Canzoni d'amore e di taverna nel Trecento alla corte di Shiraz 8843060627, 9788843060627

Nella Shiraz del Trecento, in una corte dove si alternano principi gaudenti e principi bacchettoni, emerge il genio di H

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Canzoni d'amore e di taverna nel Trecento alla corte di Shiraz
 8843060627, 9788843060627

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BIBLIOTECA MEDIEVALE/ 132 Collana diretta da Mario Mancini, Luigi Milone e Francesco Zambon

Dei frutti squisiti del paradiso come può il gusto scoprire colui che la "mela" del mento di un bello non abbia quaggiù addentato? Hafez, Divdn, ed. Pizhman 213/5

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 oOI86 Roma telefono o6 42 81 84 I7 fax o6 42 74 79 31

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Hàfez

Canzoni d'amore e di taverna Nel Trecento alla corte di Shiraz A cura di Carlo Saccone

Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo del MIUR e dell'Università di Bologna

"

ristampa, marzo 2020 edizione, giugno 2011 © copyright 2ou by Carocci editore S .p.A., Roma r

r



Realizzazione editoriale: Omnibook, Bari

ISBN 978-88-430-6062-7 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico .

Indice

Nota alla presente traduzione l 7

Finzione amorosa e finzione religiosa nel Canzoniere di Hafez: la "lingua dell'invisibile" l 9

Bibliografia orientativa l 37

I GHAZALI 45

ALTRI COMPONIMENTI l 287 Panegirici l 289 Quartine l 314 Frammenti l 326

5

Nota alla presente traduzione

Il presente volume e quello che esce contemporaneamente (Hafez, Vino, efebi e apostasia) sono stati concepiti come com­ pletamento dell 'antologia da me pubblicata una decina di an­ ni fa: Hafez, Il libro del Coppiere, a cura di C. Saccone, Luni, Milano-Trento 1998 (rist. Carocci, Roma 2003), che presenta­ va in italiano circa un terzo del Canzoniere e i testi originali in appendice. Perciò in questi due volumi che escono ora si tro­ va tutto quello che era rimasto fuori da detta antologia, e che naturalmente è stato tradotto a partire dalla medesima edizio­ ne critica (ed. Pizhman, 1318 Hlr940 A.D., per cui cfr. infra, la Nota bio-bibliografica) usata in precedenza. I tre volumi, insieme, rappresentano la più completa tra­ duzione italiana dell 'op era di Hàfez, essendovi compresi non solo i circa 5 00 ghazal considerati autentici (più, nel­ l' antologia, una scelta rappresentativa di ghazal ritenuti dub­ bi), ma anche tutta una serie di altri componimenti (quarti­ ne, qaside, mathnavi, poesie strofiche, frammenti e poesie d'occasione) in cui l'Autore ebbe modo di esercitare il pro­ prio estro . Anche in questa ultima parte della mia traduzione mi so­ no ampiamente avvalso dell 'indispensabile commentario al Divàn di Hàfez scritto dal bosniaco Sudi nel XVI secolo in lin­ gua turca ottomana e più volte tradotto in persiano (Shahr-e Sudi bar Hàfez, Teheran 1372 Hlr994 A.D., VII ed.) . Ho di­ scusso i problemi non semplici inerenti alla traduzione di Ha­ fez nell'introduzione alla suddetta antologia e in un articolo 7

specifico del 2oo6r; in sostanza ho cercato, nei tre volumi, di at­ tenermi il più possibile alla parola e alla imagerie dell'originale persiano, spiegando in nota tutto ciò che m'è parso opportuno o necessario. Ho spesso usato la punteggiatura (inesistente nel­ l'originale) per chiarimento del testo e suo implicito commen­ to; anche i titoli dei componimenti, che ho ricavato perlopiù dai loro incipit, non sono presenti negli originali. Le note al testo sono state concepite esclusivamente come supporto alla lettura di un testo spesso non immediatamente decodificabile per il let­ tore non specialista, con un 'attenzione particolare ai rimandi coranici e alla sintetica illustrazione dei topoi più ricorrenti. Per sottolineare la strutturale ambiguità del dettato hafeziano ho voluto evidenziare una serie di termini notevoli, a doppio sen­ so mistico- erotico, con l'iniziale maiuscola. Sicuramente non ho potuto se non pallidamente rendere, nel frammentarismo strut­ turale e irriducibile di tanti ghazal, quella grazia squisita e inef­ fabile che è nelle tante miracolose " sospensioni nel vuoto " che si producono nel passaggio da un verso all'altro, là dove l' Au­ tore sa spesso introdurre magistrali sorprese, novità repentine di tono, cambi imprevisti di giro d'immagini, alternanze inatte­ se di pensieri, arguzie, argomenti, ironie, sentenze ecc. Per la pronuncia dei termini persiani si possono osservare que­ ste poche indicazioni pratiche: a = lunga nasalizzata tendente a una o italiana molto aperta; c= c italiana di cera;j= g italiana di gelo; g = g italiana di gola;gh = gr francese di gros;kh = eh tedesco di Buch; sh = se italiana di scena; la z vale sempre la s sonora di rosa. L'accento cade di norma sull 'ultima sillaba.

r. Tradurre Hà/ez, in G. Brunetti, G. Giannini (a cura di) , «La traduzio­ ne è una /orma». Traduzione e sopravvivenza dei testi romanzi medievali. Atti del Convegno (Bologna, I-2 dicembre 2005), in "Quaderni di Filologia roman­

za della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Bologna" , 157-76.

pp.

8

19,

2006,

Finzione amorosa e finzione religiosa nel Canzoniere di Hàfez: la "lingua dell'invisibile"��

Ho avuto modo più volte di interessarmi di Shams od-din Mohammad Hàfez, poeta persiano di Shiraz (r3I9-1390), a par­ tire da un' antologia del suo celebre Canzoniere che ebbi a cu­ rare anni addietro. È autore, Hàfez, che, in un certo senso, più si legge e più si capisce . . . di non aver capito. Come tutti i gran­ di della letteratura mondiale, come ogni vero classico, la sua l et­ tura è ogni volta una scoperta o forse, verrebbe da dire, una " ri­ velazione", termine vagamente religioso che non si usa qui per caso. E non a caso infatti la tradizione critica autoctona lo chiamò "lingua dell'invisibile" (Lisàn al-Ghayb), dove il secon­ do termine, ghayb, designa propriamente nel gergo religioso la dimensione del non percepibile agli umani sensi, dell'invisibi­ le appunto, owero del mistero divino. Aspetto che viene pie­ namente colto da Goethe, che leggerà Hàfez avidamente nella traduzione tedesca di Joseph von Hammer-Purgstall uscita nel r812-13, e a cui dedicherà poi il suo West-Oestlicher Diwan, che inizia a scrivere nel r8r9, oltre a numerose dense pagine di acu­ to commento. Questa capacità di parlare dell'oltre, dell'invisi­ bile, nel segno di una caratteristica inimitabile ambiguità, verrà poi splendidamente sintetizzata in celebri versi di Riickert: 1' Le numerose citazioni che si fanno in questo saggio sono riprese dai tre volumi delle poesie di Hafez che ho curato e che così vengono indicati: H1 Il libro del Coppiere (Carocci, Roma 2003); H2 Vino, efebi e apostasia (Carocci, Roma 20u) ; H3 Canzoni d'amore e di taverna (Carocci, Roma 20n) . L'edizione Pizhman, Teheran 1318 H/r940 A.D.- edizione di riferimen­ to del Canzoniere di Hafez per i citati volumi - è abbreviata nella lettera P se­ guita dal numero d'ordine del componimento. =

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Hafis, wo er scheinet Ùbersinnliches nur zu reden, redet i.iber Sinnliches Oder redet er, wo i.iber Sinnliches er zu reden scheint, nur Ùbersinnliches? Sein Geheimnis ist uni.ibersinnlich Denn sein Sinnliches ist i.ibersinnlich Hafez, quando sembra che parli di sovrasensibile l parla in realtà del sensibile l O non è che, quando sembra parlare del sensibile l parli invece di sovrasensibile? l Il suo segreto non è al di là dei sensi l poi­ ché è il suo sensibile ch'è soprasensibile.

Lo stesso nom de plume, Hafez, indica qualcuno che "ha man­ dato a memoria" il Corano, cosa che riluce ampiamente dal suo Canzoniere, brulicante di citazioni dirette o indirette dal testo sacro ai musulmani. Questi due soli nomi - Lisàn al-Ghayb e Hà/ez- già ci dovrebbero dire molto sulla vitalità nel poeta di Shiraz del nesso poesia-religione, troppo spesso ignorato o sot­ tovalutato dai suoi " scopritori " occidentali, con rare eccezioni tra gli iranisti (Arberry, Biirgel, e dovremmo anche ricordare quello splendido " dilettante " che è l'Emerson del saggio sulla Persian Poetry). Ma ci sono molti altri elementi nella sua bio­ grafia (cfr. PAR. 4, Nota bio-bibliografica) e soprattutto nella sua stessa scrittura che depongono per la centralità di questo nesso. Hàfez, ben inteso, non è un bigotto, al contrario: come aveva fatto un altro ben noto poeta persiano, 'Ornar Khayyàm (m. n 26 ca.), se la prende spesso e volentieri con gli ambienti religiosi, bacchettando sonoramente e senza pietà i dottori della legge e gli asceti sufi, i moralisti e i predicatori. Ma lo fa - ulteriore aspetto spesso colpevolmente trascurato da chi lo vuol leggere soltanto come poeta dell'edonismo e del beau vivre- a partire da una identità religiosa, identità fittizia e alquanto composita come vedremo, ma pur sempre inequivocabilmente religiosa. Si sarà inteso da questi pochi cenni come la critica, so­ prattutto occidentale, abbia a lungo girato intorno alla queIO

stione: Hàfez è un poeta edonista-epicureo o un poeta reli­ gioso (mistico)? La sua è poesia che si lascia leggere in chiave religiosa, mistica, e/o magari in chiave di dura polemica verso l'Islam ortodosso? O è piuttosto sottile, cifrata allusione a una sorta di gai saber, ricerca dijoi, di mondano e galante bonheur, qualcosa insomma di estraneo alla sensibilità religiosa prima ancora che contrapposto? La risposta, per quanto ci riguarda, è che forse le domande andrebbero riformulate. Ci si dovreb­ be chiedere ad esempio: quale funzione hanno gli innegabili elementi religiosi della sua scrittura? Ovvero, partendo dalla fondamentale ambiguità di tanta p arte del suo linguaggio, qual è - si chiedeva Burgel - «the use of religious terminology in the poetry of Hàfiz»? La domanda può venire estesa anche alla ricca imagerie religiosa (islamico-cristiano-zoroastriana) del Canzoniere. Per esemplificare: quale funzione hanno i riti, ovvero le liturgie bacchico-amorose, celebrati come vedremo da un misterioso " p riore dei magi " ? In Hàfez, si chiedeva Alessandro Bausani, è religioso solo il linguaggio o anche il contenuto, il messaggio? Sennonché la poesia hafeziana si struttura anche attraver­ so discorsi che apparentemente poco hanno a che fare con quello religioso. Essa ci pone sotto gli occhi un discorso liri­ co-amoroso, un discorso cortigiano-panegiristico ; infine, par­ ticolare non trascurabile, questo che è il più grande poeta liri­ co fiorito in terre islamiche ci offre una poesia fortemente drammatizzata, dagli esiti si direbbe quasi teatrali. I

La finzione drammatica Leggere questo o quel ghazal di Hàfez dà talora l'impressione di vedere quasi dei frammenti di una pièce teatrale. Impres­ sione doppiamente curiosa, sia perché siamo di fronte a com­ ponimenti tipicamente lirici, i ghazal appunto - paragonabili II

ai sonetti della nostra tradizione -, sia perché la letteratura persiana colta apparentemente non conosce forme drammati­ che e si dovrà attendere almeno sino all'Ottocento per vedere una commedia scritta in persiano - peraltro a imitazione del teatro espressosi in lingue europee; dobbiamo sottolineare qui il " colta " , poiché forme di teatro rituale popolare del genere " dramma sacro " (le ta'ziye, sulla passione e morte dei martiri sciiti) si svilupperanno in ambienti sciiti dal XVI-XVII secolo in poi, venendo raccolte e trascritte ancora più tardi, in sostanza dall'Ottocento. Nel ghazal hafeziano assistiamo in realtà a una marcata drammatizzazione del sentimento lirico, in assoluto cosa non nuova nella poesia persiana, ma che in Hafez si ac­ centua e intensifica al massimo diventando in seguito una ca­ ratteristica tipica della forma-ghazal. Per entrare un po' nel clima di un ghazal persiano, do­ vremmo innanzitutto spogliarci di pregiudizi romantici: il gha­ zal non è propriamente uno sfogo sentimentale, né una spon­ tanea confessione, tanto meno la fedele e sincera registrazio­ ne di emozioni legate al momento o alla memoria. Soprattut­ to, scoperta che può apparire sconcertante, l'io lirico ci appa­ re del tutto de-personalizzato o de-individualizzato, invano vi si cercherebbe la concreta fisionomia o psicologia dell'Auto­ re: è piuttosto un " io-personaggio " che va a identificarsi pre­ cisamente con il personaggio-amante (rdsheq). Dall 'altro lato del rapporto accade qualcosa di simile e forse di ancor più sor­ prendente: chi viene cantato non è, come avveniva nel nostro Stilnovo, un individuo concreto, storicamente individuabile o almeno plausibile (la Beatrice di Dante, la Selvaggia di Cino o, più tardi, la Laura di Petrarca), bensì un misterioso " ami­ co " (in persiano dust, oppure ydr) che resta di regola innomi­ nato, è genericamente un " amato " (marshuq) senz 'altre preci­ sazioni. Insomma, non è quel lui particolare, ma piuttosto un "lui-personaggio ", una generica dramatis persona. Ora, se l'io­ personaggio è di regola identificabile con l'io lirico, il lui-per12

sonaggio resta invece talmente nel vago e nell 'indeterminato da autorizzare - già nell'uditorio medievale - ogni possibile speculazione sulla sua reale identità: un amico/amante in car­ ne e ossa, oppure un augusto patrono e mecenate, o un amico dai connotati spirituali (un maestro sufi, un angelo), o magari qualcosa di ancor più rarefatto come un'idea personificata del Bello e dell'Amore, o persino Dio stesso, l'Amico con la ini­ ziale maiuscola. L'io-personaggio del ghazal si rivolge con un 'apostrofe in­ cessante a questa figura tanto vaga e indeterminata, ma non so­ lo a questa. Spessissimo interagisce all 'interno del medesimo componimento con l'una o l' altra di tutta una serie di altre dra­ matis personae: il vento dell'alba (bàd-e sabà), sorta di zefiro con la duplice funzione di messaggero e di confidente d'amore; il guardiano (raqib) dell'amato, che si mostra geloso e severo cu­ stode; il borioso (modda'i, etimologicamente qualcosa come " uno che avanza [false] pretese " ) ; il calunniatore; il prefetto (mohtaseb), sorta di bargello che nelle città musulmane medie­ vali vegliava sui mercati e sui costumi; il mu/ti o il cadì, figure di religiosi con analoghi compiti censorii; e poi tutti gli altri, i " rivali " (harz/àn) in amore. Alcuni di questi personaggi richia­ mano - come è stato spesso osservato - analoghe figure della tradizione trobadorica o stilnovistica: zefiro messaggero, il gar­ dador, i l lauzengier ... Ma quel che d preme sottolineare qui è altro. Leggendo i ghazal di Hàfez, ci balza dinanzi agli occhi una vivida e animatissima rappresentazione, anzi quasi una "messa in scena" dell'amore, affollata di personaggi - di rego­ la sempre innominati - che affiancano con funzioni precise i due protagonisti: l'amante e l'amato. Se poi consideriamo que­ sti ultimi, si osserva un ulteriore elemento per così dire teatra­ le: l'ampio uso di "maschere " ovvero di travestimenti. Così l'a­ mante si presenta di volta in volta nelle vesti del libertino (rend) o del beone o del sufi o del viandante o del malato o del vec­ chio saggio; sull'altro versante l'amato è di volta in volta un efe13

bico coppiere (sdqi) o un assassino o un medico o un cavaliere (spesso un giocatore di polo) o un brigante/predone o un gio­ vane discepolo. Di regola anzi una maschera richiama l'altra, come a formare delle coppie fisse. Ossia, per esemplificare, l'a­ mante e l'amato possono comparire in un ghazal come rispetti­ vamente: beone- coppiere, viandante-brigante, vecchio saggio­ giovane discepolo, malato-medico e così via. L'impressione di teatralità è poi ulteriormente rafforzata dal frequente cambio di scenario: la taverna, il convento, il vicolo, il banchetto, il giar­ dino, con i relativi personaggi e sfondi obbligati. Altre volte in­ vece l'io-personaggio si muove in uno scenario tutto interno, puramente mentale e talora quasi onirico: ora " s'azzuffa " con il cuore che non vuoi sentire ragioni, ora vagheggia o sogna a occhi aperti il " fantasma" (khiydl) o immagine mentale dell'a­ mato, ora va ragionando pacatamente con se stesso intorno al­ la propria interminabile pena. Infine, nell'ultimo verso, come sdoppiandosi, l'io-personaggio si rivolge con un'apostrofe al­ l'Autore (che così ha modo di "firmare" il componimento) per fare tutta una serie di considerazioni di vario tenore; spesso inoltre, come un consumato attore, egli si volge a un "pubbli­ co" non proprio immaginario, come vedremo tra poco, a un uditorio, quasi per coinvolgerlo sapientemente nei propri in­ tricati pensieri o nelle proprie angosce amorose. A volte Hàfez, spezzando la forma del monologo lirico, ci porge un ghazal concepito e scritto in pura forma- dialogo, in cui sin dall'inizio ogni verso è introdotto da un " dissi " seguito da un altro verso introdotto da un " rispose", dove insomma la scrittura assume una piena forma drammatica (cfr. ad esempio il ghazal4 nel vo­ lume Hàfez, Vino) efebi e apostasia, che corrisponde al n. 1 4 nel­ l' ed. Pizhman, d'ora in avanti abbreviata in P). Ma cosa si dice in questo teatro d' amore? I suoi personag­ gi mettono in scena dei copioni fissi, tipicamente: la lauda in­ cessante dell ' amato; oppure la smania in contenibile dell'a­ mante; oppure il vagheggiamento di un'immagine dell' amato 14

(ma ve ne sono altri ancora) . Questi copioni girano intorno a una serie di temi prevedibili: gelosia, rimprovero, minaccia, promessa, blandizia, gioia, disperazione, desiderio, speranza. Ogni ghazal, si può dire, mette in scena un copione mono o politematico, mostrando una struttura più o meno compatta, talora vistosamente e intenzionalmente frammentaria (aspet­ to acutamente indagato dall' Arberry), che rimanda in ogni ca­ so, sistematicamente, a una pluralità di piani semantici o di lettura. E che pone il problema della " unità del ghazal" hafe­ ziano (Hillman), unità che a mio avviso va ricercata a livello non del singolo componimento, bensì, come si sarà intuito da quanto detto finora, al livello del macrotesto " teatralmente " strutturato, insomma del Canzoniere nel suo complesso. In conclusione, leggendo questa poesia, verrebbe da dire che siamo di fronte a una sorta di grandiosa " finzione dram­ matica ", che per così dire si struttura teatralmente, con le sue dramatis personae, i suoi scenari, le sue maschere, i suoi co­ pioni; ogni singolo ghazal ci porge solo un episodio/fram­ mento dell 'amoroso dramma, che andrebbe sempre rappor­ tato per una migliore comprensione al tutto, al macrotesto, al sistema complessivo dell'hafeziano " teatrino d'amore " . L a cosa meraviglierà di meno s e si prendono in considera­ zione anche le modalità di fruizione di questo genere di poesia. Essa di solito veniva declamata dal poeta stesso o da un fine di­ citore in apposite majles ( " sessioni " poetiche), di fronte a un pubblico cortigiano, pubblico di intenditori - tra cui era di so­ lito anche il principe in persona - variamente coinvolto nella performance. Che spesso il "lui-personaggio " , ovvero l'amato fatto oggetto nel ghazal di lauda incessante, potesse diretta­ mente o indirettamente richiamare proprio la figura del prin­ cipe/mecenate presente tra il pubblico; che il personaggio col­ lettivo dei " rivali " potesse alludere al mondo spesso infido dei cortigiani e degli altri poeti che si contendevano i favori del­ l'augusto " amato " ; che nella menzione del guastafeste di turno 15

(il " guardiano" o il " calunniatore ") si potesse intravedere una perfida frecciata a questo o quel cortigiano, tutto questo face­ va parte certamente delle regole del gioco. Così come è pacifi­ co che ogni ghazal-pièce potesse essere letto come amabile ele­ gante "finzione amorosa" in cui il poeta celebrava, attraverso il linguaggio dell'eros, i riti e i valori di una società nobiliare- cor­ tigiana: obbedienza, lealtà, devozione, fedeltà, dedizione asso­ luta al signore. Che sono poi - come ci mostra in altro contesto e con mezzi diversi la poesia trobadorica - valori comuni alla sfera del servizio amoroso e a quella del servizio cortese, all'a­ mante e al cortigiano, rivelando anche nella lirica hafeziana (e persiana in generale) un "parallelismo impressionante " tra sfe­ ra dell'eros e sfera del potere (Mancini). Ma sono anche valori comuni - e qui il discorso cambia e si allarga in tutt'altra dire­ zione - all'amante e al mistico. È infatti sufficiente pensare il "lui-personaggio " come un 'allusione al Dio del Corano, l'A­ mato celeste, o vedere nel vino distribuito dal coppiere una me­ tafora della sapienza arcana distribuita da un maestro sufi, ed ecco che l'interpretazione prende subito tutt'altre direzioni. Sui vari elementi di questa sorta di teatrino d'amore che è il Canzoniere di Hàfez, e sulle possibili letture in chiave amoro­ sa, mistica o cortigiana, mi sono già intrattenuto altrove, per cui, fatti questi pochi richiami, passerò ora ad analizzare altri aspetti della sua poesia. 2

La finzione amorosa e il contesto cortigiano Si è talora voluto leggere la poesia hafeziana in termini squisi­ tamente panegiristici, a partire da un noto studio di Lescot, ri­ salente al 1944. La immediata identificazione del lui-personag­ gio, l"' amato ", col sovrano o altro mecenate del poeta, appare oltretutto spesso corroborata dalla menzione esplicita all'inr6

terno del ghazal, di solito verso la fine, del nome di questo o quel patrono (un principe, un visir, un notabile dell'alta società di corte). Sennonché, nel complesso dei circa 500 ghazal del Canzoniere, una menzione di questo tipo appare in meno del IO per cento dei componimenti, autorizzando l'ipotesi che que­ sti, e solo questi, andrebbero eventualmente considerati come dei panegirici, o "ghazal panegiricizzati " - che in sostanza imi­ terebbero la qaside (il genere panegirico per eccellenza nelle lettere arabe e persiane) nella più breve e compatta forma del ghazal. Ma se si guarda a questi "ghazal-panegirici ", spesso si ha l'impressione che la menzione del nome del mecenate sia per così dire posticcia, proprio nel senso che il componimen­ to di per sé non soffrirebbe minimamente della sua eventuale mancanza. Hafez, com 'è noto, non compose che pochissime qaside (cinque, di cui solo due quelle date oggi per autentiche). Probabilmente non amava questa forma, che tuttavia resta nel medioevo letterario persiano il pane quotidiano del poeta di corte, che si guadagnava da vivere componendo panegirici nel­ le più varie occasioni: nascite, cacce, incoronazioni, vittorie ecc. Hafez scelse di "panegiricizzare " il ghazal, la forma lirica per eccellenza e a lui senza dubbio più congeniale, scelta che, come s'è detto, è ampiamente documentata da quei ghazal che nominano espressamente un principe o un visir. Non sono molti però - è la mia impressione - i ghazal di questo tipo che appaiono sin dall'incipit manifestamente concepiti come pa­ negirici; il più delle volte il poeta si limita a inserire un verso, collocato perlopiù alla fine del componimento, che menziona il nome di questo o quel mecenate, apponendo così al ghazal una marca tipica del panegirico. È intuibile la grande facilità con cui il poeta poteva cambiare il destinatario della sua lode, cosa che in qualche caso è attestata dallo studio delle varianti e che autorizza a pensare che uno stesso componimento po­ tesse essere facilmente riciclato in funzione delle circostanze. In pratica, poteva essere fatto ricopiare e circolare con o senza

il verso di lode esplicita di un mecenate; se del caso, lo stesso verso, con piccoli aggiustamenti, poteva essere indirizzato a un mecenate diverso, o magari rimaneggiato e privato della espli­ cita menzione di un nome qualsiasi. Insomma Hàfez, con que­ sta menzione del nome del "lodato " (mamduh), ci dà a volte l'impressione di voler pagare quasi svogliatamente, senza trop­ pa convinzione, il necessario tributo al patrono del momento all'interno di componimenti in cui il tema amoroso (o bacchi­ co-amoroso) resta dominante. Owio che la presenza di detta marca di panegirico in un ghazal proiettava, poteva proiettare, un senso diverso sul discorso amoroso che si dipana nei versi precedenti o seguenti, ossia orientarne l'interpretazione nel senso della " finzione amoros a " in cui l a lauda all ' amato (ma'shuq) elegantemente ricopre un più prosaico rapporto di tipo adulatorio col mecenate lodato (mamduh). Non solo, si potrebbe legittimamente sospettare anche per il resto del Can­ zoniere - ossia sui ghazal privi di una espressa marca di pane­ girico (che sono la stragrande maggioranza) - un intento fon­ damentalmente encomiastico, per cui in sostanza il " servizio d'amore " del poeta-amante nei confronti del suo " re dei belli " (shah-e khuban), l'amato, rinvierebbe al servizio al signore di Shiraz ; o, altrimenti detto, il vassallaggio amoroso da lui siste­ maticamente vantato coprirebbe elegantemente un vassallag­ gio d'altro genere, e come tale magari andrebbe letto. Ecco, il tema amoroso, ci si potrebbe chiedere a questo punto, è sempre e soltanto in Hàfez una bella finzione che convoglierebbe tutt' altro tipo di messaggio, ossia un panegi­ rico, o c'è dell' altro? In altri termini, la domanda potrebbe es­ sere anche così formulata: l' amore che in Hàfez appare come sofferenza e servizio, si può sempre spiegare - giusto il paral­ lelo con certa lirica trobadorica - in termini psicologico-so­ ciali, ossia di attesa di un riconoscimento, di «speranza di ri­ comp en s a, che è in ultima analisi sforzo d ' integrazione» (Mancini) nella società cortigiana? r8

3

La finzione religiosa 3. 1. La tradizione autoctona fa di Hàfez un poeta-'dre/, ossia un poeta che è al contempo un " sapiente " o " saggio " , che tra­ smette coi suoi versi una sorta di conoscenza/sapienza. Il ter­ mine 'dre/ (un participio attivo arabo da 'ara/a= conoscere, eti­ mologicamente dunque qualcosa come " conoscente" o " scien­ te", che viene reso talora anche con " gnostico ", owero adep­ to di una sapienza esoterica) rinvia insomma a una concezione della poesia come " sapienza", come " filosofia " ; idea certo non estranea - come ha ampiamente mostrato il Curtius - al nostro stesso medioevo a partire dal caso macroscopico di un Dante. Amore e sapienza nel Canzoniere hafeziano vanno di pari pas­ so, l'amore può divenire una forma di conoscenza, di " gnosi ", superiore. Se poi si legge nel lui-personaggio dei ghazal, ossia l' " amato ", una figura di Dio - così come fa gran parte della critica autoctona -, ecco che l'amore diventa ipso facto una sorta di " teologia sperimentale" di cui Hàfez sarebbe certa­ mente nelle lettere persiane il cantore più geniale. Questa idea dell'amore, o meglio di una " via amorosa" come via brevis al­ la conoscenza di Dio, non è una invenzione di Hàfez, ha ben­ sì dietro di sé un 'ampia e autorevole letteratura sviluppatasi soprattutto negli ambienti del sufismo persiano, su cui torne­ remo tra breve. In effetti che non si tratti solo di una "finzione d'amore ", che non si tratti solo di cortigiana adulazione elegantemente travestita da vassallaggio amoroso, o di ansia di "integrazio­ ne" nella società nobiliare-cortigiana, ce lo fa supporre la pre­ senza costante nel Canzoniere di un terzo, fondamentale per­ sonaggio: il priore dei magi (pir-e moghdn), contornato dalla sua misteriosa confraternita zoroastriana. Qui siamo di fronte a una seconda grande finzione: una finzione religiosa, che ha peraltro una lunga storia dietro di sé, su cui non possiamo qui 19

intrattenerci. Diremo solo che sin dal "manifesto " di Daqiqi (x secolo), poeta persiano degli esordi di questa letteratura, il poeta deve programmaticamente interessarsi a quattro cose bad-nam ( = " di cattivo-nome", malfamate): vino, amore, mu­ sica e zoroastrismo, proprio nel senso di dichiarare o affetta­ re una intima adesione alla fede di Zarathustra. Quasi in atto di sfida alla celebre condanna dei poeti contenuta nel Corano (n, 226, ove essi sono definiti menzogneri e traviatori impeni­ tenti) , i poeti persiani ameranno - in poesia beninteso - osten­ tare atteggiamenti scostumati e trasgressivi e si travestiranno da fedeli di culti extraislamici (atteggiamenti che hanno un precedente a Baghdad in certe correnti della poesia araba del­ l'viii-IX secolo). Il priore dei magi e i suoi discepoli sono de­ diti non solo a un culto non islamico, ma sono spesso presen­ tati nel Canzoniere come adepti di una sorta di religione del vino e dell'amore, con i suoi riti e le sue credenze, cui, parti­ colare fondamentale, lo stesso io-personaggio, l ' amante ap ­ punto, aspira o si dichiara appartenente. Non mi intratterrò sugli aspetti marcatamente anomistici di questo " motivo zo­ roastriano" (l'apostasia è peccato imperdonabile secondo i dottori dell'Islam), né sulla centralità degli altri su menziona­ ti elementi "malfamati " (bad-nam)- soprattutto il vino e l ' a­ more (omoerotico di regola, dunque proibito) - nel Canzo­ niere hafeziano e, in generale, in tutta la tradizione poetica persiana. Vorremmo invece rilevare che questo priore appare un po' come il gran sacerdote di una specie di setta esoterica, il venerato dispensiere di una sapienza, una " gaia scienza " , de­ stinata a degli eletti, ossia a pochi, la cui cifra poetica è il vino; quanto all' amante, owero l'io-personaggio, sembra non pos­ sa fare a meno dei suoi insegnamenti, vera propedeutica al gio­ co d'amore, e aspira con tutto se stesso a esservi ammesso. Anzi non è raro che l'amante stesso, con un 'apostrofe al pubblico, inviti a lasciare la moschea e i suoi austeri predica­ tori per raggiungere il convento dei magi e farsi tutti devoti di20

scepoli del suo misterioso e allegro priore. Come a dire che l'a­ more, l'acquisizione dello status del perfetto " amante ", passa: a) per una conoscenza tutta da acquisire, owero per l'inizia­ zione a una sapienza di cui solo il priore (e la cerchia dei suoi magi) è il depositario; b) per un ripudio totale della vecchia esistenza, per una sor­ ta di palingenesi radicale la cui cifra è l'apostasia dall'Islam, nella fattispecie la conversione ai riti e alla fede dei magi; c) per il passaggio da uno stile di vita bigotto e morigerato a una sorta di spensierata " dolce vita" - tra vino, amanti, can­ zoni e trasgressioni varie all'insegna della richiamata poetica dell'infamia (bad-nami) - insomma a un nuovo lz/e style rias­ sumibile nella condotta del rend (=libertino, ma in origine un furfante, uno " sregolato " ed emarginato), altra maschera con cui l'io-personaggio del Canzoniere ama presentarsi. Questa "finzione religiosa" pervade il Canzoniere in ogni direzione: c'è l'identità sufi dell 'io-personaggio di cui s'è det­ to, c'è il suo pencolare tra moschee e templi del fuoco, c'è la costante sottolineatura di una irriducibile opposizione tra Islam e fede di Zoroastro, tra sufi e magi. Ad esempio più vol­ te il poeta- amante, in veste di sufi pentito (di non avere anco­ ra assaggiato il vino...), dichiara di voler andare al convento dei magi per essere iniziato ai bacchici riti del suo priore; op­ pure di voler dare in pegno il proprio saio di sufi e il tappeto da preghiera per andare ad acquistare il vino dei magi. Ben strano sufi, si dirà: l' elemento anomistico, la rendi (libertinag­ gio, "furfanteria"), ne è certamente un aspetto essenziale. Ma non è evidentemente un libertinaggio alla Guglielmo IX, il fa­ moso sovrano-trovatore e " amorale ", non è pura ricerca del piacere; ci viene da pensare piuttosto a una rendi che è cifra poetica di una sofferta "libertà dello spirito e del cuore ", di una ricerca d' altro genere. Ulteriore complicazione dell'im­ maginario amoroso presente nel Canzoniere: spesso l'amato è identificato con un giovane "figlio di magi " , che magari ven21

de il vino o lo versa/distribuisce ai suoi spasimanti. Qui la ma­ schera del " coppiere " o del "vinaio " si sovrappone insomma a quella dell' amato " travestito " da mago o adepto dei magi. Amarlo, in poche parole, significa "bere il suo vino " fino in fondo, owero non solo trasgredire sfacciatamente la legge re­ ligiosa portata da Maometto, ma compiere anche un passo estremo: farsi adepto della fede del priore dei magi, farsi apo­ stata per amore, motivo che ha una lunga storia nelle lettere persiane a partire da quella emblematica di Sheykh San'an, il maestro sufi innamoratosi di una bella cristiana, narrata nel Mantiq al-Tayr (Il verbo degli uccelli) di 'Attar. 3.2. Ecco, siamo forse al punto nodale della poesia hafeziana: il poeta ama presentarsi con una identità prevalentemente re­ ligiosa. In particolare predilige la maschera del sufi pentito e fattosi rend, insomma di un religioso entrato in crisi e biso­ gnoso - oltre che del vino e delle attenzioni dell' amato, ben s'intende - della illuminazione del priore dei magi, owero del maestro di un'altra fede. Questo travestimento da sufi en pas­ sant offre a Hafez il destro per tante ironiche provocazioni e innumerevoli frecciate all'ambiente dei sufi di Shiraz - pare diviso da controversie feroci di cui erano protagonisti due or­ dini in particolare, chiamati i " rossi" e gli " azzurri " dal colo­ re del saio rispettivo. Aspetto, questo, non nuovo in una let­ teratura che ha sempre e volentieri ironizzato sui religiosi che predicano bene e razzolano male, facendone l'oggetto di una satira spietata, come ci mostra esemplarmente la raccolta di amene barzellette e " letifiche dissertazioni " di un ' Obeyd Zakanì, contemporaneo di Hafez, attivo nella stessa corte di Shiraz. Ma il punto che volevo sottolineare è un altro. Attra­ verso l'espediente di questa identità composita di sufi-aman­ te/rend impenitente che aspira a farsi adepto del priore dei magi, il discorso amoroso del Canzoniere si salda con un di­ scorso religioso da un lato; dall'altro, la conoscenza amorosa si 22

salda con una conoscenza di sapore gnostico-esoterico, una sorta di gai saber dalle evidenti valenze iniziatiche. Dobbiamo a questo punto soffermarci brevemente proprio sulla figura dell' amato. A questo proposito, innanzi tutto os­ serveremo che questo amato, il lui-personaggio di regola in­ nominato, è davvero ben strano: arbitrio e liberalità, depra­ vazione e regalità, arroganza e nobiltà, indifferenza e perico­ losità, indipendenza e crudeltà sembrano gli aspetti che me­ glio concorrono a definirne la complessa figura. È certamen­ te un maschio, un imprevedibile capriccioso giovinetto im­ berbe, ma il suo sesso è nondimeno avvolto nell' ambiguità: è spesso paragonato a un angelo, ma anche a una pari (una sor­ ta di fata) o alle urì del paradiso, presenta insomma tratti di androginia che rinviano all'idea di un " essere totale " , donan­ dogli quasi uno statuto soprannaturale ed extraumano, il che può agevolare naturalmente le interpretazioni di questa figu­ ra in chiave simbolica, misticheggiante. Ma questo giovinet­ to ha anche una potenza straordinaria, che si esplica impla­ cabilmente sulla natura e sui cuori, per cui in lui sembra ta­ lora echeggiare l ' archetipo dell'insan kamil (il macrantropo o Uomo Perfetto/Universale) della gnosi islamica. Il suo potere sull' amante è totale e incondizionato, è in effetti un potere di vita e di morte; le sue concessioni all' amante sono - quando ci sono - del tutto gratuite, per così dire svincolate da merito e demerito accumulati nel servizio amoroso. La sua bellezza è naturalmente indescrivibile, è definito «re dei belli» (shah-e khuban): egli assomma in sé tutta la bellezza della terra, tut­ to il " valore " e il "pregio" del mondo, direbbero trovatori e stilnovisti nostrani. Se non fosse che questo valore o pregio include tanto il summum bonum quanto il summum malum: egli è medico e assassino, è cavaliere e beone, è signore e bri­ gante, è dolce e veleno... Questo amato che può fare ciò che vuole di chi gli sta intorno rinvia insomma, trasp arentemen23

te, a qualcuno che può porsi al di sopra o al di là del bene e del male: il capriccioso principe di Shiraz, oppure il Dio del Corano che fa il bene e fa il male a suo arbitrio, che " guida chi vuole e svia chi vuole". L'amante è letteralmente nelle sue mani, alla sua mercé. Egli sa che cercarlo è impresa ardua, ot­ tenere le sue attenzioni poi è impresa disperata: dolore, an­ goscia e sofferenza lo aspettano, non certo joi e bonheur. La distanza, la «separazione» (jerdq) da lui, non l' «unione» (ve­ sal), sono la regola: due termini chiave, questi, della mistica sufi. A volte l'amante tenta un approccio scherzoso, galante, e l' amato, tra l'irridente e il beffardo, sembra stare al gioco, ma in realtà senza mai concedersi: Scherzoso gli dissi: o tu, mio volto di luna, che vuoi che sia se una [volta da un tuo bacio, uno [come me] dal cuore ferito riceva un po' di [sollievo? Ridendo rispose: o Hàfez, in nome di Dio, non lasciare che il tuo bacio vada a insozzare il volto della luna! (H2 ghazal 129, 8-9; P 207) Tu m'avevi pur detto: mi ubriaco e poi ti darò due baci! Fu vana promessa: non ebbi i due baci, e uno neppure! (H3 ghaza/21, 4; P 308) Tre baci, dalle tue labbra concessi, son quanto mi spetta: se non me li dai, non vorrei che mio debitore divenissi! (H3 ghazal 130, 8; P 469)

L'unione agognata resta comunque un miraggio: Non altro m'è dato che giocare all'amore con lui, di nascosto perché dire di abbracci amplessi e baci, se questo mai sarà dato? (H2 ghazal 144, 6; P 227)

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Non è mai un gioco tra pari o uguali: alla civetteria e alla «moi­ na» (ndz) incessante dello sdegnoso amato corrisponde sem­ pre il bisogno e la «smania» (niydz) insoddisfatta dell' amante. L'amato è (come il Dio del Corano o il signore di Shiraz!) as­ solutamente indipendente e autosufficiente. Più spesso per l' amante l' awicinarsi a lui, l' amato, richie­ de un percorso che si snoda attraverso attesa estenuante, an­ goscia, pianti e lamenti senza fine, che comporta anzi il rischio dell'autoannientamento (/and', altro termine chiave della mi­ stica islamica). Ma soffrire masochisticamente, perdere la re­ putazione, autoumiliarsi, persino anelare a baciare la polvere dei piedi di lui o a morire per mano dell' amato (un topos del­ la lirica hafeziana e persiana in generale) non sono per l'a­ mante una iattura, anzi. L'amore cantato da Hafez nei suoi ghazal assomiglia più frequentemente al disperato amor de lonh di un Jaufre Rudel che non a quello spensierato e gal an­ te di un Bernart de Ventadorn. La grandezza di Hafez potrebbe già essere tutta qui: nei suoi perfetti ghazal egli ci parla sottilmente di Dio mentre ap­ parentemente adula il suo principe e mecenate; ci fa un raffi­ nato discorso teologico mentre ci racconta amori difficili, do­ lorosi, " distanti " ; ci indica talora una via alla salvezza, a una "vita nuova ", mentre descrive apparentemente una via della depravazione. Egli porta avanti in realtà, sapientemente in­ trecciati e splendidamente con-fusi, tre discorsi diversi: amo­ roso, religioso-iniziatico, cortigiano. Ma, forse, c'è qualcosa di più, che si lega a nostro awiso proprio alla dimensione più religiosa del suo Canzoniere, o meglio a una visione essenzialmente religiosa del tema dell 'a­ more e della bellezza, sicché qualcuno (Bi.irgel) si è spinto si­ no a parlare in proposito di una " religione dell' amore " in Ha­ fez. Però, si osserverà, gli amori cantati nel Canzoniere, anzi l'unico amore per quel misterioso e innominato " lui " dalle tante maschere, sembra un bel concentrato di depravazione 25

ed è una patente trasgressione della legge religiosa. Ho già avuto modo di intrattenermi sulle ragioni di questo insistito e ostentato omoerotismo, che non solo si inquadra nella men­ zionata " poetica dell 'infamia (bad-ndmi)"- cui nessun poeta persiano sin dai primordi è insensibile - ma a ben vedere, in sostanza, appare perfettamente funzionale a una lettura dei ghazal sia in chiave mistica (lui = Dio), sia in chiave cortigia­ na (lui = il principe di Shiraz o il mecenate di turno) . La rap­ presentazione di questi due possibili oggetti di lode - il prin­ cip e o Dio stesso - nella form a canonica di un bell ' adole­ scente imberbe o di un efebo al quale appena è spuntata la prima peluria sul viso - qualcosa come un conturb ante e "nu­ minoso" puer aeternus appare del tutto convenzionale nel primo caso; nel secondo, invece, si rifà a un ben noto hadtth in cui Maometto in persona dichiarava che nel corso della sua celeste ascensione (mi'rdj) avrebbe visto «il mio Signore in forma di un bell' adolescente imberbe». Questo hadtth, parti­ colarmente amato dai sufi, legandosi idealmente a un altro non meno noto in cui si legge «Dio è bello e ama la bellezza», fonderebbe una sorta di santificazione dell 'umano amore: è attraverso l'amore per un essere " dalle belle forme" che, se­ condo certe correnti sufi, sarebbe dato vedere una manife­ stazione della altrimenti inaccessibile divina bellezza. Sotteso a tutto questo è certamente il tema controverso della visio Dei, che appassionò i teologi dell 'Islam medievale a partire da un noto passo del Corano (VII, 143) in cui Dio si negava per­ sino a Mosè che gli chiedeva di mostrarsi con un perentorio: «N on Mi vedrai l». -

3· 3· Autorevoli trattatisti sufi, tra cui nel XII secolo Ahmad Ghazali - fratello minore del più celebre teologo Abù Hamid al Ghazali (m. nn) , svilupperanno queste idee sino a pro­ porre una "via degli amanti " alternativa sia al severo ascetismo dei sufi delle confraternite, sia a vie di carattere più speculati-

vo. Nelle Occasioni amorose (Savàneh ol-'Oshshàq, titolo di un vero catechismo dell'eros mistico dell'Islam medievale, scrit­ to da Ahmad Ghazali) si parte proprio dall'idea della funzio­ ne iniziatica della bellezza: Occorre [. .. ] essere amanti di quella Bellezza, ovvero amanti di quan­ to Egli [Dio] ama, e questo è mistero grandioso. Essi [gli amanti] ve­ dranno dunque, e conosceranno e desidereranno, il luogo della con­ templazione (mahall-e nazar) e dei segni della Sua Bellezza e il luogo della manifestazione dell'Amore (mahall-e mohabbat) di Lui (cap. LV, corsivi miei) .

Quanto a dire, rispettivamente: il cuore, in cui Dio si manife­ sta con i segni arcani della sua bellezza, e le bellezze create, gli " esseri dalle belle forme", che Dio ama, stando al hadtth su ci­ tato. Questi esseri sono spesso definiti come degli shàhid, ter­ mine che comunemente designa qualcuno particolarmente bello - nella lirica persiana identifica senz ' altro }"' amato " o l"' amata" - ma che etimologicamente significa propriamente " testimone", ossia testimone di un'altra, soprannaturale, bel­ lezza. È significativo in questo contesto che il termine equiva­ lente al nostro concetto di mistica " contemplazione" / " visio­ ne", ossia mushàhada, sia derivato dalla stessa radice di shàhid, quasi a suggerire che contemplare il soprannaturale è dato an­ che attraverso la visione delle grazie di uno shàhid, un " testi­ mone ". La bellezza può dunque avere un valore teofanico e insieme salvifico, concezione che emerge quasi in ogni pagina del Canzoniere hafeziano. Nel gioco d ' amore l' amante è certo abissalmente inferio­ re all ' amato, il " re dei belli ", è il nulla di fronte al Tutto, non si dà uguaglianz a tra i due; né l' amante/ servo aspira mai a in­ staurare - almeno nella sfera amorosa - una sorta di pari di­ gnità con l ' amato/signore, come si può invece arguire dai te­ sti di alcuni trovatori (Mancini) . Ma l' amante ha comunque un fondamentale ruolo " m aieutico " , imprescindibile, per27

ché in vero l ' amato o shdhid- ci mostra Ahmad Ghazàli- è spesso ignaro del potenziale teologico della sua stessa bel­ lezza; infatti [l'amato] la propria perfezione non può percepirla se non nello spec­ chio dell'Amore dell'amante. Perciò, sotto questo aspetto, alla Gra­ zia [dell'amato] è necessario un amante, affinché l'amato possa nu­ trirsi della propria Beltà nello specchio dell'Amore e della ricerca dell'amante. E questo è un segreto sublime.

Perché si produca dunque la " rivelazione" della bellezza, ne­ cessariamente occorre che si produca il gioco amoroso: solo nello " specchio dell' amore " dell' amante la bellezza, sommo attributo del Dio coranico, si rivela contemporaneamente an­ che all 'amato. E questo perché l' amante è più vicino alla Beltà dell'amato di lui medesimo, giacché l'amato so­ lo grazie a lui [l'amante] può nutrirsi della propria Beltà e Grazia (cap. XIII, I-2).

