio a tratti prevale. Ma pur sempre per tentare di dar forma, corpo e sostanza a quella che per Rossellini, Amidei ed altri era in quel momento l’esigenza del tempo, dal tempo stesso dettata e resa improcrastinabile: ridisegnare l’ontologia dell’immagine e della visivita` cinematografica. C’e` in Roma citta` aperta quasi una metafora del nuovo sguardo che il cinema deve di lı` in avanti volgere al mondo e ` quando a don Pietro, arrestato, agli eventi, volgendolo in se´ e a se´. E vengono infranti gli occhiali: per cio` che di lı` a breve vedra` (le torture

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

a Manfredi) e per come vedra` (senza l’ausilio di alcuna lente che alteri – correggendola – la vista/visione) si potrebbe parlare di una sorta di manifesto, di una dichiarazione d’intenti da parte del regista, il “segno dell’autore”, della sua relazione visiva, oculare, con la verita` dell’immagine. Realta` captata dall’immagine, dall’immagine colta (nel senso, anche, di coltivata), da radicare in visione: Rossellini, in Celluloide, e` presentato al vivo di chi sensibilmente, prima ancora che cognitivamente, sente il nuovo, e si prova a dare ad esso forma. Quest’ansia di cambiamento, questa ricerca di trasformazione e` costantemente presente in Celluloide, attraversandone i dialoghi («Questo e` il personaggio di una donnetta!» esclama perplessa la Magnani dopo aver letto il copione; «A te ti piace questa luce macabra [macraba nel testo]?» chiede Amato all’operatore Arata, «Non mi piaceva ma adesso mi piace... La fotografia non deve essere una cartolina illustrata. La fotografia deve aderire alla storia che raccontiamo»; «Guarda che se l’idea funziona e l’immagine non funziona significa che l’idea non funziona» disputano Amidei e Rossellini), trovando marca performativa e scenica in quell’attivismo sornione e opportunista di Rossellini, sorta di speculare e vitale estrinsecazione del convincimento estetico che ne muove atti e misfatti: fino a renderlo disponibile anche a sotterfugi e compromessi. I quali, s’intende e lo si intende, non avrebbero potuto comunque inficiare la forza di rottura del film; e la sua urgenza: indispensabile era cominciare, non perdere tempo. E ancora a dire il tempo, nella messa in scena lizzaniana: quello della storia, quello della rappresentazione, quello della storia della rappresentazione, e insieme al tempo i suoi attori, coloro che agiscono o agiranno in esso. Fra gli aspetti piu` interessanti del film e del suo autore che Cellulloide pone in sottolineatura e` la presenza dei bambini e l’importanza a loro assegnata: i nuovi soggetti di storia di Roma citta` aperta, ma anche i figli del regista e quello della Magnani. Lizzani che e` stato sceneggiatore e aiuto-regista di Rossellini in Germania anno zero, forse il film piu` disperato tra i tanti ad avere un adolescente come protagonista (dove altro si giunge a mostrarne il suicidio?), ben coglie questo elemento peraltro quasi assente nel libro di Pirro. Figure dell’infanzia quale emblema ricorrente del neorealismo, come pure elemento rintracciabile in molti Tru¨mmerfilm europei; ma non solo. In Roma citta` aperta il ruolo dei ragazzini non si esaurisce nella splendida scena finale del cui senso si e` gia` riferito, ma impronta di se´ altri momenti del film, quasi a percorrerlo, a costituire la filigrana di un cam-

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CELLULOIDE, MATERIA E SEGNO

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mino di dolore, di riscatto e di speranza per il futuro: il rientro, accompagnato dallo stesso commento musicale epico e tragico del finale, di Romoletto e della sua banda dalla missione di guerra, l’attentato cui fara` seguito il rastrellamento tedesco; il ritorno, tenero e comico, dei ragazzi alla condizione infantile e subordinata sancita dagli imprope`ri e dagli scappellotti degli adulti, ignari, ma in ansia per il ritardo; il dialogo serio e affettuoso tra Marcello e Francesco, prossimo marito della madre, rispettoso del segreto del nuovo figlio; ancora, l’indugiare di Francesco con Marcello che gli fa dono della sciarpa di Pina, sorta di investitura a padre legittimo e amato, indugio provvidenziale che proteggera` Francesco dalla cattura e dalla morte; il pianto straziato e straziante del piccolo sul corpo della madre uccisa dalle raffiche di mitra. E questa e` anche l’ultima immagine di Celluloide, fermo fotogramma che conclude, riconoscimento e omaggio, una serie di fotografie di Roberto Rossellini, sul set e nella vita privata, con Anna Magnani, con Sergio Amidei, con Charlie Chaplin. Tra le foto, una che lo ritrae accanto alla macchina da presa con i suoi due bambini, gli stessi presenti nel film, magari lasciati a un tavolino ordinando per loro un altro maritozzo, da un padre sempre affaccendato ma pure premuroso e attento il quale pensando a loro e per loro si fa donare ora della cioccolata (dal giovane Fellini) ora dello zucchero (dalla mamma Magnani). Uno spazio maggiore occupano le vicende legate al figlio di Anna Magnani, tanto da risultare come l’elemento attraverso il quale il personaggio dell’attrice piu` si definisce. La delusione e il rancore accumulati per essere stata costretta a rinunciare al ruolo di Giovanna in Ossessione, l’aver dovuto subire l’offensivo e cinico invito a liberarsi di cio` che portava nel ventre, l’aver scelto quasi rabbiosamente la maternita` a scapito della carriera, hanno generato nella donna attrice un viscerale attaccamento al figlio insieme al timore di non poter recuperare un’occasione perduta, di rimanere relegata nell’ambito della com` Rossellini a sostenerla contro il parere di Amato che al suo media. E posto preferirebbe la “recidiva” Calamai e contro il parere dello stesso Amidei, poco convinto delle sue doti drammatiche, data anche la complicazione dell’improvviso ammalarsi del figlio che Anna antepone alla vita professionale. Le riprese si fermano, Rossellini corre dalla donna che di lı` a breve, e per breve, sara` la sua compagna per sostenerla ed aiutarla. Nella sua vicinanza e comprensione, nell’amorevole gesto di imbracciare le coperte che avvolgono un corpo infantile malato, quasi un annuncio della morte del figlio Marco Romano che lo colpira` nel 1946, un anno dopo.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Se era stato l’arrivo degli americani a Cinecitta` ad avviare l’azione di Celluloide cosı` come aveva dato inizio al lavoro di Rossellini pronto nel voler cogliere con la cinepresa la nuova realta`, e` da un soldato americano che giunge la fiducia per proseguire nella lavorazione di un progetto ormai abbandonato dai produttori. Rod Geiger non solo continuera` ad alimentare l’allaccio clandestino di corrente, ma si dimostra interessato a distribuire il film sul mercato statuni` in questa scena che Lizzani piu` si allontana (volutamente?) tense. E da Roma citta` aperta, dall’impatto emotivo e “scandaloso” delle sue immagini. L’irruzione di Geiger avviene infatti in un momento di pausa mentre si sta girando l’interrogatorio di Manfredi: il volto di Pagliero trasformato dal trucco in una maschera di sangue e gli strumenti di tortura sono esibiti dalla troupe tra sudditanza e orgoglio all’incuriosito e interessato tenente insieme alla macchina da presa, i riflettori, i microfoni, come marche connotative, quintessenza del cinema e della sua finzionalita`. Possibile contrasto tra la poverta` del set allestito in una fredda cantina romana e la magnificenza di studios hollywoodiani, ennesimo rimando alla vitalita` del girare, del mettere in scena, del lavoro del film anche a cospetto dei risultati piu` “veri”, piu` tragici e forti da esso raggiunti. Una pioggia fitta e insistente con qualche tuono (senza l’oscurita` tragica del temporale fiorentino che prelude alla morte di Maciste in Cronache di poveri amanti, film dove tra gli sceneggiatori figura lo stesso Amidei) e` lo sfondo drammatico della lite e del temporaneo distacco tra Rossellini e Amidei una volta terminato il lavoro. Lizzani trova i toni giusti della vicinanza e della lontananza, dell’amicizia, della solitudine e della titubanza, nel cercarsi reciproco – timido quello dello sceneggiatore, fugace quello del regista – e nel non trovarsi: il primo restera` nella sala di proiezione vuota, il secondo se ne andra` con Anna. Per rincontrarsi dopo la deludente prima al Quirino in un abbraccio di stima, di amicizia e di affetto ben piu` forte, resistente e durevole delle appena sufficienti recensioni concesse al film (tra i giornali sfogliati si nota “l’Unita`”, la critica di cui vengono riproposti stralci, come ci informa il libro di Pirro, e` di Umberto Barbaro). E ancora nel segno della solitudine e` l’uscita di scena di Amidei che si allontana dopo aver constatato la fine della relazione con Maria Michi, mentre ancora in compagnia della Magnani, Rossellini, con noncuranza, attende il futuro. Stati d’animo, relazioni, destini dei personaggi che di Roma citta` aperta sono stati gli artefici, che rimandano direttamente alla sorte, ancora sospesa, del

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CELLULOIDE, MATERIA E SEGNO

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film. Doviziosa era la pioggia che aveva sancito la fine della lavorazione: il successo, i premi, la fama sopraggiungeranno copiosamente, anche se in ritardo e dall’estero. C’e` grandezza e malinconia nel finale di Celluloide, riscatto e rimpianto si amalgamano nelle marche grafiche, nelle scritte che scorrono sulle immagini adesso ferme eppure mai cosı` cariche di emozione: «Cinque mesi dopo, il 26 febbraio 1946, Rod Geiger presento` il film a New York. “Open City” (Citta` aperta) fu proiettato al World Theatre per ventuno mesi consecutivi dalle 9 del mattino alle 11 di sera. New York Times. N. Y. Herald Tribune, Life, Time, New Yorker, furono unanimi nel definirlo “il capolavoro dei nostri tempi”. Sempre nel 1946 il film trionfo` a Parigi. I consensi della critica del pubblico e della cultura francesi furono decisivi per l’affermazione internazionale di Roberto Rossellini e del neorealismo italiano». In fondo Amidei l’aveva previsto: «Non ti riuscira` piu` una scena cosı` bene», aveva commentato senza malizia alle perplessita` del regista circa la presunta brevita`, quella bruna e fulminea cortezza, della sequenza della morte di Pina. Lı` nella sala di montaggio insieme al dettaglio della moviola, della pellicola, della giunta segnata da Rossellini, un richiamo alla celluloide, vicino alla quale Amidei imperturbabile continua a fumare e sulla cui infiammabilita` scherza accostandola all’ardore del regista verso la Magnani. In seguito Rossellini girera` scene altrettanto belle e potenti, ma certo nessuna della stessa forza empatica e patemica, capace di bruciare in pochi istanti tanti film del passato e del futuro, crogiuolo del neorealismo, del cinema e della storia. Il film di Lizzani non ha ottenuto il successo che avrebbe meritato. Pensato poco dopo l’uscita del libro di Pirro (1983), si e` dovuto attendere quasi un decennio prima che trovasse dei produttori. Fortemente voluto da Pontecorvo alla Mostra di Venezia del ’95, ma per allora non ancora ultimato, ne furono presentati degli spezzoni, accolti con qualche perplessita` dai critici. Uscito nelle sale cinematografiche la stagione successiva e passato quasi inosservato, fu prontamente ritirato dalla distribuzione. Dalla critica riceve recensioni contrastanti, per lo piu` generiche, ma quasi sempre concordi nel rimproverare l’inadeguatezza, di ruolo e di presenza, degli interpreti, oppure volte ad esaltare la grandezza immortale di Roma citta` aperta senza indugiare come dovuto sui meriti di Celluloide. Meriti di testimonianza storica, prima che di immagine documentaria, sul lavoro del cinema – la fatica ma pure la forza del fare – di cui quella grandezza si materia, che di essa e` materia, forma.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

E infine. Senza forzare dei paragoni che risulterebbero inappropriati, e` lecito rimarcare le difficolta` che un cinema non in sintonia con le tendenze piu` in voga, e artistiche e di mercato, ha sempre incontrato. Dell’opera di Lizzani (e di Pirro: la collaborazione tra i due risale al 1951, con Achtung! Banditi! e si snoda per quasi cinquant’anni percorrendo una decina di film) preme sottolineare, al di la` di quanto scritto, il merito di aver riproposto un film, i suoi protagonisti, la sua epoca che, a differenza di quanto si potrebbe pensare, sono di fatto assenti, remoti, dalla cultura e dalla vita italiana dell’oggi e di oggi: di averlo fatto guardandoli “da vicino”, cogliendoli sul momento e cosı` attualizzandoli e vivificandoli rispetto alla distanza che la storia e la critica di necessita` istituiscono, finendone per farne passato. Per alcuni aspetti, quali l’apparente distacco emotivo dello stesso regista, la scelta e l’interpretazione degli attori, il succedersi di eventi grandi e piccoli senza una gerarchia drammatica ma quasi accomunati dalla quotidianita` e dalla contingenza, Celluloide ha i tratti piani e naturali di un film per la televisione (piu` di un’analogia e` riscontrabile con Un’isola, realizzato da Lizzani nel 1986 per Rai Due e Antenne 2, e non solo per la presenza di Massimo Ghini nella parte di un Giorgio Amendola assai vicino al Rossellini di Celluloide). Ed anche sul piccolo schermo il film l’avremmo voluto vedere, non relegato in orari impossibili, ma in prima serata a seguire Roma citta` aperta, in quella gia` richiamata ottica di divulgazione e di impegno culturale cara a Roberto Rossellini, di cui Lizzani, a sua volta, ha saputo magistralmente farsi interprete. Di cui Celluloide, sorta di «instant movie all’incontrario» sulla memoria del cinema, e` magistrale esempio.

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TIPOLOGIE VS CARATTERI. RIFLESSIONI SULL’USO DELLE FONTI DOCUMENTARIE NEI COSTUMI DI DUE FILM DI CARLO LIZZANI di Cristina Ortolani

Nel quadro di una filmografia costellata di titoli “in costume”1, dalla 2 recente fiction tv sulle Cinque giornate di Milano ai lavori ambientati in epoca fascista, Carlo Lizzani non sembra attribuire al de´cor un ruolo particolare. Interrogato in proposito, il regista romano conferma di vedere in costumi e ambientazione solo uno dei mezzi per arrivare alla credibile ricostruzione dei personaggi o dei fatti, al pari degli altri elementi del linguaggio cinematografico: solidamente integrati nel contesto del film, scene e costumi devono prima di tutto 3 essere “funzionali ai personaggi e alla storia” . Poco “funzionali” perche´ troppo orientati al “fiabesco” rispetto alla materia del racconto sono ad esempio, secondo il regista, le creazioni di Danilo Donati per L’Amante di Gramigna (1968); indifferente alla provenienza di un costume (il “repertorio” vale quanto un abito appositamente creato), Lizzani sottolinea piuttosto la “flessibilita`” di Piero

1 Solitamente i film “storici” si distinguono da quelli “in costume” per la presenza in questi ultimi di elementi di fantasia: distinzione che sfuma considerando la componente di inventio presente in ogni narrazione. “In costume” si riferisce qui, dunque, a una prassi cinematografica e teatrale che indica nel “costume” gli abiti di scena di epoche diverse da quella contemporanea. 2 Le cinque giornate di Milano, sceneggiatura di Fabio Campus, Giuseppe Badalucco e Franca De Angelis, liberamente tratta da La memoria dei fiumi di Nino Majellaro, prod. Rai Fiction e Progetto Immagine, 2004. Per i dettagli sui film di Carlo Lizzani citati d’ora in avanti si rimanda alla filmografia contenuta in Gualtiero De Santi, Carlo Lizzani, Roma, Gremese editore, 2001, alle pp. 115-123. 3 Nostra conversazione con Carlo Lizzani, 11 maggio 2005.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Gherardi4, che portava il grande costumista a disegnare con la stessa efficacia il gobbo del Quarticciolo e le creature grottesche di Fellini. Se si escludono Gherardi, Edith Bieber (autrice dei costumi per Cronache di poveri amanti e Achtung! Banditi! nonche´, successivamente, moglie di Lizzani5) e pochi altri tra cui Lina Nerli Taviani6, non si registrano per Lizzani sodalizi speciali con costumisti o scenografi, la cui scelta e` da attribuirsi di volta in volta alle esigenze artistiche ma anche, probabilmente, a precise necessita` di produzione. A ben guardare, pero`, questa sobrieta` apparentemente lontana da eccessi filologici di stampo viscontiano svela, forse piu` di capolavori dove il de´cor ha un ruolo vistoso, un aspetto del mestiere del costumista spesso sottovalutato, ovvero la ricerca sul dettaglio, la scansione sistematica delle fonti (meglio, delle tracce7) che serve il tessuto narrativo, sciogliendosi sullo schermo nell’intuizione del potenziale espressivo di una pince o di un toupet.

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Piero Gherardi (1909-1971), storico collaboratore di Federico Fellini (ricordiamo tra gli altri i costumi de La dolce vita, 1960 e 8 e mezzo, 1963) firmo` per Lizzani i costumi de Il gobbo (1960) e Il carabiniere a cavallo (1961), collaborando anche a Il processo di Verona (dove pero` non figura nei crediti) per l’impostazione della figura di Silvana Mangano (Id.). 5 Edith Bieber ha poi lasciato il cinema per dedicarsi esclusivamente alla pittura – oltre che, aggiunge Lizzani, “alla famiglia” (conversazione con Carlo Lizzani, cit.). 6 Con Lina Nerli Taviani, moglie del regista Paolo, Lizzani ha collaborato per i costumi de La casa del tappeto giallo (1983) e Un’isola (1986); due anche le collaborazioni per Rita Corradini (Mamma Ebe, 1985 e Assicurazione sulla morte, 1987) ed Enrica Barbano (Cattiva, 1991 e Stato d’emergenza, 1994); contando anche le scenografie, tre collaborazioni per Luciano Calosso (la scenografia di Cattiva e Stato d’emergenza e i costumi di Fontamara, 1980), e per Elena Poccetto Ricci (le scenografie de La casa del tappeto giallo, Un’isola e Emma, 1989). 7 «Tradizionalmente, riferendosi ai loro documenti gli storici parlano di “fonti”, come se stessero attingendo alle sorgenti della verita`... la metafora e` indubbiamente efficace ma risulta fuorviante quando implica la possibilita` di un resoconto del passato non contaminato da intermediari... Come ha indicato circa cinquant’anni fa lo storico olandese Gustaaf Renier (1892-1962), potrebbe essere utile sostituire il concetto di “fonti” con quello di «tracce» del passato nel presente. Il termine “tracce” si riferisce tanto ai manoscritti, ai libri a stampa, agli edifici, agli arredi... quanto ai vari tipi d’immagine: dipinti, sculture, incisioni, fotografie» (Peter Burke, Testimoni oculari – Il significato storico delle immagini, Roma, Carocci ed., 2002, pag. 15). Sulla fotografia come documento storico si vedano: Adolfo Mignemi, Lo sguardo e l’immagine. La fotografia come documento storico, Torino, Bollati Boringhieri, 2003 e Gabriele Autilia, L’indizio e la prova – La storia nella fotografia, Firenze, La Nuova Italia, 2001.

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TIPOLOGIE VS CARATTERI

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I. Nel 1954 Carlo Lizzani dirige Cronache di poveri amanti, realizzando finalmente un progetto cui aveva atteso a lungo, tra gli altri, Luchino Visconti: L’avventura delle Cronache cinematografiche e` durata sei anni; a un certo momento voleva fare il film addirittura una casa di Hollywood (era il ’47 e McCarthy non comandava ancora); John Garfield telegrafo` offrendosi per la parte di Ugo; Ge´rard Philipe doveva essere Mario, Lucia Bose` Milena, eccetera. Ma primo di ogni altro era stato Luchino Visconti a credere nelle Cronache come film: si lavoro` sei mesi alla sceneggiatura, non mancava altro, come si dice in gergo, che “partire”. Poi, coloro che dovevano finanziare il film cambiarono parere. Ci penso`, in seguito, De Santis, diversi altri registi, oltre che Lizzani e Camerini, interrogato da “Epoca”, indico` le Cronache come il film che avrebbe ambito realizzare. Manco`, ogni volta, un produttore “che avesse del coraggio”. (...) Finalmente Lizzani c’e` riuscito; c’e` riuscito perche´ soltanto nella Cooperativa Spettatori Produttori Cinematografici ha potuto trovare e coraggio e fraterna fiducia. (Vasco Pratolini) La lettura di Cronache di poveri amanti mi emoziono` moltissimo. Cosı` quando seppi che Amidei e Visconti rinunciavano a farlo, riuscii a prelevare io i diritti, convinsi Pratolini, e trovammo anche, in modi non certamente semplici, i finanziamenti. Il mondo dei Poveri amanti era il mondo un po’ mitico del primo antifascismo, quello subito dopo il golpe mussoliniano, ma soprattutto era ricco di personaggi veri, costruiti, complessi. C’era bisogno, per me, di passare nel nostro cinema a personaggi di questo genere, perche´ fino ad allora ci eravamo occupati piu` dell’ambiente, avevamo fatto film molto corali, senza scavo sul personaggio. Io mi sentivo il romanzo particolarmente congeniale proprio per il suo tema di retrospettiva storica antifascista che mi interessava parecchio. E sono grato alla cooperativa che avevamo formato la quale mi consentı` di realizzarlo cinematograficamente. (...) Le vicissitudini del film a Cannes sono note, pezzi grossi del mondo del cinema e della politica cercarono di boicottarlo come poterono, chiesero perfino alla Francia di non premiarlo. Fu uno degli episodi 8 piu` cupi dello strapotere democristiano di quegli anni. (Carlo Lizzani) 8

Le due testimonianze sono tratte da L’avventurosa storia del cinema italiano, a cura di Franca Faldini e Goffredo Fofi, Milano, Feltrinelli, 1979, pp. 333-334 (il volume riporta alle stesse pagine anche una dichiarazione di Sergio Amidei, in cui egli ricorda di aver “regalato” la sceneggiatura a Lizzani, perche´ il film era prodotto da una cooperativa). Se la censura impedı` al film di vincere la Palma d’oro al Festival di Cannes del 1954 e ne vieto` l’esportazione, Cronache di poveri amanti fu comunque premiato come miglior film della stagione 1953-’54 con la Grolla d’oro a Saint-Vincent, mentre Peck G. Avolio, autore delle

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

I costumi di Edith Bieber sono assai curati e, nei modelli creati per “gli angeli” di via del Corno, freschi in modo quasi commovente. Tra i motivi di ispirazione Lizzani segnala, accanto alle fotografie 9 (tratte da libri e riviste, quasi mai da raccolte private» ), le copertine della “Domenica del Corriere”, che lasciano il loro segno vivace soprattutto nelle caratterizzazioni dei mestieri dei “cornacchiai”; piu` 10 vicina alle donne di Molino che a quelle di Beltrame e` anche Elisa, la prostituta «che, con la maschera triste ed erotica di Cosetta Greco, sembra un modello avanti lettera della Jenny delle Spelonche strehle11 riana» . Salta poi agli occhi il gran numero di magliette, camicie e camicette a righe, contrapposte nella loro giovanile baldanza a knickerbockers e camicie nere. Nel lirico bianco e nero della fotografia di Gianni Di Venanzo la maturazione di Milena e` affidata al passaggio da abitini timidamente frivoli (un fiocchetto, un profilo a contrasto, il gioco di un’abbottonatura), con colli o davantini chiari a chemisier scuri, fino al severo abito da lutto; nello svilupparsi della storia Gesuina smette il suo grembiale da educanda/servetta, segno evidente delle costrizioni imposte dalla Signora, per una vestina a minuti disegni, ugualmente povera ma dalla linea piu` morbida. 12 Dei personaggi principali si fecero dei bozzetti , in gran parte ora conservati presso la Cine´mathe`que Franc¸aise; quasi tutti i costumi – ricorda ancora Lizzani – furono realizzati appositamente, senza far troppo ricorso al “repertorio”, salvo che per qualche carattere secondario. scenografie, vinse il Nastro d’Argento (De Santi, cit., p. 27). Quanto a Pratolini, sempre De Santi riporta la notizia della collaborazione dello scrittore al film: «Si riuscı` persino a coinvolgere nel nuovo trattamento Vasco Pratolini, ancorche´ egli poi non figurasse nei titoli di testa» (De Santi, cit., p. 23). 9 «Un po’ come per ‘Achtung’ – continua il regista – dove pero` avevamo potuto contare sul ricordo del produttore, ex-partigiano, oltre che su quelle immagini in cui i partigiani ricostruivano le loro azioni». Interessante la precisazione sulle fotografie della Resistenza: impossibile naturalmente riprenderli “dal vivo”, i partigiani “misero in scena” a beneficio dei fotografi alcune azioni importanti, come si vede nella sezione iconografica di Mignemi, cit. Aggiungiamo che anche Piero Tosi ricorda di aver svolto una ricerca preliminare per il film: «In quel momento Visconti stava lavorando a un film tratto da Cronache di poveri amanti di Vasco Pratolini, che poi non realizzo`. Mi si chiese di fare una dettagliata documentazione della vita fiorentina dell’epoca, che io mandai a Roma»; Gaia Marotta, Intervista a Piero Tosi, da http://www.treccani.it/site/Cinema/scuole.htm. 10 Walter Molino (1915-1997) illustro` per quasi trent’anni a partire dal 1941 le copertine della “Domenica del Corriere”, succedendo al primo, storico illustratore della rivista, Achille Beltrame (1871-1945). 11 De Santi, cit., p. 26. 12 In molti casi, quando si ricostruiscono per lo schermo periodi relativamente vicini e si ricorre all’adozione di costumi di repertorio non si disegnano i bozzetti ma si procede con i “provini”, scatti fotografici degli attori abbigliati e truccati in diversi modi.

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“Come attori, scelsi Consolini, prendendolo dal mondo dello sport proprio per la sua figura massiccia e non ebbi difficolta` nel dirigerlo, era talmente in parte fisicamente che era facile ottenere quello che volevo da lui. Per gli altri ruoli, optai per Mastroianni perche´ mi piaceva, stava bene nei panni del personaggio e poi arricchiva il cast anche se ancora non era il Mastroianni arcifamoso. Con lo stesso criterio scelsi la Lualdi e gli altri attori e attrici, formando cosı` una rosa di “nomi” di chiamata, anche se non di grandissimi nomi. Tutti, comunque, corrispondevano ai personaggi, erano graditi al noleggio, avevano presa sul pubblico senza essere costosissimi ma senza neppure prevaricare i caratteri.”13

Vista oggi, sulla pellicola si proiettano stratificazioni che contri14 buiscono a incidere nella memoria le figure dei protagonisti : ad esempio, i colli bianchi aperti di Mario rimandano diritti all’immagine impetuosa e fragile di Ge´rard Philipe, mentre nella coppia Mastroianni-Ferrero si intravedono gia` certi trasalimenti su cui Visconti costruira` il rapporto dell’attore con Maria Schell nelle Notti 15 bianche . La maschera un po’ guittesca di Wanda Capodaglio mostra piu` di un’affinita` con quella di Marguerite Moreno, interprete desi16 gnata inizialmente per il ruolo e, nonostante sia decurtato per ragioni di censura della pesante ambiguita` sessuale, il personaggio della Signora appare ricalcato sulle parole di Pratolini: II suo busto s’inquadra, variopinto e regale, come un ritratto di nobil donna del Seicento... Guarnisce la veste un bavero di trina che ha ` riflessi avorio. La trina e` ripetuta giro giro ai polsi. E la gola, la gola! E riparata, come quella della regina di Saba, da una benda che la fascia fin sotto il mento. La benda e` nera, punteggiata di ge`: a meta` vi spicca un fermaglio, ove un grosso cammeo e` incastrato dentro un motivo d’edera, lavorato in platino. (...) I capelli intensamente neri, lisci e luccicanti, sono divisi in due bande e raccolti a ruota sulle orecchie. Il pallore del volto e` intenso: uno strato di cipria, grassa e bianca come il gesso, lo ricopre dall’attaccatura dei capelli alla gola. Le labbra, dipinte di rosso, con la stessa intensita`, danno l’impressione di un restauro perfetto e macabro. (...) La carne e` in sfacelo. Le guance, come elastici

13

Carlo Lizzani, da Faldini-Fofi, cit., p. 334. «D’ora in avanti, per chi ha letto il libro, i personaggi delle Cronache avranno un volto preciso. (...) Io per primo ho subito questo fascino e un po’ questa costrizione. Mi sono affezionato agli attori che rivivevano fisicamente le avventure dei miei “cornacchiai” e li ho riconosciuti», Vasco Pratolini, Id., p. 333. 15 Le notti bianche, 1957; regia di Luchino Visconti, soggetto: dal racconto omonimo di Fedor Dostoevskij, sceneggiatura di Luchino Visconti e Suso Cecchi D’Amico. 16 De Santi, cit., p. 22. 14

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troppo tesi, sono crollate, prolungano vagamente il segno della mascella, pendule come le orecchie di un cocker.17

Di indiscutibile suggestione, infine, la scelta di Consolini per Maciste: il valore simbolico del personaggio e` accentuato nel film dal ‘passaggio di testimone’ di quella “giacca operaia” che Maciste consegna a Ugo prima di essere ucciso, con la quale Pratolini sceglie invece di seppellirlo. Il sidecar e` la stella cometa che annunzia il diluvio agli uomini di buona volonta`. Lo guida un San Giorgio di due metri, a testa nuda, le labbra fra i denti e gli occhi fissi all’orizzonte: un centauro mitologico che indossa una giacca operaia. (...) E Maciste fu chiuso nella cassa, 18 con indosso il suo giubbotto d’incerato.

II. Uscito nel 1963 (lo stesso anno de Il Gattopardo), Il Processo di 19 Verona rimane a tutt’oggi una delle piu` credibili ricostruzioni dei fatti che segnarono la fine del fascismo. Affrontando per la prima volta nella sua carriera il racconto della storia ‘dalla parte dei prota20 gonisti’ , Lizzani opera per sottrazione, scarnificando i personaggi fino a rintracciare i primari connotati shakespeariani di una tragedia incline alla farsa: colpisce oggi soprattutto la modalita` di rappresentazione delle figure di Edda e Ciano, nostrana coppia di belli e dannati da rotocalco spogliata completamente di quell’aspetto gla21 mourous che tuttora fa gola alle fiction tv . 17

Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti, Torino, Einaudi, 1971, pp. 25-26. Id., pp. 227-264. Il processo di Verona, scenografia: Elio Costanzi; costumi: Giulia Mafai; interpreti principali: Silvana Mangano (Edda Mussolini), Frank Wolff (Galeazzo Ciano). De Santi rileva un’affinita` di intenti tra Il processo di Verona e Il Gattopardo, che condividono «l’impegno di un approfondimento in senso critico quanto storiografico del discorso impostato dal cinema italiano sulla nostra storia nazionale» (Id., p. 41); 20 «Col mio cinema mi pareva gia` di aver esplorato i sentimenti, le vicende degli strati popolari italiani (basterebbe guardare a Cronache di poveri amanti, a Achtung! Banditi!, a Il gobbo). Sentivo pertanto necessaria, per completare questo quadro, anche questa ulteriore visitazione della societa` italiana: guardare a quegli ambienti e a quei personaggi che non erano stati il pulviscolo della storia, ma ne erano stati i protagonisti, nel senso di coloro che finiscono sui libri di storia con nome e cognome» (Carlo Lizzani, Conversazione su Maria Jose´, in De Santi, cit., p. 107). 21 ` del 2005 (programmata in occasione del decennale della morte, avvenuta il 9 aprile E del 1995 – lo stesso giorno di Paola Borboni – e trasmessa da Rai1 il 23 e 24 maggio) la miniserie tv in due puntate Edda Ciano Mussolini, coprodotta da Rai Fiction e Lux Vides e 18 19

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Grazie a una “congiuntura ideale tra regista, sceneggiatore e interpreti”, scritto su misura per una Mangano “in attesa del film giusto” e un Frank Wolff “reduce dal ruolo di Pisciotta” nel Salvatore Giuliano di Francesco Rosi22, Il processo di Verona consente a Lizzani di mettere a punto “alcune regole, alcune metodologie stilistiche di rappresentazione”: La prima, per esempio, e` che c’e` da attenersi, per la scelta degli attori e per il trucco che li avrebbe poi avvicinati ai personaggi reali, non tanto alla creazione di ‘sosia’, ma ad un quadro tipologico piu` ampio e flessibile. Facemmo ad esempio vari studi e varie prove per rendere una donna bella come Silvana Mangano, protagonista de Il processo di Verona, non dico simile ma vicina alla tipologia femminile cui apparteneva una donna come Edda Ciano: grandi occhi, volto duro, un po’

diretta da Giorgio Capitani, con l’eterea Alessandra Martines nei panni di Edda e Massimo Ghini per la seconda volta in quelli di Ciano, dopo il tv movie di Franco Giraldi Bottai, Ciano, Grandi (1984); nella fiction compare lo stesso Lizzani, nel cameo dell’antifascista Ridolfi. Ancora prodotto dalla Rai (insieme a numerosi soggetti internazionali) fu Io e il duce, diretto nel 1985 da Alberto Negrin dove Anthony Hopkins, non ancora presago di Hannibal Lecter, da` a Galeazzo Ciano tratti da eroe romantico mentre, a dispetto dell’origine per meta` italiana dell’attrice, la Edda di Susan Sarandon ha tutta l’aria di una sana ragazzona made in Usa. Tra le interpreti di Edda troviamo anche Mary Elizabeth Mastrantonio, affiancata dal Galeazzo Ciano di Raul Julia, nella miniserie TV americana Mussolini, the untold story (regia di William A. Graham, 1985), dove Mussolini era – secondo il “New York Times” – “overplayed” da George C. Scott («The story in this two-part TV biopic was probably ‘untold’ mainly because it was untrue», da http://movies2.nytimes.com). Sempre in tv Ciano e` stato interpretato dall’attore argentino Sky Dumont (breve apparizione nella miniserie di produzione USA Venti di guerra, 1983) e Antonio Stornaiolo, nella Maria Jose` televisiva dello stesso Lizzani (2001), mentre in teatro ha avuto il volto di Mattia Sbragia, nel dramma di Enzo Siciliano Morte di Galeazzo Ciano (prima rappresentazione al Teatro Carignano di Torino, 1997, regia di Marco Tullio Giordana; Edda era Chiara Caselli). 22 Conversazione con Carlo Lizzani, cit. Il ruolo di Edda offrı` alla Mangano un’importante occasione per rivelare le sue capacita` interpretative (l’attrice vinse per la sua interpretazione il Nastro d’Argento 1963): «Poche attrici italiane hanno raggiunto l’intensita` della Mangano nella telefonata che fa al padre... fu un grande monologo che la consacro`...» (testimonianza di Carlo Lizzani in Silvana Mangano, il profumo delle primule, documentario realizzato da Videocut s.r.l. per la RAI). Nel film di Rosi (1962) recitava accanto a Wolff anche Salvo Randone, nel ruolo del Presidente di Corte d’Assise, quasi replicato nel personaggio del Pubblico Accusatore del Processo. Raramente Lizzani ha scelto per impersonare personaggi storici, attori di grosso calibro divistico: a parte la Mangano, si avvicina a questa categoria lo stanislavskiano Rod Steiger di Mussolini, ultimo atto (1974), dove compare, nel cameo del cardinale Schuster, anche Henry Fonda. Tale linea e` forse dovuta (oltre che a questioni di budget) al fatto che la star finirebbe per prendere il sopravvento sul personaggio storico vanificando la ricerca dell’“attendibilita`”; resta comunque la curiosita` di sapere che piega avrebbe preso il discorso sulla tipologia se, ad esempio, il progetto su Casa Savoia citato spesso dal regista si fosse potuto realizzare con Montgomery Clift o Marcello Mastroianni nel ruolo amletico di Re Umberto o con Ingrid Bergman in quello di Maria Jose` (De Santi, cit., p. 107).

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squadrato, quindi certamente lontano da quello di Silvana Mangano. Suggerii, per esempio, di illuminarla sempre dall’alto, per rendere i suoi occhi come avvolti in un alone d’ombra che li rendesse piu` infossati e quindi piu` grandi. E poi si ricorse all’adozione di una serie di comportamenti studiati attraverso la visione, con l’attrice stessa, di materiali di repertorio. Mi fu di grande aiuto Piero Gherardi, uno dei piu` grandi art director (scenografo e costumista) del cinema italiano. E lo stesso per Ciano. L’attore Frank Wolff non era somigliante, pero` attraverso il trucco, la pettinatura e gli atteggiamenti, anche con lui studiati su materiali di repertorio, ne venne un personaggio piu` che attendibile. ...Anche chi puo` aver avuto delle riserve critiche su questi film, mai ha avuto obiezioni su quelli che erano gli aspetti dell’attendibilita` tipologica dei personaggi.23

Il procedimento lizzaniano e` esemplificato in un volume Cappelli 24 pubblicato nello stesso anno di uscita del film , che presenta accanto a parte della sceneggiatura e a un intervento dello stesso Lizzani un’inchiesta dell’aiuto regista Giovanni Vento, documenti d’archivio e testimonianze orali e un consistente corredo iconografico costituito da fotografie dal set affiancate alle immagini d’epoca. Un avvincente racconto del making of del film che, per la quantita` del materiale e il suo ordinamento costituisce il punto di partenza privilegiato per l’analisi de Il processo di Verona: poche aggiunte sono possibili rispetto al contenuto del volume, sia sulla lavorazione 25 del film sia sulla documentazione della vicenda storica, malgrado il minuzioso lavoro di scavo negli archivi del Luce sviluppatosi di 23

De Santi, cit., p. 108. Il processo di Verona di Carlo Lizzani, a cura di Antonio Savignano, Bologna, Cappelli ed., 1963. Nella collana Cappelli era gia` apparso due anni prima L’oro di Roma, a cura di Giovanni Vento. 25 «Il film si distacca in piu` parti dalla sceneggiatura, specialmente per quanto riguarda il dialogo. Inoltre alcune scene sono state soppresse, alcune altre hanno subito modifiche sostanziali», Savignano, cit., p. 202. Per quanto riguarda la documentazione sulla lavorazione della pellicola, sono da segnalare alcuni cinegiornali dell’Istituto Luce, soprattutto numeri di “Caleidoscopio-Ciac” e della “Settimana Incom” che danno conto della lavorazione del film, sottolineando cupamente l’“impressionante somiglianza” degli attori con Edda e Ciano. Di seguito riportiamo i titoli risultanti da una ricerca nel database consultabile via internet (www.luce.it; in corsivo, il titolo assegnato): Diciotto anni dopo. Il regista Carlo Lizzani gira un film sul Processo di Verona (“La Settimana Incom” 02303, 08/12/1962); Si gira – Roma: Si gira Il processo di Verona (“Caleidoscopio Ciac” C1460, 12/10/1962); Si gira Roma – Il processo di Verona (“Caleidoscopio Ciac” C1463, 18/10/1962); Si gira – Roma: si gira Il processo di Verona (“Caleidoscopio Ciac” C1469, 08/11/1962); Si gira – Verona: il Processo di Verona (“Caleidoscopio Ciac” C1477, 06/12/1962); Obbiettivo sulla cronaca: VENEZIA Battaglia legale per il Processo di Verona (“Caleidoscopio Ciac” C1503, 00/03/1963); infine, un servizio sul Sequestro giudiziario del film Il processo di Verona e` compreso in “Orizzonte cinematografico” OC350 (00/02/1963). 24

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recente. Nessuna rivelazione emerge neppure dalle testimonianze apparse in anni successivi, a partire dalle memorie del secondino Mario Pellegrinotti e da quelle di Edda Ciano, pubblicate entrambe 26 nel 1975 . Proprio dalla combattiva e ormai vecchia signora il lavoro di Lizzani ricevette anzi il suggello definitivo: dopo aver inizialmente tentato di bloccarne l’uscita Edda, «nell’occasione di una visione in Francia molti anni dopo, confermo` che il film rispecchiava la tragicita` di quell’evento in maniera rispettosa, fedele». Io e Pirro – e cosı` avrei fatto dopo nei decenni successivi per qualsiasi film tratto da personaggi reali – ci eravamo attenuti a testi incontrovertibili, a testi che potevano essere anche incrociati tra di loro: diari, memoriali, eccetera. Per esempio, per Il processo di Verona, a parte i diari di Ciano, anche le memorie di Rachele Mussolini, le varie prese di posizione di Edda Ciano, le dichiarazioni di Mussolini. Tutto questo rendeva il film inattaccabile seppure congegnato drammaturgicamente con quelle che possono essere definite licenze poetiche. Ad esempio colloqui che forse erano avvenuti in una certa situazione proposti in un’altra situazione scenografica, e altro ancora. Pero`, sostanzialmente, ogni parola derivava da testi che i personaggi in 27 questione avevano pronunciato o scritto.

III. C’e` una fotografia del signor conte che potro` far avere alla contessa. Sta vicino alla finestra – quella col tubo della stufa che esce fuori. Il signor conte e` solo nella foto. Ma sta parlando con l’eccellenza Benini. Il signor conte e` spettinato, e` in disordine – il disordine del carcere. Pero` e` una foto affettuosa. La signora contessa deve credermi.28 Fra qualche secolo quello che oggi chiamiamo senza bisogno di ulteriori specificazioni ‘il ventennio’ riuscira` tutt’al piu` ad attirare l’attenzione di qualche storico superspecializzato e l’unico episodio comunemente noto sara` la fucilazione di Verona... il carcere degli Scalzi sara`

26 Edda Ciano, La mia testimonianza, a cura di Albert Zarca; trad. dal francese di Maria Grazia Bianchi, Milano, Rusconi, 1975; Mario Pellegrinotti, Sono stato il carceriere di Ciano, ` impossibile citare qui dettagliatamente i libri, documentari, inchieste Cavour, 1975. E giornalistiche riguardanti la tragedia di Verona apparsi negli ultimi trent’anni: oltre ai testi via via indicati in nota ci limitiamo a segnalare un’intervista alla figlia del duce contenuta in una puntata del programma La grande storia, andato in onda su Rai 3 nel 2001, che ha fatto registrare il 15% di share in prima serata. 27 Sono ancora parole di Lizzani, da De Santi, cit., rispettivamente alle p. 108 e 107. 28 Enzo Siciliano, Morte di Galeazzo Ciano, Torino, Einaudi 1998, p. 16.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

forse piu` noto di Palazzo Venezia e la foto di Ciano che si gira a guardare il plotone di esecuzione rimarra` a contendere a quella di Mussolini appeso per i piedi a Piazzale Loreto il diritto di rappresentare iconograficamente questi venti anni di storia italiana.29

Due immagini segnano la memoria pubblica del processo di Verona: la fotografia del carcere degli Scalzi, dove Ciano appare forse per la prima volta in veste ‘domestica’, anche se con l’inseparabile fazzoletto bianco che spunta dal taschino e quella della fucilazione, che ha consegnato la sua fine alla storia sotto la voce “bella morte” riscattandone in parte – sembrerebbe – la figura esecrabile di delfino di Mussolini. Riprodotte e commentate fino a sbiadirne l’impatto drammatico, entrambe le immagini ci restituiscono di Ga30 leazzo Ciano un ritratto assai distante dallo “stronzo” a lungo apparso nei cinegiornali Luce, da lui stesso accreditato quando era 31 responsabile dell’Ufficio stampa del Governo . Non necessariamente il suo volto piu` vero, senza dubbio un ritratto piu` vicino alla nostra sensibilita`, privo almeno in parte degli artifici delle foto di regime e, quel che piu` conta, finalmente ripulito dell’imbarazzante tendenza a scimmiottare il suocero che perseguito` Ciano nella sua carriera politica32. 29

Giordano Bruno Guerri, Galeazzo Ciano – una vita 1903-1944, Milano, Mondadori, 1979, pp. 617-618. 30 «Ciano – Pellegrinotti... ma perche´ stronzo? Pellegrinotti – Sua eccellenza si e` mai visto nei film Luce? Ciano – Credi che io non mi sia mai “visto”? (...) Mi vedevo, e non pensavo di essere uno stronzo. Pellegrinotti – Forse sua eccellenza pensava che apparire come uno stronzo gli potesse tornare utile. Presso le persone come me, pero`, no» (Siciliano, cit., pp. 32-33). 31 «Il Luce riforniva la stampa di regime di foto sottoposte preventivamente all’Ufficio stampa del capo del Governo; quando dal 1933 questo organismo sara` diretto da Galeazzo Ciano, il controllo si fara` piu` serrato e si esercitera` con severita` e scrupolo non semplicemente sul contenuto delle immagini ma anche sulla loro composizione (scartando, per esempio, quelle che non dessero l’impressione di ‘ordine’ o di attivita`). L’ufficio di Ciano verra` poi trasformato in dicastero, che nel 1937 diventera` Ministero della Cultura Popolare» (Autilia, cit., p.234). 32 Non e` questa la sede per approfondire il complesso rapporto di Ciano con Mussolini ne´ quello – altrettanto nevrotico – con la propria immagine pubblica; a segnare i confini della questione riportiamo le opposte osservazioni di Orio Vergani e di Giordano Bruno Guerri: «Ciano non era fotogenico, tradiva sempre il suo imbarazzo innanzi alle macchine fotografiche e da presa. Era inevitabile che, ogni tanto, guardasse dalla parte del fotografo o dell’operatore, dentro all’obiettivo, cosa che Mussolini, invece, evitava sempre. Vanita`? No, impaccio» (Orio Vergani, Ciano, una lunga confessione, Milano, Longanesi, 1974, p. 43). «Possiamo dire che a Ciano i film LUCE interessavano soprattutto come mezzo per soddisfare la propria vanita` personale. Quei film infatti ce lo presentano spesso e sempre con gli occhi tenacemente fissi all’obiettivo, come chi vuol accertarsi che l’inquadratura non gli sfugga; una celebre foto scattata durante una visita a Cinecitta` poi ce lo mostra insieme a Vittorio De Sica: il sorriso di Ciano ha piu` denti, la pettinatura e` piu` imbrillantinata, l’abito

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Se la foto degli Scalzi e` pregna di sviluppi narrativi, l’immagine della fucilazione offre un interessante spunto per valutare i risultati della “metodologia” di Lizzani, che riesce a far convergere storia e racconto in un unico fotogramma. Secondo il ricordo di due testimoni oculari, padre Dionisio Zilli, che accompagno` i condannati al luogo dell’esecuzione e il maggiore Nicola Furlotti, comandante della Polizia federale di Verona incaricato di eseguire la sentenza, la fucilazione dei “traditori” del 25 luglio fu ripresa da due operatori dell’Istituto Luce e fotografata dai soldati tedeschi: ...c’ero io, poi c’erano quegli operatori della Luce, in disparte, che filmavano. – Tedeschi? – No, italiani. – Mi hanno detto che c’erano anche dei tedeschi... – C’erano i tedeschi, le diro` subito quando sono comparsi i tedeschi. C’erano due marescialli, due sottufficiali... tedeschi, i quali sono comparsi in scena quando era avvenuta l’esecuzione.... Allora sono comparsi due marescialli tedeschi, con la foto a prendere fotografie dei morti. Prima erano in sordina dietro nascosti, io non li ho visti... Poi son passati sopra e hanno preso le foto di tutti i 33 morti. A fianco del plotone intanto [durante le operazioni che precedettero la fucilazione, n.d.r.] due macchine cinematografiche dell’istituto Luce filmavano la scena. Uno dei due ufficiali tedeschi prendeva qualche fotografia. Il tenente colonnello Monticelli, con la macchina fotografica, scattava continuamente.34

Trattandosi di un soggetto ai limiti del “non fotografabile”35, la pellicola della fucilazione fu a lungo tenuta segreta: Folco Quilici, autore della Storia d’Italia del XX secolo realizzata con materiali tratti dall’Archivio Luce, afferma che tale filmato fu ritrovato – dopo il 1975 – grazie a Renzo De Felice, consulente storico della serie: Lui era convinto, e a ragione, dell’esistenza di materiale filmato al momento della fucilazione di Galeazzo Ciano. Tanto cerco`, da scovare la lettera di un sottosegretario alla presidenza del Consiglio del governo De Gasperi, che riferendosi a due scatole di pellicola giunte a Roma assieme ad altro materiale recuperato nell’archivio della Repube` piu` elegante, l’atteggiamento piu` spavaldo di quello dell’attore, tanto che un ignaro osservatore direbbe senza dubbio che dei due il ministro e` De Sica» (Guerri, cit., p. 102). 33 Savignano, cit., pp. 112-114. 34 Gaetano Afeltra, La spia che amo` Ciano, Milano, Rizzoli, 1993, p. 224. 35 Si veda in proposito Autilia, cit., p. 203 e segg.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

blica sociale, informava «chi di dovere» che i due spezzoni di film contenevano immagini relative alla fucilazione dei gerarchi fascisti dopo la sentenza del Tribunale speciale e ne sconsigliava la visione per la crudezza delle scene. Purtroppo, quelle scatole non erano piu` alla presidenza del Consiglio, ne´ erano mai giunte all’Istituto Luce. Cercate invano, non restava che rassegnarsi alla loro scomparsa. De Felice, ascoltando notizie sull’esito sconfortante delle affannose e prolungate indagini, mi disse: «Perche´ non frughi all’Archivio di Stato?». Perche´ la` ci sono solo documenti cartacei, non film, risposi. «E tu cerca lo stesso» mi intimo`. Aveva ragione lui. Sepolte sotto pile di scartoffie della sede di Roma, giacevano due scatole arrugginite, proprio quelle del processo di Verona e della fucilazione dei gerarchi condannati.36

Lizzani, che sigla il racconto affidando la cinepresa a un soldato tedesco, conferma di non aver potuto vedere il filmato all’epoca della lavorazione del film, e di essersi basato per la ricostruzione della 37 scena soprattutto sulle parole dei testimoni . Sorprende dunque la perfetta rispondenza della sequenza cinematografica al reale svolgimento dei fatti: il taglio della ripresa, il montaggio concitato, lo spaesamento degli attori che guardano la scena, danno allo spettatore l’impressione di assistere in diretta alla fucilazione, con un effetto raggelante anche in tempi in cui la spettacolarizzazione della morte e` cosa quotidiana. C’e` una terza immagine di Galeazzo Ciano che, prima ancora che dalle parole dei testimoni, si impone dalle inquadrature del film: quella di un uomo elegantemente – assurdamente – vestito di un 38 ` l’abito che completo grigio e di un soprabito di ottimo taglio . E Ciano indossa al momento della morte ed e` quello che ne individua la figura nelle fotografie prese al processo: il capriccio di un piccolo dandy di provincia che finisce coll’assumere la dignita` di un sudario. Torno` il commesso, lo aiuto` a infilare il soprabito grigio. Era lo stresso cappotto (se ho potuto giudicare bene dalle fotografie) che portava 36 Folco Quilici, Al lavoro con Renzo De Felice, in Renzo De Felice, Breve storia del fascismo, Milano, Oscar Mondadori, 2002; pp. XXIV-XXV). 37 Conversazione con Carlo Lizzani, cit. 38 «Alla sua destra [di Mussolini, che veste un abito borghese, n.d.r.], mio cognato Galeazzo conservava il suo abituale contegno superiore e distaccato che indispettiva mia madre. Indossava un vestito grigio chiaro, di taglio perfetto, e dal taschino della sua giacca usciva un fazzoletto candido, con disinvolta eleganza. I suoi capelli erano pettinati con cura, le sue unghie inappuntabilmente tagliate» (Vittorio Mussolini racconta la cena che per l’ultima volta vede la famiglia Mussolini riunita, da Guerri, cit., p. 622).

