Canapa cannabis marijuana. Una pianta antica che può fornire al mondo d'oggi un'alternativa concreta al degrado ambientale e all'inquinamento
 9788883162459, 8883162455

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J, H k Hcrer (1949), da venti anni leader incontestato del movimento di depenalizzazione della cannabis negli Stati Uniti, è il presidente dell'HEMP (Hemp End Marijuana Prohibition). Nel 1985 ha pubblicato il libro culto The Emperor Wears No Clothes, qui tradotto per la prima volta in versione integrale. Vive e lavora a Los Angeles.

Mathias Brbckers (Berlino 1954), giornalista, scrittore, ha curato l'edizione tedesca del libro di Jack Herer, integrandola con alcuni capitoli sulla realtà del suo paese. Nel 1993 ha fondato la "HanfHaus", un product-service per tutti gli interessati all'argomento canapa (sito internet: hitp \\ www HanfHaus. de).

Prefazione

Qyesto libro riguarda una droga, unafamigerata leggera eeforica aggregante vituperata droga che si ricava da una pianta straordinaria e generosa. Una droga leggera, una delle più leggere di tutte, i cui effetti sono molto meno pericolosi di quelli provocati dall'abuso di alcolici o di certi medicinali, per esempio quei tranquillanti ed eccitanti di cui fa un uso massiccio la depressa umanità di fine secolo. Una Jroga leggera che dà appetito a chi non ce l'ha e sollecita in tutti, se non se ne abusa, 1mo stato di eeforia benevolente, segni entrambi di amore per la vita, specialmente per gli anoressici e i malinconici . La pianta è 1,ma delle più antiche, difacile coltivazione, di velocissima crescita e di lei non si butta nulla, tutto serve a qualcosa, infarmacologia, in agricoltura, nell'alimentazione, nella produzione di tessuti, di materiali isolanti. Le sue faglie e i suoi fiori essiccati e sbriciolati, somigliano molto al tabacco e possono essere utilizzati allo stesso modo, cioèfumati . Ed è proprio quest'ultimo modo di utilizzarla che le ha scatenato contro da sessant'anni una campagna intimidatoria, politicoeconomico-culturale e soprattutto poliziesca, che ne ha fatto la pianta più colpevolizzata, anzi demonizzata della storia contemporanea. La pianta è la canapa; la dro9a è la marijuana, è l'hashish . Il libro ci spiega, con dovizia di dati e di riferimenti, i tanti altri usi di questa pianta, a cosa è servita nei secoli e come potrebbe ancora servite oggi e soprattutto in futuro. La canapa è una delle piante più illustri, di quelle con più storia. Lo sapevate che ha dato il nome a un paese, il Ban9ladesh, "terra de9li uomini della canapa"? Che fu in 9ran parte per il controllo della sùa produzione che la Gran Bretagna e la sua colonia - che da lì a poco si sarebbe chiamata Stati Uniti d'America - scesero in guerra? Che le stre9he del Medioevo nefumavano lefo9lie nei loro riti e ne usavano la polvere per medicamenti tramandati nel segreto di tradizioni secolari? Che, per restare in Italia, è stata fino a tempi molto recenti una regina delle colture, produttrice di ricchezza per zone a9ricole popolose, dalla Campania alla Pianura Padana?

In Canapa si parla di botanica, di economia, di storia sociale, di medicina, di chimica, di tecnologia, ma anche di media, perché sul suo derivato, oggi ingiustamente il più noto, la marijuana, si sono prodotti migliaia di articoli, di trasmissioni radiefoniche e te-

lcvisil'c, libri dijìction e di nonjìction, canzoni,Jìlm ... l',,/c la pena ricordare che la canapa è servita, può ancora servire e in certa misura serre ancora a 11si_fondamentali quali: la produzione di carta, e la pianta ha, rispetto agli