Più in generale come ha mostrato Helmut Ritter, questa idea, ossia che contemplare e amare (di regola castamente) un es­ sere " dalle belle forme" possa condurre alla comprensione del mistero della divina bellezza e in definitiva costituire una sor­ ta di via brevis all' unio mystica, si farà strada in ambienti sufi, peraltro non senza alimentare polemiche e controversie sulla sua intrinseca pericolosità, connessa con le facili tentazioni cui l' adepto intuibilmente si esponeva. Ora, troviamo proprio a Shiraz, un secolo e mezzo prima di Hàfez, un altro noto teorico di questa " via degli amanti ", Ruzbehàn Baqli (m. 1209), che ebbe una sua scuola rinomata e che - secondo Henry Corbin - dovette influenzare non po­ co la formazione e l'ideologia amorosa dello stresso Hàfez. Anche Ruzbehàn sottolinea nel suo magnifico trattato 'Abhar ol-'Asheqin (Il gelsomino degli amanti) il valore per così dire 28

di pddagogische Er/ahrung dell'amore umano: «L'amore pro­ vato per un essere umano è la scala dell 'amore per l'Essere di­ vino», idea che il grande Rumi (m. 1273) certamente mise in pratica, come è dato vedere nel canto entusiastico per l ' ama­ to Shams -e Tabriz, suo maestro spirituale e sua personalissi­ ma " teofania ", cui egli dedicò un celebre canzoniere. Si noti come qui l'immagine della scala sottilmente rinvii alla celebre ascensione celeste o mi'raj del profeta - immagine archetipi­ ca di tutti i voli mistici nell 'Islam - col sottinteso che la mi­ steriosa " scala dorata" che secondo la celebre leggenda portò Maometto sino in cielo altro non sia che quella dell ' amore umano. Ritroviamo in Ruzbehan anche la concezione del va­ lore iniziatico della bellezza: «L'amore comincia con la visio­ ne di Grazia e Bellezza», una visione che si carica intuibil­ mente di gnostiche connotazioni o - direbbe forse Henry Corbin - di valenze immaginali. Ruzbehan non esita a rica­ varne quasi un nuovo comandamento, riassunto in uno splen­ dido aforisma: Nel giardino d'Amore si tratta di un solo unico amore: occorre nel li­ bro dell'amore umano apprendere le regole dell'amore divino.

Sullo sfondo di queste concezioni, la "finzione amorosa " mes­ sa in scena da Hafez nel teatrino del suo Canzoniere non può essere meramente interpretabile in termini o di omaggio corti­ giano del poeta al suo " amato " principe o di semplice awentu­ ra galante, mondana, che sorga da naturali concupiscenze: Sottigliezza sublime, arcana , è lo stato da cui Amore subito sorge: il suo nome non è davvero "labbro di rubino" , né "fulva peluria" ! La Bellezza dell'amato non è in occhi, ciuffo, neo o guancia: mille aspetti sottili son nell'azione di chi il cuore ci ruba! (H 2 ghazal 25, 5-6; P 46, corsivi miei)

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L'amato esercita una misteriosa azione (kdr) che non è riduci­ bile a mera seduzione, ma presenta «mille asp etti sottili» (hezdr nokte, letteralmente «mille punti», qui nel senso di con­ cetti difficili e sottili) , incomprensibili al non iniziato, che chiamano dunque in causa la dimensione intellettiva dell 'a­ mante. Vista dalla parte dell 'amante in effetti, questa amoro­ sa finzione, che ha origine da arcane sottigliezze (latz/e-ye nehdn) dell'anima e si dispiega ben al di là di una eccitata am­ mirazione delle grazie dell' amato, può acquistare una valenza intellettuale- conoscitiva che prefigura una via mistica un po' sui generis, ma saldamente documentata sia nella prassi di cer­ to sufismo, sia nella teoria esposta dai trattatisti sopra nomi­ nati (e ulteriormente sviluppata dai loro discepoli ed epigoni) . L'amore umano è in questi ambienti una bella finzione sì, ma nel senso che esso per così dire copre o vela/ rivela l'amore ve­ ro, quello del mistico che ritrova il divino in un ètre de beauté (Corbin) . Amare un essere " dalle belle forme", per chi sa im­ magina/mente vedere al di là della forma creata, è già un co­ noscere Dio perché - certifica il profeta - «Dio è bello e ama la bellezza»: gli esseri dalle belle forme (magari inconsapevol­ mente) sono, per definizione, dei teo/ori. Amarli è un cono­ scere, è per così dire una forma di teologia sperimentale. Co­ lui che sa amare a questo modo - secondo Ruzbehan - può co­ gliere nella bellezza degli shdhid, di questi veri " testimoni " di ineffabili realtà, un 'autentica intima rivelazione del divino: Il tuo viso è per me, nell'amore, il giardino della Rivelazione interio­ re. L'usignuolo della mia anima, ebbro di pre-eternità, in questo giar­ dino ha colto la rosa della Bellezza.

Ahmad Ghazalì si era spinto anche più in là. Egli gnostica­ mente teorizza la perfetta identità del volto dell ' amato con l'anima dell' amante in un aforisma che in nuce, si può dire, sintetizza tutta una teologia dell' amore: 30

L'Amore in verità è tale che il volto dell'amato diventa l'immagine dell'anima dell'amante (cap. LXV, I ) .

Lo sguardo dell' amante produce insomma una sorta di alche­ mica " intellettuale " operazione - che è insieme rivelazione dell'essere profondo dell' amato e rivelazione del divino che accomuna il " testimone" teoforo e lo spirito innamorato che lo contempla - trasformando l'amato in prodigioso specchio dell' amante medesimo, della sua anima. Se l' amato, come s'è visto nella citazione più sopra, aveva avuto bisogno dello " specchio dell ' amore " dell' amante per divenire consapevole della sua stessa " teoforicità " , per nutrirsi della sua stessa bel­ lezza e comprenderne la perfezione, egli a sua volta diventa vero e potente specchio dell' anima dell ' amante, quanto a dire che gli rivela la divinità costitutiva della sua stessa anima rapi­ ta nella " mirabile visione ". In Hàfez ritroviamo precisamente le stesse immagini, in­ nanzitutto l'idea di riflessione " speculare ", graziosamente ar­ ricchita dall' elemento degli amorosi " sospiri " , a p artire da uno sguardo " puro " (pdk) che è sempre, insieme, sguardo amoroso e sguardo intellettuale: Può vedere il volto dell'amato solo uno sguardo ch'è puro: se non hai la purezza, guardar nello specchio [=il volto dell'amato] [poi non si può (H2 ghazal 66, 8; P w8) Oh, che può fare, col tuo volto, il "fumo" del mio cuore? Quello specchio [=il tuo volto], lo sai bene, i sospiri miei non [sopporta! (H2 ghazal 98, 7; P 152) O Dio! Lo specchio della tua Bellezza di quale sostanza è mai fatto? Su di esso il sospiro mio [di dolore] non ha forza o influsso qualsiasi! (H2 ghazal 154, 3; P 241)

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Ma ritrovi amo sop rattutto l 'idea ghazaliana d ell 'identità profonda tra l' anima dell' amante e il volto dell' amato: Ogni volta che il desiderio sento di vedere l'anima mia l'immagine del tuo bel volto dipingo qui nel mio sguardo! (H3 ghazal 72, 5; P 381)

il che ci mostra come la finzione amorosa in Hàfez, lungi dal­ l'esaurirsi nella dimensione galante-seduttiva o in quella pa­ negiristica, implichi anche rilevanti aspetti gnoseologici e si le­ ghi a precise teorie dell' amore, a una complessa " erotologia" che si può far risalire almeno sino a Ahmad Ghazàll. Un aspetto sicuramente interessante di questa visione dell'e­ ros è connesso - come s 'è anticipato poc'anzi - con l'idea di una santi/icazione dell' amore umano in chiave di conoscenza mistica, che sarebbe forse interessante confrontare con le con­ cezioni di un Guglielmo di Saint-Thierry o di un Riccardo di San Vittore. L'amore umano, che nel diritto islamico entra so­ lo nel momento in cui prende la forma del matrimonio - pe­ raltro senza essere neppure un sacramento, bensì un mero contratto finalizzato alla procreazione e all'incremento ordi­ nato della comunità - acquista insomma a partire dalle acute speculazioni di Ahmad Ghazàll e di Ruzbehàn una dimensio­ ne completamente nuova, una evidente valenza iniziatico-re­ ligiosa, salvifica, e persino una marcata funzione " speculati­ va ": nella contemplazione disinteressata di un bel volto, nella visione/rivelazione della grazia infinita e ineffabile dell'amato, si intravede - e soprattutto si teorizza - una via, perfettamen­ te lecita, ad contemplanda mysteria coelestia. È quello che Hàfez , poeta e "lingua dell'invisibile", sem­ bra suggerirei in tanti suoi ghazal dove l'amato - proprio co­ me avevano teorizzato Ahmad Ghazàll e Ruzbehàn - diventa un essere traslucido di realtà soprannaturali, dove la bellezza 32

dell'efebico " re dei belli " si carica di un soprasenso tutto da decifrare ma che addita inequivocabilmente a un Oltre, a una dimensione invisibile. E dove amare può diventare davvero un miracoloso " conoscere teologicamente" e l' amore, così in­ teso, la forma di conoscenza sperimentale più alta che sembri concessa alla umana creatura. 4

Nota bio-bibliografica Le fonti sulla vita di Hàfez si riducono in sostanza a tre: la sua stessa opera poetica, i relativi commentari (ve ne sono diver­ si, composti anche da autori turchi e indiani) e le tadhkere o antologie tradizionali, che di solito presentano qualche noti­ zia sulla vita e l'opera degli autori con l' aggiunta di un florile­ gio di versi. La prima fonte, soprattutto attraverso i dedicata­ ri dei componimenti di tipo panegiristico e d' occasione, ci informa sull ' ambiente frequentato dal poeta e sul tipo di pa­ tronato di cui godette; inoltre, attraverso le citazioni dirette o indirette, ci può dire molto sulla sua formazione o le sue pre­ dilezioni letterarie. Dai commentari si ricavano perlopiù noti­ zie di carattere aneddotico, per definizione non verificabili, ma il loro numero, la lingua in cui furono scritti e la distribu­ zione sul territorio dei manoscritti ci dice ovviamente qualco­ sa di importante sulla ricezione dell'opera e del suo Autore. La terza fonte è spesso poco affidabile per lo storico della let­ teratura, in quanto le tadhkere di solito riprendono in modo ripetitivo notizie ricavate da analoghe fonti precedenti o ri­ propongono curiosità e aneddoti senza preoccup azione di sottoporli a un vaglio critico. Tuttavia anche le tadhkere sono preziose per la storia della ricezione e per comprendere la po­ sizione e il successo dell'Autore in questione. Opere a loro modo " scientifiche ", che ovviamente assegnano spazio in ra­ gione del prestigio del singolo Autore, esse hanno fra l' altro il 33

pregio di informarci sulla poesia di molti minori che altrimenti ci sarebbero ignoti e, attraverso la gerarchia che risulta impli­ citamente dallo spazio concesso, ci danno un'idea del canone letterario vigente all'epoca della compilazione. Mettendo insieme le notizie ricavate da queste fonti si ri­ cava comunque non molto di sicuro . Hàfez nacque a Shiraz nel 1319 o 1320 (ma qualcuno anticipa fino al 1315), città che non lasciò praticamente quasi mai, se si eccettua un breve periodo di disgrazia e conseguente esilio a Yazd e, forse, un tentato viaggio verso l'India che si sarebbe interrotto però per la ri­ luttanza del poeta ad affrontare i pericoli del mare. A Shiraz ebbe modo di frequentare gli ambienti di corte, dove presu­ mibilmente dovette anche incontrare un collega e raffinato poeta satirico, 'Obeyd Zakàn1, che tuttavia egli ignora com­ pletamente nel suo Canzoniere. Pare che suoi maestri, o co­ munque autori da lui particolarmente ammirati, fossero i poe­ ti Khwàju di Kerman e Salmàn di Sàve, ma nel Canzoniere si trovano frequenti citazioni dirette o indirette di molti altri poeti, tra cui 'Ornar Khayyàm, Rumi, Sa'di ecc. Ebbe come primo patrono re Eshaq Inju, signore di Shiraz, e dopo la mor­ te di questi - a seguito di una fallita impresa di conquista del­ la vicina Kerman - trovò nel vincitore, re Mobàrez od- din dei Mozaffaridi, un nuovo protettore. Questi però, a differenza del primo, pare fosse uno spirito alquanto austero e bigotto e Hàfez lamenta in qualche ghazal la chiusura delle bettole e delle taverne di Shiraz decretata dal nuovo signore. Con viva soddisfazione poi egli ne saluta la sospirata riapertura decre­ tata dal successore, re Shojà', figlio piuttosto gaudente del mo­ narca deposto, che al momento della disgrazia fu fatto acce­ care e imprigionare . Con questo sovrano, poeta egli stesso, Hàfez conobbe in realtà alti e bassi. A seguito di qualche oscu­ ro diverbio, o forse di voci malevole, fu condannato a un sia pur breve esilio da Shiraz . Hàfez, oltre alla corte shirazena, dovette frequentare o 34

avere familiarità con gli ambienti religiosi. Secondo certe no­ tizie tradizionali sarebbe stato un rispettato maestro di scuola teologica, cosa compatibile con il suo nom de plume (che at­ testa la memorizz azione del Corano) e, soprattutto, con la straordinaria cultura e sensibilità religiosa che emerge dall'o­ pera poetica. Soprattutto Hàfez ha tra i suoi numerosi patro­ ni - che loda con panegirici o con componimenti in mortem ­ non solo principi e visir (tra cui il potente ministro Qavàm od­ din, che fu forse il suo più fedele protettore), ma anche vari personaggi app artenenti alla gerarchia religiosa: imam, cadì, ulema e simili (cfr. nel presente volume Altri componimenti). Controverso è il punto del suo rapporto con gli ambienti del­ la mistica sufi, presenti a Shiraz con una o più confraternite (nel Canzoniere si accenna alle beghe tra " azzurro-vestiti " e " rosso-vestiti "), né è chiaro se - al di là dell 'identità sufi che emerge insistentemente nei ghazal- egli sia stato davvero un affiliato o vicino a tali ambienti. Nell'ultima parte della sua vi­ ta Hàfez dovette assistere impotente alla decadenza della di­ nastia moz affaride, spazzata via negli anni immediatamente posteriori alla sua morte ( 1390) dalla valanga turco-mongola di Timur-e Lang (il Tamerlano) . Il Divan (Canzoniere) è l'unica sua opera giunta fino a noi. La sua vasta popolarità è testimoniata dalle centinaia di ma­ noscritti sparsi non solo in zone iraniche, ma anche in territo­ ri turchi e indiani, e dai numerosi commentari composti dal xv secolo sino a oggi in varie lingue. I più antichi manoscritti risalgono alla prima metà del xv secolo, alcuni sono prefati da tale Mohammad Golandàm (il cui nome compare anche in un componimento strofico, di dubbia autenticità), che si dichia­ ra compagno di studi di Hàfez e che avrebbe anzi per primo raccolto la sua opera. Il principe timuride, patrono di poeti e miniaturisti, Hosseyn Bàyqarà di Herat, promosse a cavallo tra il xv e il XVI secolo una recensione del Canzoniere che con­ ta 647 ghazal- pare basata sul vaglio di non meno di cinque35

cento manoscritti all'epoca esistenti - che volle intitolare Lin­ gua dell'invisibile (Lisdn al-Ghayb), espressione che diverrà in seguito una sorta di secondo nom de plume del poeta. Un mo­ mento fondamentale nella storia del testo è la comparsa del celebre ed eccellente commentario in turco ottomano del bo­ sniaco Sudi (m. 1 591), fine letterato che mostra di conoscere di­ versi commentari precedenti, la cui personale recensione del Canzoniere include 569 ghazal, 3 mathnavi, 5 qaside, 42 fram­ menti, un componimento strofico e 69 quartine. La prima edi­ zione moderna del Canzoniere fu litografata nel 1791 a Calcut­ ta, nell'India britannica, e conteneva 725 componimenti; que­ sta fu seguita da altre numerose edizioni soprattutto fuori del­ l'Iran . Edizioni critiche dell'opera furono approntate in Ger­ mania da H. Brockhaus (Leipzig 18 54- 58) con 692 componi­ menti e, in Iran, solo molto più tardi da H. Pizhman (Teheran 1 3 1 5 Hh937 A.D.) e da M. Qazvini e G. Ghani ( 1320 Hh942 A.D.) . Queste due ultime contengono rispettivamente 578 e 576 componimenti, di cui circa 500 sono ghazal. L'edizione Pizhman raccoglie però anche numerosissimi altri componi­ menti di dubbia attribuzione, variamente classificati, arrivan­ do a un totale di 1.012 componimenti numerati, per cui si può dire che comprenda l'intero corpus hafeziano a noi pervenuto.

Bibliografia orientativa

Alcune moderne edizioni a stampa del DivJn di Hiì.fez: DivJn-e khwJje Shams od-din Mohammad HJ/ez-e Shirazi, a cura di H. Pizhman, Teheran 1318 Hh940 A.D. (edizione su cui è con­ dotta la presente traduzione italiana). Divdn-e khwJje Shams od-din Mohammad HJ/ez-e Shirazi, a cura di M. Qazvini, M. Ghani, Teheran 1320 Hh941 A.D. Divdn-e HJ/ez, a cura di P. N. Khanlari, 2 voll., Teheran 1375 Hh996 A.D., III ed. Divdn-e HJ/ez, a cura di S. Neysari, 2 voll., Teheran 1377 HII999 A.D. Divdn-e HJfez, LesJn ol-Gheyb, a cura di A. Mojahed, 2 voll., Tehe­ ran 1384 Hhoo5 A.D. Opere di riferimento in lingue europee sulla letteratura persiana: ARBERRY A. ] . , Classica! Persian Literature, Allen & Unwin, London 1958. BROWNE E. G . , A Literary History o/ Persia , 4 voll., Cambridge University Press, Cambridge 1951-53 (più volte ristampato). ETHÈ E . , Die ho/ische und romantische Poesie der Perser, Richter, Hamburg 1887. MENEGHINI CORREALE D . , Letteratura persiana di epoca selgiuchide, Cafoscarina, Venezia 2004PAGLIARO A . , BAUSANI A . , La letteratura persiana, Sansoni-Accademia, Firenze-Milano 1968. PIEMONTESE A. M . , Storia della letteratura persiana, 2 voll., Fabbri, Milano 1970 (con ricca antologia). PIZZI L , Storia della poesia persiana, 2 voll., UTET, Torino 1894RYPKA ] . , A History o/ Iranian Literature, Reidel, London 1968. SACCONE C . , Storia tematica della letteratura persiana classica , vol. I, Viaggi e visioni di re su/i profeti, Luni, Milano-Trento 1999 (poi Carocci, Roma).

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Altre opere in lingue europee sulla letteratura e la cultura religiosa persiana che aiutano a illuminare l'ambiente di Hafez: BAUSANI A . , Persia religiosa , il Saggiatore, Milano 1959. BÙRGEL J. C . , «> ( 'aql) dei teologi. Le due categorie, com'è noto, nel corso della storia dell'Islam si accapigliarono spesso in dispute e controversie. v. 7 Si allude all'amato, nella sua tipica veste di "sovrano" o " re dei belli". v. 8 Secondo Sudi questo avviene perché la bella Shiraz coi suoi splendi­ di giardini invita a piaceri sensuali (na/sàni) , piuttosto che a quelli intellettuali e spirituali (ruhàni) . Ma l'idea fatta balenare dal poeta di cambiare città (e pa­ trono) va inquadrata nel topos della "minaccia" di passare alla concorrenza, se non si sarà ben retribuiti . . .

61 Per anni seguace attento io fui... P 368 (Kh 312 ) Su 372 Per anni il seguace attento io fui della scuola dei libertini finché, con la /atwa di Ragione, in carcere cacciai l'avidità ! lo sino al nido della nobile Fenice non ci arrivai da me solo questa stazione io l'attinsi guidato dall'uccello di Salomone La tua fausta ombra distendi sul mio cuore ferito, o tesoro ambulante giacché la mia casa tutta, per la passione di te, ormai rovinata io vedo Mi sono pentito di non avere baciato le labbra al coppiere, e ora sì, mi mordo le labbra per avere l'orecchio prestato a quegli ignoranti O tu, il tuo scopo ricercalo agendo all'opposto di usi e costumi, ché io raccoglimento solo acquisii attraverso quei riccioli suoi scompigliati Un destino d'ascesi o d'ebbrezza nelle mie mani non sta, nelle tue neppure: quel che il Sovrano del Principio mi disse di fare, e quello soltanto, io feci 139

Speranza io nutro nel giardino celeste per Grazia concessa in Principio benché a lungo abbia fatto il guardiano, io, alla porta di questa taverna! L'amicizia di un bel Giuseppe che consoli la mia testa decrepita è compenso alla Pazienza che porto in questa casa di dolori infiniti E s'io ora al vertice sono dei maestri di ghazal, qual meraviglia? Per anni e anni io il servo sono stato devoto del saheb-e divan ! Alzarsi all'alba e cercar la Salute [pregando] come fa Hafez: tutto quanto io feci fu grazie alla benedizione del santo Corano ! Note v. 1 Verso interessante in cui alla "sregolatezza" del libertino beone e ama­ tore è opposta quella dell'avidità (hers) mondana (in cui è forse un'eco del de­ mone Az che, nella tradizione mazdea, è al servizio di Ahriman); la «ragione» (kherad) qui svolge una funzione positiva e salvifica (cfr. ghazal precedente, v. 6). vv. 2-3 L'uccello di Salomone è, sin dalle pagine del Corano (XXVII, 20 ss. ) , l'upupa, che poi, a partire da 'Attàr e dal suo poema mistico Mantiq al-Tayr, è ripresa dai poeti persiani come simbolo del maestro spirituale che guida i discepoli nella ricerca della fenice divina (qui implicitamente accostata all'a­ mato) dall'ombra beneaugurante. v. 4 Gli «ignoranti» (nd-ddn) sono al solito da identificarsi con i censori e bacchettoni d'ogni specie, che Hàfez vede pullulare soprattutto negli am­ bienti religiosi. v. 5 L'apostrofe è all'uditorio. Qui «raccoglimento» (jam 'iyyat) , anche nel senso di " pace interiore " o " pacificazione " , è magistralmente accostato a quanto di meno raccolto e pacificante possa apparire all'occhio del poeta­ amante: i riccioli «scompigliati» (parishdn) dell'amato. vv. 6-7 Si ribadisce l'idea, ampiamente circolante nel Canzoniere (e nella mi­ stica sufi), che il destino individuale è stato deciso ab aeterno da Dio sin dal «principio» (azal, termine teologico indicante l'eternità a priori o ex ante) , come pure il castigo o il premio, che di conseguenza appaiono ampiamente svincolati dai meriti o demeriti (l'accenno alla frequentazione di taverne) individuali. v. 8 Il bel Giuseppe, che dal testo biblico è recepito nel Corano (sura XII), diventa in poesia il prototipo della bellezza umana e viene facilmente acco­ stato come qui all'amato che consola la vecchiaia del poeta-amante. v. 9 L'espressione sdheb-e divdn («padrone/signore dell'ufficio») designa­ va normalmente il capo o responsabile di un ufficio pubblico, un ramo del­ l'amministrazione, un ministero ecc. , e qui probabilmente allude a un patro­ no del poeta. Ma l'espressione è ambigua, designando il termine divdn anche

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un canzoniere, una raccolta di poesie e simili, per cui l'intera espressione po­ trebbe in realtà alludere a un poeta, forse un patrono che si dilettava egli stes­ so di comporre ghazal (come fu il caso ad esempio di re Shoja' ). v. 1 0 Si allude alle virtù e ai benefici effetti attribuiti alla preghiera mat­ tutina. L'espressione qui tradotta con «benedizione [derivante dalla lettura] del Corano» (dowlat-e Qor'dn) ci ricorda che il nostro poeta, stando al suo nom de piume, lo aveva appreso a memoria e ad esso con ogni evidenza am­ piamente si ispirò.

62 Se mai avverrà che la mia mano P 369 (Kh 326 ) Su 386 Se mai awerrà che la mia mano, di nuovo, giunga sino alla tua treccia con simile "mazza", quante teste [di rivali] mi giocherò a mo' di palla! Lunga vita è per me la tua treccia, ma ahimè non stringo io in mano, di questa lunga vita, neppure una punta di capello ! Licenza di riposo concedimi, o bella candela: da questa notte pel fuoco del cuore io, come candela, dinanzi a te mi disciolgo Quel giorno che, per un tuo sorriso, io ti porgerò la coppa dell'anima soltanto vorrei che gli ebbri di te, per me l'ultima preghiera eseguano La mia preghiera certo non è una preghiera impura, perciò non scema nella taverna il mio bruciore, il mio struggimento In moschea o taverna, se la tua immagine si presenta alla mia mente io faccio, devoto, del tuo bel sopracciglio il mio unico santo mihrab ! Se, per me, una notte di Ritiro tu illuminerai col tuo volto io fiero ne andrò, come l'alba, sugli orizzonti del mondo ! Lodevole cosa è affaticarsi lungo questa Via [amorosa] anche se la testa per amore si perdesse di un bell'Ayàz ! 141

O Hafez, la pena del cuore a chi è dato confidarla? In questo tempo nessuno, a parte il calice, è degno confidente del mio vero Segreto Note vv 1-2 La treccia/ciuffo (zolfeyn, forma araba duale, propriamente un ciuffo doppio o treccia bifida, insomma a due punte; ma nel verso seguente si usa la forma singolare zolf, nell'uno e nell'altro caso la scelta venendo dettata da ragioni puramente metriche) dell'amato, paragonata a «mazza», e la testa dell'amante (qui però dei rivali) accostata alla «palla» sono immagini conven­ zionali tratte dal gioco del polo, notoriamente di origini centro-asiatiche. v. 3 Lo stesso poeta-amante si scioglierebbe come candela di fronte alla «candela» (metafora standard dell'amato, di una bellezza), ovvero dinanzi al suo amore. Si noti l'anfibologia costruita su parvane, che è " decreto "/"licen­ za" ma anche "falena" /"farfalla" , che perciò richiama subito al lettore autoc­ tono la celeberrima coppia falena-candela che imperversa in ogni canzoniere persiano. v. 4 Ossia la preghiera per i defunti accompagnati alla sepoltura. Anche questo vagheggiare il giorno della propria fine di fronte all'amato neghitto­ so o distratto (cui il poeta-amante s'immagina di offrire la «coppa dell'ani­ ma» cioè la propria vita) è un topos comunissimo tra i lirici persiani. L'e­ spressione tradotta qui «per un sorriso» (be-khande'i) , che Sudi legge nel senso di «in cambio di un tuo sorriso», potrebbe anche esser letta «con un [mio] sorriso». v. 5 Verso perfettamente ambiguo, che si lascerebbe anche leggere se­ condo Sudi: «poiché la mia preghiera, impura, non è [vera] preghiera», per cui lo struggimento del secondo emistichio sarebbe dovuto al pentimento del poeta. Ma la prima lettura ci sembra più congrua con lo spirito arguto di Hiìfez che vede nella taverna la vera "moschea " dei fedeli d'Amore. v. 6 Il sopracciglio per la forma arcuata è tipicamente accostato al mihrab (la nicchia che nelle moschee indica la direzione della Mecca, in cui pregare); per l'uso tipicamente bad-nam di questo e altri motivi cfr. nota al ghaza/ 2, 3· vv 7-8 Qui il poeta-amante si presenta nella sua maschera di sufi: cfr. l' ac­ cenno al «ritiro» (khalvat) spirituale e alla «via» (rah ) amorosa dei mistici. Ayàz è il celeberrimo schiavo turco amato dal sultano Mahmud (etimologica­ mente il "lodato " /"lodevole", donde l'anfibologia, qui non riproducibile) di Ghazna (998-Io3o), noto per le campagne d'India. La coppia è poi assurta tra molti lirici persiani a modello del mistico amore. v. 9 Verso in cui argutamente si afferma quel che nei fatti non avverrà: il poeta-amante infatti si vanta di essere custode del «segreto» (raz) amoroso, salvo che poi, annegando le proprie pene nella coppa del vino, non saprà te­ nere la bocca chiusa . . . .

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63 Benché sia rimasta la mia azione ... P 370 (Kh 319 ) Su 377 Benché sia rimasta la mia Azione in quei riccioli suoi annodata pur speranza, per la sua Generosità, io nutro di uno scioglimento Non attribuire a Gioia il rosso vivo del mio sembiante è sangue di cuore che si riflette, di fuori, sul mio volto! La melodia del menestrello mi strapperà tutto a me stesso ahimè, se un accesso all'alcova amorosa non mi vien dato ! Guardiano io divenni del santuario del cuore, notte dopo notte, in quest'alcova un altro pensiero non ammetto che quello di lui Io sono quel poeta e mago che, con l'incanto della Parola, dalla canna del suo calamo sparge lo zucchero e i canditi ! L'occhio della Fortuna con la fiaba di lui si addormentò dov'è un vento di Grazia generosa che infine mi risvegli? Poiché non m'è dato ammirarti, o amico, al tuo passaggio a chi potrò chiedere di portare il mio messaggio all'amico? Stanotte lui diceva: o Hàfez, altro non vedo che falsità e ipocrisia ! (Ma con chi ho a che fare io, se non con la polvere della sua porta?) Note v. 1 L'idea sottostante è che il cuore del poeta-amante è rimasto impiglia­ to o meglio " annodato" nei riccioli/trecce dell'amico, e così pure tutta la sua amorosa «azione» (kar, altro termine notevole che presenta mistiche conno­ tazioni, sin da 'Attar) ; solo la di lui generosità/nobiltà (karam) può aiutarlo. v. 2 Cioè: sangue di amorosa sofferenza che, come la «gioia» (tarab) , può alludere ambiguamente a un contesto mistico-erotico. v. 3 Gioco di parole su parde, che vale sia "melodia" sia "velo " , " alcova" o qualcosa come "segreto recesso " .

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v. 4 Il cuore dell'amante è qui paragonato al «santuario» (haram) per an­ tonomasia, quello della Mecca, per i musulmani la " casa di Dio " . Già in Hal­ laj c'è l'idea che il vero santuario o casa di Dio sia il cuore umano. v. 5 Qui è il topos del poeta mago (sdher) della parola, che, implicitamen­ te, compete con la parola dei profeti e con la stessa parola di Dio. v. 6 Ricordiamo che il topos di una «fortuna» (bakht) che dorme, invece di vegliare e proteggere, è diffusissimo nei canzonieri persiani, comparendo ad esempio nel lamento del poeta-amante. Nel secondo emistichio, con deli­ cato e psicologicamente fine "slittamento " , il poeta invoca di essere lui, pri­ ma che la sua fortuna, risvegliato ad opera della «grazia» ( 'endyat, altro con­ cetto dalle sfumature teologiche) dell'amico. v. 8 Il primo emistichio si potrebbe anche leggere: «Hafez [soggetto, in­ vece che vocativo] non è altro che un cumulo di falsità e ipocrisia», ma mi pa­ re meno plausibile. Il secondo emistichio, più che una risposta, sembra una riflessione tra sé e sé (come anche al v. 7) del poeta-amante. Potrebbe invece essere letto proprio come una risposta se - con Sudi - accettiamo la variante «polvere della tua porta» (khdk-e dar-at) al posto di «polvere della sua porta» (khak-e dar-ash) dell'edizione Pizhman.

64 Chi sono io per passare dinanzi ... P 371 (Kh 316 ) Su 381 Chi sono, i o , per poter passare dinanzi a una mente così profumata? Grazia m'hai concesso: la polvere della tua porta m'è corona sul capo ! O mio rubacuori, chi t'insegnò a curarti così dei tuoi servitori? Oh, certo, un tale pensiero non potrei averlo pei tuoi guardiani ! O uccello santo, fa dell'Ambizione la sicura mia guida qui sulla via ché lungo è il viaggio alla meta, e io sono un viandante inesperto O b rezza dell'alba, ti prego , fammi questo solo servizio e digli: non scordarti di me, al momento della tua preghiera mattutina ! Felice quel giorno i n cui via porterò d a questa stazione i bagagli e là, nel tuo vicolo, gli amici andranno chiedendo notizie di me !

Alto è il rango di questa poesia che il mondo conquista: su ditelo al sovrano del mare che tutta la bocca mi colmi di perle preziose ! O Hafez, [se ti poni] alla ricerca della perla dell 'Unione, val bene fare dell 'occhio un mare di lacrime e in esso dolcemente affondare.

Note v. 1 Il discorso è rivolto all'amato. Letteralmente «profumante» ( 'dter) , ovvero «che sparge profumo». v. 2 I «guardiani» (raqibdn) dell'amato svolgono una funzione simile a quella del gardador dei trovatori, sono insomma figure d'ostacolo che s'inter­ pongono tra lui e l'amante poeta. v. 3 L' «uccello santo» (tdyer-e qods) allude probabilmente a Gabriele, l'an­ gelo della rivelazione coranica, o a Sorush, l'angelo (di origini antico-iraniche) invocato dai poeti. L'«ambizione» (hemmat) è altro concetto del gergo dei su­ fi, dove peraltro si carica spesso di valenze magiche, divenendo una sorta di "energia" o "potenza" spirituale. v. 4 Ossia: di' a lui, all'amato. Si potrebbe diversamente intendere: «non dimenticare il momento della mia preghiera mattutina», che secondo la tra­ dizione islamica è particolarmente efficace e può essere più facilmente esau­ dita. L'originale per «preghiera» (do 'd) in effetti può anche alludere alla pra­ tica panegiristica dell'invocazione (detta sempre do'd) di celesti benedizioni sul regnante. v. 5 Ossia: il giorno in cui morirò, spesso convenzionalmente richiamato dai poeti persiani al fine di sollecitare la benevola compassione o l'attenzione del distratto amico. v. 6 L'espressione «il sovrano del mare» (padshdh-e bahr) è ambigua, va­ lendo bahr sia "mare" sia "metro (poetico) " . Forse si deve vedervi un'allu­ sione a un mecenate che s'intende a fondo di poesia o è poeta lui stesso, co­ me nel caso di re Shoja'. Riempire la bocca di un suddito benemerito con per­ le o denari era pratica ampiamente diffusa nelle corti persiane.

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65 Tu mi vedi e ad ogni istante ... P 372 (Kh 3n ) Su 371 Tu mi vedi, e ad ogni istante aumenti il mio Dolore io ti vedo, e ad ogni istante aumenta il mio Desiderio Del mio stato tu mai non domandi, io non so delle tue intenzioni non cerchi per me un rimedio, né forse tu sai del mio vero Dolore ! N o, non è il modo, questo, di !asciarmi sulla strada e scappartene ripassa di qui, domanda soltanto ch'io polvere diventi della tua via! Non scosterò la mano dalla tua veste se non nella tomba e pure allora se tu accanto a me passerai, si attaccherà la mia polvere alla tua veste ! Si spezzò il mio respiro per la pena d'Amore: fino a quando m'ingannerai? Ti vendicasti abbastanza con me, eppur non dici: adesso, tiralo un respiro ! Una notte, il mio cuore cercavo tra le tenebre dei tuoi riccioli belli vedevo il tuo volto, a una coppa simile a luna novella mi dissetavo D'un tratto ti strinsi al petto, e i tuoi capelli eccoli aggrovigliarsi: il mio labbro posai sopra il tuo, offrendogli l'anima e il cuore ! Oh, con il tuo Hàfez sii dolce e di' al nemico: possa tu ora crepare ! Se da te ho soltanto calore, qual paura del nemico dal freddo respiro? Note vv. 1-2 Si ricordi che «dolore» (dard, per cui cfr. nota al ghazal 17, 9) indi­ ca tipicamente la pena dell'amante che patisce la separazione, ed è concetto facilmente riciclato in senso mistico da innumerevoli poeti persiani. v. 4 L'afferrare la veste del sovrano o dell'amato assume il significato di " chiedere giustizia" o amorose compensazioni per le pene patite. Si osservi anche il topos della polvere mortale del poeta che "si risveglierà " al passaggio dell'amato.

v. 6 Il cuore dell'amante tipicamente si stacca da lui e va a perdersi tra i ne­ ri capelli (donde le «tenebre») dell'amato. Per «coppa simile a luna novella» qui si dovrebbe intendere il volto o la bocca dell'amato. Variante nel secondo emistichio: «e una coppa [di amoroso vino] dal tuo rubino [= il labbro] beve­ vo». Si osservi come la scena amorosa, che culmina al verso successivo, non sia reale bensì si collochi in un vagheggiamento onirico del poeta-amante.

66 Se mai in sorte la polvere avrò P 373 (Kh 320 ) Su 378 Se mai in sorte la polvere avrò dei piedi del mio bello sulla lavagna del mio occhio disegnerò linee di polvere! Se un decreto di lui mi giungesse che richieda l'anima mia io come candela all'istante gli darei obbediente quest'anima Nella speranza naufragai di awicinarti, e ancora spero che mi sospinga l'onda delle mie lacrime infine alla riva Non astenerti, oggi, dall'essere fedele con me, e pensa alla notte in cui, pene soffrendo, le mani leverò al cielo ! Non scuotere dalla veste la polvere mia: dopo la morte neppure il vento scaccerà la mia polvere dalla tua soglia ! La tua nera treccia per prendersi il cuore degli amanti fece un patto solenne (e intanto a me la pace sottrasse! ) O vento, di quel vino portami qui, subito, un aroma mi darà quel profumo guaritore sollievo alla sbornia ! Se l'amico la "moneta" del mio cuore non vorrà proprio saggiare io la moneta corrente delle lacrime conterò per lui, dei miei occhi 47

O Hafez, poiché il suo labbro di rubino è caro per me così come vita, un'intera esistenza varrà l'istante in cui la "vita" porterò al mio labbro ! Note v. 1 Letteralmente «della pianta del piede del mio bello». La polvere calpe­ stata dai piedi dell'amato è spesso desiderata dal poeta-amante come balsamo o collirio per i suoi occhi. Il motivo, tutto intriso di feticistica autoumiliazione, si somma qui a quello dell'occhio-lavagna dell'amante. Si ricordi che la «lavagna» (/owh, propriamente «tavoletta») era costituita da cera oppure da terra suffi­ cientemente morbida per poterei incidere sopra le parole con uno stilo. v. 2 Sul sottostante gioco di parole cfr. nota al ghazal 62, 3· v. 3 Si noti il giro d'immagini (cfr. nota al ghazal 44, 3) acquatiche: lacri­ me, onda, mare, riva, particolarmente diffuso nei canzonieri persiani. v. 4 Ossia: mi rivolgerò a Dio per implorare giustizia; oppure, come in­ terpreta Sudi: ti lancerò le mie maledizioni. v. 6 Ossia: promise di curarsi amorevolmente di loro. Si noti che l'origi­ nale in forma duale araba per treccia/ricciolo (zol/eyn, letteralmente «due trecce», o treccia bifida) già convoglia l'idea di doppiezza, inaffidabilità ecc. v. 7 Qui è il topos che solo altro (amoroso) vino può scacciare gli effetti di una sbornia (khomdr, propriamente il torpore che segue un'abbondante bevuta) precedente. v. 8 La «moneta» (qalb) può assumere il significato di moneta falsa o con­ traffatta, per cui il senso sarebbe: se l'amico non crede alla sincerità del mio cuore, almeno creda a quella della "moneta " (naqd, propriamente " contan­ te" ) delle mie lacrime. v. 9 Gioco di parole sujdn ("anima" , "vita" ) e 'omr ( " esistenza", "vita " ) . S i noti l'anfibologia nel secondo emistichio: l'espressione idiomatica "porta­ re la vita/anima (jdn) alle labbra " significa normalmente esalare l'ultimo re­ spiro, ma qui la vita/anima è stata assimilata, come s'è visto nel primo emisti­ chio, alle labbra dell'amico.

67 Su andiamo, un sollievo ... P 374 (Kh 361 ) Su 420 Su andiamo, un sollievo attraverso le porte di taverna cerchiamo poniamoci sulla via dell'amico e uno Scopo gradito ricerchiamo !

Il viatico non abbiamo per la via al santuario dell'Unione a meno che noi, mendicando alla porta di qualche taverna, un viatico cerchiamo! Benché molte scorrano impure le lacrime nostre, tuttavia messaggero per lui qualcuno di pura natura cerchiamo! Il Piacere delle amorose ferite proibito sarà al nostro cuore se, per le offese dell'amorosa tua pena, giustizia cerchiano! Il punto del tuo bel neo, sulla "lavagna" dell'occhio non è dato tracciarlo a meno che l'inchiostro presso la pupilla dell'occhio noi non cerchiamo Un cenno dal tuo dolce labbro richiese il mio cuore, offrendo la vita con lo zucchero del sorriso rispose il tuo labbro: più ancora cerchiamo ! Perché al nostro malinconico cuore sia ricetta profumata prescritta nei tuoi tratti di muschio odorosi noi, ecco, l'inchiostro cerchiamo Poiché la Passione per te non è dato trovarla che in cuori appagati, noi nella speranza di questa Passione, d'avere la mente appagata cerchiamo Fino a quando, o Hàfez, resterai alla porta della scuola coranica? Su alzati, alla porta della taverna un sollievo presto cerchiamo! Note v. 1 L'originale per «sollievo» (goshddi) è molto ambiguo, significando eti­ mologicamente "apertura" e figuratamente un "sollievo"/" conforto"/" risto­ ro " , ma anche "miglioramento" /"successo" /"vittoria" . Sudi lo interpreta co­ me sinonimo di fath-e bdb, che vale tra l'altre cose anche " (nuovo) inizio" . v. 2 Ossia, interpreta Sudi, a meno che non si cerchi aiuto presso i liber­ tini e bevitori che si riuniscono alla taverna. v. 3 Le lacrime sono impure perché hanno il "sangue" (sostanza impura secondo la shari'a) dell'amorosa sofferenza. Quel «qualcuno di pura natura» (pdk-nehddi) potrebbe riferirsi a Zefiro messaggero. v. 5 Immagine che va così spiegata: il nero neo sul volto dell'amato è per la sua forma esteriore richiamato dal "neo" costituito dalla pupilla (mardo­ mak) dell'occhio dell'amante, pupilla che etimologicamente significa anche

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in persiano qualcosa come "ometto " o " pupazzetto " . Questo nero "omet­ to " insomma dovrà metterei il suo " inchiostro " per riflettere il nero neo del­ l'amato volto (cfr. anche v. 7). Per l'immagine della lavagna cfr. nota ai gha­ za/ 55, 2 e 66, 1. v. 6 Seguo qui la variante mozadi («un di più») al posto del meno con­ vincente moradi («un desiderio»l«uno scopo»). v. 7 I «tratti» (khatt) profumati come muschio sono quelli della nera pe­ luria di barba incipiente sul volto dell'amato, oggetto di canto privilegiato dai lirici persiani, e qui, per la sua nerezza, accostata a «inchiostro» con cui sa­ rebbe vergata una «ricetta» (noskhe) medica per il cuore sofferente di malin­ conia (sowda-zade) del poeta-amante. v. 8 Si noti la bella antitesi tra pena/passione (gham) e appagamento/feli­ cità (shadi) , che convivono nel cuore dell'amante, qualcosa che sottilmente rinvia anche a un aspetto dell'esperienza dell'amore mistico. v. 9 Qui è il topos dell'opposizione madrasaltaverna, che traduce l'idea della superiorità della scienza esoterica dell'amore e del vino su quella orto­ dossa dei dottori della legge.

68 Privo di te P 375 (Kh 337 ) Su 397 Privo di te, o mio bell'ondivago cipresso, che fare di rose e giardini? Il ricciolo del giacinto perché toccare? La guancia del giglio: che farci? Ahi, per il [timore del] sarcasmo del malevolo non guardai il tuo volto il mio volto dawero non è fatto di ferro come uno specchio: che farci? Vattene, o censore, e non criticare noi bevitori di feccia ! È il Padrone del Destino che ciò ha decretato: che farci? Quando il lampo di Gelosia balena dal covo dell'Invisibile voi ditemi: io, che ho il raccolto bruciato, che posso farci? Se il re dei Turchi ha voluto gettarmi nella prigione d'un pozzo ove la grazia di Rostam il possente me non soccorra, che farci?

Se il fuoco benedetto del Sinai noi non aiuta, facendo chiarore, nell'oscura notte della Valle della Certezza a che rimedio rifarci? O Hafez, il paradiso eccelso è la casa che io ereditai perciò, in questa dimora di rovine, che stiamo a farci? Note v. 2 Ossia, secondo la lettura di Sudi: di fronte agli estranei (aghiyar) e ai malevoli (bad-khwah) non ebbi il coraggio, mi vergognai di fissare il tuo bel volto, cosa che farei senza problemi se avessi un viso fatto di ferro come gli specchi e non di carne che tradisce subito i miei sentimenti. v. 3 Si ribadisce l'idea, vero Leitmotiv del Canzoniere hafeziano, che il de­ stino del santo o dell'amante libertino, del "bevitore di feccia " o dell'asceta, è già stato ab aeterno determinato da Dio, e peraltro il poeta amante e bevi­ tore volentieri vi si adegua. v. 4 Come il lampo della divina gelosia (gheyrat) proveniente dalla di­ mensione soprannaturale dell'invisibile (gheyb, concetto coranico) , brucia in un attimo il raccolto di una intera vita all'uomo più santo (cosa paradigmati­ camente mostrata nella storia del traviamento di Sheykh San'àn, per cui cfr. nota al ghazal 45, 2-3), così l'amore ha repentinamente spogliato d'ogni cosa il poeta -amante. v. 5 Qui è una dotta allusione a Afrasiyàb (il re dei Turani nel Libro dei re di Ferdowsi, l'epopea nazionale persiana) che fece imprigionare in un pozzo Bizhan (un eroe iranico innamorato della sua figliola Manijhe) , il quale fu però più tardi liberato dal " possente" Rostam, una sorta di Achille iranico. Qui Su­ di vede nelle due figure del tiranno e del salvatore un'allusione, rispettiva­ mente al guardiano (raqib, per cui cfr. nota al ghazal 23, s) e all'amato. v. 6 Altra dotta citazione, questa volta biblico-coranica (XX, IO ss. e pas­ sim), all'episodio ben noto del colloquio di Mosè con Dio che gli si manifesta sotto forma di un roveto ardente, in cui traspare un'allusione chiara all'amato. v. 7 Ossia: ereditato da Adamo, il primo abitatore dell'Eden.

69 Oltre a perdere la fede P 377 (Kh 308 ) Su 368 Oltre a perdere la fede, a gettare la sapienza mia dimmi: dall'amare te ho avuto qualche vantaggio? Benché la tua passione al vento buttasse il raccolto di questa mia vita [lo giuro] per la polvere dei tuoi piedi: io il patto con te non l'ho rotto ! Benché disprezzabile come atomo, guarda nel Regno d'Amore com'io, pel desiderio del tuo bel volto, al sole mi sono legato ! Portatemi subito il vino: è una vita ormai che, tranquillo nell'angolo di Prosperità non siedo, a godermi il Piacere Se sobrio rimani, o tu che consigli ci dai e ammonimenti, lascia perdere ogni discorso ché già ebbro io san divenuto ! Come alzare la testa - tanta ho vergogna - dinanzi all'amico mio se da questa mia mano, per lui, un degno servizio mai è venuto? Bruciò Hafez, pur l'amico ammaliacuori non disse una volta sola: or gli mando unguenti ché, il suo animo, san io che l'ebbi a ferire! Note v. 1 Qui è il topos della spoliazione totale dell'amante, che non solo per­ de ogni bene e onorabilità, ma anche per amore è privato o rinuncia alla fede e alla scienza (come aveva paradigmaticamente fatto il nominato Sheykh San' àn in un poema di 'Attàr) . v. 2 L'espressione "giurare sulla polvere dei piedi (dell'amato) " si com­ prende meglio se si ricorda il rapporto quasi feticistico che il poeta-amante ha con tutto ciò che ha avuto il privilegio di toccare il corpo dell'amato. Il mo­ tivo del patto qui ritorna in un contesto che sembra rinviare a un litigio e al conseguente tentativo di riconciliazione. v. 3 Si noti qui un'altra classica coppia: atomo ( dh a rre) l sole (mehr) - fi­ gure rispettivamente dell'amante e dell'amato -, il secondo termine usato qui

anfibologicamente in quanto può valere sia "sole" sia " passione"/" amore". Un altro esempio è nel ghazal 7o, 4· v. 4 L'espressione «nell'angolo di prosperità» (konj-e 'd/iyat) designa nel gergo dei sufi una sorta di ritiro spirituale, o un autoappartarsi nella rinuncia al mondo. v. 5 Si noti l'abusata antitesi sobrio/ebbro, ove il primo è qui identifica­ bile con il critico o il piantagrane di turno. v. 6 Qui il verso è convenzionalmente costruito intorno alla coppia sar/dast (testa/mano) . v. 7 Qui è il topos frequentissimo dell'amato che è insieme "assassino" e " medico" dell'amante poeta.