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undici mesi dopo, durante il Processo di Verona e nella gelida alba della fucilazione. Era un bel ‘capo’, come si dice a Roma, di Ciro Giuliani. Non dimentichero` il fruscio che faceva la buona seta della fodera. Lo stesso fruscio dovette fare quando il condannato se lo infilo`, un attimo prima di uscire dal carcere degli Scalzi, per trovare la morte al poligono di tiro.39 Notai che [Ciano] era pallidissimo, ma severo in viso e ben curato, anche se aveva la barba di un giorno. I suoi capelli lisci e lunghi erano accuratamente pettinati. Indossava un soprabito impermeabile chiaro.40 Alle 8,30 circa, giunse un autobus della questura con i condannati, che si fermo` dinanzi alla tettoia dei banchi di tiro. Se la memoria non mi inganna il primo a scendere fu Ciano (che indossava un soprabito di gabardin nocciola chiaro e cappello marrone).41 Pochi cantori della fucilazione di Ciano hanno resistito alla nota di colore data dall’osservazione che quel soprabito doveva essere un prodotto d’alta sartoria; alcuni precisano addirittura che doveva trattarsi di un taglio di Caraceni. Ma a meno di non voler pensare che Ciano sia fuggito da Roma, in agosto, indossando un soprabito impermeabile e` piu` logico pensare che l’avesse acquistato in un negozio tedesco.42

Dalle memorie di Edda apprendiamo che il 19 ottobre 1945, giorno in cui e` trasportato dai tedeschi a Verona insieme con Frau Beetz, Ciano «indossa un abito di flanella grigio chiaro e un impermeabile beige chiaro, ancora bagnato dalla pioggia che cadeva a 43 Monaco» , mentre in una lettera indirizzata alla moglie il 13 novembre 1943 egli lamenta la mancanza di indumenti pesanti: «(...) Ti prego, Edda mia, oltre alle notizie, di mandarmi un po’ di vestiti 39 Vergani, cit., pp. 249-250. Sempre Vergani legge l’abito grigio come espressione di una sotterranea ribellione al Regime: «Ciano stesso, da tempo, indossava il meno possibile la divisa fascista. I suoi amici lo avevano imitato e, nei corridoi di Palazzo Chigi, il doppiopetto di grisaglia era diventato qualcosa di piu` di un usuale vestito: addirittura quasi il segno di una lieve corrente di opposizione alla politica del governo. (...) Piu` i tedeschi andavano a testa nuda e piu` i giovanotti dissidenti ostentavano il cappello. Molti credevano che questo potesse creare, di fronte alla storia, una sorta di alibi. Il diritto di mormorare si vestiva in doppiopetto grigio» (Vergani, cit., p. 148). 40 Dalla testimonianza del maggiore Nicola Furlotti, in Savignano, cit., p. 223. 41 Dalla relazione del dottor Renato Carretto, medico militare che assistette alla fucilazione, Id., p. 83. 42 Guerri, cit., p. 692, nota 7. A citare Caraceni e` Antonio Spinosa, in Edda, una tragedia italiana, Milano, Mondadori, 1993. 43 Zarca, cit., p. 94.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

` la cosa di cui caldi: un abito, un cappotto (o pelliccia) e maglie. E 44 piu` sento la necessita`» . Nel film Wolff indossa due diversi soprabiti anzi, piu` esattamente un impermeabile monopetto di linea diritta e un cappotto, presumibilmente di cammello, con ampi revers e una cinta, di taglio simile al classico trench, che si alternano fino al processo. Lizzani attribuisce l’avvicendarsi dei due ‘capispalla’ a una semplice ragione “stagionale”: «Ciao [alla cameriera]: Anita, tirate fuori le valigie. I vestiti autunnali, le camicie, ecc.»45; la sceneggiatura, relativamente avara di particolari sui costumi dei protagonisti, cita l’impermeabile una sola volta, nella scena dell’arresto («Dalla vettura di coda vediamo Ciano in abito di flanella grigio e impermeabile che e` gia` sceso a terra e 46 prende le valigie che Edda gli porge dal treno» ), dove pero` – nel film – Frank Wolff indossa il cappotto come nella precedente sequenza della fuga (qui un impermeabile chiaro ripara le spalle di 47 Edda) . Nelle scene che seguono Ciano compare con l’impermeabile ma si reca da Mussolini con il cappotto, che sara` in scena un’ultima volta nell’‘ora d’aria’ in carcere, malridotto e con le tasche sformate. Le fotografie del processo e quelle della fucilazione sono troppo confuse per stabilire con esattezza il peso del tessuto con cui e` confezionato il soprabito, che appare comunque piu` leggero rispetto a quelli comunemente utilizzati per cappotti piu` strutturati. Cappotto o impermeabile che sia, cio` che interessa qui e` che, piu` di ogni altro elemento eccettuati forse i capelli imbrillantinati48, questo indu44

Afeltra, cit., p. 180. Scena X, Savignano, cit., p. 135. Alla “stagionalita`” Lizzani ha accennato nel corso della conversazione gia` citata in precedenza. 46 Scena XXV, Savignano, cit., p. 154. 47 Secondo la testimonianza di Edda, il falso passaporto di cui Ciano fu munito per la fuga ne riportava la fotografia con i baffi finti; inoltre, appena a bordo, entrambi «ci rimettemmo all’occhiello il distintivo fascista» (Zarca, cit., p. 186); ancora Guerri aggiunge che «In Italia, come ritorsione della beffa compiuta da Ciano si diffuse la voce che egli era fuggito travestito da donna» (Guerri, cit., p. 615, nota 31). 48 Secondo Guerri, Ciano utilizzava per imbrillantinarsi «un’erba untuosissima che si faceva venire dalla Cina e che destava la riprovazione di Hitler» (cit., p. 203). Lizzani rinuncia invece, facendo doppiare Frank Wolff da Sergio Fantoni, a uno dei tratti piu` caratteristici del genero di Mussolini: la voce chioccia e in falsetto accentuata dai disturbi alla gola di cui soffriva fin da bambino e per i quali subı` diversi interventi; anche la vistosa cicatrice che ne derivo` sparisce, a conferma dello sforzo di astrazione del regista. La questione fisiognomica delle “teste” non e` affatto marginale nel tratteggiare con credibilita` individui di un’altra epoca: lo stesso Lizzani ci ha confermato che «elementi di grande aiuto nel costume del film storico sono i cappelli»; dello stesso parere e` Piero Tosi: «La generazione attuale [quella dei primi ’80, n.d.r.] e quella di Marlon Brando sono due faune completamente diverse. Per il film La Pelle, la cui storia si svolge nel 1946, dunque in un’epoca non cosı` tanto lontana, e` stato impossibile trovare tipi come quelli di allora, con la 45

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mento fissa la silhouette di Wolff nei contorni di quella di Ciano, stagliandosi nel secco bianco e nero della fotografia di Leonida Barboni con un’incisivita` che non ha riscontro tra gli altri costumi. Merito certo dell’interpretazione di Wolff che con disciplina Actor’s studio sfrutta abilmente tutte le possibilita` espressive di un capo tra i piu` duttili del baule d’attore49; merito soprattutto dell’intuizione di Piero Gherardi che, applicando l’equazione “nero uguale protagonista”, ben nota ai teatranti e ai cineasti, veste Edda di scuro facendo leva sulla coincidenza storica di quel cappotto chiaro per creare un contrasto di grande impatto50. Tutto il film e` disseminato di cappotti e impermeabili: a parte l’ovvia funzione di indicare le coordinate stagionali dell’azione, su un palcoscenico di teatro le linee del trench assumerebbero l’autorevolezza di un abito simbolico, moderno corrispettivo del manto o delle cappe, immancabile nella messinscena di una qualunque tragedia shakespeariana. Nel nostro caso, piu` semplicemente, va forse innanzitutto rilevato l’inquietante mimetismo con cui Giorgio De Lullo indossa l’impermeabile di Alessandro ‘Buzzino’ Pavolini sul nero dell’uniforme, entrando a Castelvecchio: al momento dell’incontro con Ciano quest’ultimo porta il cappotto, ma resta comunque, nell’assonanza dei due indumenti, l’idea di una specularita` con l’amico di un tempo51. Numerose le testimonianze che si dilungano anche sui cappotti dei condannati (ma nel film l’unico a togliersi il cappotto prima della fucilazione e` De Bono):

stessa struttura, le stesse teste: anche ungendo i capelli con la brillantina l’immagine e` risultata un’altra. Le donne poi non ne parliamo, sono cambiate anche nel modo di muoversi. Ma volete mettere una donna come si sedeva nel trenta o nel quaranta e come si siede adesso?» (“Vogue” Italia, s.d., intervista a Piero Tosi). 49 «Impermeabile – Piu` di un capo di abbigliamento, un elemento di stile, specialmente nel mondo del cinema. Identifica tipologie di uomini, situazioni, emozioni. Nell’immaginario collettivo, lo indossano gli uomini d’azione: detectives, gangsters che siano. Ma appare anche sul braccio dei gentlemen anglosassoni e americani. (...) Nella sua essenzialita` e sobrieta`, mette anche in evidenza il volto di chi lo porta, incorniciato dal colletto chiuso e spesso rialzato. Cosı` Humphrey Bogart in Casablanca e Gene Kelly in Cantando sotto la pioggia. (...) Per non parlare di tutta la galleria dei poliziotti, investigatori e commissari: da Maigret a Sheridan, alla rivisitazione in chiave ironica dell’ispettore Clouseau...» (Dizionario della moda, cit., p. 380). 50 «Con il nero mi convinse anche per Il gobbo... all’inizio ero un po’ scettico... figuriamoci, il gobbo del Quarticciolo vestito di nero, con quel rigatino [della camicia di Ge´rard Blain, n.d.r.]... e invece aveva ragione»; nostra conversazione con Carlo Lizzani, cit. 51 Sull’amicizia (e sui rancori) tra Ciano e Pavolini si veda Guerri, cit., p. 634-638.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

...Prima di tale operazione [i condannati sono fatti sedere e legati, anche se pro forma, n.d.r.] Pareschi si tolse pastrano e cappello, consegnandoli a Mons. Chiot con preghiera di farli avere a suo figlio; la stessa cosa fece De Bono esprimendo il desiderio che gli indumenti venissero donati a un povero della sua parrocchia. Subito i condannati sono fatti uscire nel corridoio. L’ultimo a lasciare la cella e` Pareschi... Egli s’avvicina al prefetto tenendo tra le mani uno scialletto a colori vivaci e gli dice – Eccellenza, in questo scialletto mia madre mi avvolse quando sono nato. L’ho sempre portato con me. La prego di disporre perche´ esso sia disteso sulla mia salma. – Il prefetto prende lo scialletto e lo consegna a monsignor Chiot, che provvedera` poi a soddisfare l’ultimo desiderio del condannato. I necrofori portarono i cadaveri nelle cinque bare di legno grezzo, senza dir parola. Osservai che li componevano con mano pietosa. Avvolsi la salma di Pareschi nello scialletto della madre. Ecco, ricordo anche prima dell’esecuzione che Gottardi ha dato il soprabito che aveva e la sciarpa, le ha date in consegna, non so, non mi ricordo, io le ho prese in mano, io e monsignor Chiot, e dice 52 concedetemi... portate questi indumenti a mio figlio.

Infine, non si puo` tralasciare di citare qui un altro – e ben piu` importante – cappotto, decisivo nell’iconografia del regime fascista: il “pastrano” che Mussolini veste al momento della fuga, ben visibile nella sequenza di repertorio che Lizzani inserisce nel film53. Su quel pastrano riportiamo le parole di Rod Steiger, probabilmente non del tutto attendibili ma non prive di una loro suggestione, che cosı` ricorda il costume utilizzato in Mussolini ultimo atto: Con Mussolini ultimo atto, Lizzani mi ha dato una grande opportunita`. Ancora oggi, quando mi trovo a New York d’inverno, indosso il cappotto del film, che era stato fatto con la stoffa del vero cappotto di Mussolini. Potrei trovarmi in mezzo a un uragano e il vento non

52 I brani citati sono tratti rispettivamente dalla relazione del dott. R. Carretto (in Savignano, cit., p. 84) e dalle testimonianze di Giuseppe Silvestri, detenuto nel carcere degli Scalzi all’epoca del processo (in Afeltra, cit., p. 97), di don Giuseppe Chiot, cappellano del carcere degli Scalzi e di padre Dionisio Zilli (Savignano, cit., p. 229 e 117). 53 «Con un cappello nero e un pastrano troppo abbondante, Mussolini era solo l’ombra del dittatore sicuro di se´ per il quale s’erano radunate sulle piazze italiane, durante vent’anni, folle oceaniche». (25 luglio-8 settembre 1943 – Album di una disfatta, a cura di Mario Cervi, Milano, Rizzoli, 1993, p. 256). Sui mutamenti nell’immagine del duce e sul suo scarso peso nella propaganda della Repubblica di Salo` si veda Sergio Luzzatto, L’immagine del Duce – Mussolini nelle fotografie dell’Istituto Luce, Roma, Editori RiunitiIstituto Luce, 2001, p. 231.

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passerebbe perche´ e` molto pesante e resistente. Non ti nego che in Mussolini mi sono identificato molto. Anche perche´ sono successe cose incredibili. Stavamo girando a Milano, e andai al Savini, che era uno dei ristoranti preferiti da Mussolini. Io indossavo l’uniforme, con le medaglie, il cappotto sulle spalle e la mascella tesa. Ci venne incontro un cameriere molto anziano. Gli si drizzarono i capelli in testa e comincio` a gridare: “Il duce! Il duce! Grazie a Dio lei e` tornato in Italia! Viva il duce!”. La gente che era seduta smise di mangiare e mi fisso` in silenzio. Il cameriere scoppio` a piangere. Io rimasi serio: “Va bene, grazie, molto gentile”. Poi mi portarono al tavolo preferito di Mussolini. Ti assicuro che non sono mai stato servito cosı` bene in ` stato divertente.54 tutta la mia vita. (...) E

Di ottimo taglio anche se memori degli anni Sessanta in cui il film fu girato (come del resto lo spesso tratto di eye-liner che ne 55 indurisce lo sguardo sotto le sopracciglia “a coda di sorcio” ), i costumi per la Mangano sembrano rispondere principalmente all’esigenza di contenere la bellezza dell’attrice entro i confini spigolosi della figura di Edda Ciano. Per quasi tutto il film la Mangano indossa tailleurs di linea austera, alleggeriti dai colletti chiari delle camicette che spuntano dai revers delle giacche, secondo un’abitudine che Edda manterra` anche in eta` avanzata. Anche per lei il guardaroba di scena prevede due diversi cappotti – uno e` una pelliccia – di cui lo spettatore nota soprattutto i baveri alzati in segno di difesa, gesto ricorrente pure nell’interpretazione di Wolff. Quasi sempre nelle scene in esterni, infine, la Mangano porta il turbante, 54 Rod Steiger, l’ultima confessione, intervista di David Grieco a Rod Steiger, “L’Unita`”, 11 luglio 2002. Nella conversazione piu` volte citata Lizzani non esclude che – se non appartenuto allo stesso Mussolini – il cappotto di Steiger possa essere stato un fondo di magazzino di qualche sartoria di regime, aggiungendo: «Dopo tanti anni... la memoria si ispira piu` alla leggenda che alla realta`...» («Qui siamo nel West... dove se la leggenda diventa realta`, vince la leggenda», direbbe John Ford – L’uomo che uccise Liberty Valance, 1962). Reduce in quel periodo dal film di Ermanno Olmi su papa Giovanni XXIII, Steiger era all’epoca probabilmente uno degli attori piu` adatti al ruolo ingombrante di Benito Mussolini: ancora De Santi riporta che l’interprete americano «aveva ricevuto la proposta anche per un altro film su Mussolini che si sarebbe dovuto intitolare Duce!, prodotto su iniziativa di De Laurentis e Shaftel che appunto gli passarono il copione con la precisazione che a dirigerlo sarebbe stato proprio Lizzani. Una coincidenza singolare... ma forse anche il segno che personaggio ed azione apparivano per ragioni diverse confacenti ad entrambi» (De Santi, cit., p. 65). Approfondire il personaggio di Mussolini richiederebbe probabilmente qualche centinaio di pagine: limitandoci al film di Lizzani, rimandiamo alla precisa analisi di De Santi. Va infine rilevato che Lizzani nel Processo tiene Mussolini fuori dalla scena: forse per via di un metodo non ancora rodato in tutti i suoi aspetti ma forse anche perche´ la figura del dittatore si sarebbe rivelata troppo invadente. 55 Secondo l’accademico d’Italia Corrado Ricci, riportato da Natalia Aspesi in Il lusso e l’autarchia – storia dell’eleganza italiana 1930-1944, Milano, Rizzoli, 1982, p. 146.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

anche se non lo indossa nei due incontri con il marito in carcere, a differenza di quanto ricordato dai testimoni: «Edda indossava un pellicciotto e sul capo aveva un turbante di lana. Portava le calze di lana rossa»; «aveva una pelliccia di visone marrone, il foulard in testa, 56 tutta tremolante.» Calze di lana rossa e pellicciotto, i capelli acconciati nella celebre, strana pettinatura coperti da un “solido” turbante di lana in linea con i 57 dettami della moda autarchica : ben poco resta, nelle concitate immagini prese al processo, della raffinata contessa Ciano fino a poco 58 tempo prima risplendente nel flou delle fotografie di Ghitta Carell . Se contiene pochi accenni agli abiti dei protagonisti, la sceneggiatura di Ugo Pirro ribadisce invece l’alternanza di divise e abiti bor59 ghesi, forse a significare il colore incerto di un’Italia allo sbando . Le uniformi naziste sono descritte da Pirro in termini quasi espressioni60 sti : una terribilita` che non possiedono le uniformi fasciste o della 56

Dalla testimonianza del dottor Arrigo Bottoli sul primo incontro di Edda con Ciano dopo l’arresto e da quella di Amalia Filippini, cameriera alla “Gabbia d’oro”, l’albergo che ospito` Edda durante il processo, in Savignano, cit., p. 54 e p. 94. 57 Il turbante fu nelle sue versioni piu` sontuose fortemente osteggiato dai fautori della moda autarchica (Aspesi, cit., p. 144); erano invece visti con favore modelli piu` semplici, “morbidi, solidi, aderenti” realizzati con una fascia di tessuto elastico quali crespo o lana di seta (“Fili moda”, estate 1941, in Dizionario della moda, cit., p. 524). Nelle sue memorie Edda piu` volte confuta comunque l’immagine di “Messalina”, di “ninfa Egeria del Regime” che la stampa dell’epoca le attribuiva, sottolineando una sua “normalita`” anche nel vestire o nella vita di tutti i giorni. 58 Sulla indiscutibile capacita` di penetrazione dello sguardo di Ghitta Carell, fotografa tra le piu` amate dal regime riportiamo le parole di Adele Cambria, autrice della prefazione a Signori d’Italia nei fotoritratti di Ghitta Carell, Longanesi, 1978 (p. 4): “A Giuseppe Bottai fa togliere il fez; a Galeazzo Ciano gia` in posa, sbucando improvvisamente di sotto il panno nero che ricopre la macchina, domanda (battuta mondana che risuonera` anni dopo come un oscuro presagio): «Di chi hai piu` paura? Di papa` Costanzo o di papa` Benito?»”. Tra le immagini ufficiali di Edda celebre e` un ritratto eseguito da Giorgio De Chirico, esposto alla Biennale di Venezia nel 1942; De Chirico immortalo` anche Ciano che pero` secondo Vergani non apprezzo` troppo il risultato: gia` sul finire del 1941 infatti il genero di Mussolini commissiono` ad Amerigo Bartoli un nuovo ritratto (cfr. Vergani, cit., pp. 165-174). 59 «L’orbace – il panno sardo utilizzato per le divise fasciste – e le camicie nere erano appartenuti per oltre vent’anni alla messinscena del regime. Dopo il 25 luglio, scomparvero in un baleno. Nel volgere di poche ore l’Italia cambio` colore, letteralmente» (Cervi, cit., p. 113.). Un percorso inverso a quello verificatosi nei cinegiornali Luce dove, a partire dai primi anni Trenta, si assiste a una «progressiva sparizione degli abiti borghesi in favore delle divise» (Giampiero Brunetta, “Mise en page dei cinegiornali e mise en sce`ne mussoliniana” in Cinema italiano sotto il fascismo, Marsilio, 1979, p. 177). 60 «Scena XVII – Aeroporto di Monaco. Esterno. Notte. Vediamo ufficiali delle S.S. militari, di profilo. Tutti immobili, tutti irreali. Le loro divise sono nuovissime, stiratissime, sembrano quasi di lamiera. (...) Un P.P.P. di tutti i cappelli a visiera, rigidissimi degli ufficiali fino a inquadrare la visiera e la fronte e mai gli occhi». Savignano, cit., p. 142.

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R.S.I., a cominciare da quella della Milizia con la quale vediamo Ciano per la prima volta, all’uscita dalla seduta del Gran Consiglio e che svanisce ben presto dal ricordo nel progredire dell’azione. Alla divisa segue nei costumi di Wolff un accappatoio bianco, di forma affine al cappotto (la cinta, i revers) e forse per questo carico di presagi: nonostante richiami alla mente il Ciano dedito alla “religione dei bagni turchi”, che in tempi migliori si compiaceva di 61 mostrarsi nudo agli amici , l’accappatoio non sembra voler dirigere la nostra attenzione sul passato frivolo del conte Ciano quanto sul suo futuro di vittima sacrificale. Quell’accappatoio, inoltre, chiarisce anche allo spettatore piu` ignaro certe dinamiche del rapporto tra 62 Ciano e la moglie, esponendo alla ferinita` di Silvana Mangano un uomo affettuoso e quasi indifeso. In deshabille´, ma con i capelli perfettamente imbrillantinati, davanti alla radio che annuncera` la caduta del regime, Wolff ricorda un attore in camerino, in attesa del “chi e` di scena”; spogliato dell’uniforme, sembra attendere la ben piu` umiliante svestizione cui sara` sottoposto in carcere: Scena XXX – Corridoio carcere e cella Ciano – Interno. Giorno. In un lungo corridoio del carcere, Pellegrinotti, una guardia carceraria, avanza verso la cancellata in P.P. Ha in mano un mazzo di chiavi, apre la cancellata, entrano nel braccio il direttore Olas e Ciano. Ciano si tiene i pantaloni senza cinghia, con una mano, e` pietoso il suo ` senza cravatta, sotto il braccio strascinare le scarpe senza stringhe. E ha il fagotto della biancheria, avanza lentamente, nel corridoio, verso 63 la sua cella...

61

Vergani, cit., pp. 210-225. «Edda Mussolini si comporta come un gatto selvatico nella sua villa di Baviera. per ogni piccolezza spacca ceramiche e mobili» (dai Diari di Joseph Goebbels, 23 settembre 1943, in Guerri, cit., p. 615, nota n. 34). 63 Savignano, cit., p. 157. 62

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CARLO LIZZANI E LE NUOVE TECNOLOGIE di Daniela Niccolini

Introduzione Il cinema, per sua natura mezzo di comunicazione e insieme forma d’arte, e` connesso alla tecnica ed alla tecnologia. Le innovazioni hanno accompagnato e condizionato la sua evoluzione artistica, offrendo nuove risorse alla creativita` degli autori: la storia del cinema e` caratterizzata da successivi perfezionamenti tecnici che hanno poi trovato una loro applicazione linguistico-estetica. Il cinema ha dovuto quindi continuamente ridefinire se stesso e trasformare il suo linguaggio. L’avvento delle tecnologie elettroniche digitali ha comportato cambiamenti nelle dinamiche creative, produttive e persino nelle modalita` di fruizione. La resa delle immagini e` migliorata, si sono velocizzati i tempi di lavorazione: e` possibile lavorare efficacemente anche in avverse condizioni meteorologiche, controllare il materiale di ripresa in tempo reale, in sede di post-produzione scompare la fase di sviluppo e stampa perche´ si passa direttamente dalla macchina da presa al montaggio, anch’esso piu` rapido. Nuovi orizzonti della sperimentazione dunque si aprono mentre risulta piu` agevole l’accesso alla produzione per la contrazione dei costi. Ne deriva la possibilita` di inventare una nuova grammatica filmica, di esplorare possibilita` ritmiche, plastiche, estetiche che possono indurre a credere che il cinema stia per essere rifondato: Il passaggio dalla tecnologia elettronica analogica al digitale ha trasformato i linguaggi artistici codificati, dando vita all’integrazione di precedenti forme artistiche e alla nascita di nuove; ha prodotto rimediazioni delle forme storiche dei mass-media; infine ha trasformato il contesto e le modalita` di creazione1. 1

Andrea Balzala-Anna Maria Monteverdi, Le arti multimediali digitali, Milano, Garzanti, 2004, p. 11.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Gli studiosi di comunicazione, i critici, gli autori, si pongono nuovi interrogativi sul destino del cinema. Difficile prevedere le direzioni possibili della ricerca e della sperimentazione trattandosi di un ambito, quello tecnologico, in continua evoluzione. La concezione stessa di cinema e` in divenire perche´ mutano le dinamiche del suo linguaggio. Per un curioso paradosso, da un lato l’evoluzione del linguaggio cinematografico e` stata dominata e condizionata dai progressi tecnologici – basti pensare all’avvento del sonoro, del colore – dall’altro proprio quella componente tecnologica, condizione della sua stessa esistenza, ha precluso per lungo tempo al cinema l’accesso al riconoscimento della dignita` estetica. Ampio e complesso il dibattito teorico che ha consentito di giungere alla legittimazione artistica del cinema ed oggi, anche in ambiti diversi – come la televisione, la video-arte, la computer-graphics – e` possibile concepire un’estetica in cui l’utilizzo di strumenti tecnologici e` elemento fondante. I progressi hanno consentito al linguaggio per immagini di pervenire, nel corso del Ventesimo secolo, ad un grado estremo di duttilita` ed efficacia e prodotto anche migliori condizioni di fruizione dei film ma il rapporto fra il cinema e la tecnologia resta complesso e contraddittorio. Nelle sue pratiche e nelle sue produzioni, il cinema fonde la componente tecnica, artistica e sociale della modernita`: per comprendere la storia dell’arte del ’900 occorre considerare quel complesso variegato di sconvolgimenti in ambito estetico derivati dall’innovazione tecnologica nel settore dei media. Il tema dunque e` quanto mai attuale ed al centro di un dibattito oggi piu` consapevole, libero ormai da pregiudizi e – dopo il sonoro, il colore, il grande schermo – la nuova frontiera e` rappresentata dalle tecnologie elettroniche e digitali. Il passaggio dal fotochimico all’elettronico ha permesso di realizzare vere sintesi d’immagini: oggi e` possibile creare elementi visivi senza modelli veri, costruiti muovendo da algoritmi. La nuova rivoluzione digitale e` infatti arrivata ad escludere quella componente riproduttiva fotografica alla base del cinema, che aveva fatto dubitare della sua artisticita`, interrompendo lo stretto legame, avvertito come imprescindibile, tra la creazione e l’origine d’immagini nella riproduzione del mondo reale. Siamo di fronte ad un nuovo statuto dell’immagine, non piu` “mimesi”, “rappresentazione”, “traccia”, perche´ non rimanda piu` ad un altro-da-se´ da cui ricevere senso, ma si presenta come una nuova entita` in se´ oggettiva: la pellicola, il supporto chimico, viene rimpiazzato dal supporto digitale e viene meno una delle funzioni fondanti del cinema, la funzione di indice, di traccia, cara a Bazin.

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Walter Benjamin, nel suo saggio su L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilita` tecnica (1936), aveva trattato il problema della fotografia, del cinema e delle copie di opere artistiche ma da allora il problema della riproduzione si presenta assai piu` complesso perche´ la tecnica non si limita piu` a riprodurre ma produce, cioe` crea corpi virtuali, nuovi territori. In questo passaggio dalla fotografia, dal cinema tradizionale all’immagine digitale/numerica si e` compiuto una sorta di processo di «smaterializzazione» destinato a destabilizzare ogni vecchia e nuova ontologia. Scrive Costa: Le immagini numeriche sono, ancora piu` che immateriali, mentali nella loro essenza risultando esse da un trattamento logico/matematico delle informazioni di partenza; l’immagine digitale e` nient’altro che la visualizzazione di un lavoro logico/matematico, qui l’energia e la luce cessano di appartenere al mondo fisico e vengono assimilate all’universo mentale delle procedure logiche e dei modelli linguistici2.

La rivoluzione tecnologica che ha investito il cinema ha prodotto nuove immagini, nuove modalita` di consumo, nuovi spettatori. Nonostante qualcuno parli di morte del cinema, in realta` stiamo assistendo ad un diverso modo di rappresentarlo. Dal film per le masse, che suscitava dibattito e confronto, e` nato un cinema di emozioni pure che si rivolge a spettatori-individui isolati armati di telecomando, Dvd e Internet. Il regista scrive il suo film e lo spettatore diventa lettore, senza che questo significhi necessariamente una regressione o la morte del cinema. La produzione cinematografica interamente finalizzata alla fruizione televisiva, l’utilizzo del videoregistratore, del lettore di Dvd, hanno profondamente modificato il rapporto tra prodotto filmico e spettatore. Il cinema e` entrato in una fase di innovazione e risorge da se stesso. Con il cambiamento del suo supporto e con le nuove modalita` di fruizione il film non e` piu` racconto logicamente organizzato ma puro spettacolo che lo spettatore puo` visionare in piena liberta`: puo` iniziare a vedere un film da dove crede, rivedere, saltare dei capitoli. Il cinema interattivo da` vita dunque anche ad un nuovo spettatore: partecipando attivamente al mondo virtuale non e` piu` uno spettatore-osservatore ma uno spettatore-attore. Jean Baudrillard vede il reale assorbito nel virtuale, lo schermo un luogo di 2

Mario Costa, Estetica dei media. Avanguardie e tecnologia, Roma, Castelvecchi, 1999, p. 277.

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immersione in cui finiremo col perdere la giusta distanza dello sguardo. All’universo differenziato del reale si affianca un universo integrato del virtuale dove contrapposizioni come vero/falso, realta`/immaginazione, vengono inglobate in una iperrealta` dove interagiscono e persino il soggetto vede minacciato il suo ruolo di depositario del sapere. Innegabilmente, al di la` della perdita dell’aura, il rischio e` la rarefazione della magia e dell’emozione e come sottolinea Lucilla Albano, «...lo spettatore ha perduto il suo posto, ha perduto il 3 luogo della sua visione» . Come ricorda Mario Pezzella, Nell’ambito del riproducibile, cade la possibilita` di distinguere il vero dal falso4.

Tra riserve ed allarmi per la distanza del cinema digitale da una tradizione consolidata, sulla quale si era fondata un’estetica con canoni e principi certi, con il rischio della standardizzazione in uno sterile mare di effetti speciali, non manca l’entusiasmano di chi, nella flessibilita` dei nuovi strumenti, vede ampi territori di sperimentazione. In realta` le nuove tecnologie dell’immagine, ma anche della parola e dell’espressione, aprono anche nuovi inquietanti interrogativi perche´ i media della comunicazione “plasmano” il pensiero 5 umano, le forme dei saperi e della cultura. Come Gianni Canova ricorda, il cinema e` un mezzo di comunicazione di massa che si differenzia dagli altri perche´ ha coscienza critica di se´ in quanto e` stato il linguaggio del Novecento. Non si tratta piu` di porsi il problema di riprodurre o meno la realta`, il problema e` inventare dei frammenti di mondo che lo spettatore abbia desiderio di abitare per la durata dello spettacolo. Il confine netto fra la realta` e la finzione e` diventato sfuggente, mutevole e il futuro, per quanto inscritto gia` nel nostro presente, non sara` probabilmente come noi lo immaginiamo oggi. Al massimo possiamo fare ipotesi dettate dalle innovazioni della nostra epoca e interrogarci sugli effetti umani e sociali che esse rischiano di generare. Ma, fra le innovazioni tecnologiche, quali sono quelle destinate a trasformare la nostra vita? Le tecnologie emergenti non sono sempre proiettate con precisione nel futuro. Nel 1895 i fratelli Lumie`re consideravano il cinema una scoperta senza futuro, utile al massimo a registrare fatti reali. Per l’orizzonte 3

Lucilla Albano, La caverna dei giganti, Parma, Pratiche Editrice, 1992, p. 133. Mario Pezzella, Estetica del cinema, Bologna, Il Mulino, 1996, p. 23. Cfr. Gianni Canova, L’alieno e il pipistrello. La crisi della forma nel cinema contemporaneo, Milano, Bompiani, 2000. 4 5

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allora concepibile il cinema, come la fotografia, era una contraffazione della realta`, non una porzione di essa. Era uno strumento utile a copiare, duplicare, ad amplificare, una sorta di finestra aperta sulla realta` in movimento. Ma sin dalla sua origine, il cinema non si e` accontentato della sua capacita` di restituire il reale, come nelle prime opere dei Lumie`re: i trucchi e le manipolazioni di immagini di Me´lie`s, hanno aperto la via alla magia, all’illusione, dando all’immagine in movimento un ruolo che andava ben al di la` dell’inventario dell’esistente. Georges Me´lie`s scopre l’universo della fiction, la possibilita` di raccontare menzogne e verita`. Ogni nuovo mezzo d’espressione apre nuove frontiere a vecchi bisogni d’espressione e d’estetica. Mario Costa, nella seconda edizione ampliata di un libro che gia` nel 1990 si era imposto all’attenzione della critica, offre un lucido contributo teorico all’estetica dei media. Muovendo da un’analisi dei rapporti tra i media tecnologici e le avanguardie artistiche novecentesche e analizzando arti tecnologiche (dalla fotografia alla computer-art), propone, proprio in merito al rapporto arte-tecnica, una rifondazione delle tradizionali nozioni estetiche. La produzione artistica, per Costa, e` sempre stata condizionata dalle tecniche, dagli strumenti, dalle materie, cioe` da specifici dispositivi significanti. Tanto che la storia delle arti puo` essere intesa come storia dei rapporti tra i media, come storia delle relazioni tra i dispositivi significanti, ognuno dei quali caratterizzato da «[...] una sua specifica tecno-logica che ne determina il tipo di 6 effetto estetico che essa, ed essa soltanto, e` in grado di attivare» . Interessante la distinzione che Costa, all’interno di tale discorso, stabilisce fra le arti “strumentali” e quelle propriamente “tecnologiche”. Infatti la pratica artistica, ad un certo punto, ha abbandonando gli strumenti suoi propri, per avvalersi delle nascenti tecnologie che hanno finito col modificarne la natura. Costa distingue – muovendo da MacLuhan e da Leroi-Gourhan – tra “strumento” e “tecnologia”. Lo strumento tecnico va inteso come un prolungamento del corpo dell’artista e dei suoi organi di senso, mentre la “tecnologia” e` una “estroflessione separata” delle funzioni corporee dell’artista. Lo strumento e` una protesi del corpo umano “inattiva” senza di esso, mentre la tecnologia si caratterizza per una sempre crescente sua autonomia rispetto al fare dell’uomo. Anche Derrick de Kerckhove, allievo e collaboratore di McLuhan, direttore oggi del McLuhan Programme in

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Costa, op. cit., p. 53.

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Culture and Technology dell’Universita` di Toronto, considera gli strumenti tecnologici come risorse estensive delle facolta` umane. A suo parere la realta` virtuale consente di superare la dimensione prospettica rinascimentale – basata sulla designazione del punto di vista di uno spettatore ideale – operando una sorta di immersione totale in una rappresentazione polisensoriale in cui i concetti di orizzontalita`, frontalita`, linearita`, si ridimensionerebbero. Il punto di vista, attestazione del soggetto, verrebbe sostituito dal point d’eˆtre: la realta` artificiale diverrebbe presenza sul corpo, contatto tra realta` esistente e indissolubilita` psicosensoriale del soggetto. Mentre l’immagine analogica vive di vita propria, distinta dal suo osservatore in una separazione invalicabile per la distanza assoluta tra chi guarda e cio` che viene guardato. Christian Metz definisce lo spettatore voyeur: Nel cinema tradizionale lo spettatore s’identifica con un vedente, la sua immagine non figura sullo schermo, l’identificazione primaria non si costituisce piu` attorno ad un soggetto-oggetto, ma attorno ad un soggetto puro, onniveggente e invisibile, punto di fuga della prospettiva monoculare che il cinema ha mutuato dalla pittura. E, inversamente, tutto il veduto e` relegato sull’atto dell’oggetto puro, oggetto paradossale, che trae da questo sconfinamento la sua forza singolare. [...] il veduto ignora d’esser visto e la sua ignoranza permette al voyeur di ignorarsi come voyeur7.

Certo non e` possibile in questa sede esaurire la complessita` delle problematiche accennate; del resto gli studi di estetica si stanno confrontando con la realta` viva dell’operare artistico contemporaneo. Ormai gli studi sulle metamorfosi del concetto di immagine nell’eta` mediatica evidenziano un mutamento del modello estetico: la nozione di immagine, a seguito della rivoluzione digitale che ha soppiantato le tecniche analogiche, ha perduto ogni valenza mimetica. La proliferazione dell’universo digitale – l’iconosfera di cui parla Lizzani – il superamento delle tecnologie analogiche, le applicazioni del virtuale nel cinema, ma anche nelle altre arti, ci pongono di fronte ad una sorta di immanenza dell’immagine, ormai affrancata dal tradizionale concetto di mimesi. Ci troviamo di fronte ad un orizzonte teorico dagli sviluppi imprevedibili per la varieta` degli approcci metodologici che va dall’estetica alla psicologia della percezione, dalla sociologia alla critica d’arte. 7

Ivi, p. 90.

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1. Carlo Lizzani e le nuove tecnologie: gli interrogativi d’ordine estetico Il ruolo di Carlo Lizzani e` stato ed e` molto importante nel panorama della cultura cinematografica italiana anche per quanto attiene all’universo delle nuove tecnologie. Gia` nel 1967 inizio` ad introdurre il termine iconosfera per indicare quella rete di immagini che avrebbe finito per avvolgere il pianeta, condizionando la nostra vita quotidiana. Le categorie spazio-temporali che ci consentono di avere consapevolezza della nostra collocazione in senso fisico, psichico e morale, in effetti sono state completamente ridefinite dal linguaggio della comunicazione di massa. Dato il ruolo e la pervasivita` dei media, la percezione del mondo e il mutamento hanno assunto la dimensione della quotidianita` e della globalita`. Senza piu` confini tra pubblico e privato, alla luce azzurra del televisore, dello schermo del pc, l’individuo e la massa si 8 incontrano: dal “villaggio globale” di Marshall McLuhan si e` passati all’individuo globale per le nuove possibilita` di accesso alle comunicazioni satellitari e alle connessioni via internet. La globalizzazione non riguarda solo la finanza e l’economia, ma la psicologia, lo stato mentale e la percezione. Come previsto da Lizzani, oggi il soggetto si trova ad essere perennemente mobilitato dall’informazione9. In un contesto in cui i confini tra comunicazione e rappresentazione, tra informazione ed espressione sono sempre piu` labili, le coordinate di tipo estetico appaiono insufficienti e Lizzani auspica da tempo l’impegno congiunto della filosofia, della semiotica, della sociologia, dell’ermeneutica, della psicanalisi, della narratologia, dell’antropologia, per leggere e decodificare l’immensa iconosfera che ha doppiato virtualmente il reale. Come le avanguardie storiche avevano assunto la fotografia, straordinario mezzo per la riproduzione del reale, quale portabandiera della rivoluzione visiva, cosı` le nuove tecnologie del virtuale rappresentano oggi l’ambito di riflessione in cui si confrontano una varieta` di discipline. Lizzani non trascura di sollecitare le scienze della percezione, la fisiologia, la neurobiologia, a studiare le mutazioni determinate dai processi interattivi e virtuali nella sfera psicofi8 Cfr. Milano, 9 Cfr. Torino,

Marshall McLuhan, Gli strumenti del comunicare, Mass media e societa` moderna, Il Saggiatore, 1964. Derrick De Kerckhove, L’architettura dell’intelligenza (La Rivoluzione Informatica), Testo & Immagine, 2001.

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sica delle nuove generazioni. Anni fa aveva pensato addirittura di realizzare un film su questo argomento perche´ ciclicamente la societa` di massa ha il dovere di interrogarsi sulle nuove frontiere dell’evoluzione tecnologica. La sua attenzione a queste problematiche e` stata costante e soprattutto due saggi, tra i tanti, raccolgono il contributo della sua riflessione. Del 1968, La quarta era dell’immagine in movimento, del 1995 Il discorso 10 delle immagini , che lui definisce una sorta di diario di bordo di oltre cinquant’anni di esperienza sul campo, con cui ha contribuito a mantenere sempre viva l’attenzione verso una dimensione, quella tecnologica, in continua trasformazione. Lizzani pone tre fondamentali interrogativi: intanto se sia ravvisabile nel linguaggio audiovisivo, dalle molte articolazioni, un’identita` omogenea e quindi se sia possibile delineare i confini, grazie al contributo di ambiti di studio diversi, di quel vasto territorio in cui sono confluiti pellicola ed elettronica; considera ancora aperto l’interrogativo sulla doppia articolazione del cinema: lingua o linguaggio?; l’altro tema riguarda il futuro del cinema. Durante gli anni in cui ha diretto la Biennale di Venezia (19791983) Lizzani ha organizzato seminari su temi come “Immagine elettronica”, “Gli anni Ottanta del cinema”, per stimolare una riflessione sulle nuove tecnologie che proprio in quegli anni ponevano nuovi interrogativi. Lizzani sentiva che, anche accettando l’idea di una morte dell’arte e inserendo il cinema nel piu` ampio orizzonte dell’audiovisivo – con la necessita` quindi di ridefinire i criteri di scelta, di catalogazione – occorreva individuare norme estetiche adeguate. Nell’edizione della Mostra di Venezia del 1980 realizzo` un convegno internazionale dal titolo Film come bene culturale, occasione di un dibattito prezioso in cui si confrontarono i contributi di discipline diverse e che dimostro` come l’Estetica, nonostante il postmoderno si stesse imponendo, restasse un punto di riferimento ineludibile. Il dibattito oggi resta aperto, l’Estetica ha confini sfumati che si intersecano con quelli della semiotica, dell’ermeneutica, in pratica con quelli della filosofia. Lizzani concorda con Emilio Garroni riguardo al fatto che la filosofia non possa essere soggetta a partizioni, non essendo un «sapere» come la scienza ma lo sforzo di comprendere le possibilita` dell’esperienza e del sapere. L’arte rappresenta uno spunto per la riflessione estetica – intesa come principio conoscitivo – che rende possibile la costruzione di una conoscenza. 10

Cfr. Carlo Lizzani, Il discorso delle immagini, Venezia, Marsilio, 1995.

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Oggetto dell’estetica e` il senso dell’esperienza in genere. L’interrogativo di Carlo Lizzani resta aperto: estetica specialistica o filosofia? In ogni caso occorre riscrivere l’estetica cinematografica e riformulare una sua etica. In tanti campi – dalla fisica alla biologia, dalla filosofia alla storiografia – l’uomo non ha mai accettato un nichilismo totale, prefigurato come inevitabile di fronte al tramonto della modernita`, perche´ resta il problema etico della responsabilita`. Lizzani sottolinea la posizione di Vattimo che ascrive la responsabilita` della crisi del progetto politico e filosofico – dal Sessantotto ai primi anni Ottanta – al tramonto dell’idea di una razionalita` unica e universale. Il suo pensiero debole, diffusosi in molti paesi, e` una filosofia che propone l’indebolimento dell’essere come chiave di lettura della postmodernita`, ma anche come spinta all’emancipazione umana e al superamento delle differenze sociali. Sul piano politico ed etico il pensiero debole si caratterizza per la critica delle posizioni basate su valori assoluti. Lizzani avverte che mettendo in discussione ogni valore assoluto si corrono rischi ma che questa presa di coscienza sollecita la prudenza verso l’individuazione di nuovi assoluti. La rivoluzione tecnologica, in atto nel campo della comunicazione negli ultimi quarant’anni, ha reso obsoleti i canoni estetici sul versante degli audiovisivi ma anche quei principi teorici che ne consentivano una pratica interpretativa, una catalogazione. Occorre dunque individuarne di nuovi per evitare una catastrofe 11 ecologica . Gia` Susan Sontag nel 1977, con il suo libro Sulla fotogra12 fia , riflessione sulla natura e sul ruolo sociale della fotografia, aveva affrontato un tema tra i piu` inquietanti riguardo all’immagine: la sua capacita` di svolgere un ruolo estetizzante anche quando mostra gli aspetti piu` dolorosi della realta` umana. La Sontag si interrogava sulla legittimita` dell’operazione che porta a scegliere la “giusta inquadratura del dolore”. La volonta` di denunciare l’orrore puo` giustificare tutto o piuttosto e` necessario riflettere sulla necessita` di individuare una ecologia delle immagini? Le valutazioni della Sontag sulla natura umana hanno portato Lizzani ad una nuova consapevolezza: non e` piu` possibile una “ecologia delle immagini” Non a caso Lizzani fa riferimento a Vattimo che sostiene come la perdita di confini tra realta` e immaginazione estetica abbia determinato una sorta di estetizzazione del reale, dei suoi linguaggi, delle forme del quotidiano. Scrive Lizzani: 11 12

Ivi, p. 37. Cfr. Susan Sontag, Davanti al dolore degli altri, Milano, Mondadori, 2003.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Ma chi, e in che modo, ci puo` dare alcune chiavi, alcune strutture base per difenderci (da) o interpretare o disboscare, o mimare (nei tratti essenziali) il flusso di immagini che piovono addosso ai bambini, e anche a tanti milioni di adulti soggetti passivi delle meccaniche – oramai tanto perfette da sembrare naturali – dell’industria audiovisiva?13.

Massmediologi ed estetologi si interrogano sul rischio che l’arte possa disperdersi nell’informazione e tornano ad evocare il timore di Georg W. Friedrich Hegel di morte dell’arte. Per Lizzani una rinnovata riflessione estetica sara` in grado di individuare nuovi canoni per il futuro del cinema e in generale dell’audiovisivo, futuro che apre nuove problematiche alla sociologia della comunicazione che non intende prefigurare la morte dell’arte inghiottita dall’industria culturale. Lizzani cita a tal proposito Edgar Morin che considera l’uomo un animale dotato di s/ragione, tratto che lo contraddistingue esprimendone la grandezza. L’Arte, per Morin, piu` di ogni altra umana 14 realizzazione, si fonda proprio su questa sua specifica qualita` . Lizzani ipotizza che l’estetizzazione della vita reale ci sia sempre stata. Forse ha ragione Virilio quando afferma: Alla fine di questo XX secolo l’arte non parla piu` del passato, ne´ raffigura il futuro, ma diventa lo strumento privilegiato del presente e della simultaneita`. “Arte della presenza”, di fronte all’industria della telepresenza, davanti all’avvento del LIVE, l’arte contemporanea ha cessato di rappresentare la figura del mondo per presentare la sua “realta`”15.

E per dirla con Le´vy: Al posto di diffondere un messaggio verso ricettori esterni al processo di creazione, invitati a dare senso all’opera solo in un secondo momento, l’artista tenta qui di costruire un ambiente, un dispositivo di comunicazione e produzione, un evento collettivo, che coinvolga i destinatari, che trasformi gli ermeneuti in attori, che metta l’interpretazione in circuito con l’azione collettiva. [...] Ora l’arte dell’implicazione non costituisce piu` nessuna opera, nemmeno aperta o indefinita: fa emergere processi, vuole aprire uno sbocco a vite autonome, immette nella crescita e nell’abitazione di un mondo. Ci inserisce in un ciclo creativo, in un ambiente vivente di cui siamo sempre gia` coautori. 13 14 15

Carlo Lizzani, op. cit., p. 38. Cfr. Edgar Morin, Il paradigma perduto, Milano, Bompiani, 1974. Paul Virilio, La bombe informatique, Paris, Galile´e, 1998, p. 117.

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Work in progress? Sposta l’accento dal work al progress. Si ricondurranno le sue manifestazioni a momenti, luoghi, dinamiche collettive, ` un’arte senza firma16. non piu` a persone. E

2. Albori dell’era elettronica Il cinema, appena assunto nell’olimpo dell’arte, con l’avvento delle nuove tecnologie si trova costretto a ridefinire la propria identita`. Lizzani non trascura di ricordare il contributo fondamentale di personalita` come Chiarini, Arnheim, Pasinetti, che dalle pagine di “Bianco e Nero”, “Cinema”, attivarono quella mobilitazione di studi che avrebbe contribuito a collocare il cinema quale nuovo linguaggio tra le altre arti, con pari dignita`. Senza dimenticare che, al di la` del riconoscimento del cinema come arte, si impegnarono a far circolare la riflessione teorica di studiosi come Canudo, Ejzentejn, Pudovkin, Vertov, nel tentativo di fondare una estetica cinematografica. Dalla legittimazione, grazie alla mobilitazione dell’estetica crociata, il cinema conobbe anni di fervido dibattito destinato a segnare la cultura cinematografica in Italia: si attivarono cineteche, festival, mentre l’universita` aprı` le porte alla nuova disciplina. Lizzani ricorda che gia` Benjamjn si era accostato ai problemi legati al carattere di massa delle nuove tecnologie che modificavano la nozione di opera d’arte. 17 Nel saggio L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilita` tecnica aveva considerato l’avvento del cinema come la fine della concezione aristocratica dell’arte perche´ ormai fruibile da tutti. La fotografia e il cinema hanno dunque profondamente modificato la nozione di opera d’arte, non piu` caratterizzata dall’autenticita`, dall’unicita`, ma avviata verso una sorta di desacralizzazione che non esclude la qualita`. Lizzani rileva anche il contributo della Scuola di Francoforte, punto di riferimento della teoria critica della societa` che, negli intenti di Horkheimer, era finalizzata allo studio delle dinamiche della societa` industriale avanzata in vista di una trasformazione razionale rispettosa dell’uomo, della sua liberta`, della sua creativita`. Per raggiungere la sua funzionalita`, la societa` tecnologica contemporanea ha attivato uno strumento fondamentale: l’industria culturale, costituita essenzialmente dai mass-media (cinema, televisione, radio, dischi, 16 Cfr. Pierre Le´vy, L’intelligenza collettiva. Per un’antropologia del cyberspazio, Milano, Feltrinelli, 1996, p. 130. 17 Cfr. Walter Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilita` tecnica, Torino, Einaudi, 2000.

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pubblicita`, stampa, ecc.) che impongono valori, veicolano modelli di comportamento, creano bisogni, a detrimento della liberta` e della creativita`. In questo contesto anche il divertimento viene gestito dall’industria culturale che diventa ideologia del sistema. De Kerckhove parla di arte vulcanica: In tempi di disordine e di sommovimento sociale, l’arte ha come oggetto i valori. [Essa e`] un accesso, una spia del ribollire della coscienza collettiva, del magma della realta` in formazione.18

E ancora, in riferimento alla rapida mutazione mediale: La realta` e` una forma di consenso che non e` solo sostenuta dalla buona volonta` e dal linguaggio delle comunita` che la condividono, ma e` anche inquadrata e mantenuta in vita dal principale medium di comunicazione usato da quella cultura. L’arte erompe quando una nuova tecnologia sfida lo status quo19.

Il cinema quindi, dagli anni Venti agli anni Cinquanta del secolo scorso, per la sua grande diffusione e popolarita` sarebbe il principale responsabile dell’omologazione del gusto e della percezione, oltre che di fenomeni di devianza. A partire dagli anni Sessanta analoghe responsabilita` vengono attribuite alla televisione. Cinema e tv alimentano timori ancestrali: l’orrore dell’omologazione e dell’uniformizzazione. Gia` l’invenzione della stampa aveva messo in allarme gli umanisti perche´ consentiva la riproduzione seriale dello scritto, non piu` manoscritto, e quindi – come dira` piu` tardi Benjamin – privo di aura. La perdita di una cultura gerarchizzata, che piu` facilmente avrebbe trovato una diffusione popolare, rappresentava un grande rischio. Dunque problemi antichi che nell’era dell’elettronica tornano amplificati e che la telematica, la comunicazione numerica, digitale, virtuale, hanno moltiplicato. Sin dagli albori la rivoluzione andava oltre il dibattito tecnologico o linguistico e chiamava in causa ambiti etici ed estetici, in definitiva, il pensiero filosofico. Il cinema, ricorda Lizzani, ha impiegato il primo mezzo secolo a guadagnarsi il riconoscimento della dignita` estetica, tra battaglie e nemici autorevoli, altrettanti sostenitori entusiasti e – per ironia della sorte – viene riconosciuto come arte quando si parla di morte dell’arte, quando entra in crisi il concetto stesso del bello. Senza considerare che il cinema ha visto poi il

18 19

Cfr. De Kerckhove, p. 181. Ivi, p. 182.