alberi, il vantaggio di riprodursi velocemente, di non impoverire il terreno ma al contrario di.fertilizzarlo, di ridurre quindi i guai ecologici che incombono sul pianeta a cominciare dall'effetto serra; la produzione di alimenti, poiché dai s11oi semi si ricava un olio molto pregiato; la produzionejàrmacologica, ché le .me.Ji1lflic sono un ottimo antidepressivo, anti-epilettico e anti-stress; l'industria tessile; la prod11zione di energia ( Ford, proprio lui, quello delle automobili, studiò e propose un 'awo parzialmente prodotta in materiali derivanti dalla canapa efunzionante grazie a co111b11st ihile direttamente derimto da essa); eccetera, eccetera, eccetera. "fotto questo viene ampiamente trattato dagli autori, anche se la ridondanza persuasi1·a della loro lezione può risultare talora iljrutto di una.fede a.rnJ/11ta, che si comprende e giustifica sapendo che della rivalutazione della canapa ai s11oi 11si oggi vietati, essi hannofatto una bandiera, anzi una ragione di vita. Il loro "inno" alla canapa ha due scopi che mi sembrano altamente condivisibili: - ridare alla canapa il posto che deve esser suo nell' equilihrio del pianeta, prefittando delle sue qualità e valorizzando tutte le sue potenzialità - in.Jimzione vuoi economica, tuttaviafondamentale, vuoi medica e vuoi ecolo9ica; - togliere l'interdetta che pesa sulla canapa come materia prima di una droga leggera i wi danni, è ampiamente dimostrato, sono minimi o inesistenti, se non se ne abusa, e minori di quelli del tabacco e dell'alcol. Su quest'ultimo punto mi preme ed è necessario insistere: .rnlf'interdetto legale e morale legato all'uso della marijuana.

li libro è molto preciso nell'indicare le correlazioni che sono esistite dalla metà degli anni Trenta in avanti tra un progetto economico, quello dell'industria chimica legata negli USA ptincipalmente al nome di Du Pont, anzi della società Du Pont nelle sue alleanze e traiformazioni monopolistiche e oligopolistiche, e la politica dell'interdetta. La canapa, base per tessuti di straordinaria resistenza e qualità, era il nemico principale del rayon e del nylon, dalla Du Pont inventati, sperimentati, lanciati e prodotti. alleanza

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con i politici - che allora come oggi, lo sappiamo bene, sono per la gran partefacilmente corrompibili - trovò pretesto dall'uso di marijuana, sino allora tollerato, per bloccare l'industria tutta della canapa. Si scatenò quindi una vera e propria guerra di propaganda in cui Du Pont cercò e trovò (insomma comprò) la solidarietà di Hearst e della sua catena di giornali, e di Hoover, con il suo Fbi, e più tardi quello di quasi tutti i presidenti degli USA, esclusi Roosevelt e Cartcr, e dei più_fanatici destrorsi del paese, per i quali la campagna contro le droghe·

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.fii semplicemente un'anticipazione o una conseguenza o un prolungamento della campa9na contro la sinistra.Vennero allora a9itati 9li spettri del comunismo e delle dro9he, manipolandoli talora abilmente. I.:uso della marijuana, si diceva, veniva favorito dal-

!' Est per corrompere la forte fibra della 9ioventù statunitense, e a dirlo furono persona99i della levatura di Rea9an, Bush, Q_yayle, Mc Carthy, Nixon. 11 loro ricatto è stato variamente subìto da molte forze sociali e soprattutto dai media più controllabili e in.fluenzabili, giornali, reti televisive e case cinematogrqfiche. Sarebbe interessante riesaminare come veniva visto l'uso delle droghe dalla cultura europea e da quella statunitense, per esempio da Hollywood, a partire dalla fine degli anni Cinquanta, all'uscita dalla 9uerrafredda, alla nascita dei nuovi movimenti 9iovani-