70 Felice quel giorno P 378 (Kh 3 51 ) Su 4II Felice quel giorno che da questa dimora in rovina me ne andrò: cercando la pace dell'anima, sulle tracce dell'amico, io andrò Pur, come Zefiro, con le membra ammorbate e il cuore impotente, sospinto da desiderio per quel bel "cipresso" ondeggiante, io andrò Benché io sappia che a meta alcuna lo straniero mai giunge seguendo il profumo di quei riccioli suoi arruffati, io andrò Pel desiderio di lui, simile a un atomo danzante alla riva della fonte splendente del sole, io andrò ! Sulla sua Via, s'io devo qual penna camminare con la testa con questo cuore straziato e con gli occhi piangenti, io andrò Il mio cuore si angustiò, impaurito dalla Prigione di Alessandro: farò i miei bagagli e nel Regno di Salomone, subito, me n'andrò ! Poiché i cavalieri non sanno di pena dei [viandanti] oberati dal carico o voi asceti porgetemi aiuto così che infine, lieto e leggero, io andrò ! 153

E se, come Hafez, non potessi uscire da questo deserto dietro alle insegne dell'Asaf di quest'epoca, io andrò Note v. 1 La «dimora in rovina» (manzel-e virdn) , che qui allude probabilmen­ te allo stato di separazione dall'amico, è nel gergo mistico il mondo o la esi­ stenza terrena intesi come ostacolo alla riunificazione con l'amico divino. v. 2 L'espressione sarv-e khardmdn ossia «cipresso ondeggiante» (o me­ glio: «che incede ondeggiando») è tra i lirici persiani un'immagine comune della figura amata. v. 3 Il poeta-amante sulle tracce dell'amato si paragona a estraneo/stra­ niero (gharib), ovvero a viandante in terre sconosciute: ma almeno lui ha il vantaggio di essere guidato dal profumo della chioma dell'amato. v. 4 Qui è un'allusione al viaggio del coranico (XVIII , 83 ss.) Dhù 1-Qarnayn (letteralmente «il Bicorne», dai commentatori identificato con Alessandro Ma­ gno, cfr. anche v. 6) sino alla «fonte» del Sole nell'estremo Oriente. Insomma, il poeta-amante vuoi dire che andrà anche in capo al mondo pur di ritrovare l'amico. Si noti ancora la coppia atomo/sole (cfr. nota al ghaza/ 69, 3 ) . v. 5 Altro noto topos della poesia mistica, sin da 'Attar, in cui il viandan­ te mistico per amore dell'amico divino " cammina con la testa" invece che con i piedi. v. 6 Sudi spiega che la prima espressione si riferirebbe a Isfahan, dove il poeta forse soggiornò per breve tempo. Ma - lo ricorda lo stesso Sudi - le fon­ ti parlano in realtà solo di una permanenza a Yazd, e proprio a Yazd si riferi­ rebbe l'espressione «prigione di Alessandro)), poiché qui, secondo una leg­ genda, sarebbe stata tenuta prigioniera la sconfitta famiglia reale degli Ache­ menidi. La seconda espressione allude invece a Shiraz, in cui Hafez conobbe successo e gloria, e che spesso nel Canzoniere è iperbolicamente lodata come «regno di Salomone)) (cfr. anche nota al v. 8). v. 7 Ossia: pregate per me, affinché la mia pena sia alleviata. Qui i «cava­ lieri)) sono allusione ai belli sfuggenti, gli «oberati)) ai loro innamorati. v. 8 Asaf, nome di un leggendario ministro di re Salomone, è di solito al­ lusione a questo o quel notabile-mecenate della corte di Shiraz (cfr. nota al v. 6) , perlopiù a Qavam od- din, visir di vari sovrani della città e amico perso­ nale del poeta.

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Se mai di nuovo passare dovessi dai magi P 379 (Kh 327 ) Su 387 Se mai, di nuovo, passare dovessi dai magi della taverna [pel vino] la tonaca mi giocherei e il tappeto da preghiera ! Ma se oggi come l'asceta io l'atto di pentimento compissi l'oste della taverna, domani, non mi riapre più la sua porta ! Se io, simile a falena, la libertà avessi di volare ovunque non volerei se non verso quella guancia simile a candela! La compagnia delle urì non cerco: vero peccato sarebbe col pensiero di te nella testa, s'io ad altri ancora pensassi ! L'arcano della tua passione sarebbe rimasto nascosto nel cuore se non avesse tradito, quest'occhio inverecondo, il mio Segreto Come un uccello dalla terrena gabbia su mi levai, nell'aria desideroso che un falco regale facesse di me la sua preda! Se tenendomi come cetra al tuo fianco, il cuore mio non soddisfi almeno accarezzami un po', come flauto io fossi, col tuo labbro ! Le sventure del mio cuore sanguinante no, non più ridirò a nessuno ché, oltre la spada della passione per te, chi altri è il mio confidente? Se ogni pelo del corpo di Hafez fosse di una testa provvisto a una a una le getterei ai tuoi piedi, così imitando i tuoi riccioli ! Note v. 1 Qui è il topos dei magi zoroastriani venditori di vino (emblema del­ la poetica bad-ndm, cfr. note ai ghazal 2, 3 e 34, 3-4) e quello del sufi che si gioca (altrove vende o dà in pegno) il saio e il tappeto pur di tracannare il lo­ ro vino.

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v. 3 Cioè: verso la guancia dell'amato (si noti la coppia candela-falena, una immagine cara a tutti i lirici persiani, dalle intuibili valenze mistiche). v. 5 Altro topos abusato: il segreto amoroso non dura a lungo perché ora lo tradisce il pallore del volto ora, come qui, le lacrime amorose. v. 6 Il «falco» - di cui il poeta ambisce essere la preda, o vittima - allude naturalmente all'amato (cfr. anche v. 8). v. 7 Splendido verso in cui il poeta immagina di essere strumento "suo­ nato " dal suo amico, immagine che era già in Rumi. v. 9 Per entrare un po' nella strana immagine bisogna pensare che - se­ condo un motivo abusato dai lirici persiani - i riccioli dell'amato/a sono im­ maginati ricadere sul suo volto in atto di omaggio, come fossero sudditi che si prostrano col capo sino a terra.

72 O idolo mio P 381 (Kh 339 ) Su 399 O idolo mio, con la pena del tuo Amore che posso fare? Sino a quando la notte mi lamenterò nella tua passione? Il mio cuore, impazzito, non ascolta più i consigli a meno ch'io nelle catene lo metta dei riccioli tuoi ! Quel che sopportai nel tempo del Distacco da te, oh . . . impossibile sarebbe descriverlo i n una lettera sola! Il mio sconvolgimento, tutto, a causa di quei tuoi riccioli com'è possibile per me raccontarlo, dall'inizio alla fine? Ogni volta che il desiderio sento di vedere l'anima mia l'immagine del tuo bel volto dipingo qui nel mio sguardo ! Se l'Unione con te, io sapessi, si può averla in cambio di questo mi giocherei la fede e il cuore, e ne avrei comunque vantaggio !

Sta' lontano da me o tu, predicatore, non parlare a vanvera non son io di quelli che prestano ascolto a tante menzogne! Non si può sperare virtù dal contegno perverso di Hàfez ma se così è stato deciso, [dite:] io che altro fare dovrei? Note v. 2 Il topos del cuore in catene formate dai capelli o riccioli dell'amato (ripreso anche al v. 4) si lega qui, facilmente, all'idea che il " folle" d'amore che non ascolta più nessuno debba di necessità essere "incatenato". v. 5 L'«immagine» (khiya[) o fantasma - che perseguita l'amante in sogno o da sveglio - è la modalità tipica di contemplazione in absentia dell'amato. Questo verso sintetizza anche una nota dottrina, esposta nel trattato Savaneh ol- 'Oshshaq di Ahmad Ghazàli, secondo cui al culmine dell'amoroso proces­ so l'amante sincero scopre il volto dell'amato identico a quello della propria anima, ovvero "gnosticamente" vede in lui se stesso. vv. 6-7 L'amante è tipicamente disposto a perdere anche la fede pur di conquistare l'amato; del resto - ulteriore topos - la fede ortodossa del «pre­ dicatare» (va'ez) è nel Canzoniere hafeziano eretta a monumento di falsità e ipocrisia. v. 8 La perversione/ corruzione (/esad, termine coranico particolarmente forte) del poeta-amante, qui come al solito raddoppiato nell'ultimo verso dal­ l'io lirico, allude ai valori bad-nam (vino, amore, apostasia) cui egli informa la sua condotta. Si osservi nel secondo emistichio un altro motivo, quello della " predestinazione (taqdir) al vizio " del poeta.

73 Ho fatto un patto con l'amato P 382 (Kh 322 ) Su 38o Ho fatto un patto con l'amato: finché l'anima avrò nel corpo come l'anima mia avrò cari quelli che anelano al suo vicolo ! Se, secondo desiderio e brama del cuore, otterrò l'Intimità perché delle maldicenze della gente dovrei ancora curarmi ? 157

A casa mia un bel "cipresso" posseggo grazie alla cui ombra io posso ignorare il cipresso del prato e il bosso del giardino! O tu, vecchio saggio, non impedirmi di andare alla taverna: lasciare il calice è promessa che il cuore mio non mantiene! In nome di Dio, o guardiano, questa sera almeno chiudi gli occhi ché, col rubino del suo labbro silente, io ho cento segreti discorsi Poiché incedo nel giardino dell'incontro con lui (sia lode a Dio ! ) più non desidero tulipani o roselle selvatiche, né foglia di narciso! Per la vita libertina è famoso Hafez tra i suoi confidenti, ma non devo temere, poiché al mondo ho Qavam od-din Hasan ! Note v. 1 Verso importante, perché sancisce l'idea che i rivali in amore non so­ no necessariamente nemici (cfr. i "maldicenti " del verso seguente) del poeta­ amante che, piuttosto, è o si pone come il grande officiante dei riti dei fedeli d'Amore. v. 3 Qui è la figura retorica della "inutilità del termine di paragone" di fronte all'amato. Il " cipresso" (ossia la bella eretta figura) dell'amato rende inutile il cipresso del prato, suo termine di paragone convenzionale; così co­ me la bella " rosa " del volto amato rende privi di interesse per il poeta-aman­ te i fiori del prato (cfr. anche v. 6). vv. 4-5 Il «saggio» (un censore, un critico) o il «guardiano» (cfr. nota al gha­ za/ 23, 5) sono altrettanti personaggi del teatrino amoroso di Hafez, avversari del­ l'amante-poeta o comunque ostacoli da superare nella ricerca dell'amico. v. 7 Nome di un visir della corte di Shiraz, amico e gran patrono del no­ stro poeta, qui da lui maliziosamente invocato come protettore dagli strali dei censori.

74 Su alzati... P 383 (Kh 366 ) Su 425 Su alzati e la tonaca nostra da sufi sin là, fino alla taverna, portiamo sciocchezze ed estatiche grida al mercato delle frottole portiamo ! Se andiamo dai Qalandar libertini, in regalo di viaggio, questo tappeto di sciocchezze e il saio di lana portiamo ! Affinché tutti gli asceti una coppa del vino dell'alba si godano di buon mattino, la cetra al maestro delle preghiere portiamo ! Quel patto che con te noi stringemmo, laggiù, nella Valle della Certezza così come Mosè - che «MostraTi ! » disse - con onore nel cuore portiamo ! Della tua fama battiamo il tamburo fin sopra le torri dell'Empireo sì, lo stendardo del tuo Amore lassù, sul tetto dei cieli portiamo ! La polvere del tuo vicolo domani, nella piana del Giudizio tutti noi, sulla testa devoti spargendo, per vanto portiamo! E se l'asceta, sulla nostra Via, la spina mettesse della riprovazione per compensarlo, dal giardino, alla cella del castigo noi lo portiamo ! Vergogna sia a noi per simili vesti di lana, così insudiciate se mai con le nostre arti e virtù, di miracoli fama riportiamo Piove rivolta da questo celeste tetto intarsiato, perciò alzati: affinché nella taverna rifugio, dai guai, a noi stessi portiamo Nel deserto di [frivole] passioni fino a quando vagheremo smarriti? Chiediamo della Via, chissà che il piede a mete più serie portiamo ! O Hàfez, non sudare ancor di vergogna alla porta di un vile qualsiasi la tua supplica, è meglio, al Giudice delle suppliche umane portiamo ! 159

Note vv. 1·2 Ossia, topos caro a Hafez: diamo la tonaca (o il saio) del sufi e il tappeto da preghiera (qui irriverentemente chiamato «tappeto di sciocchez­ ze») in pegno per avere il vino della taverna (cfr. anche nota al ghazal 71, I). Il disprezzo per segni e parole (le "parole estatiche" ) della mistica organizzata delle confraternite è caratteristico del Canzoniere hafeziano, in cui a ogni piè sospinto emerge una forte vis polemica nei confronti degli ambienti religiosi tacciati di bigotteria, falsità ecc. I Qalandar formavano una sorta di ordine di mendicanti e di sufi vagabondi, generalmente malvisti, assurti a tipici rap­ presentanti del movimento maldmati ( " riprovevoli" , per cui cfr. nota al gha­ zal n, 8) e che in poesia sono spesso associati a pratiche scostumate (ebbrez­ za, amori sconvenienti ecc.) nel segno della poetica della bad-ndmi (cfr. nota al ghazal 2, 3). v. 3 Come a dire, se ho bene inteso: mettiamolo di buon umore con mu­ siche e canzoni, affinché poi acconsenta alla distribuzione del vino per tutti. v. 4 Si accenna al celebre episodio coranico di Mosè che grida a Dio: «Mo­ strati !» (VII , 143), ricevendone un rifiuto. Il «patto» è la promessa d'amore, che richiama peraltro anche il patto - sempre meditato dai sufi di ogni tem­ po - tra Dio e le creature (Corano, VII, 172) . vv. 7-8 Qui sono delle frecciate ai soliti sufi o asceti bigotti - nel Canzo­ niere sempre pronti a censurare il poeta - che hanno fama di compiere mira­ coli nonostante le loro vesti definite «insudiciate» (dlude) dall'ipocrisia e dal­ la falsità. Si osservi come il poeta, che altrove si distanzia, qui invece condivi­ da questa identità sufica che al contempo sarcasticamente critica. v. 9 La «rivolta» (/etne, termine coranico per cui cfr. nota al ghazal 36, 5) allude qui alle vicissitudini dei tempi e alle disgrazie di cui il cielo è visto co­ me l'oscuro artefice e contro cui non rimane che il riparo della taverna. v. n Ossia, intende Sudi, meglio rivolgersi a Dio piuttosto che a un qual­ siasi vile notabile. Ma forse l'espressione originale per «giudice delle suppli­ che» (qdzi-ye hdjdt) potrebbe alludere a un qualche alto personaggio di corte non facilmente identificabile.

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75 Tu sei come l'alba e io la candela P 384 (Kh 317 ) Su 382 Tu sei come l'alba, e io la candela sono del Ritiro all'alba fammelo un sorriso, e guarda com'io l'anima mia ti affido ! Sulla soglia della speranza di te, ho dischiuso la porta degli occhi a che uno sguardo tu mi lanciassi: dallo sguardo invece m'allontani Come oggi sul mio cuore è la piaga dei ribelli tuoi riccioli si coprirà di violette la mia tomba, quand'io sarò trapassato Come ringraziarti, o esercito della passione (sempre Iddio ti preservi!): nel giorno di tanta solitudine, tu mai abbandoni la mia povera testa ! Servo son io della pupilla dell'occhio: pur con cuore sì nero mille lacrime piove, quando le pene del mio cuore riconto ! Si mostra in ogni direzione l'idolo nostro, e però nessuno coglie quel cenno suo che io, solo, rimiro ! Se mai l'amico passerà, come il vento, accanto alla polvere di Hàfez pel desiderio di lui che ho in cuore, strapperò il mio stretto sudario ! Note v. 1 Si deve pensare qui alla lampada o candela dell'eremita/sufi, in pre­ ghiera notturna nella sua cella, che all'alba ormai s'è consunta quasi intera­ mente e perciò facilmente si presta all'idea di rappresentare I' anima dell'a­ mante in procinto di esalare. v. 3 Per capire la struttura del verso, si tenga presente che esso riassume elegantemente tre topoi: l'accostamento riccioli-violette; il cuore dell'amante che in vita "alberga" tra i riccioli dell'amato; il desiderio che l'amato passi un giorno sulla tomba dell'amante (cfr. anche ultimo verso). v. 5 Il poeta immagina che il «cuore nero» (siydh-del, che significa nor­ malmente anche "spietato " , " crudele" e simili) della pupilla dell'occhio si commuova tuttavia di fronte alle pene dell'amante.

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v. 6 Qui, sullo sfondo, una concezione teologica e una iniziatica: la pri­ ma, l'onnipresenza divina che risale al coranico «A Dio appartiene l'Oriente e l'Occidente, e ovunque vi volgiate ivi è il volto di Dio» (n, II5); la seconda si gioca tutta in quel «cenno» (kereshme, anche "occhieggiamento " ) che solo l'iniziato sa cogliere e decifrare. v. 7 Ancora il " topos della tomba" (cfr. anche v. 3) insieme al convenzio­ nale accoppiamento polvere/vento e all'immagine del sudario strappato (che forse rimanda implicitamente all'immagine della rosa che al passaggio del vento " strappa" la sua veste di petali).

76 Il mio cuore, non colpirlo P 386 (Kh 324 ) Su 384 Il mio cuore non colpirlo con le frecce del tuo sguardo: ne morirei, io, dinanzi a quell'occhio tuo ammorbato ! Il capitale della tua Bellezza è all'apice della perfezione: fammene carità un poco, ché povero io sono e indigente Fino a quando, o asceta, mi ingannerai come si fa coi bambini dando loro una mela del giardino, o il miele magari o il dolce latte? A tal punto si empì dell'amico lo spazio del mio cuore che il mio pensiero s'è tutto smarrito fuori della mente O tu, riempimi il calice, ché per la fortuna d'Amore neofortunato son io in questo mondo, benché vecchio Un accordo ho stretto con tutti i vinai [di questa città] : nel giorno della passione non berrò che coppe di vino ! Nient'altro ha da essere che il conto di osti e di menestrelli se qualcosa avesse da scrivere la penna del mio segretario ! r62

Nel Finale Tumulto, in cui nessuno più chiederà di nessun altro mi dichiarerò, io soltanto, devoto e obbligato col priore dei magi ! Felice è quell'istante in cui, nel distacco dell'Ebbrezza, io libero tutto mi sento dai visir, così come dai sovrani ! Quell'uccello io sono, che ad ogni sera e ad ogni alba dal tetto dell'Empireo lancia un lamentoso gorgheggio ! Come Hafez, io posseggo nel mio cuore il tesoro di lui benché il borioso mi guardi ognora con tanto disprezzo Note v. r L'occhio dell'amato è spesso «ammorbato» (bimar) , anche nel senso che trasmette l'amorosa malattia a colui su cui si fissa, cfr. anche ghazal 58, r. v. 2 Si noti che l'originale per «carità» (zakat) è termine tecnico che desi­ gna l'elemosina canonica, dovere che ogni buon musulmano è tenuto a os­ servare. v. 3 Ecco una nuova frecciata al sufi bigotto, spesso accusato nel Canzonie­ re senza mezzi termini di essere un imbonitore di coscienze e un ingannatore. v. 4 Come a dire: ove giunga la passione amorosa, nel cuore non v'è più posto per l'intelletto. Si tenga presente che il «cuore» (sine, letteralmente «petto») è tradizionalmente la vera sede delle facoltà intellettuali superiori del «pensiero» (jekr) . v. 5 Il discorso è rivolto qui al coppiere. L'originale per «neofortunato» (javanbakht) significa letteralmente «dalla fortuna giovane» e forma qui una scontata e abusata antitesi con «vecchio». vv. 6-7 Qui abbiamo le solite dichiarazioni di tono libertino nel senso del programma bad-nam (cfr. nota al ghazal 2, 3). v. 8 Ossia nel giorno del giudizio finale allorché, si legge nel Corano (LXX, ro ss.; LXXX, 33 ss. ) , in preda al terrore del castigo nessuno riconoscerà o chie­ derà di nessuno; ma lui, il poeta amante e bevitore, non trascurerà di dichia­ rare la sua riconoscenza al maestro iniziatore. v. 9 Ossia: nell'ebbrezza (termine ambiguo, potendo riferirsi anche all'e­ stasi dei sufi), posso dimenticarmi dei potenti. Qui risuona, forse, un'eco del disprezzo mistico del potere e dell'amicizia coi potenti, che certo il nostro poeta-cortigiano non poté mai permettersi di ignorare. v. ro Qui, ricorrendo una ennesima volta all'immagine dell'uccello Ha­ fez, l"'usignuolo di Shiraz " , introduce una elegante variazione: il grido o gor-

gheggio lamentoso dall'alto dell'empireo richiama da un lato quello del muez­ zin sul minareto, dall'altro, soprattutto, il canto degli angeli del trono celeste, donde la implicita sottolineatura di una sorta di soprannaturale e profetica proiezione della poesia, motivo peraltro ricorrente sia in Hàfez che in altri poeti persiani. v. n Il «borioso» (modda 'i, per cui cfr. nota al ghazal 38, r) nel teatrino di Hàfez è un personaggio fisso: un rivale in amore o nella professione.

77 Il Dolore proviene dal mio amico P 387 (Kh 3 5 5 ) Su 415 Il Dolore proviene dal mio amico, e la medicina pure! Il mio cuore a lui ho sacrificato, e quest'anima pure ! Se dicono di una cosa: questa è migliore della bellezza! [lo dico] : l'amico nostro questa possiede, e quella pure ! Sempre si ricordi colui che, per versare il mio sangue, i patti solenni ha voluto spezzare, e le promesse pure ! La storia ve la ridico in segreto, e tuttavia le mie parole un racconto diverranno pure ! Quando verrà la Fortuna della notte dell'Unione i giorni della Separazione, sì, se n'andranno pure ! I Due Mondi non sono che un bagliore del volto di lui questo io te l'ho detto in segreto, e apertamente pure! Non si può fidare sull'opera del mondo ma su quella del cielo che gira neppure! L'amante non tema il giudice: portate quel vino! E i divieti del sovrano [mai non tema] neppure!

Il censore sa bene che Hàfez si beve il vino e l'Asaf del regno di Salomone lo sa pure! Note v. 1 Qui è il motivo, ricorrente, dell'amico visto come "assassino" (cfr. an­ che v. 3 , dove è l'altro topos del "fedifrago " ) e insieme "medico" dell'amante­ poeta. v. 4 Qui è il topos del " segreto amoroso che non resta segreto " , ma fini­ sce prima o poi sulla bocca di tutti. v. 5 Verso costruito sulla doppia, abusatissima, opposizione giorno/notte e unione/separazione. v. 6 Verso che è dato leggere sia in chiave di iperbolica quanto conven­ zionale lauda dell'amato; sia in chiave teologica rimandando all'idea, diffusa negli ambienti della mistica e della gnosi islamica, che tutto, ovvero i «due mondi» (materiale e spirituale, l'aldiquà e l'aldilà), è derivato da un' archeti­ pica luce divina, da un bagliore/fulgore (/orugh) emesso dal volto di Dio. v. 7 Il tradizionale pessimismo cosmico di matrice antico-iranica emerge in versi come questi, quasi un controcanto e una implicita contestazione del­ l'ottimismo cosmologico islamico. vv. 8-9 Versi scherzosi in cui il poeta occhieggia al sovrano di Shiraz e al suo visir (l'Asaf del regno di Salomone) come a sicuri sodali e indulgenti, non meno di lui stesso, al "vizio " del vino.

78 Si sappia: la salute è scesa P 389 (Kh 302 ) Su 365 Si sappia: la salute è scesa su [Shiraz] la "signora della pace" A Dio la lode di chi riconosce la immensa grazia [ricevuta].'

Dov'è quel felice messaggero che questa splendida notizia ci diede affinché l'anima mia getti ai suoi piedi, come oro fosse o argento ! Al ritorno del sovrano in questa dimora di meraviglie son finiti, i progetti del nemico, nella Casa del Nulla !

[Il nemico] cercava misericordia dalla nuvola della speranza ma l'occhio altro non gli diede, è chiaro, che lacrime amare Egli cadde nel Nilo dell'angoscia e il cielo ironico gli disse: ora soltanto sei tu pentito, ma a nulla vale adesso pentirsi.'

Colui che rompe i patti di sicuro malamente finisce e certo, presso gli intelligenti, i patti sono osservati

Poiché il coppiere è amico dal volto di luna e il segreto sa mantenere Hàfez [tranquillo] bewe il suo vino, e così fecero lo sheykh e il /aqih ! Note v. 1 L'occasione di questo ghazal, spiega Sudi, sarebbe stato il trionfale ri­ torno a Shiraz di re Shojà' dopo una vittoriosa campagna contro nemici tur­ comanni. In corsivo qui e nel resto del componimento sono versi (o emisti­ chi) in arabo nell'originale. v. 3 Ossia, al suo trionfale ritorno nella bella Shiraz, che enfaticamente è contrapposta alla «casa del nulla» (saràparde-ye 'adam) dove sono finiti i pro­ getti del nemico. v. 5 Qui il nemico è implicitamente paragonato al faraone coranico che, mentre ormai le acque del Mar Rosso lo travolgono, invoca invano il perdo­ no da Dio, ricevendo in risposta quanto si legge nel secondo emistichio (Co­ rano, X, 90 ss. ) . Qui si parla, è vero, del Nilo, ma questa palese "imprecisio­ ne" , a prescindere dalle ragioni metriche, è forse voluta per enfatizzare le la­ crime di disperazione del nemico. v. 6 Allusione al nemico sconfitto che, nella lettura di Hàfez, era stato cau­ sa della sua stessa rovina non avendo mantenuto i patti col sovrano di Shiraz. Nel secondo emistichio, abbiamo nell'originale l'equivalente proverbiale ara­ bo del nostrano pacta sunt servanda. v. 7 La chiamata di correo a carico di queste figure religiose suona ironi­ ca: anche loro predicano bene, ma poi . . . Si ricordi comunque, in proposito, che in un noto frammento di commemorazione di amici e patroni defunti, ben tre personaggi sui cinque affettuosamente ricordati da Hafez sono religiosi delle alte sfere di Shiraz.

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79 Vino amaro io voglio P 280 (Kh 273 ) Su 318 Vino amaro io voglio, e così forte da schiantare gli uomini con cui un istante avere riposo da mali e tumulti del mondo ! La mensa di questo mondo, che alimenta i vili, non conosce il gusto della quiete quanto d'amaro e salato è in essa, o cuore, sottrailo all'avido palato d'Ingordigia! E tu portaci il vino: non puoi stare al sicuro dagli inganni del cielo con i giochetti che fanno, lassù, Venere liutista o Marte guerriero ! Il laccio predatore di re Bahram gettalo, prenditi la coppa piuttosto di re Uamshid ché io, attraversando il deserto [del mondo] , né Bahram ho veduto mai, né l' onagro ! Vieni a che, in vino limpidissimo, io ti possa mostrare il Segreto del mondo a una sola condizione: che tu mai lo riveli a nature perverse, a cuori accecati ! Guardare ai mendichi di certo la grandezza [dei sovrani] non sminuisce: Salomone, con tanto d'eserciti, non disdegnava guardare alle formiche! L'arco del sopracciglio dell'amato non si distoglie da Hafez ma ride beffardo di questo suo braccio ch'è privo di forze! Note vv. 2-3 Qui è il topos del mondo che, complici gli astri (qui " compendia­ ti" nei due nominati) , favorisce gli spiriti più vili e abietti e la supremazia di ingordigia/avidità (dz, nome in cui si riflette un'antica entità demoniaca del­ la teogonia mazdea). Vi si può forse vedere una velata allusione a poeti con­ correnti o a cortigiani senza scrupoli con cui il poeta persiano, ospite spesso invidiato di un volubile mecenate, doveva ogni giorno misurarsi. v. 4 Il leggendario reJamshid è legato al motivo della coppa "scruta-mon­ di" in cui, come in una sfera di cristallo, egli poteva vedere eventi e fatti del suo regno; qui la coppa allude indirettamente anche al vino come rimedio ai crucci mondani. Il sassanide re Bahràm (IV secolo) è celebrato come re-cac-

ciatore di onagri, e qui entra nel topos, abusato da ogni lirico persiano, del­ l'ubi sunt. v. 5 Da versi come questo si evince la dimensione esoterico-conoscitiva che è sempre legata al motivo del vino sin dalle celebri quartine "edoniste" di un Khayyàm. v. 6 Qui il poeta-amante nella maschera del mendico (darvish) si rivolge indirettamente all'amato che, nella sua regale dimensione di " sovrano del cuore", è accostato a re Salomone, di cui nel Corano (XXVII , 18-19) si ricorda un colloquio con umili formiche. v. 7 Il braccio dell'amante non avrebbe forze sufficienti per tendere l' «ar­ co» del sopracciglio dell'amato, ossia, si potrebbe forse intendere, il poeta­ amante teme di non essere più in grado di attirare le sue attenzioni.

So O tu, luce dei miei occhi P 393 (Kh 390 ) Su 454 O tu luce dei miei occhi, ecco un consiglio, ascoltalo: quando il tuo calice è ricolmo, bevi, e porgi da bere! Nella via d'Amore fin troppi sono i bisbigli di Ahriman vieni, porgi l'orecchio del cuore al messaggio di Sorush ! Né il rosario né il saio ti donano mai il piacere d'Ebbrezza la tua Ambizione, in questa faccenda, ricerca lì dal vinaio ! Gli anziani parlano solo per lunga esperienza, già te lo dissi: o ragazzo, fin quando vecchio diventi sappi ognora ascoltare ! Sul sapiente la mano d'Amore non stese le proprie catene se vuoi i riccioli attrarre dell'amico, abbandona intelletto ! I mezzi del benessere: rovinati; gli strumenti della Gioia: svaniti o cetra, lamèntati dunque, o tamburo, è l'ora, questa, di piangere ! r68

Con l'amico non si può risparmiare denari né vita a lui cento vite sacrifica, ascoltalo questo consiglio ! O coppiere, la tua coppa vuota del vino più limpido? Mai ! Misericorde, volgi il tuo sguardo su me bevitore di feccia ! Quando tu, ebbro e con veste dai dorati ornamenti, di qui passerai un bacetto offrilo al tuo Hàfez, che di umile lana è ancora vestito ! Note v. 1 Cfr. nota all'ultimo verso. v. 2 Ahriman è il Satana dell'antica

religione iranica, Sorush un angelo (pure di matrice antico-iranica) frequentemente invocato dai poeti e di solito inteso come musa ispiratrice. v. 3 Come a dire: l'autentica «ambizione» (hemmat, cfr. nota al ghaza/ 31, 6) dell'amante si realizza non nei chiostri ma nelle taverne . . . v. 4 Qui è il topos del poeta-amante che s i rivolge nella sua veste d i vec­ chio (e interessato) consigliere al suo giovane amato. v. 5 Qui è il topos della incompatibilità tra amore e intelletto/ragione (hush ) . vv. 6-7 La rovina completa dell'amante, la sua disponibilità a sacrificare non una ma cento vite all'amato: si tratta di altrettanti motivi tradizionali che facilmente prestano una patina misticheggiante alla relazione amorosa de­ scritta da Hàfez o da un qualunque lirico persiano medievale. v. 8 Cfr. nota al verso seguente. v. 9 La veste di lana è tipicamente quella dei sufi, l'accento agli ornamenti dorati sposta però l"' amato " sul piano di una regalità che può essere intesa come terrena (il patrono, di cui il poeta, vestito di umile lana, sembra solleci­ tare implicitamente la generosità) o magari divina. Il senso del verso ancora una volta risulta perfettamente ambiguo: cfr. il verso precedente, in cui l'op­ posizione è tra «vino limpido» e «feccia», e, ancora, il vino del primo verso, che a sua volta può essere cifra dell'amore o della generosità dell'amato, ter­ reno o divino che sia.

81 Oh, sì, il tuo volto d i luna . . . P 3 9 5 (Kh 386 ) S u 450 Oh, davvero quel tuo volto di luna è come primavera di Bellezza il neo, la peluria: sono il centro della Grazia, il cerchio di Bellezza ! Nel tuo occhio colmo d'ebbrezza si celano incanti di sottile magia tra i tuoi riccioli inquieti, improvvisa compare la quiete di Bellezza ! Dalla costellazione di Beltà, nessuna luna brillò ch'è pari al tuo volto nessun virgulto mai crebbe, come la tua figura, dal ruscello di Bellezza Beato fu, per la tua avvenenza, il tempo della rapina dei cuori felice divenne, per questa tua leggiadria, l'età della Bellezza Per l'esca del tuo neo, per la rete dei tuoi riccioli, nel mondo non v'è uccello di cuore che preda non sia della tua Bellezza La balia di Natura con tutta l'anima, senza tregua e con grazia ti nutre, amorosamente sollecita, al fianco restando di Bellezza Intorno alla tua bocca per questo cresce fresca e nuova la violetta perché all'Acqua di Vita ella si disseta, della fonte di Bellezza ! Perse la speranza, Hafez, di vedere uno solo a te somigliante: non c'è altro paese, eccetto il tuo volto, nel Paese di Bellezza! Note v. 1 La «peluria» (khatt) indica la barba incipiente sul viso, propriamen­ te sul bordo delle guance. Il punto del «neo» (khd[) e la peluria che incorni­ cia il viso richiamano poi, nella convenzionale immagine geometrica del se­ condo emistichio, rispettivamente il centro e la circonferenza. v. 3 Nel secondo emistichio nell'originale si parla di «cipresso» (sarv), tra­ dizionale figura del corpo slanciato dell'amato, che qui è stato reso con «vir­ gulto».

qo

v. 5 L'immagine dell' «uccello di cuore» (morgh-e del) rimanda alle note epistole allegoriche sugli uccelli di Avicenna, Ghazàlì e Sohravardi, ove l'uc­ cello caduto nelle reti dei cacciatori simboleggia l'avventura della caduta esi­ stenziale dell'anima o del cuore umano. v. 7 Qui la violetta (bana/she) allude ai baffi o alla peluria che cresce in­ torno alla bocca dell'amato, paragonata alla miracolosa fonte dell'acqua di vi­ ta (cfr. nota al ghazal 5, 4) che dona l'immortalità. Più spesso la violetta viene paragonata ai riccioli dell'amato, ai quali magari essa si vanta di somigliare. Il paragone violette/ riccioli o violette/baffi è un topos classico. Spesso poi la vio­ letta è rappresentata come schiava della rosa (gol) del volto dell'amato.

82 Son giunte rose e primavera P 396 Su 444 Son giunte rose e primavera, la Gioia suscitando: basta pentirsi ! Felice è il volto della rosa: strappa dal cuore le radici di tristezza! È giunta la brezza di Zefiro, il germoglio pel desiderio fuori di se stesso è uscito strappandosi le vesti di dosso

La via di Sincerità, o cuore, apprendi dall'acqua ch'è pura la libertà ricerca davvero nel cipresso svettante sul prato Zefiro ha allungato le mani sulla rosa: guarda la veste dei petali ! Guarda quei riccioli di giacinto scomposti in volto al gelsomino ! Dalle sue stanze la sposa del germoglio salì alla stella di Fortuna manifestamente ci rapiva, con quanta facilità, il cuore e la fede ! La voce del folle usignuolo, e i suoi mille strazianti lamenti, uscirono dalla Casa del Tormento sperando d'unirsi alla rosa E tu, ridilla la storia dell'amicizia coi belli, dei calici di vino con le stesse parole di Hafez e con le /atwa dell'esperto priore ! !71

Note v. 3 Variante: «la via di Khidr (Khezr)», il mitico custode di una fonte mi­ racolosa (cfr. nota al ghaza/ 5, 4). Ulteriore variante: «apprendi dall'acqua di uno dal-cuore-puro» (az ab-e sa1i-del, invece che az ab-e sa/, ey del dell'origi­ nale nell'edizione Pizhman). v. 4 Si tengano presenti le ben note equazioni convenzionali gelsomino­ volto, giacinto-chioma, e si osservi poi la corrispondenza rosa-volto (dell'a­ mato) e petali-riccioli. v. 5 Nel primo emistichio il senso è: sbocciò e fiorì nella sua pienezza; la «stella di fortuna» (tale'-e sa'd) allude a benefiche o favorevoli congiunzioni astrali. Variante in Sudi: «La sposa del germoglio con i suoi ornamenti e dol­ Cl sornsl». v. 7 Ossia il solito priore dei magi, maestro e iniziatore ai misteri del vino e dell'amore. Si noti l'ironico accenno alle fatwa, propriamente i pareri lega­ li (vincolanti) emessi da un dottore della legge che qui è, implicitamente, con­ trapposto al priore (pir) dei fedeli d'Amore.

83 Quell'alto, sempre occhieggiante ... P 397 Su 456 Quell'alto, sempre occhieggiante, ingannatore mio ahimè ha accorciato la storia della lunga ascesi mia ! Hai visto, o cuore, di tanto magistero e scienza e ascesi che se ne fa poi quest'occhio, che gioca con i belli, mio? Mi dissi: sotto il saio d'Ipocrisia nasconderò i segni d'Amore! Ma delatrici furon queste lacrime che svelano il Segreto mio! Una figura vado tracciando adesso tra l'acque del mio pianto oh, s'avvicinerà (ma quando mai) al vero questa finzione mia? lo su me stesso piango, come candela che va " sorridendo " ma cosa può su di te, cuore di pietra, questo bruciare mio?

La distruzione io pavento della stessa mia fede, ché già s'è portato via, il mihrab del tuo sopracciglio, ogni raccoglimento nella preghiera mia ! Già ebbro è l'amico, e dei compagni suoi pare ormai davvero immemore buon pro ci faccia il ricordo di chi i mendichi consola, di quel coppiere mio ! O Signore, quando mai soffierà Zefiro, così che coi suoi dolci aliti diventi, il profumo di Generosità che vien da lui, il soccorritore mio? O asceta, poiché nulla dalle tue devozioni ti viene di buono meglio assai è l'ebbrezza notturna, il Segreto e la smania mia ! Hafez riarse d'affanni: racconta, o Zefiro, del vero suo stato a chi gli amici sostiene e i nemici annienta, al sovrano mio ! Note vv. 1-2 Qui è una velata citazione della storia paradigmatica di Sheykh San'an (per cui cfr. nota al ghazal 45, 2-3). v. 3 Il primo emistichio è quasi "programmatico" di tutto un certo Islam spirituale che dissimula la propria concezione esoterica dell'esperienza reli­ giosa, ostentando apparente osservanza ( "ipocrita" ) della legge esteriore. v. 4 Qui è il topos dell'immagine o figura mentale (naqsh, altrove khiyal) dell'amato che il poeta intravede tra le lacrime che gli velano gli occhi, e che viene a costituire un succedaneo (una «finzione», majaz, propriamente «me­ tafora») della figura reale dell'amato, sempre - per definizione - a lui sfug­ gente. Secondo Sudi, invece, la finzione si riferirebbe al pianto amoroso del poeta che aspirerebbe a un pianto vero e sincero: interpretazione che ci sem­ bra illogica e alquanto cerebrale. v. 5 Convenzionalmente il sorriso della candela allude alla fiammella tre­ molante, il pianto alla cera che cola. v. 6 Si osservi il motivo del sopracciglio dell'amato paragonato al mihrab o nicchia verso la quale, nelle moschee, si volgono gli oranti. L'originale per «raccoglimento» (hozur, etimologicamente «presenza») , allude a una pratica di concentrazione nella preghiera dei sufi. v. 7 I «mendichi» o miserabili (maskin) alludono qui agli innamorati di cui l'amato è sdegnosamente immemore. Si tenga presente che la figura del coppiere è spesso sovrapponibile a quella dell'amato. v. 8 Ossia, si suppone qui - altro topos comunissimo - che Zefiro sia passa­ to per la casa dell'amico e ne riporti i profumi all'amante-poeta. Cfr. anche v. ro.

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v. 10 Qui il sovrano può essere inteso come il "sovrano del cuore" o co­ me il signore-patrono cui, neanche tanto velatamente, il poeta-amante pare volgersi per sollecitarne i favori.

84 Se polvere mi facessi P 400 (Kh 393 ) Su 457 Se polvere mi facessi sulla sua via, lui si scrollerebbe la veste di me se gli dico: volgimi benigno il tuo cuore, la faccia via volge da me ! Se come candela gli morissi davanti, riderebbe lui della mia pena e se poi mi offendessi, la sua mente delicata s'offenderebbe di me Il suo volto colorito, come rosa, va mostrando a chiunque e se poi gli dico: «ricoprilo !», ecco, lo ricopre solo con me! È assetato del mio sangue, e io del suo labbro: come finirà? O io mi soddisferò con lui, oppure lui farà giustizia con me!

O amici, l'anima ho donato per quella sua bocca: ma guardate come, per ogni minima mancanza, lui subito si distolga da me! Al mio occhio ridissi: e guardalo una volta, fino a saziarti ! Rispose: vuoi forse che un torrente di sangue scorra da me? Se come fu per Farhad, l'anima mia amareggiata spirasse, qual timore? Oh, quante infinite, quante dolcissime storie rimarranno dopo, di me! Ma smetti! a, o Hiìfez, se queste sono le lezioni d'Amore la gente vedrai, in ogni luogo, raccontare le storie di me !

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Note v. 1 Nel secondo emistichio letteralmente «se gli dico: cambia il [tuo] cuo­ re» (del be-garddn) , ossia - secondo Sudi - muta la tua intima disposizione da nemica e vendicativa a benevola. v. 2 Variante: «riderebbe come [fa il sole all']alba della mia pena». v. 3 Il suo volto (ruy) o, nella lezione di Sudi, la sua guancia ( 'drez). v. 5 Ovvero, si può forse interpretare: «con il minimo pretesto» (be-cizi

mokhtesar) . v. 7 Dotta allusione all'amore infelice dello spaccapietre Farhad per la bella Shirin ( ''la dolce " ) , cantato in un poema di Nezàmi (il Khosrow o Shi­ rin), il cui nome qui usato come aggettivo entra in una convenzionale antite­ si con l'amarezza (talkhi) .

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Simile a r o s a . . . P 401 (Kh 381 ) Su 445 Simile a rosa, ad ogni istante nella speranza di te la veste mi straccio tutta, dal colletto al grembo La rosa vide il tuo corpo e diresti che essa sul prato come gli ebbri, la veste prese a strapparsi di dosso Il tuo bel corpo nella veste è simile a vino nel calice il tuo cuore nel petto è qual ferro ricoperto d'argento Dt//icilmente alla passione di te io l'anima sottraggo ma tu, così facilmente, il cuore hai potuto sottrarmi !

Dall'amico tuo t'allontanasti, per la calunnia dei nemici ma nessuno può farsi nemico di chi è l'amico più vero ! No, non far sì che dal mio cuore un sospiro straziante si levi, così come fumo che si alzi da pertugio di casa 175

Piangi pure, o candela, le tue lacrime dall"' occhio" insanguinato: ad ogni gente, ormai, il bruciore del tuo cuore è cosa ben nota Non spezzare il mio cuore, non metterlo sotto i tuoi piedi ché esso dawero ha dimora soltanto tra i riccioli tuoi Poiché il suo cuore ha legato, Hafez, ai tuoi riccioli ciò che fa non gettarlo, sprezzante, sotto i tuoi piedi ! Note v. 1 Nel primo emistichio c'è un'anfibologia: «nella speranza di te» owe­ ro «al profumo di te» (be-buy-e to) . v. 2 L o stracciarsi la veste connota, nella lirica persiana, sia il comporta­ mento degli ebbri sia quello degli amanti e, in particolare, è awicinato allo sbocciare della rosa che "si straccia " di dosso la veste del bocciolo. v. 3 Nel primo emistichio, secondo Sudi, si allude alle forme dell 'ama­ to intuibili sotto la veste trasparente come calice di vetro; nel secondo si al­ lude alla crudeltà del cuore dell'amato ( '' cuore di ferro " equivalente del nostrano " cuore di pietra " ) dissimulata dal petto " d'argento " , ossia dalla pelle bianca e chiara (qualità da sempre particolarmente apprezzata) del­ l'amato. v. 5 Verso che si può leggere come allusivo vuoi a una rottura amorosa, vuoi a un dissapore col patrono di turno. v. 7 La candela piangente allude qui, in modo trasparente, all'occhio del­ l' amante straziato dalla separazione. v. 8 Qui opera l'antitesi riccioli/piede (zol/lpa) , cioè alto/basso, dai tra­ sparenti significati. Si osservi qui il topos dei riccioli dell'amato tra i quali ri­ mangono impigliati - come tra catene - i cuori degli innamorati.

86 Sulla schiera di noi libertini ... P 402 (Kh 396 ) Su 46o Sulla schiera di noi libertini, lancia uno sguardo migliore di questo! Alla porta della taverna, o tu, falla una comparsa migliore di questa !

La Grazia che, in mio favore, ha concesso il tuo labbro è pregevole assai, ma una ne vorrei migliore di questa ! A colui il cui pensiero i nodi discioglie dell'azione mondana or dite: sulla questione posa uno sguardo migliore di questo! Chi consiglia, mi chiese: qual arte Amore detiene oltre al vessare? Risposi: mio nobile sapiente, hai un'arte forse migliore di questa? Che farei più, se non dessi il cuore a quel ragazzo diletto? Non ha la madre del Tempo un figliolo migliore di questo ! Quando ti dico: «Bevi il tuo calice e bacia le labbra al coppiere! » ascolta l'invito, a te nessuno un altro n e farà migliore di questo Il calamo di Hàfez è pianta dai frutti dolcissimi: cogline dunque ! In questo giardino no, tu non vedrai un frutto migliore di questo ! Note v. 3 Si allude all'amato, " il sovrano dei belli" , che assume qui una di­ mensione cosmica e su cui, quindi, è facile costruire una lettura anche in chiave teologica. La «questione» (nokte) allude alle pene amorose del poe­ ta-amante. v. 4 Si tratta di un " consigliere" (ndseh ) evidentemente quanto ironica­ mente disprezzato, in conformità alla regola - altro topos - che l'amante in­ namorato non ascolta consigli di chicchessia. In una variante si legge, nel se­ condo emistichio, un perentorio: «vattene ! » (borow). v. 5 Uno dei non molti passi in cui l'ambiguità circa il sesso dell'oggetto amoroso - un ragazzo (rud) , un figliolo (pesar) - è chiaramente sciolta. v. 6 Verso che riecheggia l'invito khayyamiano al carpe diem, in partico­ lare a cogliere le primizie di Bacco e di Venere, e nel verso finale, anche i «frut­ ti» della poesia.