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suo pubblico migrare verso la televisione. Problemi che riguardano la sociologia e l’antropologia ma certamente influiscono sull’Estetica che vacilla di fronte alle nuove tecnologie. Nuovi interrogativi si sono venuti delineando perche´ il cinema, dispositivo che consentiva di catturare il reale “naturale”, ha visto modificarsi proprio la nozione di realta` divenuta ambigua e sfuggente nell’universo elettronico. Quel mezzo capace di riprodurre la realta`, la vita reale, si trova ad essere messo in discussione da quel principio di indeterminazione che dubita dell’obiettivita` di tutti gli strumenti di osservazione scientifica della realta`. Gia` nel 1959, ricorda Lizzani, Gillo Dorfles – sottolineando l’impossibilita` di catalogare e definire i diversi ambiti artistici per i mutamenti stilistici e tecnici in continuo divenire, – scriveva: Non e` possibile ai nostri giorni parlare dall’alto d’una incrollabile fede in una verita` estetica rivelata. Non e` possibile credere in una perennita` – e neppure in una stabilita` – di categorie estetiche immobili e predeterminate. L’errore di molti moderni trattatisti di storia dell’arte, di estetica, di filosofia, consiste proprio nella loro presunzione di potersi atteggiare a depositari d’una verita` non transeunte ma definitiva e inoppugnabile20.

Le onde elettromagnetiche successivamente potenziarono in modo sconvolgente questo tipo di emittenza e di comunicazioni: il segnale elettronico dirotto` le immagini fuori e oltre i confini della sala cinematografica, luogo naturale della motion picture. Lizzani ha evidenziato come l’utilizzo theatrical della motion picture rappresenti solo una piccola parte della comunicazione audiovisiva. Trenta, quarant’anni fa, agli albori della rivoluzione elettronica, ci si avviava a porsi quei quesiti che oggi sono ancora attuali ed aperti. Gia` allora ci si chiedeva se la televisione, nonostante i palinsesti rigidi, avrebbe consentito una maggiore liberta` di scelta, una maggiore flessibilita` rispetto al rituale collettivo ad orari fissi della sala cinematografica. Con le prime nuove opzioni come il cambio di canale e poi, successivamente, la possibilita` di registrare i programmi, e` stata compromessa l’unidirezionalita` del messaggio e la forma classica della comunicazione audiovisiva codificata dal cinema, la fiction di novanta- cento minuti. Lizzani fa notare che la forma del discorso per immagini aveva gia` subito modificazioni da decenni: la comica finale trova un suo spazio solo fino agli anni Venti e Trenta, piu` a lungo resiste il cinegiornale. 20

Gillo Dorfles, Il divenire delle arti, Torino, Einaudi, 1959, p. 4.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

Il documentario, il cortometraggio, nonostante abbiano contribuito a fondare il linguaggio del cinema, sono stai via via emarginati dalle programmazioni. A proposito di questo fenomeno appare assai illuminante, oltre che vicina alla posizione di Lizzani, l’analisi che Metz fa del fenomeno quando, a proposito del film-semiologo, si chiede se il corpus debba essere costituito da lungometraggi narrativi oppure da cortometraggi, documentari, film tecnologici, pedagogici, pubblicitari. Metz considera infatti del tutto imprevisto il fatto che il cinema sia diventato un mezzo per raccontare delle storie. Anche se sin dagli inizi si avvertı` tale propensione, non era prevedibile che assumesse dimensioni emergenti: cinema e narrativita` hanno una valenza storica e sociale, una componente che certo ha condizionato la successiva evoluzione del film. Metz definisce tutti i generi non narrativi – il documentario, il film tecnico ecc. – province periferiche, mentre il lungometraggio di finzione romanzesca e` diventato la via maestra dell’espressione filmica21. Non e` un caso che la riflessione sul cinema nell’era digitale si sia concentrata soprattutto sulle possibilita` della narrazione interattiva: il cinema, arte della narrazione, acquisisce con i nuovi mezzi digitali la possibilita` di rinnovare le sue modalita` proprio in questa direzione. Il confronto vero tra mezzi digitali e cinema va ben al di la` della narrazione perche´ si tratta di ridisegnare l’identita` profonda del cinema. L’informatica, tappa della storia tecnologica del cinema, non influenza soltanto la struttura del testo filmico, ma investe l’intero sistema cinematografico. Le innovazioni di questa tecnologia hanno trasformato la dimensione audiovisiva, destrutturando i dispositivi tradizionali, gli apparati produttivi e il consumo del cinema. La capillare diffusione del personal computer rinnova il modello interpersonale di comunicazione e le pratiche della narrativita`: processo multimediale che si riflette inevitabilmente sul cinema. Il film e` ormai solo uno dei tanti prodotti del sistema audiovisivo che vede il proliferare di nuovi canali, un sistema dalle differenze sfuggenti tra i diversi media orientati al coinvolgimento totale da cui nasce una nuova antropologia dello sguardo.

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Cfr. Christian Metz, La significazione nel cinema, Milano, Bompiani, 1975.

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3. Carlo Lizzani: il cinema macro-genere dell’audiovisivo Carlo Lizzani ritiene, come molti altri, che il cinema abbia perso nell’ambito della comunicazione audiovisiva il suo ruolo preminente, perche´ soppiantato dalla televisione che oggi rischia, a sua volta, di perdere il primato nella diffusione della cultura di massa perche´ Internet e le reti telematiche hanno avviato nuovi modelli di comunicazione tra fruitori: l’interattivita` e` destinata a dominare la comunicazione del futuro in quanto da Internet si e` propagata ad altri settori come la televisione digitale e la telefonia. Accanto a questo aspetto Lizzani rileva come le tecniche d’avanguardia e la virtualita` abbiano potenziato la magia del cinema ma ritiene che il frastagliato territorio dell’audiovisivo necessiti di una sistemazione teorica. La televisione, grazie alla varieta` dei formati, offre un’ampia gamma di opzioni rispetto al cinema. Emergono, sin dalle sue origini, una varieta` di generi, di formati del discorso-per-immagini con cui la sala cinematografica non avrebbe mai potuto competere: il documentario lungo, l’inchiesta, l’intervista e l’informazione audiovisiva. La fiction televisiva, sin dagli albori, e` stata liberata dai vincoli del canone cinematografico tradizionale e ha potuto costruire storie lunghissime (a puntate) o cortissime (gli spot pubblicitari). Per Lizzani oggi l’ambito della comunicazione audiovisiva si allarga e comincia ad avere contiguita` con altri universi della comunicazione umana: quello letterario, pittorico, musicale. Questi gli elementi innovativi che l’elettronica ha inserito nel territorio della motion picture, fino a trenta-quaranta anni fa dominata dal cinema, con il suo formato e i suoi tempi tradizionali. Alla televisione del resto non era consentito mandare in onda film in quanto il ciclo di sfruttamento dell’opera avveniva esclusivamente nelle sale, passando da quelle di prima visione a quelle di seconda visione, poi in provincia e nelle sale parrocchiali. La televisione si e` orientata dunque sin dall’inizio verso altre forme di fiction, piu` vicine al radiodramma e all’originale radiofonico, avviando nello stesso tempo una modalita` di fidelizzazione del pubblico grazie alla possibilita` di creare appuntamenti settimanali, diventati oggi quotidiani. Alla televisione, che rompe il formato tradizionale della fiction, Lizzani riconosce il merito di aver contribuito ad avviare il cinema verso la sperimentazione di nuove produzioni, fuori dagli schemi

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

classici di durata: film lunghissimi come il Berlinalexanderplatz22 di Fassbinder (dodici ore) o l’edizione integrale (cinque ore) del Ludwig di Visconti non avrebbero mai visto la luce senza l’istituzione televisiva, come pure certi cortometraggi, documentari o saggi audiovisivi. Di recente ha affermato in una intervista che esperienze come La 23 meglio gioventu` dimostrano che il film per la tv, della durata di sei ore, puo` avere accesso anche nelle sale. Ragioni di mercato hanno costretto il cinema a privilegiare un unico genere: il film di finzione narrativa per cui si parla di generi cinematografici ma in realta` si fa riferimento a sottogeneri di un macrogenere, il cinema narrativo. Il cinema va visto, secondo Lizzani, come genere dell’universo piu` generale dell’“immagine in movimento” mentre i generi: [...] sono solo le categorie, i sottogeneri di un macrogenere, il cinema narrativo. Forse ai generi tradizionalmente intesi converrebbe piu` la definizione di 24.

Lizzani e` per una ri-attribuzione della nozione di genere a forme diverse, come il cinema scientifico, il documentario d’arte, il film saggio. Con gli anni Ottanta e` andato in crisi l’immaginario collettivo creato dal cinema perche´ la televisione, specie la neo-televisione, sempre piu` si e` mostrata capace di attivare dinamiche sociali importanti per l’impatto che le sue rappresentazioni simboliche hanno nella percezione soggettiva della realta` da parte di un pubblicomassa, esposto costantemente alla sua capillare influenza quotidiana. Siamo in presenza di una saturazione di immagini in virtu` di fenomeni di continuita`, di ubiquita`, di serialita`: la televisione crea illusioni ottiche attraverso la costruzione di un mondo di riferimento del tutto virtuale che viene percepito come reale. In pratica assistiamo ad una sovrapposizione dei due universi. Nella societa` dell’informazione tutto e` informazione, come sostenuto da Gianfranco Bettetini, anche il film, la fiction televisiva, che

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Lizzani sperimentera` queste possibilita` sul campo negli anni che vanno dal 1979 al 1982, come direttore della Mostra del cinema di Venezia proiettando Berlinalexanderplatz di Rainer Werner Fassbinder della durata di 12 ore, nato per essere trasmesso in televisione in 12 puntate; la versione integrale del Ludwig di Visconti di 5 ore e Il pianeta azzurro di Franco Piavoli, anch’esso di durata anomala: 1 ora tra la fiction e il documentario. Le scelte coraggiose di Lizzani certo furono provocatorie ma in realta` evidenziarono la necessita` di ridefinire canoni e classificazioni di genere ormai superati. 23 La meglio gioventu` di Marco Tullio Giordana, 2003. 24 Lizzani C., op. cit., p. 48.

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restituiscono porzioni di visioni del mondo fortemente ideologizzate perche´ legittimate dal potere politico ed economico. Nasce cosı` 25 l’immaginario collettivo che per Bettetini e` un “mondo di simulacri” , un mondo fittizio dove il simulacro e` un segno vuoto che rinvia solo a se stesso e non alla realta`. Lo spettatore e` portato di conseguenza a dare credibilita` a cio` che reale non e`, a credere eventi cio` che e` costruzione di eventi. Lo schema narrativo ha invaso anche l’informazione vera e propria: la fascinazione del modello del racconto ha invaso i media. Attualmente infatti si parla di infotainment per indicare quei programmi nati dalla commistione di intrattenimento e di informazione, per esigenze di audience. Altri generi televisivi tradizionali hanno cercato la via della contaminazione con l’intrattenimento e sono nati, ad esempio, l’edutainment o lo sportainment. Questa tendenza alla ibridazione del piano di realta` e di quello di finzione genera quell’ambiguita` che amplifica il coinvolgimento dello spettatore perche´ genera una sorta di effetto-realta`. Ormai, piu` che di virtualizzazione, si parla di iperrealismo in quanto la preoccupazione di mostrare la realta` porta al suo supera26 mento . Scrive Bettetini: La rinuncia al controllo, la disponibilita` al trascinamento nel flusso dei simulacri schermici, possono comportare – non solo il distacco da un rapporto diretto e organico con la realta` – ma una curiosa trasformazione dello stesso rapporto con il significante audiovisivo. La testualita` tipica del cinema tradizionale e della televisione delle origini comportava comunque [...] una dialettica continua fra fiducia acritica e consapevolezza, fra illusione e smontaggio di finzione; oggi questo problema appare come superato, perche´ non si pone piu` alcun interesse ai meccanismi della finzione e si vivono le immagini, i segni, non tanto nel loro riferimento a una realta` rappresentata o comunque coinvolta, quanto nella loro autonomia e nel loro reciproco intreccio27.

Temi questi cari a Lizzani che da sempre si interroga sul futuro, dati gli attuali scenari dominati da ibridazioni e con-fusioni, dove cinema e televisione sembrano non solo convivere ma confondersi nell’iconosfera: «...ragnatela morbida, una grande placenta in cui 28 potremmo, anestetizzati, galleggiare in eterno» . 25

Cfr. Gianfranco Bettetini, La conversazione audiovisiva, Milano, Bompiani, 1984. Cfr. Enrico Menduni, I linguaggi della radio e della televisione. Teorie e tecniche, BariRoma, Laterza, 2002. 27 Gianfranco Bettetini, op. cit., p. 50. 28 Carlo Lizzani, op. cit., p. 135. 26

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

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4. Carlo Lizzani e le nuove frontiere del digitale Scetticismo e diffidenza degli intellettuali hanno sempre accompagnato le innovazioni tecnologiche del cinema, ricorda Lizzani, ma di fatto si sa anche che il grande schermo ha contribuito a creare sempre nuove forme di linguaggio: la tecnologia non cambia la sostanza e va intesa come nuova risorsa al servizio del linguaggio artistico. Intravede semmai il rischio che venga trascurata la scrittura in quanto alla base di un buon film c’e` sempre una buona sceneggiatura. Intendere la tecnologia come facile risorsa per ottenere esclusivamente effetti speciali puo` isterilire il cinema. Le possibilita` delle tecnologie digitali sono ben piu` ampie e registi ed autori potranno modificare la fisionomia del cinema in tempi brevi e in direzioni imprevedibili. Non e` escluso che molti autori siano impreparati e non pienamente consapevoli dell’utilizzo di queste risorse ma certo molti sono gia` in grado di incorporarli appieno nel loro linguaggio filmico. Cinema tradizionale e tecnologie digitali possono convivere e le risorse di ciascun ambito possono dialogare tra loro per contribuire ad arricchire l’illusione cinematografica. Carlo Lizzani, in un’intervista, ha affermato che il cinema e` cambiato, tutto il suo fascino resta e confida nel contributo della riflessione teorica e nella virtualita` per evitare la crisi di alcune cinematografie, come quella europea. Le tecniche digitali e virtuali potrebbero determinare un’inversione di tendenza a vantaggio di cinematografie emergenti rendendole in grado di invadere territori da sempre monopolio del cinema americano, come la fantascienza, la storia. Tra le nuove risorse disponibili Lizzani annovera la possibilita` di strappare al deterioramento e alla morte un patrimonio di film: oggi il restauro consente di portare all’antica bellezza opere che altrimenti andrebbero perdute per la deperibilita` del supporto chimico. Lizzani intravede, al contrario, per il cinema americano, un rischio derivante dall’invadenza della tecnologia: la perdita d’attenzione nei confronti dei grandi temi sociali, umani e psicologici. Se e` vero che e` in atto un’alfabetizzazione audiovisiva che comportera` una mutazione antropologica di eccezionale portata, per Lizzani sono necessarie strategie urgenti di tipo pedagogico: la grammatica e la sintassi del discorsoper-immagini devono diventare pratica scolastica diffusa, dalle elementari fino all’universita`, prima che la parola e l’articolazione del linguaggio scritto si impoveriscano ulteriormente. Educare all’immagine significa anche conservare e arricchire la struttura del pensiero

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logico e quindi anche della parola. A questo proposito Lizzani cita, in una intervista, Furio Colombo: I principi della intelligenza artificiale suggeriscono i tre passaggi fondamentali: conoscere il che cosa, conoscere il come, conoscere il perche´. Diventare protagonisti-antagonisti e` il solo modo per non essere ingoiati da una illusione che porta a slittare, gradatamente e inconsciamente, dentro l’identita` di chi guida il gioco. Altrimenti sto scambiando un efficace strumento per vita. E in questa vita artificiale mi adatto, mi ambiento, mi arrendo29.

Il riequilibrio, attraverso la virtualita`, delle potenzialita` espressive e spettacolari del cinema e l’alfabetizzazione audiovisiva planetaria necessitano di una mobilitazione di tipo antropologico, estetico, politico e filosofico e non sterili conclusioni apocalittiche sul destino del cinema e della cultura. Lizzani ipotizza due percorsi auspicabili per il cinema del futuro. Il primo potrebbe essere quello di liberarsi dall’ossessione filmcentrica, cioe` dall’idea che il cinema possa trovare in se stesso nuove risorse, quando al contrario occorre che faccia propria la riflessione proveniente da ambiti diversi come la filosofia, la semiotica, la narratologia, riprendendo una vera comunicazione con gli altri linguaggi. Le nuove tecnologie aprono nuovi orizzonti espressivi che possono rivitalizzare la tradizione cinematografica classica. Se l’avvento del digitale ha sfumato le differenze tra cinema e tv o computer, il cinema non deve lasciarsi colonizzare dalla realta` virtuale. Interessante in proposito la posizione di Sandro Bernardi: Il cinema potrebbe essere considerato anche come il momento di riflessivita` dell’arte, cioe` come linguaggio sintetico nuovo e antico attraverso cui l’arte, dopo lungo cammino, rielabora tutte le sue forme precedenti e riformula, al suo interno, tutte le sue caratteristiche. Una specie di metalinguaggio per sua natura. La sua struttura di doppia rappresentazione si presta particolarmente a questa funzione riflessiva30.

L’altro percorso possibile, individuato da Lizzani, potrebbe essere rappresentato dal recupero delle province periferiche, per dirla con Metz, cioe` dei documentari, dei film-saggio, fuori dallo standard cinematografico tradizionale, in cui e` ravvisabile grande vitalita` e 29 30

Cfr. Furio Colombo, Confucio nel computer, Milano, Nuova Eri/Rizzoli, 1995. Cfr. Sandro Bernardi, Introduzione alla retorica del cinema, Firenze, Le Lettere, 1991.

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

creativita`. Per un’ultima valutazione aperta sul futuro del cinema, merita attenzione questa affermazione di Lizzani: Se non c’e` piu` una storia lineare e in questo vortice, lungo questa curvatura del tempo e dello spazio, si affollano insieme a nuovi eventi gli eventi consunti, i fantasmi e i rottami del passato – e` anche vero che la curvatura, l’ellissi, il ciclo, muovono anche noi e non possono non aprire, come si aprono in un caleidoscopio, nuove prospettive davanti o in mezzo alle quali situarci. E in questo vortice anche il piu` debole dei naufraghi puo` afferrare quel bandolo che gli permetta di inserirsi in nuovi affascinanti transiti31.

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Carlo Lizzani, op. cit., p. 156.

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VARENNA 1994. QUATTRO CHIACCHIERE CON CARLO LIZZANI di Emilio Pozzi

Oltre dieci anni fa, nell’ottobre 1994 si svolse a Varenna, sul lago di Como, alla Fondazione Fermi, un Convegno internazionale sulle prospettive del nuovo millennio, con la partecipazione di scienziati, filosofi e artisti. Furono indicati alcuni temi e furono invitate personalita` della scienza e delle cultura a fare il punto. Tra gli invitati anche Carlo Lizzani che scelse, per il suo intervento, un argomento anche allora d’attualita`: l’ecologia. Incuriosito da quella decisione, chiesi a Lizzani di parlarmene. Seduti a un tavolo dell’albergo che lo ospitava, si chiacchero` poi anche di altro. E la conversazione fu registrata con la telecamera. non pensando, in quel momento ad un suo futuro utilizzo. Rivedendo a distanza di tempo con un gruppo di studenti dell’Universita` di Urbino il video, si e` pensato di trascrivere con fedelta` le parole dette allora, come documentazione di pensieri datati. O, almeno alcuni, ancora attuali? La registrazione era cominciata con la risposta di Lizzani alla domanda sul perche´ avesse pensato al rapporto tra ecologia e immagine. – Volevo commisurare aspetti della grande crisi di evoluzione e di involuzione, e del linguaggio cinematografico e delle tecnologie, alla soglia del terzo millennio, confrontare con problemi forse piu` drammatici ancora che attraversano il campo delle scienze. Allora ho scelto questa parola, ecologia, perche´ mi pare che, mettendomi sulla lunghezza d’onda dei grandi problemi di questo secolo e del futuro, si potesse anche capire meglio o forse si potesse tradurre in termini di linguaggio, lessico scientifico quelle che sono le nostre preoccupa-

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

zioni. Sono preoccupazioni che derivano dal fatto che oggi la rete telematica, la rete di enorme scambio di comunicazioni visive attraverso tutto il mondo ha costituito quella che definisco un po’ una specie di iconosfera. Una iconosfera che ci avvolge, una rete come se fosse la biosfera, l’atmosfera. Allora ecco, su queste misure grandi, che vanno al di la` della solita discussione del mercato su chi e` piu` forte, gli americani o noi, il cinema europeo, la televisione, le leggi... ecco forse questi drammatici interrogativi, che per noi sono drammatici, si potevano mettere in comunicazione, in parallelo con interrogativi altrettanto drammatici degli ecologi, degli scienziati, dei religiosi, dei filosofi. E mi sono sforzato di ricordare il livello del nostro dibattito interno al cinema e alla televisione, al livello del dibattito scientifico, che si pone oggi dei grandi interrogativi; andiamo verso la catastrofe ecologica, andiamo verso la saturazione che portera` il mondo indietro oppure andiamo verso uno sviluppo indeterminato? Si sono profilati in questo convegno subito due tendenze: gli ottimisti, che vedono grandi potenzialita` nelle risorse che il mondo ha in tutti i sensi, delle risorse elettroniche fino a quella del cibo, da una parte, dall’altra i pessimisti, quelli che invece vedono l’esaurirsi delle risorse, l’appiattimento della televisione e del cinema, della comunicazione sulla volonta` dei grandi gruppi... insomma la vedono ancora alla George Orwell. – E tu come ti schieri? – A meta` strada, ma, distinguo, non e` un compromesso. Ho cercato di distinguere avendo scontato dei rapporti effettivamente straordinari da parte di questi scienziati; mi sono agganciato all’ipotesi di chi, pur facendo parte degli ottimisti, quelli cioe` che dicono che il mondo ha enormi risorse, che il pericolo dell’entropia, cioe` del collasso generale del mondo non sarebbe cosı` certo; cosı` com’e` finita la linearita` del progresso e` finita anche la linearita` del regresso; non c’e` piu` questa certezza che l’universo, raggiunto il culmine della sua espansione, ritorni indietro. Pero` non si escludeva la possibilita` di collassi locali, di piccoli ritorni indietro, di catastrofi durante questo percorso, che, rinunciando anche all’ipotesi ottimista che sia sempre in espansione, non si puo` nemmeno dire che sia catastrofica. Pero` in questo percorso possono esserci dei punti di arresto. Io, allora, mi sono agganciato a questa ipotesi e l’ho definita quella delle entropie di zona; cioe`, per esempio in questo momento io dico: il signore americano sta desertificando zone enormi, come tutti gli ex paesi dell’est, che, imponendo un prodotto a basso prezzo anche grade-

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vole, sta praticamente provocando il collasso di tutta la produzione audiovisiva di quelle enormi zone. Quindi occultano e annebbiano l’identita` di paesi straordinari che forse non hanno piu` il modo di parlare. Questo non e` un lamento di chi ha nostalgia del socialismo reale; e` un lamento di registi, autori straordinari che c’erano in Russia, Cecoslovacchia, Polonia che oggi sono emigrati, che erano dei dissidenti, inneggiavano a una liberta` che dovesse dar loro la possibilita` finalmente di fare il loro cinema; invece l’ingresso violento, a basso costo di un cinema che puo` essere regalato, perche´ il cinema italiano si ammortizza sul proprio territorio, anche se loro producono film, non hanno piu` le sale per proiettarli. Ecco un tipico collasso di zona; cioe`, e` vero che il periodo di un’entropia generale e` finito, e` vero che il mondo e` inesauribile, pero` chi lo dice a coloro che magari subiscono nell’arco di una generazione, due generazioni, determinati collassi? Chi li ripaghera`? Noi siamo individui, chi ci risarcira` di queste zone in cui una cultura puo` scomparire? Magari rinascera` fra cinquant’anni ma intanto... – Il cinema si sta interrogando. Lo si vedra` anche nei prossimi mesi, perche´ c’e` il centenario della nascita del cinema quindi tutti parleranno di cinema, diranno che il cinema e` morto, il cinema e` vivo, il cinema rinascera`. Avendo Carlo Lizzani scritto pagine critiche sulla storia del cinema dal momento in cui e` nato, perche´ l’ha osservato e poi l’ha vissuto, ci si pone la domanda, indipendentemente dal discorso filosofico, se il cinema continuera` a vivere e se continuera` a vivere, come? E come le nuove tecnologie potranno influenzare il linguaggio e lo stile degli autori? – Io ritengo che sul piano globale ci sia il pericolo di scomparsa di questa o quella cultura, determinata da questa polarizzazione del cinema americano che invade tutto il pianeta, (e questo si puo` verificare, per il cinema, per la televisione e per il linguaggio audiovisivo). Se pero` restera` la molteplicita` delle culture, vedo la possibilita` di una ulteriore espansione. Mi spiego: il cinema secondo me non scomparira` come non e` scomparso il teatro; avra` forse forme piu` limitate di sopravvivenza, il limite piu` basso l’ha gia` raggiunto, credo anzi che in Italia, in molte piccole citta`, ci sia un desiderio di cinema. Secondo me c’e` possibilita` di sopravvivenza per il cinema. Quando il cinema e` nato non era detto che dovesse essere solo il cinema fiction, film di un’ora e mezza. Anzi, i pionieri del cinema lo vedevano come un mezzo scientifico, altri lo vedevano come una documentazione della realta`, altri come espressione della fantasia. Il cinema poi ha scelto, la grande industria dello spettacolo ha prediletto il cinema

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

fiction. Pero`, cosı` come la parola scritta puo` diventare poesia di due righe, poema, saggio critico, saggio filosofico, cronaca, romanzo, romanzo breve, drammaturgia, cosı` il linguaggio audiovisivo in cui io comprendo cinema e televisione si puo` articolare in un discorso attraverso immagini, che puo` essere il discorso drammatico, il discorso saggistico, il discorso filosofico... quindi secondo me il prossimo secolo sara` l’uscita dall’infanzia di questo linguaggio e ci sara` la possibilita` di usarlo per tutte le forme, cosı` come la letteratura si espande in mille forme, cosı` come la pittura puo` essere ritratto, affresco, miniatura o schizzo. – Abbiamo guardato avanti, per ora, facendo delle scommesse. A questo punto guardiamo un po’ indietro. Lizzani, vogliamo ripercorrere la strada del cinema, cominciando dal neorealismo, di cui sei stato fautore e di cui hai scritto? – Il neorealismo e` stato un movimento che ha fatto la forza di tutti. Eravamo tutti diversi, piu` giovani. De Sica era profondamente diverso da Visconti, Zavattini da Rossellini, De Santis da Pietrangeli, dal giovanissimo Fellini. Pero` c’era un momento di fermento in cui tutti comunque volevamo cambiare il linguaggio del cinema, uscire dal cinema claustrofobico, autoritario, che era stato tipico del fascismo e scoprire il nostro paese. Questa e` stata la prima fase di una mia biografia in cui mi sono trovato poi come aiuto regista di Giuseppe De Santis nei suoi primi film, sceneggiatore con lui, con Rossellini per Germania anno zero. Lo stesso dicasi per Visconti: abbiamo lavorato insieme, due volte sono stato coinvolto in progetti di sceneggiatura. Poi ho cominciato con il mio cinema. Pero` dopo aver affrontato, con tutta la mia generazione il documentario. A raccontare come nel Mezzogiorno qualcosa fosse cambiato, le occupazioni di terre da parte dei contadini poveri, dei braccianti al sud. Poi, con Banditi a Milano, cominciai il mio sodalizio con un giovane produttore che aveva fondato una cooperativa a Genova, Giuliani de Negri che poi divento` il produttore dei fratelli Taviani. Allora si lavorava tutti e mi trovai inserito in quella che era l’industria cinematografica (non c’era ancora il mito dell’autore, tutti gli autori lavoravano normalmente, cominciavano come aiuto registi e poi arrivavano le proposte per fare film come registi; mi trovai comunque bene con De Laurentiis, con Ponti. Feci Il Gobbo, Il Processo di Verona, comincio` il mio filone che alternava la cronaca alla storia; da una parte la cronaca dei giorni nostri, dall’altra la curiosita` per la storia che veniva anch’essa da questo ceppo neorealista, che implicava non solo

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di uscire per la strada e scoprire il paese dell’oggi, ma scoprire anche il paese di ieri. Quindi ecco il Processo di Verona e Mussolini ultimo atto. – A un certo momento hai scritto in modo critico sul neorealismo. Sı`. Ho sempre auspicato un cinema che non fosse di quel neorealismo che poi via via e` diventato il cliche´ di se stesso, cioe` che bastasse uscire per la strada per cogliere il senso profondo della realta`. Quando, molto giovani, appartenevamo alla ‘fronda’ – e scrivevamo addirittura sul giornale giovanile “Roma fascista” e poi su “Cinema”, che era addirittura diretto da Vittorio Mussolini, prendendo pero` coscienza noi stessi di una possibilita` di uscita antifascista – ci si batteva per un riallaccio con una certa letteratura italiana: Verga. Ci si batteva contro il cinema dei telefoni bianchi, ci fu una polemica anche con un cinema degnissimo, che gia` era cinema da rispettare come quello di Renato Castellani. Ci pareva un cinema di tipo formalistico. Le battaglie culturali vanno condotte anche con severita`, anche con il rischio di errori. Noi in questo eravamo molto coraggiosi e certamente il linguaggio, il manubrio portante del neorealismo fu “Bianco e nero”, “Cinema”, “Via Consolare” (ci scrivevano Enzo Biagi e Adriano Magli), “Pattuglia” che usciva a Forlı` e i giornali universitari. – Parlavi di cinema e letteratura, di film tratti da libri, hai citato Verga. Vogliamo parlare di questo tipo di esperienza e come, in questo filone, sei stato molto fedele al libro, molto rispettoso dell’autore o se invece, nei film che hai fatto, “Cronache di povere amanti” da Pratolini, “Fontamara” da Silone, hai soltanto colto l’umore? – La stessa scelta dei testi letterari e` mirata a portare avanti questa nostra scoperta, la scoperta del nostro paese, paese che era stato occultato prima da una cultura aristocratica e poi dalla retorica fascista, quindi anche la scelta dei libri era mirata a rafforzare questo spirito del neorealismo. Quindi ecco i film che hai citato: Cronache di povere amanti, o molti anni piu` tardi Fontamara e Verga innanzitutto, la novella L’amante di Gramigna. Visconti poi era l’autore a cui piu` ci rifacevamo per indicare una strada possibile, scavalcati i tempi, perche´ Verga scrive in altri tempi ovviamente, per il nostro cinema. In un certo senso anche La vita agra da Bianciardi. Certo e` cambiata anche l’Italia, siamo gia` al primo consumismo, pero` e` un libro che si inseriva perfettamente in un percorso di scoperta dei nostri vizi, di quelle che diventavano le vicende italiane degli anni ’60. – Ti chiedevo, fedelta` o ispirazione soltanto?

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

– Per quanto riguarda la fedelta`, (precisato che secondo me fedelta` ha il senso ultimo del libro) e` chiaro che tutti i libri subiscono una riduzione o un’amplificazione: L’amante di Gramigna era una novella breve di Verga, il film invece dura un’ora e 40 minuti. Divento` quasi un romanzo, quindi ci inserimmo la dialettica fra i piemontesi del nord che non capivano questi contadini del sud, e cosı` via. Cronache di poveri amanti invece fu amputato di un certo tipo di scene, anche per la censura dell’epoca. L’importante era rimanere fedeli allo spirito del libro. – Hai citato “Banditi a Milano”, uno dei sette film girati a Milano. Ecco vogliamo parlare di questa esperienza milanese, cominciando da quella prima Milano che hai conosciuto, tu che venivi da Roma? – Milano, per me che venivo da Roma dopo la liberazione, da una Roma che era stata liberata un anno prima, che gia` sembrava infettata da vecchi vizi... Milano rappresento` quello che allora si disse il vento del Nord, nel senso di una pulizia maggiore, di una maggiore freschezza, di una maggiore volonta` di ricostruzione democratica del paese, la speranza del socialismo, la configurazione stessa di Milano, citta` moderna, centro economico, che dava cioe` la nostra immagine di giovani marxisti, che avevamo del marxismo una corrispondenza piu` concreta che non la vecchia citta` papale, priva di grandi masse operaie, quindi grande fascino; la Milano del dopoguerra mi ha impresso un marchio a fuoco... Era affascinante anche per la gioia che l’attraversava, dopo anni cupi e la presenza di forze democratiche vivacissime, la speranza di fondarvi una nuova cinematografia, che poi ebbe il suo capitolo, quello de Il sole sorge ancora, un bel film. Poi lı` si esaurı` tutto perche´ capimmo che il cinema inevitabilmente si sarebbe continuato a farlo a Roma. La mentalita` finanziaria milanese non e` incline ad avere investimenti insicuri o a lungo termine. Ricordo che tornai a Roma molto triste, con il rammarico di non aver portato a fondo una grande speranza e quindi questa pulsione a rivivere la Milano del ’45 ha fatto sı` che ogni buona occasione che si presentava era per me l’occasione di un viaggio Milano, un ritorno a Milano. Quindi dieci anni dopo feci Lo svitato con Dario Fo, cogliendo una Milano gia` diversa dal dopoguerra, ma sempre viva, piena di dottori, letterati, gente laboriosa, ma anche stramba, la citta` del primo boom economico. E poi dieci anni ancora La vita agra, poi dopo nel ’74 una parte di Mussolini ultimo atto, poi Storie di vita e malavita e San Babila, poi feci anche La Celestina P... R..., un film non riuscito con Assia Noris, ma comunque un film che mi riporto` a Milano.

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– Potresti fare il cronista dei primi tempi a Milano: abbiamo ricordato qualche volta quelle strade di Brera, quei luoghi, quei ristoranti, anzi quelle trattorie, quelle latterie... – Io penso di sı` anche se adesso sto scommettendo tutto il futuro, come sai, su Celluloide, un film che rievoca le storie incredibili che vissero Rossellini e altri amici per riuscire a realizzare Roma citta` aperta. Se questo progetto andra` bene, ho avuto credito tra i produttori, perche´ anche loro credono alla nostalgia del passato, a un ritratto di un’Italia che non c’e` piu` ma che e` affascinante, che puo` interessare molto anche i giovani, certamente la mia speranza sarebbe quella di fare il bis, forse raccontando alcune nostre avventure di Milano nel corso dei tanti film che ho girato. – Il cinema come anticipatore delle pulsioni, del magma che c’e` dentro una societa`; questa funzione rimane prioritaria nel fare cinema; mi pare che in alcuni casi in Italia, in Francia e in Germania stessa la rinascita di un certo modo di vivere la vita democratica la si deve a un certo tipo di cinema. Quale, sotto questo aspetto, potrebbe essere la funzione del cinema depurandola da quello che potrebbe essere una valutazione puramente strumentale, di cinema politico, di cinema di propaganda? – Oggi, se ci sono da gettare dei semi che facciano crescere meglio le nuove generazioni, non solo attraverso il messaggio politico che puo` essere proposto in altre sedi, il cinema dovrebbe seguire la linea di Nanni Moretti che fa dei film politici pero` indirettamente. La sua veste comica, la sua ironia sulla societa` contemporanea, danno qualche input ai giovani scontenti della societa` in cui vivono. – Parliamo di rapporto con il pubblico. Il rapporto con il pubblico passa anche attraverso il luogo della fruizione, per usare un termine piu` da architetti o da sociologi. Domando a Carlo Lizzani: in che tipo di ambiente preferirebbe che fossero proiettati i suoi film? – Senz’altro nella sala cinematografica. La proiezione televisiva e` una sostituzione debole di quello che e` proprio la fruizione naturale... il cinema dev’essere sul grande schermo e quindi per me il modo migliore di vedere il cinema, di augurare che sia visto il cinema, e` la sala cinematografica. – Grande, piccola, media? – Anche media, non importa, la multisala per esempio mi sta molto bene, la possibilita` di girare, di vedere nello stesso giorno tre film, la sala media, piccola va benissimo. – E il cinema deve avere molti punti come il supermercato, negozi, punti vendita o e` meglio chiamare gli spettatori in punti determinati nelle

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CARLO LIZZANI. CINEMA, STORIA E STORIA DEL CINEMA

grandi citta` o nelle periferie, visto che il cinema nei paesi non c’e` quasi piu`? – Non escludo pero` che possa tornare; paese-paese, no. Pero` ci sono state delle piccole citta` dove il cinema era scomparso e che invece sarebbe giusto che lo riacquistasse; ci sono delle iniziative in questo senso. Poi la citta` piu` grande si puo` permettere la multisala e allora certo e` giusto concentrarsi, si va, c’e` il parcheggio, lo snack, alla fine dipende dalle proporzioni della citta`. Piu` e` grande la citta` piu` e` bene che il film sia concentrato in luoghi dove ci siano tre o quattro sale, ristoranti, anche asili nido, in modo che veramente si faciliti la visione. – Carlo Lizzani ha parlato dei film che ha fatto seppur sinteticamente e dei film che pensa di fare. Parliamo di progetti andati in fumo, se si puo` usare questo termine, ai quali teneva molto e che invece chissa` perche´ come tante cose del cinema, sono rimasti un non film. – Intanto spero che non vada in fumo Celluloide, spero che non vada in fumo un altro film che da anni cerco di fare che e` una commedia su una storia di un festival. Fra i grandi progetti del passato uno non andato in porto e che mi addoloro` molto fu La caduta dei Savoia; dopo il successo de Il processo di Verona volevo fare un film analogo proprio sulla crisi di casa Savoia, l’8 settembre, la catastrofe dell’esercito italiano, la fuga del re. Ovviamente, sia per i costi, sia per la ritrosia dei produttori davanti a questi temi, non s’e` fatto. – Carlo Lizzani e` stato anche attore, pochissime volte: parliamo degli attori. Si e` sempre detto che in Italia gli attori di teatro non sono attori adatti per il cinema, per tutta una serie di ragioni; pero`, mentre esistono scuole per registi, mi pare che rispetto ad anni fa al Centro sperimentale di cinematografia non si pensi alla formazione dell’attore. – Adesso si e` ripreso a pensare alla formazione degli attori; l’attore e` fondamentale, e` un mito che anche il neorealismo non ha potuto distruggere. Sı`, De Sica ha fatto due o tre film come Miracolo a Milano, Umberto D., mescolando attori e non attori: Visconti lo ha fatto piu` radicalmente con non attori ne La terra trema, pero` questi stessi registi, in altri casi, hanno usato piu` radicalmente dei professionisti. Direi che per determinati soggetti l’attore professionista e` ancora un pilastro essenziale.

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– Ecco, pero`, in Italia abbiamo un handicap rispetto agli altri paesi, cioe` il fatto che gli attori del cinema in linea di massima vengono ancora doppiati; il rapporto voce-volto non e` ancora una legge. – Adesso meno. Tutti i film degli ultimi anni sono tutti in presa diretta, giustamente e per fortuna. – Non hai, per usare il titolo di un film di Castellani, un sogno rimasto nel cassetto, oltre a quello dei Savoia? – Ripeto, e` Celluloide, che e` ancora nel cassetto e ci sono buone prospettive. Pero` ancora non e` sicuro. Vorrei che non rimanesse un sogno nel cassetto. – Speriamo di rivederci presto, allora, sul set di “Celluloide”. – Speriamo. E grazie. Il film tratto dal romanzo di Ugo Pirro, con la sceneggiatura di Ugo Pirro, Furio Scarpelli e dello stesso Lizzani, fu realizzato nel 1995. Interpreti principali Lina Sastri, Massimo Ghini, Giancarlo Giannini, Anna Falchi, Massimo Dapporto.

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APPENDICE

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SOGGETTI E PROGETTI NON REALIZZATI

CRONACHE DI POVERI AMANTI 2001: miniserie televisiva in due parti, tratta dal romanzo di Vasco Pratolini. Trattamento di Patrizia Pistagnesi. UN NUOVO “GENERE”: IL FANTAEROTICO. 1993: tecniche in tridimensionale, realta` virtuali. PROGETTO “LA COLLANA DEL CENTENARIO” Intorno al 1995. Alla RCS, nella previsione dei cent’anni. TRAGEDIA TELEFONICA Intercettazioni telefoniche con due attrici – e il nulla. Un film anche ` l’abbozzo per un filmato, che vuol essere anche satira di di 8 ore. E costume. Cio` anche ricordando certe mie incursioni nella commedia. Risale a dieci, quindici anni fa. FESTIVAL (La parola ai giurati) Pensato una decina d’anni fa, intorno ai primi anni ’90, su un mondo conosciuto bene, quello dei Festival. Un mondo demenziale sottoposto a satira. L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO (I mille volti di Richard Sorge) Anni ’80 – su una spia. IL VENTICINQUE LUGLIO Elaborato intorno agli anni ’80, forse nel 1985, dopo Fontamara e Inverno di malato. Vi si tratta di Cefalonia, tema indirettamente affrontato nel Processo di Verona e riaffiorante in Maria-Jose`. Dunque, un motivo ricorrente nella mia opera.

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APPENDICE

MILANO, CROCEVIA D’EUROPA Scaletta della seconda versione OBIETTIVO SUL NOVECENTO, O IMMAGINI E VOLTI DEL XX SECOLO Antologia in sequenza cronologica dei film al Luce, quando esso rinacque dopo il 1995. ` GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO EUROPA. IL PIU Tra l’80 e il ’90. Serie di documentari sull’Europa, sulla storia (intorno ai fatti che hanno diviso i popoli). CRIMINI E INTRIGHI NELLA ROMA DEL I SECOLO d. C. L’INDAGINE DI VIA RAPALLO Tre proposte. L’UOMO CHE COMPRAVA IL TEMPO Ispirato da De Laurentiis (tanto attivo da poter comprare il tempo). Risale a un periodo intorno al 1995. NAPOLI 1799 Variante del soggetto GUERRA DI DONNE. LEZIONI DI CINEMA Vi e` ben presente il corpo, il come usare il nudo. LA PAURA Risale a dopo la morte di Calvi, all’incirca un anno dopo. Ispirato in ` una storia vera con l’inserimento di fatto alla morte del banchiere. E un’ipotesi: su fatti importanti, grossi, tra cronaca e politica. GUERRA DI DONNE (NAPOLI 1799) Ciclo pensato con Lucio De Caro, nel passaggio da Fontamara a Un’isola, sul finire degli anni ’80. “Tre donne”, “Tre fronti”, partendo dalla crociana Storia del regno di Napoli. PROGETTO ESPERIA Serie di documentari per valorizzarlo.

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APPENDICE

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MINIFICTION Novella, racconto breve. Mia identificazione con il racconto breve, ai primi anni ’80. Ero reduce da Venezia, l’anno di Piavoli, di “Berlinalexanderplatz”. IL BALLO DEI PAVONI Anni ’60: quelli del disgelo. Si incontrano delle ex-spie (tratto da un fatto vero). LE GRANDI INCHIESTE DI TELEUNIVERSO Fine anni ’80, forse. Sketch televisivi.

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CRONACHE DI POVERI AMANTI 2001: MINISERIE TELEVISIVA IN DUE PARTI

tratta dal romanzo di Vasco Pratolini

Trattamento di Patrizia Pistagnesi

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Un classico moderno La proposta di libera riduzione televisiva del romanzo di Pratolini che segue si fonda sull’esigenza di organizzare l’ingente materiale narrativo in un plot chiaro ed essenziale, che abbia un andamento cronologico sufficientemente lineare per costruire il racconto verticale tipico di un genere televisivo di largo consumo. Questo, senza rinunciare all’idea stilistica originale: quella concatenazione di personaggi ed eventi necessaria per raccontare le vicende di una piccola comunita` – il microcosmo metaforico di “via del Corno”. Occorreva quindi procedere alla scelta di privilegiare alcune linee narrative rispetto ad altre, metterle in primo piano – la storia di Milena; la storia di Aurora; la storia della Signora; la Storia, cioe` la “Notte dell’Apocalisse” con i suoi protagonisti – e lasciare che da queste si generassero le storie minori e venissero messi a fuoco gli altri personaggi, richiamati di volta in volta dallo sfondo dell’insieme degli abitanti di Via del Corno. Naturalmente questa scelta non poteva essere ne´ casuale, ne´ semplicemente di gusto. Doveva corrispondere a quelli che consideravamo i temi fondamentali del romanzo, ed anche i piu` attuali, cioe` quelli capaci di coinvolgere un pubblico contemporaneo. Rileggendo oggi il romanzo, ed insieme il lavoro di analisi strutturale precedentemente compiuto da Lea Tafuri, Cronache di poveri amanti ci appare come una sorta di Promessi Sposi del secolo ventesimo, concepito dopo Freud, Marx e l’esistenzialismo. Una celebrazione degli umili come depositari, nel bene e nel male, dell’essenza dell’umanita`: il microcosmo di Via del Corno. Una celebrazione della Provvidenza – «una Giustizia Superiore che aggiusta le cose», come dicono le donne di Via del Corno –

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APPENDICE

anche se in Pratolini essa ci appare “aiutata” dai militanti del partito comunista piuttosto che da un Fra’ Cristoforo: la disfatta della Signora, la sua rovina, il ricongiungimento e la fuga di Milena e Mario. Una celebrazione dell’amore “sacro”, cioe` di quell’amore che si forgia nella sofferenza, nella lotta, contro le avversita`, le ingiustizie: l’amore fra Milena e Mario, che risalta e s’impone nella sua positivita` proprio in giustapposizione con gli amori sbagliati e sventurati, “profani”, di Aurora. Non ultimo, se non nello svolgimento della vicenda, lo squarcio su una nuova generazione e un nuovo sentimento che nasce, a sottolineare il valore dell’amore anche come solidarieta`, integrazione nella comunita`, alleanza, nell’incontro fra due giovanissimi: Musetta, la sorella di Aurora, e Renzo, ultimo arrivato in Via del Corno... Da questa intelaiatura tematica del romanzo scaturiscono quindi, per una traduzione televisiva, dei temi altrettanto forti e di provato impatto come: la vita e le vicissitudini di una piccola comunita` omogenea, distante nel tempo ma vicina al pubblico per vicende drammatiche, sentimenti e ideali; il perenne conflitto fra individuo e Potere/Storia, ben raffigurato nei personaggi antagonisti – Signora, Carlino, fascisti – e la necessita` di credere in una forza superiore che riesca a coniugare infine felicemente quella che appare, soprattutto ai piu` semplici, come un’eterna contraddizione; l’amore, infine, nelle sue tante accezioni. Superata – e del resto perfettamente realizzata da Lizzani con il film omonimo – una chiave di lettura e di trasposizione del romanzo prettamente politica, ci piace pensare di poterne realizzare una rilettura in chiave esistenziale, oggi che sono proprio certi irrinunciabili valori prepolitici ad apparire perduti e sconfitti. Cosı`, privilegiando il tema dell’amore – inteso come antidoto all’aggressione del potere, nel suo significato piu` profondo di solidarieta` attiva, militante, operante non solo nella coppia o nel nucleo familiare ma nel tessuto sociale, nella vita civile – abbiamo scelto di portare in primo piano la vicenda/amore, di Milena

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e Mario, vittime entrambi in diverso modo del Potere e poi, insieme, simbolo di una riscossa prima ancora esistenziale che politica. Sono loro i nostri protagonisti, coloro che ci guidano alla scoperta, all’osservazione, alla partecipazione, all’interno del microcosmo di Via del Corno: un “piccolo mondo antico” che diviene metafora anche del presente. ***

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I PARTE ` venuta la nuova estate, “E ma questo freddo dai cuori chi piu` lo togliera`?”

I titoli di testa scorrono su... Una foto d’epoca in bianco e nero, che si anima, una foto identica a quelle che ogni italiano ha nel proprio album di famiglia: quattro ragazze sorridenti, belle al modo di quegli anni, la prima meta` dei “Venti”, cittadine di una via della Firenze popolare, solare e carnevalesca, ancora inconsapevole della notte che l’attende. Possono essere le nonne, le madri di ognuno di noi nei loro giorni felici... Altre foto, altre istantanee che si animano veloci, dandoci il sapore di quei momenti irripetibili di spensieratezza e di speranza: Clara, prosperosa, forte, l’immagine della concretezza, che di primo mattino fa le pulizie di casa cantando, mentre un bel ragazzo dalla finestra di fronte non la perde di vista un istante... Bianca, eterea, languida, sognante, che legge un romanzo d’amore seduta sullo scalino del portone... Aurora, gia` una donna fatta, sensuale, e provocante come gli sguardi che getta passando per la via al giovanissimo carbonaio che scarica la sua merce... E infine Milena, dalla bellezza limpida e serena, lo sguardo aperto, pieno di fiducia e di attese, che, vestita a festa, va incontro sorridendo al giovane uomo dall’aria seria e composta che l’attende... Su di lei, il fotogramma si blocca: e` sua l’ultima foto, l’ultima immagine di un passato, di una memoria che ci appartengono... Fine dei titoli di testa... Firenze 1926 Nella drogheria Campolmi, la coppia di giovani che abbiamo visto alla fine della sequenza dei titoli, Milena e Alfredo, la fede al dito, un paio d’anni piu` grandi entrambi, stanno preparando la chiusura... Milena, alla cassa, fatica ancora un po’ a sommare l’incasso della giornata e sorride a certi suoi piccoli errori, mentre Alfredo l’assiste, ma sembra non aver voglia di scherzare...

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«Hai fame...?» – suggerisce con tenera comprensione Milena – «ho preparato come piace a te stasera...». Alfredo annuisce come distratto... Poi, le dice di precederlo a casa, finira` lui di sistemare conti e negozio... Non senza una punta di dispiacere, Milena ubbidisce, ma, sulla soglia del locale, mentre si avvia, gli regala un sorriso e un bacio... ` notte adesso a Via del Corno ... una strada popolare del E centro storico di Firenze, giusto alle spalle di Palazzo Vecchio, che la domina come uno sfondo di cartolina... Milena guarda la via dalla sua finestra, appare tesa, in ansia... Quando vede apparire Bianca e Clara di ritorno a casa, si precipita fuori... Alfredo, il marito di Milena, non e` ancora tornato, non ha mai tardato cosı` tanto, e Milena e` preoccupata, angosciata. Le due amiche hanno appena lasciato i loro fidanzati, che ora le raggiungono dal fondo della via immersa nell’oscurita`: Bruno, il ragazzo di Clara, operaio alle ferrovie, gia` come maturo, uomo; e Mario, tipografo, un bel giovane dall’aria sveglia, che subito propone di andare a cercare Alfredo senza perdere altro tempo... Dall’alto dell’ultimo palazzo della strada, il meglio conservato, un’altra finestra si apre: come una sorta di vedetta che controlla l’accesso e l’uscita della via e ne registra tutti i movimenti, Gesuina osserva cio` che va accadendo, attenta a non perdere il minimo dettaglio da riferire poi alla padrona, la Signora che, alle sue spalle, gia` a letto ma vigile e come inquieta, attende la voce della giovane, esile, graziosa cameriera che si protende dal piccolo davanzale... ` scesa anche Milena «Eccoli... Bianca, Mario... Clara e Bruno... E adesso, ma senza Alfredo»... «Alfredo non e` ancora tornato allora...» – sottolinea la Signora... «Adesso vanno via tutti insieme, c’e` anche Maciste con loro...» – continua Gesuina... «Andranno a cercarlo vedrai... Per ora chiudi Gesuina». E Gesuina chiude... Mentre, per strada, la piccola comitiva e` gia` scomparsa... Alfredo non puo` tornare: e` ancora nella sua drogheria, dietro la saracinesca chiusa, che viene “manganellato”, picchiato a sangue...