li e delle culture della liberazione. Nelfilm forse più bello dedicato all' ar9omento droga, Drugstore Cowboy di Gus Van Sant del 1989, tre 9enerazioni si corifrontavano tra loro: quella dei "padri': mistici della liberazione tramite dro9a, interpretata non a caso dallo stesso William Burrou9hs ( che impersonava un prete spretato proprio per insistere sul le9ame tra la"dilatazione della coscienza tramite dro9a"e l'esperienza religiosa); quella deifi9li, in personata da Matt Dillon, per la quale la droga era ancora una scelta difuoruscita da una società né amabile né amata e dai limiti delle esperienze possibili; irifìne quella che il protagonista chiama dei'Jì9li della televisione"(un cui rappresentante lo ucciderà), bruti consumatori senza più alcuna ideologia o morale, disposti a tutto per una immediata soddiifazione. lo credo che il rappòrto tra la 9ioventù statunitense e la droga sia avvenuto proprio attraverso questi passa99i, ma sono anche convinto che da tutto questo il discorso della marijuana resti in sostanza fuori . 11 suo uso era precedente a questa vicenda e - come questo libro racconta efficacemente - praticato da molte culture e comunque pacificamente accettato all'interno di esse anche da chi non nefaceva uso, proprio perché se ne conosceva la non pericolosità . E poi esso non ha cd_Jàtto ri9uardato solo una parte della generazione dagli anni Sessanta in avanti, ma pressoccbé quella generazione tutta senza ddferenze di ceti e classi, in ra9ione, si può dire, della democraticità di questa droga. !.:hashish e la marijuana assolvono un compito di comunicazione intima e non esprimibile a parole per gruppi di giovani e meno giovani, aprono a scambi solidali e semplici, attenuano tensioni e predispongono a comprensioni, allo "star bene comunitario"... e qui è, oso dire, la loro grandezza e la l~ro forza ( ma ahimé, parlo per esperienze passate, poiché da quando ho smesso di praticare il tabacco, un piacere che non era più un piacere ma una condanna, non sono più riuscito afumare di niente!). Ed è quanto mai abusiva efittizia l'ipocrita, i9norante e mpeificiale idea di coloro che sosten9ono che dall'hashish e dalla marijuana si passi automaticamente, chissà perché, alle droghejòrti, i cui "addetti"invece cercano ben altre e sin9ole emozioni o negazioni.

/)roHa "democratica", dicevo, sia per la sua esi9enza di condividerne l'esperienza con alI ri

sia perché di basso costo, in rapporto a tutte le altre dro9he: costo che si abbasserebbe

ulteriormente con la liberalizzazione, con 9rave danno per i 9randi smerciatori dell'illecito e per i.Jàbbricanti legittimati di quei tranquillanti il rni uso e abuso è sostenuto duH/i stati e arricchisce le multinazionali della.Jàrmacolonia. forse è proprio questo che una certa cultura non accetta: questa democraticità e accessihilitcÌ, e l'isteria paranoide che ha accompagnato molto spesso le campa9ne di stampa contro hashish e marijuana, si è accanita non a caso contro chi ne usava 'Jàcendo di tu/I 'crha 11nJ1scio" e scagliandosi con pari violenza anche contro altre espressioni di rnlt 11rc !Jiovcmili (o controculture) come la musica, Jazz prima e rock poi. Il caso di quef"liirncr che ,1uesto libro racconta è esemplare. Lo spettro di questa droga va di pari passo con l'odio per comportamenti e consumi ritenuti "devianti e pericolosi". Semmai c'è da lamentare la non-pericolosità sociale , la non messa in discussione di un sistema di valori e di pratiche economiche politiche sociali culturali di questi consumi, ma ormai la pacifìcazioine tra le 9cnerazioni, nel mondo occidentale ricco, sembra ristabilita dopo i coriflitti tra la_fine clc9li anni Cinquanta e la metà dei Settanta. E bisogna semmai insistere mlla pericolosità assoluta di consumi invece accettati sostenuti propagandati da tutti i 9overni, da tutte le pubblicità, da

tutti i media, valga per tutti l'esempio dell ' automohile sui cui ~//etti pochissimi ragio nano e combattono.