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87 Beviti vino color del rubino ... P 406 (Kh 395 ) Su 459 Beviti vino color del rubino, il volto di chi fronte ha qual luna riguarda invece del severo decalogo di quelli, la bellezza di questi tu guarda! Sotto la tonaca dai vari colori, tengono lacci [da briganti] : ma come allungano le mani questi dalle corte maniche, tu guarda! Non si piegano [i veri amanti] ai frutti e al raccolto dei Due Mondi: il vanto e l'orgoglio dei mendichi che vanno spigolando tu guarda! Cento vite richiedono [i belli] come prezzo di una mezza occhiatina oh, le smanie di noi accorati e le moine sfrontate dei belli tu guarda ! Lui il nostro diritto d'amicizia al vento sdegnoso gettò, e partì: simile fedeltà all'amicizia di tanti devoti e confidenti tu guarda! Divenire prigioniero d'Amore: ecco che fare per la mia liberazione! La mente di noi previdenti che alla Salute sempre pensiamo tu guarda ! Il cruccio ha sottratto al cuore di Hafez l'amicizia dell'amico suo adorato ma tu il candore di quelli che han pura Ambizione e integra Fede riguarda ! Note v. 1 Questi e quelli sono rispettivamente i sufi (o gli ulema) implicitamente tacciati di ipocrisia e i belli agognati dal poeta-amante. Il ritornello «guarda» (bebin) è rivolto all'uditorio. v. 2 Frecciata ai sufi delle confraternite, supposti avidi di beni terreni più che di beni spirituali. v. 3 Per " spigolatori" (khorhe-cin) e " mendichi" (gaddydn) sono da inten­ dersi qui i veri amanti, mistici o mondani che siano, in quanto opposti a chi è avido dei beni (allusi dal «raccolto)>) di questo mondo e di quell'altro. v. 4 Si noti la consueta classica antitesi moina/smania (ndzlniydz). L'e­ spressione resa con «accorati» (ahl-e del) è ambigua, potendo designare sia amanti profani che mistici.

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v. 6 La «salute» ( 'dfiyat) degli autentici e «previdenti» (pishbindn) aman­ ti, e anzi la loro vera liberazione, s'identifica con l'amorosa prigionia, idea ca­ ra a Hafez e divenuta un topos dopo di lui. Il secondo emistichio è soffuso di una sorta di malinconica autoironia. v. 7 L'originale per «cruccio» (kodurat) , interpretabile anche come "fa­ stidio " o "offesa" , allude a un qualche bisticcio o litigio a seguito del quale l'amico s'è allontanato. Ma il poeta-amante rivendica purezza di intento/am­ bizione (hemmat, termine anche del gergo mistico, su cui cfr. nota al ghazal 31, 6) e di fede (din).

88 Nella separazione da te io brucio P 408 (Kh 377 ) Su 440 Nella Separazione da te io brucio, distogli il tuo volto dall'offesa il Distacco è divenuto la mia rovina: mio Dio, la rovina allontana ! Fa bella mostra di sé, la luna, sull'azzurro cavallo del cielo: perché cada battendo la testa, o tu [mio bello] sali a cavallo ! Sciogli i tuoi riccioli, sì, a dispetto dello stesso narciso come Zefiro, intorno al bel prato diffondi aulenti vapori ! Al saccheggio di fede e ragione su esci, ebbro incedendo e sul capo reclina il cappello, e apriti la camicia sul petto ! O tu luce agli occhi degli ebbri, mi struggo io nell'attesa: suona la cetra tua lamentosa e quel calice, su, fallo girare! Il tempo, su quella sua guancia, scrive dolcissime linee mio Dio, la cattiva scrittura dal nostro amico allontana! O Hafez, da chi ha volto leggiadro, questo solo in sorte t'è dato se poi ciò non ti garba, prova tu i decreti a cambiar del Destino ! 179

Note v. 1 Il discorso è volto all'amato, che è qui pregato di smettere ogni «of­ fesa» (jajd) ai danni dell'amante. vv. 2-3 Qui è il topos della gelosia per il termine di paragone, rispettiva­ mente la «luna» (mdh, che sta per il volto dell'amato) e il «narciso» (sonbol, che sta per i riccioli) . Il «prato» (caman) allude pure al volto o alle guance, contornate da barba incipiente, da cui emanano profumi recati da Zefiro al­ l' amante- poeta. v. 4 Qui si allude, per il cappello messo di sbieco o obliquamente sul capo, a certe figure di personaggi di cattiva fama come briganti, girovaghi, malandrini e simili, che per la dubbia moralità e !"'inaffidabilità" , facilmente si prestano a una sovrapposizione con la figura dell'amato. L'altra caratteristica menzionata, la camicia mezzo aperta sul petto, sarebbe stata secondo Sudi propria di "tar­ tari" e "iranici" della jdhiliyya (letteralmente «ignoranza», ossia l'epoca pre­ islamica), e in poesia ha in sostanza la stessa funzione del citato cappello, ossia si tratta di elementi che descrivono o accentuano la seduttività dell'amato. Nel­ l'insieme vi si può riconoscere il motivo dello shahr-dshub (letteralmente « [bel­ lo] che sconvolge la città»), ampiamente diffuso nei canzonieri persiani. v. 5 Si tratta dell'antica consuetudine conviviale, più volte richiamata nel Canzoniere, di far bere a una stessa coppa che veniva fatta girare tra gli invitati. v. 6 Le «linee» (khatt) di scrittura scritte dal tempo sulla guancia alludo­ no alla tenera peluria incipiente sul volto del giovane amato, che presto però, infittendosi e divenendo una barba ispida, ne deturperà (donde l'accenno al­ la «cattiva scrittura») la bellezza.

89 La corona della rosa regina P 409 (Kh 382 ) Su 446 La corona della rosa regina, ecco che apparve dal lato del giardino il suo arrivo, o Signore, pel cipresso sia benedetto e pel gelsomino ! Felice nel luogo che ben gli appartiene sia questo regale insediamento così che ogni altro abbia a sedersi, da ora, al posto che gli fu assegnato Al sigillo di Jamshid riportate questa bella notizia, che alla fine il Nome Supremo l'ha sottratto alla mano [sì ladra] di Ahriman ! r8o

Sino alla fine dei tempi questa Casa prosperi: dalla polvere della sua porta ad ogni istante si leva il fausto vento di Yemen, con aromi misericordiosi ! Sì, la gloria del figlio di Pashang e della spada sua conquistatrice in tutte le cronache regali è il racconto che anima i lieti conviti ! Il cavallo da polo del Cielo, tutto si fece mansueto sotto la tua sella o cavaliere regale, che venisti sull'arena da gioco: colpisci la palla ! La tua spada per il ruscello del tuo regno è come l"' acqua" corrente orsù, pianta l'albero di vera Giustizia, estirpa le radici dei malevoli ! Qual meraviglia se, d'ora in poi, per l'alito aulente della tua dolce natura spuntasse dal deserto percorso da Iraj il muschio profumato di Tartaria? Trepidano gli asceti nell'attesa della tua dolce comparsa reclina dunque il tuo cappello e strappati il velo dal viso ! O Zefiro, presèntati al coppiere del banchetto del signore affinché, dalla coppa dorata, un sorso almeno mi conceda ! Chiesi un consiglio a Ragione, e lei mi rispose: Hafez, beviti il vino! Orsù, coppiere, secondo l'ordine di fidato consigliere versami il vino! Note vv. 1-2 Nell'incipit si trova anche la variante «stendardo» (rayat) al posto di «corona» (a/sar) . Si alluderebbe al ritorno trionfale di Shah Mansur (la " rosa") sul trono di Shiraz e tra i suoi cortigiani (qui allusi dal cipresso e dal gelsomi­ no) , dopo un temporaneo esilio a causa dell'aggressione di tribù turcomanne. v. 3 Qui - sullo sfondo della disavventura di Shah Mansur - si cita la sto­ ria coranica e tradizionale del rapimento del sigillo di re Salomone (qui sosti­ tuito dall'iranico re Jamshid, su cui era impresso il centesimo nome di Dio, il > (un tempo florida città, vicina all'odierna Teheran) al posto di «Iran».

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Il petto ho straripante di dolore ... P 448 ( Kh 461 ) Su 532 Il petto ho straripante di Dolore ahimè, presto: qua un balsamo ! Il cuore in solitudine è giunto alla fine, mio Dio: qua un amico ! Chi può avere speranza di quiete in un simile cielo che corre? O coppiere, porgimi una coppa affinché un poco io mi riposi ! A un saggio io dissi: «Guarda il mio stato !» Lui ridendo rispose: «Giorni ardui, faccende ben strane, il mondo è ormai sottosopra !» lo tutto riarsi nel pozzo di Pazienza per quella "candela" di Cegel il sovrano dei turchi è incurante con noi: dov'è - ditemi - un Rostam ? Sulla via d'Amore quiete e sicurezza in verità non son che sventura lacerato resti quel cuore che, al Dolore per te, pretenda l'unguento ! 220

A contenti e viziati è precluso il passaggio pel vicolo di [noi] libertini qui viandanti servono che il mondo brucino, non acerbi senza passione! Un uomo, vero, nel mondo terreno più non si trova: un altro mondo s'avrebbe da fare, un nuovo Adamo ! Su àlzati, doniamo la mente a quel turco grazioso di Samarkanda: oh, il suo vento dawero ci reca i profumi dell'acqua del Muliyan ! Il pianto di Hafez a che vale dinanzi al distacco sublime d'Amore? Dawero in questo "mare" sembrano quei Sette Mari misera goccia! Note v. 4 Cegel (pronuncia: ceghèl) è città del Turkestan celebrata dai poeti per gli abili arcieri e la bellezza dei suoi uomini ('' candela" sta spesso per "bel­ lo/a " che inevitabilmente brucia chi si awicina) . Si allude qui naturalmente alla crudeltà dell'amico (il «sovrano dei turchi») che non si cura di innamo­ rati e spasimanti. Sullo sfondo è la leggenda epica della Shdh-ndme di Fer­ dowsi, ave Afrasiyab, il sovrano del Turan implacabile e crudele nemico del­ l'Iran, deve vedersela in una saga lunghissima con l'eroe iranico Rostam, che alla fine lo vince e punisce con la morte. v. 5 Si osservi qui la poetica, elegante in congruenza con quanto è stato ap­ pena detto nel verso iniziale. v. 6 Ossia amanti che si siano lasciati tutto alle spalle per dedicarsi uni­ camente all'amore. Discorso che, come è facile intuire, si lascia facilmente tra­ sporre - anche grazie a precisi segnali (ad esempio «viandante») - in senso mistico. v. 8 Qui l'espressione "turco di Samarkanda" è all'incirca equivalente al "turco di Cegel", per cui cfr. nota al v. 4· Il secondo emistichio - ove compa­ re il nome di un fiume che scorre in realtà presso Bukhara - costituisce una citazione quasi letterale di un celeberrimo verso del poeta Rudaki (x secolo), lirico che si colloca agli albori della lirica persiana. v. 9 L'originale per «distacco» è esteghnd', termine coranico che allude al­ la suprema "indipendenza " divina, che qui entra in gioco per segnalare la su­ prema indifferenza dell'amato ai lamenti del poeta-amante. Il «mare» d'amo­ re, formato dalle lacrime dell'innamorato, è immagine convenzionale. L'e­ spressione «sette mari», corrispondente ai sette climi della cosmologia irani­ ca tradizionale, compare pure in opere della tradizione mistica in alternativa alle sette vette/montagne che il viandante spirituale dovrà attraversare.

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O bella bocca sorridente ... P 450 ( Kh 453 ) Su 524 O bella bocca sorridente, simile a scrigno ripieno di perle!

Quanto bene (Dio mio ! ) ti sta, d'intorno, quella linea di luna! Oh, il pensiero dell'Unione con te dolcemente m'inganna: qual tiro mai deve giocarmi questo tuo volto solo pensato? Porgimi il vino ché, pur se finito nel "libro nero" del mondo come potrei disperare, io, di una Grazia che mai si estingue? O coppiere, su, portami un calice, strappami tutto a questo Ritiro così che, spensierato briccone, io vada questuando di porta in porta ! Non scordarti quattro cose, se persona tu sei accorta e intelligente: un buon rifugio un vino limpido un bell'amato e un luogo deserto Limpida è la coppa della mente nel tempo dell'Asaf di quest'epoca alzati, o coppiere, e dissetami con vino più puro di acqua corrente Il regno va fiero della benevolenza e dello zelo di lui

o Signore, tanto onore e valore in eterno possa durare ! Ecco colui che illumina il trono di Fortuna, vera miniera di splendore colui ch'è nobile Prova del regno e dei sudditi: Bu Nàser Bu al-Ma'àli! Poiché in nessuna maniera sono i progetti del mondo costanti o Hàfez, non restare a lamentarti, il vino piuttosto beviamoci ! Note v. 1 Il corsivo, qui e nei versi seguenti, indica gli emistichi in arabo nel­ l' originale. Nel secondo emistichio si allude alla «linea» (khatt) dei baffi che, convenzionalmente, s'incurva come luna sottile sopra la bocca dell'amato.

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v. 2 L'originale per «pensiero» (khiyal) altrove può valere anche "imma­ gine" mentale o " fantasma" dell'amato e segnala una dimensione fondamen­ tale della interiore rimuginazione amorosa dell'amante. v. 3 Si osservi il ricorso a termini teologici come «grazia» Uot/) o che rie­ cheggiano motivi coranici come il «libro nero» (name-ye siyah ) delle umane malefatte. v. 4 Ossia: strappami dal ritiro (khalvat) dell'asceta e fammi fare la vita del libertino e furfante/briccone (qallash) «spensierato» (la-obdli, espressione ara­ ba, qui usata come un attributo, ma che letteralmente vale «non m'importa !», celebre slogan-manifesto di tanta poesia malfamata araba e persiana). Sotto­ stante e implicita è qui l'antitesi asceta/libertino (zahedlrend) , che in Hafez si carica di impliciti risvolti polemici nei riguardi del sufismo delle confraternite così sintetizzabili: meglio amante e libertino sincero (il cui "programma" di vi­ ta è sintetizzato nel v. 5 e nel v. 9) che asceta falso e ipocrita. v. 6 Asaf, nome di un leggendario ministro di Salomone, magnificato per rettitudine e giustizia, allude qui a un patrono del poeta che viene espressa­ mente nominato al penultimo verso e gratificato col titolo di «prova del re­ gno e dei sudditi». Nel secondo emistichio, l'originale per «vino» (rahiq) al­ lude a una bevanda del paradiso islamico. v. 7 Il primo emistichio è un verso di encomio al personaggio di cui al ver­ so precedente.

n6 O tu che lecito stimi ... P 452 ( Kh 440) Su 5n O tu che lecito stimi il distacco dagli amanti tuoi che i tuoi innamorati tieni lontano dal tuo petto ! L'assetato nel deserto, soccorrilo con limpida acqua sperando di tenerlo sulla via che conduce al Signore ! Il mio cuore rubasti, io te lo permisi ma, o mio caro custodiscilo un po' meglio di come tu me custodisti ! La coppa a noi destinata, ecco si tracannano ora i rivali: pur questo noi sopportiamo, se tu l'hai voluto permettere 223

Ehi mosca, il soglio di Simurgh non è luogo per volarsene in giro rischieresti la tua reputazione e a noi magari daresti pure fastidio ! O Hafez, ai re la gente richiede prebende in cambio dei propri servigi ma tu che nulla hai mai fatto [dimmi:] che speranza nutri in doni regali? Per tua colpa tu escluso venisti da questa magnifica corte perché dunque ti vai lamentando e grida vai ora levando? Note v. 2 Sullo sfondo c'è l'immagine del pellegrino diretto, attraverso la dura traversata del deserto arabico, alla Ka'ba, la " casa di Dio " alla Mecca. Me­ taforicamente, l' «assetato» (teshne) è l'amante che aspira a congiungersi con l'amato, ovvero il «signore» del suo cuore. v. 5 La mosca allude qui al guardiano (raqib) dell'amato, ma cfr. anche nel verso che precede l'accenno ai «rivali» (hari/an). È tipica figura di ostacolo che si interpone tra l'amato - alluso qui da Simurgh, il miti co re dei volatili cantato nel poema mistico Mantiq al-Tayr di 'Attar - e gli amanti. vv. 6-7 Gli ultimi due versi ci permettono di fare qualche speculazione sull'occasione del componimento: forse uno screzio, una incomprensione con ]"' amato " , ovvero il patrono del poeta. Si ricordi fra l'altro che Hafez dovet­ te patire un periodo di esilio da Shiraz per dissapori con il suo principe e pa­ trono, fatto cui comunque non necessariamente questi versi alludono.

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All'alba un viandante ... P 454 (Kh 474) Su 545 All'alba un viandante, in remota contrada, proponeva a un compagno quest'enigma: «0 sufi, puro il tuo vino diverrà solo quando avrà trascorso nel calice quaranta giornate !» 224

S'ottenebrarono i cuori: dall'Invisibile speriamo che accenda una luce colui ch'è raccolto in Ritiro Ma il buon Dio di quel saio cento volte ha disgusto poiché cento idoli si celano dentro ogni manica ! Virilità: benché un nome sia ormai di cui non v'è traccia la tua smania presentala, subito, a chi è bello e grazioso! Benché mostrare torvo il volto sia l'usato costume dei belli

che sarà mai se una volta, almeno, tu consoli un dolente? Orsù, la porta della taverna mostratemi così ch'io chieda colà a un veggente di dirmi che cosa in futuro m'aspetti ! O tu che padrone sei del raccolto, buon pro ti faccia se avrai compassione di colui che, umile, va spigolando ! Se l'anello non si trova sul dito di Salomone qual effetto produrrà la figura del suo sigillo? Ahimè, non vedo Piacere né Gioia in nessuno ormai né vedo medicina per i cuori o passione per una fede! Né Hàfez ha la quiete per lezioni e ritiri né il sapiente la Scienza della Certezza ! Note v. 2 Probabile spiritosa allusione alla pratica del «ritiro» (khalvat) spiri­ tuale di quaranta giorni in una cella - particolarmente caro ai sufi (cui si fa espressamente cenno nel verso seguente) - qui paragonata al calice in cui il "vino" dell'anima avrebbe modo di raffinarsi e purificarsi. v. 4 Ancora una frecciata all'ambiente delle confraternite e ai sufi, volen­ tieri presentati da Hafez come individui ipocriti o bacchettoni. v. 5 Il concetto di «virilità» (morovvat, arabo muruwwa) allude a virtù cor­ tesi- cavalleresche come generosità, coraggio, lealtà, schiettezza ecc., facil­ mente interpretabili anche in senso mistico.

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v. 6 Il primo emistichio, ci segnala Pizhman, sarebbe una citazione diret­ ta da Nezami Ganjavi; nel secondo, in cui la domanda è posta all'amato, se­ guo la lezione di Sudi (l'originale vorrebbe «se una volta almeno [il bello] consola») . Il «dolente» allude al poeta-amante. v. 8 Il discorso è rivolto all'amato, lo spigolato re allude al poeta-amante. v. 9 Si allude alle magiche virtù dell'anello, o meglio del sigillo che vi era impresso che recava incisa - secondo la tradizione - una formula o un nome segreto Oa «figura»). Tale anello espletava i suoi effetti solo se stava al dito del re-profeta (unjinn che secondo la tradizione glielo rubò non poté infatti ser­ virsene come sperava). Non è chiaro qui a che voglia alludere il verso; azzar­ do l'ipotesi che l'anello e le sue magiche virtù alludano alla poesia di Hafez (il poeta, si ricordi, è per i persiani un "mago della parola" ) e Salomone allu­ da all'amato/patrono, che qui sarebbe implicitamente invitato ad appro­ priarsene ossia ad accettarla dal suo poeta e suddito. v. u Nel primo emistichio si legge in una variante «per le lezioni di Cora­ no» (dars-e Qor'dn ) , che alluderebbe all'attività di insegnante di materie reli­ giose del nostro poeta, attestata da fonti tradizionali. Secondo Sudi nel verso forse si allude alle difficoltà e alle incertezze del tempo, caratterizzato da cam­ bi cruenti di regime e improwise catastrofi, di cui Hafez stesso qua e là spes­ so rassegnatamente si lamenta. La «scienza della certezza» ( 'ilm al-yaqtn ) , propria dei mistici, è indicata nelle opere d i al-Ghazali come scienza supe­ riore a quella dei dottori della legge, qui allusi dal «sapiente».

n8 O tu che nel vicolo della taverna ... P 455 ( Kh 439 ) Su 510 O tu che nel vicolo della taverna stabilmente hai dimora il re J amshid dell'epoca sarai, se la mano tendi alla coppa! O tu che coi riccioli e il volto dell'amico trascorri il giorno e la notte l'occasione a te venga donata di passare, in letizia, le notti e l'albe! O Zefiro, i riarsi [d'Amore] son per te in attesa all'inizio della Via per sapere se mai un messaggio riporti di quel nostro amico partito Il tuo fresco neo è un granello di puro Piacere, ma tu sul bordo del "prato " oh, quale trappola ci tendi ! 226

Profumo di anima io sento nel "labbro" sorridente del calice sentilo anche tu, o nobilissimo, se nari [adeguate] possiedi Visto che tu, a mantener le promesse, non mostri saldezza ringrazio che nell'offendere e ingiuriare possiedi costanza Se, presso di te, ricerca l'estraneo la fama che importa? Oggi tu solo in questa città possiedi dawero buon nome ! La preghiera dell'alba sarà un patrono dell'anima per te sufficiente visto che un servo possiedi, come Hafez, che di buon'ora si sveglia! Note v. 1 Qui è il topos della " regalità nella mendicità" dell'amante, nella va­ riante del beone che staziona presso la taverna. v. 4 Il «prato» è qui la guancia dell'amato appena cosparsa di peluria o barba incipiente, e su cui pende la trappola/rete dei riccioli. Il neo insomma - oggetto di particolare interesse per i lirici persiani - è visto come seme/gra­ nello (tokhm) , ossia un'esca collocata a bella posta su una trappola per gli amanti/uccelli. Sottintesa è un'abusata metafora assunta dall'arte venatoria, ripresa già in ben note allegoriche "epistole degli uccelli " di Avicenna e Ghazali. v. 5 L'espressione «profumo di anima» (bu-ye jdn ) può valere anche «profumo di vita», di esistenza autentica e più vera ecc. Il discorso, di vago sapore iniziatico, è rivolto a un ipotetico principiante d'Amore owero al­ l'uditorio. v. 6 Il verso ironico gira intorno al motivo dell'infedeltà dell'amato e a quello della disponibilità a tutto, anche a ricevere ingiurie, dell'amante che ogni cosa accetta pur di non rompere i contatti. v. 7 Ossia, se ho ben inteso, nessuno può oscurare il tuo buon nome e la tua fama, che non viene mai diminuita dalla munificenza con cui permetti che altri (nella fattispecie il poeta stesso) divenga famoso presso di te. v. 8 Nel primo emistichio Sudi interpreta in modo leggermente diverso: «Le molte preghiere dell'alba saranno per te guardiano dell'anima». Il rife­ rimento è alla prima preghiera della giornata del buon musulmano, ma il ter­ mine impiegato, da'd, ha anche il significato tecnico di invocazione per la prosperità del sovrano, che spesso i poeti arabi e persiani inserivano nei lo­ ro panegirici.

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11 9 Alla grande t'aiutò il cielo ... P 456 (Kh 442) Su 513 Alla grande t'aiutò il cielo nel "giorno del giudizio ": come potrai ringraziarlo? Che farai tu per sdebitarti? A colui che cadde nella polvere (e Iddio subito gli tese la mano) dite: ora a tua volta sei tenuto a soccorrer coloro che caddero ! Nel vicolo d'Amore non si fanno ingannare dalla pompa dei re piuttosto, confèssati umile servo e dichiarati sempre obbligato O coppiere, con lieta novella di Piacere su, entra dalla mia porta affinché, per un poco, le pene del mondo dal mio cuore tu scacci Sulla via maestra di onori e prebende numerosi sono i pericoli: meglio sarà se da questo mucchietto di polvere ti levi leggero! Ai sovrani: il pensiero di eserciti, e l'angoscia di troni e corone ai dervisci: la mente tranquilla raccolta, e il rifugio dei Qalandar ! M'è concesso, infine, proferire una parola da sufi verace? O luce dei miei occhi: la pace è migliore di guerre e litigi ! Si raggiungono le mete in ragione di pensiero e ambizione: vien dal sovrano l'onesto intento e dalla Grazia il soccorso O Hafez, la polvere di Povertà e Appagamento non sciacquarti dal viso codesta polvere - sappilo - è cosa migliore dell'opera di fini alchimie ! Note v. 1 L'incipit alluderebbe, secondo Sudi, a una vittoriosa battaglia (suggeri­ ta dall'espressione «giorno del giudizio [divino]», secondo una concezione del­ le battaglie diffusa in tutto il medioevo mediterraneo) sostenuta dopo alterne vicende da Shah Mansur, un patrono del poeta, contro tribù turcomanne.

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vv 2-3 Si ribadisce l'idea dell'incipit: il sovrano dovrà ora sdebitarsi con i suoi sudditi, ovvero coi suoi " amanti" per la grazia ricevuta. v. 5 Il «mucchietto di polvere/terra» allude al corpo. È il motivo mistico della rinuncia, ossia: quando dovremo morire meglio non dover abbandona­ re questo corpo appesantiti da carichi mondani. v. 6 I Qalandar erano una sorta di ordine di dervisci erranti, spesso ac­ cusati di condotte scostumate e alquanto malvisti dalle confraternite rego­ lari, ma in poesia talora assurti a modello del mistico autentico e sincero. L'originale per rifugio/ cantuccio (konj) è facilmente confondibile grafica­ mente anche con ganj = " tesoro " , da intendersi eventualmente in senso spi­ rituale. vv 7-8 Il discorso è nuovamente rivolto al patrono - cui il poeta si rivol­ ge nella veste/maschera del sufi "buon consigliere" del principe - con espres­ sioni che riflettono un'antica tradizione sapienziale. v. 9 Convenzionale inno a due tipiche virtù del sufi che darebbero ric­ chezza più grande e duratura di quanto possano dare la scienza e l"' opera al­ chemica" ( 'amal-e kimiya-gari) , l'elisir ecc. .

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Mi catturò il cuore. . . P 458 (Kh 429 ) Su 5oo Mi catturò il cuore Salma, con le sue due trecce e il mio spirito tutto il giorno andava lamentando:

«0 mia bellezza, abbi pietà di me che il cuore smarrii e, a dispetto dei miei nemicz; orsù, fammi vicino a te.'

O amica, in questa triste passione d'amore per te ci abbandonammo nelle mani del Signore dei servi» O tu che a me hai impedito di amare la bella Salma

dall'inizio avresti dovuto vedere quel volto di giullare ! Come a me, anche a te occorrerebbe che il cuore d'un tratto naufrago divenisse d'Amore nel mare della pura Amicizia

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Ah, il cuore di Hàfez finì tra le volute dei riccioli tuoi in notte fitta di tenebre: ma Iddio è la nostra Guida!

Note v. 1 Il primo verso nell'originale è in arabo, così come lo sono quelli in corsivo nel seguito di questo ghazal. Il personaggio, Salma, è una delle mu­ liebri bellezze cantate nella poesia araba. v. 4 L'apostrofe è a un ipotetico censore o comunque a una figura d'osta­ colo. Verso elegantemente costruito su un primo emistichio in arabo e un se­ condo in dialetto shirazeno. Il «giullare» (luli) , o meglio una sorta di artista girovago - di solito malfamato (cfr. le figure di cui al ghazal n9, 6) - che si ri­ trova in tanti paesi del medioevo islamico, è figura che come il coppiere è fat­ ta talora oggetto degli amorosi slanci dei poeti persiani. v. 6 I riccioli, convenzionalmente sempre neri, della chioma dell'amato sono paragonati a notte in cui l'amante (o il suo cuore) s'è smarrito per cui, ora, può fare affidamento solo sulla «guida» (hddi) celeste che - e qui è una sottile citazione coranica - è garantita da Allah ai pellegrini notturni.

121 In tutti i conventi dei magi... P 45 9 (Kh 481) Su 558 In tutti i conventi dei magi no, non si trova un folle a me pari: di qua il saio ho portato in pegno pel vino, e il quaderno di là! S'è impolverato il mio cuore, ch'è uno specchio di Regalità da Dio io imploro l'amicizia di uno che ha mente luminosa! Un bastimento portatemi ricolmo di vino ché, privo del volto dell'amico, i miei occhi, per [le lacrime della] pena del cuore, un mare son divenuti ! Torrenti già scorrere feci dagli occhi giù e giù sino al grembo, oh chissà che un bello [come virgulto] di alta figura non piantino qui al mio fianco ! 230

Col mio idolo venditore di vino, l'atto pur feci del pentimento: mai più berrò io il vino (se non dinanzi a un volto leggiadro) ! Se d'avere il fascino dei tuoi occhi l'occhio del narciso si vanta, ignoralo: quelli che attento han lo sguardo non badano mai ai [discorsi dei] ciechi! Spiegazione di simile pena forse ci darà la candela sulla lingua infuocata ché, altrimenti, davvero non è la falena che possa curarsi di farne parola! Non parlar d'altre cose con me che adoro soltanto l'amata avendo io lei e il vino, di nessun altro - è certo - mi curo ! Quanto mi piacque il discorso che all'alba mi andava facendo alle porte di taverna un cristiano, tra i suoni di cetra e tamburi: «Se l'Islam più vero è quello che pratica Hafez, poveri noi se dopo l'oggi c'è anche un domani! » Note v. 1 Qui è il topos del saio dato in pegno all'oste per ottenere da bere, con l'aggiunta - più originale - del quaderno di poesie. v. 2 Si noti l'opposizione tra il cuore-specchio impolverato, dunque otte­ nebrato, dell'amante e la mente luminosa dell'amato amico. v. 3 Alla lettera: «ogni angolo dei miei occhi [ . . . ] è diventato un mare». v. 4 Per comprendere l'immagine bisogna pensare che spesso l'amato in poesia viene paragonato a un bel cipresso, a una salice ecc. dall'alta/slanciata figura, che cresce nelle vicinanze di un ruscello, qui "fornito " dai torrenti di lacrime dell'amante-poeta. v. 5 Con «leggiadro» abbiamo reso un'espressione che suona alla lettera «ornamento dei festini/banchetti» (bazm-aray ) . Qui è il topos del "finto pen­ timento " : l'amante promette sì (dinanzi al suo bel vinaio/coppiere ! ) di non bere più vino, ma solo se non sarà in graziosa compagnia . . . v. 6 L'originale per «quelli che attento han lo sguardo» (ahl-e nazar) , che vale letteralmente «gente dello sguardo», può designare i sapienti/filosofi, i contemplativi, gli iniziati, tra cui il poeta-amante e " sapiente d'amore" chia­ ramente si colloca. Si ricordi che, nel convenzionale giro d'immagini botani­ che, l'occhio dell'amato è paragonato al narciso, la guancia al tulipano, i ca­ pelli al gelsomino e così via.

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v. 7 La classica coppia candela/falena traduce quell'idea dell'ineffabi­ lità dell'esperienza amorosa che resta consegnata al segreto della falena che arde tra le lingue di fuoco della sua candela amata, come era stato magnifi­ camente illustrato in un celebre apologo del Mantiq al-Tayr (Il verbo degli uccelli) di 'Attàr. v. 8 Qui abbiamo uno dei rarissimi versi del Canzoniere in cui l'oggetto dell'amore è designato al femminile, peraltro in un'espressione generica co­ me ma 'shuqe-parast («adoratore di amata») e tale da far pensare a una scelta dettata più che altro da necessità metriche. vv. 9-10 Secondo Sudi il «domani» (/ardei) andrebbe interpretato come un'allusione al giorno del giudizio, dove Hàfez e i libertini suoi emuli ri­ schierebbero di vedersela brutta. Il cristiano del verso precedente, che visto­ samente " si scandalizza" della vita libertina del poeta, compare accanto ad al­ tri due elementi bad-ndm: musica e taverna, di cui è pur lui evidente fruitore. Il v. 9, secondo alcuni esegeti, sarebbe stato successivamente inserito dal poe­ ta, messo sotto accusa dagli ulema, per attenuare la portata della dichiarazio­ ne del v. ro.

122 O coppiere ... P 46o (Kh 476) Su 547 O coppiere, ombre di nubi si vedono primaverili, e bordi di ruscello: che fare, io non te lo dirò, se sei un devoto del cuore dillo tu stesso ! Da una tal prospettiva non ci viene un "profumo" univoco, su àlzati e la veste immonda da sufi corri, ora, a lavarla col vino più limpido ! È questo mondo d'indole meschina, non fidarti della sua generosità: se esperto sei di mondo, non cercare costanza in chi solo è meschino !

Due consigli ti porgo, ascoltali bene, e ne trarrai più di cento tesori: entra dalla porta del Piacere e non percorrere la via delle critiche! Per ringraziare che primavera ancora una volta hai veduto o tu, pianta l'albero del Bene e odora la rosa della Grazia ! 232

Se il volto dell'amico ricerchi, preparati uno specchio adeguato ché mai rosa o rosella selvatica può crescere da ferro o da rame Aprile bene le tue orecchie, ché l'usignuolo lamentoso ancora ricanta: o nobile, non lesinare gli sforzi e inebriati della rosa della Grazia ! Dicesti: «Va salendo dal nostro Hafez odor d'Ipocrisia» Sia lode a te per sempre, ché davvero hai fine odorato! Note v. 2 Si allude con naqsh («pittura», «quadro», anche nel senso di "prospet­ tiva" o " quadro della situazione") a una situazione incerta o non chiara, forse ri­ schiosa, giusta l'accenno all'assenza di «profumo univoco», letteralmente «di un sol colore» (bu-ye yek-rangi). Nel secondo emistichio si precisa che tutto nasce dall'ipocrisia di cui è immonda la veste del sufi, che solo il vino proibito - altro motivo caro a Hafez - può davvero "lavare" e "purificare". v. 3 Ecco un esempio di verso di sapore proverbiale, con cui ogni poeta persiano ama infiorettare le proprie composizioni. v. 4 Come a dire: fatti gli affari tuoi, passatela meglio che puoi e non cri­ ticare il prossimo. v. 6 Qui, come nel verso precedente, il discorso è volto al pubblico. Si no­ ti, sullo sfondo, il topos mistico del cuore-specchio che riflette il volto dell'A­ mico divino, purché debitamente forbito attraverso le opere d'ascesi e puri­ ficazione e reso così perfettamente lucido. La rosa allude in tutta la poesia persiana al volto della bellezza amata e alla sua «grazia» (towfiq, termine teo­ logico) che l'amante sincero è invitato a ricercare (v. 5 e v. 7). v. 8 Il tu/te è riferito all'amato. L'ipocrisia (riyd) è una tipica, frequente accusa elevata nel Canzoniere a carico dei sufi, con cui Hàfez ama strumen­ talmente confondersi, come avviene in questo verso di chiusura soffuso di iro­ nia, in cui si osserva tra l'altro il consueto sdoppiamento dell'io lirico.

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È di nuovo primavera ... P 461 (Kh 447) Su 518 È di nuovo primavera, su, cerca d'allietare il tuo cuore ! Tante rose rispuntano, e tu ancora un poco e vai sottoterra !

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Sul prato ogni foglia è il " quaderno" d'un'estasi nuova peccato sarebbe se, di tutto questo, tu fossi incosciente ! Non ti dirò con chi devi stare, o cosa bere: tu ben lo sai, se sei consapevole e all'erta! La cetra da dietro cortine non cessa di darti consigli, però quel discorso ti tornerà utile sol quando tu degno diventi ! La moneta della vita, alla grande, ti ruberà l'affanno del mondo se notte e giorno tu ti concedi a quest'ardua [terrena] awentura Benché la via da qui all'amico sia piena di rischi e paure sarà cosa più agevole andarvi, se le stazioni tutte conosci O Hafez, se un aiuto otterrai dall'alta tua stella la preda diverrai di quel bello, dall'indole dolce ! Note v. 1 Invito al carpe diem. Nel secondo emistichio c'è un gioco di parole non riproducibile basato sulla identità della forma grafica nell'originale di «rosa» (gol) e «terra» (gel) . v. 2 Ogni foglia è insomma una pagina o «quaderno» (da/tar) in cui sta scritto il mistero della sapienza creatrice che incessantemente meraviglia l'in­ telletto di chi sa guardare. Un verso di Sa' di (celeberrimo poeta di Shiraz del XIII secolo) già diceva lo stesso concetto: «ogni foglia è il quaderno della sa­ pienza del Creatore». v. 3 È il solito invito all'amore e al vino (cfr. anche v. I ) rivolto al pubbli­ co dal poeta nella veste di maestro di «libertinaggio» (rendi) . v. 4 Owero: solo quando sarai pronto e adatto a recepirlo, trattandosi di un discorso di iniziazione all'amore che presuppone, come si spiega al verso successivo, un rapporto più meditato con l' «affanno del mondo» (ghosse-ye

doniyd) . v. 6 Torna il motivo dell'iniziazione all'amore (cfr. anche v. 4), connesso qui con l'idea di «via» e «stazioni» da percorrere, termini che si possono leg­ gere anche in chiave misticheggiante.

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Sol se ti siedi sul bordo di un ruscello ... P 462 (Kh 475) Su 546 Sol se ti siedi sul bordo di un ruscello in preda a desiderio ogni tumulto [nell'acqua] vedrai come fosse da te originato Nel nome di Dio (di cui tu sei, è certo, il servo prediletto) : non sia mai che tu un altro preferisca al tuo servo antico ! Se saprò custodire quel Pegno, qual timore dovrei poi avere? È cosa lieve perdere il cuore, se non si perde anche la fede ! D'ora innanzi farò il mendico ché all'inizio della stazione d'Amore non possiedono i viandanti un altro rimedio che quello di Povertà Mi meraviglio, o rosa che siedi tra le spine, della tua Grazia palesemente, in tutto questo, il meglio del momento tu vedi ! Ascolta un consiglio imparziale da questo tuo servo devoto o tu che scopo sei di quei grandi che il Vero solo contemplano: uno come te grazioso, dal cuore puro e dalla limpida mente meglio sarebbe se con certa plebaglia non avesse a che fare ! Mi fa specie che tu inceda ammirando lo spettacolo del prato tu che più bello sei della rosa e più fresco di rosella selvatica! Oh, il "gioco di vetri" vedrai, da una parte all'altra, delle mie lacrime se solo un momento vorrai qui "sederti " , al balcone della vista mia ! Cortesia e pudore t'han reso sovrano dei volti di luna sia lode a te, che meriteresti cento e più volte altrettanto ! Tu, o fiamma di Cegel, con tanto fascino e delicatezza sei davvero ben degno di servire il nobile Jalal od -din ! 23 5

Ahi, via si portò il diluvio di queste lacrime irruenti la pazienza di Hafez raggiunse i limiti la mia forza, o palla dell'occhio: separati infine da me.'

Note v. 1 Verso dal senso oscuro; secondo Sudi, il «tumulto» (/etne) altro non sarebbe che il movimento tremolante nell'acqua dell'immagine riflessa del­ l'innamorato; ma il termine in questione rimanda metonimicamente anche al­ l'intima agitazione amorosa che "si rispecchia" nell'acqua. Il discorso pare ri­ volto genericamente all'innamorato in preda alle amorose smanie, quindi, for­ se, il poeta parla in realtà di (o rivolto a) se stesso. v. 2 Il discorso è rivolto all'amato. v. 3 L'originale per «pegno» (amdnat, anche " deposito " , o "bene dato in custodia" ) è termine coranico (XXXIII, 72) di solito riferito dagli esegeti alla fede, o all'amore di Dio, che ogni uomo è chiamato a custodire come prezio­ so " deposito " nel cuore. v. 5 Altro topos della lirica persiana: la grazia che la rosa - l'equivalente vegetale dell'amato/a - elargisce agli innamorati usignuoli non può far di­ menticare le spine. L'espressione maslahat-e vaqt, letteralmente il meglio/la cosa migliore (che c'è, o da farsi) del momento, può alludere anche per via di vaqt ( "momento "/" istante" , anche nel senso di momento estatico) a dimen­ sioni spirituali. vv. 6-7 Il poeta nella maschera del saggio consigliere si rivolge all'amato per metterlo in guardia dai falsi amanti. Sono versi, perfettamente ambigui, che si lasciano leggere a seconda delle preferenze in chiave amorosa, o anche con riguardo all'aspetto delle rivalità tra poeti connesse alla vita cortigiana. v. 9 Si alluderebbe, spiega Sudi, al gioco o passatempo - diffuso negli hammdm - delle bolle di sapone "simili a vetri" . Il «balcone» (manzar) allu­ derebbe all'occhio dell'amante-poeta, per cui il secondo emistichio signifi­ cherebbe: se solo per un po' ti facessi da me vedere. v. 11 Sembrerebbe un verso in cui il poeta " raccomanda" l'amato al per­ sonaggio nominato, Jalàl od-din Turànshàh, identificabile con un ministro di Shàh Shojà'. Cegel è nome di regione abitata da genti turche convenzional­ mente celebrate in poesia per la loro bellezza. v. 12 Il secondo emistichio è in arabo nell'originale.

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La pace di Dio P 46 3 (Kh 454) Su 525 La pace di Dio -finché le notti l'una all'altra si susseguono e gli strumenti a due e a tre corde l'uno all'altro rispondono discenda sulla "valle degli arak" e su chi vi abita e su quella casa che sta in Lava, là oltre le sabbie

Preghiere d'augurio elevo agli stranieri [pellegrini] del mondo in verità, io auguro il bene in continuazione e senza tregua!

Ovunque egli volga il suo bel viso, o mio Signore, proteggilo Tu con la tua Grazia che mai vien meno! Non lamentarti o cuore, se là tra le catene dei suoi riccioli l'unica possibile pace troverai in uno scompiglio totale! Dalle linee [della tua peluria] sorsero altre cento bellezze oh, sia così lunga l'esistenza tua come cento anni di gloria! Necessario è che sempre tu viva, facile altrimenti la rovina sarebbe del capitale spirituale e materiale! A quel Sommo Pittore lodi in abbondanza ognora siano elevate: intorno alla luna piena del volto, tracciò linea graziosa di barba Oh, è il tuo amore in ogni momento la mia pace il tuo ricordo è mio confidente in ogni situazione

L'intimo del cuore mio sino al giorno della Resurrezione vuoto del tumulto mai non sia, di questa passione per te! Dove mai troverò l'Unione con un sovrano tuo pari io, libertino malfamato, di tutto il resto incurante? 237

Dio solo conosce quali siano i veri propositi di Hàfez di ciò che desidero !a scienza di At!ah è consapevole

Note vv. 1-3 Il corsivo segnala dei versi in arabo nell'originale. Nell'espressio­ ne «valle degli ardk» l'ultimo termine è di carattere botanico, trattandosi di nome di albero. Si tratta comunque di toponimi nominati nella lirica araba e, secondo Sudi, si vuole forse alludere a un lungo viaggio, o a un pellegrinag­ gio in terre arabe, dell'amato. v. 5 Paradossalmente lo scompiglio o sconvolgimento che è dato dai ric­ cioli dell'amato si risolve nella vera pace e tranquillità (jam 'iyyat) dell'amante. v. 6 Nel primo emistichio, se ho ben inteso, si allude con «cento bellez­ ze» ai peli della barba incipiente sul viso dell'amato (cfr. anche v. 8). L' " anno di gloria" (sdl-e jaldl) è espressione che potrebbe contenere una velata allu­ sione a un ministro, tale Jalàl od- din ('' gloria della fede" ) Turànshàh, protet­ tore del poeta (cfr. anche ghazal 124, n ) . v. 8 C'è un gioco di parole, non riprodotto in traduzione, tra luna piena (mà'h) del viso e luna novella (heldl) , sottile come una «linea» ricurva e per­ ciò paragonata alla linea della barba incipiente che incorona il viso dell'a­ mato. Letteralmente si avrebbe nel secondo emistichio «traccia la linea di lu­ na novella». v. 9 Si tenga presente che l'originale per «amore» (hobb) e quello per «ri­ cordo» (dhekr) sono anche termini del gergo religioso riferibili al rapporto tra il credente o il mistico e Allah. v. 11 L'originale per «incurante» è una celebre espressione araba, ld-obd­ li, letteralmente «non/nulla mi cale», in uso presso i poeti della scuola abba­ side e divenuta poi una sorta di slogan-manifesto del poeta libertino che pro­ testa la propria libertà di fronte a censori, ulema e bigotti.

126 Son giunti aromi... P 464 (Kh 46o) Su 531 Giunsero aromi di rand da quel pascolo e s'accrebbe il mio desiderio in sacrificio sia data la mia anima cara alla polvere della porta dell'amica!

Udire il messaggio dell'amica, è per me Felicità e Salute chi dunque farà giungere il mio saluto alla bella Su'ad?

Su vieni nella notte di noi stranieri, le lacrime di questi occhi riguarda [rosse sono divenute] , come il limpido vino in calici di vetro di Siria! Quando l'uccello beneaugurante prende a cantare da DhU al-Arak, i lamenti loro non levano più, dal giardino di lez; le colombe.'

Fra non molto finirà il giorno del Distacco dall'amica: ho visto là, sulle dune del pascolo, innalzare le tende.'

Ah, felice il momento in cui vieni da me e ti saluto dicendo: con passo tu venisti/elice e in casa tu entrasti fortunata.' Mi allontanai da te ed ecco, mi ridussi a una luna novella

benché il tuo volto, luna piena, io ancora non abbia veduto ! Oh, se tu partissi per il Na;d e mancassi alla promessa il mio sonno non sarebbe dolce né i miei sogni gradevoli

Per buona sorte io spero ti possa presto rivedere: tu felice nel comandare e io felice sol di servirti ! Come collana di perle è luminosa, o Hàfez, la tua poesia ché supera, in fatto di grazia, persino quella di Nezàmi ! Note v. 1 Nome arabo di pianta aromatica del deserto - allusiva ai profumi pro­ venienti dal " pascolo riservato" (hemd, qui forse anche nel senso di "rifugio" ) della persona amata - all'interno d i un emistichio in arabo nell'originale (il corsivo indica anche in seguito i versi in arabo nell'originale). Si tratta pro­ babilmente - secondo un vezzo diffuso tra innumerevoli poeti persiani - di una citazione da qualche canzoniere arabo. Esalare l'anima sulla soglia di ca­ sa della persona amata, sacrificarla per lei (qui addirittura, con un atto di estrema, feticistica autoumiliazione, per la polvere della soglia della sua casa) , è u n topos della lirica persiana.

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v. 2 Nel secondo emistichio il nome proprio è riferito a una delle belle cantate nella lirica araba. v. 3 Le lacrime convenzionalmente " rosse di sangue" dell'amante sono ac­ costate al vino, e gli occhi a calici o coppe di vetro "siriano ". Sudi nel suo com­ mento ci informa puntigliosamente che qui "siriano" (shdmi) è solo per ra­ gioni metriche, in realtà la produzione aweniva a Tarsus (Tarso in Cilicia) e il commercio ad Aleppo. v. 4 L'«uccello beneaugurante» (tdyer-e kheyr) nella tradizione araba sa­ rebbe stato quello che, stando sulla via dinanzi a colui che si accinge a un viag­ gio, si alza in volo piegando verso destra. Il suo canto, insomma, è così affa­ scinante che farebbe ammutolire gli uccelli del giardino della bella Su'àd. Il toponimo indica un luogo dove cresce la pianta detta ardk ( da cui tra l'altro si ricavano i ramoscelli detti mesvdk, che venivano usati nel mondo arabo per strofinarsi e nettarsi i denti) . v. 5 Qui s i accenna al topos, d i origine araba, dell'arrivo della tribù del­ l' amata che pianta le tende in zona di pascolo (hemd) e fa sognare al poeta possibili incontri. v. 7 Ancora un gioco di immagini sull'abusata opposizione luna piena (mdh)/luna nuova (heldl) . v. 8 Il discorso è rivolto all'amata. Il Najd indica una zona semi desertica dell'Arabia centrale. Altra lezione in Sudi: «se io desiderassi [invece della tua dimora] il paradiso (khuld) e mancassi alla promessa». v. 9 Verso in cui non è difficile scorgere in filigrana la figura di un patrono e l'occasione del componimento: un viaggio che lo ha portato lontano da Shiraz e dal suo poeta, magistralmente ed elegantemente evocato nei versi precedenti, attraverso i motivi della lirica araba. v. 10 Verso di convenzionale autoencomio, arricchito da questo confron­ to con Nezàmi di Ganja, poeta del XII secolo autore di un celeberrimo Quin­ tetto (Khamse) di poemi che fornirà materia d'ispirazione a iosa per i minia­ turisti.