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Poi, svenuto, e` trascinato fuori dal gruppetto di fascisti... Adesso e` in un lettino d’ospedale, incosciente... «Non sappiamo quanto gravi siano le lesioni interne, dobbiamo aspettare» – afferma il medico... Tutti sono intorno a Milena: Bianca, sempre piu` pallida, Clara, scura in volto, le spalle circondate dal braccio forte di Bruno... E Mario che sta parlando con “Maciste”, alias Corrado, il maniscalco di Via del Corno, alto, robusto... Mario e` sgomento: non riesce a credere che si sia arrivati a quel punto. Piu` giovane dell’altro, al suo primo lavoro vero, quell’evento drammatico lo colpisce profondamente, come la sofferenza di Milena che, nel dolore, appare come stupita, incredula... Milena continua a domandarsi, domanda a loro, chi puo` aver fatto tanto male al marito: Alfredo non le ha detto nulla... Anche se e` vero che lei ultimamente lo vedeva preoccupato, ansioso, e non riusciva a spiegarsene il motivo... Maciste contiene a stento la rabbia contro coloro che, secondo lui, hanno ridotto cosı` il povero Alfredo: si sa chi usa il manganello di quei tempi!... anche se non si deve dire, non si deve parlare... Ma lui e` un “rosso” coraggioso, un rosso di cuore. «Torniamo adesso...» – dice ora Maciste ai ragazzi – «bisogna far sapere qualcosa anche a mia moglie e ai vostri genitori...». Cosı`, Milena resta sola al capezzale di Alfredo: i colpi e le ferite inferte al suo giovane marito, il rantolo, gli occhi chiusi, le danno per la prima volta, nella sua giovane vita, la visione del dolore, della morte, della perdita, del Male che puo` accanirsi, che si fa improvvisamente vicino, prossimo, e che puo` travolgerci. Il male che puo` annidarsi dentro di noi con la rabbia, il desiderio di vendetta, la disperazione. Milena piange, sconvolta da quell’esperienza e invoca la sua migliore amica, quella che, dello spensierato quartetto di un tempo, le era piu` vicina... «Aurora, se almeno ci fosse Aurora...». Un’altra via popolare, un’altra casa, un’altra finestra socchiusa... Un uomo maturo, massiccio, il Nesi, e Aurora, ancora bella ma gia` come appassita, spenta, stanno facendo l’amore... I versi del sonno di un bambino di pochi mesi provengono dalla culla sistemata in cucina... Bianca e Mario... Clara e Bruno... A Via del Corno adesso le due

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coppie stanno per congedarsi: anche se la tristezza per Milena e per Alfredo li avvolge, e` il momento degli ultimi baci e tenerezze... Bianca si schermisce, si sente spesso male, la sua salute e` malferma e stasera e` ovvio che sia piu` turbata di sempre. E stasera Mario non s’inquieta per i suoi capricci, le sue ritrosie: anche lui e` ancora sotto l’impressione di cio` che e` accaduto, sente che l’aggressione di Alfredo lo riguarda, lo coinvolge in prima persona. Abituato a riflettere e a scegliere – Mario e` orfano di entrambi i genitori – comincia a rendersi conto che il mondo intorno a lui lo spinge a crescere ancora piu` in fretta e a prendere posizione. E Via del Corno non e` piu` fuori da quel mondo... Clara intanto deve frenare gli slanci amorosi di Bruno, che torna all’assalto: vuole sposarla subito, il prima possibile!... La vicenda di Alfredo e Milena gli offre un veemente argomento in piu`: non sono tempi in cui si puo` aspettare, bisogna afferrare la felicita` al volo, adesso, prima che qualcuno o qualcosa te la strappi dalle mani... Ma Clara, pur amandolo, non si lascia travolgere, com’e` nel suo carattere forte, pratico e responsabile: c’e` bisogno ancora di lei in casa e non e` proprio il momento di dare altri pensieri ai genitori. Per sposarsi poi ci vogliono anche i soldi, un tetto, e soprattutto un po’ di tranquillita`... ` ancora notte a Via del Corno, piu` fonda adesso. E Il Nesi, che quasi non si distingue nel buio, nero com’e` di carbone, che e` il suo lavoro – ha una carbonaia proprio lı` sotto casa, a Via del Corno – e ormai non gli si toglie piu` di dosso, e di nervi, entra nel palazzo della Signora... ` ancora sveglia, nel suo letto, una maschera di trucco, bianca la E pelle e scuri gli occhi, in cui brilla una maligna vivacita` mai sopita. Del resto e` lei che si vuole vecchia solo perche´ non ha piu` trent’anni e i tanti amanti, di cui solo le restano addosso i gioielli e, in casa, una ricchezza evidente anche se non esplicita... Il Nesi sbianca non appena lei nomina il nome di Giulio, un altro dei giovani abitanti di Via del Corno, in prigione per furto. Entro l’indomani mattina, il Nesi dovra` versare cinquantamila lire alla Signora, altrimenti lei avvertira` il Brigadiere. La Signora infatti e` l’unica a sapere che Giulio ha nascosto “il

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morto”, la refurtiva, proprio dal Nesi. E ora Giulio e` in galera, e ci potrebbe andare pure lui – lo minaccia la donna... Appena l’uomo e` uscito, la Signora richiama Gesuina e si fa dare un piccolo quaderno che la ragazza prende nel cassetto del bel trumeau antico. Rimasta sola, la signora scrive lentamente, con soddisfazione... ` una lista di nomi e di debiti, quella che la Signora tiene E gelosamente nascosta. ` il suo modo di continuare a gestire il potere, ora che non E frequenta piu` da maıˆtresse d’alto bordo i salotti romani, nella maniera in cui era abituata, intrigando e ricattando. Lo fa per continuare a sentirsi viva, per scacciare la noia della vecchiaia che incombe, e perche´ sa che, al momento opportuno, potra` chiedere conto a ciascuno dei suoi “favori” e inchiodarlo al muro, come ha fatto col Nesi. La vita le ha insegnato a salvaguardarsi, e la migliore salvaguardia e` l’attacco... Sveglia alle otto per il ragioniere Carlino Bencini che abita a Via del Corno con l’anziana madre Armanda. Carlino, fascista, ha ventiquattro anni e qualche vita sulla coscienza, come dimostra la sua arroganza un po’ cupa. Ha affittato una camera al camerata Osvaldo Livarani, piazzista in carta e affini, provinciale goffo e timido, fidanzato al paese, che guarda al suo padrone di casa – che e` anche il suo diretto superiore nel Partito – con un misto esplosivo di invidia, rancore e idolatria... Quando Carlino passa in Via del Corno tutti lo riveriscono... Per primo il Nesi, che stamattina lo invita ad entrare nel suo antro di carbonaio, dopo aver mandato via con una scusa il figlio Otello, un ragazzo aitante che gli somiglia e che sembra sempre ubbidirgli senza proteste... Rivendicando il suo appoggio al Partito Fascista in tante occasioni, il Nesi gli chiede di intimidire la Signora e convincerla a desistere da quel ricatto... Carlino promette, sempre con quella sua condiscendenza di piccolo capo... Subito il Nesi si affretta a tornare dalla Signora, chiedendo una settimana di proroga e firmando pure le cambiali... Ma non e` per niente tranquillo. Intuisce l’oscuro potere della Signora, la sua capacita` di corruzione. E conosce abbastanza bene Carlino per saperlo forte con i deboli e debole con i piu` forti. Come lui stesso del resto...

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Anche oggi il Nesi si sfoghera` con Aurora, che tiene reclusa, con il bambino che ha avuto da lei, nell’appartamento che le paga. Dalle otto alle dieci, ogni giorno, lui le fa visita e la giovane deve subire tutto: le ha ridotto l’assegno mensile, la insulta e la picchia... Milena, di ritorno dall’ospedale, ha notizie tristi: Alfredo ne avra` per molto tempo, le sue condizioni sono serie: soprattutto una lesione al polmone suscita la preoccupazione dei medici... Ai saluti di Carlino e Osvaldo, sentendo le parole ipocrite e boriose dell’uno, e il balbettio fintamente interessato dell’altro, Milena oppone il silenzio, travolta per la prima volta da sentimenti ostili. In loro comincia a “vedere” il Male, quel Male che ha conosciuto al capezzale di suo marito, e che le appare potente, invincibile per lei. Si sente debole come un fuscello di fronte ad esso, ed anche la solidarieta` sincera, ma intimidita dalla paura, degli abitanti di Via del Corno le appare altrettanto impotente. Nella strada i commenti, anche se a voce piu` bassa di questi tempi, s’incrociano come sempre. ` il “coro” di Via del Corno, abituato da un po’ di tempo a E recitare “a bocca chiusa”... Ma anche cosı` Beppino Carresi il cuoco, che va al lavoro, Staderini col suo banchetto di ciabattino, Nanni l’ammonito, il Ristori proprietario dell’albergo “Cervia”, le mogli tutte, non hanno mai smesso di chiacchierare, e, se la storia di Aurora e` roba vecchia ormai, la vicenda recentissima di Milena, simpatica a tutti, suscita un’indignazione silenziosa e una pena infinita... E una rabbia sorda in Maciste, il maniscalco, che non fa “chiacchiere” ma non ha paura di parlare di fascisti e di Carlino – che non ha partecipato personalmente all’aggressione ad Alfredo, ma tutti sospettano che c’entri – con Ugo, il compagno e amico un po’ scapestrato che tiene il carretto da ambulante nella sua “mascalcia”, e vive a casa di Beppino Carresi, da cui ha affittato una stanza... Ecco dunque che Milena sale anche lei le scale che portano dalla Signora, sia perche´ Gesuina l’ha chiamata – e` legge non scritta che la Signora debba sapere in dettaglio tutto quello che accade nella sua via – sia perche´ Milena spera di avere da lei qualche consiglio. Tutta la strada in fondo, nel suo senso pratico colmo di inge-

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nuita`, considera la Signora l’ultima risorsa. Ed anche Milena non puo` che affidarsi ai suoi consigli: la sua vita felice e serena di moglie bambina si e` interrotta di colpo, traumaticamente. Enormi responsabilita` le stanno cadendo sulle spalle: chi paghera` le cure costose di Alfredo, chi pensera` al negozio...?! Sua madre puo` solo offrirle di riprenderla a casa... E la Signora elargisce molto volentieri il suo parere: deve cedere il negozio, non puo` certo occuparsi lei della drogheria, dovendo assistere il marito in ospedale, e cosı` ricavera` anche del denaro... Conosce lei qualcuno, che – spera – possa essere interessato... «Il negozio, tutta la vita di Alfredo... a parte me...» – protesta con infinita tristezza Milena... – «Non c’e` proprio altra strada...?» La Signora, dopo un silenzio terribile per Milena, le offre, non senza condiscendenza, un prestito... Milena non ha scelta: o s’indebita o cede il negozio... E Milena accetta il prestito... Poi, come volesse convincersi di aver fatto la cosa giusta, va ad attaccare alla saracinesca chiusa della drogheria un cartello: «Riapre fra otto giorni»... Mentre, rimasta sola, la Signora, nel suo letto, scrive altri nomi, altre cifre, altre date su quel suo quaderno... Le amiche, Bianca, che e` figlia di Revuar, il mandorlaio, e Clara, figlia di Antonio, lo sterratore, due dei piu` antichi abitanti della via, sono vicine a Milena, la vanno a trovare, ma poi, fra loro, sentono che il bene che le lega non basta piu` a colmare una certa distanza che la vita ha messo fra loro: accade adesso con Milena, anche se per motivi opposti, quello che e` gia` accaduto con Aurora. Le due amiche sentono che le altre sono gia` adulte, mentre loro sono ancora immerse in un’esistenza di ragazze prese dai primi amori. Anche se fra Clara e Bruno si parla gia` di matrimonio, soprattutto, non a caso, da parte di Bruno... E se Bianca avverte oscuramente che la sua storia con Mario, “il tipografino”, non e` delle piu` facili. Le sembra infatti di non riuscire mai a parlare “giusta” con lui, di renderlo sempre insofferente. Di non capirsi. E di risolvere tutto solo in baci e carezze...

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In fondo, Bianca e Clara, anche stasera, tornando insieme a casa, dopo aver congedato i due “fidanzatini”, rimpiangono il loro spensierato “quartetto”, i “quattro Angeli Custodi”, come le chiamava la Signora, scorgendole dalla sua finestra, che adesso vedono semichiusa... Quei giorni in cui si accendevano per uno sguardo e ridevano per una stupidaggine, e Milena ed Alfredo ancora non erano nemmeno fidanzati... ed Aurora sperava che Otello, il figlio del Nesi, si dichiarasse... Certo le due ragazze non possono immaginare che il desiderio di Aurora in qualche modo si e` avverato. Come spesso si avverano i desideri, o i sogni, nella vita reale: scontrandosi, infrangendosi a contatto con la realta`... In una di quelle prime mattine ancora fredde e grigie, Milena si decide ad andare a trovare Aurora. Sa che di giorno il Nesi non si muove dalla sua carbonaia e la confusione e l’angoscia di quei momenti, il desiderio di parlare con quella che e` stata la sua migliore amica, quella con cui era piu` facile confidarsi, discorrere, quella che le appariva la piu` matura, la piu` “grande”, fra tutte loro, le danno il coraggio di infrangere i divieti di Alfredo e della madre. Da quando infatti Aurora e` diventata per tutti la “mantenuta” del Nesi, perfino il padre e la madre, i bravi coniugi Cecchi, non l’hanno piu` vista e impediscono anche ai figli piu` piccoli, Musetta e Carlo, di andare da lei... Cosı` Milena, arrivando dall’amica, scorge Otello uscire furtivamente dalla casa... Quando finalmente si e` dileguato, stupita e ansiosa, si decide a salire. Dopo il primo imbarazzo, le due amiche sembrano ritrovarsi, ma se Milena si aspettava conforto, consolazione da quella visita, ben presto si deve rendere conto che Aurora, anche se sinceramente dispiaciuta della sua disgrazia, e` troppo presa dai propri sentimenti e dalle proprie vicende, da cui sembra essere travolta senza la voglia di opporsi, di mutare in qualche modo il corso della sua vita. Ai suoi racconti nervosi e torbidi, alle sue confidenze che dilagano come un fiume in piena, Milena oppone domande che sembrano quasi ingenue nella loro chiarezza e linearita`, ma alle quali Aurora non sa rispondere. Perche´ non si e` ribellata con tutta la sua forza quel sabato sera

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nella carbonaia quando il Nesi, che aveva sempre avuto un debole per lei, l’aveva chiusa dentro e poi le era saltato addosso?! Invece lei aveva resistito appena e poi le altre sere era tornata da lui, finche´ non si era scoperta incinta. In seguito il Nesi l’aveva costretta anche ad abortire del secondo figlio... Ma se il Nesi ormai non e` piu` che un aguzzino per lei, perche´ non se ne libera, prende il bambino e lascia quella casa!? Milena e` sicura che, di fronte a quella scelta, i genitori la riprenderebbero con se´, e Aurora potrebbe tornare a lavorare, a vivere una vita alla luce del sole... Ma l’amica le confida febbrilmente che da qualche tempo tradi` stato a gennaio, quando il sce il Nesi con il figlio, con Otello... E Nesi si e` rotto una gamba, e ha mandato Otello a consegnarle i soldi... Tra loro e` scoppiata la passione. Poi, Otello ha cercato di non tornare piu`, ma Aurora ha saputo come fare... Adesso, Otello arriva da lei alle tre di ogni notte, e va via quando e` gia` giorno... Milena esce da quell’incontro ancora piu` turbata. Sente il desiderio irrefrenabile di correre da Alfredo, in ospedale, di parlare con lui, di ritrovare almeno un po’ della loro limpida serenita`, della sicurezza felice di pochi giorni prima... Ma al capezzale del marito, si rende conto che forse niente sara` piu` come prima. Alfredo non migliora e sembra sempre piu` angosciato: la malattia che lo deprime, la rabbia per quello che e` successo, il dispiacere per il negozio, l’amaro pessimismo per il futuro... Milena si sforza di rassicurarlo, di infondergli speranza, fiducia. Lo prega di non pensare piu` all’aggressione, a quella notte, ma ai giorni che li aspettano, a loro due, a lei... ` un compito difficile, immane. Alfredo non fa che tornare a E quella notte come se avesse segnato la fine di tutto, come un’ossessione: concitato e febbricitante rivela ora a Milena di aver rifiutato di pagare il contributo al Fascio e di essere stato minacciato, ma di non aver voluto cedere... «I soldi se li devono guadagnare anche loro!...» aveva detto con troppa sicurezza... E poi... l’avevano punito, erano entrati in quattro in negozio, uno lo ha pure riconosciuto, era l’amico di Carlino... e l’avevano massacrato in quel modo... Quando esce, Milena non puo` fare a meno di scoppiare a

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piangere. La tristezza, il dolore, la rabbia e il desiderio di vendetta sembrano sovrastarla... Il Nesi intanto non sospetta nulla del tradimento di Aurora. Per ora, e` concentrato soprattutto su quel “morto” che gli “brucia la testa”, sulla refurtiva che tiene nascosta nella carbonaia, e sul ricatto della Signora... Alle sue pressanti richieste, Carlino lo ha rimandato gia` due volte all’indomani e lui ha un brutto presentimento... Che si avvera presto, quando Carlino finalmente viene a dirgli che la Signora e` “intoccabile”... Un Capo, un Capo molto importante del Partito, gli ha detto che la Signora e` «sacra ed inviolabile», e che versa ben 500 lire al mese ai Fasci... «Non come quel pezzente di Alfredo che si e` rifiutato di versare il contrı`buto e ha avuto quello che meritava» – confessa tranquillamente il ragionier Carlino... Certo il potere della Signora, piu` che sulla politica, si fonda sul denaro – che fa circolare con grande avvedutezza fra la povera gente di Via del Corno, ricavandone cospicui interessi – e sull’informazione, sul controllo di tutte quelle vite. La Signora segue e sa tutto quello che succede in Via del Corno, grazie a Gesuina, la sua infermiera e cameriera, e a Liliana Solli, moglie di Giulio. Dopo che Giulio e` stato arrestato, la Signora ha preso infatti in casa anche Liliana e la loro bambina... E circonda la giovane donna di attenzioni, premure, ambigue affettuosita`.... Tutte e due le ragazze sono strumenti inconsapevoli del suo disegno. E anche del suo piacere. La Signora infatti, bellissima in gioventu` – anche se nessuno puo` constatarlo visto che, volutamente, ne´ in casa ne´ altrove ha lasciato in giro suoi ritratti – si e` scoperta, nella maturita`, un’inclinazione per le donne. Un’inclinazione che e` anch’essa soprattutto ansia di possesso, di consenso totale, vampirismo di una bellezza e di un fascino di cui e` mortalmente gelosa, piu` che desiderio sessuale. E che rivela il disprezzo, l’odio che la Signora prova ormai nei confronti degli uomini, di cui si vendica sottraendo loro i piu` appetibili oggetti del desiderio...

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Tornato dalla giornata di mercato con il suo carretto, Ugo viene coinvolto nell’ennesima, accesa discussione da Maciste, che lo accusa di essersi dato al vino, alle carte, alle donne e di aver dimenticato il Partito Comunista: anche oggi non si e` fatto vedere alla riunione... Messo “all’angolo”, Ugo reagisce insultando il partito non ha piu` voglia di darsi da fare per chi, secondo lui, si e` arreso e ha tradito i propri militanti: Maciste lo colpisce... Poi, Ugo si ubriaca e va a dormire al “Cervia”, l’albergo del Ristori, pochi metri piu` in la`, lungo Via del Corno... Al “Cervia”, le clienti migliori sono un piccolo gruppo di prostitute, conosciute e tollerate da tutta la via, che vi alloggiano e vi portano i clienti... Le abbiamo gia` viste, rientrare all’alba salutate dagli abitanti della strada piu` mattinieri... O fare due chiacchiere maliziose col favore del buio insieme a qualcuno degli uomini di Via del Corno... Ma Via del Corno non le giudica ne´ le rimprovera. Per la pieta` e il senso di giustizia che spesso alberga nei semplici e nei meno abbienti, il nostro “coro” composto di ciabattini, operai, ambulanti e delle loro donne, mostra con le parole e con i fatti di comprendere e giustificare i loro errori piu` dei gesti di un ragionier Carlino, della superbia della Signora o della malvagita` del Nesi... Tanto che, quando quest’ultimo una mattina trova la bottega chiusa e suo figlio Otello scomparso, il commento piu` buono e` che “se lo doveva aspettare!”. Nesi lascia il negozio e va a sfogare la sua collera su Aurora. Quando pero` arriva nell’appartamento, lo trova vuoto, con un messaggio scritto da Otello... Aurora e il figlio sono fuggiti insieme... Hanno lasciato il bambino, che il Nesi, pallido e come esausto, porta alla nonna, Luisa Cecchi, la madre di Aurora... Ridotto com’e`, assillato dalla Signora, tradito dall’amante e dal figlio, tollerato appena da sua moglie Crezia che si occupa solo delle proprie malattie immaginarie nelle quali si e` rifugiata dal tempo dello “scandalo”, il Nesi ormai non fa piu` paura... Tanto meno alla Signora, che giudica ormai giunto il momento giusto per portare il suo affondo: convoca il Brigadiere e gli rivela

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quello che ha “visto”: qualcuno del giro di Giulio che veniva a cercare proprio il Nesi, certo per riprendersi la refurtiva... Cosı` una vergogna peggiore attende il carbonaio: la visita dei carabinieri, l’arresto... E mentre lo portano via, viene colto da un infarto. Informata istante dopo istante di cio` che accade, la Signora ha un sorriso trionfante... Nel frattempo, le condizioni di Alfredo, che Milena trova spesso immerso in un sonno insano, sono peggiorate. Stanno “bruciando” presto anche i soldi che servono a mantenerlo in sanatorio e a curarlo nel miglior modo possibile... E certo Milena non puo` pensare per il momento a riaprire il negozio, sulla cui saracinesca, sempre tristemente abbassata, campeggia ora la scritta “Chiuso per inventario”. Milena passa con ansia e con disagio ogni giorno sotto le finestre della Signora che attende la restituzione dei soldi prestati, e sente su di se´ lo sguardo di Gesuina, che la segue e riferisce... Un giorno, di ritorno dal sanatorio, Gesuina la chiama: «La Signora l’aspetta sempre...». E Milena annuisce affrettando il passo e chinando il viso... ` come maturata in fretta, all’improvviso, il suo sorriso dolce e` E sempre piu` raro, in quel volto che si e` fatto pensieroso, triste... Come per scacciare l’assillo, Milena sale a casa di Maciste e Margherita... Deve accordarsi per andare tutti a far visita ad Alfredo la prossima domenica... Qui, dove il giovane vive, ospite della generosita` e della benevolenza di quella coppia che non ha potuto avere figli, incontra Mario da solo, per la prima volta senza Bianca. I due si ritrovano cosı` a parlare ancora una volta di quella notte: Mario rivela a Milena che, da allora, qualcosa in lui e` cambiato. Sul lavoro, con i compagni della tipografia, nei confronti di quello che succede in citta` e nel paese, si sente molto piu` coinvolto e come obbligato a prendere una posizione. Cio` che gli sembrava lontano, quella sera gli si e` rivelato vicino e incombente. E va combattuto. Certo il dolore e la disgrazia piu` grande li ha vissuti lei, ma la spinge a non abbattersi, a reagire, a non smettere di sorridere... Anche lui e` stato segnato dalla perdita dei propri genitori. Forse era troppo

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ragazzino per capire, ma non per soffrire. E ha rischiato di perdersi a sua volta... Milena sente che, per la prima volta dopo la disgrazia di Alfredo, ha trovato quel qualcuno con cui parlare, quel qualcuno che aveva invano cercato in Aurora... Forse il rimorso serpeggia fra chi, come Osvaldo, ha partecipato all’aggressione ad Alfredo come una bravata ed e` sempre vicino a Milena, costretto in quella stessa via... Tanto che, una mattina di festa, la strada viene svegliata da una lite furibonda tra Carlino e Osvaldo, il “camerata” suo inquilino. Osvaldo sostiene che e` tempo di ristabilire l’ordine, Carlino gli da` dell’imboscato, del vigliacco: cerca di defilarsi proprio adesso che si preannuncia “la seconda ondata”!... Cosı`, Osvaldo abbandona la casa di Carlino e si trasferisce in albergo dal Ristori. E come prima cosa, scrive una lettera-confessione al Direttorio del Partito sull’accaduto... Ma poiche´ e` meglio occuparsi di eventi positivi piuttosto che di disgrazie, e, come dicono le donne di Via del Corno, soprattutto e` meglio affidarsi ad una Giustizia superiore che a quella terrena, almeno per il momento... il bambino di Aurora e` diventato il centro di attenzione della sua famiglia e di tutta la strada. Arrivano da Pisa le lettere di Aurora ed Otello ai loro rispettivi genitori e, a leggerle, le due madri e nonne, Luisa e Crezia, si gettano ` la stessa Crezia, la vedova del Nesi, a persuadere le braccia al collo. E se stessa e via del Corno che il bambino e` di Otello e non del marito. Una sua inserzione sul giornale invita i due fuggiaschi a tornare... Cosı`, una sera che e` quasi primavera, e tutti si attardano per la strada, Otello e Aurora infine fanno ritorno in Via del Corno, tra le diverse reazioni dei “cornacchiai”... Milena e` la prima ad andare incontro all’amica, sembra la piu` felice di tutti, riesce perfino a sorridere in quel momento, forse davvero le vie della Provvidenza sono infinite e la vita di Aurora sta per cambiare... Otello ha intenzione di continuare l’azienda del padre, e, insieme ad Aurora e al bambino, abitera` con la madre per risparmiare.

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Come prima cosa, i due vogliono andare a ringraziare la Signora... In realta`, e` stata proprio lei ad aiutare Otello ed Aurora a fuggire... La salute e il morale della Signora sono assai migliorati nel frattempo. Il suo progetto si va attuando, mossa dopo mossa: tenere le fila dei destini dei “cornacchiai”, averli in suo potere, pronti a restituire quello che lei ha concesso loro. Non solo il denaro. Conta di costringere Milena, che non sara` mai in grado di restituirle il denaro, a cedere il negozio; ha distrutto il Nesi; e queste erano due delle imprese piu` difficili. Ha sottratto Liliana all’influenza di Giulio, che stara` “dentro” almeno due anni, come le assicurano certi suoi amici... Liliana, che ha sostituito ormai nel suo cuore Gesuina, tirata fuori a tredici anni da un orfanotrofio. E gli altri... gli altri sono tutti indicati nel suo quaderno, con i loro bei debiti, di cui chieder conto al momento opportuno. E per quelli che, per carattere e ideali, sembrano resistere, basta aspettare di questi tempi: come per quel povero Alfredo... Cosı` stasera la Signora parla volentieri con Aurora, Otello ed i loro parenti piu` stretti nel corso della visita. Nell’informarsi e nel raccontare a sua volta, si lascia andare a certi giudizi e a certe considerazioni che farebbero trapelare il suo perverso bilancio ad orecchie avvertite come quelle di un Maciste, o di un Ugo, o anche di un Mario, il bravo tipografo, che non a caso non frequentano la stanza della Signora. Sono quelli per cui la Signora e` costretta ad aspettare... Ma anche qualcuno di cui, pur se in modo diverso, la Signora crede di aver ormai determinato i destini, sta per sfuggirle. Proprio stasera, in casa sua, Otello incontra per la prima volta Liliana, che lo colpisce per la sua bellezza... ` di nuovo domenica a Via del Corno... Lo capiamo dalla E comitiva in abiti festivi che si avvia lungo la strada. Mario, Bianca, Maciste e la moglie nel nuovo sidecar, orgoglio del proprietario, Clara e Bruno, stanno andando a trovare Alfredo tutti insieme come ormai e` consuetudine nei giorni di festa... Sarebbe un’immagine serena se non conoscessimo la destinazione: l’ospedale dove Alfredo sta consumando quella che ormai appare come una lenta agonia...

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Intorno ad Alfredo si respira cosı` un’atmosfera mista di allegria e malinconia, fatta di battute e di sguardi, di sorrisi e sospiri... L’atmosfera tipica di quando si continua a vivere, pur nel pensiero onnipresente della malattia, della morte di una persona cara, di un amico... Bianca, la cui fragilita` fisica e immaturita` psicologica rendono forse la piu` vulnerabile a quell’emozione, e soprattutto alla ormai perenne ombrosita` di Mario, si sente male... Maciste si offre subito di accompagnarla col sidecar... E quando Milena, piu` tardi, lascia, ultima, il marito, e s’incammina a piedi, avida di respirare, passeggiare dopo le lunghe ore in ospedale... trova Mario ad aspettarla... Mario, pur sinceramente affezionato, e` deluso da Bianca, con cui non riesce a parlare delle cose importanti, che gli stanno a cuore, e sente il bisogno di confidarsi... Anche Milena si confida: la malattia di Alfredo ha cambiato il suo modo ingenuo di vedere la realta`, adesso vede «che il male e` dappertutto, puo` essere anche in lei...» e si sente cosı` impreparata ad affrontarlo, lei che si e` sempre appoggiata ad Alfredo per tutti i piccoli problemi, e che grandi non ne aveva mai avuti..., lei che e` passata dalla casa dei suoi a quella dell’uomo di cui si era innamorata, occupandosi solo di renderla accogliente e piacevole... Quella “lei”, non c’e` piu`... Ora c’e` una donna sola, angosciata da responsabilita` e scelte cosı` pesanti... Giunti ormai a Via del Corno, Milena e Mario indugiano ancora a salutarsi, poi lei sale a casa della madre, Mario da Maciste... Parlare con Milena sembra aver dato a Mario una carica in piu`: e` come finalmente sazio e insieme ancora desideroso di parole, di “discorrere”. Maciste come al solito non chiede di meglio che aiutarlo «a vedere chiaro nella propria coscienza», e a riconoscere che il torto e` dei fascisti e la vera rivoluzione quella comunista... Mario, per Maciste, sembra aver preso il posto lasciato vuoto da Ugo, che l’ha deluso in quel modo e se n’e` andato... Ma per sensibilita`, intelligenza, per le prove subite nella sua giovanissima esistenza, Mario appare subito molto diverso da Ugo: pur convinto ormai della giustezza della battaglia di Maciste e dei suoi, e` gia` chiaro che le esigenze che manifesta, le domande che pone, le richieste che fa alla vita non saranno mai soddisfatte solo da una scelta ideologica...

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Il risentimento di Ugo verso Maciste e` ancora vivo e si e` riversato su tutti i compagni in generale. Ogni sera, dopo il lavoro, gozzoviglia al “Cervia” con Osvaldo... I due, entrambi in crisi con le rispettive ideologie, sono uniti dal momento di confusione morale che stanno vivendo. Ma e` subito chiaro che il peso di Ugo e` minore, quanto il suo sbandamento. Mentre l’euforia di Osvaldo e` quella tipica della disperazione. Lo conosciamo cosı` come un essere fragile, debole, estremamente influenzabile, da sempre alla ricerca di un punto di riferimento forte che gli fornisca identita` e sicurezza... Intanto, messa da parte la rivalita` di ieri, si danno alla bella vita insieme... Sono giovani, e quello e` il modo piu` facile di dimenticare dubbi e rimorsi. Si organizza persino una “serata nera”, offerta da Osvaldo, cui partecipano anche Ristori, il proprietario dell’albergo, e alcune delle prostitute “clienti fisse”... Osvaldo, ubriaco, ha cominciato a cantare la sua miseria, il tradimento della fidanzata al paese, e le vessazioni dei camerati. Una settimana prima lo avevano convocato in Federazione e gli avevano messo davanti la lettera che aveva osato spedire a Lui... in cui accusava i camerati di essere una massa di violenti. L’avevano umiliato e pestato. E adesso il timore piu` grande di Osvaldo e` quello di essere espulso e di non partecipare alla “seconda ondata”, “la seconda fase ` per questo che si e` deciso a scrivere di della rivoluzione fascista”... E nuovo, facendo autocritica e chiedendo la sua riabilitazione... Domina sempre la nostra strada la finestra della Signora ancora aperta... Una sottile ansia la divora e la spinge a occhieggiare lei stessa, Liliana non e` ancora rientrata..., e neanche Otello... La consola solo la scadenza dell’indomani... Quanti dei disgraziati di Via del Corno riusciranno a pagare? di quanto aumentera` il suo credito? ` lei la padrona di via del Corno, se le piacesse, potrebbe E sfrattarli tutti quanti... Puntuali arrivano infatti, di primo mattino i “facitori” a ritirare gli affitti. E c’e` sempre chi non puo` pagare, stavolta anche la madre ` una giornata odiosa. di Milena... E

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Forse per dimenticarla, ci si riunisce stasera a casa di Maciste a giocare a carte. C’e` quasi tutta via del Corno... Mario, Bruno, Otello, Revuar, Staderini... Intanto, al “Cervia”, Osvaldo e` arrivato con la camicia nera, armato e pronto all’azione... Vederlo cosı`, sentire le sue profezie minacciose contro gli antifascisti, il suo delirio di morte, ha avuto su di Ugo l’effetto di una catarsi... Tornato di colpo quello di un tempo, liberatosi improvvisamente di ogni confusione, Ugo ha colto al volo l’occasione di affrontare i propri sensi di colpa: ha disarmato, legato al letto Osvaldo, e lo ha fatto parlare, puntandogli la pistola... Cosı`, Ugo, in disordine e concitato, irrompe a casa di Maciste a dare la comunicazione che e` arrivata la “seconda ondata”: verso le sette una squadra di fascisti e` andata a prendere un “sovversivo”, che e` riuscito a fuggire, e un “nero” ci ha lasciato la pelle. Per vendicarlo squadre di fascisti hanno cominciato a battere il centro e ad aggredire... C’e` Milena – continua Ugo – che teme per la vita di Alfredo e vuole andare in ospedale... A queste parole, Mario di slancio si precipita fuori e corre da Milena... L’accompagnera` lui in ospedale, certo non puo` attraversare da sola la citta` proprio quella notte!... Insieme i due giovani si avventurano nel buio, in una Firenze improvvisamente deserta, percorsa solo dai fascisti... Fine prima parte

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II PARTE Dopo aver rischiato di essere fermati e malmenati nel centro ormai assediato dalle bande nere, Milena e Mario si rifugiano nella chiesa di San Lorenzo: il Priore ha lasciato la porta aperta apposta, e la navata e` gia` affollata, come nell’ora della Santa Messa... Intanto, dopo che tutti sono andati via rientrando nelle proprie case, Ugo affronta Maciste... Gli chiede scusa, ha sbagliato, ma adesso bisogna muoversi. Ha saputo da Osvaldo i cinque obiettivi dei fascisti... Se Maciste non vuole credergli, se non vuole dargli nuovamente fiducia, andra` da solo... Maciste sa che Ugo sta dicendo la verita`, ed e` felice di ritrovare ` la prova che l’amico proprio in un momento di grave pericolo. E aspettava, per poterlo riabbracciare... Cosı`, Maciste e Ugo montano sul sidecar, per andare ad avvertire le vittime annunciate. Osvaldo nel frattempo e` riuscito a liberarsi e ad arrivare per un pelo all’adunata del proprio gruppo... Maciste e Ugo arrivano a casa dell’onorevole Bastai, ma ha cambiato abitazione. Impossibile saperne di piu` dagli inquilini terrorizzati. Si dirigono al secondo indirizzo. Qui trovano l’onorevole Santini, che accompagnano ad una stazione secondaria e da cui vengono informati del nuovo indirizzo di Bastai... Ma quando arrivano e` troppo tardi: trovano solo una famiglia disperata, l’onorevole e` stato ucciso per mano di Carlino e del Pisano, altro noto squadrista... Intanto la squadra di Osvaldo e Carlino ha saputo dal cameriere dell’onorevole Santini dei due “rossi” in sidecar che rischiano di mandare in fumo la spedizione punitiva... Mentre Maciste e Ugo si dirigono verso un terzo indirizzo, avviene l’incontro con gli squadristi... Osvaldo li riconosce e cerca di colpirli dall’auto ma e` Carlino a centrare Maciste alla nuca. Il sidecar finisce col rivoltarsi sulle scale della chiesa di San Lorenzo. Ugo riesce a fuggire, mentre i camerati infieriscono sul corpo di Maciste e infine danno fuoco al sidecar... Le fiamme abbracciano

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anche il cadavere di Maciste... Ed e` questo lo spettacolo che si presenta agli occhi di Milena e Mario quando escono dalla Chiesa... La notte trascorre intanto in Via del Corno, tra paure e presentimenti... Come sempre, prima di andare a letto, Gesuina mette fuori della porta la spazzatura, ma sul pianerottolo trova un uomo riverso: e` Ugo, che ha cercato rifugio nella prima casa di Via del Corno... Istintivamente lo trascina dentro, nel corridoio, quando appare all’improvviso la Signora... Immediatamente la donna si rende conto della situazione: meglio nascondere quella testa calda che lasciarlo in giro per Via del Corno a straparlare... Del resto, Ugo e` stato colpito da una pallottola solo di striscio e non appena in forze dovra` andare via di lı`, la Signora non vuole guai... Insieme, le due donne lo portano nel letto di Gesuina... Ugo, febbricitante, medicato e assistito da Gesuina, e` tormentato dal pensiero di essere responsabile della morte dell’amico. E che i compagni vengano a saperlo... Il mattino dopo, Via del Corno assiste impaurita al ritorno di Carlino, ancora in divisa... Nessuno si fa vedere o dice una parola. I funerali di Maciste sono riservati ai soli parenti stretti per ragioni di ordine pubblico... E Via del Corno e` sempre controllata. I carabinieri, a turno, stanno di guardia fissi... Ugo capisce che lo stanno aspettando e che non puo` ancora lasciare la casa della Signora. Cerca cosı` di conquistare la complicita` di Gesuina... I due giovani passano le notti a parlare, aprendo i loro cuori: i rimorsi di Ugo per la vita che faceva; la nuova consapevolezza di Gesuina che, sostituita da Liliana nell’ansia di possesso della Signora, si sta ribellando alla propria schiavitu`... Il giorno dopo Gesuina va dal “Poeta”, uno dei compagni, che raccomanda ad Ugo di restare al sicuro e, in caso di bisogno, di contattare Mario, “recluta di Maciste”... E di stare tranquillo, nessuno dubita piu` di lui.

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Nel frattempo, il governo da Roma condanna i responsabili della “Notte dell’Apocalisse”: Osvaldo e Carlino vengono scovati nei loro nascondigli e arrestati... Ugo e` ancora dalla Signora: tutte le notti lui e Gesuina continuano a confidarsi, finche´ si trovano con naturalezza uno nelle braccia dell’altra... Una mattina irrompe nella stanza la Signora e, trovandoli nello stesso letto, li caccia di casa: finalmente liberi, e innamorati... A Margherita, la vedova di Maciste, dopo innumerevoli e vessanti interrogatori, e` permesso tornare al suo paese... Milena e Mario l’accompagnano all’autobus... Solidarieta` e tristezza si mischiano alla commozione degli addii, poi Mario si avvia con Milena verso l’ospedale... I due giovani sentono sempre piu` forte su di loro la cappa di quel male che li minaccia, insieme alle persone che sono loro piu` vicine. E avvertono che non e` finita... Come per farsi coraggio, per aiutarsi l’un l’altro a resistere, si stringono istintivamente uno all’altro mentre camminano... Anche Alfredo sa ormai cio` che e` accaduto in citta`, e Milena non puo` piu` nascondergli la morte di Maciste... Dalle parole dell’uomo trapela che l’amarezza per la propria sorte ha lasciato ormai il posto ad una pena ancora piu` grande che coinvolge gli amici, i parenti, e soprattutto Milena, sua moglie... Cosa sara` di tutti loro...? Milena intuisce che Alfredo non spera piu` in un’impossibile guarigione e che la melanconia che ha sostituito in lui l’amarezza rabbiosa, le recriminazioni dei primi tempi, e` il sentimento con cui il marito sta prendendo congedo dalla vita... La Morte, la fine che non hanno mai preso in considerazione, di cui non hanno mai parlato, aleggia ormai fra loro con levita`, quasi con dolcezza... E la domanda accorata di Alfredo, la sua preoccupazione, appaiono a Milena come un atto d’amore per lei, per coloro che restano... Cosı`, Milena si reca a far visita alla Signora... Che sembra quasi delusa all’idea di riavere infine i soldi prestati... E poi come puo` aver fatto quella povera disgraziata a trovare la somma necessaria!?... Milena in realta` ha preso una decisione, ha

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dovuto scegliere: cedera` il negozio, perche´ non puo` piu` far felice Alfredo... Cosı`, potra` anche restituire il denaro alla Signora e sara` libera. La Signora annuisce: sı`, c’e` ancora la persona interessata, ci pensera` lei... Ma nel suo tono e nella sua espressione c’e` come del risentimento per l’orgoglio e la dignita` di Milena... Gli ultimi avvenimenti hanno finito di cambiare anche gli altri Angeli Custodi... Clara ha acconsentito infine a sposarsi con Bruno subito dopo Pasqua... E intanto, con la complicita` di Aurora che le lascia la casa, gli si concede... A convincerla a legarsi definitivamente a lui sono state l’angoscia, l’ossessione, le lacrime addirittura di Bruno, che quasi non credeva piu` al suo amore, che si stava convincendo che lei non l’amasse piu`, che l’avesse ormai persa... Bianca e` reduce da una pleurite. La convalescenza limita i suoi incontri con Mario all’ora di pranzo... E lui le appare sempre piu` distaccato. Una mattina presto Bianca va a trovarlo a casa: pensa di darsi a lui, come ha fatto Clara con Bruno, per non perderlo. E invece Mario si decide infine a parlarle con sincerita`: il loro e` stato un amore di ragazzi, adesso lui ha capito che il vero amore e` un’altra cosa... Bianca scappa via piangendo... Aurora, appena puo`, va in campagna dove ha messo il suo bambino a balia. Otello non dimostrava un grande piacere ad averlo per casa... E neanche questa volta e` andato con lei. In realta`, Aurora non puo` piu` nascondersi che lui da un po’ la trascura: eccola qui da sola ancora, a preparare la cena per se´ e per la suocera... Senza sapere dove sia Otello. Che, in quello stesso momento, se ne passeggia tranquillamente per una via del centro, insieme a Liliana, con quei modi seduttivi e padronali a un tempo che furono gia` di Nesi padre...

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A cui somiglia sempre di piu`. Ormai in tutto simile a lui – e ne va quasi fiero – ha un’amante fissa, Liliana, che ha circuito per mesi e adesso incontra regolarmente una volta alla settimana, nell’albergo di Via dell’Amorino... Una sera Liliana arriva da Otello in ritardo, sconvolta: la Signora non voleva farla uscire e si sono menate... Poi, Liliana racconta all’amante la verita` sul suo rapporto con la Signora... E Otello la rassicura: non dovra` tornare piu` dalla Signora, la manterra` lui nell’appartamento dove prima suo padre faceva vivere Aurora... Milena e` sempre piu` turbata dall’amicizia con Mario: si incontrano ormai ogni sera... E finalmente si parlano a cuore aperto. Non possono piu` negare il loro amore, un amore sbocciato nella sofferenza che li ha trasformati, alimentato da affinita` profonde: un amore adulto, diverso dalla dipendenza adolescenziale di Milena nei confronti di Alfredo, o dal gioco amoroso di Mario con Bianca... Ma per Milena, il legame con Alfredo, cementato dal dolore, dal breve ma felice passato e dai sogni comuni di un tempo, e` ancora forte e tenace, tanto da impedirle di vivere oggi qualsiasi altro rapporto. Mario capisce. Per questo, le restera` vicino comunque... Tornando a casa, Milena e Mario trovano Via del Corno in subbuglio: la Signora, in preda ad una crisi, sembra si voglia buttare dalla finestra. Un gruppo di “cornacchiai” si precipita dentro per fermarla, a forza viene messa a letto... Aurora la accudisce, mentre pensieri di vendetta verso chi le ha portato via Liliana e verso tutta Via del Corno si agitano nella mente della Signora. Abbandonata da Liliana, per la prima volta la Signora si sente vecchia, sola, e vicina alla morte... In seguito alla crisi, un ictus, la Signora perde l’uso della parola... Quando se ne rende conto, cade in preda ad un nuovo eccesso di furia, cercando di distruggere tutto...

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I “cornacchiai”, richiamati da Aurora, accorrono ancora e tra di loro Otello, che coglie l’occasione per minacciarla sadicamente... Ma e` lei la padrona di Via del Corno e la sua vendetta sara` terribile... «Li sfrattero` tutti quanti. Otello per primo! Verranno a pregarmi in ginocchio, ma non avro` pieta`! Via, tutti, fino all’ultimo! Faro` mettere una targa di marmo ai due cantoni: Strada Privata, e ribattezzero` Via del Corno col mio nome!...». Dopo la “Notte dell’Apocalisse” e le reazioni di sdegno del Duce, che ha promesso fucilazioni ed ergastoli, in realta` la situazione e` tornata molto presto alla “normalita`” precedente, e i protagonisti della “seconda ondata” sono stati rilasciati. Cosı`, anche Carlino e` tornato minaccioso in Via del Corno... In tempo per veder morire sua madre... Armanda soffriva da molti anni d’asma, ma alla malattia si era aggiunto di recente il dispiacere procuratole dal figlio... Al funerale c’e` anche Osvaldo, sparito da Via del Corno dopo la ` ingrassato ma sereno... Dopo i quaranta giorni in famosa “Notte”. E carcere con Carlino e il Pisano, del tutto persuaso dell’Ideale e della necessita` della violenza per affermarlo, e` come pacificato. La testimonianza di Ugo sulla “Notte dell’Apocalisse” e` stata giudicata priva di qualsiasi fondamento, e la polizia lo sorveglia costantemente... Adesso Ugo abita insieme a Gesuina vicino al mercato, dove ha un banco di frutta e verdura, e continua la sua attivita` per il partito. Sono rimasti in contatto con Mario, che li va spesso a trovare... Un giorno, Gesuina e Ugo, a pranzo, invitano Mario a brindare con loro e gli annunciano felici ed eccitati che si sono sposati... Ma una mattina all’alba, la Polizia arriva a casa di Ugo e lo arresta. Gli agenti perquisiscono la casa, in cerca di prove, ma trovano solo qualche volantino di molti anni prima, quando non erano ancora in vigore le leggi eccezionali... Gesuina tiene loro testa con fierezza, ma viene offesa, umiliata... ` primavera ormai e Clara e Bruno si sono finalmente sposati... E

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Bianca, come ogni adolescente alla fine del primo amore, sembra decisa a togliersi la vita, dopo l’abbandono di Mario... Ma fortunatamente le manca il coraggio... Cosı`, un pomeriggio, durante una delle sue solite passeggiate piene di “spleen”, Bianca incrocia sul Lungarno Eugenio – il maniscalco che ha preso il posto di Maciste – che le si dichiara... Bianca ritrova improvvisamente l’appetito e i suoi vecchi propositi svaniscono per lasciare il posto alle immagini di una nuova vita: una bella casa e un felice matrimonio, le aspirazioni giuste e semplici, sebbene piccolo borghesi, che mettono fine al suo fatalismo da romanzo rosa... e che non avrebbero mai potuto unirla a Mario... Ora, e` di nuovo serena. Aurora non ha piu` speranze: e` chiaro che Otello si e` definitivamente stancato di lei e la tratta proprio come faceva Nesi padre... Ma Aurora continua a tacere, come se temesse la verita`. Una sera e` Otello a provocarla e a sbatterle in faccia il suo tradimento: ha una relazione con Liliana e la mantiene in quello stesso appartamento dove il Nesi aveva sistemato Aurora e il suo bastardo!... Un rancore violento traspare dalle parole e dall’atteggiamento dell’uomo: e` come se Otello godesse di punire finalmente Aurora, che considera la causa di tutti i mali della propria famiglia e su cui riversa il proprio senso di colpa. Le rinfaccia di aver allontanato il padre da casa, di averlo portato alla rovina, di aver costretto lui stesso a tradirlo, ad ingannarlo, di averlo fatto diventare quello che e` pur di vendicarsi di lei e di farle patire quello che hanno patito gli altri a causa sua...! Dovra` restare con lui, a casa, sotto lo stesso tetto, e aiutarlo anche alla carbonaia...! E Aurora, ormai come rassegnata, e come per un’inconscia espiazione, accetta... Cos’altro potrebbe fare ormai del resto!?... Lei non e` mai stata capace di scelte, tantomeno quelle difficili, dolorose, che significano fatica, sacrificio... Lei ha preso quello che le veniva dalla vita, pigramente, senza ribellarsi... Milena non sa cosa dire di fronte alle confidenze della sua amica di un tempo. Anche se le vuole bene e le fa pena, la sente lontana, irraggiungibile nella sua passivita`, nella sua indolenza... Ancora una volta le dice che potrebbe cambiare tutto, andarsene e ricominciare, e` giovane...

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Ma ancora una volta, intuisce che Aurora non l’ascoltera`. Perche´... perche´ mai!?... E questa volta Aurora risponde: le dice che dentro di lei non c’e` nessuna energia, nessuna forza, nessun sentimento a cui fare appello, forse lei non ha mai amato nessuno, certo non ha amato Nesi padre, forse nemmeno Otello, forse non sara` mai capace di amare... come Milena ha amato Alfredo, come ora ama Mario... Perche´, almeno questo lo ha capito in quei rari momenti di pace che trascorre con il figlio in campagna, amare non e` perdersi per un momento, non e` nemmeno innamorarsi... Amare e` cosı` difficile... Forse per questo solo quelli che sanno farlo sembrano felici. Quel giorno, in ospedale, Milena parla ad Alfredo dei suoi sentimenti per Mario. Proprio il confronto con l’intrigo di tradimenti e rancori, di menzogne e vilta` della vicenda di Aurora, e quelle ultime parole piene di verita`, la spingono alla sincerita` piu` assoluta con suo marito. Gli dice cio` che sente, quello che ha gia` detto a Mario: che non riesce a vedersi con nessun altro uomo, se non lui, suo marito, Alfredo, anche se prova un sentimento autentico per Mario... E Alfredo le risponde che e` tutto normale, normale e giusto: loro due sono ancora insieme, ma nello stesso tempo sono stati divisi, contro la loro volonta`, e ormai sono in due mondi differenti, distanti... Resteranno insieme, ma in modo diverso da quello in cui si sta insieme su questa terra, in questa vita che e` cosı` bella ma anche cosı` difficile e dolorosa... Lei non deve soffrire, deve sapere che lui le stara` sempre vicino, anche se il compagno di questa vita che a lei resta sara` un altro... Due giorni dopo, il lunedı` di Pasqua, Alfredo muore... Ma la notte non e` finita, la sua ombra si allunga ancora su Via del Corno e sulle vite dei suoi abitanti. Obbedendo agli ordini scritti della Signora – sempre su quel famoso quaderno nero... – l’amministratore ha inviato le lettere di sfratto agli inquilini di Via del Corno, e questo ha scatenato l’odio dei “cornacchiai”, aprendo loro definitivamente gli occhi su quella donna, di cui hanno subito l’interesse avido, il potere intrigante, mascherato da benevolenza e disponibilita`...

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Poi, una mattina, i poliziotti vengono a cercare Mario... Milena e` riuscita a sgattaiolare per correre ad avvertirlo. Insieme, decidono che e` meglio che lui vada da Margherita, in campagna, per qualche giorno; ma perdono l’autobus, e si avviano a piedi... Camminano tutta la notte, un po’ in silenzio, un po’ parlando, si fermano a dormire su un prato, per poi arrivare finalmente la mattina dopo a destinazione... Margherita li accoglie, subito in allarme. Non c’e` bisogno di dire molto... Milena e Mario, esausti, dormono tutto il giorno, si svegliano solo verso sera per cena... Quando Margherita va a dormire, loro escono sull’aia e rimangono sotto la volta stellata ancora una volta, ancora per una notte... Milena racconta a Mario tutto quello che Alfredo le ha detto prima di morire. E aggiunge che ora ha capito cosa voleva dire veramente. Ha capito che gli diceva di vivere, di continuare a vivere, senza dimenticarlo. E che stare con Mario non vuol dire dimenticarlo. Ora lei puo` amarlo senza angosce, senza rimorsi. Anche se per poco, anche se questa notte d’amore forse sara` insieme la prima e l’ultima... Ed infatti all’alba arriva una macchina, sono gli agenti che portano via Mario per “chiarimenti”... Quando Milena torna in Via del Corno, tutti si aspettano la notizia, e, alle scarne parole di Milena, la compatiscono in silenzio... Come vergognosi che la loro solidarieta` non possa nulla. Solo Staderini se ne esce in un’esclamazione rabbiosa, di aperta ribellione, ma subito tace, come spaventato da se stesso... In realta`, molti dei “cornacchiai” hanno chiesto la tessera del Fascio: Otello, il Ristori, Beppe Carresi... Gli altri, sono ancora dalla parte di Maciste, anche se, per quieto vivere e paura, si conformano e obbediscono spesso agli ordini di Carlino... Ma c’e` anche Bruno che e` stato sospeso dal lavoro perche´ non ha rinnegato la memoria del padre, socialista... Ed Ugo, che e` in carcere da tre mesi con l’accusa di sequestro di persona e violenze ai danni di Osvaldo Liverani...