li numero dei morti diretti e indiretti da automobile (da9li incidenti ai cancri) è ster.minato, ma chi, tra i potenti e le masse, se ne dà cura, chi osa davvero mettere in discussione le politiche dell'auto, il potere dei loro fabbricanti? Qyesto ci riconduce a un altro problema che questo saggio sollecita, quello ecologico. Non sono in grado di dir nulla sulle proposte 'Jòrdiane" di automobile ecologica; sono invece sicuro, corifortato dal parere di amici esperti, della straordinaria risorsa che rappresenterebbe la ripresa della coltivazione della canapa nella produzione di tessuti, per molte zone del mondo a comìnèiare dal nostro paese. Ancora più importante sarebbe il recupero della canapa nella produzione della carta. Sappiamo ormai bene cosa voglia dire la distruzione delle fareste del mondo, e princifalmen te delle riserve naturali amazzoniche, ad opera delle multinazionali del legname e delle loroJìliazioni o delle industrie che da esse dipendono, come quell'industria editoriale, dei libri e dei 9iornali, che è divoratrice di risorse inutili ma perno spalla jet iccio di OiJni potere che ha la necessità di creare e manipolare consenso ( e accessoriamente, in minima parte, perno di quel biso9no di parole scritte e comunicabili che riiJl1l"l·'- pn,d...,.1t1C'."' ~ffl Lr,, J, o:,\,,,...,.,,,_ In •r.y •taU d llse•ini(.tl , 11\f').,. ,fti'°t,""'-

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I.e due pa9ine ori9ina/i del ''Popular Mcchanics"do1'e era pubblicato l'articolo qui riproposto.

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VESTITI

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DELL'IMPERATORE

napa può essere coltivata in qualsiasi stato degli USA. Le sue lunghe radici penetrano nel terreno, lo smuovono e lo lasciano in una condizione ottimale per il raccolto dell'anno successivo. Lefitte corone di faglie, a 8 -1 2 piedi dal terreno, sefjòcano le erbacce. Due raccolti successivi sono siiffìcienti per rendere nuovamente coltivabile un terreno che era stato necessario abbandonare a causa dei cardi canadesi o della gramigna. Un tempo si procedeva in questo modo: dopo la falciatura si lasciava giacere la canapa sui campi per alcune settimane,finché questa non era siiffìcientemente "macerata" per poter estrarre le fibre a mano. Macerare signifìca semplicemente marcire a causa della rugiada, della pioggia e dell'azione dei batteri. Sono state

studiate delle macchine apposite per separare meccanicamente le fibre dal fusto dopo la macerazione, mafino a oggi i costi erano ancora alti, con una grande perdita di fibre e una qualità relativamente modesta. Con la scoperta della nuova "macchina decorticatrice': la canapa viene tagliata con una mietilegatrice lievemente modifìcata. Poi viene portata alla macchina, dove attraverso un convogliatore automatico è trasportata fino ai cernitori al ritmo di due o tre tonnellate al-

i' ora. La filaccia viene rotta in piccoli pezzi che cadono in un pozzo di raccolta, dal quale vengono traiferiti per mezzo di un mantice in una pressa oppure dentro un camion o un container per il trasporto. Lajìbra esce dall'altra estremità della macchina, pronta per essere pressata in balle.A questo punto con lefibre si puòfare più o meno qualsiasi cosa. LaJìbra grezza può essere rilavorata in spaghi, corde, oppure tessuta in tela da imballaggio o utilizzata come canovaccio per tappeti o come retro per il linoleum. Può essere candeggiata e rcif]ìnata con prodotti resinosi semilavorati di alto valore commerciale. In sostanza può essere usata per sostituire tutte le fibre straniere che sommergono oggi i nostri mercati. Ogni anno una ditta di polvere da sparo utilizza migliaia di tonnellate difilaccia di canapa per la produzione di dinamite e di tritolo. Un 'importante cartiera che pagava ogni anno oltre un milione di dollari di dogana per la carta per le sigarette proveniente dall'estero, ora produce questa carta con la canapa coltivata nel Minnesota . Una nuova fabbrica nell'Illinois ha iniziato a produrre con la canapa dell'ottima carta per banconote. La composizione di questa pianta coltivata la rende per sua natura una fante di cellulosa economicamente vantaggiosa per qualsiasi tipo di carta, e l'alta percentuale di alfa-cellulosa fa sperare in un'illimitata riserva di questa materia prima per tutti gli innumerevoli prodotti in cellulosa che i nostri chimici hanno inventato. Generalmente si pensa che i cosiddetti"lini"vengano prodotti con la pianta del lino. In realtà, la maggior parte dei "lini"viene invece corifezionata con la cana-