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O tu che nell'uccidere noi ... P 465 (Kh 471) Su 542 O tu che, nell'uccidere noi, non hai proprio remora alcuna tu getti al fuoco capitale e interessi, senza riguardo alcuno ! 240

I dolenti d' [amorosa] sventura in sé veleno hanno mortale attentare alla vita di costoro: oh, è grave peccato, non farlo ! La nostra malattia è dato guarire con un cenno dell'occhio giusto non sarebbe davvero, se tu ora non volessi curarci ! Il nostro occhio, sperando di vederti, s'è fatto qual mare [di lacrime] : perché dunque non vieni a passeggio fin qui, sulla riva del "mare " ? Ogni offesa che alla nobile tua indole venisse mai attribuita è soltanto parola di chi ha subdoli fini: tu simili cose non fai! Se davanti a te asceta, mio caro, comparisse il mio bello da Dio non imploreresti nient'altro che il vino e l'amato ! O Hafez, pròstrati solo dinanzi al suo sopracciglio simile a mt"hrdb mai, altrove, ti sarà dato di fare una preghiera più sincera di questa ! Note vv 1-2 Il discorso è rivolto all'amato considerato sotto la "maschera" del­ l'assassino impenitente dei suoi innamorati, tra i quali si colloca naturalmen­ te anche il nostro poeta. v. 3 Qui entra in gioco una seconda "maschera" dell'amato: quella del me­ dico che - altro topos - può, se solo lo volesse, curare le pene dei suoi inna­ morati con una semplice occhiata risanante. v. 4 Ossia: perché non ti fai vedere, non consenti che possiamo incon­ trarci, così che sia posta fine alle mie sofferenze. vv 6-7 Frecciate agli ambienti mistici e ai sufi, supposti incapaci di com­ prendere i misteri dell'amore. Si osservi l'accostamento convenzionale tra il sopracciglio dell'amato e l'arco del mihrdb (la nicchia nelle moschee che in­ dica agli oranti la direzione della Mecca). .

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24-I

128 Ho adocchiato il bel sopracciglio ... P 467 (Kh 482) Su 552 Ho adocchiato il bel sopracciglio di [un volto di] luna argentata, oh sì: il pensiero di uno dalla fresca peluria ho dentro in un angolo impresso Io spero che il decreto che autorizza il mio amoreggiare da quel tuo arcuato sopracciglio riceva un regale sigillo ! La testa ho smarrita ormai, l'occhio riarse nell'attesa struggente per il desiderio di occhi e testa di un bello che adorna i festini ! Il cuore è offuscato, questo saio voglio darlo alle fiamme venite venite a guardare, ché spettacolo è degno di visione! Il giorno che morirò, preparatemi una bara con legno di cipresso voglio andarmene [dal mondo] col marchio di un bello slanciato ! Le briglie del mio cuore ho messe nelle mani di qualcuno, ahimè, che preso è sì tanto da trono e corona da non potere curarsi d'altrui ! Là dove i belli con la spada dello sguardo feriscono perché meravigliarsi se le teste vedi ai piedi cadere? Io che nelle notti ho la luna luminosa del suo volto come curarmi potrei di splendore di stelle nel cielo? Che importa il Distacco o l'Unione? Il Consenso ricerca dell'amico ! Peccato sarebbe qualcosa cercare da lui, da lui stesso tutta diversa! Perle porterebbero in dono, smaniosi, i pesci se la "nave" di Hafez giungesse là, sino al mare !

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Note v. I La «fresca peluria» (khatt-e sabz) allude alla barba incipiente sul vol­ to dell'amato. Il secondo emistichio alla lettera dice «ho impresso in un [qual­ che] posto», ossia in testa, nella mente, nella memoria ecc. v. 2 I decreti (manshur) regali portavano come "firma" un elegante dise­ gno calligrafico detto toghrd, ovvero un caratteristico sigillo regale che per­ metteva di riconoscerne l'origine e l'autenticità. Qui si gioca su un conven­ zionale accostamento tra la forma arcuata del sopracciglio dell'amato e ap­ punto il sigillo o toghrd, spesso costituito da un intrico di eleganti segni cur­ vilinei che riproducevano il nome del sovrano. Il senso del verso è dunque: spero che il mio amato accetti e gradisca la mia offerta amorosa, legittiman­ dola e suggellandola con il toghrd del suo bel sopracciglio. v. 4 Il cuore è «offuscato» dalla polvere dell'ipocrisia, o dell'ignoranza dell'amore, accusa tipicamente fatta dal poeta ai sufi. Poeta che qui, si osser­ vi, si presenta nella tipica veste o "maschera " del sufi pentito. v. 5 Letteralmente «col marchio di uno dall' alta/slanciata figura [come cipresso]». Si tenga presente che la figura dell'amato è convenzionalmente paragonata a quella del cipresso (sarv). Insomma anche da morto il poeta­ amante vorrebbe avere con sé qualcosa dell'amato. v. 6 Un verso come questo, in cui l'amato è scopertamente identificabile con il patrono di turno del poeta, rivela l'imprinting panegiristico di una par­ te almeno del Canzoniere. v. 7 Si tratta ovviamente delle teste degli innamorati, " uccisi" - altro to­ pos - dallo sguardo assassino dell'amato. v. 9 Si osservi che «Unione» (vas!) , «Distacco»l«separazione» (jeràq) , «Consenso» (rezà) sono tutti termini del vocabolario sufi, perciò usati spesso in poesia a doppio senso mistico-erotico, potendosi riferire sia al contesto di amori terreni che a quello dell'amore mistico. v. IO La «nave» (sa/ine) allude al Canzoniere del poeta, che gioca qui con una fantasia d'immagini marine, in cui anche le «perle» (dorr) rimandano im­ mediatamente all'idea dei versi poetici, che, con un'immagine convenziona­ le, formano come altrettante perle una "collana" o poesia.

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12 9

L'usignolo dal ramo di un cipresso ... P 468 (Kh 477) Su 548 L'usignuolo dal ramo di un cipresso, in lingua antica una lezione cantava, stanotte, sulle spirituali dimore «Su vieni, diceva, ché la rosa ha mostrato il fuoco di Mosè a che tu possa, da quel fiore, ascoltare l'enigma dell'Unità !» Gli uccelli del giardino cantano in rima e scherzano allegri a che il vino si beva il signore, ascoltando gli antichi ghazal Jamshid non altro si portò dal mondo che la storia della coppa perciò in guardia, o mio cuore, non legarti alle cose del mondo ! Felice il tempo di chi ha la stuoia del povero e sonni tranquilli ché questi piaceri alla portata non sono del trono dei principi ! O tu, la storia ascolta di Fortuna che s'è capovolta per noi: ci uccise quel nostro amico con l'alito di Gesù, miracoloso! Ahi, il tuo occhio con un solo sguardo la casa altrui rovinò mai tu preda sia dell'ebbrezza (già ben ubriaco vagabondi ! ) L'anziano fattore, oh quali sante parole un giorno disse al figliolo: «0 luce degli occhi, non raccoglierai che quanto tu già seminasti ! » Forse il coppiere ha un po' esagerato nel versarne a Hàfez: scompigliato gli vedemmo il turbante da religioso maestro ! Note v. 1 L'originale per «lingua antica» è pahlavi, termine che designa la lin­ gua persiana medievale formatasi in epoca preislamica, scritta con altro alfa­ beto, e in cui si esprimono i sacerdoti zoroastriani e i commentatori dell'A­ vesta. Insomma l'usignuolo parla una lingua ormai incompresa dai più (cfr. il

mantiq al-tayr - Corano, XXVII, r6 - owero l'arcana "lingua degli uccelli " del­ l'omonimo celebre poema di 'Attàr) , una sorta di lingua esoterica che, attra­ verso gli inni d'amore per la rosa, convoglia spirituali messaggi (si noti che di­ more/stazioni, maqàmàt, è termine tecnico della mistica sufi). v. 2 Sudi suggerisce che il primo emistichio alluda allo sbocciare della ro­ sa che l'usignuolo, rivolto agli altri uccelli, invita a contemplare. Abbiamo qui una poetica rivisitazione dell'episodio biblico-coranico di Mosè (cui l'usi­ gnuolo è implicitamente paragonato) e il roveto ardente, reinterpretato qui come rosa o roseto (gol) , in cui chi sa vedere e ascoltare saprà cogliere i mi­ steri dell'«unità» (tawhtd, il concetto centrale della teologia islamica) divina. v. 3 Letteralmente «ghazal in pahlavi», cfr. nota al v. I. Il signore/genti­ luomo (khwàje) alluderebbe secondo Sudi alla figura di un visir cui sarebbe dedicato il componimento. v. 4 Si tratta del ricorrente motivo, qui impiegato in un verso di sapore gnomico-sapienziale, della magica coppa di re Jamshid, per cui cfr. nota al ghaza/ 96, 3· v. 5 Ancora un verso di carattere sapienziale (cfr. anche v. 8) che propone il topos della tranquillità dell'umile (o del derviscio) a fronte delle ansie dei potenti. v. 6 Il discorso è rivolto al pubblico. L'alito di Gesù, che fin dal Corano (III, 49) dona la vita, risana gli infermi e resuscita i morti, celebrato anche dalla tra­

dizione islamica, è qui awicinato a quello dell'amato, ma con effetti perversi ... v. 7 Il discorso è rivolto all'amato, che qui è presentato nella "maschera" dell'ebbro che va combinando guai soprattutto a danno dei suoi innamorati. v. 9 Si ricordi che Hàfez, secondo notizie di fonte tradizionale, avrebbe tra le altre cose insegnato in una scuola coranica; ma si ricordi pure che l' Au­ tore sa giocare abilmente con diverse "maschere" (il saggio, il dotto, l'ebbro, il libertino ecc. ) .

13 0 Mille sforzi io feci... P 469 (Kh 448) Su 51 9 Mille sforzi io feci, affinché tu amico a me divenissi colui che appaga le brame del cuore inquieto divenissi, e, facendoti lampada all'occhio delle insonni mie notti, il confidente di questa, speranzosa, mia mente divenissi ! 245

Se i sovrani di leggiadria ai servi rivolgono moine altezzose tu solo, tra loro, vorrei che signore e padrone mio divenissi ! Se di quel labbro tuo di corniola (che assassina il mio cuore con un cenno ! ) io mi dolgo, vorrei almeno che tu il consolatore di questa mia pena divenissi ! In quel prato in cui prendono gli idoli la mano agli amanti se mai me lo concedi, oh, vorrei che il mio bello tu divenissi ! Per una notte, vorrei tu venissi nella stanza degli affanni dei tuoi amanti per un solo istante, vorrei il confidente del mio cuore afflitto divenissi ! Per me sarebbe miserabile preda !'"antilope" del sole se tu, come gazzella, una volta la preda mia divenissi ! Tre baci, dalle tue labbra concessi, son quanto mi spetta: se non me li dai, non vorrei che il mio debitore divenissi ! Questo desiderio vorrei realizzato: che a metà della notte al posto di lacrime correnti tu qui, al mio fianco, venissi ! Benché io sia l' hajez di questa città, non varrei un sol chicco se tu, nella tua gran munificenza, l'amico mio non divenissi ! Note v. 3 Si osservi l'espressione «sovrani di leggiadria» (khosrovan-e malahat) , che con altre similari come «re dei belli» (shah-e khuban) sancisce la superio­ rità indiscussa dell'amato e il suo statuto regale. Qui il rapporto servo-sovra­ no allude evidentemente al rapporto amoroso. v. 4 Una variante riporta «custode del [mio] segreto» (raz-dar) al posto di «consolatore della [mia] pena» (gham-gosar). v. 5 Gli «idoli» (botan) sono naturalmente le umane bellezze, fatte ogget­ to - nel quadro della poetica della bad-nami (cfr. nota al ghazal 2, 3) - di amo­ rosa " adorazione" . v. 7 Si noti qui il topos dell'amante " cacciatore" dell'amato, che tuttavia è spesso realizzato nel Divan a parti invertite. v. 8 Letteralmente «sono il mio salario/onorario» (vazi/e-ye man).

v. 9 Ossia le lacrime amorose che sono di regola l'unico compagno delle notti solitarie dell'amante. v. 10 Il poeta gioca sul significato tecnico del suo nom de plume, che è ti­ tolo attribuito a chi sa a memoria l'intero Corano.

131 O tu che sul volto di luna ... P 47 3 (Kh 425) Su 49 5 O tu che sul volto di luna un velo di muschiata peluria gettasti, dono grazioso d hai fatto, quando l'ombra sul "sole" gettasti ! Oh, che faran di noi freschezza e colore della tua guancia ora che il "bianco" del volto tuo bello all'acqua gettasti? Ognuno a suo modo con la candela del tuo volto giocò all'amore fra tutti costoro però la falena soltanto in totale scompiglio gettasti ! Il tesoro del tuo Amore celasti nel nostro cuore in rovina l'ombra di tanta Fortuna, qui su quest'angolo diruto gettasti! In guardia dallo scintillio di quella tua spada, giacché assetati ne rendesti i leoni e gli eroi nel sangue gettasti Il sonno impedisti all'occhio dei veglianti, poi col fantasma del volto tu l'accusa sui sinistri nottambuli dell'armata del sogno gettasti ! Il velo ti togliesti dal volto, un istante, nel luogo della tua apparizione ed ecco, le fate e le urì vergognose, là dietro il velo d'oblio rigettasti Vino bevi, dalla coppa che il mondo riflette: sul trono di J amshid al tuo bello, così tanto agognato, il velo lontano dal volto gettasti ! Ahi, con l'inganno di ebbri "narcisi " e di "rubini" adoratori di vino, il povero Hafez, già in quieto Ritiro, nel [vizio del] vino gettasti ! 247

Per predare il mio cuore, sul collo, la catena dei riccioli tuoi simile al laccio di un principe - signore di schiavi - gettasti Nosrat od-din Shah Yahyà, sei tu che i nemici del regno con la lama della tua spada di fuoco nell'acqua gettasti ! Principe come Dario splendente tu sei, a tal punto che la corona del sole in tanta magnificenza, nella polvere della tua soglia [sprezzante] gettasti ! Note v. 1 Si tratta del «velo» - odoroso di muschio - della barba (khatt) inci­ piente sul volto dell'amato che, splendente come «sole», ne viene per così di­ re ombreggiato. v. 2 Il poeta paragona il biancore della faccia dell'amato al bianchetto (ni­ rang, termine proprio dell'arte pittorica, ma che può significare anche "ma­ gia " ) usato dai pittori per preparare la tavolozza. L'arrivo della prima peluria di barba sul volto/" tavolozza" dell'amato scaccia via il suo "biancore " unifor­ me e dà inizio alla piena maturità della sua bellezza. Il poeta si chiede cosa ac­ cadrà ora di lui e degli altri amanti, che già erano stati sedotti e stregati dal volto immaturo, «bianco» appunto, dell'amato. v. 3 Attingendo al noto e abusato motivo " candela-falena " , il poeta-aman­ te paragona se stesso a quest'ultima che senza timore si getta tra le amorose fiamme della sua amata candela. v. 4 Qui riecheggia la nota immagine - diffusa già nella poesia araba - del tesoro nascosto o sepolto tra le rovine, che in seguito si presterà a varie uti­ lizzazioni: come simbolo del "tesoro" spirituale nascosto nell'anima del mi­ stico o del pegno amoroso custodito dal cuore dell'innamorato e così via. Nel secondo emistichio riecheggia invece il motivo della fenice - simbolo della re­ galità - che secondo leggende variamente riprese gettava la sua ombra su co­ lui che era destinato a divenire un re. v. 5 L'originale in realtà ha «acqua» (db) al posto sia di «scintillio» che di «sangue». Insomma si vuoi dire che se la «spada» (shamshir, ma una varian­ te ha 'drez, ossia «guancia») dell'amato - allusione qui alla sua irresistibile ca­ pacità seduttiva, oltre che al suo profilo regale - atterra impietosa eroi e leo­ ni, figuriamoci che ne sarà del povero poeta-amante. v. 6 Verso dalle immagini suggestive, ma di senso alquanto oscuro. Se ho ben inteso: l'amato - o meglio, il pensiero ossessivo dell'amato - impedisce agli innamorati di dormire, e poi il «fantasma» o immagine fissa (khiydl, cfr. ghazal r9, 3-4) di lui - che essi hanno comunque in mente - dà la colpa del mancato sonno ai nottambuli (shab-ravdn ; il termine vale letteralmente «viandanti notturni», con connotazione negativa, potendo significare anche

ladri/malandrini) che popolano i deliri visionari delle notti degli innamora­ ti insonni. v. 7 Ossia: esse vergognose di sfigurare di fronte alla meraviglia del tuo volto svelato, corsero a velare il proprio (si tenga presente che "volto di fata" o " di urì" sono espressioni comuni nella lirica persiana, ad esempio cfr. gha­ zal 27, 2). Si osservi anche come il velo non sia prerogativa solo femminile, es­ sendo qui l'amato (il patrono, cfr. v. 8) pure velato. v. 8 Avendogli tolto il velo, quanto a dire conquistato l'oggetto del tuo de­ siderio, puoi ora darti con esso alla gioia e al vino. Il discorso - secondo Su­ di - è rivolto al patrono (giusta l'accenno al trono di lui, iperbolicamente pa­ ragonato a quello del mitico re Jamshid; per la coppa cfr. nota al ghazal 96, 3), che viene poi nominato al penultimo verso. Ma - comune essendo in tanti gha­ zal il cambio di interlocutore - potrebbe benissimo essere rivolto dal poeta a se stesso, quasi un pensiero tra sé e sé. v. 9 I «narcisi)) (narges) alludono in poesia convenzionalmente agli occhi dell'amato e i «rubinh) (la'!) alle labbra. Il poeta è qui nella consueta "ma­ schera " del sufi in «Ritiro)) (khalvat). v. 1 0 L'immagine, consueta nell'iconografia e nell'epica persiana, del prin­ cipe che si reca alla caccia con il «laccio)) (kamand) è qui elegantemente rici­ clata nell'ambito della caccia amorosa. v. n Si tratta di un principe mozaffaride (m. 1393) di Shiraz, cui il com­ ponimento è dedicato. Nel secondo emistichio si noti la coppia antitetica ac­ qua/fuoco, che nella poesia persiana, da soli o insieme con gli altri due ele­ menti empedoclei, entra spesso in convenzionali giochi di parole. v. 12 Questo ghazal-panegirico termina, come si vede, in un consueto cre­ scendo di immagini e lodi iperboliche, secondo una prassi consolidata mu­ tuata dal genere, panegiristico per eccellenza, della qaside.

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Ospiti dell'ebbrezza d'Amore P 475 (Kh 443) Su 514 Ospiti dell'ebbrezza d'Amore sono uomini e fate manifestalo, o tu, un desiderio e ne avrai felicità! Sfòrzati, o nobilissimo, di aver la tua parte in Amore nessuno si compra uno schiavo malconcio e senz'arte ! 249

Vino mattutino e "zucchero" di dolci sogni dell'alba: fino a quando? Piuttosto, nel mezzo della notte chiedi il perdono e all'alba piangi ! Qual bambola bella tu sei, o mio cavaliere dai languidi gesti: sei qui sotto i miei occhi e pur assente rimani al mio sguardo ! Mille anime sante riarsero tutte per Gelosia che avevan di te: ad ogni alba o tramonto, tu sei la fiamma di un altro convito ! Ma chi il mio messaggio vorrà riportare all'augusto Asaf? oh, tienili a memoria questi due versi in persiana poesia! Su vieni, lo stato del mondo così come io l'ho veduto se l'osservi [ti dice] : beviti il vino, non più arrovellarti! Mai non sia, in tanta bellezza, sciupato il cappello tuo principesco: tu sei invero l'ornamento del trono, e ben degno di regno e corona! Pel desiderio del volto e dei riccioli tuoi, si va e si viene: Zefiro a spargere profumi, la rosa civettuola a mostrarsi Se tu non sei abile di Sguardo, non stare a cercare l'Unione: a che serve la coppa di Jamshid in questo tempo di ciechi? La sventura allontanano le preghiere di noi, che stiamo in un angolo ma perché non ci fai tu un cenno soltanto, con l'angolo dell'occhio? Su vieni, da noi acquista la tua regalità col capitale di codesta bellezza e non scordarti del nostro baratto, a che non abbia tu poi a pentirtene! La via d'Amore è una strada, o meraviglia, assai pericolosa in Dio rz/ugiamoci!, se non è dato arrivare a una meta sicura ! Con l'augurio della retta Ambizione di Hafez, c'è di nuovo speranza che io intrattenermi possa con la bella Leyld in una notte di luna piena !

Note v. I Il discorso è rivolto all'amato. Sudi commenta: uomini ejinn - di cui le fate (pari) sono un po' il corrispondente femminile - sono creati per l'a­ more di Dio. Seguo qui la variante che vuole «ebbrezza» (masti) al posto di «essere»l«essenza» (hasti) . v. 2 Il discorso è rivolto al pubblico, owero agli aspiranti all'amore, il qua­ le "non compra ", owero ignora, gli acerbi e gli sproweduti. v. 3 Il verso sembra alludere a situazioni amorose (l'innamorato che an­ cor ebbro si crogiola all'alba in sogni dolci) e a pratiche mistiche come la preghiera notturna, significativamente accostate nello stesso verso. v. 4 Si osservi il quasi ossimoro di una bambola-cavaliere che accentua l'indeterminatezza di genere e, trasposto sul piano teologico, sembra allude­ re alla " totalità " divina inglobante in sé entrambi i generi sessuali (cfr. anche nota al ghazal 54, 2-3). Un'interessante lezione alternativa è proposta da Su­ di, che vuole invece «giocoliere»l«prestigiatore» (sho 'bade-bdz) al posto di «cavaliere» (shahsavdr) e, nel secondo emistichio, ha «né sei sotto gli occhi [miei] né assente al mio sguardo». L'idea dell'amato " giocoliere" o "presti­ giatore " che gioca a nascondino coi suoi amanti ha un'eco si direbbe quasi indianeggiante (si pensi ai giochi di Krishna con le gopi, o della Maya con le creature). v. 5 Qui è il topos della «gelosia» (gheyrat) dell'amante che rimprovera al­ l' amato di mostrarsi a troppi, qualcosa che intuibilmente si può lasciar legge­ re anche in chiave mistico-iniziatica. v. 6 Letteralmente «due emistichi», owero un messaggio amoroso in ver­ si. Asaf è il nome di un leggendario visir di Salomone e allude qui all'amato owero al patrono di turno. v. 7 Il verso, tipicamente intriso di mondano scetticismo e radicale disil­ lusione, si può considerare il contenuto del «messaggio» di cui al verso pre­ cedente. v. 8 Letteralmente «non sia inclinato/storto» per i colpi della sorte, secon­ do Sudi. Si potrebbe tuttavia ammettere anche una lettura diversa, essendo nel­ l' amato il cappello inclinato o leggermente piegato un segno di civetteria (cfr. nota al ghaza/ 88, 4); ma qui l'amato finisce per identificarsi (cfr. in/ra) con un regale patrono, per cui, potrebbe voler suggerire il poeta, egli non ha proprio bisogno di ricorrere a simili espedienti per attirare l'altrui ammirazione. v. 9 Si osservi la corrispondenza tra i capelli (sempre profumati di mu­ schio) e Zefiro che sparge/frantuma profumi (ghdliye-sd) da un lato; e dall'al­ tro, tra il volto dell'amato e la rosa che ne è un convenzionale equivalente ( ''volto di rosa " ) . v. I O L a coppa d i Jamshid (cfr. nota al ghazal 96, 3) allude vuoi al vino amoroso, vuoi al cuore che rispecchia verità ineffabili e così via. Si noti la p re-

gnanza mistico-iniziatica di termini come «sguardo» (nazar, per cui cfr. nota ai ghaza/ 9 , 2 e 107, 3), «unione» (vesal) e «ciechi» (bibasar) . v. n Si noti lo spiritoso gioco di parole con «angolo» (gushe) . La preghie­ ra (da'a) di augurio di prosperità che recita il poeta - che qui si presenta nella maschera consueta del sufi in ritiro (gushe-neshin, letteralmente «seduto in un angolo») - esige a compenso un cenno/occhiata di favore, ovvero una qualche forma di compenso e gratitudine. Qui sottostante è il topos dell'occhiata o " sguardo che porta fortuna" associato all'amato/patrono, di solito connesso - nella poesia persiana - con l'esercizio di una regalità amorosa o spirituale. v. 1 2 La «regalità»l«potere» (so/tana!) acquistata dall'amato (il patrono) presso gli amanti - tra cui si pone il poeta stesso - spendendo il «capitale» (sarmaye) della sua «bellezza» (hosn), traduce in un curioso linguaggio eroti­ co-commerciale il «baratto» (mo'amele) cortigiano tra il patrono e il suo can­ tore. La scherzosa minaccia allude evidentemente a più concrete gratificazio­ ni attese dal poeta-amante. v. 13 Il discorso è rivolto all'aspirante alla via amorosa. L'espressione in corsivo, qui e nel verso seguente, è in arabo nell'originale; essa corrisponde a una pia giaculatoria pronunciata dai musulmani in momenti di pericolo, di ti­ more ecc. v. 14 Qui «ambizione» (hemmat, in arabo himma, anche "zelo" o "sforzo " ) è concetto d i mistiche risonanze (cfr. nota al ghazal 31, 6) . Il poeta, tipicamen­ te sdoppiandosi nell'ultimo verso, augura a se stesso di poter incontrare l'i­ nafferrabile amato, qui alluso dalla bella Leyliì. che rimase per sempre preclu­ sa - per l'opposizione della sua tribù - alle smanie del suo Majnun, il "folle d'amore" delle lettere arabe.

1 33 Questo consiglio ascolta ... P 476 (Kh 472) Su 543 Questo consiglio ascolta e te stesso, vedrai, da ogni pena avrai liberato: ti berrai il sangue, se in cerca andrai di quello che a te non fu destinato ! Alla fine di tutto un po' d'argilla diverrai per [l'uso del] vasaio: perciò ora penserai al tuo boccale e a riempirlo di vino per bene ! Se tra quelli sei tu che, ardentemente, anelano al paradiso ebbene: goditela con quelle che son bella progenie di fate!

Non si può con le chiacchiere sistemarsi nella casa dei potenti a men che tu stesso non possa sfoggiare ricchezza e grandezza Oh, davvero ricompensa ne avrai, o re delle bocche-dolci, se uno sguardo soltanto getterai su Farhad dal cuore ferito Oh, la tua mente mai accoglierà i segni della Grazia, ahimè, a meno che quel "foglio " non liberi tu da sparse impressioni Se il tuo agire affiderai, o Hafez, alla Sua munificenza quanta gioia otterrai in virtù di Fortuna concessa da Dio ! Note v. 1 Letteralmente «se cercherai provvista (ruzi) non destinata [a te]», do­ ve ruzi sembra qui evocare potentemente il concetto coranico di rizq, che de­ signa ciò che Allah ha ab aeterno destinato a ciascuna delle sue creature. vv. 2-3 Il motivo del vasaio che fa le sue brocche con l' «argilla» dei resti di vite passate è tipicamente khayyamiano. Lo stesso dicasi per l'invito al carpe diem con le belle terrene piuttosto che attendere le promesse gioie del paradiso. v. 4 Verso di sapore gnomico-sapienziale che riprende un tema (come presentarsi a corte) ampiamente diffuso nella trattatistica persiana medieva­ le, ad esempio nei manuali di galateo, specchi per principi ecc. v. 5 Letteralmente «dal cuore caduto» (del-o/tclde) , espressione che equi­ vale all'incirca a "innamorato" . Farhad è lo sfortunato innamorato della bel­ la Shirin, la principessa armena promessa all'iranico re Khosrow nel celebre poema romanzesco Khosrow o Shirin di Neziìmi (XII secolo). Qui evidente­ mente il poeta si paragona a Farhiìd e l'amato (il patrono) è implicitamente accostato a Shirin. v. 6 Il «foglio» (varaq, anche "foglia " ) è qui quello della umana mente che, commenta Sudi, se non si libera dalla tirannia delle immagini e impressioni (naqsh) più o meno fugaci lasciatevi dalla vita quotidiana, non può efficace­ mente accogliere i doni della divina «grazia» (jeyz, in arabo /ayd) . Quest'ulti­ mo è termine teologico, ma in qualche modo sembra discretamente alludere alla (dal poeta) sperata liberalità dell'amato. v. 7 Il verso a prima vista sembra intonato a un islamicissimo senso di ab­ bandono alla volontà e liberalità di Allah, anche se il termine originale per «gioia» ( 'eysh) è alquanto ambiguo, trovandosi spesso associato nel Canzo­ niere alle gioie proibite del vino e di amori illeciti. Per «fortuna» cfr. nota al

ghaza/ 2, 6.

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1 34 Desideroso di te ... P 477 (Kh 465) Su 5 3 6 Desideroso di te son io, o caro, e so bene che tu lo sai ché vedi anche il non-visto e leggi pure il non-scritto Che mai scoprirà, il censore, del Segreto dell'amante e dell'amato? Non può scorgere, l'occhio dei ciechi, proprio i più riposti segreti ! Sciogliere i nodi di chi spasima, da quel sopracciglio dipende che lega i cuori ! In nome di Dio [ti prego] , rimani un istante, distendi le pieghe sulla tua fronte! Sciogli i tuoi capelli e, il sufi, portale una volta a danza giocosa: mille idoli così caccerai da ogni rammendo di quella sua tonaca! Gli angeli, nel prostrarsi ad Adamo, intesero baciarti la terra dinanzi nella tua Bellezza una Grazia scorsero che va oltre ogni limite umano Ci accende gli occhi la brezza aulente dei riccioli dell'amato mai conoscano, mio Dio, la pena del vento che tutto sconvolge! Peccato davvero: il Piacere della notte via se ne andò col sonno dell'alba non capirai il valore dell'attimo, o cuore, se non nell'attimo in cui languirai Mostrarsi tediati per i compagni di viaggio: non è il costume delle carovane sopporta il difficile di questa stazione col dolce ricordo d'un tempo più facile ! Il solo pensiero degli anelli dei riccioli suoi ecco ti inganna, o Hàfez, «perciò attento a non batter l'anello alla porta di Fortuna impossibile !» Note v. 1 Dalle ambigue espressioni usate nel secondo emistichio emerge, in trasparenza, la caratura teologica dell'amato, le cui virtù e talenti hanno sem­ pre in Hàfez una possibile proiezione soprannaturale. v. 2 L'originale per «cieco», nd-binti, vale alla lettera «non veggente», ov­ vero non iniziato ai segreti amorosi.

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v. 3 Il verso è tutto giocato sulla opposizione legare/sciogliere. Il soprac­ ciglio arcuato dell'amato «lega» i suoi spasimanti (alla lettera, lega !'«azione dei desiderosi», kdr-e moshtdqdn) ; nel secondo emistichio alla lettera si dice: «apri/sciogli i nodi della fronte», ovvero, non mostrarti crucciato coi tuoi in­ namorati. v. 4 Ennesima frecciata al sufi ipocrita, un vero Leitmotiv del Canzoniere. v. 5 Qui si allude all'episodio coranico (n, 30-34) della creazione di Ada­ mo allorché gli angeli gli si prostrano dinanzi. Vi è postulata l'idea mistica del­ la superiorità dell'uomo (che, secondo il Corano, fu creato «nella più bella delle forme») sull'angelo, e la conseguente gelosia/invidia di quest'ultimo. v. 6 Qui si oppone la brezza (profumata) (nasim) che proviene dalla chio­ ma dell'amato alla furia del vento (bad) devastatore alludente alla vecchiaia e alla corruzione del corpo. v. 7 L'«attimo» (vaqt) è pure termine tecnico del gergo sufi designante una sorta di istante estatico. Qui Sudi riporta una lezione diversa: nel primo emi­ stichio legge «passò/se ne andò via come il vento dell'alba», nel secondo «comprenderai il valore dell'Unione (vas!) , o cuore, sol quando sarai nella Se­ parazione (hejrdn)». v. 8 La metafora del viaggio e delle sue difficoltà è qui atta a rappresen­ tare le tribolazioni dell'amante, che si consola pensando ai tempi migliori in cui godeva della vicinanza dell'amato. v. 9 Il secondo emistichio di questo verso, che gioca abilmente sull'im­ magine dell' «anello» (halqe) , è una citazione diretta dal poeta Anvari, celebre panegirista del secolo XII.

1 35 Con quella bella scrittura ... P 478 (Kh 450) Su 521 Con quella bella " scrittura" che sulla rosa hai tracciato del volto davvero hai tirato una linea là sopra il "foglio" della rosa del prato Le mie lacrime nascoste nel segreto rifugio [dell'occhio] tu fuori trascini, da dietro le sette cortine, sino al bazar ! Ognora quel labbro ricordando rosso qual vino e gli ebbri tuoi occhi dal mio Ritiro tu fuor mi trascini, sino alla casa di beoni e ubriachi ! 255

Un indolente come Zefiro all'alba, tu col solo profumo dei riccioli ad ogni istante lo awinci in catene e ad agire di poi lo costringi ! Dinanzi ad occhi e sopracciglia siffatti, che potrei consigliare al mio cuore? Ah, di quest'arco mi vo' lamentando che tendi su me, già malato [d'Amore] ! Su ritorna, e il malocchio io scaccio dal volto tuo bello o mia rosa novella, che un abito porti ch'è fatto di spine! Mi hai detto: la tua testa si leghi alle briglie nostre per bene! [Risposi] : è facile cosa se tu il peso ti prendi di tale faccenda O Hafez, ma che vai ancora cercando dai beni del mondo? Il vino già bevi e i riccioli attiri di chi il tuo cuore possiede! Note v. 1 Per comprendere il giro d'immagini (cfr. nota al ghazal 44, 3) tratte dall'arte dello scrivano, si pensi che la «scrittura» (raqam) allude qui alla ne­ ra peluria di barba incipiente sul bel "volto di rosa " dell'amato che, altro mo­ tivo convenzionale, ne è reso così bello da far sparire la rosa del prato. Nel se­ condo emistichio l'espressione «tu tiri una linea sul foglio» equivale infatti a cancellare o togliere di mezzo il termine di paragone, ossia la rosa (in propo­ sito cfr. nota al ghazal 22, s). v. 2 Ossia: mi costringi a rivelare a tutti, a mettere in piazza, il mio amo­ re. L'allusione alle «sette cortine» (ha/t parde) rimanda alla oftalmologia ara­ ba tradizionale, che immaginava l'occhio composto da sette strati e tre diver­ si umori. v. 3 L'originale ha mast per «ebbri» e khomar per «ubriachi»l«sbronzi», owero sotto gli effetti di una vera sbornia che, qui, allude chiaramente agli effetti dell'amore. v. 4 Ossia: lo induci ad affrettarsi al tuo servizio. Ricordiamo che Zefiro è nel Canzoniere il latore di "messaggi aromatici" per gli innamorati e in par­ ticolare per il poeta-amante. v. 5 Qui è operante il convenzionale accostamento arco/sopracciglio (kamanlabru) dell'amato. v. 6 Il poeta-amante con i suoi versi ha il potere di allontanare il «maloc­ chio» (cashmbad) dal "volto di rosa" del suo bello che, però, non può mai ri­ nunciare a infliggere sofferenze a chi l'ama (alluse qui dall'«abito di spine»). v. 7 Il dialogo è tra l'amato e il poeta. Questi sarà ben felice di assogget­ targlisi, come un cavallo al suo cavaliere, basta che lui lo voglia soltanto.

13 6 Quel tale che ha muschio sul viso ... P 47 9 (Kh 427) Su 49 8 Quel tale che ha muschio sul viso, se mai mi scrivesse una lettera oh non più ripiegherebbe, il cielo, la "pagina" della mia esistenza! Benché la Separazione, è vero, ci rechi [più tardi] il frutto dell'Unione come vorrei che il Fattore del mondo mai un tal seme avesse piantato ! Alla Taverna d'Amore, non è dato a nessuno di viver nell'agio: non vi sono cuscini ricamati con oro, adattiamoci a duro mattone! O tu, per il giardino d'lram non svendere, o per le palme di Shaddàd, un calice solo di vino o labbra dolcissime o un bordo fiorito di prato ! O asceta, non parlarmi di beni a credito ché io, qui e in contanti, ho una turca bellezza simile a urì, una dimora simile al paradiso Fino a quando la tortura, o cuore sapiente, di questo infimo mondo? Davvero un delitto è che, un bello, l'amante si faccia di una sì brutta La sozzura delle tonache [dei sufi] è la vera rovina del mondo: dov'è più un viandante, un devoto-del-cuore e di indole pura? La mia ignoranza, la tua sapienza: per il cielo differenza non c'è! Là dove la vista non giunga, bello o brutto che voglion mai dire? Perché Hàfez, quei tuoi riccioli belli, si lasciò cadere di mano? Ma ciò fu da Dio decretato: come avrebbe potuto non farlo? Note v. 1 Letteralmente nel primo emistichio: «Quello dalla peluria muschia­ ta» (dn ghdliye khatt) , con allusione alla barba incipiente sul volto dell'ama­ to, che è profumata come muschio (moshk) ; ma si noti che khatt è anfibolo­ gico, significando anche "linea "/" riga (di scrittura) " , per cui cfr. ghazal 88,

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6, sicché la barba poeticamente è vista come una sorta di "scrittura " sul " fo­ glio " del viso, motivo che si lega a un abusato giro d'immagini (pagina-scrit­ tura-lettera-foglio-riga per cui cfr. nota al ghazal 22, 5). Qui abbiamo il moti­ vo della lettera (cfr. anche il ghazal seguente) che il poeta-amante invano s'a­ spetta dal suo amato e che da sola lo risanerebbe dalle tristezze della vita. Si osservi la tradizionale connotazione negativa e pessimistica del cielo (gardun) che distrugge ( '' ripiega la pagina " ) le umane vite. v. 2 Ossia: il seme di separazione, del distacco dall'amato. Il «fattore del mondo» (dehqan) allude al creatore, ma con una connotazione fortemente pessimistica: sembra quasi si parli non di Allah, bensì di un crudele e cieco demiurgo. v. 4 Si tratta di luoghi e miti dell'immaginario islamico: il tiranno Shaddad avrebbe fatto erigere la fastosa città-giardino di «Iram dalle alte colonne» (Co­ rano, LXXXIX, 7) per gareggiare con la dimora divina. Va da sé - altro topos ­ che il vero amante non se ne lascerebbe lusingare al punto da rinunciare al­ l' amore e al vino. v. 5 I beni a credito sono quelli del paradiso islamico, promessi ai pii e de­ voti. Qui è il motivo khayyamiano della cambiale, così simile alla " scommes­ sa esistenziale" di pascaliana memoria. Abbiamo tradotto nel primo emisti­ chio una variante alla lezione principale, che invece avrebbe: «Ha in contan­ ti il perdono [di Dio] colui che quaggiù [in vita] possiede . . . ». v. 6 In questo verso, in cui riemerge la tradizionale visione pessimistica dell'esistenza legata al tema sufi del contemptus mundi: il «bello» allude al cuore dell'uomo che, prima o poi, finisce per amare il mondo ossia la «brut­ ta», altrove tradizionalmente designato con appellativi come "vecchia maleo­ dorante" o "sposa ammazza-mariti" . v. 7 Ancora una volta è presa di mira la categoria dei sufi delle confrater­ nite attraverso il motivo della lordura o sozzura del saio/tonaca (aludegi-ye kherqe) , che convenzionalmente allude all'ipocrisia, alla bigotteria spacciata per fede ecc. L'espressione «devoto-del-cuore» (ahl-e del) designa propria­ mente i mistici amanti. vv. 8-9 Si osservi come al pessimismo tradizionale del v. 6 segua una isla­ micissima attestazione di fiducia nel decreto divino (taqdir) che, nella conce­ zione dei teologi, decide ab aeterno come fare o disfare i destini individuali.

1 37 Chi potrà riportarmi P 48o (Kh 462) Su 5 33

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Chi potrà riportarmi, dalla casa dell'amico, la carezza d'una lettera? Dov'è Zefiro, mio messaggero, se mai farmi potesse questo favore? Davvero la Ragione che progetta sulla via d'Amore, per analogia è simile a una goccia di rugiada che, cadendo, "scriva" sul mare Su vieni, ché benché il mio saio già diedi in pegno lì alla taverna non vedrai tu speso a mio nome un solo denaro di pie fondazioni L'eterna storia del come e perché, o cuore mio, ormai mi dà il mal di testa: su prenditi un calice e riposati un poco [dal duro travaglio] d'esistere! Il medico di strada no, non può davvero conoscere il male d'Amore: vattene o morto cuore, cercati uno dall'alito di Gesù [che tutto risuscita] ! Si stancò il mio cuore di tanta ipocrisia, di suonare il tamburo di nascosto miglior cosa è che noi lo stendardo s'innalzi davanti alla porta di quella taverna Su vieni, ché i sagaci venderebbero anche i Due Mondi per un calice di limpido vino, per l'amicizia di idoli belli Piacere e Grazia no, non si trovano sempre nei modi d'Amore: se sei dei nostri, assaggia anche tu le punture di pena amorosa! Non vorrei ancor lamentarmi però la nube della pietà dell'amico non versò una goccia sul campo riarso del cuore di noi assetati Perché neppure con meno d'una canna da zucchero si vuoi compensare chi con la canna del calamo sparse il suo "zucchero" innumerevoli volte? Riconoscimento al tuo merito adeguato, o principe, non ti viene da Hàfez se non attraverso quelle sue preghiere serali, quelle sue suppliche all'alba 259

Note v. 2 Qui è il topos della debolezza dell'intelletto di fronte ai misteri del­ l' amore, che nella poesia persiana - come è facile intuire - si lascia spesso leg­ gere anche in chiave mistica. v. 3 Nel primo emistichio è il motivo della veste o saio da sufi dato in pe­ gno all'oste per avere il vino (cfr. ghaza/ 74, r ) ; nel secondo è una frecciata al sistema delle «pie fondazioni» (waqj) gestite dai religiosi e da sempre fatte og­ getto in poesia di critiche e polemiche d'intuibile natura. Insomma il poeta­ amante, qui nella " maschera" del sufi, sembra maliziosamente giustificare il suo vizio: sarà anche un peccatore dedito al vino proibito, ma almeno non sfrutta a man bassa i beni dei waqf come farebbero altri che poi si spacciano per pii e devoti. v. 4 Qui è il topos del mistero insolubile della vita, ovvero dell'assoluta in­ spiegabilità a livello razionale dei suoi enigmi, già circolante nelle celebri quartine di Khayyam. v. 5 Si tratta - spiega Sudi - di una figura di medico itinerante che di­ stendeva sulla pubblica via un tappeto mettendo in bella mostra le sue medi­ cine e i suoi strumenti. L'«alito di Gesù» che risana e resuscita, e che qui è chiamato a risuscitare il «morto cuore» (morde de[) del poeta-amante, è in ori­ gine un motivo coranico (cfr. ghazal 129, 6). v. 6 Letteralmente «del tamburo sotto il tappeto»: un invito al liberti­ naggio aperto, " scandaloso" . Anche qui siamo di fronte a un topos ben noto, già ampiamente presente nella lirica araba di epoca abbaside a partire dal ce­ lebre poeta e impenitente libertino Abiì Nuwas. v. 7 L'espressione per «sagaci» (vaqt-shendsdn) vale alla lettera «coloro che conoscono l'istante/il momento [giusto]», espressione che può essere let­ ta nell'ottica del carpe diem khayyamiano oppure può alludere all"' istante estatico" (detto pure in gergo vaqt) , illuminante, cercato dai mistici. v. 9 In questo amoroso rimprovero v'è in filigrana un linguaggio tutto co­ ranico-teologico: la pietà/misericordia (rahmat) dell'amico, la nube che - ce­ leste benedizione - rivivifica i campi aridi, qui sostituiti dai cuori. Si noti però che alla lettera si parla non di cuore bensì di fegato ljegar) , sede nella psico­ logia tradizionale di matrice greca dell'anima vegetativa. v. ro Gioco di parole tra canna da zucchero (ney-e qand) , che qui allude a una sperata ricompensa, e canna del calamo (ney-e qalam) del poeta, che sparge lo "zucchero " della sua poesia sull'amato/patrono. Si può qui intra­ vedere una velata richiesta di compenso secondo la consolidata prassi dei poeti panegiristi. v. n Si osservi ancora una volta la proiezione di un'aura vagamente teo­ logica sul personaggio lodato, reso addirittura degno di preghiere (da 'd) se­ rali e mattutine.

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13 8 Lo giuro sulla sua vita ... P 481 (Kh 433 ) Su 504 Lo giuro per la sua vita: se della mia potessi disporre il più piccolo omaggio sarebbe da fare ai suoi servi ! Mi dissi: quale il prezzo della polvere sotto i suoi piedi se questa nostra preziosa esistenza durasse in eterno? Si dichiarerebbe il cipresso al servizio della figura slanciata di lui se anch'esso, così come il nobile giglio, di dieci lingue disponesse Lui manco in sogno lo vedo, figuriamoci [se vedo] l'Unione! Visto che questa non c'è, né si vede, almeno quello ci fosse ! Se il mio cuore non fosse già andato a impigliarsi tra i riccioli suoi quando mai, nell'oscura pattumiera [del mondo] , avrei un po' di pace? Nel volto, lui è simile al sole del cielo, è senza pari nel mondo (ma nel cuore, ahi ! , un atomo di gentilezza l'avesse una volta ! ) Oh, che dalla mia porta lui entrasse vorrei, come raggio di luce (ai miei occhi, vorrei, altro non brillasse che ciò che comanda ! ) Dal suo riparo quando mai il lamento di Hàfez uscito sarebbe se confidente non fosse, lui, degli uccelli che cantano all'alba? Note v. 1 Ossia, darei per amore anche la mia vita/anima (jdn) , non solo per lui, l'amato, ma persino per i più umili servi di lui. Questo "farsi piccolo" dell'a­ mante rientra nel più generale topos dell' autoumiliazione (talora anche nel senso dell' autodenigrazione) di fronte all'amato. v. 2 Per comprendere il senso, si tenga presente che il poeta-amante am­ bisce offrire la sua vita ai piedi dell'amato, ovvero, come talora si legge nel Canzoniere, offrirla in dono per la sola polvere dei suoi piedi.

v. 3 Ossia: se il cipresso (sarv) - cui convenzionalmente viene accostata la figura dell'amato - potesse parlare (avesse le lingue/petali del giglio) , dichia­ rerebbe umilmente la propria inferiorità. Qui è il topos dell'umiliazione del termine di paragone (il cipresso, ma altrove può essere la rosa, la luna ecc. , cfr. nota al ghaza/ 22, 5) con cui l'amato è confrontato. v. 4 Ossia: almeno in sogno potessi vedere l'amato. v. 5 Si noti - altro topos hafeziano - come il cuore dell'amante cerchi la pace dai tormenti del mondo tra i "riccioli tormentati" dell'amato. v. 8 Ovvero l'amoroso lamento di Hafez non si sarebbe sparso per il mon­ do se lui non avesse l'intimità degli uccelli, qui da intendersi probabilmente come compagni/rivali in amore (o magari i poeti rivali) e quindi implicita­ mente "accusati" di avere propalato il suo segreto amoroso.