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In reazione a questo clima, la burla e il pettegolezzo infuriano in Via del Corno. Soprattutto a danno della Signora, malgrado le sue condizioni... Gli abitanti di Via del Corno hanno scelto una resistenza muta e caparbia, nessuno ha risposto ne´ a parole, ne´ tantomeno per scritto alle ripetute e minacciose comunicazioni di sfratto da parte della Signora, nessuno guarda piu` verso la sua finestra entrando o uscendo dalla via, e solo i ragazzi inaspriscono ogni giorno di piu` i loro scherzi feroci, i lanci, le invettive... Tutti, da Staderini a Carresi, malgrado la sua tessera, con in testa gli Angeli Custodi Aurora, Clara e Bianca, preferiscono occuparsi di Milena, stringersi intorno a lei, aiutarla come possono a darsi da fare per Mario, che e` in attesa di processo per “sovversivismo”, e ha bisogno di avvocati, testimoni, e del conforto di sapere che «chi e` fuori ti ama e ti aspetta...». Mario non ha commesso alcun reato, e, al contrario di Ugo, non e` stato testimone oculare dell’assassinio di Maciste perche´ era in chiesa con Milena: lei stessa puo` testimoniarlo. Inoltre la sua estraneita` a fatti di violenza e` nota a tutti. Ma anche le sue idee antifasciste. Possono essergli imputati atti di solidarieta` nei confronti di compagni di lavoro licenziati, la partecipazione a riunioni clandestine, dichiarazioni pubbliche pacate quanto determinate... Milena sa che ce n’e` quanto basta per rischiare di restare in prigione per molto tempo, o essere inviati al confine in qualche lontana e sperduta isola... Per questo il primo compito e` trovare un avvocato che possa difenderlo: riesce a contattarlo attraverso Bruno e Clara, e insieme organizzano una colletta per le spese legali fra gli abitanti di Via del Corno... Milena ottiene cosı` anche il permesso per qualche raro colloquio con Mario: sono momenti di grande emozione per entrambi, momenti che danno ad entrambi la forza di credere nel futuro ed affrontare gli ostacoli del presente. Momenti in cui si esprime anche il calore degli amici di Via del Corno... I pacchi che Milena lascia in prigione per Mario sono pieni di testimonianze umili quanto sincere: indumenti, cibo ecc. Bianca soprattutto e` fra le piu` assidue aiutanti di Milena nella confezione di quelle preziose prove d’affetto... E Aurora, chiusa la carbonaia, non si dimentica mai di andare

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dalla sua amica: ormai e` come una vedova bianca che si occupa solo del lavoro e del bambino che va a trovare ogni domenica... Forse per la rabbia di non poter rispondere ai lazzi e ai dispetti dei “cornacchiai” piu` giovani, la Signora viene colpita da una nuova emorragia cerebrale, che le lascia le capacita` intellettuali di un neonato e gli istinti di una vecchia corrotta... Adesso e` assistita da due vecchie infermiere che hanno scoperto come l’unico modo in cui la Signora rimanga tranquilla sia stare affacciata dal balcone, su un seggiolone costruito apposta, dal quale fa le bolle di sapone, sgranocchia semi e sbuccia banane, tirando le bucce e sputando ai passanti... L’amministratore ha cosı` deciso di non eseguire le volonta` della “vecchia pazza”, e, previa altra comunicazione scritta, ha ripreso ad esigere regolarmente l’affitto. Ora serve il denaro contante per assistere e curare la demente... Naturalmente tutta la via si e` felicemente ribellata e ha provato ad approfittare della situazione, per vendetta e... per necessita`. Finche´ non si e` presentato il nuovo “facitore” degli affitti, il ragionier Carlino... Autoinsignitosi del compito di “mettere ordine” in Via del Corno, per conto della Signora... Cosı`, dall’esito del processo di Mario, oltre che la felicita` di Milena, sembra dipendere ormai l’umore di tutta la via... Vessati, dimenticati nel migliore dei casi, dalla Storia e dal Potere, gli abitanti di Via del Corno vedono nel lieto fine di quell’amore la possibilita` di una speranza, di un riscatto e – perche´ no – di una rivincita su tutti i Carlini e le Signore... Un’occasione di Giustizia anche per gli umili. Il giorno del processo, anche Milena e` chiamata dal giovane avvocato sul banco dei testimoni... L’attesa della sentenza, nel tribunale che sembra oggi una succursale di Via del Corno, e` piena d’angoscia anche se tutti si stringono intorno a Milena, attorniata, come protetta dalle sue amiche. E il dubbio tormenta la speranza pur se essa e` forte, tenace... Ma infine Mario viene assolto dall’imputazione di sovversivismo, anche se solo per insufficienza di prove.

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Cosı`, dopo i festeggiamenti della strada, e, ancora una volta, con il suo aiuto... Mario e Milena lasciano Firenze, troveranno rifugio a Parigi... ` passato ormai il tempo... E Musetta Cecchi – sorella di Aurora – ormai una ragazza, incontra a Porta La Croce il giovane Renzo che abita da poco con la madre vedova in una delle case di Via del Corno... Musetta lo invita a far parte della comitiva di giovani “cornacchiai”, e chiacchierando, gli racconta tutto di Via del Corno, cominciando una sorta di riassunto favoloso della nostra storia... E bastano quelle poche chiacchiere perche´ tra i due nasca qualcosa... Fine

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UN NUOVO “GENERE”: IL FANTAEROTICO di Carlo Lizzani

Copyright © 1993 by Carlo Lizzani

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A differenza di tanti film e di tante opere che progettano un futuro terrificante e angoscioso, questo film vuol analizzare un aspetto dell’oramai imminente ventunesimo secolo, altrettanto spettacolare e intrigante, ma meno catastrofico e cupo. Un aspetto, pero`, che potra` sollevare grandi interrogativi di carattere etico, scientifico, psicologico e artistico. Si tratta delle prospettive aperte da un annuncio recente: nel 2050 saranno giunti a definitiva perfezione le tecnologie e i procedimenti virtuali attraverso i quali sara` possibile realizzare l’amore fisico perfetto e completo con tutti i tipi di partners possibili e immaginabili. Sulla base di alcuni dati elementari: una serie di fotografie scattate all’insaputa della “preda” (o col suo accordo, se si tratta di coppie che per motivi di lavoro debbono rimanere separate per lunghi periodi) e il furto di altri aspetti caratteristici (la voce, gli odori, ecc.) il soggetto desiderato potra` venire “simulato” nei suoi dettagli piu` riservati, e posseduto nella sua piu` profonda carnalita`. Potranno essere simulati amplessi di ogni tipo e durata, completi di sonoro programmabile sulla base di dialoghi-base, o su impulsi anche improvvisati... I confini dell’illecito e dei tabu` saranno trasgrediti fino all’inimmaginabile. Potra` realizzarsi perfino il sogno di Narciso; l’accoppiamento con un partner che e` un altro “se stesso”. Sara` abolito lo spazio e il tempo. Una giovanetta del duemila potra` “fare l’amore” con un giovane divo degli anni trenta, rielaborato al computer; un ragazzo cinese del duemila potra` “fare l’amore” con Marilyn Monroe, che gli sussurrera` in cinese dolcissime oscenita` o deliranti giuramenti d’amore... Si potrebbe immaginare un “mercato” con relativi indici di gradimento: James Dean, anche nel duemila in testa con due milioni di amplessi al giorno. O magari uno sconosciuto o una sconosciuta che salgono ai vertici delle vendite e diventano star. E la privacy, e l’amore, quello vero? E la morale? E la procreazione? E il “diritto d’amore”, cioe` la salvaguardia dell’immagine, da parte, appunto, di persone famose o dei loro eredi? E le altre attivita` dell’uomo?

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APPENDICE

Da qui, quattro possibili film. Tutti realizzabili senza apparati scenografici proibitivi perche´: 1) la carnalita` degli esseri simulati, dovendo essere perfetta, non puo` che essere rappresentata da altrettanti attori o attrici in carne ed ossa, e non da robot o modellini. Per quanto riguarda personaggi “famosi” si vedra` soltanto qualche esperimento di laboratorio, e questo tema non sara` al centro di nessuno dei soggetti proposti; 2) la scenografia e i costumi non saranno da “anni cinquanta” del nuovo secolo, perche´ la guerra dei brevetti e tentativi di “semilavorati” saranno gia` avanzati nel primo decennio del nuovo secolo, quindi a distanza ravvicinata, in un mondo che non sara` tanto lontano dal nostro.

PRIMO SOGGETTO: UNA GRANDE STORIA D’AMORE ` il soggetto piu` semplice ma forse piu` profondo. E Comincia con un amplesso lungo e appassionato tra un ragazzo e una ragazza e finisce... con il primo timido bacio (vero) tra i due. Insomma il rovescio di tutte le storie raccontate dal cinema fino ad oggi. I due, conoscendosi di vista e da lontano, attraverso le apparecchiature elettroniche hanno usato la “scorciatoia” piu` comoda e sbrigativa per superare quella grande muraglia che il nuovo secolo sta alzando tra individuo e individuo. Ma e` rimasta in loro la curiosita` di conoscersi veramente, di toccarsi veramente. La suspense sara` proprio nel vedere come e` difficile superare i mille trabocchetti frapposti da questa grande muraglia, cementata da mille fattori psicologici e materiali. Chi non lamenta, gia` oggi, malgrado la permissivita` e la promiscuita`, la solitudine profonda in cui vivono barricati gli esseri umani, specialmente nelle megalopoli? Chi non sa dei suicidi della gioventu` giapponese stressata da una esistenza concorrenziale portata allo spasimo, che lascia sempre meno spazio alla vera comunicazione interindividuale? Per non parlare del terrore dei contagi, della caduta del senso di responsbilita` (che e` base della formazione di una famiglia), della difficolta`, per miliardi di giovani, di trovare una casa in cui convivere. Della incapacita` di dialogare veramente tra gli individui-massa bombardati ed eterodiretti da suoni e immagini fabbricati da altri?

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APPENDICE

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Insomma un mondo non da Blade Runner, ma un mondo “blindato” psicologicamente. I balbettii dei portatori di handicap che tanto commuovono nei film di oggi saranno forse il linguaggio generalizzato della gioventu` del duemila. Ma l’amore vince... Vedremo i nostri due abbandonare via via le loro operazioni simulate e intrecciare, al di sopra e attraverso la grande muraglia, i mille fili di quel percorso che li portera` al primo bacio. Le due apparecchiature che li hanno aiutati a soddisfarsi da soli finiranno al “Sexy Park”, il mercato delle pulci della realta` virtuale.

SECONDO SOGGETTO: UN THRILLER D’AZIONE Il mercato del Virtual sex e` diventato, gia` intorno al 2020, piu` importante di quello della droga, perche´ quasi dappertutto la diffusione delle macchine e` stata proibita. La Chicago del proibizionismo e il narcotraffico degli anni novanta sono, a confronto, giochi da ragazzi. Per scavalcare le barriere innalzate – per ragioni etiche, giuridiche ed economiche – dai vari Stati, si moltiplicano i laboratori clandestini, che producono magari merce scadente ma appetibile. La lotta delle varie polizie e` spietata perche´ la nuova tecnologia ha messo a rischio le basi stesse della convivenza civile. La domanda di simulazioni che permettono l’incesto e` cresciuta a dismisura. La natalita` ha subı`to una flessione paurosa dappertutto, la privacy e` violentata. Il sacrilegio e` all’ordine del giorno. Quante donne non hanno sognato di fare l’amore col Papa? Quante trasgressioni sacrileghe non saranno possibili? Il piu` importante manuale del confessore, predisposto dalla Chiesa nel 1600, prevedeva gia` 50 tipi di immaginazione peccaminosa tra comuni mortali e santi o sante. Il tempo libero ha adottato solo questa tecnologia, e tutta la civilta` dei consumi, basata sulla molteplicita` delle merci, e` in crisi. Veramente, per l’umanita`, sta diventando realta` la leggenda dell’apprendista stregone. E in questa realta` possono essere adottati, come meccanismi narrativi, quelli dei piu` classici film di mafia e di gangsters.

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APPENDICE

TERZO SOGGETTO: UN GRANDE FILM “GIUDIZIARIO” Il film racconta la storia di una ragazza che, accortasi di essere stata derubata della propria immagine e del proprio sesso da una multinazionale della realta` virtuale, e inorridita dal fatto che la sua immagine – e quindi il suo “io” – viene violentata milioni di volte, ha il coraggio di iniziare quella vertenza che poi, forse, portera` alla situazione del Soggetto II: cioe` la illegalita` delle simulazioni sessuali. Una sfida all’inizio impopolare e giudicata impossibile, e poi vinta (forse non con la proibizione del mezzo, ma con l’invenzione di un decodificatore che rimane in possesso di ogni soggetto). Nella sua battaglia la ragazza sara` affiancata da un coraggioso avvocato che come parte civile difende il diritto di James Dean o di una diva di oggi a non essere “stuprati” un milione di volte al giorno.

QUARTO SOGGETTO: UNA COMMEDIA DEMENZIALE Malgrado tutte le previsioni, la societa` del duemila e` buona e tollerante. Quando coppie di amici si riuniscono, ci puo` essere, sı`, il sospetto che poi, con la realta` virtuale, ognuno scambi la moglie, la compagna o il compagno. Ma con le offerte di tante altre tecnologie (viaggi sulla luna e negli abissi dell’oceano) e con il crollo del “desiderio” ormai generalizzato, il possibile giuoco delle coppie forse non e` considerato pericoloso. Anzi e` talmente abituale, che oramai la vita si confonde con la fantasia. Emergono in pubblico con mille lapsus confidenze segrete raccolte durante le immersioni nella macchina digitale, e gli scambi di persone, di tempi, di frasi, di relazioni si moltiplicano fino a determinare una specie di hellzapoppin permanente. C’e` chi si offende per essere stato solo immaginato e non realmente corteggiato. C’e` il dramma di chi e` monogamo per vocazione e riesce ad immaginare con le altre o gli altri degli amplessi disperatamente noiosi o sciocchi. C’e` chi si veste durante la simulazione e chi si spoglia invece davanti a tutti in salotto, credendo di essere in fase di simulazione. C’e` il tentativo di codificare in un computer le regole di comportamento del gruppo, ma il computer inghiotte il codice e lo rovescia determinando situazioni da delirio. Insomma: DEMENZIALE. Gli schemi classici delle farse possono suggerire innumerevoli tipi di remake.

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PROGETTO “LA COLLANA DEL CENTENARIO” di Carlo Lizzani

Intorno al 1995. Alla RCS, nella previsione dei cent’anni.

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Se l’oggetto della celebrazione dovesse essere l’aspetto “mitico” del cinema (andando a colpire cioe` quelle zone dell’inconscio in cui l’immaginario cinematografico si e` depositato) sarebbe opportuno introdurre nel titolo un elemento evocativo: C’ERA UNA VOLTA... il Cinema Il listino offre un numero di testi sufficienti per scandire il percorso di questo mito nel corso di questo secolo. D’altra parte nessun listino al mondo puo` offrire un identikit completo del fenomeno cinematografico. Quindi l’offerta RCS puo` essere tanto piu` soddisfacente per il fruitore quanto piu` corrisponde ad un “segmento” della enorme iconosfera in cui le immagini del cinema ci hanno avvolto. Nella stessa fascia del “mito” la RCS potrebbe offrire il segmento rappresentato dal divismo. Gli unici vuoti gravi sarebbero in questo caso i nomi di Marylin Monroe e di James Dean. Si potrebbe riempire in qualche modo questo vuoto? Gli altri ci sono tutti, da Bogart alla Bergman, da Gary Cooper ai nostri Gassman, Sordi, Mangano, eccetera. Per quanto riguarda gli anni dieci e venti, l’Istituto Luce sta preparando una antologia “Le Dive del Muto”. Si puo` pensare a un qualche scambio? Se viceversa si vuol colpire la fascia piu` razionale della percezione collettiva, suscitando l’interesse di un pubblico – comunque vasto –, che oltre a sognare vuol anche capire, la RCS potrebbe offrire, attraverso il cinema, un “VIAGGIO NEL NOVECENTO”. Guerre, rivoluzioni, avventure coloniali e postcoloniali, vari tipi di “dopoguerra” ecc., hanno lasciato tracce profonde nel cinema, e il listino RCS offre capitoli molto significativi, in questo senso. Certo, anche in questo tipo di scelta dovremmo giustificare il vuoto rappresentato dal muto. Si tratta di trovare qualche soluzione.

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APPENDICE

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LEZIONI DI CINEMA Possibili titoli: CENTO ANNI DI CINEMA: come leggere “scrivere” e fare il cinema. CENTO ANNI DI CINEMA: come leggere i film/come scrivere con le immagini. GRAMMATICA E SINTASSI DEL CINEMA I MAESTRI DEL CINEMA: segreti e prodigi del linguaggio cinematografico. Questi titoli emergono dalle suggestioni che io ho ricavato dallo scambio di idee che ha avuto luogo a Roma il 27 Aprile u. s. Tra i possibili pubblici ai quali possono mirare le mie LEZIONI DI CINEMA, e` stato individuato quello – certamente larghissimo – interessato a conoscere la grammatica e la sintassi del cinema attraverso i film stessi. Per poterli intanto “leggere” e capire meglio, o per poterne trarre – eventualmente – insegnamenti in vista di un uso diretto di quella “stilografica” che oggi e` divenuta la macchina da presa o la videocamera. L’affascinante cavalcata attraverso i cento anni del cinema e` resa inevitabile proprio dal fatto che il secolo non offre soltanto un elenco di capolavori, ma “racconta” la nascita e l’evoluzione di un linguaggio. Il muto, il sonoro, il colore hanno imposto salti, svolte, ellissi e percorsi addirittura “all’indietro”: oggi, per esempio la poetica del remake attraversa tutto il cinema, e ripercorre moduli grammaticali e sintattici che erano stati superati o rimossi. Per quanto riguarda LEZIONI DI CINEMA il repertorio di cui dispone la RCS e` ricchissimo. E il problema del periodo muto non e` drammatico perche´ le citazioni possono essere fatte anche attraverso fotografie ecc. Si puo` anche partire dall’oggi: una visita a Cinecitta`, e lo stato attuale della tecnica audiovisiva. Tutti i segreti della macchinacinema, che da una parte e` molto sofisticata (e permette effetti spettacolari che nel passato non erano possibili) ma dall’altra si e` anche molto “alleggerita”: anche con una piccola videocamera e` possibile, oggi, “scrivere” immagini. Ma quante invenzioni, quanta fantasia per arrivare a questo. Quanti percorsi imprevisti.

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APPENDICE

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LA NASCITA DEL CINEMA e le due strade che comincia a seguire: ` RE e il cinema della realta`. MELIES e il cinema dell’imLUMIE maginazione, della fantasia, dei trucchi. Quando la macchina da presa comincia a muoversi: le prime PANORAMICHE, i primi CARRELLI, le prime GRU. Le prevenzioni dei grandi intellettuali tradizionali contro il cinema fino agli anni venti, e invece gli effetti creativi, e addirittura simbolici del MONTAGGIO che fanno via via del cinema un linguaggio autonomo e incontestabilmente artistico (Citazioni). Il passaggio dal muto al sonoro: l’uso artistico del sonoro contro il pericolo che il nuovo mezzo riappiattisca il linguaggio nella pura riproducibilita` del reale. Il grande film musicale. I “generi” negli anni trenta. Il colore. Di nuovo il pericolo che il cinema si riduca a fotocopia del reale, e di nuovo invece altri spazi per la fantasia e la creazione. I pionieri del cinema “moderno”: Hitchcock, Orson Welles, Renoir. Il neorealismo italiano, cambiano la grammatica e la sintassi. La “Nouvelle vague” e gli altri fenomeni degli ultimi trent’anni. ...E dopo aver raccontato, attraverso immagini, scene, sequenze affascinanti la nascita e lo sviluppo del linguaggio, ecco alla fine svelare tutti i trucchi del mestiere. Infatti non basta conoscere le regole. Bisogna anche capire come aggirarle. Come fare una panoramica che alla fine risulta un CARRELLO. Come fare apparire uniti in uno stesso luogo, cose e personaggi girati in tempi diversi e in luoghi diversi. Come dilatare o restringere lo spazio e il tempo. I segreti della recitazione cinematografica. La difficolta` di rimanere “naturali” in Primissimo Piano, mentre il corpo e` avvolto da cavi, lampade, microfoni, e a distanza ravvicinatissima dai corpi e dagli sguardi dei tanti tecnici impegnati nella scena. E come e` difficile inquadrare e fotografare bene un Nudo! Anche il piu` bel corpo o bel seno puo` essere “rovinato” da una luce sbagliata e da una angolazione scorretta. Lo stesso problema per il primo piano. Naso, occhi, bocca possono essere “migliorati” o massacrati da fotografia o angolazioni non corrette.

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APPENDICE

Il problema delle nuvolette di fiato che escono dalla bocca quando fa freddo (e magari il Primo piano andra` montato in una scena girata un mese prima quando faceva caldo). Le oscillazioni del corpo in una scena di auto o di treno girata in teatro, con finti alternarsi di luce e ombra ecc. Come correre se si e` seguiti in primo piano o in campo lungo... Insomma anche il cinema piu` realistico deve ricorrere a mille espedienti per essere veramente reale, alla pari del cinema fantastico. Le varie professionalita` del cinema: dallo sceneggiatore alla segretaria di edizione al truccatore al microfonista ecc. L’attrezzista e l’arredatore, che durante la ripresa di una colluttazione (si analizza il brano di un classico) o di un pranzo (idem) deve, ad ogni inquadratura diversa, e spesso nell’arco di molte ore o di molti giorni, riaggiustare i vari pezzi del set. Insomma, le varianti per rendere LEZIONI DI CINEMA un programma vivo e affascinante sono infinite. Se si conferma, dopo la lettura di questi appunti, la linea qui proposta e che mi pare sia uscita abbastanza chiara nell’ultima riunione, si puo` passare ad una vera e propria sceneggiatura, alla selezione dei materiali.

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TRAGEDIA TELEFONICA di Carlo Lizzani

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Primo episodio di una trilogia sul caos verbale che oggi attraversa la comunicazione interpersonale e collettiva. Il banale quotidiano elevato a misure temporali e spaziali piu` adatte alla narrazione di un evento tragico che alla descrizione di un piccolo conflitto verbale telefonico. (O viceversa). La chiaccherata, registrata per caso – e qui presentata – gia` grottescamente prolissa – potrebbe essere estesa ad una durata iperbolica, insomma ad una misura da ORESTIADE. Lo spazio e` quello di un appartamentino piccolo-borghese, ma la dilatazione dei tempi, la microfisica esasperata del discorso puo` produrre – ne sono sicuro – in chi ascolta, la sensazione che le distanze tra i personaggi siano quelle di un grande palcoscenico, perche´ la staticita` e ripetitivita` del discorso la lentezza con cui procede la comunicazione tra i protagonisti presenti o evocati, non possono non dilatare ANCHE LO spazio che li divide. L’ipernaturalismo che diventa iperreale surreale con un effetto di suspense terribile, basato sul nulla, sul non-essere della chiacchera heideggeriana. Soggetto di questo episodio: una ragazza racconta – per telefono – ad un’amica, di aver litigato col fidanzato per non avergli potuto rispondere al telefono. Durata fisiologica della conversazione tra due persone normali: probabilmente due-tre minuti. Durata dell’episodio UNA TRAGEDIA TELEFONICA: infinita. Per dare questa durata infinita, la chiacchiera puo` – dopo un certo periodo di tempo – essere rappresentata muta, a tormentone, tra il secondo e il terzo episodio, e a conclusione dello spettacolo (in frammenti brevi e solo visuali: ma darebbero il senso di un evento che dura all’infinito). (Il secondo episodio, a contrasto, sempre per dare l’idea del caos discorsivo contemporaneo, raccontera` in tre minuti, con poche frasi scarne un evento tragico che in altre epoche e in altri contesti di comunicazione avrebbe meritato le misure della drammaturgia greca o shakespeariana: perche´ vi si da` notizia di ben due incesti). Il linguaggio usato provvisoriamente e` un “parlato” di tipo roma-

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APPENDICE

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nesco, senza la grafia tradizionale dell’autentico dialetto. Ma gli episodi possono essere recitati in qualsiasi “parlato”.

I PERSONAGGI: LA RAGAZZA VOCE DELL’AMICA AL TELEFONO (Il coro) AMICA:... e tu che jai detto? RAGAZZA: jo` detto.. faccio...: a ma`.. nun vedi che sto a letto? AMICA: e tu madre che t’ha detto? — Mi madre fa... dice: ha chiamato pure prima.... — Ah!... aveva chiamato pure prima!... e tu madre che javeva detto — Che dormivo, no? — E lui che aveva detto? — E che ne so che aveva detto — Ma tu madre non t’aveva svegliato? — Mi madre dice – m’ha detto poi, no? – che m’aveva chiamato — E tu non l’avevi sentita? — E no che non l’avevo sentita. Stanotte ho fatto tardi... — E stavolta invece l’avevi sentita... — E che te sto a dı`? Pe` questo lui adesso non schiodava. Aveva capito che ero sveja e infatti mi madre m’aveva detto”... “mo che sei sveja voi venı` a risponne?” — E tu che javevi detto? — Te l’ho detto: javevo detto... faccio, dico... a ma` un vedi che sto a letto? — E tu madre? — Mi madre – e` lı` er trambusto – m’aveva detto che m’aveva svejato, ma mica pe’ la telefonata de Aldo, hai capito? — Insomma che t’aveva detto! — M’aveva detto! c’e` Ardo ar telefono, ma no che era la seconda volta! Quello me l’ha detto dopo, quando gia` javevo detto de dı` a Aldo che stavo a letto. Ma la seconda volta, no la prima... — Ah! allora non te l’aveva detto prima — no... sı´... beh non me fa ricomincia` da capo, vedi che me fai sbaja? andamo ar sodo...

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APPENDICE

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— Sı`, andamo ar sodo! Vojo sape` come` andata a finı`... ` ’na parola! — Ah sı`! E — Io dico ch’e` colpa de tu madre che non s’e` spiegata ne´ con te ne´ con lui... — E infatti e` tutto li er fatto. Perche´ sta a sentı` mo’ com’e` annata. Perche´ io je faccio... dico... “a ma’ me voi fa’ prende fiato?!” E poi je faccio... dico, “a ma`: dije de telefonamme piu` tardi”. — E tu madre? — E mi madre je fa, dice “Ardo.. ha detto Silvana de telefonaje piu` tardi”. — E lui? — E lui je deve ave` detto (imitando la voce di lui) “dopo so` in giro.. se po’ venı` adesso”. — Ah! ha detto proprio cosı`, ma sei sicura de quello che t’ha detto tu madre? Perche´ poi dipende da come je l’ha detto. Era gia` incazzato? o s’e` incazzato dopo? — No mi madre poi m’ha detto che a quer momento non s’era ancora incazzato... — Ma ce credi? E poi ar telefono mica se capisce subito se uno e` incazzato o non e` incazzato. ` quello che dico pure io! Apposta jo detto a mi madre de — E famme chiama` piu` tardi. Va a capı` se era gia` incazzato perche´ aveva chiamato prima.. — Beh, pero` tu madre, che lo sapeva che aveva chiamato prima doveva capı` ch’era gia` incazzato! — Ma sai che te dico? che forse mi madre l’aveva capito, apposta insisteva tanto pe famme anda` ar telefono. — Beh! poveraccia.. Era lui che insisteva no? — Ma mi madre.. dico.. beh damme ’na mano no? Nun e` mancanza de psicologia? — Ma forse te conveniva movete dal letto... — Er fatto e` tutto qui e se nun se capisce questo nun se capisce niente de sto fatto... — Beh, pure mi madre, prima de capı` tante cose!... — Ma casa mia nun e` che ce vo` molto a capı`. Hai presente casa? Nun e` che er telefono arriva a letto, cor filo. Er telefono sta in corridoio, no? Tu pensa adesso che fa freddo arriva` scalza in coridojo. — Eh! te credo.. — No... nun me devi crede cosı` alla cieca. Devi immagina` la scena: dunque senza scarpe, e poi co tutta la voja de fa pipı` che te prende quando te alzi dal letto caldo, o no?

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APPENDICE

— E che non lo so? A me me scoppia subito la vescica. Se e` pe` quello chi se ne frega se ciai le scarpe o nun ce l’hai. — Appunto, se e` pe` quello sı`, corri e fai che e` una bellezza... ma prova a anda` ar telefono scalza piena di piscia che scoppi.. che je dici? Je fai “Aldo, dı` fa presto se no me la faccio sotto?” Io ste cose nun me piacciono. Le cose me piace falle con calma, nella vita ce vo’ un po’ de pudore no?” — Beh, certo e` lı` che ha sbajato tu madre. De sta a insiste, e nun capı` che te doveva da` una mano... — Dico io, no? E invece me fa tutta impaurita, dice “A Silva`... qui a Ardo je sta` a finı` er gettone...”. — E tu che jai detto? — Jo detto, faccio.... tutta calma no?, perche´ poi quando io comincio a incazzamme divento calma-calma no?... Je faccio... dico: “A ma”... proprio cosı`, me devi crede, secca secca, “a ma`; ciavra` un altro gettone no?” — Hai fatto bene. E tu madre che t’ha detto? — Mi madre fa... dice... “Perche´ nun je lo vieni a dı` tu? — (grande suspense) E tu che jai detto? — Jo detto, sta a sentı`... perche` qui nasce er fatto... jo detto... faccio: “a ma mo` e` questione de principio” proprio cosı` jo detto, papale papale, “dije che lo chiamo io piu` tardi”. — E tu madre che ha detto? — Beh guarda c’e` rimasta... Perche´ me conosce quando m’incazzo. E allora je fa – a Aldo – tutta sdolcinata (imitando la voce della madre che imita lei) “Silvana se scusa, e` un po impicciata.. dice che te richiama lei...”. — E lui che ha detto? (grande suspense) – — Beh, quello che ha detto naturale nun l’ho sentito, ma l’ho letto nell’occhi de mi madre.. — E che dicevano l’occhi de tu madre? — Guarda che l’occhi de mi madre parlano che li potresti sentı`, certe vorte, jesce proprio la voce dall’occhi! — E che dicevano l’occhi de tu madre?... — Dicevano, guarda me devi crede, parola pe’ parola, quello che aveva detto lui, potessi cecamme! — (affascinata ansiosa) e che aveva detto lui? Insomma me lo voi di? — Aveva detto, freddo freddo “me sta a finı` er gettone. A casa ci vado stasera tardi... Che volemo fa?” — Oddio!! e tu ch’hai detto?.....

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A QUESTO PUNTO LA CHIACCHIERATA SFUMA SUL PROBLEMA DEL GETTONE. LUI CHE NON LO TROVA ECC. Quando la chiaccherata riprende – dopo il secondo episodio breve e fulmineo – la situazione e` rovesciata: la protagonista racconta all’amica come e perche´ LUI non ha risposto alla telefonata che lei gli fatto piu` tardi. — M’ha risposto la sorella... — E che t’ha detto la sorella? — M’ha detto... fa... sai co’ quella voce, no? — eh! come nu lo so, sembra sempre che sta a mastica`. — Me fa... dice “guarda che nun c’e`”.. ma te giuro se sentiva proprio ch’era tutta preparata... sai quando uno se tradisce lo senti lontano un mijo... — E tu? — Io je faccio, sai, fredda fredda, no? secca secca perche´ a me, lo sai no?, me piace la sintesi, nun me sto a perde in chiacchiere, specialmente pe’ telefono... dunque je faccio, dico “Vallo a chiama` che c’e`”. — Ammazzete cosı` a botta secca mannaggia, a me nun me riesce mai d’esse cosı` sintetica. — No no, io so lapidaria quando m’incazzo m’escono certe frasi... sai proprio quelle scolpite sulla pietra... hai presenti le lapidi? — Che lapidi? Sı`, quelle a Via Appia antica... Ma te diro`, pure quelle al Verano... un par de volte che so stata a trova` nonna, m’hanno impressionato... Sta capacita` de di tutto un mondo, una filosofia co’ poche parole... la prossima vorta c’andamo insieme me ne voglio segna` qualcuna... me ne ricordo un paio, questa per esempio “Fiore reciso negli anni verdi” oppure “Piu` che i genitori amo` la patria” sai ste frasi un po’ in costume, come i film d’una volta, ma proprio sintetiche. — Eh, so` bellissime. — A me me piacerebe riuscı` a esprimeme sempre cosı`, ma ce riesco solo quando m’incazzo o quando sto ar telefono.. secca lapidaria, perche´ cosı` nun so piu` parole, so’ martellate!...

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LE PAROLE E I FATTI OVVERO UNA RAGAZZA DI POCHE PAROLE I PERSONAGGI: Lo psicologo La ragazza di poche parole — Mi hai detto che la tua storia e` interessante. — La mia storia... ho tante storie, io... Quella per esempio di come mio fratello mi ha violentata, la vuole sapere? — Sı`, raccontamela bene, tanto non abbiamo fretta. — Sı`, intanto e` semplice. Io stavo a guarda` la televisione, no? Mio fratello arriva, me fa cosı` sulla spalla (indica il gesto) e poi dice “vie` un po’”, io m’alzo lui me porta sul letto a castello – noi c’avemo i letti a castello no? e me scopa. — (lunga pausa) Ho capito... sı`... dunque... Vediamo un po’... Eravate soli? era notte... — No era sera, sı` dopopranzo, io stavo a guarda` la televisione, non me ricordo se c’era mi madre, lui mi batte sulla spalla e mi dice “vie` un po’”... — No aspetta un momento... Ma tuo fratello quanti anni aveva? — Diciotto, due piu` de me... — Ma aveva provato... t’aveva mai detto niente... — No... e` stato quel giorno, non lo so. M’ha battuto sulla spalla, io stavo a guarda` la televisione no? Lui m’arriva da dietro che manco l’avevo visto, dunque, e me batte sulla spalla, proprio cosı` (ripete il gesto) ha capito? e me fa... dice: “vie` un po’”, e poi me porta.... Ci ha presente i letti a castello? mi porta sul letto a castello e me lo mette dentro. — Sı` ho capito ma ti ha detto qualche cosa? Tu hai reagito?... Insomma, non so un fratello una sorella... — (con grande sforzo, cercando di arricchire la ricostruzione con nuovi dettagli)... Ha presente il televisore? guardi (si alza va alle spalle dello psicologo, gli da` due colpetti decisi sulla spalla e dice lui). Lui mica guardava il televisore... e` venuto cosı`, all’improvviso, che io proprio non me l’aspettavo. E me porta (si sposta) sul letto a castello, ma su quello di sotto, ha capito? (guardando con sospetto lo

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psicologo perche´ vede che lui evidentemente non coglie “il senso”) Ma lei ci ha presente come so’ fatti i letti a castello!...

LUNGA PAUSA — Poi m’hai parlato di tuo padre... Ma che, anche lui?... — Ah! co’ lui no! Co’ lui e` successo sul raccordo anulare... — Come, sul raccordo anulare... — Ha presente il raccordo anulare? M’ha portato in macchina, poi s’e` fermato, m’ha detto “scendi un po’”, poi ha girato dietro, no? pe’ nun facce vede´, no? m’ha fatto mette in ginocchio, co’ lo sportello aperto, la testa sul sedile, e le ginocchia per terra, e me l’ha messo in culo... — No, scusa aspetta, andiamo in ordine... Ma non era mai successo? Non t’aveva fatto capire.. non t’aveva detto qualche cosa?... — Ah sı`... a casa m’aveva detto – io stavo a guarda` la televisione, no? m’aveva detto, dice “vie` un po’... andamo a fa un bel giro sul raccordo anulare”... — Ma perche´ proprio sul raccordo anulare? — E che ne so`... Beh lı` le macchine corrono. Chi e` che se ferma a guarda`? E seppure vedono due cosı`, magari pensano che stamo a cambia` ’na rota.... (lunga pausa) che ne so?

LUNGO SILENZIO i due appaiono smarriti... FINE

Per il terzo o per altri episodi, e sempre a proposito della sproporzione tra le parole e i fatti (fiumi di parole per eventi piccolissimi, poche parole asciutte o burocratiche per grandi eventi) si potrebbe ricostruire un dibattito sportivo (tanti saggi coi capelli bianchi che spaccano il capello su un passaggio sbagliato) oppure trascrivere il verbale con cui un tribunale consegna alla memoria giuridica un fatto enorme (per esempio come una madre e una figlia hanno minuziosamente preparato ed eseguito l’omicidio del rispettivo marito e padre, e i volti qualsiasi, i piccoli tic delle due assassi-

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ne). Insomma un altro grande tema di questo secolo: LA BANA` DEL MALE. LITA Col declino dell razionalita` e della poesia, i fatti e le parole coincidono sempre meno, la sintassi e` impazzita.

Psicologia, analisi, sociologia, sono oramai insufficienti a spiegare l’assurdo quotidiano, che trova tanto spesso la sua sublimazione nel fenomeno speculare dell’afasia o della logorrea.

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FESTIVAL (LA PAROLA AI GIURATI)

Soggetto di Carlo Lizzani, Augusto Zucchi

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Anche quest’anno, quando e` scattato il fatidico allarme: LA PAROLA AI GIURATI!, il gruppo di personalita` scelte per aggiudicare i premi del grande Festival del Cinema e` stato isolato su una nave, a un miglio dalla costa, lontano dai curiosi, per decidere in gran segretezza e con calma. La tradizione insegna che di calma – in quesi consessi e in queste occasioni – ce n’e` sempre assai poca. La Giuria di ogni grande Festival e` formata in generale da personalita` eterogenee (non manca mai il “grande scrittore”, il “grande musicista”, e poi il critico famoso, grande divoratore di film, il solito grande regista nevrotico, la solita “star” primadonna). E tutti ovviamente sono appartenenti a Paesi e culture diverse. In tutti costoro, poi, domina lo stato confusionale dovuto ai troppi film visti, al bombardamento di immagini, suoni e parole, subı`to nel corso dei giorni gremiti, oltretutto, di impegni dovuti al loro “status” di Star. Nelle ore che devono portare alla formulazione – in gran segreto – del verdetto, diventa decisiva, ogni anno, la funzione equilibratrice del PRESIDENTE DELLA GIURIA, e del DIRETTORE DEL FESTIVAL, che deve controllare il rispetto del regolamento. Per queste ragioni il PRESIDENTE e`, quasi sempre, una figura carismatica della letteratura o del cinema, e il Direttore deve essere l’uomo dai nervi d’acciaio e dalla pazienza proverbiale. Il DIRETTORE non entra mai nei giudizi sulle pellicole, ma e` sempre lui, comunque, a mettere certi film, piuttosto che altri, nel programma, lui a formare la giuria (riunendo insieme persone di cui sono gia` noti i gusti e gli orientamenti). Lui, insomma, a scegliere il terreno di giuoco. E la stanchezza, il disorientamento dei giurati in quelle ultime spasmodiche ore gli permettono mosse tattiche strategiche spesso rilevanti. E quest’anno la scelta dei giurati e dei film e` stata particolarmente delicata. La posta e` altissima e gli incidenti di percorso che di solito costellano la fase finale di ogni Festival (le ultime ventiquattro ore)

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possono avere, questa volta, particolare risonanza, e innescare reazioni a catena imprevedibili. E l’incidente di percorso che da` il via alla nostra storia e` all’altezza del grande evento: un improvviso malore del PRESIDENTE DELLA GIURIA, proprio un attimo prima della firma del verbale che formalizza la lista dei Premi. Una lista che e` costata a tutti ore faticosissime di discussioni, litigi, scontri, e concordata, alla fine, sulla base di tanti compromessi. Quando la mano del carismatico vegliardo latino-americano da tutti accettato come Presidente (Garcia – questo il suo nome – due volte Nobel: per la Letteratura e per la Pace) si blocca in calce a quel maledetto verbale, si crea immediatamente una situazione di angoscia. Cosa significa quella misteriosa parola che il Presidente ha pronunciato prima di accasciarsi: «Zepo... catepei»? E che significa quella frase mormorata ripetutamente nel delirio, e che rievoca per tutti l’ombra di Orson Welles: «Questo sara` il mio... ROSEBUD»? Nella giuria cominciano a serpeggiare i primi ripensamenti, riemergono perplessita` e dubbi... Qualcuno gia` insinua che il Presidente... «colonna indistruttibile della cultura laica latino-americana», ma anche famoso tombeur de femmes (ha avuto quattro mogli e un numero infinito di amanti) sia crollato sotto i colpi di una ragazza dalla superba bellezza che e` stata intravista durante le proiezioni e perfino in quelle ultime ore dentro i recinti cosı` ben sorvegliati della nave. Si vocifera che sia la sua ultima amante, e che lo stia staccando dall’ultima moglie, donna che alle frivolezze del Festival ha preferito un pellegrinaggio a Lourdes. Forse nel tentativo, ancora una volta, di portare alla fede il marito, campione imbattibile della cultura laica e gran peccatore. Qualche giurato arriva ad insinuare che perfino gli ultimi giudizi del Presidente – a cui tutti si sono inchinati – siano stati emessi da una mente gia` obnubilata dalle tempeste sessuali vissute con quella ragazza. Il DIRETTORE vede profilarsi, di colpo, una catastrofe che potra` travolgere la sua carriera. Basandosi sulle decisioni che gia` parevano definitive, anche se non ratificate dalla firma del presidente, ha diramato in gran segreto gli inviti a tutti i presunti vincitori. Che ora staranno convergendo in volo da tanti paesi del mondo

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verso la citta` del Festival. Con al seguito presidenti e funzionari di “major”, ministri, dirigenti di cinematografie di stato, diplomatici e famiglie. Troppo tardi per fermarli, se il verdetto, come pare, dovesse subire modifiche. E troppo tardi per convocare in tempo altri presunti vincitori. Il cerimoniale prevede oramai scadenze ferree. Dal palazzo del cinema comunicano che il lungo silenzio, i ritardi della giuria nell’emettere il verdetto, stanno creando disagio e curiosita` morbose. La stampa e le televisioni scalpitano. I concorrenti presenti al Festival, stressati dall’attesa e dalla suspense, stanno cadendo anch’essi in stato confusionale, e i loro agenti lanciano insinuazioni pesanti sui possibili giuochi di una giuria forse troppo obbediente ai capricci di un vegliardo imprevedibile. Il DIRETTORE riesce con fatica – prevedendo il peggio – a spostare la conferenza stampa di due o tre ore. Ma mai potra` essere spostata la cerimonia finale che implica la presenza, gia` programmata, del Presidente della Repubblica del Paese ospite e di altre personalita` internazionali! E cosı`, sul filo delle ore e dei minuti che passano implacabili, si scatena un conflitto tra il DIRETTORE – tutto teso ad ottenere la conferma del vecchio verdetto – e una giuria, comunque decisa a riprendere una propria autonomia di giudizio e sempre piu` in tilt. Nel microcosmo della nave comincia a scatenarsi una tempesta che non promette nulla di buono. L’unanimita` dei consensi che faticosamente era stata raccolta intorno a un film eschimese (un film che in fondo non piaceva a nessuno, ma che avrebbe vinto proprio perche´ innocuo e “neutrale”) comincia a incrinarsi. Forse quel Gran Premio all’eschimese – cominciano a pensare tutti i giurati – era il solito escamotage per non dare ragione ne´ agli americani ne´ al Terzo mondo. Ma in fondo chi saranno mai, questi eschimesi? Non e` che ci sia nascosta dietro una sponsorizzazione canadese, o giapponese, in funzione anti Hollywood? Si formano due fronti, poi tre, poi sei, tanti quanti i giurati. La giurata americana Carole Tate, famosa scrittrice ed esperta in sessuologia, comincia a rialzare la bandiera di Hollywood, dicendo che quel premio al film eschimese col suo sapore asiatico simboleggerebbe la solita “castrazione e uccisione del padre americano”, quindi un rito scontato. I fratelli Tanabe, registi giapponesi (si e` discusso a lungo se il loro voto valga UNO o DUE) insorgono in nome dell’Asia. Il giurato francese, famoso musicista ed esperto di canti popolari, disquisisce sull’identita` geografica ed etnica

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degli eschimesi e – solfeggiando e canticchiando motivi in voga dalle parti del Polo Nord – cerca di dimostrare che gli eschimesi sono un po’ americani un po’ asiatici e non si puo` nemmeno escludere una lontana origine equatoriale. Il che lo disorienta e lo mette in un’angoscia profonda. La giurata italiana, famosa attrice, lunare svagata e narcisista, comincia a fare proposte sconsiderate. Ammainare una bandiera a lutto sul piu` atto pennone della nave e votare per il film italiano. Su questa strada anche gli altri cominciano a sostenere via via la propria bandiera. Il giurato tedesco, famoso pittore, comincia a inneggiare ai colori del film tedesco. Il giurato russo, il piu` impaziente di tutti perche´ e` atteso a Mosca per una votazione del Parlamento, delega come sostituto il giurato kirghiso e tenta la fuga. Ma il Direttore gli nega qualsiasi mezzo di sbarco sulla terraferma. E poi contesta la validita` dell’eventuale voto kirghiso perche´ la coppia “panrussa” verrebbe vanificata dall’assenza del delegato di Mosca. Per il DIRETTORE passano minuti di angoscia terribile, finche´ egli trova un alleato nel professor Yeronimus, medico-confidentesegretario del Presidente Garcia... Accettato come unico estraneo sulla nave fin dall’inizio delle riunioni, data l’eta` e l’autorita` del Presidente, ha anche lui seri motivi perche´ lo stato di salute del Garcia non precipiti. Una eventuale sua morte in quella situazione – con una moglie lontana e una giovane amante vicina – getterebbe su quel prestigioso personaggio una luce obliqua. Yeronimus rivela al Direttore un gran segreto. Il Presidente, proprio negli ultimi giorni – forse, chissa`, sotto i colpi ostinati di quella moglie che non a caso aveva preferito Lourdes al Festival – gli aveva confidato di aver maturato la decisione di tornare alla fede cattolica, dopo tanti decenni spesi nelle aree desolate della cultura laica. Aveva gia` pronto un memoriale che naturalmente sarebbe divenuto il best seller dell’anno. Anzi, del decennio! Un affare colossale anche per lui, che ne avrebbe curato l’edizione. E ora tutto poteva crollare per uno stupido scandalo, per una debolezza della carne, indotta nelle fibre del Presidente dalle tentazioni di quella infernale ragazza. Yeronimus si dichiara pronto a rianimare il Presidente per qualche ora anche con mezzi d’urto e poco ortodossi (intanto le sue ore sono comunque contante), al fine di metterlo in condizione di firmare. Ma in contropartita vuole qualche ora di tempo per far

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giungere, da Lourdes, prima che la stampa sia convocata per il verdetto, la moglie, e per cacciare la ragazza (Magdalena, la giovane amante) da quella maledetta nave, che nei suoi percorsi labirintici le sta offrendo chissa` quanti provvidenziali nascondigli. (Ma la caccia alla ragazza si prospettera` subito assai difficile. Pur di rimaner nascosta nella nave anche lei si mettera` a caccia di potenziali alleati. E non tardera` a vederne uno nel giurato francese, il famoso musicista, di cui ha individuato gia` da tempo la seconda passione, dopo il cinema: quella per le belle donne). Il Direttore comunica alla giuria che il PRESIDENTE sara` tra poco in grado di riacquistare tutte le sue facolta` mentali e che sarebbe quindi sleale approfittare di una momentanea incapacita` di intendere e volere per cambiare anche una sola virgola del verdetto. Ma la prima prova messa in opera da Yeronimus non e` certo brillante. Gli stentati borborigmi che escono dalla bocca del vegliardo e le stralunate espressioni che si disegnano sul suo volto, alternati a demenziali sproloqui, sembrano esprimere piu` l’ira per un forzato risveglio che la gioia per una riacquistata lucidita`. Solo il DIRETTORE e il Professore riescono a leggervi – con incauto ottimismo – segnali di consenso al verdetto. Nei membri della giuria e in Magdalena, che spia da lontano – ben nascosta – tutta la scena, suscitano piuttosto ansia e perplessita`. E quando fallisce il tentativo, fatto goffamente dal Direttore, di guidare la mano verso il verbale per deporvi un qualche simulacro di firma, alcuni non riescono a frenare un isterico attacco di furore. Il DIRETTORE chiede tempo. Il Professor Yeronimus conosce e cura da troppi anni il Presidente e potra` compiere il miracolo. Stanno arrivando, via elicottero, ossigeno e medicinali opportuni. La forza del DIRETTORE e` proprio il disorientamento dei giurati. Sempre piu` divisi tra di loro, sempre piu` impegnati a rimettere in giuoco le decisioni per difendere ognuno i film del proprio paese, cadono facilmente preda delle manovre dilatorie del Direttore. Il quale ha una sola mira: riconquistarli uno a uno al verdetto raggiunto prima del collasso del Presidente. Il “ventre molle” del gruppo e` la Giurata americana. Scrittrice nota in tutto il mondo per i suoi audaci trattati di sessuologia, aveva avuto col DIRETTORE, quando ambedue frequentavano Harvard – lui visiting professor, lei allieva – un breve, intenso rapporto intimo. Nel corso degli anni passati, sfogliando i suoi trattati, il DIRET-

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TORE aveva capito, un po’ arrossendo, che qualche arrischiata affermazione su certe doti peculiari di un certo tipo di maschio cosmopolita rivelavano qualche traccia della breve ma intensa esperienza vissuta insieme nei boschetti e nei giardini di quel famoso college. La storia non aveva avuto particolare risonanza perche´ nessuno dei due, a quell’epoca, era ancora celebre. E per questo l’invito a partecipare al Festival come giurata, rivolto a quella famosa scrittrice americana, non aveva suscitato alcun sospetto o illazione. Al Direttore basta poco per riaccendere, nell’amica di un tempo, del resto ancora assai piacente, e naturalmente piuttosto casta e un po’ frigida come tutte le sessuologhe, il calore opportuno. Il richiamo a un certo paragrafo di un certo tono e della sua “opera omnia” fa il miracolo... Ma il DIRETTORE si spinge ancora oltre. Quel ritrovarsi puo` essere decisivo. Celebri tutti e due, in due campi cosı` diversi ma cosı` omologhi: la storia del cinema e la sessuologia, potrebbero diventare una coppia perfetta. L’americana gli ricorda di avere una grande famiglia. Otto bambini tra naturali e adottati. Come tutte le donne americane celebri che si rispettano. «Sarei un ottimo padre. Sto divorziando da mia moglie, il mio matrimonio e` andato in frantumi proprio perche´ non abbiamo avuto figli!» Neutralizzata almeno temporaneamente e riportata al vecchio verdetto la giurata americana, con questa lunga e sapiente “messa in scena” il Direttore sfodera tutte le sue armi di diplomatico per convincere, via via, gli altri giurati. Al giurato russo e a quello kirghiso promette di adoperarsi per procurare loro lunghi e lussuosi soggiorni in occidente, e un giorno forse permessi di immigrazione anche per le loro famiglie. Ai fratelli Tanabe offre uno scoop: la disponibilita` di Antonioni a firmare insieme a loro un film per l’Unicef sponsorizzato da Benetton. E riesce a sfruttare con abilita` anche le tensioni erotiche un po’ perverse che l’atmosfera claustrofoba di quella clausura forzata nella nave ha insinuato sotto la pelle dei giurati meno sospettabili. Promette all’attrice italiana di favorire una sua possibile intesa con il giurato tedesco, un grande pittore notoriamente omosessuale, ma forse sul punto di crollare per la prima volta nelle braccia di una donna. Al Direttore non sono sfuggiti certi loro sguardi di intesa. Perche´ impiegare tanto tempo inutile nei litigi su quel verdetto? Perche´ tanta fretta di andarsene dalla nave? Non furono memorabili le storie di un Pasolini e di una Callas, di Visconti e della Morante?