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pa. Gli esperti riten9ono che questo val9a per oltre la metà dei tessuti di lino da noi importati. Errata è anche l'opinione secondo cui la tela dei sacchi sarebbe di canapa. In realtà il materiale normalmente usato per i sacchi è la juta, e quasi tutta la tela da sacco da noi utilizzata viene tessuta in India da lavoratori che ven9ono pa9ati 4 centesimi al 9iorno. Lo spa90 di solito èfatto di sisal, proveniente dalloYukatan e da11'1fiica orientale. Tutti questi prodotti, che 099i ven9ono ancora importati, potrebbero esserefabbricati con canapa nostrana: reti da pesca, corde per archi, tele, corde robuste, tute da lavoro, damaschi, tova9lie,fini indumenti di lino, asciu9amani, lenzuola e mi9liaia di altri 099etti d'uso. In media importiamo dall'estero tessuti efibre per un valore di circa duecento milioni di dollari all'anno. Nel 1937 abbiamo importato, nei soli primi sei mesi,fibre 9rezze per 50 milioni di dollari. ~este enormi somme di denaro potrebbero tornare utili a91i americani. Lindustria della carta ro principale finanziatore, Andrew Mellon, della Mellon Bank di Pittsburgh. lioraanizzazione sociale"

l tennero numerosi incontri segreti. Nel 1931 Mellon, allora ministro delle nanze di Hoover, nominò il futuro marito di sua nipote, Harry Anslinger, di~ttore del Dipartimento di stato per le droghe e gli stupefacenti, l'FBNDD ~edera! Bureau of Narcotics and Dangerous Drugs), da poco tempo riorgaizzato. Anslinger restò in carica per trentun anni. I magnati dell'industria e i )ro finanziatori sapevano che a metà degli anni Trenta sarebbero state dispolbili le macchine per la mietitura, la legatura e la decorticazione, e anche quel-

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Ti

cellulosa. Nel suo laboratorio egli copiò le fibre naturali e creò i poliammidi, fibre lunghe ottenute con un processo chimico specifico. Furono utilizzati prodotti chimici a base di catrame di carbon fossile e petrolio; furono brevettate varie attrezzature, filiere e altri macchinari. Questa nuova fibra tessile, il nylon, avrebbe dovuto essere controllata a partire dalla fase iniziale (quindi il carbone e le altre materie prime) fino al prodotto finito: un prodotto chimico brevettato. Il gruppo chimico accentrò la produzione e intascò i pro~tti della nuova "fibra miracolosa". L'introduzione del nylon e delle macchine ad alto rendimento per separare le fibre lunghe della canapa dalla stoppa ricca di cellulosa, e la criminalizzazione della canapa come "marijuana" procedettero di pari passo. La migliore definizione delle nuove fibre chimiche è quella di materiale bellico. La produzione delle fibre esige grandi fabbriche, ciminiere, sistemi di raffreddamento e prodotti chimici tossici, invece che basarsi sulla decorticazione di fibre naturali disponibili in abbondanza. Le vecchie "tintorie chimiche" che un tempo si erano fatte un nome come fabbriche di esplosivi e munizioni oggi producono calze, lini e tela con fibre artificiali, colori al lattice e tessuti sintetici. Le fabbriche avvelenano l'ambiente con la produzione dei surrogati del cuoio, delle imbottiture e del legno, mentre un importante anello della catena biologica resta inutilizzato a causa di un decreto legislativo. La fibra standard della storia del mondo, la pianta tradizionale dell 'agricoltura americana, potrebbe offrirci tessuti e carta ed essere la fonte primarìa della cellulosa. Purtroppo le industrie belliche, Du Pont,Allied Chemical, Monsanto, per nominarne solò alcune, protette dalla concorrenza grazie alla legge sulla marijuana, fanno guerra al ciclo biologico della natura e ai piccoli agricoltori. (Shan Clark)

le per la trasformazione della canapa in carta e in plastica. La cannabis-canapa doveva quindi sparire. Nella relazione annuale per gli azionisti Du Ponl