1 39 Oh, sul tuo volto ... P 484 (Kh 48o) Su 551 Oh, sul tuo volto son le luci manifeste di Regalità nella tua mente sono cento divine sapienze celate Oh, quella tua penna - che Iddio ti benedica - sul regno e sulla fede sparge, da ogni goccia d'inchiostro, cento ruscelli di Acqua di Vita Su Ahriman di certo non splendono le luci del Nome Supremo il regno è cosa tua, come pure il sigillo: ordina ciò che desideri ! Chi sulla saggezza di re Salomone continui a nutrire dei dubbi di scienza e intelletto di costui se la ridono i pesci e gli uccelli Benché il falco di [signorile] cappello ogni tanto si vada adornando ben sanno gli uccelli del monte di Qaf qual è la vera, regale etichetta Quella spada cui nella sua grazia concesse il cielo lucore può ben conquistar questo mondo senza l'aiuto di eserciti !

Oh, davvero la sostanza tua fu creata con l'elisir della Gloria oh, davvero il tuo regno è al sicuro da ogni rovina e disgrazia! Il tuo calamo bellamente ha vergato, a proposito di amici e d'estranei, amuleti che la vita incrementano, incantesimi che la vita abbreviano! O coppiere, portaci un po' di buon "liquido" dalla fonte di quella taverna affinché, questo saio, ripuliamo una volta dalla boria dei nostri conventi ! È una vita, o mio re, che questa coppa è vuota di vino: eccoti qui la mia supplica, e il censore ne sia testimone!

Oh, se un raggio della spada tua [rilucente] cadesse su cave e miniere questi rubini non rossi sarebbero, bensì gialli divenuti [dal terrore] ! Ben so che il tuo cuore già pronto è al perdono delle colpe di chi veglia se solo, all'alba, tu chiedessi a Zefiro del [miserevole] stato del tuo servo ! Se sul santo Adamo s'abbatté il fulmine del peccato come potremmo, noi, avanzare pretesa d'innocenza? O Hàfez, poiché il sovrano ogni tanto il tuo nome menziona, non lamentarti della sorte, piuttosto torna a chieder perdono! Note vv. 1-2 Si tratta di un tipico ghazal-panegirico in cui il patrono di turno - un qualche sovrano di Shiraz che non viene però nominato - è ampiamen­ te lodato e incensato. Il calamo (cfr. anche v. 8) si riferisce ai decreti regali emanati dal personaggio, elevato al rango di Uomo Perfetto che riassume in sé incondizionato potere temporale (nella sfera del " regno " ) e inarrivabile sapienza religiosa (nella sfera della " fede " ) , qui enfaticamente accostata alla miracolosa acqua di vita (db-e heyvdn, cfr. nota al ghaza/ 5, 4) della leggenda islamica. v. 3 Allusione alla pia leggenda del ratto dell'anello o sigillo di Salomone da parte di un demone, che tuttavia non riuscì a servirsi dei suoi magici po­ teri connessi - secondo la tradizione - col nome supremo (esm-e a 'zam) di Dio che vi era impresso (cfr. ghaza/ 89, 3). Come a dire: nessun nemico (alluso qui

da Ahriman, nome proprio del Satana zoroastriano) potrà mai portare via il regno all'augusto personaggio qui lodato. v. 4 Sudi riporta in luogo di sapienza/saggezza (hekmat) , pompa/ma­ gnificenza (hashamat). In filigrana si potrebbe scorgere una frecciata a qual­ che personaggio dell'ambiente cortigiano ostile al patrono (qui alluso da Sa­ lomone) . v. 5 S i allude alla fenice - simbolo di regalità - che, secondo il mito nella versione iranica, abiterebbe la montagna di Qaf ai confini del mondo re­ gnando su tutti gli uccelli. Insomma: non basta avere in testa un signorile cap­ pello (qui il riferimento è al cappuccio in cui veniva infilata la testa del falco­ ne da caccia) per essere un sovrano, esattamente come non bastò a un demo­ ne (cfr. v. 3) avere il sigillo di Salomone per farsi re. v. 6 Si allude alla spada del principe patrono - supposto godere di ogni celeste assistenza - qui lodato con le consuete esagerazioni. v. 8 Dopo aver descritto la spada del patrono, si descrive la sua penna/ ca­ lamo che verga decreti inappellabili e insieme potenti come amuleti o incan­ tesimi. v. 9 Dopo il panegirico, uno stacco con la consueta frecciata all'ipocrisia dei sufi, tra i quali nondimeno, si noti, il poeta si colloca: una delle sue " ma­ schere" preferite. v. 10 Come a dire: non ho di che acquistarmi il vino. Si tratta probabil­ mente, sotto la veste delle consuete immagini bacchiche, di una richiesta di compenso al patrono secondo la consolidata prassi di ogni poeta panegirista. Il «censore» (mohtaseb, nel medioevo islamico una specie di prefetto di poli­ zia incaricato di vigilare sulla pubblica morale) è qui inopinatamente e spiri­ tosamente chiamato a testimoniare l'indigenza del beone. v. n Ossia: intimorite e spaventate dallo scintillio della tua spada, le mi­ niere vedrebbero " ingiallire " i propri rossi rubini ! vv. 1 2-14 Il poeta - qui nella veste dell'innamorato che non dorme la not­ te - affetta l'atteggiamento remissivo di chi deve farsi perdonare una colpa amorosa. Si tenga presente che l'Adamo coranico è figura diversa dall'omo­ logo biblico, essendovi considerato il primo khalz1a (vicario) di Dio in terra e - nonostante il peccato, peraltro subito da Dio perdonato - il primo profeta dell'umanità.

1 40 Un saluto ... P 485 (Kh 48 3 ) Su 55 3 Un saluto, ch'è come il dolce profumo dell'Intimità, invio a quel "pupo" dell'occhio mio soffuso di Luce Un augurio puro come luce nel cuore degli asceti, [io mando] a quella " candela" che la celletta illumina dell'ascetico Ritiro Io non vedo nessuno, qui, dei miei confidenti: mi sanguina il cuore, o coppiere, ma dove sei? O tu, dal vicolo dei magi non distogliere il volto: è lì che vendono la chiave che tutti i problemi risolve! Benché il mondo qual sposa sia al culmine di bellezza ha superato ogni limite, [con noi] , nella sua infedeltà ! Se tu mi abbandonassi infine, o anima concupiscente accedere potrei alla Regalità pur dentro la mia Povertà Quel vino che schianta gli asceti: dov'è che lo vendono? Nel tormento io sono per quest'esercizio d'ipocrita ascesi ! In tal modo i compagni hanno infranto il patto d'amicizia che tra noi, diresti, non v'era mai stata neppur conoscenza ! O tu, rivelare ti voglio l'alchimia dell'autentica felicità: da un confidente malvagio separati, anzi separati subito ! Il mio cuore ferito, se ancora ambisce a qualcosa, ebbene eccola: non ricorrere più a medicina di quelli che il cuore hanno indurito ! O Hàfez, non lamentarti mai più dell'offesa del tempo: che puoi conoscere tu, schiavo, dell'azione del Signore?

Note v. I Il poeta - spiega Sudi - s'immagina di mandare il suo caldo saluto al­ l'immagine dell'amato (qui «pupo») riflessa nella pupilla del suo stesso oc­ chio. Si osservi che il «pupo dell'occhio» (mardom-e cashm) è in persiano l'e­ quivalente etimologico del nostro " pupilla " (cfr. ghaza/ 67, s). Si osservi la ri­ ma «intimità» (ashna'i)l«luce» (rowshana'i) , entrambi termini dalla forte con­ notazione gnosticheggiante. v. 2 La «candela» (sham ') della cella del monaco - immagine ereditata dalla poesia araba e qui riadattata a descrivere la solitudine (il «ritiro») del­ l'innamorato - allude all'amato. v. 3 Si osservi l'implicito accostamento tra il «sangue» (khun) dell'amo­ rosa pena del poeta-amante e il vino che servirà a consolarlo. v. 4 Il discorso è rivolto all'uditorio o a un aspirante all'iniziazione amoro­ sa e bacchica. Nel «vicolo dei magi» (ku-ye moghdn) si trova di regola quel vi­ no che è «chiave» a tanti amorosi problemi (cfr. anche v. 7); si osservi, consi­ derando i due versi insieme, l'implicita opposizione magi (zoroastriani)/asceti (musulmani) che si iscrive nella poetica della bad-nami (cfr. nota al ghaza/ 2, 3). v. 5 Qui è il topos del mondo "sposa infedele " di cui non è dato mai fi­ darsi, che trasuda di preislamico pessimismo cosmico. v. 6 Qui riecheggia il topos mistico della "regalità nella povertà ": colui che si sia liberato da ogni brama o possesso, si fa povero, diventa in realtà vero so­ vrano di se stesso. Il discorso è rivolto all'«anima concupiscente» (na/s-e td­ me') dal poeta-amante, ma quasi con la consapevolezza che gli è impossibile in realtà cessare di desiderare. v. 8 Si tratta forse di un'allusione a rivali in amore, o a quelli nella pro­ fessione? Difficile stabilire chi siano questi compagni/amici (ra/iqdn ) , a me­ no che il plurale qui non rappresenti una forma di reticenza e di parlare in­ diretto, o entri solo per esigenze metriche: in questo caso si potrebbe pen­ sare che l'allusione sia in realtà all'amato ovvero a una rottura amorosa. L'a­ mato che non sta mai ai patti è peraltro uno dei motivi più diffusi nella liri­ ca persiana. v. Io Secondo Sudi i " cuori duri" (sangin-del, alla lettera «pesanti» o «di pietra») alluderebbero a gente bassa e vile; ma l'espressione significa anche " crudele" in amore e si può forse più plausibilmente pensare a un rimprove­ ro del poeta-amante all'indirizzo dell'amato (spesso peraltro raffigurato nel­ le vesti di "medico" delle amorose ferite dei suoi innamorati). v. n Abbiamo qui una islamica professione di fede nelle imperscrutabili e non contestabili ragioni dell'agire divino, cui sono rapportate tutte le pene e le prove attraversate dal poeta-amante.

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Se il vino non bevi P 486 Su 492 Se il vino non bevi neppure al canto di tortore e usignoli ti curerò io, marchiandoti a fuoco: è questo l'estremo rimedio ! Gli odori e colori di primavera nella dispensa accumula ché già si appressano simili a briganti i mesi dell'inverno Lì hanno scritto, sopra il portale del giardino del paradiso: chi si fece abbagliare dalle smorfie del mondo, guai a lui ! Quando la rosa getta il suo velo e l'uccello grida: hu-hu ! tu, [amico mio caro] , non buttare il calice o farai: ahi-ahi ! Quando mai splendore o magnificenza di regno garantirono la stabilità? Del trono di Jamshid, della corona di Key, ci è solo il racconto rimasto ! Accumulare i tesori, pur avendone già ereditati: è questa davvero empietà! Non altro ci dicon coppiere e menestrello, ciò sentenziano flauti e tamburi ! Il Tempo nulla concede che, prima o più tardi, non venga a riprendersi liberalità non cercare nei vili: sono cose da nulla [quelle che ti offrono] La generosità è finita da un pezzo, qui chiudo il discorso: dov'è il vino? Su porgetemelo, alla salute di anima e spirito del buon Hatem dei Tayy! L'avaro il profumo di Dio non lo sente neppure: vieni Hàfez prendi il calice, sii munifico e io [per te] mi/accia garante ! Note V. I n corsivo indica, qui e nei versi seguenti, gli emistichi in arabo nell'ori­ ginale. n discorso è volto al pubblico: se uno non beve neppure nella stagione primaverile, è proprio un incurabile che - secondo un antico precetto di medi­ cina popolare - si può provare a curare soltanto con la marchiatura a fuoco.

v. 4 Verso spiritoso che nel primo emistichio, attraverso il motivo degli amori tra l'usignuolo (!'«uccello») e la rosa, contiene l'implicito canonico in­ vito a bere e amoreggiare, insomma al carpe diem. Si noti che il verso dell'u­ signuolo, nell'originale «hu-hm>, è anche interpretabile come il pronome ara­ bo - raddoppiato - di terza persona, ossia «lui-lui», che, nel mondo sufi, è una forma di grido estatico alludente all'unicità di Dio. v. 5 Verso di sapore gnomico-sapienziale (cfr. anche v. 7); i due personaggi sono sovrani della leggenda iranica dei primordi cantata nella Shdh-ndme (Li­ bro dei re) di Ferdowsi. v. 6 Letteralmente: «L'avere tesori da parte di coloro che [già] eredita­ no», ossia già nascono ricchi. Si noti l'uso di termini religiosi come ku/r ( «em­ pietà», in senso giuridico designante la condizione dei non musulmani) e fatwa («sentenza», ovvero parere rilasciato da un dottore della legge) in un contesto sottilmente irridente-polemico. v. 7 Con «liberalità» (morovvat) abbiamo reso un originale che talora può implicare un insieme di virtù cortesi: lealtà, cortesia, generosità, coraggio ecc. (cfr. ghazal n7, 5). v. 8 Nome di leggendario personaggio arabo della tribù dei Tayy, cele­ brato nei secoli per la proverbiale ospitalità e generosità. Il poeta, in mo­ do alquanto trasparente, sembra qui lamentare la mancanza o l'avarizia dei patroni. v. 9 Ossia: mi faccio garante del perdono delle tue colpe presso Iddio. Si noti che, complice il canonico sdoppiamento dell'io lirico nell'ultimo verso, il poeta parla in realtà a se stesso.

1 42 Dal vicolo dell'amico, ecco ... P 487 (Kh 445) Su 516 Dal vicolo dell'amico, ecco, viene la brezza del vento di Nowruz: se all'aiuto aspiri di questo vento su, accendi la lampada del cuore ! Se come il fiore qualcosa possiedi, in nome di Dio, spendilo in Piacere non sai che la passione per l'oro accumulato indusse Qàrun in errore? Quale la via di soddisfazione? L'idea abbandona di soddisfare te stesso! Cappello regale è quello che tu ti cucirai praticando questo "abbandono" 268

Ti parlo ora velatamente: al modo della rosa, esci dal tuo bocciolo ché più di cinque giorni non dura l'impero del signore di Nowruz! Io non so che significhi il lamento di tortora laggiù, verso il ruscello: anche lei forse come me avrà da penare, ognora, il giorno e la notte? Un vino possiedo puro come l'anima, ed ecco che il sufi lo critica: o Signore, nessuno dotato d'intelletto abbia mai una tale sfortuna ! Da te il dolce amico si separò: a solitudine rassegnati, o candela: decreto è questo dal cielo promulgato, che tu riarda o sopporti ! Va' o cuore, beviti il vino, fa' il libertino e abbandona Ipocrisia: mi meraviglierei, se mai una strada scoprissi preferibile a questa ! Per l'arroganza del sapere, non si può escludersi da Gioia e piacere: vieni qui Hafez ché, all'ignorante, più gradevole destino è concesso ! Note v. 1 Nowruz è il capodanno persiano, corrispondente all'equinozio di pri­ mavera. Si ricordi che il vento che proviene dal vicolo dell'amato è sempre "messaggero d'amore" che va ad attizzare la fiamma del cuore dell'amante. v. 2 Il «qualcosa» (khorde'i) si riferirebbe all'"oro " dei fiori - spiega Su­ di -, ossia ai granellini gialli che si trovano talora al centro della corolla, poe­ ticamente interpretati come monete d'oro. Qiìrun è il nome coranico (XXVIII, 76 ss. e passim) del biblico Core, punito per la sua avarizia. v. 3 In questo verso sul topos ricorrente della " regalità nella povertà" , in­ triso di mistica rinuncia, v'è un gioco di parole intorno alla parola tark, che vale sia "abbandono " sia "elmo" l" cappello" . v. 4 Interpreta Sudi: esci dall'incoscienza ch'è propria del bocciolo, fatti rosa, ossia consapevole che questa vita non dura più di tanto. I «cinque gior­ ni» del Nowruz sono un'allusione a festeggiamenti tradizionali del capodan­ no che prendevano più giorni e talora prevedevano l'elezione di una sorta di effimero "principe del Nowruz" . v. 6 Ossia la sfortuna d i trovar d a ridire persino sul vino più limpido, che talora in Hiìfez (sulla scia peraltro di Khayyiìm) sembra essere cifra di estasi ineffabili o voler alludere a gnostiche ebbrezze. Il sufi - parola che nel verso entra in elegante assonanza con sd/ («limpido») - qui tirato in ballo è eviden-

temente un campione di spirito bigotto e bacchettone, alieno alle segrete de­ lizie del vino. v. 7 Qui è il topos della falena e della candela, immagine-emblema della lirica persiana (cfr. ghazal 121, 7). Solo, si osservi, qui è la candela che si strug­ ge per l' «amico» Oa falena), mentre di solito avviene il contrario. v. 9 Qui sembra parlare il dotto ricco di «sapere» ( 'elm, anche e prevalen­ temente nel senso di "scienza religiosa " ) che certamente fu Hafez, e che, non diversamente dal grande matematico e poeta-scienziato 'Ornar Khayyàm, si ri­ fiuta di guardare con arroganza o senso di morale superiorità a chi è dedito al­ la ricerca della «gioia» (tarab, ma si noti che anche questo termine può avere valenze mistiche) connessa con i piaceri più umani. L'originale per «destino» (ruzi) include l'idea di provvidenza che Allah, secondo la vulgata teologica, avrebbe ab aeterno assegnato a ciascun individuo creato. In altri manoscritti l'ultimo verso è invece: «Va' nel giardino, e dall'usignuolo apprenderai i segreti d'Amore l vieni al convito, e da Hàfez apprenderai a comporre ghazal!».

1 43 Su beviti una coppa ... P 488 (Kh 46 9 ) Su 540 Su beviti una coppa di vino, una di un man abbondante con cui tu possa strappare dal cuore ogni radice di pena! Il cuore aperto tu abbia, sempre, così come coppa di vino: fino a quando sarai come botte di mosto colla testa tappata? Quando avrai dalla coppa dell'assenza-di-sé un sorso bevuto allora sì, smetterai di vantarti dell"'io" a destra e a sinistra ! Come pietra sii tu, nel cammino, non come l'acqua che rimescola ogni colore e ogni impurità raccoglie! Il cuore legalo a noi, affinché tu virilmente possa il collo spezzare a Pietà e Ipocrisia! Su alzati infine e, come Hafez, sforzati anche tu di gettar umilmente te stesso ai piedi dell'amato ! 270

Note v. 1 Il man è misura di peso o capacità, variabile a seconda dei luoghi e dei tempi. v. 3 L'«assenza-di-sé» (bi-khwodi) o oblio di se stessi è un tema classico della mistica sufi, diffusamente trattato nei versi di più schietti poeti-sufi co­ me un 'Attar o un Rumi. v. 4 Qui è un invito alla purezza nel corpo e nello spirito, a quella sa/d che certi autori sufi vogliono connessa - evidente ma significativa paraetimologia ­ proprio con la parola "sufi " . v. 5 Ossia: a noi libertini. Variante: «il cuore legalo al vino». L'invito a spezzare il collo a «pietà» (taqvd) e «ipocrisia» (sdlus) s'iscrive nella vis pole­ mica che Hafez sfodera nel Canzoniere contro bigotti d'ogni specie e religio­ si bacchettoni.

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È l'alba, e gocce cadono ... P 48 9 (Kh 470) Su 541 È l'alba, e gocce cadono dalle nubi del mese di Bahman preparate il vino e versatemene ora, in calici da un ma n !

Nel mare dell"'io" e del "noi" affondai: portami il vino perché libero mi renda per sempre dall' "io" e dal "noi" ! Beviti il "sangue" del calice ché, questo sì, è lecito sangue ! Pensa agli affari amorosi ché, quelli sì, sono cose da farsi ! O coppiere, svelto [a servirei] ché la pena sta pronta in agguato ! O menestrello, continua quell'aria tua dolce che or ora suonavi ! Versaci il vino, ché la cetra volgendosi a me sussurrò a quest'orecchio: «Passatela su, dolcemente, ascolta il consiglio d'un vecchio ingobbito !» Ai libertini da tutto affrancati mesci, o coppiere, il tuo vino se nel canto di menestrello sentire desideri: Lui è il munifico ! 271

Note v. 1 Bahman è l'undicesimo mese dell'anno solare iranico, corrisponden­ te al periodo 21 gennaio-19 febbraio. v. 2 Il vino di cui qui si parla si carica di trasparenti valenze soteriologi­ che: secondo 'Attàr l'«io e noi» (ma'i o mani) , ossia ogni presunzione e auto­ considerazione o finanche ogni pretesa di essere/esistere, non si danno più al culmine del percorso mistico. v. 3 Frecciata all'ambiente degli ulema e alla facilità con cui talora, in no­ me di Dio, si legalizzavano uccisioni e severe punizioni corporali. Nel secon­ do emistichio ho seguito una variante: dar kar-e yar bash (letteralmente «in af­ fari di amico/a sii» dedicati agli affari amorosi); l'originale nell'edizione Pizhman direbbe: «Pensa agli affari tuoi» (dar kar-e khwish bash ) ; si trova an­ che la variante: dar kar-e bade bash (letteralmente «in affari di vino sii» de­ dicati al vino) . v. 5 Ossia, se h o ben inteso, il consiglio della cetra stessa la cui forma ri­ curva è accostata alla gobba di un vecchio. v. 6 Variante in Sudi: «0 Hàfez, all'indipendenza dei libertini bevi/brin­ da con il vino». L'espressione in corsivo riporta uno dei "99 bei nomi di Al­ lah " , al-ghannf, ossia il "ricco " , qui leggibile anche come il "munifico " : in­ somma, Hàfez sembra voler sottintendere che il vino è in fondo dono gene­ roso di Allah, di cui sarebbe un peccato non profittare. =

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1 45 Raccontavo al vento ... P 493 (Kh 43 1) Su 502 Raccontavo al vento - era l'alba - la storia del mio desiderio mi rispose: «Nella Grazia riponi fiducia, del Signore Iddio! » Preghiera al mattino, pianti alla sera: ecco la chiave del tesoro bramato in questo modo procedi tu sempre e così ti legherai al tuo rubacuori Nell'indole del mondo, questo vecchio infido, non esiste la misericordia: perché vai chiedendo della sua bontà? Perché a lui legare le tue ambizioni? 272

La penna non ha "lingua" adeguata a rivelare i segreti d'Amore: dar spiegazione del mio desiderio: è oltre i limiti d'ogni scrittura ! Salve, o tu Giuseppe d'Egitto, che il potere ebbe a render sì fiero ma chiedi a tuo padre: fin dove l'amore per tuo figlio mai giunse? Una fenice come te, d'alto rango, fino a quando bramerà [miserabili] ossa? Ahimè, la tua nobilissima ombra regale proiettasti su gente proprio da nulla ! In questo [terreno] bazar se mai v'è profitto, è solo pel derviscio ch'è pago: mio Dio, concedimi la grazia di condurre una vita da appagato derviscio ! Con i versi di Hafez di Shiraz, ecco che danzano e fanno moine quelli del Kashmir dai neri occhi, quei bei turchi di Samarkanda! Note v. 3 Ancora un verso da cui traspare la tradizionale visione pessimistica del cosmo. Qui la novità, almeno nel Canzoniere hafeziano, è l'immagine del vecchio laddove di solito il mondo, nel suo aspetto infido, è rappresentato da una vecchia balia o da una sposa infedele. v. 5 Si tratta del biblico Giuseppe figlio di Giacobbe (cui il Corano dedi­ ca l'intera sura XII), qui evocato in relazione alle sue fortune nel lontano Egit­ to cui fan da contraltare le pene del padre disperato per la sua lontananza. Il senso sottinteso è: magari tu (l'amato) soffrissi per la mia lontananza come soffrì Giacobbe per Giuseppe. v. 6 Dopo aver paragonato l'amato a Giuseppe, ora il confronto è con un'al­ tra figura della regalità, la fenice (homd) , che, secondo una leggenda ampia­ mente diffusa nella poesia persiana, con la sua ombra creava i re (cfr. ghazal 37, 2 ) . Ma qui il senso è più modesto: il poeta-amante rimprovera l'amato - dietro cui è facile intuire un qualche augusto patrono - di favorire rivali dappoco. vv. 7-8 Ecco un tipico esempio degli effetti del "frammentarismo " hafe­ ziano: come nulla fosse, dopo la lauda dell'amato, il poeta passa a vagheggia­ re la rinuncia e l'appagamento - tipiche virtù sufi - per concludere infine, ino­ pinatamente, con versi di sperticato autoencomio. Nell'ultimo emistichio ab­ biamo seguito la lezione di Sudi, l'originale dell'edizione Pizhman riporta «occhi neri di Shiraz» invece di «occhi neri del Kashmir».

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1 46 Da quando se n'andò Sulayma P 49 4 (Kh 451) Su 522 Da quando via se n'andò Sulaymd in Iraq struggendomi per lei cos'è che non passo!

O cammelliere, che trasporti la lettiga dell'amica da quanto dura il mio anelito pei vostri cavalieri!

La ragione affogala nel Zenderud e vino bevi ascoltando la bella voce dei giovani dell'Iraq! La primavera della vita è lì nel pascolo della vostra riserva o dolce tempo dell'Unione, Dio ti protegga [dalle calamità] !

Vieni o coppiere, e porgimi un calice ben riempito Iddio ti disseti [a tua volta] con un calice ricolmo!

Oh, mi riporta alla mente quel tempo di giovinezza l'ascolto della cetra, il batter le mani del coppiere! E dammi quel vino rimasto affinché, ebbro e felice nel cuore, per gli amici io spendere possa quel che della vita è rimasto ! Tutto sanguina il mio intimo perché non vedo l'amico ma via: anche i giorni di Separazione dovranno finire! Le mie lacrime so n dietro di voi: non disprezzatele! Oh, quanti mari non nacquero dai piccoli ruscelli!

Per un istante consenti con chi ti vuoi bene: la concordia tu stimala un bottino prezioso! E suonaci, o menestrello dalla voce dolce e i suadenti discorsi, le più belle melodie irakene con dei versi in persiani accenti ! 274

Ah, sposa così dolce tu sei, o diletta figlia della vite, ma di quando in quando ti meriteresti solo il ripudio ! Al solitario Gesù ben s'addice davvero che dimora si goda in comune col Sole ! L'Unione di amanti: non è destino a noi assegnato perciò intona, o Hafez, i ghazal della Separazione ! Note v. I Qui e in seguito il corsivo segnala versi in arabo nell'originale, da ri­ tenersi, piuttosto che forgiati da Hàfez, citati da qualche poeta arabo. Su­ laymà è il diminutivo/vezzeggiativo arabo di Salma, nome di una donna cele­ brata nella lirica araba per la sua bellezza e qui " riciclata " per alludere pro­ babilmente alla partenza di chi sta a cuore al poeta. v. 2 Ossia il poeta aspirerebbe a essere tra coloro che accompagnano la bella. Ma i «cavalieri» (rukbtin) forse qui alludono alla bellezza trasportata nel­ la lettiga posta sul cammello, un'immagine-emblema di tutta la lirica araba. v. 3 Il discorso è rivolto al pubblico. Si osservino gli elementi bad-nam ovvero malfamati (vino, amore, voce/canto) integrati però da un elemento diverso che è tipico della poesia d'ispirazione mistica: il disprezzo della ra­ gione. Lo Zenderud è un fiume di Isfahan varie volte celebrato da Hàfez nei sum versi. v. 4 Il poeta si rivolge sempre alla persona amata, ma l'ambientazione è quella tradizionale della lirica araba, dove ogni tribù pascolava i suoi animali nella propria «riserva» (hema, termine che metaforicamente può indicare an­ che la dimora dell'amato). v. 5 Ricordiamo qui che l'immagine del Dio-coppiere è di origini corani­ che (LXXVI, 21 ) . v. 7 L'espressione originale per «vino rimasto» (mey-e baqi) è anfibologi­ ca, potendo significare anche «vino eterno»; si noti l'elegante ripresa in «vita rimasta» ( 'omr-e bdqi) . v. 9 Quanto a dire: goccia a goccia, le mie lacrime d'innamorato formano un mare immenso. Il «voi» (nell'originale arabo kum) va riferito all'amato (cfr. anche vv. 2 e 4). v. IO Il discorso è volto all'amato o, secondo Sudi, al coppiere. Quel «con­ senti» (motta/egh bdsh) ha anche il senso di "sii concorde " con noi, esaudisci le nostre richieste di innamorati. v. I 2 La «figlia della vite» (dokhtar-e rdz) è naturalmente il vino, che qui il poeta tratta con accenti scherzosi, ma che vagamente alludono alla sua " pe-

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ricolosità" dal punto di vista della morale islamica, sì che bisognerebbe, ogni tanto almeno, eroicamente "ripudiarlo " . v. 13 Allusione a una pia leggenda islamica secondo cui Gesù sarebbe sa­ lito, spoglio di ogni bene terreno salvo uno spillo, sino alla sfera del sole. Il senso è: se non diverrai puro e distaccato da tutto come Gesù il «solitario» (mojarrad, anche nel senso - precisa Sudi - di chi non si è sposato e non ha messo su famiglia), non potrai ambire all'amato (il «sole»). v. 14 Si ricordi che «unione» e «separazione» (vesall/eraq) sono due ter­ mini fondamentali della mistica islamica, nella lirica persiana ampiamente ri­ ciclati anche per descrivere amori profani.

1 47 Ho scritto la storia del mio desiderio P 49 5 (Kh 452) Su 52 3 Ho scritto la storia del mio desiderio, del mio occhio piangente: subito vieni, privo di te sono giunto alla fine consunto dal dolore ! Oh, quanto parlai a questi due occhi del mio Desiderio: «0 case di Salma, [ditemi:] dov'è la vostra signora?» Fatto ben strano, evento singolare davvero è questo: io, pur ucciso, paziento e il mio assassino si lamenta! Chi mai troverebbe un difetto sulla tua purissima veste? Tu sei puro come goccia, che stilla su un petalo di rosa Dalla polvere dei tuoi piedi trasse freschezza di rose e tulipani il Calamo Creatore, quando su acqua e argilla prese a disegnare Già sparge Zefiro aromi di ambra, alzati e vieni o coppiere ! Su, quel sole di munificenza porta/o quz; profumato e puro! Lascia l'indolenza, a/ferra l'occasione secondo che dice il proverbio: viatico prezioso di chi va pellegrino è l'agilità, la prontezza di mano !

Traccia non resta di me, se privato son io delle tue virtù: le belle cose della vita mia vengono, tutte, dal tuo volto! Come potrebbe Hafez cominciare a descrivere il tuo volto? Come le qualità divine, tu sei ben oltre la mia intelligenza! Note Qui e in seguito il corsivo segnala un originale in arabo. Salmà è una bella celebrata nella lirica araba (cfr. ghazal precedente) ; l e case di Salmà sono metaforicamente gli occhi del poeta-amante, in cui - an­ che nel sonno - staziona in permanenza l'immagine della persona amata. v. 3 L'«assassino» (qatil) è naturalmente l'amato. v. 5 Ricorrendo al topos degli elementi empedoclei (qui invero solo due, invece dei quattro più spesso tirati in ballo) , ci è posta una originale eziologia fantastica che in realtà vuol essere una (alquanto sperticata) lode all'amato: la «freschezza» (ab, letteralmente «acqua») del volto dei fiori nominati - sim­ boli di bellezza incomparabile nel regno naturale - proverrebbe dalla cosa più umile e bassa dell'amato impiegata dal pennello del Creatore: la polvere dei suoi piedi, elemento che peraltro è spesso feticisticamente al centro dell'inte­ resse del poeta-amante. v. 6 Nel secondo emistichio l'espressione araba «sole di munificenza» (shamsat al-karam) allude chiaramente al vino. v. 7 Ancora un invito al carpe diem corroborato da un detto intriso di po­ polare sapienzialità. v. 8 Quanto a dire: non so restare lontano da te, se non ti vedo non ho più nulla di bello o nobile nella mia esistenza. Un'interpretazione in chiave mi­ stico-gnostica può scorgere in questi versi un'allusione alla dottrina pantei­ stica (o meglio monistica) della wahdat al-wujud; ma cfr. anche il celebre pas­ so coranico LV, 26-27. v. 9 Abbiamo qui seguito una variante "teologica " che propone se/dt («qualità»l«attributi», termine tecnico dei teologi musulmani) al posto di san ' («creazione»). v.

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v. 2

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È

1 48 città, questa, piena di rivali ... P 49 6 (Kh 43 5) Su 506

È città, questa, piena di rivali e da ogni parte c'è una bellezza! O amici, risuona l'appello d'Amore, se dunque agire volete . . .

Il vino è limpido: affrettati, il momento è buono: s u coglilo ! Il prossimo anno, chi può sperare di vedere ancor primavera? Nel giardino i rivali, imitando le rose e i tulipani, ecco han tutti levato una coppa al ricordo del viso d'un amico L'occhio del cielo no, mai vedere potrà un giovane più raro ! Nelle mani di nessuno cadrà una bellezza più dolce di questa ! Chi mai ha veduto un corpo così, ch'è fatto tutto di spirito? Sulla sua veste, mai non sia che polvere cada di esseri terreni ! Perché uno come me, tanto sconvolto, dal tuo cospetto allontani? Quanto da te io m'aspetto, è forse al più un bacio o un abbraccio ! Come sciogliere un simile nodo, come mostrare questo segreto? Dolore è, ma un dolore forte, faccenda è sì, ma ardua faccenda! Ogni filo dei capelli di Hàfez è in mano a riccioli impudenti: in un luogo come questo, oh, ben difficile è starsene in pace! Note v. 1 La città è Shiraz. Al posto di «rivali» (hari/dn, che può valere anche un ambiguo " compagni") in amore, Sudi riporta «eleganti» (zari/dn), ossia aman­ ti pronti al corteggiamento. Si osservi che l'originale per «appello» (sald) è il ter­ mine tecnico che designa l'appello alla preghiera lanciato dal muezzin cinque volte al giorno dai minareti, qui dal poeta spiritosamente e alquanto blasfema­ mente riciclato. v. 2 Ancora un invito al carpe diem, tuttavia permane un linguaggio am­ biguo: il vino potrebbe alludere a ebbrezze mistiche, l'originale per «mo-

mento» (vaqt, arabo waqt) - che si deve cogliere a volo - può anche sottil­ mente alludere a un momento estatico. v. 3 Tornano i rivali/compagni (cfr. v. I), personaggio corale sullo sfondo del teatrino amoroso hafeziano. L'accostamento coppe/tulipani (o coppe/ro­ se) è convenzionale. vv. 4-5 Qui abbiamo una di quelle descrizioni dell'amato che, evidente­ mente, ben s'attagliano a una interpretazione in chiave mistica del canto di Hàfez. v. 7 Si osservi il lessico - segreto (raz) , dolore (dard) , faccenda/azione (kar) - perfettamente ambiguo, ovvero adatto a un contesto da amor profano come a uno da amore mistico. v. 8 Come a dire: Hafez è mani e piedi legato ai bei riccioli di un bello: per questo Shiraz è per lui divenuta un luogo "impossibile" .

1 49 Il vino pretendi ... P 49 8 (Kh 486) Su 556 «Il vino pretendi, spargi le rose intorno: che altro vorresti dal mondo?» Questo diceva la rosa all'alba aggiungendo: «E tu, usignolo, che dici?» Orsù, la panca nel roseto portiamo affinché a un bello, a un coppiere le labbra tu prema, il volto gli baci, bevendo il vino e rose odorando ! Incedi - ti prego - come bosso flessuoso e recati sino al giardino: da figura sì snella apprenda il cipresso l'arte di sedurre i cuori ! Oh, la tua bocca - ridente bocciolo - a chi tanta Fortuna darà? O tu delicato rametto di rosa, per chi mai stai ora crescendo? Oggi che il bazar rumoreggia di clienti pronti a comprarti pensaci: metti da parte qualcosa del tuo capitale di bellezza! Poiché la candela di Bellezza esposta si trova al passaggio del vento un po' d'arte apprendila ora, [o mio caro] , dalla candela di Cortesia 279

Oh, quel ricciolo: dalle sue volute arrivano cento muschiati aromi di Cina oh, bello sarebbe davvero, se tanto profumo da un'indole venisse gentile ! Ogni uccello a raccontare una storia giunse nel giardino del re: l'usignuolo per intonare melodie, Hafez per recitare i ghazal! Note v. 2 Il coppiere e la «panca» (masnad, ma anche comodo e largo " cusci­ no" su cui appoggiarsi stando sdraiati) portata nel giardino per il relax meri­ diano, ci fanno pensare qui a un contesto tipicamente cortigiano. v. 3 Per comprendere il senso del verso, si tenga presente che il cipresso è metafora comune della figura o statura (qadd) dell'amato, la quale - con ti­ pica esagerazione encomiastica - è qui descritta come maestro del primo in fatto di «seduzione di cuori» (del-ju 'i) . v. 4 Il «bocciolo» (di rosa) che concede «fortuna» (dowlat) è paragonato alla bocca dell'amato; il «rametto di rosa» (shdkh-e gol) allude, secondo Sudi, all'ergersi impettito della figura dell'amato di fronte agli ammiratori (ma qui potrebbe esservi, forse, una scherzosa allusione sessuale). v. 5 Ossia: non pensare che la tua bellezza duri indefinitamente (prima o poi, commenta Sudi, gli spunterà una barba ispida sul viso che allontanerà gli spasimanti) e che avrai sempre ammiratori (i clienti/acquirenti). Sullo sfondo è qui l'episodio - variamente ripreso dalla tradizione islamica e dai letterati persiani - della vendita al mercato degli schiavi di Giuseppe, figlio di Gia­ cobbe, modello insuperabile, sin dalle pagine del Corano (sura XII), della bel­ lezza maschile. v. 6 Il senso sembra simile a quello del verso precedente: finché sei bello e attraente, sappi farti appezzare anche per la «cortesia» (niku khu 'i, letteral­ mente «buon carattere»; cfr. anche v. 7) dai tuoi amanti che, altrimenti, ti ab­ bandoneranno quando sarai sfiorito. Sudi ha una più prosaica variante nel se­ condo emistichio: «apprendi un'arte [ora] grazie al capitale di bellezza» (mdye-ye niku'i) , ossia - egli spiega - finché campi della tua avvenenza datti da fare ad apprendere un mestiere che ti permetta più tardi - quando la bar­ ba ti avrà fatto sfiorire - di sopravvivere. v. 8 Variante nel secondo emistichio: «per recitare preghiere» (do'd-gu'i) , ovvero inni beneauguranti al sovrano, che corrisponde a uno degli uffici tra­ dizionali del poeta cortigiano. Ma quest'ultimo verso mantiene una sua affa­ scinante ambiguità: basti solo pensare che con «re» si può qui alludere indif­ ferentemente al patrono terreno o a quello celeste, oppure al solito innomi­ na to " re di bellezza ".

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1 50 A perfezione giunse P 500 (Kh 455) Su 526

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A perfezione giunse al pari del mio Amore l'effetto della tua Bellezza: rallegrati dunque, poiché né l'uno né l'altra avranno mai decadenza No, io non posso figurarmi che mai l'intelletto si rappresenti in un modo qualsiasi, una immagine più dolce di quella di te! In che modo, mio caro, il fantasma del tuo volto vedrò in sogno se, del sonno stesso, il mio occhio non vede più di un fantasma? Raccoglierei finalmente il frutto d'una intera esistenza, se da te un giorno mi venisse, in vita, la provvidenza ambita dell'Unione ! Quando io sono con te, un anno diventa un giorno quando sto lontano da te, un istante diventa un anno Abbi pietà del mio povero cuore: per amore del tuo bel volto io sono a impotenza ridotto, reso sottile come luna novella ! O Hàfez, se ti struggi per l'Unione con l'amato, non lamentarti: assai più di ora dovrai sopportare la [pena infinita di] Separazione Note v. 2 È l'immagine dell'amato. Sudi ha, al posto di «Un'immagine» (khiya­ li, anche nel senso di "fantasma" o immagine onirica, per cui cfr. nota al gha­ zal 19, 3-4) , un altro termine: «una bellezza» (jamali) . v. 3 Qui torna il motivo del «fantasma» (cfr. nota precedente) che osses­ siona anche a occhi aperti la mente del poeta-amante. v. 4 Il discorso amoroso trasuda qui letteralmente di concetti mistico-teo­ logici: «provvidenza» (ruzi, cfr. il concetto coranico di rizq, per cui cfr. nota al ghazal 133, r ) ; «unione» (vesal) . v. 6 Si ricordi che tra i poeti persiani l'amato e, in particolare, il suo volto è sempre bello e florido come una "luna piena", invece l'innamorato che si strug­ ge e consuma d'amore è di norma accostato alla falce sottile della luna nuova.

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v. 7 Insomma: dovrai penare molto ancora in solitudine prima di ottenere la compagnia dell'amato. Si ribadisce l'idea, peraltro centrale anche nella teo­ rizzazione dell'amore mistico (da Ahmad Ghazàli a Ruzbehàn e oltre), che unione e separazione dall'amato sono due facce della stessa medaglia.

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E una vita ... P 50 3 (Kh 441) Su 512 È una vita che ci tieni nell'ansia [dell'attesa] che, i tuoi devoti, non come gli altri tu tratti !

Né la rosa si liberò dalla passione di te, né l'usignuolo nei giardini al contrario: tutti costringi a gridar disperati e a stracciarsi la veste ! Poiché sei il bel narciso del giardino dello Sguardo, o tu mio occhio e lume perché allora - dimmi - con me, dal cuore ferito, sempre sdegnoso ti mostri ? Il tuo occhio non guardò a me con [l'usato] compiacimento: in questo modo tu onori coloro che instancabili ti guardano? Miglior cosa dawero è che il braccio tu tenga coperto, giacché per dipingerlo, la mano affondi nel sangue del cuore di sapienti ! Benché siano ebbrezza e vita libertina i nostri peccati, tuttavia un amante ebbe a dire: tu stesso i tuoi schiavi a tanto costringi ! O tu che in un saio rattoppato ricerchi il Gusto d'arcana Presenza, in verità, tu nutri speranza di Segreti inauditi in gente ignorante! O cuore, tu sei padre d'antica esperienza, perché allora sempre t'aspetti fedeltà e affetto da questi bei figli? La perla della Coppa di J amshid proviene da miniere d'un mondo altro ma tu qui la ricerchi, nella terra più vile dei miseri vasai [di quaggiù] !

La tua borsa, ricolma di oro e d'argento, dovrai scucire per bene se vorrai soddisfare i tuoi desideri per quelli dal petto d'argento ! Non passare i tuoi giorni di Salute, o Hafez, a biasimare altrui: che mai puoi aspettarti da un simile mondo, che già passa via? Note v. 2 Lo stracciarsi la veste/la camicia è vuoi associato alle moine dell'a­ mato/a vuoi, come qui, alla disperazione degli innamorati. Qui, sottesa, è una visione cosmica dell'amore che sembra allargarsi all'intero creato e fornire un appliglio a una lettura in chiave mistico-teologica. v. 3 Il discorso è rivolto all'occhio dell'amato, di cui il «narciso» è la me­ tafora usuale. Lo «sguardo» (nazar, anche " contemplazione " ) del poeta­ amante si carica di metafisiche connotazioni, essendo l'originale un termi­ ne proprio anche del gergo teologico e gnostico-filosofico (cfr. nota al gha­

zal 107, 3). v. 4 Il «compiacimento» (reza, arabo rida) è termine dalle marcate riso­ nanze teologiche. Qui «coloro che guardano», letteralmente «padroni di sguardo» (saheb-nazaran) , ha la stessa ambiguità di cui è detto alla nota pre­ cedente. v. 5 Ossia - spiega Sudi - invece di esser tinto con henné e altri cosmeti­ ci, il braccio "assassino" dell'amato è tinto nel sangue dei suoi «sapienti» (porhonaran) amanti, tra cui si colloca naturalmente anche il nostro poeta. Preferiamo seguire la lezione di Sudi, che ha la forma affermativa be-pushi (che tu ricopra/nascondi) al posto di una improbabile, in questo contesto, forma negativa (na-pushi) . v. 6 Verso in cui appare mirabilmente sintetizzato uno dei problemi cru­ ciali della teologia islamica: l'ardua conciliazione tra la libertà dei "servi" di Allah e la rigida predestinazione che emerge sin dal dettato coranico. La spie­ gazione di Sudi qui appare alquanto riduttiva: i poveri amanti si vedrebbero costretti dai dinieghi continui dell'amato ad annegare nel vino e in altre tra­ sgressioni libertine il dolore della separazione. v. 7 L'apostrofe è all'uditorio. Verso che contiene la consueta frecciata al­ l' ambiente delle confraternite sufi (alluso dal «saio rattoppato») e alla loro pretesa di sapere ottenere il gusto/assaporamento (dhowq) della divina «pre­ senza» (hozur, arabo hudur) . Al posto dell'originale «speranza di un viaggio» (cashm-e seyri) abbiamo seguito la lezione di Sudi che ha «speranza di un se­ greto/una [interiore] rivelazione» (cashm-e serri) ; ma si trova anche la va­ riante: «speranza di cosa buona» (cashm-e niki) . In alternativa a «ignoranti»

(bikhabaran) si legge anche «ciechi»/«imprevidenti» (bibasaran) o «senz' ar­ te»/«sapienza» (bihonaran) . v. 8 L a prima espressione è u n calco d a forme arabe del tipo "madre di tutte le battaglie" o "padre di tutti vizi" ecc. Qui i figli/giovani/ragazzi (pe­ saran) alludono trasparentemente all'amato. v. 9 Si allude qui all'essenza spirituale (la «perla») del cuore (la «coppa di Jamshid», metafora qui dell'organo della percezione spirituale). Sudi osserva che questo verso sembra fuori posto e sarebbe dovuto essere piuttosto subi­ to dopo il v. 7· v. 10 Il discorso è rivolto all'uditorio. L'accenno all'acquisto va inqua­ drato sullo sfondo di un noto episodio coranico (cfr. nota al ghazal 149 , 5 ) . Quelli «dal petto d'argento» (sim-baran ) è espressione che allude alla chia­ rezza della carnagione, sempre particolarmente apprezzata in tutto il me­ dioevo islamico, ove gli schiavi o le schiave di pelle bianca erano i più ri­ cercati.