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Avalla la tresca segreta tra il giurato francese e Magdalena, la giovane amante del Presidente Garcia, di cui ha individuato il nascondiglio nel labirinto della nave. La giovane donna, notoriamente ambiziosa, e` diventata facile preda del compositore francese che, per sedurla, le ha promesso di scrivere un Musical tutto centrato sul suo personaggio. Ma da tutto questo potrebbe derivare un nuovo scandalo: una caduta d’immagine del Presidente ma anche del musicista, che vedrebbe indicato il suo nome come quello di colui che ha pugnalato alla schiena il Super Nobel agonizzante. Il Direttore promette di tener la bocca chiusa sulla tresca e di impedire che la notizia filtri sulla stampa, purche´ il musicista convinca Magdalena – ormai placata nelle sue ambizioni – ad abbandonare la nave, rinunciando alla sua immagine di vedova “ufficiosa” e in pectore del morituro Presidente. E purche´ ritorni, lui, a votare per il film eschimese. I giuochi sembrano dare qualche frutto. Ma mentre il Presidente pare avviarsi – malgrado le cure d’urto di Yeronimus – verso un irreversibile e grottesco crollo, entrano in giuoco, a complicare le cose, alcune incognite impreviste. Infatti intorno al Palazzo del Festival era andata crescendo, man mano che le ore passavano, un’atmosfera di isterismo collettivo. Specialmente la Stampa era giunta al limite della pazienza. E da tanto nervosismo non poteva non mutare il gesto disperato di qualche Kamikaze dello scoop. Giuliana, una GIOVANE GIORNALISTA, spacciandosi da interprete “aggiunta” inviata dal Palazzo proprio per sollevare il Direttore dal compito di tanti dibattiti simultanei, riesce a raggiungere la nave, in tempo per scoprire, via via, tutti i segreti, le trame e gli enigmi, che quel luogo misterioso e` riuscito a nascondere. Smascherata dal Direttore proprio nel momento in cui e` riuscita a capire perfino il grande segreto del Presidente, e cioe` non soltanto la sua agonia, ma la storia del memoriale e della conversione alla fede di quella tanto celebre “colonna del pensiero laico”, la ragazza – con un abile ricatto – si fa garantire dal Direttore alcune esclusive e un anticipo sull’annuncio dei premi rispetto a tutti gli altri giornali. Solo a questo patto non si precipitera` subito verso il Palazzo del cinema per comunicare al mondo tante golose notizie. Il Direttore accetta il patto, anche se e` consapevole che la giornalista sara`, fino alla fine, una pericolosa mina vagante. Ma cos’altro fare? Un’altra mina vagante e` stata poi l’incauta interpretazione – da

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parte del giurato francese – della parola “Zepo catepel” lasciata in eredita` alla giuria dal Presidente morente. Si tratta di una catena montuosa con dieci cime uguali. Quindi un invito ad un generale ex-aequo? Quindi la fine del vecchio verdetto? Ma anche per questo il Direttore chiede di nuovo aiuto al musicista. Neutralizzi la sua incauta affermazione. Inventi una qualche analogia musicale-fonetica tra “Zepo catepel” e “Rosebud”, parole cioe` che sfuggono – per definizione – ad ogni univocita` di interpretazioni. Forse inventando un suo Rosebud il Presidente ha voluto rendere il suo estremo omaggio al grande cinema... Forse e` una invettiva contro i giurati troppo recalcitranti alla sua volonta` e quindi colpevoli del suo collasso. Una vendetta per farli impazzire come da decenni ci fanno impazzire gli enigmi di Orson Welles e del suo “Citizen Kane”. Di mina vagante, pero`, ce n’e` una ancora piu` pericolosa: la moglie del Direttore. Donna affascinante ma ambiziosissima e quindi preoccupata anche lei per quello strano eccessivo ritardo nell’annuncio del verdetto finale, insoddisfatta delle tranquillizzanti comunicazioni telefoniche del marito, e` piombata di persona a controllare la situazione. La sua perspicacia le fa comprendere in pochi istanti tutto il quadro tragicomico in cui il marito e` venuto a trovarsi. Scopre un’amante di cui ignorava l’esistenza (tale le appare il personaggio della giurata americana). Scopre una figlia piu` che ventenne (perche´ il Direttore ha giustificato agli occhi di tutti i giurati la presenza sulla nave della giovane giornalista facendola passare per sua figlia). ` quanto basta per precipitare la donna sull’orlo di una vera e E assai seria crisi di nervi. E questo proprio mentre sull’orlo di una crisi ancora piu` grande stanno precipitando alcuni dei giurati piu` bizzosi. Sempre piu` esasperati dal clima claustrofobico della nave, stanno per arrivare quasi allo scontro fisico. La situazione e` precipitata quando la giurata italiana sempre svagata ha incautamente proposto di rivedere tutti i film candidati al Gran Premio e rimettere tutto in discussione. Il giurato russo ha minacciato di lanciarsi in acqua e di raggiungere a nuoto la terraferma e l’aeroporto. Il francese e l’americana si sono lanciati sulle videocassette dei film in concorso e hanno cominciato a srotolarle per impedirne la visione in preda a un attacco isterico. I fratelli Tanabe, per la prima volta nella loro vita, sembrano spezzare la loro

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leggendaria simbiosi e minacciano, azzuffandosi, di sdoppiare il loro voto. Il groviglio dei nastri srotolati, delle carte gettate in aria dal russo, dal kirghiso e dal francese, trasformano la sala della giuria in qualcosa che somiglia a un veglione di carnevale... E a questo punto, la forza della disperazione, gli sguardi desolati del povero Yeronimus (incapace ormai di risvegliare nel corpo e nel volto del Presidente solo inquietanti sproloqui, o sorrisi e gesti demenziali) e un audace suggerimento del pittore tedesco e della giurata italiana, lo spingono verso una soluzione geniale che – se andra` a segno – mettera` fine a tutte le contese, disinneschera` tutte le mine vaganti, e si fara` ricordare negli annali di tutti i Festival. L’evento che potra` risolvere tutto sara` proprio quello che aveva provocato l’impasse, e che era il piu` temuto: la morte del Presidente. Oramai, e` chiaro per tutti, si tratta di minuti. E potra` trasformarsi nell’evento risolutivo. Cosa e`, infatti, che di solito mette in difficolta` le giurie, ne provoca le spaccature, le divide in defatiganti conflitti e intrighi? Il numero scarso dei premi rispetto al numero dei film che tutti in un modo o nell’altro vorrebbero premiare... Un premio in piu` – gli hanno sussurrato il tedesco e l’italiana – e per di piu` assai prestigioso: e il giuoco e` risolto. E quale premio potrebbe essere piu` prestigioso di quello che il DIRETTORE ora puo` istituire in onore di quella grande colonna della cultura moderna che il Presidente rappresenta, e che si sta spegnendo in modo cosı` superbo? Il «Premio Garcia” da ora in poi sara` – ogni anno – il fiore all’occhiello del suo Festival. Un premio di pari prestigio del primo, tradizionale Palmares. L’annuncio spettacolare del Direttore sblocca finalmente le tensioni di tutti i giurati. E poi, perche´ non rispettare, davanti a quel corpo e a quelle mani che hanno vergato tante pagine memorabili, il verdetto iniziale a cui il Presidente era tanto attaccato? Il PREMIO GARCIA potra` laureare il film eschimese, e lasciare spazi sufficienti per contentare tutti gli altri Paesi. Tutti, di colpo, si sentono protagonisti di un evento che passera` alla storia del cinema e della letteratura! Ora che il problema principale e` avviato a soluzione, sara` piu` facile – per il DIRETTORE – dedicarsi allo scioglimento dei nodi altrettanto intricati ma di carattere piu` privato in cui era andato avviluppandosi.

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Magdalena, ottenuto un ruolo decisivo nel Musical ideato dal giurato-compositore (ormai perso dietro di lei), rinuncera` ai suoi intrighi e alle sue rivalse sui memoriali segreti del Presidente. L’elicottero che sta portando la moglie del Presidente, e che si sta profilando all’orizzonte, potra` scendere sulla nave senza alcun pericolo di scandalo. Ma ora va sciolto il nodo piu` delicato. Alla giurata americana il Direttore chiedera` perdono. Ma non per la presenza di quella moglie ancora innamorata e combattiva, piombata cosı` tempestivamente nella nave o per la fantomatica figlia di cui ignorava l’esistenza. Ma perche´ l’attaccamento al cinema, gli impegni internazionali del festival, che fanno di lui un commesso viaggiatore della celluloide, in giro per il mondo tutto l’anno a caccia di film, gli impedirebbero di essere un buon padre per quegli otto bambini (tra adottati e naturali e giunti anch’essi sulla nave), gia` troppo soli per gli impegni altrettanto internazionali e altrettanto itineranti della madre altrettanto celebre. Perche´ farne ` l’argomento degli infelici, e provocare in loro precoci turbe sessuali? E che fa crollare le resistenze della famosa sessuologa, infatuata per poche ore di quell’uomo che le ricordava tanti eccitanti dettagli del suo apprendistato amoroso e che ora le sta offrendo argomenti convincenti per una onorevole ritirata. La donna si fa da parte, ma le resta pero` da rincuorare la nidiata dei figli adottivi. La piu` grande, una splendida e maliziosa adolescente, e` la piu` contrariata. «Allora non avremo un papa`?». «No, cara. Ma tu sei abbastanza grande per capire...» «Cosa, mamma?» «Vedi... quell’uomo e` un esemplare da manuale... non e` ancora vecchio ma con le donne non ha piu` orgasmi.» «E perche´?» «Perche´ si eccita solo pensando a Woody Allen e a Kurosawa.» «Woh!» Ma anche alla moglie, donna ambiziosa che dopo tanto stress lo vorrebbe indurre ad abbandonare la carriera di Direttore di Festival per una qualche carica piu` prestigiosa (un posto, chissa`, di Ministro della Cultura che lei – con le sue potenti aderenze politiche – potrebbe garantirgli), sı`, anche alla moglie il Direttore oppone una imprevista resistenza. E ha argomenti da vendere per convincerla a lasciarlo vivere in quei giuochi forse frivoli ma tanto affascinanti del Festival: «Guarda»

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le dice, «quei grappoli di giornalisti, di fotoreporter, di operatori televisivi che finalmente ho potuto convocare per la conferenza stampa e che come una migrazione di albanesi stanno attraversando con battelli di ogni tipo la baia che li separa da questa nave. Tra poco li stupiro` con un verdetto legato al nome di un personaggio famosissimo e di cui ancora ignorano la morte imminente. Una morte che e` un vero e proprio sacrificio sul campo, in nome del cinema. Un trionfo per il mio Festival. L’immagine di quella folla, ecco, e` la mia droga. A cui non potro` mai rinunciare...!» Tutto bene anche per la GIOVANE GIORNALISTA. Ad una strizzata d’occhio del DIRETTORE puo` precipitarsi verso un radiotelefonino finalmente riabilitato, e lanciare via etero, battendo in volata centinaia di colleghi, le prime frasi dei suoi arditi scoop sul Presidente Garcia. E intanto il successo del Festival, prima ancora della scadenza ufficiale – cioe` la serata finale – e` consacrato da un evento memorabile: l’applauso lungo e commosso della folla di giornalisti e quella giuria raccolta – sorridente e unanime – intorno alla salma ancora calda del Presidente Garcia, due volte Nobel e ora star dell’Olimpo cinematografico. La morte di un grande mattatore durante lo spettacolo e` un evento che schiaccia tutti gli altri. Per i mass media, prima ancora dei film, i vincitori del Festival sono loro: il Presidente Garcia, il Professor Yeronimus (nominato sul campo, dalla vedova, “biografo ufficiale”), Carole Tate e gli altri. E il DIRETTORE, che ha portato a buon fine quel grande rituale del Festival che ancora fa sopravvivere la magia del cinema. E con lui, chissa` Giuliana, la giornalista. Il loro comune, sincero amore per il cinema aprira` forse le porte a una futura intesa non soltanto professionale. FINE

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L’UOMO CHE SAPEVA TROPPO (I MILLE VOLTI DI RICHARD SORGE)

Anni ’80 – su una spia.

Soggetto di Luca De Caro, Carlo Lizzani

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Tokyo, 1935. Nel centro della grande capitale c’e` un angolo di vecchia Europa, una birreria tipicamente tedesca, con quieti bevitori bavaresi seduti ai tavoli, boks che risuonano con un tintinnı`o allegro, un flusso ininterrotto di “bionda” e di “scura” che esce dalle spine. La colonia tedesca nella metropoli del Sol Levante e` abbastanza numerosa per assicurare la prosperita` del locale che si chiama Rheingold. Il padrone, un certo Ketel, fa un segno a una delle sue jokyu, come si chiamano lı` le ragazze addette a intrattenere i clienti. Lei si chiama Hanako Ishii. Annuisce al muto comando di Ketel che la manda a interessarsi di un uomo alto, molto seducente senza essere bello, vestito con elegante semplicita`. Si indovina l’uomo colto, l’intellettuale. Sorride alla ragazza e le confida che oggi e` il suo quarantesimo compleanno. Bevono champagne. Si presenta come Richard Sorge, giornalista, corrispondente del nuovo Reich. I due restano a parlare a lungo. Vanno d’accordo e si piacciono. Prendono appuntamento per l’indomani allo stesso posto. Per farle piacere, le portera` dischi di bel canto italiano, di cui lei e` appassionata, e aggiungera` qualcosa dei suoi musicisti preferiti: Bach e ` l’inizio, in sordina, di un grande amore che sviluppera` la Mozart. E sua trama delicata sullo sfondo di una delle piu` grandi tragedie nella storia dell’umanita`: la seconda guerra mondiale. Poche sere dopo, il circolo dei tedeschi residenti a Tokyo offre un ballo mascherato. Musica, travestimenti che tradiscono la nostalgia della patria lontana, valzer e saltellanti danze tirolesi. Un uomo tarchiato entra nella sala, si guarda intorno. I suoi occhi sfiorano appena Richard Sorge, che e` travestito da mercante di salsicce, e vagano altrove, indifferenti. Il direttore del club si adopera per far conoscere qualcuno al nuovo arrivato, che e` fuori ambiente. Fra le persone che gli presenta c’e` Richard Sorge. Il giornalista e il nuovo arrivato si inchinano formalmente, come per una conoscenza casuale, ma subito da rapide battute sussurrate a mezza bocca ci rendiamo conto che sono vecchie conoscenze. Si appartano su un

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paio di birre e dalla loro fitta conversazione, mormorata a voce bassa, scopriamo che i due hanno gia` lavorato insieme. Il nuovo arrivato e` Max Klausen, ex marinaio tedesco. Sorge gli domanda ridendo: «Dicono che sei migliorato, da quando lavoravi per me. Sembra che sei capace di costruire una radio trasmittente in una teiera a doppio uso, capace di fare del the` e di trasmettere messaggi in ogni punto del globo». Klausen ride e alza le spalle: «Sı`, ma non garantisco la qualita` del the` che ne verrebbe fuori». Sorge gli da` una manata amichevole: «Sei un genio, Max. Avevo maledettamente bisogno di te». «E credo che loro abbiano maledettamente bisogno di te. Sai chi mi ha chiamato per dirmi che dovevo raggiungerti a Tokyo? Voroschilov in persona. Deve essere qualcosa di grosso, se si muove il ministro della guerra per spostare una pedina piccola come me». «Siamo alla vigilia di grandi avvenimenti, Max. Bisogna prepararsi in tempo, se vogliamo fare un buon lavoro». Klause vuol sapere se saranno in molti a lavorare. Sorge risponde che sta mettendo insieme una rete molto selezionata. Pochi ma nei punti chiave. Si lasciano con una forte stretta di mano, con l’intesa che d’ora in poi si incontreranno alla Fledermaus, un altro posto frequentato da tedeschi. ` una bettola». «Ma non aspettarti un locale di lusso. E `E vero. La Fledermaus e` un buco scuro, pieno di fumo, ma tutti i corrispondenti da Tokyo di lingua tedesca si ritrovano lı`. Non c’e` niente di giapponese, tranne le due cameriere che vengono a prendere ordinativi sedendosi sulle ginocchia dei clienti in una loro interpretazione personale della misteriosa arte della geisha. Sorge non e` il personaggio che ci si aspetterebbe di trovare in quel sordido ambiente, ma lui sembra muovercisi perfettamente a suo agio. Passa ` l’angolo dove si lı` dentro una gran parte dei pomeriggi e delle sere. E e` installato come un ragno per tessere pazientemente la sua sottilissima tela. Stiamo assistendo alla nascita di una delle piu` formidabili reti di spionaggio che abbiano mai operato nel tenebroso universo dei servizi di informazione. Sorge e` un asso nel suo mestiere di agente segreto, ma – a differenza di molte altre celebri spie – non lo fa ne´ per amore dell’avventura, ne´ per bramosı`a di denaro. Sorge e` al servizio di un paese che non e` nemmeno il suo, per motivi ideologici, e dunque nel caso di un comunista come lui, per i motivi piu` solidi che ci possano essere.

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Vediamo entrare nella organizzazione un giornalista giapponese Hosumi Ozaki, amico intimo e consigliere di gabinetto del principe Konoje, dunque in posizione di aver accesso a gelosissimi segreti politici e militari. Si unisce a loro un altro giornalista, uno jugoslavo che lavora per giornali francesi, Vouketich, e Yotogu Mijiagi, un pittore piuttosto conosciuto. Appena completata la sua e´quipe, Sorge concentra tutti gli sforzi nella realizzazione del suo obiettivo numero uno. Vuole avere accesso all’ambasciata tedesca, dove si incrociano due fiumi di informazioni politiche e militari che interessano singolarmente Mosca: notizie di provenienza giapponese e notizie di fonte tedesca. Si delinea infatti gia` con sufficiente chiarezza una alleanza fra Berlino e Tokyo, di cui i russi avrebbero certamente fatto le spese. Un colpo di fortuna permette a Richard di far centro al primo colpo. Essere invitato all’ambasciata, in uno dei tanti ricevimenti aperti alla comunita`, non e` un problema per lui. Fra i tanti misteri che circondano la figura di Sorge ce n’e` uno che ha dato molto filo da torcere agli storici. L’uomo e` in possesso di una tessera, autentica, di iscrizione al partito nazionalsocialista. Comunque ne sia entrato in possesso, e` un efficace lasciapassare per aprirgli le porte della rappresentanza diplomatica nelle occasioni pubbliche. Ma Sorge ha bisogno di una situazione molto piu` penetrante. Una volta varcata la soglia del ben custodito bunker diplomatico, Sorge si servira` di un altro potente lasciapassare: il suo fascino personale che funziona sempre in modo irresistibile, ma specialmente quando lo mette in funzione nei confronti dell’altro sesso. In un tempo assai breve, Richard diviene l’amante della moglie del tenente colonnello Eugen Ott, attache´ militare dell’ambasciata. La conquista e` rapida, ma non facile. Nella sede diplomatica nazista regna il sospetto e non e` facile persuadere la signora Ott, una spenta bellezza di quarant’anni, che l’affascinante giornalista ha avuto un colpo di fulmine proprio per lei. Ma Sorge e` molto persuasivo. Molto persuasivo anche con la dolce Hanako, che presto si accorge della nuova relazione di Richard e passa attraverso tutti i tormenti della gelosia. Conquistata la moglie del diplomatico, Sorge passa alla seduzione del marito. Compito principale di costui e` la redazione di rapporti per la Wilhelmstrasse sulla situazione militare del Giappone. Sorge si offre di dare una mano all’ufficiale, che non ha tanta dimestichezza con la penna e accetta la collaborazione con sollievo. Poi Richard comincia a compilare lui stesso le relazioni e lo

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fa con una competenza e una precisione tali che presto Ott riceve una promozione da Berlino, dove leggono la sua prosa incantati. Talmente incantati che quando il ruolo di ambasciatore diventa vacante, il ministero di von Ribbentrop decide che non ci puo` essere nessuno meglio informato di Ott sugli affari giapponesi e lo nomina ambasciatore. La promozione, in un certo senso, riguarda anche Sorge il quale dalle ignare gerarchie berlinesi subisce un avanzamento: da amante della moglie di un attache´ ad amante della moglie del capo missione. Cosı` sono tutti contenti. A Tokyo dove Ott gongola per la sua carriera insperata. A Berlino dove gongolano perche´ il Giappone non ha piu` misteri per la diplomazia tedesca. E a Mosca, dove, oltre alle preziose notizie sulla situazione giapponese, Sorge trasmette preziose informazioni di fonte berlinese, che l’amico Ott gli mormora in un orecchio. Il colpo d’ala di Sorge e` nel 1939, quando Ott lo nomina attache´ stampa dell’ambasciata. La situazione e` persino umoristica. Uno dei migliori agenti del Quarto Ufficio dell’Armata Rossa, gia` stupendamente coperto dalla sua qualifica di corrispondente di un quotidiano nazista, ottiene addirittura una copertura ufficiale e credenziali di diplomatico hitleriano. Il flusso di informazioni che arrivano da Tokyo sul tavolo del Direttore diventa imponente. Anche gli informatori giapponesi di Sorge lavorano piuttosto bene e Klausen viene costretto a ritmi massacranti di lavoro, dovendo trasmettere di giorno e di notte, con continue interruzioni e spostamenti da un appartamento all’altro per evitare di essere intercettato dal radiogoniometro. ` in questo periodo che Sorge porta a segno uno dei colpi piu` E sensazionali della sua carriera, ma anche della storia dello spionaggio di tutti i tempi, segnalando a Mosca che Hitler avrebbe attaccato l’Unione Sovietica il 22 giugno. L’informazione veniva data con una serie di messaggi urgentissimi, l’ultimo dei quali precisava che Hitler avrebbe concentrato sul fronte sovietico da 160 a 180 divisioni e che lo sforzo principale sarebbe stato effettuato in direzione di Mosca. Mentre a Tokyo Sorge con i suoi principali collaboratori attendeva con ansia l’immancabile richiesta di conferme e di nuove precisazioni, due altri grandi personaggi dello spionaggio sovietico trasmettevano dalla Svizzera e dal cuore stesso della Germania la medesima informazione: Rado comunicava la data dell’attacco da Ginevra e Schultze Boysen, l’aristocratico berlinese capo dell’Orchestra Rossa, ribadiva

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la medesima informazione. Ebbene, nessuno di questi protagonisti ebbe risposta dal Centro, come si chiamava il quartier generale dello spionaggio militare russo. Stalin semplicemente si rifiutava di credere a quello che egli riteneva un proprio capolavoro diplomatico, e cioe` il patto di non aggressione Molotov–Von Ribbentrop. Nonostante la cocente delusione di questo incomprensibile atteggiamento del Centro, Sorge e i suoi compagni continuarono a lavorare con temerario entusiasmo. L’ultimo dispaccio trasmesso da Klausen era destinato a dare una svolta alla Seconda Guerra Mondiale, perche´ questa volta fu creduto dalle autorita` di Mosca. Il messaggio segnalava la rottura delle trattative fra Giappone e Stati Uniti e l’aggressione nipponica contro gli americani entro un mese. Diciamo che l’informazione segno` una grande svolta nei conflitto, perche´ permise a Stalin di spostare sul fronte europeo le divisioni di stanza in Manciuria sino a quel momento, bloccate dal timore di un attacco giapponese. Falsa invece la leggenda che attribuisce a Sorge il merito di aver segnalato tempestivamente l’attacco a Pearl Harbour, perche´ il 7 dicembre 1941 Sorge era gia` in prigione, arrestato dal contro spionaggio giapponese che aveva trovato il bandolo della matassa e stava letteralmente smantellando la rete. Il primo a cadere era stato un collaboratore di secondo piano, Ito Ritsu che negli uffici della polizia metropolitana di Tokyo aveva fatto una confessione completa e dato anche il nome della ragazza di Sorge. Hanako, convocata alla polizia, rifiuta di collaborare a un programma di sorveglianza nei confronti di Sorge. Viene ammonita a continuare i rapporti con Sorge, senza dirgli assolutamente nulla. La ragazza corre invece dal suo amico e lo mette al corrente di tutto. Sorge non appare turbato, ma si confida con Klausen: «Il cerchio si stringe. Due agenti sono scomparsi nel nulla, Hanako e` di nuovo sotto torchio alla polizia. Forse e` finita, vecchio mio. Ieri ho visto Hanako, temo per l’ultima volta. Aveva gli occhi tristi e mi ha chiesto se non mi sentiro` troppo solo». I due amici passano la sera davanti a una bottiglia di vino, rievocando le loro imprese. La mattina dopo, la polizia fa irruzione nell’appartamento di Klausen. Contemporaneamente viene arrestato Sorge. La situazione e` tragica, ma come al solito non manca di risvolti umoristici, perche´ l’ambasciatore tedesco Ott e il colonnello della Gestapo Josef Meisinger vanno al ministero a protestare ufficialmente, dichiarando che si tratta di un errore ridicolo.

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Sorge viene intanto rinchiuso in una cella dove regna continuamente la penombra e di quelle completamente isolate, “a silenzio integrale”, che si sono rivelate molto efficaci per distruggere il morale dei prigionieri. Ma ci vuol altro per mettere a terra Sorge, il quale rifiuta di fornire dettagli sulla sua attivita`, ma detta all’inquisitore giapponese una dichiarazione fermissima: «La guerra di Hitler contro l’Unione Sovietica ha confermato in me la convinzione che la mia fede antifascista e` giusta. Lo dichiaro, con la consapevolezza che mi deriva da venticinque anni di lotte». I bombardamenti americani su Tokyo diventano sempre piu` violenti e frequenti. Hanako, disperata, si rifiuta di lasciare la citta` per rifugiarsi in campagna dove vivono i suoi genitori. Un giornalista neutrale dal quale ella spera di avere notizie di Sorge le comunica con tristezza che sin dal settembre 1943 il suo amico e` stato condannato a morte. Ma la sentenza non e` stata ancora eseguita. Il giornalista, forse solo per rincuorare Hanako che gli fa pena, avanza una teoria molto convincente. Dice che i giapponesi continuano a rinviare l’impiccagione, perche´ sperano di poter scambiare Sorge con alcune spie giapponesi in mano ai russi. Hanako ricomincia a sperare. Ma l’attesa si trascina, diventa interminabile. Il destino di Sorge e` avvolto in una nube impenetrabile di mistero, anche se strane voci cominciano a correre in quella sala stampa sui generis che e` la Fledermaus. Si sussurra che Sorge sia stato un doppio agente, al servizio anche dei tedeschi. Si parla del rinvenimento di una ricevuta per un versamento ricevuto dalla Gestapo. Si spiegherebbero, naturalmente, con quante chiacchiere, se fossero fondate, molte cose e specialmente la sbalorditiva facilita` con cui si era insediato all’ambasciata della croce uncinata. Misteri che rimarranno per sempre insoluti, come nessuno conoscera` mai la verita` sulla morte di Sorge. La mattina del 7 dicembre 1944 Hanako accetta di accompagnare la madre al villaggio, dove arriva verso le nove. Inorridita, apprende dalla radio che sta per essere eseguita, mediante impiccagione, la sentenza nei confronti di Richard Sorge. Infatti, un piccolo e silenzioso gruppo di persone si sta presentando in quel momento davanti alla cella di Sorge. Il detenuto appare calmissimo, padrone di se´. C’e` una strana atmosfera nel ` proibito carcere. I prigionieri sono stati consegnati nelle celle. E sollevare gli spioncini. Guardiani armati vigilano dappertutto che l’ordine venga strettamente rispettato. I soli testimoni della esecu-

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zione sono il procuratore di Tokyo, il governatore della prigione, il boia e i suoi aiutanti. Contrariamente alle consuetudini, non puo` essere presente nemmeno un rappresentante della stampa, ne´ l’avvocato difensore e nemmeno un medico. La sera stessa, in quel focolaio di chiacchiere che e` la Fledermaus, dove continuano a incontrarsi i corrispondenti esteri per bere una buona birra o una forte grappa bavarese senza rovinarsi, comincia a formarsi qualche tenace leggenda. Un giornalista assicura che al posto di Sorge e` stato impiccato un criminale comune. Percio` tante eccezionali misure di black out intorno all’esecuzione. Lui, Richard, e` stato portato a Macao dal generale Doihara e scambiato contro un gruppo di agenti giapponesi in esecuzione di un ` la prima, soltanto la prima di tante accordo segreto con i sovietici. E versioni che daranno Sorge vivo a Shangai, un anno piu` tardi, o addirittura a Mosca, successore del suo ex Direttore, il generale Berzine, a capo del Quarto Ufficio dei servizi segreti dell’armata rossa. Gli enigmi, con l’andar degli anni si moltiplicano. Il capo dei servizi nazisti di sicurezza afferma nelle sue memorie che Sorge informava Berlino sulle intenzioni giapponesi riguardo agli Stati Uniti. E, dopo l’inizio` della offensiva tedesca contro l’Unione Sovietica aveva fatto sapere alla Wilhelmstrasse che mai il Giappone avrebbe denunciato il patto di non aggressione contro l’U.R.S.S. Due precise testimonianze hanno comunque messo un punto fermo a chi non si accontenta di ipotesi, ma vuole raccontare la storia sui fatti. La prima testimonianza e` quella di Hanako, alla quale nel 1945 sono stati consegnati i presunti resti del suo amante. Impossibile un riconoscimento sicuro nel mucchio di ossa che le furono presentate, tuttavia Hanako e` certa che gli arti inferiori dello scheletro erano troppo lunghi per essere quelli di un giapponese. Inoltre, la ragazza ha riconosciuto i segni di fratture e protesi dentali che erano conseguenze di un incidente di moto occorso a Sorge. C’e` infine la testimonianza del boia, il quale ha dichiarato: «Ho avuto modo di osservare Sorge mentre faceva del moto nel cortile della prigione. Posso giurare che l’uomo da me giustiziato era lui e nessun altro».

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IL VENTICINQUE LUGLIO Soggetto di Lucio De Caro e Carlo Lizzani

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Il 25 luglio 1943 cadde Benito Mussolini. Chi o che cosa provoco` la fine di un dittatore dai poteri assoluti? Ci sono voluti decenni per giungere alla radiografia esatta di un avvenimento che pareva avere contorni chiari e lineari e cause precise: una guerra rovinosa, un Gran Consiglio del Fascismo irrequieto e diviso, una Monarchia gia` da tempo pronta allo sganciamento dal regime fascista. Dalla miscela esplosiva di tali fattori non poteva non derivare – ad un certo momento – la caduta di Mussolini. Ma in quale sequenza esplosero realmente tutte quelle mine vaganti? Come si disposero – in quella primavera estate del ’43 – i pezzi del gioco sulla scacchiera della politica nazionale e internazionale? Chi fece la prima mossa? Quali – e quanto sottili o ferree – le relazioni che correvano fra le varie forze in campo? E come si arrivo` realmente alla crisi del 25 luglio, a quella incredibile notte in cui Mussolini, con tutti i poteri ancora in mano, si fece giocare dai suoi stessi uomini? E perche´ si reco` solo dal Re? Ci sono voluti molti anni, centinaia di memoriali, e di libri per far venire alla luce tutti i tasselli del puzzle, e per la prima volta – come in un giallo – questo film vuol mostrarne l’ordito e ricostruirne le appassionanti scansioni. Tre diverse congiure, senza nessun collegamento tra di loro, fanno da terreno di cultura per il Colpo di stato del 25 luglio, e si prolifano tutte tra la fine del ’42 e l’inizio del ’43. ´ che – non dimentiLe prime mosse sono quelle di MARIA JOSE cando mai le inclinazioni democratiche della Regina Madre del Belgio e i sentimenti antitedeschi della sua casata – coltiva i contatti con alcuni noti intellettuali e prelati antifascisti, e non ne fa segreto, tanto da essere richiamata all’ordine da Vittorio Emanuele. Maria Jose´ non si arrende subito. Anzi, mira ancora piu` in alto. Ricerca ed ottiene un colloquio con Monsignor Montini, per lanciare l’idea di un intervento del Vaticano ai fini di una pace separata dell’Italia. L’incontro si svolge nel corso di un giro in automobile organizzato con mille cautele, ma che non sfugge agli occhi vigili dell’OVRA.

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La mattina dopo Maria Jose´ ricevera` – insieme al caffe´ del risveglio – un messaggio tanto allusivo quanto minaccioso del Capo del Governo (inviato nel corso della notte al Principe Umberto). Da quel momento Maria Jose´ sara` messa fuori gioco. Ma l’apertura di quel canale verso il Vaticano non sara` privo di significato, e dara` qualche frutto nei mesi successivi e durante l’occupazione tedesca. La seconda congiura – altro detonatore a monte del 25 luglio – sara` quella dei Generali. Un grappolo – semmai – di congiure o congiurette, abbastanza velleitarie ma comunque sintomatiche dell’atteggiamento dei vertici delle Forze armate: «Il Generale Castellano ha preparato a Febbraio un progetto per l’arresto di Mussolini, ma il Capo di Stato Maggiore generale e il Ministro della Real Casa Acquarone si sono rifiutati di discuterlo. Ognuno accanto alla congiura tiene pronta l’anticongiura. Il Generale Carboni tiene nascoste le sue mosse a Castellano che le cela a Roatta che a sua volta non informa Badoglio, mentre Caviglia avvicina, per conto suo, il Principe di Piemonte» (Bocca). La terza congiura, infine, quella decisiva, e` la trama tessuta da Vittorio Emanuele in persona insieme al Ministro della Real Casa Acquarone. Lenta, incerta, tardiva (con la Sicilia oramai invasa e Roma bombardata) ma abbastanza abile. Acquarone aveva piu` volte preso contatti con gli esponenti politici dell’antifascismo moderato: Bonomi, Soleri, il Generale Zuppelli, ma Vittorio Emanuele aveva a lungo esitato. Poi la decisione definitiva dopo il bombardamento di Roma. Bisogna farsi togliere le castagne dal fuoco dal fascismo moderato, dagli uomini come il Conte Grandi. Costui, essendo Collare dell’Annunziata e quindi “Cugino” del Re, ha libero ingresso a Palazzo, puo` essere facilmente convocato; e` in relazione con il duca Acquarone: gli si potra` affidare il compito di far saltare il governo di Mussolini dal di dentro. E cosı` il dado e` tratto. Dispone cosı` le forze alla vigilia del 25 luglio; diverranno piu` chiare le risposte da dare agli interrogativi sulla notte decisiva, quella della riunione del Gran Consiglio, e a quelli sulla giornata successiva culminante con l’arresto di Mussolini da parte di Vittorio Emanuele. (Il montaggio degli avvenimenti qui proposto e` tutto derivato da citazioni autentiche e dirette di Grandi, Mussolini, Puntoni, Cerica,

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Bottai, Federazioni e degli studiosi Deakin e Bocca). Il ventiquattro Luglio, fin dal primo mattino Mussolini si e` chiuso nel suo studio per preparare la relazione militare che fara` al Gran Consiglio, convocato per le 17. Grandi, Federazioni e Ciano hanno ascoltato la Messa e si sono comunicati. Poi si riuniscono nell’ufficio del presidente della Camera Dino Grandi. Nell’ufficio del Comandante dei Carabinieri viene steso il piano per l’arresto di Mussolini e scritta la lista dei fascisti da catturare. Nel pomeriggio, prima di recarsi a Palazzo Venezia, Grandi si infila nella tasca una bomba a mano e scrive al Re: «Ho l’onore di informare Vostra Maesta` che fra poco mi rechero` a Palazzo Venezia per sottoporre al Gran Consiglio la qui allegata mozione di cui il testo prego la Maesta` vostra di voler leggere... Non so se l’iniziativa presa di concerto con altri membri raccogliera` la maggioranza dei votanti. Abbiamo ritenuto fosse opportuno intraprendere un estremo tentativo di postulare le Garanzie costituzionali di un ripristino delle condizioni statuarie e delle prerogative del Sovrano». La relazione al Gran Consiglio e` letta da un Mussolini pallido, tormentato dall’ulcera, infastidito dalla luce, spossato, ed e` solo un elenco di deboli giustificazioni relative all’andamento catastrofico della guerra. Le colpe sono tutte di Rommel, e dei Generali italiani. «Il suo viso pallido si solleva nella luce, la sua voce non ha piu` i timbri provocatori e beffardi degli assalti polemici, e` stranamente pacato e il suo solito formulario di frasi ad effetti risuona senza calore di convinzione, anche quando conclude: questa guerra e` impopolare, ma lo sono tutte le guerre; la perdita di una provincia non significa la sconfitta, se sara` necessario la capitale verra` portata nella pianura padana. La fedelta` ai tedeschi e` fuori discussione, pacta sunt servanda... E se sara` approvato l’ordine del giorno Grandi (che Mussolini gia` conosce)... Camerati quell’ordine del giorno puo` mettere in gioco l’esistenza del regime!» Dopo De Bono e De Vecchi che intervengono per difendere con retorica l’operato dell’Esercito, e` la volta di Grandi. Mussolini ostentatamente si copre gli occhi con una mano e gli volge le spalle. Alla lettura dell’ordine del giorno, in cui si invita il Capo del governo a pregare la «Maesta` del Re affinche´ voglia assumere con l’effettivo comando delle forze armate quella suprema iniziativa di decisioni che le nostre istituzioni a lui attribuiscono»; segue una coraggiosa requisitoria... «La tua dittatura ha rovinato il fascismo, la

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formula ristretta della guerra fascista ha portato il regime alla rovina... Non basta che te l’assuma tu la responsabilita`. Ci siamo anche noi, c’e` il Paese! Per quindici anni tu hai tenuto i ministeri militari, che hai fatto?...». Chi e` vicino a Mussolini lo sente mormorare: «Stanotte possiamo anche liberare che la rivoluzione e` finita». Parla poi il Ministro Bottai e il suo discorso e` una franca autocritica di tutto il gruppo dirigente. Un invito serio alla crisi di regime. Ma Mussolini ha momenti di reazione soltanto durante il discorso del genero Ciano, che con lunghi giri di parole fa trapelare il suo consenso alla mozione Grandi. «E il quarto d’ora (scrivera` Federzoni) di piu` rabbiosa esasperazione mussoliniana: gli occhi roteanti lampeggiano d’ira, tacite imprecazioni masticate nelle mascelle, sinistre minacce». Quando il Segretario del Partito, per svelenire l’atmosfera, propone di rinviare la discussione all’indomani, Grandi sventa la mossa con decisione. «Per la Carta del Lavoro ci hai trattenuto qui per sette ore di seguito. Oggi che e` in questione la vita della Patria possiamo, se necessario, continuare a discutere per una settimana!» La riunione continuera` infatti fino a notte inoltrata con toni sempre piu` tesi e roventi. A Mussolini non restera` altro che l’inventiva e il bluff finale, ma tutto per nascondere una misteriosa e passiva accettazione di un destino che appare oramai inevitabile. «...Questo ordine del giorno pone dei problemi molto gravi di dignita` personale. Che cosa significa questa espressione: il Capo del governo prega la Maesta` del re? Che cosa gli rispondera` il re? Ammettiamo che accetti la restituzione della delega dei poteri militari. Si tratta di sapere allora se io accetto di essere decapitato. Meglio dunque parlarci chiaro. E poi ho in mano una chiave per risolvere la situazione bellica. Non vi diro` quale». L’ordine del giorno Grandi, che reca gia` diciannove firme, viene approvato con diciannove sı` e sette no. Mussolini si alza e dice con gravita` le ultime sue parole a quel vertice da lui stesso creato per dominare l’Italia e il mondo: «Voi avete provocato la crisi del regime. La seduta e` tolta». Il segretario del partito, Scorza, sta per invitare i presenti al grido rituale «Saluto al Duce!» ma Mussolini lo ferma con un gesto deciso, «No! vi dispenso». E il Re ha finalmente in mano le carte “regolari” e “costituzionali” per agire.

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C’e` pero` un’ultima incognita. Durante la notte non potra` Mussolini far arrestare tutti i suoi ministri? E poi, si presentera` veramente da solo al cospetto del Sovrano, per riconsegnarli «tutte le prerogative che gli spettano» e il comando delle forze armate? Accettera` fino in fondo il suicidio politico al quale e` stato invitato dal “suo” Gran Consiglio? Molti storici, memorialisti e politologi si sono arrovellati su quest’ultimo mistero, il piu` importante, forse, quello che avvolge le ultime ore che precedono l’incontro tra Mussolini e Vittorio Emanuele e sulle quali non rimane alcuna testimonianza scritta di Mussolini che ne spieghi il senso e la razionalita`. Quando, poco prima delle 17.00, Mussolini si appresta ad uscire da Villa Torlonia per andare all’incontro col re, Rachele lo mette in guardia: «Tu non torni stasera...». Ma Mussolini non ha un attimo di incertezza: «Devo mettere le cose in chiaro, la guerra non l’ho firmata solo io». Da qualche ora tra Vittorio Emanuele e il ministro della Real Casa Acquarone e` stato congegnato il meccanismo dell’arresto. Ambrosio ha comunicato la decisione a Cerica: «Siamo nel campo costituzionale Eccellenza?» chiede Cerica. «Sı`, l’ordine viene da Sua Maesta`». A Villa Ada, dove avverra` l’incontro, Vittorio Emanuele ha dato le ultime istruzioni a Puntoni: «Sono stato costretto a dare il mio assenso perche´ Mussolini, appena fuori di casa mia, sia fermato... Siccome non so come il Duce potra` reagire, la prego di rimanere accanto alla porta del salotto dove noi ci ritireremo a discutere. In caso di necessita` intervenga». Mussolini arriva alle 17 in punto, e` sicuro che «il re gli ritirera` la delega del 10 Giugno riguardante il comando supremo, delega che da tempo aveva in animo di resitituire... Entra a Villa Ada con l’animo assolutamente sgombro da ogni prevenzione, in uno stato che, visto a distanza, potrebbe chiamarsi di vera e propria ingenuita`». (Puntoni) Ma in realta` non si tratta di ingenuita`, piuttosto di sicurezza. La riconsegna del comando al Re puo` essere di nuovo Piave che succede a Caporetto. Un coinvolgimento ancora piu` profondo e definitivo di Casa Savoia nella guerra “fascista”. Quando mai quel re nano che lui ha fatto imperatore, e quella classe militare che lui ha salvato dall’ondata sovversiva, dagli sputi e dalle offese delle masse imbestialite nel diciannove oseranno uscire dalla sua tutela e sottrarsi al suo carisma? ` il tallone d’Achille di tutti i dittatori questa sicurezza paranoica E

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che acceca anche di fronte all’evidenza. Proprio coloro che piu` a lungo di tutti hanno esercitato il comando assoluto, tacitato o distrutto le opposizioni si trovano piu` esposti a certi imprevisti e rovinosi contropiedi della storia. Due grandi, tragici, momenti di cecita` dittatoriale, proprio di quegli stessi anni, possono spiegare la cosiddetta “ingenuita`” di Mussolini. Stalin che non crede all’attacco di Hitler malgrado tre servizi segreti lo abbiano messo in guardia, e rischia la distruzione dell’Armata Rossa (tanto da pensare al suicidio). E Hitler, che fino all’Aprile del ’45 continua a giudicare assurda l’alleanza tra Democrazia e comunismo, ed e` convinto di poter rovesciare il fronte e prendere la guida dell’Occidente... Quando meccanismi rigidi, abituati a funzionare al di fuori e al di sopra di ogni dialettica, sono portati, dalla forza delle cose, a scontrarsi frontalmente con l’evidenza della realta`, e` la catastrofe psicologica, la resa senza condizione, il crollo. Mussolini davanti a quel Re nano da lui tanto disprezzato, ma che finalmente – spinto dagli eventi – ha dovuto dirgli parole chiare e crude, farfuglia poche frasi imbarazzate. «Mi dispiace, mi dispiace» ha detto il re, «la soluzione non puo` essere diversa... io vi voglio bene e ve l’ho dimostrato piu` volte difendendovi contro ogni attacco, ma stavolta, c’am fasa s’ piasi, devo proprio pregarvi di lasciarmi libero di affidare ad un altro il governo». E oltretutto come deve aver spiazzato Mussolini questo passaggio vertiginoso, in caduta verticale, dal linguaggio alato e dannunziano che per vent’anni e` stato adottato dal regime, alla prosa secca e paternalistica di Vittorio Emanuele III, tanto piu` simile alla modesta sintassi di un professore di scuola media in procinto di radiare dalla classe un alunno un po’ troppo indisciplinato! L’uomo che di lı` a poco, nel giardino di Villa Ada, sara` arrestato dai carabinieri e caricato, come un ladro colto in fallo, su un’autoambulanza, e` un uomo finito e privo di reazioni. Per altri due anni sara` solo l’ombra di se stesso. Il giorno dopo, tutta la macchina del regime reagira` al colpo di Stato allo stesso modo, e si sciogliera` in poche ore come neve al sole.

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MILANO CROCEVIA D’EUROPA di Carlo Lizzani

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Scaletta della seconda versione La contrazione dei costi, da cui consegue l’opportunita` della concentrazione dei temi in una durata piu` breve (trenta minuti) ci ha suggerito un tipo di struttura che, senza nulla togliere all’idea portante del film (Milano crocevia d’Europa), riesca a raccontarla semmai piu` sintetica e dinamica. Una cornice che faccia da leitmotiv permette con piu` facilita` le uscite verso i luoghi piu` famosi di Milano. Avendo un contenitore che marca il tempo, facilita la sintesi delle periodizzazioni, rende dinamici e affascinanti gli “stacchi” e gli “attacchi” tra un periodo e l’altro, diventera` piu` facile rendere le varie escursioni sui vari Monumenti e i vari spazi, piu` brevi, concise, meno erudite (ma non per questo meno precise e significative). I percorsi spaziali temporali scelti saranno quelli all’interno di quei monumenti e di quei luoghi sacri che piu` di altri contengono nel loro processo di trasformazione, di restauro, e continua ricostruzione, il dinamismo stesso della collettivita` umana che li ha costruiti e via via rielaborati. Questo tipo di itinerario storico e` leggibile in quattro luoghi deputati: PORTA TICINESE E PORTA ROMANA (con le colonne di eta` augustea poste di fronte al Quadriportico di S. Lorenzo). In queste due zone, di analoga origine, le sovrapposizioni e manipolazioni arrivano fino al secolo scorso. S. AMBROGIO. Anche questo complesso architettonico e` un microcosmo in cui si succedono i secoli e gli stili. Nell’evolversi delle sue strutture restano vivi i segni della storia e delle vicende cittadine. IL DUOMO. La Cattedrale di Milano rappresenta l’apice di questo discorso. Come e` noto, le sovrapposizioni ne fanno uno straordinario album di carattere storico culturale che testimonia la permanente volonta` di crescita e di cambiamento della citta`, e al

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tempo stesso la sua fedelta` alle tradizioni. Il suo gotico e` il frutto di una consapevole operazione metastorica. Nel suo gotico, continuamente rielaborato e rivisitato, Milano celebra se stessa e la sua storia. IL CASTELLO SFORZESCO. Lo stesso fenomeno di viaggio nel tempo con il piede fermo, pero`, su una struttura legata al periodo del massimo splendore, si manifesta nella mole del Castello Sforzesco. Anche qui attraverso le successive manipolazioni, che giungono fino alle soglie di questo secolo, Milano racconta la sua storia e consegna al presente la sua immagine “forte” di Signoria Europea. E infine con lo stesso contenitore di racconto: il Museo della scienza e della tecnica, il film puo` lanciare lo sguardo sulla Milano di fine Ottocento e Novecento. Il rigoglio della sua industria. Il Socialismo, il Futurismo, il Fascismo, il boom del secondo dopoguerra. La sua apertura a un futuro che vede Milano all’avanguardia nelle nuove tecnologie, nella moda, nella pubblicita`, nell’architettura, e che resta ancorato a quella collocazione geopolitica che ne ha fatto da sempre il CROCEVIA D’EUROPA.

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OBIETTIVO SUL NOVECENTO, O IMMAGINI E VOLTI DEL XX SECOLO Una proposta editoriale di Carlo Lizzani

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Con quaranta film di fiction e dieci lungometraggi documentari girati in Europa, in Asia, in Africa, in America, la mia macchina da presa ha colto – con il linguaggio della ricostruzione storica o della cronaca, o dell’inchiesta – i momenti piu` significativi vissuti da tutti noi nel corso del secolo che sta per chiudersi. E cosı` un eclettismo tematico – e per fortuna anche tecnologico – mi da` oggi la possibilita` di offrire al pubblico una cavalcata storica di immagini che sulla pagina illustrata possono acquistare una icasticita` drammatica piu` affascinante di quella testimoniata dagli “scatti” memorabili dei grandi fotografi del secolo. GLI ANNI DIECI Mentre il Novecento, il secolo delle masse, comincia a celebrare i suoi trionfi (e la mia serie televisiva Un re e il suo popolo ne racconta alcuni aspetti significativi e tragici), alcuni suggestivi fotogrammi di Cattiva ricordano il viaggio parallelo all’interno dell’individuo iniziato da Freud e proseguito da Jung. Cattiva e` infatti la storia del primo rivoluzionario esperimento condotto da Jung nel microcosmo di una clinica di Zurigo tra il 1908 e il 1910 (protagonisti Erland Josephson e Julian Sands). GLI ANNI VENTI Comincia la grande avventura mussoliniana che cambiera` il volto dell’Europa. Il fenomeno suscita curiosita` e avversioni. Il modello dilaga in Germania e poi in Spagna. Ma come e` vissuto in Italia, nel concreto della societa`? I due piu` famosi romanzi che si riferiscono a quel periodo sono Cronache di poveri amanti e Fontamara, diventati film con i volti il primo di Marcello Mastroianni e il secondo di Michele Placido. Il primo riceve il premio internazionale a Cannes da una giuria presieduta da Cocteau e da Bun˜uel, e il secondo ottiene il primo Premio al Festival di Montreal. Ambedue hanno una vasta circolazione mondiale. La nascita e i primi sviluppi del fascismo sono ritratti nel microcosmo urbano di Firenze e in quello contadino della Marsica.

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GLI ANNI TRENTA Anche qui abbiamo i due aspetti speculari dell’esistenza umana, sullo sfondo di un’epoca in cui si manifestano i primi segni della catastrofe che travolgera` l’Europa. Le inquietudini nel PRIVATO (la versione televisiva di Inverno di malato di Moravia). I nodi complessi della vita pubblica, la riorganizzazione dell’opposizione (Un’Isola dal libro di Giorgio Amendola). GLI ANNI QUARANTA Entrano in scena i grandi e i piccoli protagonisti del decennio. I Partigiani di Achtung! Banditi!, gli ebrei del ghetto ne L’Oro di Roma, le deviazioni della Resistenza ne Il Gobbo, da una parte. E dall’altra il declino e la fine dei protagonisti del ventennio. La congiura e la fucilazione di Ciano nel Processo di Verona (Silvana Mangano), la cattura e la fucilazione del Duce in Mussolini ultimo atto (Rod Steiger, Henry Fonda). Nel dopoguerra cominciano a far parte di questo panorama del secolo anche le immagini dei miei primi documentari: Nel mezzogiorno qualcosa e` cambiato, L’attentato a Togliatti (1947/48). GLI ANNI CINQUANTA Passata la grande tempesta della guerra e del dopoguerra, caduti dal piedistallo i grandi Eroi, lo sguardo ritorna sulla gente comune. Il primo film di cronaca nera: Ai margini della metropoli. La satira sulle velleita` e le ambizioni delle prime vittime della societa` di massa: Lo svitato. Primo e unico film di un grande dello spettacolo italiano nel mondo: Dario Fo. E l’attenzione alle nuove realta` mondiali ne La Muraglia cinese. Il moderno e l’antico dell’Asia a confronto, il primo film occidentale sulla Cina di Mao. GLI ANNI SESSANTA La mutazione del nostro Paese e` avvenuta. La cultura metropolitana e industriale ha prevalso, e l’Italia entra tra i grandi con tutte le caratteristiche che il salto ha comportato. Il mondo dei consumi irrompe con i suoi nuovi miti e le sue ombre. Svegliati e uccidi, Banditi a Milano, Barbagia (Mesina). E la satira sulle convulsioni della societa` metropolitana con La vita agra. Il Sessantotto in Italia San Babila ore venti. E il sessantotto nel mondo con l’episodio girato a New York nel film collettivo Amore e

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rabbia, da me prodotto, e al quale partecipano, con altri episodi, Godard, Bertolucci, Pasolini. E il sessantotto nella vita americana con Crazy Joe. GLI ANNI SETTANTA E OTTANTA La civilta` dei consumi con i suoi miti sempre piu` divertenti e i suoi risvolti oscuri: Roma bene, Storie di vita e malavita (sulla prostituzione minorile). La solitudine e gli incubi della grande citta` in forma di thriller in La casa del tappeto giallo: una grande interpretazione di Erland Josephson e Vittorio Mezzogiorno. Il terrorismo con il film televisivo Nucleo Zero e con Kleinhoff Hotel. E nuove esplorazioni dell’Europa e del mondo con il documentario reportage e col “docudrama”. Le rivoluzioni del sud-est asiatico nella serie Facce dell’Asia che cambia, realizzata con Furio Colombo e basata sul libro The Orbit of China di Harrison Salisbury, editorialista e vice direttore del New York Times (premio Pulitzer). Immagini del Giappone e dell’India, dell’Indonesia e del Tibet, del Vietnam e della Cambogia, nei caldi anni Settanta. Africa nera Africa rossa, i conflitti e le rivoluzioni in Angola, nel Katanga e in Zaire. I volti e le voci di alcune grandi protagoniste femminili dei due decenni nella mia serie televisiva Dieci donne: da Jane Fonda a Coretta King. E alla luce dei documenti segreti emersi durante l’era gorbacioviana: la nascita dello stalinismo, il sacrificio di Bucharin e di Trotzky, l’omaggio alla vedova di Bucharin a Venezia alla presenza del mondo cinematografico e di Franc¸oise Mitterand. E le immagini dei grandi del cinema invitati e premiati a Venezia durante la mia gestione: da Kurosawa a Cukor, da Bresson a Bergman, da Rosi a Zavattini, da Moravia a Godard, da Fassbinder a Wenders a Antonioni. GLI ANNI NOVANTA Cominciano le riflessioni sul Novecento: dopo Bucharin evocato sullo schermo col volto di Harvey Keitel, dopo Mussolini nel memorabile ritratto di Rod Steiger, dopo Edda Ciano-Silvana Mangano, dopo Cavallero-Volonte´, con Celluloide fa ingresso, nel cinema, la memoria del CINEMA. Le immagini di quel grande laboratorio di

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immagini che e` stato il cinema italiano. Con i volti di Rossellini, della Magnani, di Amidei. Il curatore del libro puo` essere scelto in una rosa di nomi autorevoli la cui disponibilita` credo di poter assicurare (o una coppia di nomi: un critico e uno storico).