1 52

Sia lode ad Allah P 504 (Kh 463 ) Su 5 3 4 Sia lode ad Allah per la giustizia del nostro grazioso sovrano

re Ahmad, il figlio di Sheykh Oveys ebn Hasan, l'Ilkhanide! Khan dei khan, re dei re di nobilissima stirpe imperiale: ben degno è, lui, di venire chiamato l"' anima del mondo" Ancora l'occhio [nostro] non ti vedeva e già fede aveva nella tua Fortuna! Benvenuto, dunque, o tu che davvero sei degno di tutte le Grazie divine! Se la luna senza il tuo permesso sorgesse, in due pezzi la farebbero la fortuna di Muhammad e il miracolo grande del (dowlat; al verso precedente lo stesso concetto è reso con eqbal) del profeta e dal «miracolo» (mo 'jeze) della celebre espres­ sione teopatica pronunciata dal sufi del IX secolo Abu Yazid al-Bistam1: «Sia gloria a me !» (subhcinf, in arabo nell'originale) . v. 5 Nel concetto di regale «fortuna» (qui bakht, m a cfr. supra altri sino­ nimi) risuonano concezioni antico-iraniche connesse al mitologema della " gloria" o "maestà" - spesso rappresentata da una sorta di aureola fiammeg­ giante o comunque luminosa - che non abbandonava mai il re legittimo (cfr. anche nota al ghazal 2, 6). v. 6 Khaqan è il titolo con cui nella letteratura persiana medievale si de­ signavano gli imperatori cinesi. Qui si vuoi dire che il personaggio lodato può farsi bello e andar fiero di qualità e virtù degne nientemeno che del sovrano dei mongoli e di quello dei cinesi. vv. 7-8 Pare che i sovrani ilkhanidi trascorressero l'estate a Shiraz e l'in­ verno a Baghdad, il che spiegherebbe - secondo Sudi - le circostanze della composizione di questo ghazal, che doveva poi verosimilmente venire spedi­ to al personaggio qui lodato. Si osservi che il termine originale per «terra» (gel) può essere anche letto con diversa vocalizzazione come «rosa» (gol) .

vv. 9-10 Immagini classiche della lirica amorosa adattate a questo com­ ponimento squisitamente panegiristico e che mostrano come il «lodato» (mamduh) venga qui a coincidere con l'«amato» (ma'shuq) : la testa dell'a­ mante sulla porta dell'amato; la polvere della porta assimilata a " collirio " che l'amante si spalma sugli occhi arrossati di pianto (qui con la variante de­ gli «occhi del cuore»); la brezza dell'alba che si fa messaggero d'amore. Su tutto si proietta una gnostica luce: quella polvere " illumina" il poeta-aman­ te che può finalmente " vedere " col cuore (immagine che era già in Khayyam).

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Altri componimenti

Panegirici

I

Qaside in lode di Shah Mansur P 3 76 Su p. r858 All'alba, Orione, la fulgida collana ponendo dinanzi ai miei occhi [diceva] : l'umilissimo schiavo del nostro sovrano, lo giuro, io sono ! Su vieni, o coppiere, ché a me col soccorso di propizia Fortuna un desiderio fu reso possibile per cui Dio da tempo imploravo Su porgimi una coppa, ché per la felicità del volto del sovrano nella vecchia mia testa sorge di nuovo desiderio di giovinezza E non ingannarmi con la storia, ancora, della fonte di Khadir perché io bevitore son divenuto, con la coppa del re, alla fonte stessa del Kawthar ! O re, s'io anche fino all'empireo innalzassi il trono della mia virtù pur rimarrei il tuo umile servo e mendicante resterei alla tua porta lo non ali né piume posseggo, e invero la cosa più strana è questa: non altro desiderio ho in testa che giungere al nido di Simurgh ! Mille anni mi sono inebriato a quel tuo banchetto magnifico quando mai lascerà le bevute questa mia natura assuefatta? E se al discorso del tuo servitore tu proprio credere non vuoi te ne darò la prova finale con le parole di Kamal di lsfahan: «Se a te io strappassi il mio cuore e ti portassi via il mio amore quell'amore su chi mai riporrò, dove mai porterò questo cuore?»

Il mio Patto d' Alast lo strinsi nell'amore per il nostro sovrano dalla strada maestra della vita nel segno uscirò di questo Patto !

IO

Se la Sfera con la collana delle Pleiadi si ornò in nome del sovrano perché non dovrei, io, con collana di perle? Sono forse da meno? Mansur ebn Mozaffar Ghazi è il mio solo " amuleto" per l'augusto suo nome io sono sui nemici vittorioso ! Poiché, simile a falcone, ho gustato il cibo dalla mano del sovrano sarebbe forse cortesia l'abbassarmi a cacciare un misero colombo? O tu, sovrano che schianta i leoni, che cosa mai perderesti se, alla tua ombra augusta, il regno di libertà mi fosse concesso? La mia poesia, alla tua lode votata, i mille regni conquistò del cuore diresti, anzi, che la mia lingua eloquente è tal quale la tua scimitarra !

15

Se, come il vento dell'alba, per un giardino sono passato non è per amore del bel cipresso, o per desiderio del pino: è qui che il tuo profumo sentivo e al ricordo del tuo volto mi porgevano solleciti i coppieri della Gioia uno due calici ! Ubriacarsi col succo di uno due grappoli: non è da servo [del mio rango] io sono un vecchio dai moltissimi anni, che nelle taverne è stato allevato ! Ho già da litigare, fin troppo, con il corso delle stelle in cielo: in una storia sì triste la giustizia del sovrano almeno m'assista! Grazie a Dio, fino al culmine di questo terreno padiglione ascolta, il Pavone dell'Empireo, il fruscio delle mie ali Sia cancellato il mio nome dall'Officina degli Amanti s'io, oltre all'amore per te, avrò mai altra occupazione! Il cucciolo di leone per predare il mio cuore mi assalì, però io grossa o magra che sia, preda già sono del leone [suo padre] !

20

Oh, davvero gli amanti del tuo volto sono più numerosi degli atomi: quando attingerò l'Unione con te, s'io d'un atomo sono ancor meno? Fammelo vedere colui che nega la Bellezza del tuo volto, chi è mai, affinché gli occhi gli strappi, io, col coltellaccio della mia gelosia! Su di me l'ombra si posò del sole della Sovranità perciò sono libero ora dal sole che sorge a Oriente

25

Lo scopo di queste parole non è nel profitto da mercante: io ostentazioni non vendo, né acquisto le smorfie d'altrui ! Note v. I La stessa costellazione di Orione si dichiara serva del sovrano di Shi­ raz e mecenate del poeta, identificabile, secondo Sudi, con Shàh Mansur (I388-93, cfr. v. n) , uno degli ultimi Mozaffaridi, spazzati via dai Timuridi al­ la fine del XIV secolo. vv. 2-3 Il coppiere è invocato per festeggiare degnamente un'occasione di incontro (o riconciliazione?) col sovrano. Il poeta si atteggia, tipicamente, a suo amante. L'espressione «desiderio di giovinezza>> (havd-ye javdni) potreb­ be essere intesa anche come «desiderio di un giovane», nella fattispecie l'a­ mato ovvero il predetto sovrano. v. 4 L'acqua della mitica fonte di Khadir/Khidr, o Khezr nella pronuncia persiana (cfr. nota al ghazal 5, 4) , che secondo la leggenda donava l'immorta­ lità, è nulla in confronto al vino delle coppe di re Mansur, qui paragonato al­ la bevanda celestiale del Kawthar (fonte del paradiso coranico). v. 6 Qui il desiderio di raggiungere Simurgh, l'uccello semidivino di an­ tichi miti iranici e meta di un mistico viaggio nel celebre Mantiq al-Tayr (Il verbo degli uccelli) di 'Attàr, allude trasparentemente a quello di incontrare il sovrano nominato. vv. 8-9 Citazione diretta da un lirico persiano, secondo una prassi cara a molti poeti ma usata da Hàfez in modo alquanto parco. Pizhman, tuttavia, ri­ leva che la fonte di questo verso - evidentemente così noto da entrare, spesso anche senza citazione dell'autore, in molti canzonieri - sarebbe invece Mas'ud­ e Sa'd-e Salmàn, attivo alla corte persianeggiante di Lahore nel XII secolo. v. IO L'espressione «patto d'Alast» allude al celebre passo coranico (VII , 172) in cui si accenna a un misterioso patto tra Allah e le creature nella p re-esistenza. v. n La collana delle stelle che forma la costellazione delle Pleiadi è con­ venzionalmente accostata alla collana (nazm, che in persiano significa pure " poesia" ) di versi che il poeta porge al suo sovrano e mecenate.

v. 12 Qui viene espressamente nominato il personaggio lodato (cfr. nota al v. r ) . Per «nemici» si potrebbe forse intendere i poeti concorrenti. v. 13 Ovvero, fuor di metafora: non mi abbasserei mai a cercare sostenta­ mento presso altrui, presso un sovrano di minor fasto e prestigio. v. 14 S'intenda: libertà lferaghat) dal bisogno. Insomma il poeta fa inten­ dere al sovrano qui lodato che aspirerebbe a sistemarsi meglio . . . vv. 16-17 Ossia: non capito per caso in u n giardino, bensì perché al solo ricordo del tuo volto e del tuo profumo nell'ultimo incontro, provo gioia im­ mensa. v. 18 L'accenno alla taverna vuoi rimarcare il carattere tutto speciale e " iniziatico " di una relazione nutrita dal "vino amoroso " . La vicinanza tra «vecchio» (pir, anche "maestro" o "priore " ) e «taverna» (kharabat) richiama subito la figura del pir-e moghdn , ossia il priore dei magi, alla cui confraterni­ ta dedita ai riti bacchici il poeta ama spesso associarsi. v. 19 La convenzionale lamentela sull'ingiustizia della sorte e le angherie del mondo introduce, peraltro non meno convenzionalmente, la richiesta di assistenza e benevolenza da parte del mecenate. v. 20 Verso di autoencomio: persino Gabriele (il «pavone» dei cieli), os­ sia il mondo degli angeli, ha sentito e apprezza il fruscio dell'ala del poeta (che in tutta la lirica persiana, ricordiamolo, ama paragonarsi a un usignuolo) , quanto a dire i suoni armoniosi della sua poesia. v. 22 Il «cucciolo di leone» sarebbe il principe figlio del sovrano qui lo­ dato, le cui pur gradite attenzioni e cortesie il poeta però afferma di non po­ ter apprezzare quanto quelle del padre. Il verso enfaticamente esemplifica quanto affermato in quello precedente: nulla, neppure l'erede al trono, può distrarre il poeta dall'amare il suo signore. v. 25 Ritorna - abilmente introdotto dal motivo dell'ombra fortunata del sovrano (per cui cfr. nota al ghazal 98, 5) - la velata richiesta di esser "libera­ to" dal bisogno (cfr. v. 14) . v. 26 Il poeta, secondo moduli convenzionali, protesta la sincerità della propria lode e il suo assoluto disinteresse.

2 Qaside in lode del visir Qavam od-din Saheb-e 'Eyar P 871 Su p. 2878 Non si può con leggerezza vantarsi di rubare il cuore ad altrui in queste faccende, se tu sapessi, vi sono mille aspetti riposti !

Oltre alla bocca dolcissima, molti altri "capitali" possiede Bellezza solo perché il sigillo si ha di Salomone non si può parlare di regalità I mille regni della seduzione davvero non stanno alla pari col farsi un posto in virtù delle proprie arti nel cuore altrui Oh, quanta polvere sollevasti dalla mia esistenza mai si stanchi il tuo corsiero, ché veloce tu corri ! Ma degnati una volta di restare qui, tra noi libertini ché tesori innumeri si celano nella nostra indigenza Su, portatemi del vino dal bel colore, ché qualcosa ho io da rivelare, pur se crepe causassi nella mia fede ! Lo giuro sulla polvere dei piedi degli ebbri: dacché ubriaco io staziono laggiù, nel vicolo delle taverne, a fare la guardia, mai mi sono intrattenuto un istante con un ipocrita asceta a meno che, sotto il saio, non portasse nascosto lo zonndr! In nome di quei tuoi riccioli che il cuore catturano, fammi una grazia affinché, per sempre, il Signore ti preservi da guai e sconvolgimenti: non distogliere l'occhio della tua munificenza dallo stato di Hàfez sennò del mio stato [miserando] andrò a lamentarmi col secondo Asaf! Visir insediatore di re, nobile signore della terra e del tempo: grazie a lui felice davvero è la condizione di uomini e anime! Sostegno del mondano regno è invero Mohammad ebn 'Ali dal cui bel volto - tu diresti - rifulge la luce medesima di Dio ! Oh, tali sono le tue belle qualità che, a ben pensare, è degno di te l'ambire a proteggere l'intero mondo ! E a te anche si conviene d'essere l'ornamento del Regno ch'è Eterno la tua nobile Ambizione neppure pronuncia il nome del mondo peribile ! 293

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Se l'effusione della tua liberalità non fosse alla nostra portata di certo l'intero terrestre tappeto si volgerebbe a sicura rovina In te la forma esteriore del corpo è solo materia, ma in verità, tu sei sostanza angelica dentro umana veste! Ma quale alto piedestallo di gloria si potrebbe erigerti mai di cui tu, nelle dimore della meditazione, più alto non sia? Nel ritiro dei cherubini del Santo Mondo di lassù il fruscio del tuo calamo è simile a musica celestiale I precedenti della tua sì vasta liberalità come è possibile descriverli? Iddio sia sempre benedetto per questo nostro patrono misericorde ! No, i fulmini della tua ira non potrei davvero descriverli:

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mi rifugio in Dio dinanzi ai tuoi furori simili a tempesta!

Ora che la rosa bellissima è in fretta comparsa sul prato altr'anima confidente non possiede che l'alito di Zefiro Gli anemoni, al seguito della rosa regina, costruiscono con l'aiuto delle mani di Zefiro i loro sontuosi "cappelli" A tal punto è giunto, coi suoi freschi aliti, il vento di primavera che si vanta di essere lo spirito stesso del vino ch'è più profumato ! Ciò che avvenne all'alba quanto fu dolce! L'usignuolo il suo canto andava rivolgendo al bocciolo, e così diceva nella sua eloquenza: «Perché te ne stai col cuore in angustie? Esci dal velo [o rosa] ché là, nella botte, c'è un vino dal rosso color di melagrana !» Non far più che tu non abbia, un mese, da bere alla bellezza della rosa così che poi, nel mese seguente, tu non abbia parecchio a pentirtene! Oh, davvero: ringraziando che l'accusa di empietà sia infine caduta sfòrzati adesso di rendere giustizia al Piacere, con la rosa e col vino ! 294

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La crudeltà mai non sia il costume di chi è religioso, Dio ce ne guardi ! In Munificenza e Grazia infinite consiste l'autentica Legge divina ! Del segreto dell'arcano dell' «Io so n la Verità» che s a l'incosciente colui che, mai una volta, fu attratto dai sublimi rapimenti divini? Questa è la Casa della Gioia del nostro visir: o coppiere, non permettere che qualcosa di diverso da una coppa di vino ci gravi ora sull'anima!

30

Osserva, là nell"' alcova" della rosa, come il germoglio prepari per l'occhio malevolo del tuo nemico una rossa punta acuminata ! Qual brezza del vento di Speranza tu fosti che, per benevolenza, a noi ritornasti e [sol per questo] tante notti oscure ebbero fine ! H o udito che d i m e ancor ti sovvieni, di quando i n quando eppure, ancor non mi chiami a quel tuo convito più intimo No, tu più non cerchi da me i bei versi, questo m'offende altrimenti con te - vedresti - quali dispute sull'arte poetica ! Tra gli hd/ez del mondo, nessuno come me ha saputo congiungere le sottigliezze della Sapienza con gli insegnamenti del Corano ! Mille anni di vita felice possano donarti i miei panegirici questa mia "merce" preziosa è ben degna di un come te! Forse troppo mi son dilungato, pur sempre son io speranzoso che col mantello del perdono tu copra le mie manchevolezze Continuamente Zefiro, a primavera, sulla "pagina" del giardino mille figure disegna con l'abile "scrittura" dell'erbe aromatiche! Nel giardino del Regno, nel corso di lunga vita, dal ramo del desiderio possa sempre per te facilmente sbocciare la splendida rosa di Fortuna!

29 5

35

Note v. I Questa qaside si apre tipicamente "all'araba" con un tema amoroso che viene svolto, attraverso vari motivi, sino al v. 9· Il poeta è il solito amante "liber­ tino" (cfr. v. 5) che si rivolge a un amato incorreggibile e crudele " rubacuori". v. 2 Allusione alla tradizione del ratto del sigillo di Salomone da parte di un jinn che lo trattenne con sé quaranta giorni cercando di farsi passare per il re-profeta in persona. Qui seguo la lezione di Sudi, che vuole na-tavdn zad dam az soleymdni al posto dell'originale na-tavdn zad dar-e soleymdni (lette­ ralmente «non si può bussare alla porta della regalità»). v. 3 Ovvero, se ho ben inteso: l'arte dell'amante, alla perenne ricerca di astuzie ed espedienti, è infinitamente più difficile e complessa dell'arte del­ l' amato che con la «seduzione» (delbari, letteralmente «furto di cuore») con­ quista magari al primo sguardo. L'accenno al regno/regalità (soltanat) è pure un tratto tipico della lirica amorosa, ove la figura dell'amato è spesso desi­ gnata come il " re dei belli" . v. 4 Il discorso è rivolto all'amato. Ossia, spiega Sudi: hai distrutto la mia esistenza, l'hai annullata. Si allude al topos del potere dell'amato di annienta­ re, nell'amore, l'essere dell'amante. v. 5 Attraverso l'accenno all'indigenza si coglie una prima discreta allusione alla finale richiesta di compenso; si osserva qui anche, in trasparenza, il topos mi­ stico della " ricchezza (spirituale) nella povertà" , ricorrente nel Canzoniere. v. 6 L'apostrofe è al coppiere. Variante in Sudi nel secondo emistichio: «e senza causare crepe» (rakhne na-konam al posto di be-konam nell'originale dell'edizione Pizhman). vv. 7-8 Viene ribadita la professione di fede libertina del poeta-amante, che perciò non avrà a che fare con religiosi e asceti, a meno che non portino lo zonndr, la cintura degli infedeli, assurto nella lirica persiana a emblema del libertinaggio. v. 9 Seguo qui la più convincente lezione di Sudi. La lezione dell'edizio­ ne Pizhman vorrebbe: «affinché Dio la [ la chioma, i riccioli] preservi». v. IO Anche questa velata minaccia all'amato ritroso di ricorrere a un'auto­ rità superiore (Dio nel giorno del giudizio o, come qui, il visir in persona, grati­ ficato del titolo di «secondo Asaf>>, leggendario ministro di Salomone) è un to­ pos della lirica amorosa, abilmente piegato al più prosaico scopo di "estorcere" un compenso dal personaggio qui lodato. Il verso è un abile esempio di gorizgdh, ovvero verso di passaggio dall'esordio sul tema amoroso della prima parte della qaside al panegirico vero e proprio del mecenate che segue immediatamente. v. I2 Gioco di parole: l'originale per «sostegno» (qavdm) coincide col no­ me del personaggio lodato, il visir Mohammad ebn 'Ali Qavam od-din (lette­ ralmente «sostegno della fede/religione») , al servizio di re Shoja' (1358-84) e gran mecenate del poeta. =

v. 13 Dopo averne parlato in terza persona, il poeta passa all'apostrofe di­ retta al suo mecenate. Abbiamo seguito qui la lezione di Sudi, che vuole jahdnbdni («protezione del mondo») al posto dell'originale soleymdni («so­ vranità») . v. 1 4 S u «ambizione» (hemmat) cfr. nota al ghazal 31, 6. v. 17 Seguo una variante di Sudi, che vuole «dimore/stazioni della medi­ tazione» (masdlek-e fekrat) al posto di un meno perspicuo «regni dell'indo­ le/natura» (mamdlek-e fetrat) . Il patrono qui è convenzionalmente rappre­ sentato anche in veste di vero sapiente e maestro spirituale. v. 18 Attraverso iperboliche (ma del tutto convenzionali) lodi al patrono, si colgono sempre sottili allusioni a motivi coranici, come l'accenno a «che­ rubini» e alla penna o «calamo» (kelk) con cui Allah stila i suoi decreti, qui richiamata dalla penna del visir. v. 20 L'inizio del secondo emistichio, in arabo nell'originale, corrisponde a una nota formula coranica usata come giaculatoria ogni giorno dai fedeli in situazioni di timore, pericolo, tentazione ecc. vv. 21-23 Qui è uno stacco in cui la rosa compare come regina del giardi­ no, facendo da pendant botanico alla corte del personaggio lodato; si noti co­ me il poeta si paragoni implicitamente a Zefiro, unico confidente della rosa. Nel secondo emistichio del v. 22 seguo una più chiara lezione di Sudi. Nel v. 23 l'originale per «vino» (rdh ) vale anche "gioia". v. 26 n discorso è rivolto dal poeta-amante a se stesso. Questo verso costi­ tuirebbe invece secondo Sudi continuazione del discorso dell'usignuolo. In tal caso si dovrebbe supporre che l'uccello si volga agli altri uccelli o a se stesso. v. 27 Non è ben chiaro a carico di chi l'accusa di empietà o miscredenza (tohmat-e tak/ir) fosse elevata; forse si allude al periodo di disgrazia dello stes­ so poeta che, secondo la biografia tradizionale, sarebbe stato bandito dal re­ gno per la eterodossia di certi suoi carmi o, è stato anche ipotizzato, della sua stessa condotta privata (ma, più verosimilmente, per beghe di palazzo o dis­ sapori con lo stesso principe e mecenate) . v. 28 Verso "programmatico" , che esprime un evidente forte spirito po­ lemico verso le concezioni rigoriste e iper-legalistiche della fede, purtroppo in auge anche presso certe correnti estremiste dei nostri giorni. v. 29 In corsivo è l'espressione in arabo And l-Haqq («io sono Dio/ve­ rità»), attribuita a Hallaj, il grande mistico musulmano martirizzato a Bagh­ dad nel 922 con l'accusa di " incarnazionismo " . v. 3 1 L'immagine nasce dalla comune comparazione tra la gemma e la pun­ ta di una lancia o freccia ed è inserita nel topos del disprezzo dei nemici del personaggio lodato. v. 32 Il discorso è sempre volto al personaggio lodato, qui paragonato al­ la brezza dell'alba. v. 34 Questo interessante accenno all' «arte poetica» (sokhan-ddni, che va­ le letteralmente «perizia nel discorso» o «eloquenza») ci mostra come essa

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fosse, anche nei suoi aspetti teorici, oggetto di dotta conversazione nelle cor­ ti persiane medievali. v. 35 Verso che contiene una dichiarazione fondamentale per compren­ dere la poetica hafeziana. Ricordiamo che il nom de plume del poeta significa letteralmente il «memorizzatore» (hà/ez) e corrisponde a una qualifica (o ti­ tolo) riconosciuto sin dai primi tempi dell'Islam a chi mostrasse di avere man­ dato a memoria l'intero Corano. v. 37 L'originale per «manchevolezze» (mà-jarà) è espressione araba che significa letteralmente «quel che è stato/è successo». Si allude probabilmen­ te a qualche trascorso sgradevole tra i due, per cui il poeta aspira ora a ricon­ ciliarsi. Potrebbe anche trattarsi di un'allusione al più serio dissidio con re Shoja' che causò al poeta l'esilio da Shiraz; in tal caso il verso si potrebbe in­ terpretare come una richiesta di conforto o intercessione. v. 38 Qui abbiamo una elegante anfibologia, essendo l'espressione che ab­ biamo tradotto con «scrittura dell'erbe aromatiche» (khatt-e reyhàni) anche termine tecnico per descrivere un particolare stile calligrafico. v. 39 Si osservi l'artificio del morà'àt-e nazir (letteralmente «osservanza del simile») , che si traduce qui in un giro di parole tolte dal gergo botanico (ramo, rosa, giardino, sbocciare); nel verso precedente lo stesso artificio è ad­ dirittura elegantemente raddoppiato, venendo realizzato sia con termini bo­ tanici (zefiro, giardino, primavera, erbe) sia con termini tolti dall'arte della scrittura (pagina, scrittura, figura, disegnare).

3 Qaside in lode di re Abu Eshaq Inju P 867 Su p . 1445 All'alba quando Zefiro gli aromi del giardino tutti comprende il prato, per la grazia dei suoi aliti, del paradiso gioco si prende! L'aria distende sul prato un ampio velo di profumi di rosa l'orizzonte al riflesso del crepuscolo i colori del roseto riprende La melodia della cetra in tal modo intona l'invito al vino dell'alba che il Vecchio della taverna la via pel convento dei magi riprende Il re del cielo, quando porta sul volto il suo grande scudo dorato, con la spada dell'alba e la clava dell'orizzonte il mondo si prende!

A dispetto della nera cornacchia, il falcone dall'ala dorata sotto la volta rugginosa [del cielo] a fare il suo nido imprende Su, va' al banchetto del prato ché spettacolo ti s'offre dolcissimo quando il tulipano i calici di dorati arghavan in mano si prende! Guarda a Zefiro che continuamente, da libertino che gioca con le belle, ora alle "labbra" della rosa, ora ai "capelli" del basilico s'apprende ! Quando il regale cavaliere del cielo rimira la coppa dell'alba, che con tanto splendore amoroso tutto l'Oriente sorprende, ecco che, dall'unità della Sostanza e dalla varietà delle Forme, la Ragione in ogni fiore, in ogni figura, cento segni comprende Oh, qual miracolo è sul prato la rosa novella che mostra il suo volto? Oh, qual fuoco è questo che all'uccello cantante dell'alba s'apprende?

IO

Qual raggio è questo che la luce della lampada del mattino irradia? Qual scintilla è mai questa che alla luna dei cieli lesta s'apprende? Perché con cento tormenti e torture questo cielo a forma di cerchio in mezzo, quasi fossi punta di compasso, prigioniero mi prende? L'intimo del cuore non apriamo a nessuno: ciò è meglio per me giacché il tempo è geloso e d'improvviso ghermisce e sorprende Chi, simile a candela, è occupato a divulgare il segreto, il Tempo, qual forbice, le labbra gli taglia e gli prende! Dov'è il coppiere mio bello dal volto di luna affinché, amoroso, per chi già mezzo ebbro è di lui un boccale, ben colmo, prenda e messaggi riporti dell'amico e, qui davanti, un bel calice alla felicità di quel volto di luna gentile, per noi ora prenda? Angelo egli è in verità, un Sorush di quel mondo invisibile il giardino della sua munificenza del paradiso gioco si prende! 299

15

Anzi egli è un nuovo Alessandro e chi come Khezr sta presso di lui dalla grazia della polvere della soglia sua, vita immortale si prende! Bellezza del volto dell'Islam è il nostro sovrano Sheykh Abu Ehsaq: il regno, in grazia di lui, gli ornamenti d'un vero giardino si prende! Quand'egli al cielo ascende della sua eccelsa signoria il primo gradino - sappiate - la testa dell'Orsa comprende!

20

Egli è qual luce degli occhi di re Mahmud, ché, al nemico, pel lampo della sua spada un fuoco avvampante s'apprende Se la spada egli sguaina, sino in cima alla luna il sangue nemico agita l'onde sino alla sfera di Mercurio spinge il suo impeto, quando l'arco egli prende! La sposa d'Oriente, vergognandosi di fronte alla mente di lui luminosa, come imbambolata rimane, pur se la via di Qayrawan ecco già prende! Se il menestrello innalza i suoi inni al convito di lui [è perché] ora conquista l'Iraq, ora Isfahan si prende E quand'egli occasione di combatter non trova, la mano porta alla coppa ma, quand'è il momento d'agire, la spada che toglie la vita lesto riprende

25

O re dalla sublime maestà, giacché chiunque si faccia tuo servo tanto s'innalza in valore che alla "cintura" dei Gemelli s'apprende Dalla sfera di Mercurio un flusso ti giunge di mille benedizioni allorché la tua mente il carico del mondano governo si prende Quando questo cielo, al galoppo, il tuo bel corsiero rimira come infima meta, [geloso] , la Via Lattea e oltre si prende ! Se un'afflizione sopporti, ne avrai poi una gioia a compenso poiché - sappilo - Giove in tal modo sempre ad agire imprende La meta dell'esistenza che emerge dalle tante tue prove, eccola: che il tuo cuore infine i segni della purezza dell'ascesi comprenda 300

30

In ogni caso, il rango del Libro ch'è sacro al di là si pone di quanto il mondo, indagando, comprenda Lo zucchero, perfezione trova di dolcezza soltanto dopo un' " ascesi " : è per questo che, all'inizio, nel frantoio [dolorosa] dimora si prende In questa vita ha successo colui che in ogni faccenda dapprima osserva per bene, e poi l'azione intraprende Il palato dell'anima è al sicuro dall'amaro delle tribolazioni in chi lo zucchero, di gratitudine per te, nella bocca si prenda Mi chiedo: ma l'alito di chi mai può essere quell'alito benedetto che già, sin dall'alba, a questa mondana pattumiera s'apprende?

35

Nelle difficoltà, non stornare il volto speranzoso dalla Grazia dell'Invisibile sappi, in verità, che midollo eccellente in ossa pur vili dimora si prende Là dove il tifone degli eventi da dritta e da manca addosso t'arriva, sì che ogni previa certezza si prende, qual pena, comunque, può mai derivare al monte ben saldo pur se le onde d'un mare impetuoso il mondo sorprenda? Benché il tuo nemico si sia in quest'ora fatto impudente sii tranquillo: la sua stessa impudenza le briglie gli prende! Per quant'ebbe a commettere contro i diritti di codesta regal dinastia costui, è certo, il meritato castigo su donna e figli e beni si prende! Pronta è da sempre a colpire l'invidioso e il nemico tuo la stella d'Arturo: perciò notte e giorno la lancia su prende! Oh, possa la tua vita a lungo durare ché questo tuo regno è una grazia che allo spirito di ;inn e di uomini s'apprende! Se pensiero di regale ambizione non esiste nella testa di Hafez perché allora con la " spada" della lingua il mondo intero si prende? 301

40

Note Questo componimento ha come ritornello (radi/) la parola girad ossia "pren­ de" o "afferra " , ma il termine ha significati e sfumature diversi in funzione dei composti verbali e dei contesti in cui viene a trovarsi. Si è tentato di mante­ nere il ritornello sfruttando alla meglio le possibilità che ci offre in italiano la voce "prendere " e i suoi composti. v. 1 Letteralmente «trova da criticare (nokte girad) anche il paradiso», os­ sia con la sua insuperabile bellezza umilia persino i giardini del paradiso (espressione ripresa anche al v. 17). v. 3 Variante in Sudi: «il vecchio della celletta/del monastero» (pir-e sow­ me'e) ossia il monaco, specialmente un monaco cristiano, personaggio che già compare nei canzonieri dell'antica poesia araba. Nel secondo emistichio lette­ ralmente «la via per la porta dei magi [zoroastriani]». Ricordiamo che la pre­ senza di elementi che rimandano a fedi non islamiche è perlopiù legata alla poetica dell'"infamia" (bad-nami, per cui cfr. nota al ghazal 2, 3); si noti nello stesso verso la presenza anche di altri due elementi tipici: il vino e la musica. v. 4 Si allude qui al sole; le immagini della «spada» (tigh) e della «clava» ( 'amud) si riferiscono verosimilmente ai raggi di luce. v. 5 Il cielo rugginoso (zangari) , per noi immagine inconsueta, qui allude probabilmente al cielo stellato. v. 6 Variante in Sudi: «calici di roselle selvatiche (nasrin) e di arghavan», pianta dai fiori rossi, talora identificata con il cosiddetto "albero di Giuda " . Il quadro botanico è completato nel verso seguente dall'immagine d i Zefiro «libertino» (rend) che amoreggia con le piante del giardino. vv. 8-9 Il «cavaliere» è figura del sole. Variante: «Per l'unità della Mate­ ria (hayula) e la varietà delle Forme (suratha) l la ragione da ogni rosa novel­ la coglie [= sa cogliere] il senso (naqsh) di cento spiegazioni (bayan)». Qui pa­ re adombrata la nota teoria mistica della wahdat al-wujiìd (unità dell'essere), ampiamente circolante tra i teorici del sufismo e nei canzonieri persiani. v. 10 L'uccello che canta all'alba è naturalmente l'usignuolo innamorato della rosa. v. n Variante in Sudi: al posto di «luna» (mah) nel secondo emistichio è «candela» (sham ') . v. 12 Attraverso un abusato giro d'immagini geometriche (cerchio, mez­ zo/ centro, compasso) emerge la tradizionale (preislamica) visione negativa del cielo/cosmo (sepehr) , supposto aguzzino dell'umana esistenza. v. 14 Per capire l'immagine, che allude a una sorta di amorosa disciplina dell'arcano, si tenga presente che qui le labbra del propalatore del segreto so­ no accostate al "labbro " della candela, ossia ai moccoli di cera. v. 15 Nel secondo emistichio abbiamo seguito la lezione di Sudi; l'origi­ nale avrebbe un meno perspicuo: «che un calice pesante/ben colmo come il suo occhio ebbro prenda». 302

v. 17 Cfr. nota al v. r. L' «angelo» è sempre l'amico di cui ai versi prece­ denti, in cui è facile - giusta l'accenno alla munificenza/generosità (karam) riconoscere una controfigura del mecenate. Sorush è nome di un angelo di ascendenze zoroastriane, dai poeti spesso invocato o descritto come una sor­ ta di musa ispiratrice, owero, come qui, convenzionalmente impiegato a ma­ gnificare la personalità del lodato (cfr. ghazal 8o, 2 ) . v. 18 Altra dotta allusione alla vulgata islamica della storia di Alessandro che viaggia nel Paese delle Tenebre sotto la guida del santo-profeta Khezr (cfr. nota al ghazal 5, 4). v. 19 Qui è il "verso di passaggio " (gorizgàh) dalla parte più lirica a quella più espressamente panegiristica della qaside, marcato dalla menzione del per­ sonaggio lodato, nella fattispecie il sovrano di Shiraz Abu Eshaq lnju (I331-57). v. 20 Si tratta propriamente di due stelle, in persiano chiamate/arqaddn , della costellazione dell'Orsa Minore. L'immagine del lodato che scala il cie­ lo, per noi certo esageratamente iperbolica, ha qui sullo sfondo il celebre mi'rdj o ascensione celeste di Maometto, cui implicitamente il personaggio è accostato. v. 21 Il personaggio lodato è paragonato a tale Mahmud Shiìh, forse un antenato della stirpe locale; ma potrebbe anche trattarsi del celeberrimo sul­ tano Mahmud di Ghazna, autore di grandi campagne di conquista in India. Seguo nel secondo emistichio la lezione di Sudi. L'originale per «awampan­ te» (dah zabàn) significherebbe alla lettera «con dieci lingue», owero un fuo­ co con dieci vampe o fiamme. v. 23 Continuando nelle sue sperticate lodi al patrono, qui il poeta im­ magina che il sole (la «sposa d'Oriente») resti come folgorato sul posto e ver­ gognoso di fronte alla "luminosità" della mente di lui, non riuscendo quasi a continuare il suo cammino verso Occidente, qui alluso dalla città maghrebi­ na di Qayrawan. v. 26 Encomio iperbolico con elegante allusione astrologica alla costella­ zione dei Gemelli. v. 28 Continuando la serie dei suoi iperbolici paragoni a base astrologica, qui Hafez accosta il cavallo del patrono al " cavallo " del cielo, owero della pri­ ma sfera che, alla vista della bellezza del primo, uscirebbe dal proprio trac­ ciato per innalzarsi verso spazi siderali. v. 29 Si alluderebbe - secondo Sudi - alle difficoltà e tribolazioni che pre­ cedettero l'ascesa al trono del personaggio lodato, astrologicamente posto sotto la guida di Giove. vv. 30-31 Il regale patrono attraverso le «prove» (emtehàn) sperimentate è assurto anche a modello di perfezione spirituale (cfr. le speculazioni della gnosi islamica medievale sull'Uomo Perfetto). Secondo Sudi, nel secondo verso vi sarebbe una implicita sovrapposizione tra la figura del patrono e quella del libro sacro, ossia il Corano, che nessuna umana investigazione/esa­ me (ancora emtehdn) può comprendere fino in fondo.

303

v. 32 Attraverso la fantasiosa immagine dello zucchero viene ribadita l'i­ dea (cfr. v. 30) che solo attraverso la sofferenza della prova, ovvero un' «asce­ si» (riydzat) , si raggiunge la perfezione. v. 33 Nel secondo emistichio in Sudi si ha: «se stesso osserva/conosce» (be­ khwish benegaradJ al posto di «dapprima [bene] osserva» (nokhost benegarad). v. 35 Si allude probabilmente alla preghiera del mattino che il personag­ gio lodato - sovrano di Shiraz, ma anche poco prima gratificato di un titolo religioso come sheykh - piamente e regolarmente compirebbe, beneficando il mondo. vv. 36-38 Versi di sapore tipicamente proverbiale che riflettono l'antica sapienza popolare persiana, giunta attraverso anonimi repertori e "libri di consigli" o "libri di saggezza " sino all'epoca islamica. v. 39 Ovvero - interpreta Sudi - la sua stessa impudenza/temerarietà (go­ stdkhi) gli si ritorcerà contro. Sembra un'allusione, per noi alquanto oscura, a un qualche nemico del sovrano e patrono qui lodato. v. 40 In Sudi nel primo emistichio si legge: «Benché costui abbia parlato contro . . . ». v. 41 Si tenga presente che la costellazione di Arturo viene qui interpre­ tata come un cavaliere con la lancia pronta a colpire, donde l'immagine. v. 42 Seguo nel secondo emistichio la lezione di Sudi, che ha «spiri­ to»l«anima» (jdn) al posto di «azione» (kdr) dell'edizione Pizhman. v. 43 Dopo aver lodato il re di Shiraz, nell'ultimo verso Hàfez, che si sentì già in vita il "re dei poeti " , si produce in questo autoencomio che accenna al motivo - ricorrente nel Canzoniere - dell'immensa notorietà della sua poesia in ogni terra dell'Oriente musulmano. Interessante anche la variante che vuo­ le «Vertice dei sovrani della parola/poesia (sar-e moluk-e sokhan) è Hàfez, per questo ognora l egli con la spada di poesia la distesa dell'espressione [poeti­ ca] ( 'arse-ye baydn) si prende/conquista».

4 Qaside in lode del visir Turanshah p 868 Il cuore ho sconvolto, sotto i piedi gettato dalla mano di Passione poiché, in verità, nessuno di questo mio intimo stato è al corrente Il cuore ho angustiato, e la mente è spezzata come anello di mim la schiena ho incurvata, acciaccata, ridotta per l'affanno a una dal 3 04

ll mio corpo dal lamento s'è smagrito come capello nel giro della Ruota che inganna il cuore, per l'angoscia del Tempo e pel pianto, simile s'è fatto a una misera canna

Il fuoco di Passione ha donato al vento !'"acqua" del mio volto come polvere della via io umile, sino a farmi calpestare, mi resi ! Avevo io la figura eretta, come una alefben diritta ora pel tormento degli anni s'è fatta ricurva come dal Son finito con la testa nel laccio, prigioniero dai piedi in catene per la mano vessatrice del Tempo, sì, incostante come gazzella! Io son prigioniero tra le mani del dolore del Tempo come una pernice ch'è finita nell'artiglio di un'aquila! Dalla tirannia della Ruota notte e giorno venire vessato: fu mio destino la sorte assegnatami da un cielo sì vile fu di affannarmi per mesi e anni Dalla mia patria son finito in esilio, e in modo siffatto che non posseggo al mondo un soldo di capitali o beni Non posso intraprendere il viaggio così ch'io ritorni nella patria mia son rimasto povero e impotente, come uccello privato di ali e piume

10

Straniero, indigente io sono, bisognoso di tutto in estranea città né in alcun modo dalla gente m'attendo che a me rivolga domande Aspettarsi, dal mondo, dell'altro che offesa e oppressione: oh, vana fantasia è questa dawero, oh, assurdo pensiero ! Ma ecco, la sposa dell'indole mia, dalle segrete stanze del cuore mi disse: «Esiste sì, eccome, la sorgente di ogni virtù, il mare di grazia e eccellenza! È l'augusto Asaf di quest'epoca, la Gloria della Fede e del Regno, cui in questo mondo non fu mai, ne può essere, il simile o l'uguale:

dall'alta ambizione, l'assoluta eminenza, il valore sublime le fauste stelle, il volto beato, l'oroscopo ognora propizio»

15

Alla lode del signore di questo Tempo come posso schiudere il labbro, se la casa del suo pensiero eccelso l'eguale non ha? Al momento d'esser generosi, aprendo le due mani di grazia e munificenza, egli sa liberare l'esistenza di chi umile chiede dall'onta di dover domandare Quest'alto cielo sia sempre il tuo servo obbediente, o mio diletto signore, nunzio e messaggero di buone nuove, ché fortunato felice appagato tu sei ! La rovina sia sempre il solo destino dei nemici tuoi tutti al tuo trono e rango mai di decadenza giunga un segnale! Note v. 1 Gioco di parole tra «mano» (dast) e «piede» (pd) che si sostiene sul­ la personificazione di un concetto astratto, passione/pena (gham) . v. 2 Giochi d i parola che si basano sulla forma grafica delle due lettere dell'alfabeto arabo nominate (corrispondenti, rispettivamente, a una " m " e a una " d " ) (cfr. anche v. 5). v. 3 L'immagine fondamentalmente pessimista della «ruota» (carkh , ripe­ tuto al v. 8) associata alla sfera celeste, o all'idea di tempo/ destino inganne­ vole (cfr. anche w. 6-7) , è tradizionale e ampiamente diffusa nei canzonieri persiani. v. 4 Si noti, altro topos convenzionale, come nel giro di un verso si nomi­ nino tutti e quattro gli elementi empedoclei. vv. 9-n Versi che - se è autentico il componimento - potrebbero allude­ re al temporaneo esilio determinato da dissapori con il signore della città di Shiraz, re Shojà', di cui Turànshàh fu un visir. Il poeta qui implorerebbe l'in­ tercessione e i buoni uffici del potente ministro. v. 13 L'espressione «la sposa dell'indole mia» ( 'arus-e tab'-am) allude qui a una sorta di ispirazione prowidenziale che soccorre il poeta in difficoltà, lo conforta e consiglia come farebbe una «sposa» nell'intimità. Ma si osservi che il termine tab' indica anche l'indole o estro poetico. v. 14 L'espressione «gloria della fede» (jaldl od-din) contiene un'abile ci­ tazione del nome del personaggio qui lodato, il visir Jalàl od-din Turànshàh, cui il componimento è dedicato. Questo verso di passaggio serve a introdur­ re il crescendo delle lodi finali. v. 17 Secondo una prassi collaudata, con un abile giro di parole, il poeta fa intendere al destinatario di aspettarsi un concreto aiuto.

306

5 Tarkib-band in lode di re Naser od-din p 865 Il mio cuore sempre del tuo labbro desiderio ha O mio Dio ! Del tuo labbro sì, oh quanta voglia ha!

r.

La mia anima, bevanda d'affetto e vino di desiderio [di te] , nel calice del cuore suo continuamente ha! Il tormento dei riccioli dell'amato senza tregua nella rete di questa mia angoscia dimora ha! Per dare la caccia a un cuore, così per scherzare, lui sulla rosa del volto la rete di violette dei riccioli ha ! Avverrà mai ch'io venga a sapere quel mio rubacuori qual nome ha? Con l'amico quando mai starà colui che ognora di nobili e vili pensiero ha? Oh, cuore felice davvero è quello di chi sempre intimo colloquio con l'amico ha! Quando il vino è dolce e pure il convito, Hafez ecco, davvero tutti gli strumenti della Gioia ha! Siediti e di' addio a questa esistenza ! Alzati e solleva la testa in Ebbrezza! O coppiere, se una voglia ti giunga passeggera non far che portare del vino presso un volto di luna 2.

Il tappeto da preghiera e il saio, alla taverna rivendili, e un bel sorso procurati di vino! 3 07

Se il cuore hai vivo ancora, ascolta dagli ebbri nel giardino dell'anima il grido: o Tu, Vivente ! Col dolore dell'Entra! sperando nella medicina, preso d'Amore, considera i Due Mondi un'inezia ! I segreti del cuore sulla via d'Amore son più nobili di mille Hatem di Tayy Il sovrano di virtù, quell'idolo dal volto di fata viene, e la gente della città dietro di lui incede Tutti sono ansiosi di vedere il suo volto leggiadro e, vergognosi, dalle guance loro scende il sudore L'amante quanto ancora gemerà per passione di te? E io infine, con questo cuore a pezzi: fino a quando? Mi fermerò e m'adatterò alla tua passione la mia vita giocherò nell'impresa d'Amore 3· Una luna come te il cielo non ce l'ha un cipresso come te il giardino non ce l'ha

Il sole ho confrontato con il volto tuo: sì, è bello, ma tanto splendore non ha! Come potrei raccontare della tua sublime Bellezza che di alcuna qualità un segnale visibile mai ha? Stupefatto io sono ché nessuna descrizione del tuo bel volto adeguate espressioni ha Ogni cuore che non t'ami dal fondo dell'anima sappi per certo che un'anima no, non ce l'ha ! L'uccello che verso di te s'è in volo levato desiderio di tornare al suo nido più non ha 308

Per trafiggere il mio cuore, oh, quale freccia è mai che l'arco del tuo sopracciglio incoccata non ha! Il tuo occhio uno sguardo su di noi non gettò: già ebbro com'è, desiderio del mondo non ha Il guardato è lui, principe dei principi ma sdegnoso: no, di noi dal cuore spezzato cura davvero non ha! Sovrano di questo tempo è Nàser od-din ben saldo è lui in tanta gloria e maestà ! Un re che della Fede e del Regno rifugio è degno non di una sola, ma di mille lodi egli è !



È l a primizia, lui, d i u n regale nobilissimo casato aulente mazzolino del giardino della Fede egli è!

Dello stesso seme del re dei re di questo tempo dello stesso conio del califfo della terra egli è! Gli effetti e le prove della sua beata letizia brillano come la luce che sulla sua fronte è Nel sigillo è nascosta la sua potenza la stessa ruota celeste nel suo anello è ! L a sua spada, tra l a Fede e l'Empietà è quale barriera, ma tutta di ferro è! Il calamo dalla sua mano fa piovere perle la sua scimitarra, di tanto braccio degna è! 5 · O tu, ombra della stessa Divina Misericordia O tu, bel germoglio del giardino della regalità !

Mai, all'altezza delle tue virtù un cipresso ebbe a crescere dal giardino della regalità ! 309

Nella sfera della Bellezza tu sei il sole nella costellazione di Gloria tu sei luna Da quel Dio ch'è ineffabile ho implorato la Fortuna su di te con preghiera all'alba Nel nome tuo nobile sono stati sigillati i decreti coi tuoi ordini e i tuoi dinieghi Della tua Sovranità, direttamente, la tua stessa autorità ci dà prova Il tuo solo nome, è ben certo, diffonde la tua fama dal Pesce sino alla Luna! La sfera celeste che tante finezze ha prodotto una perla come te però non l'ha nel suo seno 6. Oh, la veste di gala del Regno su di te è bella oh, la luna nuova della Fortuna per te risplende

La sposa novella del Regno s'è davvero innamorata dell'aspetto e delle tue qualità ! Le luci dello splendore della Sovranità pel volto tuo benedetto si manifestano Per la statura eccelsa della tua maestà, corta ci appare la [veste di] seta azzurra del cielo ! Passò il suono della voce della tua Giustizia ben al di là del tetto della nona sfera celeste Alla Felicità dei tuoi conviti il sole ogni istante un calice leva di vino E per ammirare il volto tuo benedetto di proposito il narciso si fece tutt'occhi ! 3 10

Per compiacerti, tutta obbediente, la lucida perla s'è fatta luminosa! Nel tuo castello il cielo si fa umile soglia Saturno alla tua porta s'è fatto guardiano! Finché vita sia, Iddio sia l'amico tuo altro tu non abbia che il puro Piacere



Ogni desiderio che ti giunga nel cuore il Tempo ti metta, realizzato, al fianco ! Il favore dell'amico sia alla tua destra l'aiuto del confidente alla tua sinistra ! La Vittoria (che mai da te sia disgiunta ! ) l'ausilio tuo infimo sia in ogni battaglia ! La Buona Sorte (che con te per sempre rimanga ! ) al tuo banchetto sia qual servo ch'è dato in pegno Adorno come un paradiso è il mondo per lo zelo della spada tua rilucente! Finché la Sfera è al suo posto, il giro è il tuo giro finché il Mondo è in piedi, l'azione è la tua azione In eterno, con l'aiuto di tanto onore e gloria, sian per te le cose tutte al posto loro, quiete Tranquilli come Hafez sono i tuoi sudditi all'ombra della tua Fortuna, ognor propizia L'opera tua sia intenta a proteggere il Regno e la Fede oh, fintanto che vita a noi sia, così per sempre tutto sia!