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EUROPA ` GRANDE SPETTACOLO DEL MONDO IL PIU

di Carlo Lizzani

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Il cammino verso l’unita` del nostro Continente ha fatto passi certamente decisivi in questo ultimo decennio. Ma il significato di questa unita` non e` ancora diventato tra le tante Nazioni e le tante etnie che compongono l’Europa, senso comune, coscienza di nuova, profonda identita`. Eppure l’Europa, da diecine di secoli, e` stata come un grande palcoscenico sul quale – grazie a una particolare struttura geografica – si sono mescolati popoli e poteri, quindi protagonisti e masse di comprimari. E se le vicende umane sono state sepolte dal tempo, sono invece presenti le quinte e i fondali del palcoscenico in cui quelle vicende si sono svolte. E ce ne possono ancora raccontare il senso e il profilo. Le coste, le catene montuose, i laghi e gli arcipelaghi, i grandi fiumi (una ricchezza orografica che produrra` sempre piu` ricchezza via via che il continente realizzera` la sua unita`) sono stati i luoghi dei conflitti piu` famosi dall’antichita` al Novecento, ma anche il cemento essenziale per la costruzione degli imperi e dei sogni o delle realta` unitarie dei Romani, di Carlo Magno, del papato, di Federico Il, di Napoleone... Nessun mezzo piu` di quello audiovisivo puo` rendere evidente la straordinaria vicenda, nei secoli, del nostro Continente. Quante cose, della civilta` occidentale, si possono capire in quelle zone – a misura umana – del mediterraneo orientale che, per la dolcezza del clima e la brevita` delle distanze, favorirono scambi e confronti, e dove una natura cordiale si trasformo` in favolosa mitologia! E quanta storia – di sanguinosi conflitti ma anche di commerci, di sviluppo economico e artistico – puo` essere raccontata attraverso un viaggio audiovisivo lungo il corso di fiumi come il Reno o il Po, il Danubio o il Don. E altra storia e altre immagini affascinanti in quelle catene montuose che hanno separato sı` i popoli europei, ma che sono state anche solcate da carovane di mercanti, elette a luogo di meditazione da religiosi e poeti, e sfidate da tecnici e costruttori di trafori e autostrade.

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Il piu` grande palcoscenico del mondo puo` offrire inoltre – attraverso una serie di itinerari audiovisivi a carattere storico-geografico – occasione di incontri con complessi musicali, teatrali, cantautori tipici delle zone visitate. (Materiale anche di repertorio). Senza dimenticare anche le varie cucine locali. Ogni viaggio (documentario di un’ora) puo` essere pilotato da un testimonial particolarmente esperto della zona di volta in volta prescelta (o vari testimonial via via che un fiume, per esempio, passa di nazione in nazione).

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CRIMINI E INTRIGHI NELLA ROMA DEL I SECOLO d. C. di Carlo Lizzani

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Da quando esiste il cinema (e la TV ha confermato questa legge) la fortuna dei “generi” ha un andamento ciclico. Si sta profilando all’orizzonte (i primi segnali dall’America) il ritorno dell’antica Roma. Noi italiani, fin dai primordi, in questo genere siamo stati maestri, e sarebbe un peccato lasciarsi sfuggire l’occasione di diventarne di nuovo i protagonisti. Uno scrittore inglese, Dwight Jerome Lindsey, ha dato alle stampe, proprio in questi ultimi anni, una “serie” di romanzi che vedono al centro una figura di investigatore che si trova di volta in volta interessato a casi particolarmente delicati e riesce a sciogliere – tra mille difficolta` – l’enigma di qualche oscuro delitto. Ecco intanto come Fabrizio Jovine (autore della proposta che interessa, per la regia, a Carlo Lizzani) tratteggia l’atmosfera della Roma del I secolo: L’idea della serie si basa sui romanzi di genere giallo-storico di D.J. Lindsey, ambientati su delle inchieste nell’antica Roma compiute da un giovane e prestante revisore dei conti ed esattore dell’erario, Marcus Didius, in dieci casi di delitti apparentemente insolubili. La nostra presunzione di certezza di successo della serie scaturisce innanzi tutto dalla qualita` dei romanzi, il cui impianto narrativo e` quanto di piu` direttamente discendente dai classici del genere, quelli anglosassoni, da Chesterton a John Dickson Carr, Van Dyne, Mary Reinhardt e soprattutto lei, la regina del “Whodunit?”, Agatha Christie, e poi per la felice intuizione dell’autore di innestare su un perfetto impianto narrativo poliziesco un’ambientazione cosı` ricca e suggestiva quale quella dell’antica Roma. Quando consideriamo anglosassone la matrice stilistica di D.J. Lindsey, e` perche´ egli mette in discussione il metodo logico tutto fondato sugli indizi, per privilegiare la ricerca dell’intuizione psicologica. La frammentarieta` della realta`, e quindi la sua inattendibilita` e` uno dei “topoi” classici del thriller anglosassone.

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Come nei romanzi della Christie, la realta` dei nuclei familiari o sociali viene rivissuta dai testimoni dei fatti, sopravvissuti al delitto. Ognuno di loro dara` una propria versione degli avvenimenti, molto parziale e soggettiva. L’ambiguita` del reale e` sempre presente nella serie del nostro esattore delle imposte-detective. Convinto epicureo, Marcus Didius fa proprio l’assunto filosofico (pur rispettando il dogma della fiducia nella ragione) secondo cui la realta` appare come qualcosa di sfuggente e inconoscibile. Il suo trionfo finale, la soluzione del caso e la restaurazione dell’armonia altro non sono che la vittoria della ragione in una realta` oscura e minacciosa che sembra impenetrabile. La formula vincente di D.J. Lindsey e` di aver innestato il genere poliziesco su quello storico, resuscitando una Roma imperiale in tutto il suo fascino. E cio` non e` fatto superficialmente in modo pretestuoso solo per offrire un fondale scenografico, ma in modo filologicamente rigoroso che ci restituisce una “Romanita`” in tutto il suo splendore e la sua solennita`. Nei dieci casi polizieschi della serie, il giovane detective, con l’aiuto del suo astuto socio Anacritı`us, che sta a lui come Watson sta a Holmes, o Archie Goodwin sta a Nero Wolfe, si fa largo con abilita` e destrezza fra omicidi e congiure per giungere alla verita`. Gli episodi sono ambientati nella Roma imperiale al tempo del regno di Flavio Vespasiano e ci imbattiamo in personaggi e vicende che pur essendo storicamente accurati ci sorprendono per la loro modernita`. Tutto cio` rende questi episodi estremamente spettacolari raggiungendo una miscela perfetta fra storia e mistero. Quello che ci sorprende tra la Roma di ieri e quella di oggi non sono le differenze, ma le analogie. La Roma del periodo imperiale era una citta` “moderna” quali non se ne vedranno per secoli a venire: immensamente ricca (vi confluivano le risorse di tutto l’Impero). Laboriosa ma non troppo (malgrado la mancanza della domenica, i giorni festivi erano piu` di quelli odierni), costosissima (una camera nel sottotetto di un’insula valeva quanto una villetta di campagna), l’Urbe era una grande metropoli di un milione e mezzo di abitanti (stipati per la maggior parte in grandi condomini di affitto a quattro, cinque o anche sei piani), travagliata dal traffico caotico (a cui gia` dai tempi di Cesare si era cercato di porre rimedio, riducendo la citta` intera a una immensa isola pedonale durante il giorno) e oppressa dall’inquinamento acu-

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stico nelle ore notturne, quando arrivavano gli approvvigionamenti sui carri a trazione animale. I cantieri stradali per la riparazione della rete fognaria o il rifacimento della pavimentazione, allora come oggi, rimanevano aperti mesi e mesi, causando immani ingorghi nelle viuzze strettissime dei quartieri popolari. Crolli, e soprattutto incendi, erano all’ordine del giorno, tanto che i vigiles nocturni venivano impegnati molto di piu` come pompieri che come poliziotti. La capitale del mondo attirava immigrati da ogni dove: contadini impoveriti, provinciali in cerca di avventure, stranieri che speravano di trovare nell’Urbe l’Olimpo in terra, senza contare gli schiavi, provenienti dalle regioni piu` remote dell’Impero. Le sette esoteriche prosperavano, come pure le religioni salvifiche orientali, e nella stessa via vivevano fianco a fianco popoli di tutte le razze, di tutte le culture, di tutte le religioni: per le strade di Roma si parlava latino e greco – le classi dirigenti e intellettuali erano bilingui – ma anche egizio, aramaico, siriano, fenicio, numidico, gallico, marcomanno. Un tale crogiuolo di popoli diversi creava a volte problemi di ordine pubblico, ma soprattutto suscitava la xenofobia dei conservatori, che rimpiangevano i bei tempi andati e se la prendevano con gli stranieri, rei di importare nell’Urbe i molli costumi ellenistici e intaccare cosı` i valori tradizionali dell’austera virtus quirita. In una citta` dove (sia per l’abbondanza della manodopera maschile, sia per l’abbandono dei bambini, che colpiva soprattutto le femmine) le donne erano appena un terzo della popolazione, la prostituzione dilagava e non soltanto quella tradizionale: sull’Esquilino, dove sorgevano dei lupanari specializzati in giovanissimi schiavi siriani, i clienti facevano la fila. Al successo di questi bordelli particolari contribuiva anche, secondo gli scrittori satirici del tempo, la relativa emancipazione della donna, responsabile del fenomeno che, in linguaggio odierno, chiameremmo la “crisi del ruolo maschile”. Nell’Urbe, infatti, parecchie cose erano cambiate dai tempi in cui il pater familias – cioe` il maschio piu` anziano della casa – aveva potere di vita e di morte sulla moglie, i figli e gli schiavi. Nel I secolo d.C. quasi tutte le donne rifiutano ormai di sposarsi cum manu, consegnandosi come minorenni nelle mani del marito. La formula piu` comune del matrimonio e` diventata quella sine manu, dove la moglie rimane soggetta alla potesta` del padre, e in caso di divorzio si vede restituire per intero la dote.

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A poco a poco, le donne ottengono anche il diritto di ereditare e una limitata indipendenza economica. Gia` da un secolo poi, il vecchio maschilismo romano che vedeva il vir (N.B.: non a caso in latino la radice di virilitas e` la stessa di virtus) come l’uomo padrone, dominatore, e insensibile alle esigenze erotiche femminili, ha subı`to un duro colpo dalla popolarita` di poeti quali Catullo, Properzio e Ovidio, cantori della passione, del piacere reciproco e persino della sottile volutta` dell’innamorato a sottoporsi ai capricci dell’amante; nello stesso tempo gli stoici, primo tra tutti Musonio Rufo, proclamano a viva voce la parita` assoluta tra i sessi, con grande scandalo dei tradizionalisti. Ma quando la donna studia, lavora, possiede denaro in proprio, gestisce patrimonio e fonda imprese industriali, difficilmente accetta supinamente di obbedire all’autorita` del marito; spesso pretende invece di dire la sua, arrivando persino ad elevare delle critiche alle prestazioni dello sposo. I piu` sicuri tra i maschi accettano la sfida; altri, meno combattivi, restano stupiti e spiazzati dal penoso ribaltamento di ruoli, voltano le spalle alle femmine e si rifugiano nei bordelli dell’Esquilino, o comprano un acquiescente schiavetto orientale, pronto a rimettersi con umilta` e gratitudine ai loro voleri. Caos del traffico, isole pedonali, immigrazione selvaggia, liberated women, e poi ancora pedagogisti d’assalto, banchieri senza scrupoli, politici corrotti, tangenti milionarie (in sesterzi), pornostar, campioni dell’arena per cui il pubblico va in delirio come per i nostri calciatori, risse di tifosi al circo, analoghe a quelle degli odierni stadi. Ma non e` tutto: a fornire l’immagine piu` “moderna” della Roma dei Cesari sono altri due particolari. Prima di tutto molti romani – maschi e femmine – vanno a scuola, e piu` di meta` dell’Urbe e` capace, bene o male, di leggere e scrivere: scarabocchiando sui muri (vecchio vizio duro a morire) le ancelle sospirano per i loro amanti, le prostitute fanno conoscere le loro tariffe (come oggi coi biglietti incollati nelle cabine telefoniche di periferia), i tifosi sostengono gli aurighi del cuore, gli schiavi imprecano contro l’oste che ha servito loro vino cattivo. Teniamo sempre presente che nella Roma dell’inizio del nostro secolo la percentuale di analfabeti era sicuramente maggiore. In secondo luogo, nell’Urbe tutti si lavano: le terme sono praticamente gratuite e il bagno quotidiano e` d’obbligo, per i liberi come per gli schiavi: quale padrone infatti vorrebbe in casa sua un servitore sporco? Perche´ questa lodevole abitudine cominci a tornare di moda, occorrera` aspettare il secondo dopoguerra.

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“Damnatio memoriae” 782 Ab Urbe Condita. 29 A.D.

«Finalmente sono morta e cremata, altrimenti non potresti leggere queste note. Fammi dire prima di tutto che non ho alcun rimpianto, sia per essere morta, sia per aver aiutato tanti dei miei parenti nella loro prematura dipartita. Tutto cio` che ho fatto, l’ho fatto per il bene di Roma. Cio` che piu` conta ora e` il motivo di questa mia lettera: Lucio Elio Sejano. Abbiamo gia` parlato di lui l’ultima volta che ci siamo incontrati. Il fatto stesso che tu stia leggendo questa mia e` segno che non c’e` piu` tempo per chiacchiere. Quell’uomo e` una pianta maligna, un pericolo per Roma e deve essere estirpato. No, non ho mai amato metaforici eufemismi, Sejano deve essere ucciso». Queste straordinarie istruzioni d’oltretomba dell’imperatrice Livia, dirette a Claudio Valerio Didius, hanno determinato la caduta e la fine di Lucio Elio Sejano, capo supremo della Guardia Pretoriana ed Eminenza Grigia dell’imperatore Tiberio a Roma. La condanna e` stata per lui e per la sua progenie la “Damnatio Memoriae”. Ucciso Sejano i suoi discendenti, privati della cittadinanza romana, esiliati nell’Ellesponto, sono stati espropriati persino del loro patronimico. Quarantacinque anni dopo, Roma e` percorsa da una terribile persecuzione che sembra abbattersi sugli ultimi discendenti della dinastia Giulio-Claudia. L’ombra di Sejano si affaccia agli albori della dinastia Flavia per incassare la sua vendetta...

Personaggi fissi della serie

Marcus Didius ` un ricco e colto revisore dei conti ed esattore dell’erario per Flavio E Vespasiano. Ha gli occhi e i capelli neri, tagliati corti, il viso glabro dai lineamenti regolari e virili, tipicamente latini.

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Prende quotidianamente il bagno nelle terme di casa sua o in quelle pubbliche, facendolo sempre seguire da un buon massaggio. Cura molto il suo abbigliamento, scegliendo colori sobri e tessuti di grande finezza. Da buon Romano e` un inveterato giocatore, preferendo pero` giochi di astuzia e di grande perizia come i latrunculi (gli antenati Romani degli scacchi) ai dadi o altri giochi d’azzardo. Parla e scrive perfettamente sia il Greco che il Latino. Dal giorno in cui ha scoperto la sua vocazione di investigatore, si butta in ogni indagine con la curiosita` umana che gli e` propria, sfrondando gli indizi da ogni traccia superstiziosa o soprannaturale per riportarli sempre all’esame della ragione: da buon epicureo, infatti, Marcus Didius non crede affatto all’esistenza degli de`i, anche se continua, per annosa abitudine, ad invocarli o imprecarli. Ma non e` tanto sugli indizi materiali che fa conto, bensı` su quelli psicologici, che includono un’attenta valutazione della personalita` dei sospetti e dei moventi che possono aver spinto l’assassino ad agire. Ha un grande senso della giustizia, tuttavia chiude volentieri un occhio sui “peccati veniali”, i cui responsabili – ladruncoli, imbroglioni, matrone di facili costumi, schiavi insubordinati – perdona facilmente, mentre perseguita senza pieta` i “grandi colpevoli”, che hanno perseguitato, oppresso, ucciso.

Anacritus ` il socio e pupillo di Marcus Didius che lo accompagna in tutte le sue E avventure, traendolo spesso di impaccio nelle situazioni piu` spinose. Anacritus e` magro, agile, svelto e ha un viso piacevole e intelligente; nessuno conosce la sua vera eta`, ma si suppone che sia di un paio di anni piu` giovane dell’esattore. Sempre elegantissimo, grazie al guardaroba del suo socio a cui attinge con o senza permesso, ha grande successo con le donne, a cui estorce con grande facilita` favori e informazioni.

Elena Giustina Compagna di Marcus Didius da cui ha avuto una bambina di nome Julia Junilla.

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Maja Giovane sorella di Marcus Didius, bella e attraente, alla ricerca di una propria sistemazione.

Famius Marito di Maja, sempre alla ricerca di qualcosa da bere.

Camillus Corvinus Senatore, padre di Elena, sempre alla ricerca di qualcuno da proteggere.

Claudia Rufina Un’ereditiera delusa in amore.

Fabricius Aelianus Un ottimista disperato.

Lenia Moglie di Smaractus, alla ricerca di liberarsi del marito.

Smaractus Alla ricerca di afferrare il denaro della moglie.

Thalia Un’esotica proprietaria di Circo.

Augusto Flavio Vespasiano Imperatore e Censore, costruttore del Colosseo.

Antonia Caenis Amante dell’Imperatore.

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Claudius Laeta Solitario amministratore del Palazzo Imperiale.

Rutilius Gallicus Inviato speciale dell’Impero in Tripolitania.

Pomponius Urtica Un pretore che non ha mai commesso nulla di illegale.

Inoltre Gladiatori, Mercanti, Centurioni e Circensi.

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L’INDAGINE DI VIA RAPALLO di Carlo Lizzani

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PRIMA PROPOSTA

Il nuovo romanzo di Raffaele Crovi, un thriller metropolitano ambientato a Milano, mi sembra collocabile agevolmente anche a Roma. Lo scenario in cui i suoi personaggi si muovono e` un palazzone in degrado dove, come in un villaggio verticale, uomini e donne combattono sbandati contro la solitudine... La morte di un inquilino, forse conseguente a un delitto, coinvolge ciascun abitante del palazzo in una catena di sospetti. Tra i personaggi: uno scrittore, una mannequin, un usuraio, una guaritrice, due ladri, un politico fallito, una donna in carriera, un gay inquieto, un deejay, il proprietario di un Eros Center, un adolescente filosofo, una misteriosissima ragazza esperta in sparizioni e apparizioni, un “consulente” di extracomunitari in difficolta`. Al centro, come deus ex machina, un poliziotto che, mimetizzandosi tra questi personaggi come un idraulico di buona volonta`, riesce, circolando insospettato nei vari appartamenti, a capire i segreti di tutti, e a percorrere con cautela e astuzia il sentiero che lo portera` alla soluzione del mistero. Anche su questo palazzone (pensato dall’autore a Milano ma in realta` luogo simbolico di aggregazione di tante realta` metropolitane oggi universali) possono incombere le ombre inquietanti della Roma antica e medioevale proposta da Augias come scenario unificante per i tre “thriller” presentati dal “Gruppo Minerva”. Certi grandi edifici di fine ottocento o dei primi anni del secolo, situati nella zona che va da Piazza Vittorio al Colle Oppio, e dai cui attici si intravede il Colosseo, sono attendibili con le loro sagome austere e inquietanti come punto di incontro di uomini e donne dalla provenienza sociale e antropologica piu` varia. E tutti permeabili a quella atmosfera che i secoli hanno depositato negli angoli piu` nascosti di Roma.

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SECONDA PROPOSTA (da un romanzo inedito di Alberto Liguoro) SANGUE SULL’APPIA ANTICA

Una catena di oscuri delitti nel mondo dell’alta finanza... I personaggi: appartengono tutti a quello che una volta era chiamato il jet set. Oggi i confini di quel mondo si sono ancora di piu` allargati fino a comprendere da una parte frange delle nuove mafie, e dall’altra gestori di interessi colossali, tanto insospettabili quanto ambigui. Lo scenario chiave: una grande villa sull’Appia Antica, dove i personaggi si ritrovano periodicamente. La storia: Ben Forsythe e` un “vincente”. Figlio di un diplomatico americano e di una contessa veneziana, e` nato a Roma (dove anche il padre volle finire i suoi giorni al termine della sua carriera), si e` laureato a Londra e ha conquistato i suoi primi successi a Boston. Da qualche anno divide il suo tempo tra i suoi uffici di Monaco e Lussemburgo e la sua villa sull’Appia Antica. I suoi interessi sono i piu` vari, ma il comune denominatore e` ` il successo. Il danaro e` lo strumento principale del suo potere. E abile e risoluto. Appare freddo, ma e` difficile che susciti antipatia. Piu` difficile coglierne gli aspetti di simpatia, che pero` molti amici gli riconoscono. Un giorno il suo elicottero va in panne, proprio quando e` in vista di quelle rovine che preannunciano l’antico tracciato dell’Appia. Nell’incidente, il pilota muore e Ben resta in coma per parecchi giorni. Ma la fortuna, come sempre, lo assiste; la ripresa e` rapida, e dopo un paio di mesi la sua intensa esistenza ricomincia come prima. Ma qualcosa di nuovo – per lui – e` accaduto. Un dubbio ha cominciato a tormentarlo: si sara` trattato di un incidente, o qualcuno avra` attentato alla sua vita? Un passo dopo l’altro, Ben giunge ad una certezza per lui sconvolgente, perche´ mette in giuoco le due cose piu` importanti della sua vita: la sua infallibilita` di capitano dell’alta finanza, e la trasparenza e sicurezza della sua vita privata. In sostanza: le mani che si nascondono dietro l’attentato sono quelle di sua moglie Alexandra e del suo amante: Claudio Orlandi, un giovane finanziere rampante cresciuto proprio alla sua corte.

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Ben, grazie al suo carattere freddo, che sempre riesce a prendere il sopravvento, tiene per se´ la scoperta, e comincia a preparare la sua vendetta. Le prime mosse sono contro Claudio, per distruggerlo, intanto, sul piano finanziario, e demolirlo agli occhi di sua moglie. Ben, infatti, si illude ancora di riconquistarla. Vuole convincersi che Alexandra e` stata soltanto vittima dei raggiri di Claudio. E che il distacco della sua donna e` dovuto anche agli anni di crescente freddezza provocati dalla sua maniacale concentrazione nel lavoro. Ma quando si accorge che, malgrado il crollo economico di Claudio e la sua umiliazione, il rapporto tra i due continua e sembra rafforzarsi, Ben decide che e` giunta l’ora di eliminare fisicamente il suo rivale. Ma il lavoro “sporco” va fatto da un altro o da un’altra. Ben ha troppi amici, a Roma, come a Parigi o a New York. Ma il braccio armato e` pronto e piu` vicino di quanto lui si aspetti. Un finanziere di origine libanese, suo amico, un certo Ylon ha, anche lui, ragioni di odio nei confronti di Claudio Orlandi. Ma anche Ylon e` troppo in alto per sporcarsi le mani. Frequentatore da anni, per tanti week-end, della villa di Ben, ne conosce, o ne intuisce, antichi e nuovi segreti; ed e` pronto (per carpire i suoi favori in relazione a un nuovo colossale affare che li vede possibili alleati) a fornirgli un suggerimento prezioso. C’e` in carcere, a Rebibbia da due anni (e sembra ne debba scontare altri tre) una ragazza di nome Deborah. Lei e suo fratello erano stati condannati a pene assai pesanti in seguito a bancarotta fraudolenta. Il fratello, in conseguenza dello scandalo e ritenendosi innocente, si era suicidato. L’autore delle operazioni finanziarie disastrose che avevano portato alla rovina la famiglia di Deborah era stato proprio Claudio Orlandi. E Deborah aveva giurato di fargliela pagare, un giorno. L’aveva urlato in tribunale... Ben mobilita i migliori avvocati d’Europa per facilitare uno sbocco positivo nel processo che Deborah e` riuscita a far riaprire... E inoltre fa giungere alla ragazza un messaggio in cui sono contenuti espliciti impegni che le garantiranno una rapida scomparsa all’estero e un sostegno economico di straordinaria rilevanza, una volta compiuta la vendetta, e cosı` tre misteriosi colpi di pistola mettono fine alla vicenda di Claudio Orlandi. Ma c’e` un elemento dell’equazione che Ben non riesce a controllare: Alexandra. La donna ha capito che dietro la morte di Claudio

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c’e` Ben, e lo affronta. Ben per la prima volta perde il controllo di se stesso. La sua rabbia esplode e diventa a poco a poco un’aggressione fisica incontrollata che si tramuta in incidente mortale... Un tragico errore. Al quale pero`, con la sua freddezza mette riparo tempestivamente con l’aiuto di una sua ex amante, Margot. La morte di Alexandra, ufficialmente riconosciuta da tutti come conseguenza di una accidentale caduta dalla finestra dell’hoˆtel di Monaco dove e` stata celebrata la fine d’anno insieme ad altri amici del loro giro, viene universalmente accettata come suicidio. Anche la stampa piu` scandalistica fa sua questa versione. Il fattore decisivo e` l’alibi che Margot, ancora innamorata di Ben, e` riuscita a fornirgli. Anche lei, quella notte, era nell’albergo dove e` stata celebrata la fine d’anno. Ma Ben, intanto, e` diventato piu` vulnerabile su un altro fronte: quello del delitto Orlandi. Sta giungendo infatti il momento in cui l’amico finanziere Ylon comincia a esigere il prezzo del suo silenzio. Anche Ylon – come tanti protagonisti delle tempeste finanziarie che attraversano l’Europa – si trova al centro di una “turbolenza” che potrebbe spazzarlo via da un momento all’altro. E chiede a Ben, in cambio della sua discrezione, un colossale trasferimento di titoli in Borsa a suo favore. Ben, di fronte alla richiesta spropositata, reagisce al ricatto. La sua grinta di “vincente” affiora ancora una volta con tutta la sua impetuosita`. Questa volta, pero`, trova nel finanziere libanese un formidabile avversario. Anche Ylon ha un suo piano, per piegare Ben. E la sua arma segreta e` una giovane amica, una top model che sta emergendo a fama internazionale per i suoi tratti esotici. Si chiama Diane, e Ben ne rimane folgorato. Legata a Ylon da un rapporto che lascia trasparire tratti ambigui e incestuosi (e` forse una sua figlia segreta? una giovane sorella?) nelle sue fugaci apparizioni durante le feste che hanno ripreso ad animare la villa dell’Appia Antica, lascia sempre ` insieme a lei dietro di se´ una traccia di mistero e di inafferrabilita`. E che Ylon concerta un piano per incastrare definitivamente Ben, l’eterno “vincente”, che non vuol credere al ricatto. Nel corso di una festa sull’Appia Antica, a cui partecipa il solito gruppo di amici, avviene un terzo misterioso delitto. La vittima e` Margot, che dopo la morte di Alexandra e` diventata una presenza quasi fissa al fianco di Ben. E Ylon, autore del delitto, con la complicita` di Diane, lascia tracce inconfondibili che possono portare inevitabilmente a Ben.

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E cosı` Ben “regista” della morte di Claudio Orlandi, e responsabile dell’incidente che ha causato la fine di Alexandra, potrebbe pagare il suo conto con la giustizia per un delitto non commesso. ` il “postino” che forse rischia di suonare Una vendetta esemplare. E per la terza volta... Ma anche l’equazione di Ylon ha una incognita: Diane. Anche lei ha subı`to – malgrado tutto – il fascino del “vincente”. E forse e` questa la scintilla che fa scattare una ribellione all’antica ambigua soggezione che per troppi anni l’ha legata a Ylon. Diane passa dalla parte di Ben, e per la terza volta il “vincente” riesce ad avere ragione degli avversari e degli eventi a lui contrari. Certe “prove” preparate ad arte si dissolvono come neve al sole. Ora e` Diane la padrona di Ben. Nella villa sull’Appia, la sua presenza e` sempre piu` incombente. E in fondo tutto quello che fa la fortuna di Ben, il suo destino di vincente, il suo impero finanziario, e` nelle sue mani. Resistera` alla tentazione di diventare lei, un giorno, il personaggio “vincente”? Le domande che lo spettatore puo` porsi, difficilmente potranno avere una risposta dallo sguardo di Diane, con cui, in primissimo piano, si chiude il film. La scommessa resta aperta.

TERZA PROPOSTA IL “RACKET DEL COLOSSEO

L’immigrato, il diverso, il potenziale “nemico”. Quei volti esotici dietro i quali chissa` quanti segreti si nascondono – forse solo amore, tenerezza, o magari odio, potenzialita` trasgressive. Tutto questo fa parte, oramai, del paesaggio urbano, antropologico di ogni grande citta` d’Occidente. Roma ha accolto tardi, rispetto a Londra, Parigi, Berlino, questa nuova realta`. E per qualche anno e` sembrata indifferente al fenomeno, forse per le sue proporzioni ancora quantitativamente modeste. O forse perche´ tante pietre della nostra antica citta` risuonano ancora del passaggio di quei gruppi etnici che da tutte le parti del mondo conosciuto convergevano in schiavitu`, verso la metropoli di Augusto. O piu` tardi, da conquistatori, nel corso delle invasioni barbariche.

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Non c’e` rovina, a Roma: monumento, acquedotto, tempio, tomba o selciato su cui queste presenze, in successive ondate, non abbiano lasciato il segno. Non bastano i secoli a cancellare certe impronte. E per questo, in certi angoli di Roma dove si affacciano i simulacri del passato, sembrano addirittura naturali queste nuove presenze. Un gruppo etnico particolarmente turbolento e` quello degli Albanesi. Il film potrebbe raccontare i conflitti, all’interno di questo gruppo etnico, per il predominio nel campo della droga o della prostituzione minorile. Nessuna altra metropoli dell’Occidente puo` gettare ombre e riverberi altrettanto misteriosi e inquietanti su queste nuove realta`, fornire uno scenario cosı` ambiguo alla ennesima messa in scena del “mestiere piu` antico del mondo”. La sparizione di due ragazze, e un oscuro delitto, costringono la polizia a fare luce su questo ambiente. Al centro della vicenda un giovane investigatore italiano, che riesce a vincere la sua battaglia con l’alleanza di una ragazza albanese inserita con un lavoro onesto nella vita normale della nostra citta`.

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L’UOMO CHE COMPRAVA IL TEMPO di Carlo Lizzani

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Premessa In un mondo sempre piu` dominato dalle tecnologie, anche la realta` quotidiana – terreno di osservazione per la commedia o per il comico – deve entrare in dimestichezza, essere messa a confronto, con le sorprese che ci verranno da tante scoperte farmacologiche, biotecnologiche ecc. I progressi in questo campo sono talmente esponenziali che nessuno puo` considerare fantascienza vicende che potrebbero verificarsi benissimo tra cinque, sette, dieci anni, in un mondo che – nei costumi e nella scenografia urbana – non sara` molto differente da quello di oggi. (Questo per non preoccuparci subito del costo delle ambientazioni).

“L’uomo che comprava il tempo” Se e` vero che “il tempo e` denaro” perche´ non dovrebbe essere inventata un giorno una apparecchiatura (penso a uno scafandro tipo “risonanza magnetica”) capace di passare quantita` di tempo da un corpo all’altro? Si potrebbe in tal modo rifornire di questa favolosa materia prima certe persone particolarmente dinamiche, attingendo a quelle enormi quantita` di tempo che restano invece ogni giorno inutilizzate (cosı` almeno si crede) nel corpo, nel cuore, nel cervello di tanti individui poco attivi o disoccupati. Ma anche il patto tra colui che ha i mezzi per comperare il tempo e colui che, spinto da necessita` economiche, gliene vende porzioni sempre piu` consistenti, riserva alla lunga sorprese di ogni genere. Anche il pigro, lo sfaccendato che con leggerezza ha venduto il suo tempo, si accorge che quando la sua giornata e` ridotta a un’ora o due finisce per non godere del suo ozio. E ci ripensa. E il poveraccio che ha cominciato a vendere il tempo per necessita` economiche vede il suo corpo invecchiare rapidamente e avvicinarsi il traguardo della

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consumazione finale. E vive la ribellione e la disintegrazione della sua famiglia... Ma e` possibile tornare indietro per chi ha venduto il suo tempo? L’uomo che e` riuscito – grazie al tempo comprato – a conquistare un grande potere decisionale e forti posizioni di dominio (lavora ventiquattro ore su ventiquattro con tre staff che – dandosi i turni – lo inseguono con affanno), ha cominciato a riservare le sue energie anche ai viaggi, al gioco, alle donne. La sua vita si complica enormemente, perche´ le tante opzioni che ora gli si offrono si intrecciano tra loro in modo esponenziale ed esplosivo. Riesce sı` a gestire cinque corporation contemporaneamente e a convivere con tre donne, ma si moltiplicano le beghe familiari. I figli veri e quelli acquisiti entrano in conflitto permanente. Drappelli di avvocati e commercialisti lo braccano giorno e notte. Si moltiplicano gli interventi a dibattiti e inchieste televisive. Via via che qualcun altro lo imita insorge l’opinione pubblica. Si minacciano interventi legislativi contro queste nuove forme di monopolio e di colonizzazione... L’uomo che ha comprato il tempo e quello che glielo ha venduto si incontrano segretamente, di notte disperati... Come andra` a finire? Puo` essere un grande film. Una grande occasione per far lavorare insieme due comici di nome. O un grande attore italiano e uno straniero...

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NAPOLI 1799 di Carlo Lizzani

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Traendo spunto dagli studi fondamentali di Benedetto Croce sul Regno di Napoli, e` possibile, oggi, giungere ad una operazione multimediale di grande rilevanza culturale e di dimensione europea. In base alle vigenti leggi della Comunita` Europea, i progetti che coinvolgano un minimo di tre Paesi e che abbiano requisiti di spettacolarita` possono accedere – nell’ambito dei regolamenti specifici cinematografici e televisivi – a fonti di finanziamento privilegiato o a varie forme di incentivazione o defiscalizzazione. Tra i possibili “tagli” narrativo-spettacolari che possono inquadrare le vicende umane e storiche che hanno come epicentro l’anno 1799, ne propongo uno di particolare suggestione. Si tratterebbe di portare in primo piano – su uno sfondo denso di figure e di avvenimenti di eccezionale rilievo storico – quattro personaggi femminili di notevole spessore drammatico e psicologico: la Sanfelice, la Pimentel, la Regina Maria Carolina e Lady Hamilton. Il conflitto tra futuro e passato, tra liberta` e conservazione – letto e vissuto attraverso un cosı` articolato repertorio di sensibilita` femminili – potrebbe suscitare emozioni e riflessioni in fasce estese di pubblico in ogni parte del mondo. Per multimediale intendo la possibilita` di raccontare la vicenda sia attraverso un film, che nella misura piu` lunga della miniserie televisiva (due o piu` puntate). La promozione del programma cinematografico e audiovisivo potrebbe essere effettuata attraverso una messa in scena teatrale sullo stesso tema, da realizzare all’aperto la prossima estate in una zona di Napoli densa di memoria storica. Una iniziativa produttiva che, partendo da Napoli, dia l’avvio a un progetto cosı` naturalmente inserito entro il quadro ampio della cultura europea, puo` aggregare facilmente reti televisive o produttori privati di vari Paesi sensibili al problema del miglioramento del gusto del pubblico, e interessati a muoversi nelle dinamiche economiche previste, appunto – per il cinema e la televisione del nostro Continente – dalla Comunita` Europea. Come e` noto, sono rari i soggetti autenticamente “Europei”.

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Noi autori abbiamo sempre inteso le misure della Comunita` come incentivo allo sviluppo espressivo delle varie identita` nazionali. Ma esistono, nella storia del Continente, anche eventi in cui una vicenda locale viene a intrecciarsi profondamente con il quadro sovranazionale, assumendo un significato universale. Napoli 1799 e`, in questo senso, un caso esemplare.

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LEZIONI DI CINEMA Progetto di Carlo Lizzani

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TRE VIDEOCASSETTE DI UN’ORA: 120 minuti brani di film / 60 minuti dal vivo. Per le riprese dal vivo: Disponibilita` di un piccolo Studio con: Lavagna Videoproiettore Tabellone Tavolo con sei seggiole (necessario per la “dimostrazione” di uno dei giuochi piu` complicati che si presentano al regista quando bisogna “raccontare” un pranzo, la seduta di un gruppo di persone che discutono ecc.). Lo stesso piano del tavolo puo` essere utilizzato per “raccontare” (con soldatini) una battaglia. Letto o poltrona per esercitazione sul problema del Nudo. Esercitazione con due attori sulle regole degli sguardi. Il Campo e il controcampo. Durata delle riprese dal vivo in Studio (o esterni adiacenti): 5 giorni. (Compresa la esposizione – lettura dal vivo di una parte del testo). Eventuale disponibilita` di una VERTICALE per descrizione particolareggiata di fotografie o fotogrammi fissi. Riprese fuori Sede (se lo Studio e` a Milano) Cinecitta`. Strutture scenografiche Il Parco Lampade I modellini 1 Giorno Bologna: Mostra della tecnica precinematografica e cinematografica 1 Giorno

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Riversione di varie sequenze dai vari film delle Collezioni RCS (per circa 120 minuti) Costo diritti per citazione di sequenze di alcuni film fuori listino. Non piu` di 15-20 minuti (in tutto), ma essenziali, da: Un film muto americano Un film muto italiano Due “classici” sovietici Un film dell’Avanguardia Un film francese e uno tedesco degli anni Trenta Un classico neorealista Un classico Nouvelle Vague Un classico Cinema tedesco anni ’70 (Fassbinder o Wenders o Kluge) Noleggio (da qualche Cineteca) di 150/200 foto di film importanti fuori listino RCS Edizione Saletta montaggio con montatore per 6-8 giorni (Comprensivi della fase premontaggio: ralenti, fotogrammi fissi ecc.) Prestazioni professionali: Troupe (Operatore e assistente/Fonico/1 macchinista/1 elettricista/Aiuto regista/Produzione) 2 Ricercatori 2 Giovani attori/3-4 comparse/Modella Nudo. Lizzani: Soggetto/Sceneggiatura/Testimonial /Regia/Edizione

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LA PAURA Soggetto di Carlo Lizzani Altri possibili titoli: PRIGIONIERO DELLA PAURA IL SENTIERO DELLA PAURA QUEL PONTE DEI FRATI NERI...

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Tra un uomo che ha paura e LA PAURA, questo sentimento indicibile e angoscioso, si stabilisce spesso quel rapporto vittima-carnefice su cui si e` tanto scritto e filmato. ` una partita a scacchi che a volte puo` durare anni, a volte mesi, E a volte giorni, ed e` sempre – comunque – terrificante, perche´ uno dei due protagonisti (anzi, dei partners), e` impalpabile e indecifrabile. E forse solo alla fine – quando per la vittima e` troppo tardi – si decide a svelare il suo volto nascosto. Una partita a scacchi, un duello del gatto col topo: perche´ la paura esercita una fascinazione obliqua e perversa e la vittima finisce per scegliere da sola il proprio percorso. Un percorso tortuoso ma che inevitabilmente la calamitera` proprio verso la zona della cattura e della morte. ` il sentiero che il banchiere Calvi percorrera` nell’ultimo periodo E della sua vita, e, via via, in progressiva accelerazione, proprio negli ultimi giorni, che lo vedranno a Trieste, poi in Austria, poi a Londra, e infine nelle mani dei suoi killer, sotto il famoso Ponte dei Frati Neri. Come spiegare, infatti, che un uomo come Calvi, che ha frequentato le personalita` piu` in vista del mondo politico ed economico europeo e americano, che ha trattato alla pari con personaggi come Marcinkus, Sindona, che ha intrattenuto un carteggio importante col Vaticano, che ha saputo portare a termine operazioni finanziarie acrobatiche al di qua e al di la` dell’Atlantico, che ha saputo tenere in scacco la Banca d’Italia e un agguerrito Consiglio d’amministrazione del Banco Ambrosiano, finisca negli ultimi giorni della sua vita per concedere fiducia a personaggi sempre piu` improbabili e inattendibili, e a cadere, alla fine, nella trappola tesagli da alcuni semplici “soldati” dell’esercito mafioso? Come spiegare che questi incontri, queste immagini di fasto e ricchezza, che Calvi ha vissuto nei piu` famosi Palazzi del Potere a Roma, a Londra, a New York (e che appariranno in rapidi flash back durante le ultime notti insonni di Londra), come e` possibile insomma, che i ricordi delle tante avventure vissute da protagonista non offrano a

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Calvi il punto d’appoggio per risalire la china “alla grande” e schivare in extremis il baratro che si sta spalancando sotto i suoi piedi? Una sola spiegazione: la PAURA. Il sentimento, appunto, che fa finire la pallina impazzita del biliardino proprio nel buco piu` pericoloso... Paura di che? Della resa dei conti. Il prezzo altissimo da pagare a chi gli ha affidato, per anni, miliardi di dollari, e rischia di non vederne il ritorno o trarne l’adeguato (altissimo) interesse. Milioni e milioni di dollari non di modesti risparmiatori (ci sono anche questi nel conto, ma non saranno loro ad armare i killer vendicatori!). Milioni e milioni di dollari di avventurieri della finanza come Marcinkus – che sanno pero` muoversi con abilita` e malgrado tutto nell’area della legalita` – come Sindona... Ma soprattutto i dollari della Mafia. Danaro sporco da “pulire” e da riciclare. All’epoca della morte di Calvi fu data a Marcinkus, forse, una responsabilita` eccessiva, e venne da piu` parti suggerito come strada maestra per arrivare a risolvere il mistero della morte del banchiere un sondaggio nell’area della grande finanza vaticana. Pochi credevano al suicidio, e quasi tutti alla vendetta di qualche “Potenza” tradita. Erano troppi gli errori, le truffe e in definitiva le perdite di Calvi, perche´ egli non meritasse di essere giustiziato. Ma bisogna dire che dieci anni fa non era diventata chiara all’opinione pubblica mondiale (quel “senso comune” su cui si basa anche l’orientamento della giustizia) l’entita` delle somme liquide gestite dalla Mafia attraverso la droga e gli altri traffici internazionali. Oggi possiamo meglio immaginare la sapienza e il rigore con cui la Mafia gestiva questa enorme ricchezza illegale, e come questa gestione attraverso terzi non consentisse errori, e tanto meno trasgressioni, e meno ancora truffe e malversazioni. Oggi che e` tutto piu` chiaro, dopo le dichiarazioni di alcuni pentiti che hanno indicato con nome e cognome l’esecutore materiale del delitto, il film sul mistero Calvi puo` finalmente essere realizzato. Infatti un film puo` sostenere fino ad un certo punto il duello tra un uomo e un sentimento, ma alla fine questo sentimento – la paura – che conduce il protagonista, mossa dopo mossa, a compiere il passo fatale, deve avere un volto o piu` volti riconoscibili e palpabili. I volti sono tre. Quello dell’uomo che lo attirera` verso l’imbarcadero per quello che Calvi spera sia l’appuntamento decisivo: un

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incontro con il capo dell’organizzazione criminale con cui trattare la resa. A cui promettere un piano di restituzione di quei tanti e tanti milioni di dollari per troppo tempo oscuramente amministrati. Poi il volto dell’uomo che lo condurra` verso una meta sempre piu` oscura lungo il Tamigi. E infine quello dell’uomo che gli stringera` intorno al collo il cappio, penzolante dal Ponte dei Frati Neri. Un volto che Calvi non riuscira` a vedere, perche´ l’uomo gli piombera` alle spalle dall’alto. Dopo quella notte di tanti anni fa si dibattera` a lungo il problema: suicidio o omicidio? Forse il mistero durera` ancora a lungo. Il buio delle prigioni londinesi o italiane dove vivono i presunti killer, il labirinto entro il quale le versioni dei pentiti si incrociano, si saldano o divergono, l’abilita` della mafia nel far scomparire le tracce anche fisiche delle “esecuzioni”, probabilmente renderanno questo buio e questi sentieri obliqui, ancora piu` contorti e bui di quell’ultimo percorso di Calvi nella notte londinese. Ma in fondo che differenza c’e` tra un suicidio e un omicidio, quando la vittima – guidata dalla paura – va ad incontrare, passo dopo passo, i propri giustizieri? Si potrebbe anche concludere: Calvi si e` suicidato perche´ – non volendo – si e` fatto suicidare. Spinto dal panico, ha offerto ai propri nemici tutte le carte e le pedine per quella incredibile messa in scena dei Frati Neri, che resistera` negli annali della criminalita` come una delle piu` fantasiose, intriganti e allucinanti di questo secolo.

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GUERRA DI DONNE (NAPOLI 1799)

Soggetto di Carlo Lizzani e Lucio De Caro

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L’ondata rivoluzionaria propagata in Europa dalla Rivoluzione francese riesce a scuotere, sia pure per un breve periodo (1798-99), una delle scene piu` immobili, uno dei Regni piu` conservatori del Continente: quello dei Borboni a Napoli. In questo episodio nobile e straordinario giganteggiano quattro figure di donne. Ecco le quattro eroine che, nel bene o nel male, dalla parte delle vittime o da quella dei carnefici, dominano il quadro della rivoluzione giacobina di Napoli del 1799: Eleonora de Fonseca, Luisa Sanfelice, Carolina di Borbone, Emma Hamilton. La prima, Eleonora Fonseca Pimentel, intellettuale, aristocratica, innamorata della sua professione di giornalista e dell’idea di rivoluzione liberale. La prima eroina femminista della nostra storia. «Eleonora chiese in grazia di ricevere la morte con la scure e non con il laccio». La Corte non accolse la domanda e lei «prima di avviarsi al patibolo, volle bevere il caffe` e le sue parole furono: un giorno bisognera` ricordarsi di questo». Poi, con un’alzata di spalle all’indirizzo della folla sanfedista che la ricopriva di oscene invettive, porse il collo al boia. La feroce Musa popolare di quei giorni commentava: «’A signora donna Lionora – che cantava ncopp’o triato – mo abballa nmiezo ’o Mercato – Viva ’a forca ’e Mastro Donato – Sant’Antonio sia priato». In contrasto con l’elegante ed eroico distacco di Eleonora, la disperata lotta per la vita di Luisa Sanfelice, anch’essa appartenente alla classe alta, perche´ moglie di un aristocratico dissipatore e debosciato. Luisa Molino Sanfelice e` una sciocchina piena di sentimento la quale, innamoratissima di un repubblicano (forse lo stesso Vincenzo Cuoco), rivela al comitato giacobino la congiura dei Baccher, partigiani del Re che preparano la restaurazione mediante il terrore. I nemici della repubblica vengono arrestati e uccisi. Luisa viene acclamata salvatrice della Patria, ma la sua gloria sara` breve: in realta` e` come se la sua testa fosse rotolata nel paniere assieme a quella dei cospiratori.

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Prima ancora che il cardinale Ruffo abbia condotto alla riconquista della citta` l’esercito straccione e fanatico dei lazzaroni, il Re ordina da Palermo che Luisa sia arrestata ed esemplarmente punita per il suo tradimento. Dopo la breve e dolorosa agonia della Repubblica Giacobina, comincia l’agonia interminabile e atroce di Luisa. Arrestata e condannata alla decapitazione, viene portata due volte nel confortatorio dei Bianchi dove si preparano i condannati ad affrontare il supplizio. Per due volte il momento estremo viene rinviato. A Luisa, qualcuno degli incappucciati suggerisce di fingersi incinta, poiche´ la consuetudine e` quella di commutare la pena per le donne in attesa. Subito si mette in moto una congiura della compassione: non si trova in Napoli un solo medico disposto a smascherare la giovane donna che lotta per la vita. Anche Villari, il medico personale del bieco ministro di polizia, Nunziante, attesta la gravidanza per buona. Piu` tardi, Nunziante rimprovera l’uomo di scienza per questo. E il Villari gelidamente gli risponde: «Consigliere, se c’e` qualcuno che merita la forca, quello siete voi; ma se foste condannato a morte e voi diceste di essere gravio, io l’attesterei». Non servira` a nulla. Il Re fa trascinare Luisa a Palermo e qui si trovano medici per attestare che la gravidanza e` simulata. Praticamente, il certificato di questi medici indegni e` una condanna a morte con effetto immediato. Non servira` nemmeno la piccola trama domestica ordita dalla Regina Carolina o dalla figlia Maria Clementina. Costei ha dato alla luce un erede maschio per la Corona. Tradizione vuole che la puerpera abbia diritto a tre favori. La principessa ne chiede uno solo: grazia per l’infelice Luisa. Racconta il Colletta: «Il re, mirandola biecamente, depose o quasi getto` per furia l’Infante sulle coltri materne e senza dir motto uscı` dalla stanza, ne´ per molti giorni vi torno`». Una regia nave porta a Napoli l’annuncio che e` nato l’erede ai trono e, nella stiva, la condannata a morte con l’ordine sovrano “di dar corso alla giustizia». Luisa, in piazza del Mercato, viene trascinata al patibolo in mezzo ad una folla piangente. «Impietosito il popolo al triste fato di bella giovane donna, chiara di sangue e di sventure, solcata in viso dalla tristezza e dagli stenti, rea di amore o per amore». «Ognuno la compiangeva considerando le sue vicende e la sua morte quasi a sangue freddo».

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La scena che segue e` abbietta o terrificante: «Il carnefice si turbo` e lascio` cadere in fretta la scure sulle spalle della vittima: sicche´ poi, fra le grida di indignazione del popolo, fu costretto a troncarle la testa con un coltello». Abbiamo visto Carolina impietosirsi per la sorte di Luisa, ma non lasciamoci ingannare da questo slancio. La regina venuta dal freddo (era tedesca) e` una furia vendicatrice, odia e disprezza gli insorti, manovra Re Ferdinando come se fosse una marionetta, ne eccita la crudelta` anche quando il regale marito ha momenti di stanchezza. «La Corte di Napoli era la Corte delle irresoluzioni, della vilta`, e in conseguenza delle perfidie: la Regina e il Re eran concordi solo nell’odiare i francesi (ed i patrioti, N.d.R.), ma l’odio del re era indolente, quello della regina attivissimo». E quindi Carolina briga per far largo, nella corsa al potere, al suo favorito Acton e spinge Nelson ad affrettare la condanna dell’eroe marinaro napoletano, ammiraglio Caracciolo. In questa opera le si affianca Lady Hamilton, Emma Lyons, consorte del rappresentante di S. M. Britannica a Napoli. Anche lei fa ballare suo marito come una marionetta e nello stesso modo domina Nelson, l’eroe della marina inglese. Lo induce a far giustiziare l’italiano, procurandosi in eterno perdita dell’onor militare e infamia personale. La morte di Caracciolo e` pagina degna della penna teatrale di Shakespeare. All’accusa di aver disertato, l’Ammiraglio napoletano risponde con insolenza esser stato lui e i suoi marinai abbandonati dal Re fuggiasco. E, poi sul ponte dell’ammiraglia inglese, mentre aspetta di essere appeso per il collo all’albero piu` alto, Caracciolo passeggia tranquillo e parla di navi e di vele. «Intanto un marinaio aveva ricevuto l’ordine di preparargli il capestro. La pieta` glielo impediva: egli piangeva sulla sorte di quel generale sotto i cui ordini avea tante volte militato. “Sbrigati, gli ` ben grazioso che, mentre io debbo morire, tu disse Caracciolo. E debbi piangere”. Si vide Caracciolo sospeso come un infame all’antenna della fregata Minerva; il suo cadavere venne gettato in mare. Il re era ad Ischia e venne nel giorno seguente, stabilendo la sua dimora nel vascello di Nelson. Dopo due giorni il cadavere di Caracciolo apparve sotto il vascello, sotto gli occhi del re». Si e` detto come la Regina Carolina avesse brigato con il cardinale Ruffo per ottenere la testa di Caracciolo. Lady Hamilton aveva fatto, dal canto suo, la propria parte nel letto di Nelson. Ecco, appunto, Emma e` l’ultima figura del tragico quartetto di dame, ma non la piu` sbiadita. Come Carolina tiene in pugno il Re, essa tiene in pugno la

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Regina. La prima dama di Napoli e` affascinata da questa donna di estrazione plebea, capace di abbandonarsi senza freni ai propri vizi. Forse anche la Regina vorrebbe cambiare amanti con la stessa facilita` e ostentare la stessa sensuale impudicizia. Ma ne e` trattenuta dalla rigida educazione ricevuta e dai geni che le corrono nel sangue. Cio` non impedisce fra le due donne un’assidua frequentazione e un’intima amicizia. Tanto intima che tutta Napoli mormora di una relazione lesbica. Ma, per descrivere l’atmosfera generale di questa tragedia, lasciamo la parola a Benedetto Croce. ` raro che, in cosı` breve spazio di tempo, si trovino affollati e «E mescolati tanti avvenimenti e tanti personaggi straordinari. Esaltazione utopistica dei repubblicani e fanatismo di plebi guidate dall’istinto infallibile dell’utile loro immediato; esempi di eroismo, di bonta`, di generosita`, e feroci violazioni di ogni pieta` e di ogni giustizia, sottili accorgimenti politici e colpi di scena ad ogni passo, e poi, sullo stesso suolo, le piu` varie nazioni, francesi, inglesi, turchi e russi, i lazzaroni di Napoli e le masse dei contadini di Calabria, e i piu` diversi e straordinari individui, un re e una regina, l’uno e l’altra, nel loro genere, eccezionali; il piu` grande degli ammiragli inglesi, emulo di Bonaparte sui mari, e un cardinale capo di masnade. Questi personaggi, queste passioni, questi contrasti, non potevano non attirare la curiosita`, svegliare il desiderio della analisi psicologica, promuovere la discussione e il giudizio morale: e alle molte opere che hanno trattato quei fatti si e` aggiunta una lunga serie di opere artistiche, drammi, romanzi, pitture, quasi a prova dell’interesse che essi presentano per il sentimento e per la fantasia».

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PROGETTO ESPERIA per un atlante multimediale del patrimonio storico e artistico italiano con il patrocinio di MINISTERO PER I BENI CULTURALI E AMBIENTALI ` MINISTERO DELL’UNIVERSITA E DELLA RICERCA SCIENTIFICA E TECNOLOGICA

ideazione e progetto FRANCESCO LIZZANI

direzione artistica CARLO LIZZANI

coordinamento generale ANTONIO PAOLUCCI

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Viviamo immersi, quasi senza accorgercene, in quello che il grande storico dell’arte Andre´ Chastel ha definito «il museo dei musei» (l’Italia), alludendo non soltanto all’eccezionale ricchezza del nostro patrimonio artistico-monumentale, ma soprattutto all’incastro esemplare che inserisce le opere negli edifici in cui e per cui, il piu` delle volte, furono create, e questi nelle citta` che li circondano, in una continuita` spaziale-figurativa dovuta alla conservazione delle sedi originarie in cui si e` svolto il processo di accumulazione delle opere d’arte e alla distribuzione diffusa delle stesse sul territorio. Basterebbe uno scatto di non ignobile patriottismo per raccogliere la sfida, che ci viene lanciata da ogni angolo del nostro Paese, ad essere all’altezza dell’eredita` che ci ha consegnato la storia: illustrando, divulgando – in senso alto – questo passato. Giacche´ divulgare significa innanzitutto informare, e l’informazione rappresenta ormai, nell’epoca del villaggio globale, un aspetto imprescindibile della conservazione e della tutela. Ma proprio perche´ avere il tesoro dietro l’angolo ci ha resi piu` pigri di tante agenzie culturali straniere (televisioni, musei, case editrici) che possono vantare la realizzazione di straordinari prodotti audiovisivi sui beni culturali (non di rado italiani), proviamo ad allontanarci, idealmente, dal nostro Paese, a pensarlo e «ricordarlo» da una distanza remota e indefinita; la stessa da cui lo vedevano i primi Greci, chiamandolo, semplicemente, «terra d’occidente», Esperia. «L’archeologia serve a farci credere la storia». Cosı` un bambino di otto anni durante una lezione svolta in una terza elementare dagli archeologi dello scavo di Settefinestre in Etruria. Come la monade di Leibniz, punto irripetibile in cui e` possibile rintracciare le coordinate dell’intero universo, qualunque manufatto dell’uomo, sia esso un capolavoro dell’arte o una traccia di cultura materiale, si offre a noi per introdurci nello spazio storico, culturale, ideologico in cui e` sorto: microcosmo e rappresentazione, o semplicemente segno dı` qualcosa che e` realmente accaduto, come anche un bambino comprende immediatamente.

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APPENDICE

Si apre qui il discorso delle immagini. L’ambizione di rovesciare la prassi dominante, in Italia, nella divulgazione di massa dell’opera d’arte: far parlare le immagini, anziche´ parlare “sulle” immagini. Disponiamo, nel nostro Paese, del piu` ricco paesaggio storico – `ın termini di patrimonio archeologico, artistico, monumentale – del mondo. Cio` non e` un caso. Ogni immagine di questo paesaggio si colloca, come una monade, al centro di una vicenda altrettanto straordinaria ed esemplare. Il mito di Ulisse e la colonizzazione greca dell’antica Esperia sono soltanto il preludio di un movimento che vede l’Italia al centro del processo storico occidentale, fino ed oltre le soglie dell’eta` moderna. Roma, la Chiesa e l’Impero, le citta` marinare e i Comuni, la monarchia normanno-sveva e i principati rinascimentali rappresentano il fondamento storico di un’egemonia culturale che si esercita in tutti i campi del pensiero e dell’arte. Dalla poesia alle arti figurative, alla musica, dal pensiero politico alla filosofia fino alla scienza, la cultura italiana offre modelli e statuti disciplinari di riferimento per svariati secoli a tutta l’Europa; tanto che, nei termini macrostorici di una Kulturgeschichte occidentale, cultura italiana e cultura europea possono considerarsi ampiamente coincidenti, almeno sino agli inizi del Seicento. Il nostro progetto si propone di esplorare, sullo sfondo di questa complessa memoria storica, il «discorso delle immagini» offerto dal patrimonio artistico-monumentale italiano. Esso si articola in dieci grandi scenari di sei capitoli ciascuno, corrispondenti alle fasi che hanno visto l’Italia al centro del divenire europeo-occidentale.

I dieci Scenari ESPERIA L’Italia prima di Roma. CIVITAS ROMANA L’impero interclassista. ORIENTE E OCCIDENTE La fine del mondo antico. IL SOLE E LA LUNA Chiesa e Impero.

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` NIA ROMA Comuni e citta` marinare. ` ITALIANA LO “STIL NOVO” DELLA CIVILTA Il Gotico italiano. ` IDEALE LA CITTA Il Rinascimento (prima parte). ANTICHI E MODERNI Il Rinascimento (seconda parte). LUCE E OMBRA Rivoluzione scientifica e Barocco. STORIA E MEMORIA La nascita del museo.

Il primo capitolo di ogni scenario (capitolo guida) costituira` la chiave di lettura generale del periodo in esame, evidenziando, attraverso l’analisi di un singolo monumento esemplare, la rete di rapporti che lo collegano al contesto storico-culturale di appartenenza. Esso si sviluppera` pertanto nella serie concentrica di tre livelli di analisi. IL MONUMENTO: lettura dell’opera. LA STORIA: contesto storico entro cui il monumento s’inquadra. I TEMI: analisi delle tematiche storico-artistiche, tecnologiche e culturali sollevate dalla lettura del monumento. Al capitolo-guida ne seguiranno altri cinque di carattere piu` estensivo, come dei percorsi orientati, corrispondenti, di volta in volta, a precise unita` monumentali, tematiche o monografiche. La struttura dell’opera sara` di natura multimediale; sara` cioe` costituita da tre tipi di prodotti – libri, video e cd rom – che si integreranno a vicenda, grazie alle potenzialita` dei rispettivi linguaggi. Sara` cosı` realizzato il primo Atlante audiovisivo multimediale del patrimonio storico e artistico italiano. La sua sistematicita` sara` assicurata dalla completezza ed organicita` dei sessanta capitoli programmati. Ma l’Atlante resta aperto, per

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la sua stessa struttura concettuale, ad ogni possibile aggiornamento tematico o approfondimento monografico, anche in relazione al successo incontrato dall’iniziativa editoriale. La natura multimediale dell’opera consentira`, inoltre, la massima flessibilita` a livello di mercato, soddisfacendo appieno quel crescente settore di domanda, ormai definito e noto come il termine edutainment (istruzione piu` intrattenimento).

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MINIFICTION Progetto produttivo di Carlo Lizzani

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Da sempre il cinema e la Televisione hanno sofferto di una grave lacuna: l’assenza, dal grande e dal piccolo schermo, del “corto” o mediometraggio di fiction. Eppure la domanda potenziale esiste. Negli anni d’oro del cinema italiano, uno dei punti di forza della nostra industria fu la produzione dei film a episodi. In tanti brevi film (basterebbe ricordare I Mostri, Alta infedelta` ) sceneggiatori e registi di grande professionalita` profusero riserve preziose del loro talento. La letteratura – sia quella alta che quella popolare – dovette in ogni tempo la sua fortuna alle vane forme di racconto breve. Il repertorio si e` particolarmente arricchito negli ultimi due secoli. Basti ricordare Maupassant, Jack London, Conan Doyle, Hemingway, Moravia, Ring Lardner... Molti “magazines” divennero popolari, e rafforzano la loro popolarita` ancora oggi, attraverso il supplemento o l’inserto-racconto. Credo che il mercato TV sia maturo, oggi, per dare spazio a una forma di fiction non vincolata alle misure del TVMOVIE o delle miniserie. La diversificazione dei programmi, l’espansione degli orari di trasmissione, tutte le esigenze, insomma, che nascono da un mercato piu` dinamico ed elastico, potrebbero consentire una collocazione sia a forme di “racconto-striscia” sia a programmi basati sull’accorpamento di cinque o sei minifiction, per la durata complessiva di 90/100 minuti. Con cinque o sei inserti pubblicitari. Il problema che resta e` quello della dispersione delle risorse in troppi set. Infatti in linea di principio ogni racconto esigerebbe una sua particolare scenografia o location. Ma e` qui che interviene la mia indicazione: pochi set fissi per molte minifiction. Insomma una produzione “modulare”. Per avviare uno studio che possa permettere una articolazione concreta della proposta, indico due tipi di orientamento operativo, ambedue finalizzati a quella economicita` di produzione che e` il segreto del programma.

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A) un accorpamento (a tema unico, omogeneo) dei cinque-sei “pezzi” basato sulla unita` dell’ambiente. Ma sulla varieta` dei registi. Cioe` si scrivono espressamente (o si pescano nel repertorio classico o moderno) cinque o sei racconti che possano essere girati da altrettanti registi, e in continuita` di lavorazione, nello stesso set (una camera da letto, l’aula di un tribunale, un terrazzo, un giardino, il camerone di un carcere, una stanza da pranzo ecc.). B) Un accorpamento (sempre a tema unico omogeneo) che proponga invece – nella stessa fascia di programmazione – cinque o sei ambienti diversi, sempre girati da altrettanti registi. LA SOLUZIONE A si presta soprattutto ad una fase-pilota del Programma. Un solo set, in cui si eseguono piu` “variazioni”. LA SOLUZIONE B e` da adottarsi invece una volta che la serie e` avviata. Infatti l’abbattimento dei costi e` rispettato, ma si verifica utilizzando piu` volte lo stesso ambiente (e sempre in continuita` di lavorazione) ma su una scala di almeno venticinque “pezzi” (cioe` almeno cinque serate). E nulla vieta che – se la serie ha fortuna – gli ambienti possano essere ulteriormente utilizzati. Non credo che registi giovani (ma affermati) o di grande fama possano fare obiezioni di sostanza a questa formula “modulare”. Per secoli, artisti ben piu` grandi di noi sono riusciti a esprimere il loro talento entro le misure obbligate offerte dal mecenate o dal committente. Sono sicuro che molti colleghi, orientati da un coordinamento che io potrei assicurare (insieme a un piccolo staff di sceneggiatori) sarebbero felici di accettare la sfida. Con un riconoscimento – anzi – di prestigio e d’immagine per l’operatore economico che volesse avviare e sostenere una cosı` ambiziosa, innovativa – ma non dispendiosa – impresa produttiva.

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IL BALLO DEI PAVONI Soggetto di Carlo Lizzani

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Dal 1989 e` diventato piu` facile, per polizia e magistrature dei due blocchi, arrivare a una sorta di collaborazione quando ci si trovi davanti a un qualche evento criminoso che tocchi da vicino sia l’est che l’ovest, e metta in pericolo la sicurezza mondiale. Puo` accadere, quindi, di vedere al lavoro insieme, in una villetta di Bojana, alla periferia di Sofia, un magistrato italiano accompagnato da una giovane funzionaria del Ministero dei Beni Culturali, due investigatori bulgari e un esperto dei servizi segreti accompagnato anche lui da una funzionaria del Ministero della cultura. Nella villetta e` stato ritrovato, in un pianoforte a mezza coda, l’epistolario intercorso tra due intellettuali – lui italiano, lei russa – scomparsi da diversi anni, e – a quanto risulta sia in Italia che in Russia – mai implicati in affari di spionaggio. Ora i magistrati, i poliziotti e gli esperti sperano di trovare nel carteggio la chiave del mistero. A una prima occhiata la grande quantita` di localita` da cui le lettere sono partite e sono state ricevute, i ripetuti strani accenni a una preziosa reliquia: i Piedi di San Metodio, apostolo degli Slavi, inducono i vari componenti del gruppo a pensare che si tratti di un linguaggio cifrato e che si sia di fronte – ancora una volta – al caso di due superinsospettabili coinvolti in qualche impresa di spionaggio internazionale. Ma quale? Da secoli si parla dei piedi di San Metodio, un tesoro al crocevia tra il Bosforo e gli Urali, tra l’Orient-Express e la Transiberiana... ma perche´ le lettere sono cosı` fitte di riferimenti erotici, cosı` piene di intime eccitanti confessioni? ...E cosı`, a poco a poco, la sottile magia delle lettere trasporta il nostro gruppo di esperti, raccolto intorno al caminetto della villa di Bojana, in un affascinante viaggio nei misteri dell’eros, in una atmosfera simile a quella vissuta secoli fa dagli immaginari narratori del Decamerone assediati dalla peste, o evocata dalle instancabili voci narranti delle Mille e una notte. Certo, via via che la lettura procedera`, diventando immagine, racconto in flash back ora di lei, XENIA, ora di lui, CLAUDIO,

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vedremo qualcuno insistere per il riesame di un brano, prendere appunti. Sembrera`, ora all’uno ora all’altro, aver afferrato il doppio senso che conduce sulla pista deil’evento spionistico, ma il vortice avvolgente delle confessioni intime non lascia tregua... Ma chi sono, dunque, i due interlocutori? Qual e` la chiave dello strano giuoco che emerge dalle loro lettere e che – prima a tratti rapidi – e poi con episodi sempre sostanziosi, si snodera` sotto gli occhi dello spettatore? Claudio e Xenia sono due intellettuali girovaghi “da convegno”. Nomadi in una societa` che dispone sı` di reti di comunicazione telematica cosı` da favorire i rapporti fra tutti i poli del mondo, ma che poi, negli stessi poli, esige la presenza fisica delle persone. Lei e` una russa, storica dell’arte e in particolare delle arti applicate e dello spettacolo. Lui e` un italiano, storico della cultura e dei comportamenti delle e´lites. Entrambi sulla quarantina, senza famiglia, vivono raminghi dove li portano i loro studi, le amicizie altolocate, i convegni scientifici, l’attivita` di esperti per il grande mercato delle arti, e non solo per quello. Xenia e Claudio si incontrano alla Scala nel 1986 per la prima di Turandot, l’opera degli enigmi. Li presentano un alto prelato amico ` un amore al primo di lui e un finanziere greco-tedesco amico di lei. E baciamano. Un raptus tanto piu` forte quanto piu` nato sotto il segno della fretta e della provvisorieta`... Tutti e due sanno che un nuovo appuntamento e` molto difficile, perche´ Claudio e` in procinto di partire, la notte stessa, per Istanbul, lei troverebbe difficolta` a sganciarsi dagli altri componenti della delegazione russa. Comunque, dopo la visita ai camerini per salutare gli interpreti, seminano il gruppo dei loro compagni, fingono di perdersi nei meandri del grande palcoscenico, e, dietro la sagoma di una piramide, riescono a ` un cercarsi, di mani, di consumare un rapido, convulso amplesso... E sessi, in un groviglio di trine e sete. Una ricerca disperata della pelle sotto il labirinto dei tessuti, il vestito lungo stretto di lei, la complicata struttura del raffinato smoking di lui, un match da cui escono insoddisfatti e con l’amaro in bocca... Ma forse e` dal fallimento del primo incontro intimo (quante volte non riesce un “primo incontro” proprio per la precipitazione e l’emozione?) che scatta la molla di un desiderio continuamente rinviato e continuamente trasposto in fantasia. D’altra parte e` facile – riandando con la memoria a soltanto dieci anni fa – intuire quanto

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fossero numerosi gli ostacoli oggettivi capaci di far naufragare l’incontro tra una russo-sovietica e un italiano desiderosi semplicemente di fare l’amore. E a quanti sotterfugi bisognasse ricorrere. A un certo momento gli investigatori dell’est lo confessano candidamente. Di un paio di queste lettere era perfino rimasta traccia negli archivi del KGB. Ecco le fotocopie portate da Mosca. Gia` da due anni i Servizi Segreti si erano messi sulle tracce dei due intellettuali, dopo che alcune lettere erano rimaste impligliate nelle maglie della censura. La poca fantasia erotica dei funzionari russi li aveva depistati sul solito sospetto del linguaggio cifrato. Ma ora cominciano i primi dubbi. *** Le lettere che si scrivono sono per Xenia e Claudio dei veri incontri, congressi mentali e carnali nei quali con foga voyeuristica e esibizionistica si raccontano quello che stanno facendo, ricordi che affiorano per associazione di idee o di immagini, successi e frustrazioni, precise zoomate sullo stato dei loro organi sessuali, sui loro trasporti erotici, in un’attrazione sessuale e mentale reciproca che per una ragione o per l’altra non trova soddisfazione. Una circostanza o un’occasione sempre diversa e irresistibile li fa mancare ai possibili appuntamenti, le lettere stesse non arrivano puntualmente a destinazione. Tutto cio` in un montaggio serrato di eventi che si incalzano nel corpo narrativo di ogni lettera. Ecco i tratti salienti della corrispondenza. Odessa. Mio caro, le tue antiche avventure del seme mi hanno emozionata. Rileggo con stupore la tua lettera del 26 dicembre. Nessuno mi ha mai parlato con tanta fascinazione di una sensazione cosı` complessa e cosı` difficilmente descrivibile. ...Avevo 18 anni. Il mio fidanzato Valerij Silenko studiava nella scuola della Marina a Odessa. Figlio del capitano di un transatlantico della classe Grusia, oggi anche lui e` un capitano di lungo corso. Non lo vidi mai dopo allora. Gli inviai qualche saluto con i capitani delle navi sovietiche che ho conosciuto nelle mie peregrinazioni. Valerij era bello, forte, gli occhi color nocciola leggermente a mandorla, il

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naso stretto e energico, la bocca non molto grande, carnosa e ben disegnata, sinuosa, si curvava, si rompeva, si stirava come un mollusco. Quando rideva i denti bianchi e umidi splendevano voluttuosi retti e rapaci. Il suo corpo glabro e muscoloso sempre leggermente abbronzato era liscio e scivoloso come il corpo di un cinese. Semplice e caldo, a diciotto anni dell’amore sapeva tutto mentre io, l’intellettuale della situazione, neanche una vaga idea: solo le mie sconce e inverosimili fantasie. Il sesso, continente sconosciuto come d’altronde il resto del mondo al di la` della frontiera. Non conoscevo l’orgasmo ma solo una grande inquietudine che sfiorava la sofferenza, tensione dolcissima e dolorosa. Talora fra le cosce c’era il nulla. Una volta al parco Lermontovskij il nostro stringerci e strofinarci provoco` un sensazionale umidore nei pantaloni di Valerij. Chiesi delle spiegazioni. Egli mi porto` a casa dei suoi, un vasto appartamento nel centro di Odessa, verso la via Preobrazenskaja, buio e disordinato, di un gusto che era piuttosto l’assenza di gusto. Filammo diretti nella camera dei genitori, quasi sempre assenti. Valerij si sdraio` sul letto, i piedi per terra, si slaccio` i pantaloni e tiro` fuori il glande turgido, chiaro, lucente. Stavo dritta contro il muro per osservare meglio. Respiravo con fatica. Le gambe di lui toccavano terra quasi vicino alle mie. Tuttavia non eravamo emozionati: si trattava di una lezione. Piuttosto ero turbata dalla curiosita` e dall’imbarazzo. Valerij prese il glande nella mano forte e gentile e comincio` a far scivolare le dita lentamente con amore lungo il pallido arnese. Questo si allungava come volesse ragiungermi. Nessun pudore cattolico. Si avvertiva il piacere libero e divertito tanto piu` perche´ stavo a guardarlo con gli occhi stupiti e ignari. Il gioco era bello, la carne pulita liscia e lucida e emanava calore e odore di un corpo sano pieno di umori da consumare ancora tante volte in tante occasioni in tante situazioni diverse. Il viso del mio amico prese un’aria di sofferenza, divento` piu` spirituale, si affilo`, la bocca ruppe il disegno in piu` angoli e dal glande, ora rosa, comincio` a uscire un liquido cremoso come il gelato di cocco. Schizzava sul muro, sopra la mia testa. Questo schizzo bianco era davvero capace di attraversare una stanza. Mi bagno` la mano messa davanti per difendermi. L’ultimo rivolo scivolo` come lava lungo il pendio di una cima alla fine dell’eruzione. Questa mia curiosita` invece di appagarmi mi rese irrequieta. Il mistero non mi e` stato svelato. Era come leggere Il ritratto di Dorian

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Gray a sette anni: non desiderio ma una sorta di struggimento. Rimasi senza mestruazioni per sei mesi. Stupita, subii la visita ginecologica attraverso l’ano. Vomitai per tre giorni. Mi fu spiegato che molto di rado le vergini possono restare incinte. Lo stesso mese il ciclo ridivento` regolare. Ma continuavo a vivere il segreto del seme che perso a spasso nell’aria puo` fecondare gli animi e i giardini, appunto, di mistero. Di quel mistero vissi incinta ancora per molto tempo. Ora invece pensando allo sperma mi trovo spessa all’ombra delle notturne chiome di un parco illuminato dalla luce del meriggio al sole di Claude Monet che lentamente schiarisce nelle marine di Belle-Ile simile alle facciate delle sue gotiche cattedrali. Quella volta a Odessa, da Valerij, dopo tornai a casa e mi esaminai con lo specchietto, seduta a cavalcioni. Tu dici in una lettera che donna e` gotico; per me gotico e` grafico. Io vidi invece una conchiglia, un guscio di finissima porcellana cinese cosparsa di sottile cipria rosa. Una goccia di perla brillava, la conchiglia si schiudeva... Istanbul. Cara Xenia, la citta` risulta di una popolazione monosessuale: infinito collegio, o caserma, o oratorio, e` percorsa da giovinetti di tutte le eta`, seri e rissosi, ridenti come sul surf, apparentemente senza donne e percio` senza figli e problemi. Ragazzi, credo di autentica eta` giovanile, mi sono stati offerti da altri ragazzi al grande bazar, con un’allegria contagiosa. Non vendevano su catalogo ma su una specie di paleotabulato: uno di loro mi ha seguito e mi ha mostrato un gran foglio incrociato, con righe e colonne, in cui a ogni eta` (dagli otto ai diciassette anni, eta` critica gia` al tempo dei greci) corrispondeva, sulla stessa riga e in tante colonne, il prezzo in dollari USA, franchi francesi, marchi e lire italiane, qui incassate con soddisfazione. Su fogli incollati al primo a fisarmonica c’erano altre tabelle, una per ogni moneta, piu` colonne per ogni eta`, non ho visto bene se a seconda della durata dell’incontro, del tipo del giovane – super, extra, standard... – o che altro. Pero` di che tipo di merce si trattasse ho capito con molto ritardo, quando il mercante di fratelli se n’era gia` andato, convinto di essersi imbattuto in un nemico di tali commerci o in uno scemo. Cosı` non ho potuto fargli domande e non so dove semmai avrebbe avuto luogo la cosa, se si sarebbe trattato di un puro congresso carnale o avrei avuto diritto anche a una cena, a una maschile danza del ventre, a fare il guardone o altre cose del genere.

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` terribile sapere tante cose sul mercato sessuale dei babilonesi E (c’e` un testo che dice: «bella dal sesso stretto e dall’ano largo») e cosı` poco su quello dei nostri tempi. Dannato alla sapienza, la mia piccola sapienza per la quale in Italia non c’e` neppure una piccola cattedra universitaria, non ho pratica del mercato del sesso a Istanbul – e anche in Italia chissa` quante volte ho pagato troppo – e sono soltanto riuscito a far arrabbiare il portiere dell’Hilton quando gli ho chiesto dov’e` il bordello delle pecore. Sembra che ci sia. Non so dove, precisamente, forse dall’altra parte della citta` in Asia, ma deve essere famoso se in certo senso un film di una decina d’anni fa con Mel Brooks – si scrive cosı`? – narrava la storia d’amore fra uno psicanalista e un ovino, femmina. Pare che in questo bordello ce ne siano di tutte le razze, con le loro varie sagome e corna; velli ricciuti corti e lunghi, velli diritti giu` fino al pavimento; profumate pecorelle, alcune con la lana tinta dei sontuosi colori orientali, viventi tappeti da preghiera sessuale, lilla e anche dorati con oro fino. Ora tu puoi immaginare come un uomo dalla esigente oralita` potrebbe succhiare, avendo a partner una pecora dalla robusta mammella: come potrebbe perdersi nei suoi occhi da sulamita; e poi fare all’amore alla pecorina – pratica molto vietata dai moralisti cristiani – con un belante tappeto, profumati sussulti. Ecco, a Istanbul c’e` ragazzi, c’e` pecore, ci sono piu` normalmente circasse e kirghise, cappadocie e greche, armene e perfino tedesche e io non riesco a saperne niente di preciso. Non so leggere altro che i libri e, come diceva il mio amico cardinale, i peggiori e i piu` sciocchi. Tutta la citta` suonava il clacson la notte di Capodanno, andando al casino. Sotto il mio albergo ce n’e` ventisette. Si chiamano cazino, folı` berze`r o simili e c’entravano tutti, tutti gli uomini soli d’Istanbul d’Asia e d’Europa. Venivano dall’Anatolia, da Edirne e da Brussa, dal Mar Nero e dal Mare di Marmara, da Siracusa, dall’emirato di Bari, dalla lenta Baghdad. Di tutte le lingue, in tutte le forme sapevano entrarci. Le automobili in corsa rizzavano creste di fari sui sette colli della citta`. Dall’alto del mio balcone, nel sicuro della mia vestaglia, dietro il secchiello del mio champagne e il fumo della mia sigaretta, guardavo ringhioso le corse dei turchi arrapati. Quando, anch’io, sapro` cacciare con il branco?

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Milano, Claudio a Xenia. Arrivo al punto: ho letto i microfilm. I resti dei piedi di un santo, ma di un santo che se ti dico il nome fai un salto sulla sedia – o sul letto? – un santo che proprio con quei piedi, in compagnia del fratello, portava la civilta` e la fede cristiana so io dove, ebbene quelle ` quasi sicuro. venerabili ossa sono... so io dove. E Ho fatto naturalmente la mia piccola inchiesta. Ho procurato di... trovarmi a cena come per caso con l’addetto culturale dell’ambasciata di... e ho chiesto notizie sulle rovine del convento di... L’ultima volta che sono stato a Roma ho scavato nella biblioteca della buonanima del cardinale... (Duecentomila per sante messe a suffragio della sua memoria.) Infine, naturalmente, ne ho parlato cosı`, alla lontana, con il cardinale... che ora e` in pensione, ma mi ha assicurato che puo` procurarmi il modo di fare segretamente la necessaria ricognizione. Solo ora mentre scrivo mi viene in mente la cara memoria del padre Rinaldi, liturgista insigne, specialista di storia dei riti siriaci e malabarici, ma anche profondo conoscitore della chiesa bulgara antica. Da lui, nel suo studiolo proprio vicino allo “Smeraldo” di Milano, dove piu` tardi sarei andato a vedere l’avanspettacolo, ho sentito parlare per la prima vita delle meraviglie del primo cristianesimo bulgaro e serbo. Battaglie e icone, stragi fraterne e processioni, abigeati e anatemi si mescolavano nei racconti del venerabile padre con i peli della sua barba e la feccia del vino di Corinto stravecchio che mi faceva bere in calici di Damasco. Ma non divago oltre. Il nostro progetto di viaggio nel paese che sai potrebbe essere iniziato da una mia conferenza in Jugoslavia – un tema facile, per esempio la coltivazione delle Kamenecy nella Dalmazia all’epoca di Diocleziano – e di lı` come niente fosse potrei andare a..., poi a..., dove finalmente ci godremmo il meritato riposo. Sono certo che le reliquie ci sono. Nessuno ha toccato quei muri, quei ruderi, dopo la battaglia di Moha`cs e le stragi che tinsero il Danubio e fecero diventare rosso il Mar Nero. Ora sulle pietre cresce l’erba, le querce vi affondano le radici. Me l’ha confermato Sua Eminenza. Il cardinale e` alle stelle: per lui, se vendessi a chi so io quelle reliquie, potrebbe voler dire la Segreteria di Stato. Molte cose vanno ancora organizzate, ci vorra` tempo. Forse per alcuni giorni accettera` un invito di amici a Segromigno. La villa e` appartata, potrei lavorare in pace. Ti mando la stampa di una deliziosa icona; forse viene da Sira-

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cusa, ai tempi di Costante II? Guardala bene, voglio parlartene al piu` presto. Con amore. Saremo ricchi. Molto ricchi. Claudio Poi ancora da Odessa, Xenia a Claudio: «Qui nessuno mi porta a ballare: triste destino di una intelligent. Una volta a Mogadiscio, ospite del governo, ballai tutta la notte di Capodanno. Un somalo...». E altre lettere da Istanbul, Prato, Barcellona, Milano, Roma, Mosca, Odessa, Salsomaggiore, Busseto, Leningrado, Bari, da Taskent a Irtkusk, Roma, Napoli... ` un gioco dell’oca, o meglio, tre giochi dell’oca che si interseE cano: il percorso del lavoro dei due studiosi; quello dei loro ricordi, conoscenze e programmi; quello infine dell’intreccio fatale che trasformera` a poco a poco la loro storia epistolare in un giallo internazionale. Infatti, nella complicita` di un amore che non si consuma, si svolgono le fasi di una caccia al tesoro. Il tesoro sono i piedi di San Metodio, apostolo degli Slavi, nascosti e dimenticati da secoli nelle rovine di un convento in Bulgaria. Un’esca lanciata da lui per tenere agganciata Xenia con un compito di ricerca che lei – con la sua profonda conoscenza della cultura slava e del folclore balcanico – potra` portare avanti, approdando oltretutto a una scoperta che potra` renderli famosi e forse anche ricchi. Chissa`, magari un alibi dato a se stessi per continuare la loro strana, eccitante, storia epistolare, e al tempo stesso la speranza di trovare veramente quella “Pietra verde” che obblighera` la stampa mondiale a parlare di loro. Fra viaggi e racconti il giallo si sviluppa fino all’incontro, finalmente, in un grande albergo di Leningrado, nel cuore di un convegno. Non c’e` tempo, non c’e` agio: e anche questa seconda volta e` una catastrofe. Si incontrano nel guardaroba, la guardarobiera gli piomba addosso sul piu` bello. Di nuovo si separano: lei tra la provincia italiana e i grandi spazi dell’Unione Sovietica, lui nel Mezzogiorno e in Turchia. Storie, avventure, affabulazione. E costruzione del viaggio decisivo per impadronirsi del tesoro intorno al quale silenziosamente si stringe una congiura, forse piu` immaginaria che reale, di altri ricercatori, intesi, pare, a organizzare un’asta segreta delle reliquie su cui tutti vogliono mettere le mani.

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*** Una lettura serena delle lettere, quale quella che puo` essere condotta oggi dagli investigatori russi, italiani e bulgari, nella calma di Bojana e fuori del clima di sospetto dominante alcuni anni fa, li aiuta finalmente a veder chiaro. Non si tratta di un intrigo di spionaggio che si e` mascherato ` il labirinto dell’eros che ha condotto a poco dietro l’intrigo erotico. E a poco Claudio e Xenia su un percorso pericoloso. Quello della ricerca della “loro” Pietra Verde: i piedi di San Metodio. Seguendo i ritmi e i percorsi del loro privato BALLO DI PAVONI, recitato per sedursi a distanza e arrivare finalmente a un sano contatto erotico e a volte cosı` difficile tra due intellettuali sofisticati. Claudio e Xenia si sono imbarcati in una avventura piu` grande di loro... *** L’Avventura conclusiva di Xenia e Claudio ci sara` raccontata da una nuova VOCE NARRANTE di cui vedremo piu` avanti il volto... ` una calda voce femminile dallo strano accento esotico... E La ricerca dei Piedi di San Metodio, invece che ad una scoperta scientifico-etnografica sensazionale, ha portato i nostri due protagonisti, negli ultimi mesi dei 1989, al centro di uno dei tanti conflitti tra armeni cristiani, integralisti musulmani ecc. Prigionieri di una strana tribu`, a confine tra l’Iran e l’Urss, li vedremo ancora una volta impossibilitati a fare l’amore. E a sussurrarsi le loro fantasie da una tenda all’altra dove per molte settimane sono stati tenuti prigionieri. Il racconto dell’avventura finale di Claudio e Xenia e` fatto alla Commissione di investigatori, da una profuga circassa, incaricata dallo studioso italiano di trasmettere – a chi un giorno l’avrebbe cercato – l’epilogo straordinario della straordinaria storia d’amore consegnata al misterioso epistolario lasciato da lui e da Xenia nel pianoforte a mezza coda di Bojana. La profuga circassa, decisasi a collaborare con i nostri investigatori, per amore di Claudio, racconta (e` sua, infatti, la voce narrante) di aver passato con lui alcune meravigliose notti d’amore. Lasciata dai suoi correligionari a guardia dell’intellettuale italiano, e incaricata di carpirgli il segreto dei piedi di San Metodio (e-

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videntemente cosı` a cuore al suo gruppo etnico, per il grande valore simbolico di quella famosa reliquia cristiana) ha finito per intrecciare con Claudio un intenso rapporto. Le e` rimasto soltanto un sospetto: che quelle notti d’amore fossero dedicate alla prigioniera della tenda accanto, Xenia. Il suo sospetto e` che anche Xenia, per addolcire la sua prigionia, abbia intrattenuto rapporti sessuali col suo guardiano... «E i piedi di San Metodio?» domandano ansiosi gli investigatori. La profuga circassa non e` riuscita a sapere niente. La sua supposizione e` che non esistano. Anche dalle sue parti una strana leggenda racconta che quando due innamorati intraprendono un lungo viaggio per incontrarsi, fingano di mettersi in cammino per un pellegrinaggio religioso. *** La profuga ha consegnato cosı` a tutti un ultimo enigma. Forse, Claudio e Xenia sono soltanto due dei tanti desaparecidos di questi anni tumultuosi. Lasciamoli in pace. Staranno continuando da qualche parte la loro complicata storia d’amore. Ma anche per i nostri investigatori, il magistrato, l’esperta dei Beni Culturali, l’archeologa sovietica e il funzionario del KGB, convenuti in una misteriosa villa di Odessa per entrare in contatto con la profuga circassa, la corsa dietro i piedi di San Metodio e` occasione di eccitanti scoperte. Durante la lettura dei passi piu` scabrosi di questa o quella lettera, avremo visto accendersi nei loro occhi lampi di desiderio. Alcune mani si sono sfiorate. Corrispondenze di sguardi hanno intrecciato piu` di un filo segreto, piu` di una tacita intesa tra l’esperta sovietica e il magistrato italiano, tra l’esperta italiana e l’affascinante agente segreto russo, tra il funzionario bulgaro e la corpulenta ma sensuale interprete.

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LE GRANDI INCHIESTE di TELEUNIVERSO Un Programma di Carlo Lizzani

Una serie di STRISCE giornaliere o settimanali, un po’ demenziali

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UNO STUDIO TELEVISIVO MODERNISSIMO, CON MONITOR E SCHERMI PER I COLLEGAMENTI CON L’ESTERNO 1) SPEAKER: LICENZIATI PER IL FURTO DI UNA MELA. Due giovani, Adamo C. e Eva F., sorpresi mentre, forse stremati dalla fame, si nutrivano facendo ricorso all’espediente piu` banale: il furto di una mela, sono stati ieri licenziati in tronco da un padrone che evidentemente non ha il senso del ridicolo. Dopo il bambino multato per aver morso un cioccolatino senza essersi munito del regolare scontrino, dopo la signora multata per aver usufruito dei servizi del figlio parrucchiere senza aver versato il normale compenso, era inevitabile il ripetersi di un evento da manuale come quello della mela. Anche i sociologi piu` conservatori e i giuristi piu` tradizionalisti da secoli mettono in guardia i tutori dell’ordine contro questa caccia miope al piccolo trasgressore a scapito di un vero, serio impegno per la repressione del crimine organizzato... I titoli di alcuni “fondi”: “IL ROVESCIO DELLA MEDAGLIA” di NORBERTO BOBBIO, “IL SENSO DEL RIDICOLO” ` DEL BENESSERE E SOdi GIORGIO BOCCA, “SOCIETA ` DEL MALESSERE” di EDGAR MORIN. CIETA La protesta dei sindacati: FORSE LO SCIOPERO DEI RACCOGLITORI DI FRUTTA. Poi dibattito in sala con alcuni esperti, e collegamenti con l’esterno, anche dal vero, davanti a scuole, nei mercati ecc. Con risultati sicuramente sorprendenti data la stranezza delle domande poste a bruciapelo, su Eva, Adamo ecc. 2) SPEAKER: UN ORRENDO DELITTO: UCCIDE IL FRATELLO. Allarme su tutto il pianeta. Una notizia sconvolgente per il genere umano. A pochi anni dalla formazione del primo nucleo

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famigliare un fratello (tale Caino A.) ha rivolto l’arma contro il proprio fratello. LE PRIME INTERVISTE: DIO: «forse l’esperimento non e` riuscito... Il “progetto-uomo” va rivisto, forse cancellato... Sono scoraggiato...». Le inchieste: “FAMIGLIA A RISCHIO?”. Bobbio: “Un bilancio severo, vale la pena di continuare?”. La TV: Samarcanda: UN CRESCENDO CATASTROFICO: nell’arco di una generazione il crimine ha assunto tratti orrendi. Dal furto di una mela al fatto di sangue: e tutto all’interno di una famiglia! Il fratricidio tinge di rosso l’utopistico disegno della creazione dell’ESSERE UMANO. I Criminologi: cosa fare contro la crescita esponenziale della violenza? I genetisti: «Forse il difetto e` nel manico. Perche´ e` stata creata questa ‘coppia in provetta’». Fallimento degli esperimenti di laboratorio: una femmina ricavata dalla costola di un maschio cos’altro puo` creare se non mostri? PREOCCUPAZIONI NEL PENTAGONO. L’INTERVENTO DI AMNESTY. Allarme all’ONU. PANNELLA: basta con le manipolazioni genetiche. Fermate i Killer! IL PAPA: «Se frana la famiglia e` la fine, l’Apocalisse. Preghiamo, fratelli!» Un gruppo di Nobel. «Voltare pagina. Migliori prospettive nell’evoluzione degli invertebrati e dei felini». 3) TRAGEDIA ECOLOGICA. SPEAKER: ...Un fenomeno, passato quasi inosservato negli scorsi decenni, sta prendendo proporzioni sempre piu` preoccupanti. Migliaia di esseri umani (Stanchezza? Pigrizia? Paura del rischio? Uso di droghe sconosciute?), invece di migrare di landa in landa nutrendosi di bacche e radici, secondo le leggi economiche che regolano da sempre la sopravvivenza in questo nostro fortunato pianeta, cominciano ad oziare in insediamenti stabili (chiamati pomposamente villaggi) dedicandosi a riti strambi e improduttivi. Fanno buchi nel terreno e vi gettano semi, aspettando poi, per mesi, che la terra, impropriamente tormentata, regali frutti artificiali e sicuramente nocivi. Accoppiano animali e li costringono in recinti... I COMMENTI: IL PAPA: «La violenza dell’uomo sulla natura». CARLI: «Crollo della produttivita`».

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LA PROTESTA DEGLI SCIENZIATI: la manipolazione artificiale degli elementi naturali mette a rischio l’equilibrio ecologico del pianeta. LE LEGHE: questo dilagare della pigrizia tra i nomadi, che mette a rischio il dinamismo dell’uomo, pare che sia dovuto all’infiltrazione, tra i nomadi del nord, dei – notoriamente ignavi e passivi – nomadi del sud. BOCCA: «Ne vedremo delle belle!» I MONETARISTI DI WASHINGTON: Il lavoro e la fatica sostituiti dal giuoco d’azzardo. Agitatori fanatici e oziosi inducono masse sempre piu` considerevoli a scommettere su quelli che loro chiamano i cicli naturali. Gettare dei piccoli semi per terra e aspettare che si trasformino in alberi, frutta e granaglie. RATZINGER: E se Dio, che ha promesso all’uomo sudore della fronte e parti con dolore, decidesse di vendicarsi? Chi autorizza ` una sfida improponil’uomo a scommettere sui “cicli stagionali”? E bile. Troppo comodo sfruttare i cicli naturali. Il mondo alla rovescia: Dio fatica tutto l’anno per muovere sole e pianeti, e l’uomo se ne sta in panciolle a guardare la terra che fatica per lui! SCALFARO: prevedo una degenerazione dei costumi. I lunghi ozi e l’affollamento nei cosiddetti villaggi faranno crollare le barriere sessuali... L’ONU: Allarme “vino”! Durante i lunghi mesi di ozio invernale, gli uomini hanno inventato una nuova manipolazione dei frutti naturali: la “fermentazione”. Una bomba chimica che portera` al degrado e alla dissoluzione delle compagini sociali. Il commento di BOCCA: «...pero`». *** SEGUENDO QUESTA FORMULA, E IRONIZZANDO, QUINDI SUL “CATASTROFISMO” CHE HA ACCOMPAGNATO, DALLA NOTTE DEI TEMPI, TUTTI I PASSI IN AVANTI DEL GENERE UMANO, SI POSSONO REALIZZARE STRISCE SU: l’invenzione del fuoco, la casa che sostituisce la grotta o la capanna, il passaggio dall’oralita` alla scrittura (l’uomo perdera` la memoria! Il cervello andra` in acqua! gridava Platone...), l’allevamento degli animali, ecc. ecc.

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I personaggi fissi IN STUDIO: — Un giornalista — Una giornalista che annunciano la notizia, fanno i primi commenti, interrogano, attraverso i monitor, vari esperti e lo stesso portavoce di Dio. — Uno scienziato-medico-esperto, che di volta in volta esamina il soggetto, cioe` l’esemplare umano “degradato” in conseguenza dell’evento. — Il soggetto: un mimo, per esempio, che dimostra in modo comico i vari tipi di carenze fisiche che avrebbero colpito l’uomo dopo ogni “salto tecnologico” (una bocca priva di denti dopo l’invenzione della ‘cottura’, un corpo quasi disossato e privo di muscoli dopo il passaggio dal nomadismo all’agricoltura. Un ubriacone dopo la coltivazione dell’uva. Una faccia immobile e inespressiva dopo l’invenzione del telefono, che ha eliminato il confronto faccia a faccia). IN STUDIO, DAI MONITOR: A) Tre esperti o esperte (finti o veri se ne troviamo qualcuno disposto all’ironia) che ogni volta, con linguaggio comicamente sofisticato, preannunciano inevitabili catasfrofi. B) Dio, o un suo “portavoce”. FUORI STUDIO: Un tipo Chiambretti che a bruciapelo, in giro per la citta`, nei mercati, all’uscita delle scuole domanda per esempio, «che ne pensa di questo nuovo pericolo per l’umanita`: la pietra scheggiata?». «Lei preferisce l’arco o il pugno nudo?». 1. 2. 3. 4.

IL FURTO DELLA MELA Il PRIMO ASSASSINIO LA PIETRA SCHEGGIATA L’INVENZIONE DEL FUOCO

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5. LE PRIME ARMI A DISTANZA: LA FIONDA, LA FRECCIA 6. IL CRUDO E IL COTTO 7. L’AGRICOLTURA 8. L’ALLEVAMENTO DEL BESTIAME 9. DALLE GROTTE ALLE CAPANNE 10. IL VILLAGGIO: I PROBLEMI DELL’AFFOLLAMENTO E DEL TRAFFICO 11. MUOVERSI SULL’ACQUA. LE IMBARCAZIONI 12. LA RUOTA 13. LA FUSIONE DEL METALLO 14. L’UVA 15. IL SESSO (DALLA POSIZIONE RETRO COME TUTTI GLI ANIMALI ALLA POSIZIONE FACCIALE) 16. LA MONETA 17. LA DANZA 18. I PONTI 19. LA SCRITTURA ` TONDA 20. LA TERRA E 21. LA STAMPA ` 22. LA RANA E L’ELETTRICITA 23. IL TELEFONO 24. IL VOLO

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GLI AUTORI

Riccardo Bernini si e` laureato in filosofia presso l’Universita` degli ` autore di vari saggi su cinema e Studi di Urbino “Carlo Bo”. E letteratura per riviste (“Libero”, “Fermenti”, “Hortus”) e volumi collettanei (Il Giudizio Universale, a cura di G. De Santi e M. De Sica, 2007), nonche´ di un libro intitolato Introduzione al pensiero contemplativo giapponese edito nel 2000 presso la casa editrice urbinate QuattroVenti. Fa parte dello staff culturale del Premio “Libero Bizzarri” di San Benedetto dedicato al documentario. Stefano Gambelli e` responsabile scientifico del Centro di Didattica Cinematografica del Comune di Ancona. Si occupa di ricerca metodologica nel campo dell’educazione alla visualita` e di storia della rappresentazione filmica dell’infanzia. Tra le sue pubblicazioni: I bambini del cinema: Luigi Comencini (1946-1991), Ancona 1992; La fine del gioco. La rappresentazione dell’infanzia nel cinema di Gianni Amelio, Ancona 1993; Le donne riprendono l’infanzia, Roma 1994, I dimenticati, in Infanzie.Modelli di rappresentazione visuale (a cura di A. Gregorini), Firenze 2003. Gianfranco Miro Gori e` poeta, saggista e direttore della Cineteca del comune di Rimini. Autore di un vasto numero di saggi e articoli di argomento cinematografico, particolarmente volti a esplorare il rapporto tra storia e film, annovera tra le sue pubblicazioni una monografia su Alessandro Blasetti (La Nuova Italia), un romanzo (Senza movente) e due raccolte di liriche in neo-volgare romagnolo (Strafo`cc e Gne`nt). Attualmente e` sindaco della cittadina in cui e` nato, San Mauro Pascoli. Bianca Maria Marchetti insegna Scrittura Creativa e Linguaggi Video presso la Facolta` di Sociologia dell’Universita` di Urbino “Carlo Bo”.

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GLI AUTORI

Si occupa di storia e teoria del cinema e dei vari aspetti della comunicazione cinematografica. Tra i suoi saggi: I Cahiers du Cine´ma in “Sociologia della comunicazione” (1983); Intorno a “Sunrise”: la visione fimica di Murnau e la novella “Viaggio a Tilsit” (Montefeltro, Urbino 1989), scritto con D. Niccolini; Il Teatro come spazio della rappresentazione in “Teatri delle diversita`” (n. 36, 2005); Il Cinema come esperienza di un diverso e autonomo sguardo sulla realta` in “Teatri delle diversita`” (2006). Antonio Medici e` docente di “Cinematografia Documentaria” all’Universita` Roma Tre e di “Archivi Audiovisivi” all’Universita` della Tuscia. Critico e saggista, ha collaborato e collabora con riviste specializzate di cinema; e` autore (con Daniele Vicari) de L’alfabeto dello sguardo. Capire il linguaggio audiovisivo, Roma, Carocci, 2004 (premio Filmcritica), ed ha curato gli «Annali» della Fondazione Aamod (Filmare il lavoro, 2000; Il Pci e il cinema tra cultura e propaganda, 2001; L’immagine plurale, 2003; Schermi di guerra, 2003; Guida agli Archivi audiovisivi in Italia, 2004) nonche´ i volumi Immagini dal lavoro, Roma, Ediesse, 2002 (con Fiorano Rancati) e Gillo Pontecorvo.“Giovanna”, storia di un film e del suo restauro, Roma, Ediesse, 2002. Ha preso parte come sceneggiatore alla realizzazione del film Il mio paese (regia di D. Vicari, 2006). Daniela Niccolini insegna Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico presso la Facolta` di Sociologia dell’Universita` degli Studi di Urbino “Carlo Bo”. Si occupa di Storia del cinema e di Filmologia. Tra le sue pubblicazioni piu` recenti i saggi: Cinema, identita` e vita quotidiana, in Identita`, spazio e vita quotidiana, a c. di A. De Simone, Quattroventi, Urbino 2005; La televisione e il paradigma della domesticita` quotidiana. Lettura di Roger Silverstone, in La vita che c’e`, vol. II, a c. di A. De Simone-F. D’Andrea, Ed. Franco Angeli, Milano 2006. Cristina Ortolani e` laureata in Discipline dello Spettacolo con una tesi sull’Enrico IV di Luigi Pirandello; si occupa di consulenza culturale e comunicazione, con particolare attenzione alle tematiche legate all’immagine e alla memoria. Dopo aver creato i costumi per numerosi spettacoli di prosa e d’opera ha pubblicato alcuni studi sul costume teatrale e cinematografico. Dal 1999 e` impegnata nel settore del Web content e collabora come “free lance” a diversi periodici, scrivendo di design, moda, lifestyle. Vive a Pesaro, dove e` nata nel 1965.

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GLI AUTORI

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Emilio Pozzi e` stato collaboratore di Guido Aristarco nei primi anni di “Cinema Nuovo”. Docente di teatro e spettacolo alla Facolta` di sociologia dell’Universita` di Urbino “Carlo Bo”, dirige da 10 anni la rivista "Teatri delle diversita`". Ha partecipato attivamente alla Resi` giornalista professionistenza nelle file del Fronte della Gioventu`”. E sta dal 1946. Ha scritto libri e saggi sullo spettacolo e sulla citta` di Milano, in cui vive.

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Cinema e storia Collana diretta da Pasquale Iaccio

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P. Iaccio, Cinema e storia, prefazione di Mino Argentieri (III ed.) P. Iaccio (a cura di), Bronte. Cronaca di un massacro che i libri di storia non hanno raccontato. Un film di Florestano Vancini P. Iaccio (a cura di), Non solo Scipione. Il cinema di Carmine Gallone P. Cavallo, G. Frezza (a cura di), Le linee d’ombra dell’identità repubblicana. Comunicazione, media e società in Italia nel secondo Novecento M. Melanco, Paesaggi, passaggi e passioni. Come il cinema italiano ha raccontato le trasformazioni del paesaggio dal sonoro ad oggi, introduzione di Gian Piero Brunetta C. Montariello, La Napoli milionaria! di Eduardo de Filippo. Dalla realtà all’arte senza soluzione di continuità G. Fusco, Le mani sullo schermo. Il cinema secondo Achille Lauro G. De Santi, B. Valli (a cura di), Carlo Lizzani. Cinema, storia e storia del cinema P. Iaccio (a cura di), Rossellini. Dal neorealismo alla diffusione della conoscenza G. De Santi, Maria Mercader. Una catalana a Cinecittà F. Maddaloni, Cinema e recitazione. Dalla chiassosa arte del silenzio all’improvvisazione televisiva R. Bignardi, Carosello napoletano. Il cinema, la danza e il teatro nell’opera di Ettore Giannini

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