3 II

Note I , v. I Il componimento di carattere strofico si apre con una lode dell'a­ mato in cui è facile in trasparenza vedere la figura del lodato, il quale dunque è tipicamente descritto sfruttando due paradigmi, quello della regalità e quel­ lo dell'amore. I , v. 3 Si noti l'implicito accostamento tra la «rete» (ddm) d'angoscia del­ l' amante e quella dei riccioli dell'amato. I , v. 4 Si notino le tradizionali equazioni d'immagini: rosa (gol) volto e violetta (bana/she) chioma. I , vv 8-9 I due termini marcati con la maiuscola, «ebbrezza» (masti) e «gioia» (tarab) , appartengono a quel gergo intrinsecamente ambiguo in cui si fondono l'eros mistico e quello profano, piaceri mondani e spirituali bea­ titudini. 2, v. 2 Qui è il motivo del "baratto della taverna " : il sufi bigotto è pole­ micamente invitato a lasciare i segni di una fede ipocritamente vissuta (il saio e il tappetino da preghiera) per inebriarsi col vino dell'amore. 2, v. 3 «Vivente» (hayy) è uno degli attributi del Dio coranico. 2, v. 4 Il grido «entra ! » (dard) , idealmente completabile con un "in te stes­ so" o un "nella taverna d'Amore " , è una espressione diventata un topos di tut­ ta la poesia mistica persiana, di solito alludente a mistiche esplorazioni. 2, v. 5 Nome di personaggio leggendario dell'Arabia preislamica citato di norma come esempio proverbiale di nobiltà d'animo e di generosità. 2, vv 6-7 C'è qui un primo accenno alla figura del patrono lodato nel componimento. 3, vv 3-4 Si osservi come il personaggio lodato venga qui descritto quasi in termini teologici: poiché Dio non ha «qualità» visibili ovvero percepibili all'umano intelletto, la sua «descrizione» compiuta è al di là delle umane ca­ pacità di espressione. 3, v. 10 Qui compare il nome del lodato, personaggio non facilmente iden­ tificabile, descritto, come si vede al verso precedente, secondo gli stilemi del "bel neghittoso" , che sdegna i suoi spasimanti. Potrebbe trattarsi di re Nosrat od-din Yahya (I387-93) di Yazd (Nosrat ha la stessa radice di Naser, significan­ do "sostegno" o "vittoria" ) , uno degli ultimi sovrani Mozaffaridi, ormai alla vi­ gilia dell'invasione timuride. Il termine nosrat compare alla strofa 7, 4· 4, v. I Qui è convenzionalmente descritta la duplice funzione del sovrano ideale, talora richiamata anche nella titolazione ufficiale che seguiva il nome con espressioni del tipo "spada della fede" , "sostegno del regno " e simili (cfr. anche strofa 4, 6, dove si fa più esplicito riferimento alla sua funzione di di­ fensore dell'ortodossia anche in chiave antiereticale, e il verso conclusivo). 4 , v. 5 Il sigillo richiama il motivo del " sigillo di Salomone" (cfr. nota al ghazal 89, 3); l'anello e la sfera sono qui accostati, in virtù della comune for=

=

.

.

.

3 12

ma, a sottolineare iperbolicamente la " cosmicità " del potere del personaggio lodato. 4, v. 7 Le «perle» (dorr) alludono alle parole scritte sui decreti dalla pen­ na dell'augusto personaggio e forse, più sottilmente, al compenso che il poe­ ta s'attende. 5, vv 1-3 Continua la serie delle lodi al sovrano, di cui si sottolinea anco­ ra il pendant teologico attraverso termini che rimandano ad attributi o qua­ lità divine (misericordia, bellezza, gloria). 5, v. 7 La figura del pesce (mdhi) appartiene alla cosmogonia tradiziona­ le iranica e qui entra in un abusato gioco di parole con la luna (mah). 6, v. 5 Si ricordi che la «giustizia» ( 'ad[) è virtù islamica tipicamente asso­ ciata al sovrano pio e dunque normalmente richiamata in questo genere di componimenti. 6, vv 7-8 Due tipiche eziologie fantastiche, figura ampiamente usata dai lirici persiani. 6, v. 9 Immagini esagerate di questo tipo sono normali nei panegirici per­ siani, in cui spesso si sottolinea la proiezione "cosmica" della regalità del per­ sonaggio lodato. 7, v. 4 Cfr. nota alla strofa 3, IO. 7, v. 9 Si richiama ancora (cfr. 5, 4; 6, I; 7, 5) la buona sorte o «fortuna» (bakht) del sovrano, che assiduamente lo assiste e protegge (cfr. nota al gha­ .

.

zal z, 6).

313

Quartine

I

Su prenditi quel vino ... p 741 Su, prenditi quel vino che suscita Gioia e qui vieni ! Di nascosto dal vile guardiano, via fuggi e qui vieni ! Non ascoltare i discorsi del nemico: sta' qui, non andare! Piuttosto ascolta questo che ti dico: alzati e vieni ! Note v. 1 La «gioia» (tarab) è in Hafez parola chiave di un ambiguo gergo mi­ stico-edonistico. vv. 2-3 Il «guardiano» (raqib) o «nemico» (khasm) è la solita figura d'osta­ colo che si frappone tra il poeta e il vino o l'amato (cfr. nota al ghaza/ 23, 5).

2 Una bellezza qual luna ... P 744 Una bellezza qual luna, come cipresso slanciata con lo specchio in mano, s'andava ornando il bel volto Io un vassoietto di dolci primizie le porsi, e mi disse: «Cerchi l'Unione con me: ma cosa mai ti viene in mente !»

3 14

Note È uno dei rari componimenti in Hafez in cui l'oggetto del vagheggiamento amoroso sembra, con ragionevole probabilità, di sesso femminile.

3 Io la mano misi alla cintura ... P 747 Io la mano misi alla cintura che tu porti alla vita 12 ensando che lì in mezzo qualcosa deve esserci ! E chiaro che cosa rinserra nel mezzo la tua cintura oh, quale vantaggio potrò avere mai da codesta cintura? Note La quartina, dal senso alquanto malizioso, è giocata sui vari significati di miyan , che è " cintura" e anche "vita " , owero designa ciò che sta in "mezzo " . S i tenga presente che convenzionalmente l a vita dell'amato è supposta essere sottilissima (come un capello, si legge spesso) , perciò in realtà sotto la cintu­ ra dell'amato potrebbe anche non esservi nulla.

4 Oh, quella mia luna ... p 748 Oh, quella mia luna il cui volto rubò la luce del sole, ebbene: la "polvere" di tenera peluria ha circondato la fonte di Kawthar ! I cuori, tutti, li ha gettati in fondo al pozzo del suo bel mento quindi l'apertura del pozzo ha richiuso con l'ambra [dei riccioli] !

Note v. 2 Ossia la peluria di barba incipiente è comparsa intorno alla bocca, qui paragonata alla fonte paradisiaca del Kawthar cui si dissetano i beati. vv. 3-4 La fossetta del mento è convenzionalmente paragonata a un poz­ zo-prigione in cui inevitabilmente precipitano gli innamorati.

5 Tu sei luna piena P 749 Tu sei luna piena e il sole s'è fatto tuo servo devoto da quando s'è fatto tuo servo, ha preso a dar luce poiché, in verità, è pei raggi della luce del tuo volto che il sole s'è fatto splendente e la luna rilucente! Note La «luna piena» è il volto dell'amato che "presta" luce persino al sole. Si trat­ ta di una convenzionale eziologia fantastica, uno degli artifici retorici più usa­ ti dai lirici persiani.

6 Dissi: cos'è il tuo labbro ? p 750 Dissi: cos'è il tuo labbro? Rispose: è l'Acqua di Vita! Dissi: e la tua bocca? Rispose: oh, granello di zucchero ! Dissi: e il tuo messaggio? Rispose: Hafez l'ha detto: nella preghiera è la felicità di coloro che parlan sottile !

Note La quartina adotta lo schema dialogico tra l'amante e l'amato detto so 'dl o javdb («domanda e risposta») , frequente anche nei ghazal del Canzoniere. v. 2 Anche la bocca, così come la vita dell'amato (cfr. note alla quartina P 747), è immaginata piccolissima, al limite come un punto che, secondo certi manuali retorici medievali, alluderebbe al mistero del tawhtd (l'unità divina). v. 3 In alternativa si legge in Sudi: «Dissi: Hafez ha detto il tuo [stesso] discorso/messaggio (sokhan)». In questo caso il quarto verso (in realtà emi­ stichio) costituirebbe il testo della risposta dell'amato. v. 4 Quel «coloro che parlan sottile» Uati/e-guydn) è espressione che si ri­ ferisce agli amanti, in particolare qui al poeta-amante, e implica l'idea di un linguaggio amoroso iniziati co che solo l'amato può comprendere. Si osservi la proiezione semantica in direzione mistico-religiosa ottenuta attraverso un termine tecnico del lessico islamico, «preghiera» (saldt) , che designa la pre­ ghiera canonica dei musulmani; lo stesso termine lati/e (sottigliezza) in con­ testo mistico può alludere a interiori rivelazioni.

7 Quando il germoglio di rosa ... p 751 Quando il germoglio di rosa ha svuotato il fiasco [di vino] il narciso, pel desiderio di vino, assume la forma del calice Libero dawero è il cuore di colui, che, come gli amanti, anche al solo desiderio di taverna dondola lieto la testa! Note vv. 1-2 Ossia - interpreta Sudi - si è trasformato in bel fiore completo e colorito. Fuor di metafora: l'occhio dell'amante si bea della bella bocca (ros­ sa come vino o rosa) dell'amato. Si tenga presente che la rosa e il narciso pos­ sono essere in persiano metafore convenzionali, rispettivamente, della bocca (o del volto) e dell'occhio. v. 4 Lezione diversa in Sudi, che ha «[colui che .. .] pel desiderio di vino [amoroso] sconvolge la sua casa» (bd sar-e mey, khdne-baranddz shavad al po­ sto di ham dar sa r-e meykhdne sar-anddz shavad) , owero butta all'aria tutto co­ me fanno gli amanti che han deciso di dedicarsi solo all'amore.

8 Col vino p 753 Col vino sulla riva di un ruscello s'ha da restare e in tal modo dai nostri tormenti alla larga restare Il tempo di questa esistenza è come i dieci giorni d'un fiore: sorridenti le labbra, lieto il viso: così s'ha da restare !

9 Da quest'alta sfera p 75 5 D a quest'alta Sfera, comunque vada, continua a sperare e pur trema o tu, pel giro del Tempo, così come il salice Mi dicesti: dopo il nero, non esiste un altro colore! Allora dimmi: perché i miei neri capelli ora son bianchi? Note v. 2 v. 3

Qui si allude al tempo/destino (ruzgdr) . Ossia non v'è colore migliore del nero.

IO

Né il regno del mondo vale p 757 Né il regno del mondo vale tanta oppressione né l'agio nella vita vale tanta apprensione Né settemila anni di felicità qui nel mondo valgon la pena di questi sette giorni di vessazione

...

Note v. I Ossia neppure possedere e regnare sul mondo intero sarebbe com­ penso adeguato alle sofferenze e ai disagi dell'esistenza. v. 4 Ossia i «sette giorni» della breve vita che ci è concessa.

II

Acque di diluvio P 759 Acque di diluvio invasero le rovine della nostra esistenza e prese a empirsene la coppa della nostra esistenza Su svegliati, mio caro, ché pian piano trascina via Tutto, il facchino dd Tempo, dalla casa dell'esistenza Note v. I

Ossia - secondo Sudi - il diluvio delle umane sofferenze.

O amico, sottrai il tuo volto all'offesa del nemico e con volto giocondo beviti il limpido vino! Con i sapienti confidati pure, liberamente dai non iniziati ritira il lembo della tua veste!

3 19

Note v. 3 All a lettera si dice qualcosa come «apriti il colletto» della veste, ov­ vero sii a tuo agio e confidati pure tranquillamente. vv. 3-4 Ossia: allontanati dagli ignoranti. I «non iniziati» (nd-ahl) , qui op­ posti ai «sapienti» (ahl-e honar) , sono in generale gli ignari dell'ebbrezza bac­ chico-amorosa, che qui sembra assumere connotazioni vistosamente gnosti­ cheggianti.

13

Nel giardino p 7 67 Nel giardino, quando la brezza di Zefiro fece da balia alla rosa, come abile acconciatrice di spose, tutta per bene adornò la rosa Se all'ombra un rifugio dal sole tu desideri, ebbene cercati un viso splendente qual sole e l'ombra di rosa! Note v. 4 Si potrebbe qui intendere l'ombra di un rosaio, ma anche di un bel viso, essendo la rosa in poesia quasi sinonimo del volto amato.

14

Una vita intera . . . p 7 69 Una vita intera dietro allo Scopo vado sciupando e dal giro dei cieli cos'è che mi viene di utile? A chiunque dicessi: «lo ti sono amico devoto !» mi divenne, quegli, nemico (sì bella fortuna ho io ! ) 3 20

15 Dal desiderio di baciarti ... P 77 0 Dal desiderio di baciarti e poterti abbracciare io muoio geloso dell'umido rubino del tuo labbro, io muoio Non voglio allungare la storia, anzi l'accorcio: ritorna qui subito, ché già nell'attesa di te io muoio!

16 Il tuo labbro non ritrarre p 77 1 Il tuo labbro non ritrarre una volta dal labbro del calice se vuoi godere del mondo attraverso il labbro del calice ! Poiché si mescola nella coppa del mondo l'amaro al dolce l'uno al labbro d'amico richiedi, l'altro al labbro del calice!

17 O Zefiro la mia storia ... p 773 O Zefiro, la mia storia a lui - di nascosto - ridilla! Il segreto del mio cuore in cento lingue, a lui solo, ridillo ! Ma in modo tale dillo che lui non s'annoi fagli un discorso e, come per caso, tu dillo! Note v. 1 Ossia all'amato, con cui l'amante parla segretamente o tramite Zefi­ ro messaggero.

3 21

Sudi riporta «ardore»l«bruciore» ( suz ) al posto di «segreto» (serr) . Letteralmente «nel suo mezzo dillo», ossia accennandolo con non­ curanza nel corso di una conversazione. v. 2

v. 4

18 Oh, si vergogna . . . p 774 Oh, si vergogna il timido bocciolo [di rosa] di fronte a te sbigottito e confuso è l'ebbro narciso di fronte a te Come potrebbe ardire, la rosa, con te confrontarsi visto che ha luce dalla luna ma, la luna, l'ha da te? Note Si tenga presente che, nella poesia persiana, il narciso rimanda all'occhio del­ l'amato, la rosa è un equivalente del suo volto (anche "volto di luna" ) . Qui è l'artifizio, caro a Hafez, degli equivalenti metaforici (narciso, rosa) che esco­ no annichiliti e vergognosi dal confronto con l'oggetto (occhio, viso) che es­ si rappresentano (cfr. nota al ghazal 22, s ) .

19 Dicesti: verrò da te P n6 Dicesti: verrò da te, non macerarti in pensieri rallegrati il cuore e disponi a pazienza i pensieri ! Ma dov'è pazienza, cos'è cuore? Quel che chiamano cuore - io dico - non è che un grumo di sangue, e mille pensieri !

3 22

20 Quella coppa ... P 777 Quella coppa che Gioia procura, in questa mano mettila! Quel calice ch'è così bello, qua, in questa mano mettilo ! Quel vino che [nella botte] serpeggia come catena per me reso folle, su presto, in questa mano rimettilo ! Note vv 3-4 Il ribollio del vino che gorgoglia nella botte viene, con ardita e in­ consueta immagine, accostato al rumore di catene con cui si legano i pazzi. Il senso insomma è: sono pazzo, perciò "incatenatemi" col vino ! .

21 Oh, l'ombra del tuo giacinto ... p 77 8 Oh, l'ombra del tuo giacinto di riccioli il gelsomino ha nutrito il rubino del tuo labbro le perle dell'Eden ha nutrito Come il tuo labbro, anche l'anima tua nutrila sempre di quel vino ch'è come spirito puro in botte nutrito Note Pizhman segnala che questa quartina si trova pure nel Canzoniere di Salmàn di Sàve, contemporaneo ammirato da Hàfez. v. 1 Si tenga presente che sia il giacinto (sombo[) che il gelsomino (saman) sono equivalenti dei riccioli o della chioma dell'amato, ma il gelsomino può alludere, come qui, anche al volto amato. v. 2 Le «perle dell'Eden» sarebbero - secondo Sudi - allusione ai denti dell'amato. vv 3-4 Bella assonanza nell'originale tra «vino» (rdh) e «spirito» (ruh ) Se­ guo qui la lezione di Sudi, che ha be-denn («in botte/giara») al posto di be-tan («in corpo») dell'edizione Pizhman. .

.

3 23

22 Colui che ci divide tra inferno e paradiso p 780 Colui che ci divide tra inferno e paradiso e ogni nodo discioglie non può consentire che noi a terra impotenti cadiamo ! Fino a quando - spiegaci - durerà nel mondo la legge del lupo? Spezza le mani al nemico, o tu ['Ali] , che sei il Leone di Dio ! Note v. 3 Letteralmente «rapina da lupo». Quartina di protesta di fronte a Dio - chiamato in causa nei primi due versi - contro l'irrazionalità e l'ingiustizia del mondo, in stile, si direbbe, tipicamente khayyamiano. Il «lupo» è spesso nella poesia persiana una metafora della voracità e della crudeltà del mondo, contro cui qui si invoca l'aiuto di 'Ali, attraverso il suo diffuso epiteto di «leo­ ne di Dio». v. 4 'Ali, genero del profeta Maometto e quarto califfo, è anche cono­ sciuto e spesso menzionato con questo soprannome.

23 Oh, come vorrei p 781

...

Oh, come vorrei che Fortuna un poco mi aiutasse e l'amico di fronte all'ingiuria del Tempo mi soccorresse! Or che ha sottratto le briglie alla mano della mia gioventù la triste vecchiaia, vorrei almeno come le staffe mi sorreggesse Note v. 4 C'è qui un'anfibologia, non facilmente traducibile, sulla parola pay­ dari, che vale " durata" o "stabilità " , ma è etimologicamente "tenere/reggere

il piede " . Insomma, il poeta ormai anziano si augura che la vecchiaia - para­ gonata a un cavaliere che ha strappato le «briglie» ( 'enan) al cavaliere prece3 24-

dente, ossia la gioventù - almeno lo conservi a lungo porgendogli il sostegno delle sue «staffe» (rekdb).

24

Con l'amico scherzoso p 782

...

Con l'amico scherzoso e birichino, al suono di cetre e di flauti, in angolino tranquillo, con animo sgombro e un calice [in mano] , mentre col vino si vanno scaldando i nervi e il sangue a noi tutti più con alcuno non siamo obbligati, neppure con Hatem di Tayy ! Note v. 4 Nome di un leggendario personaggio arabo dell'epoca preislamica dal proverbiale senso di ospitalità e generosità.

Frammenti

I

Sii il giudice di te stesso P 67 6 Su F 9 Tu, del bene e del male ch'è in te, a te stesso domanda perché mai avresti bisogno di un altro inquisitore? Colui che teme Iddio, Egli lo aiuta e quando ormai dispera, a lui provvede Note I versi in corsivo sono in arabo nell'originale.

2

In morte di Baha od-din P 677 Su F 3 o Splendore di Verità e Fede - bella sia la sua dimora! Imam [fu] della Sunna e maestro della Comunità Andandosene per sempre dal mondo, questi versi recitava a gente d'assoluta eccellenza e ai seguaci della virtù: «Con l'obbedienza si trova la vicinanza di Dio perciò awiati [sul Suo sentiero] se ne sei capace !»

326

Con queste istruzioni, la data della sua dipartita puoi estrarre dalle parole «vicinanza dell'obbedienza» Note v. 1 Si allude all'ultima dimora, ossia al paradiso. Il nome del personag­ gio commemorato corrisponde al titolo di un'autorità religiosa di Shiraz: Baha od-din splendore/bellezza della fede. Il primo emistichio è in arabo. v. 4 Si tratta di un tipico componimento in morte di un notabile conte­ nente un cronogramma: alle lettere originali che formano l'espressione in cor­ sivo sono associati dei numeri che danno un valore numerico complessivo di 782 (anno dell'Egira). =

3 La poetica ispirazione P 679 Su F2o La poetica ispirazione, all'alba, per eccesso di mia afflizione prese ad aborrirmi e, fuggendo, via da me se n'andava Immaginandosi le terre del Khwarezm e pensando alle rive dell'Oxus tra pianti infiniti, dal regno di Salomone via se n'andava Se n'andò colei che, sola, comprendeva lo spirito della Parola la vedevo sì, e anche dal mio corpo lo spirito se n'andava ! Quando a me la chiamavo: «0 tu, mia antica confidente !» rispondeva aspramente e, col cuore offeso, piangendo se n'andava Mi dicevo: «E ora, chi mai mi rivolgerà una dolce parola in versi?» se colei, dai discorsi di zucchero il canto soave e i dolci accenti, se n'andava! Molto la supplicai: non andartene ! Ma a nulla serviva davvero poiché lo sguardo del sovrano, miseri corde, da lei se n'andava

3 27

O principe, nella tua Grazia e Munificenza, richiamala indietro che farà un cuore riarso che, per sentirsi escluso, via se n'andava?

Note v. 1 Con «poetica ispirazione» s'è resa una espressione che è alla lettera «potenza poetica>> (qovvat-e shd'ere) e che rimanda all'idea tradizionale che il poeta sia un "mago della parola " . v. 2 Il «regno d i Salomone» allude a Shiraz che, tra le righe, il poeta mi­ naccia di abbandonare. v. 3 Ossia: se n'andò la mia poetica ispirazione. vv. 6·7 Versi rivelatori della probabile circostanza della composizione: forse un dissidio o un dissapore tra il poeta e il patrono che provvisoriamen­ te "inaridisce" la sua ispirazione. Sudi suggerisce che il poeta qui si lamenti della scarsa comprensione o insufficiente apprezzamento del suo lavoro a cor­ te, e faccia perciò balenare la possibilità di abbandonarla per lidi migliori.

4 Amore sconvolgente P 68r Misera scintilla della nostra storia d'amore sconvolgente, non più, è quel che sinora [degli amori] di Farhàd e Shirin ci han raccontato Né lunghe ciglia curate, né sguardo di mago mai fecero quel che quei riccioli neri e quel neo muschiato hanno fatto Profumo che rianima possiede la polvere del vicolo dei [belli dal] volto di rosa è da lì che i sapienti, le nari del loro intelletto, di muschio han profumato !

O coppiere versaci il vino, ché al Decreto Primevo non si rimedia: no, non è dato cambiare quello che, allora, han così decretato ! Non guardate, sprezzanti, al boccale d'argilla di [noi] libertini: questi compagni servizio alla Coppa che il mondo riflette hanno prestato !

3 28

O coppiere, un folle come me quando mai potrà stringere al petto la "figlia della vite" se, per dote, la moneta d'intelletto han stabilito? Le creature terrene non furono ammesse a libare con la Coppa dei Nobili: guarda tu, a danno di noi poveri amanti quale sopruso hanno compiuto ! Le piume di corvi e cornacchie non fan la bellezza di reti da caccia semmai un privilegio siffatto a falchi e falconi l'hanno assegnato ! Note Frammento non presente nel commentario di Sudi. v. 1 Coppia protagonista di un celebre esempio di amore impossibile, che forma un episodio narrato nel poema romanzesco Khosrow o Shirin di Neza­ mi. Il tagliapietre Farhad ama in silenzio, ma invano, la principessa armena Shirin, che è a sua volta innamorata del principe iranico Khosrow. v. 3 La polvere "profumata" perché calpestata dai belli è un topos di tut­ ta la lirica persiana. Con «sapienti» ( 'are/tin ) si allude a una forma di sapien­ za esoterico-iniziatica che risulta sempre, nel Canzoniere, connessa con i mi­ steri di Bacco e di Venere. v. 4 Si allude ai decreti di Allah che, secondo le concezioni teologiche cor­ renti, avrebbe tutto stabilito ab aeterno, compresi i destini individuali di cia­ scuna creatura. v. 5 Ancora un'allusione alla magica coppa di Jamshid (cfr. nota al ghazal 96, 3) che, nel gergo della poesia mistica, può alludere anche alla " coppa" del cuore che rispecchia realtà soprannaturali. v. 6 La «figlia della vite» (dokhtar-e raz) è naturalmente il vino, ambito dal 12 oeta che - già folle d'amore - per averla deve dare in dote anche l'intelletto. E uno di quei versi da cui si possono intuire le valenze simboliche del moti­ vo del vino in Hafez e che aprono le porte a interpretazioni in chiave mistica, gnostica ecc. v. 7 L'espressione, in arabo nell'originale, «coppa dei nobili» (kds al-ki­ ram) può essere intesa come allusione al vino d'amore che l'amato (terreno o celeste che sia) lesina ai suoi innamorati. v. 8 Potrebbe essere qui un velato rimprovero all'amato (il patrono?) che si contenterebbe di " amanti" da poco (corvi e cornacchie), invece di deside­ rare prede pregiate come il poeta, che implicitamente si paragona a falchi e falconi.

3 29

5 Sull'accecamento di re Mobàrez od-din P 682 Su F I Non riporre il cuore in questo mondo o i suoi strumenti ché in esso nessuno mai conobbe fedeltà [alle promesse] Nessuno mai il miele assaggiò di questa "bottega" , senza subirne punture né un filo d'erba alcuno mai colse da questo giardino, senza provarne le spine ! Qualunque lampada [al mondo] un dì s'accendesse, dopo avere brillato per bene, ecco, un vento la spense Chi spensierato ripose il suo cuore nel mondo se guardi, non fece che nutrire il proprio nemico ! Il sovrano razziatore, il principe conquistatore del mondo colui dalla cui spada ognora gocciolava il sangue [nemico] , Che ora un esercito con un solo attacco distruggeva ora, con un grido, il cuore di un'armata lacerava, Colui per timore del quale la leonessa abbandonava i piccoli solo che udisse nel deserto il suo augusto nome rimbombare, Colui che, senza dar conto, i maggiorenti imprigionava e ai colli altrui, senza una parola, la testa mozzava, Proprio quando infine Tabriz e Shiraz e l'Iraq intero aveva a sé soggiogati, ebbene, giunse a lui la sua ora: Quel figlio, i cui occhi spalancati sul mondo per lui erano luminosi, venne a conficcare uno spillo negli occhi del padre, specchi del mondo !

330

Note vv. 1-2 Versi di tipico sapore gnomico-sapienziale diffusi, si può dire, in ogni canzoniere persiano. v. 6 L'originale per «cuore d'armata» (qalb-gah) designa propriamente il centro dello schieramento in armi, ove si trovano il principe e i suoi generali. v. 8 Pare che il personaggio in questione, principe bigotto e severo cen­ sore, solesse interrompere la lettura del Corano per eseguire personalmente la decapitazione di ribelli e malfattori. v. 10 Il fatto accadde veramente. Proprio in tal modo il figlio Shojiì.' (pro­ tettore delle lettere e patrono dello stesso Hiì.fez) , secondo una crudele con­ suetudine legata alla lotta per la successione al trono, mise fuori gioco il pa­ dre Mobiì.rez od- din nell'anno 760 dell'Egira.

6 Richiesta di onorario P 68 3 Su F8 All'orecchio di Sua Eccellenza pòrtati, o amico che il giusto momento conosci, magari in un qualche luogo discreto, ove Zefiro medesimo sia come un estraneo E una sottile facezia metti tra voi due, fallo ridere con un'arguzia per cui il suo cuore subito s'allegri E a quel punto, a Sua Grazia generosa chiedi: «Se vi domando l'onorario, m'è cosa lecita?» Note In forma arguta Hiì.fez s'immagina di dare consigli ad altrui su come esigere il compenso ai propri servizi di poeta. Insomma, in modo indiretto è il poe­ ta stesso che fa sapere a «sua eccellenza», individuato da Sudi nel visir Qaviì.m od-din (probabile destinatario del messaggio in versi) , che si aspetta un compenso.

33 1

7 In lode di Shah Mansur P 684 Su F5 Il Santo Spirito, quel Sorush fortunato, lassù sulla cupola di azzurro smeraldo Diceva all'alba: «0 mio Signore in regno e gloria imperituri, Sul suo trono regale sempre rimanga Mansur il Mozaffaride, figlio di Mohammad ! » Note v. 1 Il «santo spirito» è epiteto di Gabriele, considerato l'angelo della ri­ velazione coranica e qui accostato a Sorush, altro angelo ma di origini antico­ iraniche, spesso invocato come musa dai poeti persiani. v. 3 Dovrebbe trattarsi di uno degli ultimi sovrani della dinastia, che re­ gnò a Shiraz (1388-93) alla vigilia dell'invasione timuride.

8 Data dell'uccisione di Qavam od-din Mohammad Saheb-e 'Eyar P 687 Su F 3 2 Maggior sostegno della Fede e del Regno, alla cui porta si prostrava persino il cielo per baciarne la polvere, Pur lui, con tanta gloria e magnificenza, se n'andò sotto terra uscendo dalla piana dell'esistenza a metà del mese di dhU l-qa'd Da quando nessuno più nutre speranza di liberalità in nessun altro la data della sua morte si trova nelle lettere di "speranza di liberalità" 33 2

Note Altro componimento d'occasione in memoria di un patrono importante - vi­ sir alla corte di Shiraz e predecessore del quasi omonimo Qavam od-din Ha­ san - che contiene nell'ultimo verso un cronogramma da cui si estrae la data in questione: 764 dell'Egira.

9 O supremo Giudice! p 688 O supremo Giudice! Sempre abbia il tuo cielo, bevitore, la sua coppa! Il tuo nemico, dal nero cuore, sia qual tulipano affogato nel sangue ! Ai pinnacoli della reggia della Tua Maestà è un'altezza infinita: ai viandanti dell'Immaginazione mille anni sia dato viaggiare ! O luna dello Zodiaco, la tua casa è occhio e lampada di un mondo [intero] il più limpido vino sia sempre versato nel tuo calice e nella tua coppa! Quando, desiderosa di lodar Ti, Venere inizia il suo canto l'invidioso di Te, ascoltandola, è tutto sospiri e lamenti ! I nove celesti "vassoi" e quella "pagnotta" d'oro e d'argento lassù sul bordo della mensa, di quanto Tu destini non son che leggero spuntino La figlia del mio vergine pensiero l'intima divenne delle Tue lodi la dote di una simile sposa sia consegnata dalla Tua stessa mano! Note Frammento non presente nel commentario di Sudi. v. 1 Nel primo emistichio si allude forse al tramonto, allorché il cielo si ar­ rossa ovvero "si inebria" come un bevitore. Il tulipano è qui soltanto per via della comunanza di colore col sangue e col vino. 333

v. 2 I «viandanti dell'immaginazione» (rahravan-e vahm) alludono, for­ se, ai poeti che attingerebbero le estreme vette celesti. Idea che trova conforto nel diffuso motivo - nella poesia persiana - dell'ispirazione ange­ lica del poeta. vv. 5-6 La «pagnotta» è il sole e i «vassoi» le nove sfere celesti. La «figlia» è la poesia stessa che Hafez - che sapeva a memoria il Corano - collega diret­ tamente alla lode di Dio. I versi conclusivi di questo frammento, che sem­ brava - all'inizio - indirizzato a Dio, si lascerebbero anche leggere in chiave panegiristica: così la «dote» potrebbe essere un elegante e discreto accenno al compenso che il poeta si attende dal patrono di turno.

IO

Data di morte di Khwaje 'Adel P 689 Su F27 Mio fratello Khwaje 'Adel - dolce sia la sua dimora ! dopo cinquantanove anni di terrena esistenza, Partì alla volta del celeste giardino di Rezvan: sia Iddio delle qualità e azioni sue soddisfatto ! Col nome Khalil 'Ade! chiamalo sempre e da qui la data trarrai della sua morte Note v. 1 L'espressione «mio fratello» è qui solo per segnalare l'affetto con cui il personaggio - un notabile di Shiraz non meglio noto - viene ricordato. La «dimora» allude al paradiso. v. 2 Nome del popolare angelo-guardiano del paradiso islamico. v. 3 Qui è il solito cronogramma da cui apprendiamo la data di morte: l'anno 775 dell'Egira. Sudi però al posto di Khalil 'Ade! -ash riporta Khalil 'A del-i, nel qual caso il computo del valore numerico delle lettere darebbe in­ vece l'anno 755·

334

II

Sul perdono P 690 Su Fw A te voglio leggere dal libro delle belle virtù qualche versetto circa la Fedeltà e il Perdono

A chiunque ti strazi il fegato offendendoti, tu qual miniera generosa, l'oro regalagli ! Non essere da meno di un albero che l'ombra sua dona: a chi pietre ti lancia addosso tu contraccambia con frutti ! Dalla conchiglia apprendi il segreto di Mitezza: a chi ti tagli la testa, tu regalagli pure la perla!

Note Si direbbe quasi una poesia ispirata all'evangelico " porgere l 'altra guancia " . M a il Corano (XLI, 34; XXIII, 96) i n realtà v a anche a l d i là, prescriven do di ricambiare una malazione altrui con una migliore, come viene qui bene esemplificato.

12 Dell'hashish P 691 Su F 3 5 Di quei verdi semi [di hashish] mastica pure: così leggero rende lo spirito che chiunque ne mangi un granello si sentirà d'infilzare Simurgh allo spiedo ! Di quel bocconcino che spedisce il sufi nell'estasi gnostica una briciola basta per cento ebbrezze, un seme per [sentirsi come] cento Simurgh !

33 5

Note L'hashish come mezzo per produrre stati estatici sembra avere avuto una qualche diffusione in certi ambienti sufi. Si ricordi che Simurgh, il " re degli uccelli" , è, dalla letteratura persiana preislamica sino all'epopea mistica di orientamento sufi (esemplare il poema spirituale Il verbo degli uccelli di 'Attiìr), un simbolo della potenza divina (cfr. qaside I , 6) .

13 Data di morte di Hajji Qavam od-din Hasan P 694 Su F3 7 Il capo dei razziatori, la fiaccola di conviti e banchetti, amico del fortunato sovrano, era Hiìjji Qaviìm od-din Hasan Il sesto giorno del mese di rih al-awwal, a mezzogiorno di un venerdì, per un decreto del Creatore, il Benevolo, Nell'anno 754 dall'Egira di Muhammad, il migliore degli uomini, col sole nella casa dei Gemelli e la luna nella costellazione della Vergine, L'uccello del suo nobile spirito - quella fenice del nido della Santità se ne volò verso il giardino celeste, via dalla trappola di questa "casa di dolori" Note v. 1 Alla lettera «capo della gente-dei-bottini», ossia dei razziatori, la razzia e l'incursione in campo nemico essendo fin dall'antica poesia araba un motivo di vanto o di lode. Una variante invece vuole «capo degli inturbantati» = i reli­ giosi, i sapienti. Il «fortunato sovrano» (saheb-qeran, letteralmente «signore di fauste congiunzioni astrali») alluderebbe - secondo Sudi - a re Shojiì' sovrano di Shiraz, al cui servizio fu il personaggio in questione, gran patrono di Hiìfez. v. 4 Sottostante è qui l'immagine mitologica dell'uccello-fenice (homa) , che ha il suo nido presso l'albero della vita, variamente ripresa nei canzonie­ ri persiani (cfr. ghazal 37 , 2).

14

Fino a quando? P 69 5 Su F14 In questa casa di tenebre, fino a quando godrò del profumo dell'amico, io, ora sbigottito col dito tra i denti, ora [turbato] con la testa sulle ginocchia? Vieni su, o uccello della Fortuna, recami tu notizie dell'Unione ! Oh, possano esservi giorni che /accian tornare la gente che /u! Note v. 1 Si tratta di due pasture espressive ampiamente documentate anche dall'iconografia. v. 2 Ossia l'«unione» (vas[) con l'amato (o il patrono). Il secondo emisti­ chio è in arabo nell'originale.

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Lagnanza P (s.n.) Su Fr 7 Oh, è spoglio il tuo nobile lignaggio di sentimenti di brama o cupidigia ! Oh, esente la tua indole - benedetta dalle stelle - è da inganno e ipocrisia ! Ma allora come ammettere, in tanta grandezza, che i tuoi favori ritiri da un angelo, per concederli invece a un vero demonio? Note Nell'edizione Pizhman questo componimento non porta, per un'evidente svi­ sta, il numero d'ordine, ma risulta comunque inserito tra i frammenti P 695 e P 696. Ha tutta l'aria di riferirsi a un episodio della vita di corte, e il poeta sembra qui voler perorare la causa di qualcuno (l' «angelo», forse proprio lui stesso) che è stato scalzato dalla precedente posizione di favore a beneficio di qualcun altro che s'è fatto largo senza scrupoli (il «demonio))). 337

16 Fortuna nera P 6 9 6h Su F 3 All'orecchio dell'anima di questo servo un banditore il messaggio gridò da parte di quell'Unica Presenza (non v'è altro dio se non Iddio/):

«0 mio caro, colui che ha avuto in sorte l' abiezione la verità è che neppure a forza otterrà onori e cariche ! » Manco con l'acqua di Zamzam o del Kawthar si può rendere bianco il tappeto della sorte di qualcuno che già fu tessuto in nero colore !

Note v. 1 In Sudi si legge «intelletto» (hush) al posto di «anima» (jdn ). Il «ban­ ditore» (monhi) è qui sinonimo - spiega Sudi - di voce interiore, di ispira­ zione et similia. L'«unica presenza» - cui segue in arabo la formula che espri­ me l'islamica testimonianza di fede - allude ad Allah. v. 3 Zamzam è il nome di una fonte sacra che si trova alla Mecca nell'iti­ nerario dei pellegrini; Kawthar è il nome di una fonte cui si dissetano i beati del paradiso islamico. Il concetto della predestinazione ribadito in questi ver­ si è collegato all'idea - dominante nella teologia musulmana - secondo cui Al­ lah predetermina ab aeterno i destini individuali.

17 Lamento sull'uccisione di Qavam od-din Mohammad Saheb-e 'Eyar P 6 97 Su F7 Se un mendicante tenesse con sé una perla purissima, in verità dalla vergogna il suo viso inondarsi di cerchi di sudore dovrebbe !

E se beffe non si facesse il sole [dell'altre stelle] , la sua coppa dorata perché mai del vino più squisito restar tutta vuota dovrebbe?

E se la Casa del Mondo non nascondesse tanta interna rovina, il suo fondamento di certo più saldo di questo esser dovrebbe! Se il mondo non usasse false monete, le sue faccende alle mani di Asaf, il Saggiatore, affidar si dovrebbe ! Poiché il nostro mondo, oltre quel nobilissimo, nulla più possedeva da parte del mondo una proroga di vita almeno, a colui, si dovrebbe!

Note v. 1 Ossia: dovrebbe sudare per la vergogna di andare ancora mendican­ do. Nel secondo emistichio abbiamo così reso una espressione persiana ­ complicata da immagini geometriche - che si basa sul fatto che "vergogna" si dice in persiano "acqua del viso " (ab-e ru, con riferimento al sudore). v. 2 L'idea espressa nel verso non è molto perspicua; Sudi si limita a chio­ sare: il sole resta senza un goccio di vino perché nessuno glielo vuole versare a causa del suo atteggiamento beffardo. v. 4 Ossia nelle mani del personaggio qui compianto, visir e patrono del poeta, il cui soprannome sdheb-e 'eydr significa appunto il «saggiatore)).

18 Visione P 6 99 Su F1 9 O principe giusto, o cuor-di-leone, o mare generoso ! O tu, la cui gloria di ogni arte e sapienza va ornata ! Su tutti gli orizzonti s'è sparsa e ogni direzione ha conquistato la tua fama di condottiero e il tuo buon nome di re e sultano! Chissà, un ispirato dall'Invisibile t'avrà forse narrato del mio stato presente ovvero di come i miei giorni luminosi si siano fatti qual notte tenebrosa Nel giro di tre anni, quanto accumulai per grazia del re e del suo visir tutto via se lo portò, in un istante, questo cielo con un colpo di mazza !

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Stanotte, in sogno, ecco che vide il mio pensiero: giusto all'alba mi capitava di passare, nascostamente, presso le regali scuderie Legata alla mangiatoia, la mia cavalcatura si pasceva del fieno: [ed ecco, vedendomi] se ne distolse e disse: ma tu mi conosci ! Un'interpretazione, quale che sia, non saprei dare a questo sogno ma dimmela tu che, in quanto a intelletto, non hai dawero rivali ! Note v. 1 La lode sperticata di questo e del successivo verso suonano un po' co­ me abile captatio benevolentiae che precede la delicata questione e la imba­ razzata richiesta di cui è detto alla fine. v. 2 Alla lettera «tua fama degna di un Mas'ud», nome di vari sovrani e, tra gli altri, di un famoso re ghaznavide dell'XI secolo. vv 3-4 Questi versi, insieme all'ultimo, chiariscono circostanze e scopo del componimento. Il cielo è paragonato a un cavaliere-giocatore di polo che colpisce la palla con l'apposita mazza. vv 5-7 Sembra che al poeta fosse stato rubato un cavallo che poi, miste­ riosamente, sarebbe ricomparso nelle stalle regali. Di qui la velata ma chiara richiesta al principe e probabile patrono di disporne la restituzione. .

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O mio sovrano! P 700 Su F16 O mio sovrano, l'esercito della Grazia divina sempre t'accompagna: sorgi dunque, se intendi avviarti alla conquista del mondo intero ! Con sì tanta gloria e magnificenza, dell'avamposto della Regalità sei consapevole, e pur ti degni di servire chi consapevole ha il cuore ! Nonostante i trucchi e gli inganni di questa celeste volta, screziata di ruggine, tu sempre nel bene agisci, te stesso conformando agli intenti della legge divina 340

Colui che sette monete e mezza investendo ne riebbe dieci, gran profitto non fece: ma, per te, l'occasione si dia che con dieci monete ne guadagni sette e mezza! Note v. 1 L'occasione del componimento è fornita evidentemente dall'immi­ nenza di una campagna militare. v. 2 I " cuori consapevoli" (delha-ye agah ) sono i mistici, i sapienti ecc. tra cui implicitamente si colloca il nostro poeta, che pare così, indirettamente, sollecitare la regale munificenza. Sudi ha al posto di «avamposto/primato del regno» (pishgah-e soltanat) l'espressione «avamposto/primato della povertà» (pishgah-e maskanat) , con riferimento all'ambiente dei dervisci e dei sufi. v. 3 La «ruggine» si riferisce al colore di stelle e pianeti che tra puntano il blu del cielo. Si osservi l'opposizione cielo ingannevole/legge divina, in cui la tradizionale antico-iranica visione pessimistica del cosmo è bilanciata dall"' ottimismo " islamico. V'è una elegante citazione coranica e un gioco di parole non riproducibili in traduzione: l'originale per «trucco» (rang) signifi­ ca etimologicamente «colore» e l'espressione tratta dal Corano (II, 138), qui tradotta con «legge divina» (sibghat Allah), alla lettera significa in realtà «tin­ tura di Dio». v. 4 Insomma il sovrano otterrà con la campagna militare cui il poeta lo sta vigorosamente incitando guadagni ben maggiori di quelli che farebbe un mercante qualsiasi.

20 Porta il vino P 701 Su F2 O coppiere, quel vino, quell'elisir di [lunga] vita qui porta così che il mio corpo terreno tu renda davvero immortale ! Gli occhi ho posati sul "cerchio " del calice, l'anima mia sul palmo della mano: sulla testa di Sua Eccellenza lo giuro: se non mi dai quello, non ti prendi questa ! Come pel vento fa la rosa sul prato, o tu, non scrollare la tua veste: ché ai tuoi piedi, io stesso desidero scrollarmi l'anima di dosso ! 341

Coi tuoi strumenti a due e tre corde, o menestrello, accompagna le lodi di quel volto di luna che non ha davvero in bellezza rivali ! Note vv. 1-2 Il vino è accostato all'elisir degli alchimisti e, implicitamente, al­ l' acqua di vita della leggenda islamica di Alessandro, che rende immortale chi la beve o vi si bagna (cfr. nota al ghazal 5, 4). Qui la bellezza idolatrata sem­ bra proprio il coppiere, cui il poeta-amante è disposto a offrire anche la vita in cambio di vino. L'«eccellenza» (khwaje) sembrerebbe alludere al patrono di turno, qui invocato con formula di giuramento per comprovare la sincerità del poeta. v. 3 Ossia: sono pronto a morire dinanzi a te, a offrirti l'anima mia. L'e­ spressione «scrollare la veste» può avere in persiano il significato di liberarsi di qualcuno alquanto bruscamente o sdegnosamente. v. 4 La comparsa del menestrello integra questa breve scena cortigiano­ conviviale e sottolinea, en passant, come la poetica lode potesse facilmente es­ sere accompagnata dalla musica o messa in musica.

21 Messaggio P 7 02 Su F22 Mi mandò proprio oggi, un carissimo amico, questo saluto: «Oh, il prodotto della tua penna è [come] il nero della vista ! Dopo due anni che Fortuna a casa ti riportò perché non esci dalla casa di Sua Eccellenza?» Così gli risposi io, dicendo: «Ti prego di scusarmi questi miei modi non son per capriccio o arroganza L'emissario del giudice sempre in agguato sta al mio passaggio, con la notifica in mano di lagnanze, simile a un serpente impazzito !

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Cosicché, se solo un piede io fuori mettessi dalla soglia del mio signore, quello m'acciufferebbe al volo, per portarmi infamato dritto in prigione! La casa del mio signore è la mia sola fortezza: se mai qui qualcuno ragioni avanzasse per pretese [nei miei confronti] , Con l'aiuto di braccia forzute come quelle dei servi del mio visir a pugni il naso spaccherei a quello scimunito [che m'importuna] ! Sempre il mondo vada secondo i desideri del mio signore, e devota la stessa azzurra Sfera smaltata si accinga sollecita al suo servizio!

Note v. 1 Sudi ha «ieri» (diruz ) al posto di «oggi» (emruz). L'inchiostro della penna o il suo prodotto, ovvero la scrittura, è paragonato al nero della pupil­ la. Non è ben chiaro il senso: forse - se ho ben inteso questo verso, che ha sa­ pore di autoencomio - si vuole iperbolicamente alludere al fatto che la poe­ sia di Hàfez dona o ricrea la vista (bina'i) a chi la legge e assapora. v. 2 L'«eccellenza» (khwaje) è lo stesso visir cui si allude nel penultimo verso. Potrebbe esserci qui un'allusione al breve esilio del poeta da Shiraz, a seguito di forti dissapori col principe o con l'ambiente di corte. Tra le ipote­ si che sono state fatte circa le cause, v'è anche l'accusa di miscredenza o quel­ la di condotta moralmente non irreprensibile. v. 4 Ossia pronto a "mordermi" come un serpente pazzo. Fuor di me­ tafora: a portarmi davanti al giudice a causa delle lagnanze presentate a mio carico da nemici e bacchettoni. vv. 5-7 Sudi avanza qui l'ipotesi che il poeta si riferisse a debiti personali e si trovasse nella necessità di sfuggire ai creditori. v. 8 Espressioni di lode e omaggio iperbolici, consuete nell'encomio di un patrono.

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