Bruno ovvero Sul Principio divino e naturale delle cose
 8822249135

Table of contents :
0002_1L
0002_2R
0003_1L
0003_2R
0004_1L
0004_2R
0005_1L
0005_2R
0006_1L
0006_2R
0007_1L
0007_2R
0008_1L
0008_2R
0009_1L
0009_2R
0010_1L
0010_2R
0011_1L
0011_2R
0012_1L
0012_2R
0013_1L
0013_2R
0014_1L
0014_2R
0015_1L
0015_2R
0016_1L
0016_2R
0017_1L
0017_2R
0018_1L
0018_2R
0019_1L
0019_2R
0020_1L
0020_2R
0021_1L
0021_2R
0022_1L
0022_2R
0023_1L
0023_2R
0024_1L
0024_2R
0025_1L
0025_2R
0026_1L
0026_2R
0027_1L
0027_2R
0028_1L
0028_2R
0029_1L
0029_2R
0030_1L
0030_2R
0031_1L
0031_2R
0032_1L
0032_2R
0033_1L
0033_2R
0034_1L
0034_2R
0035_1L
0035_2R
0036_1L
0036_2R
0037_1L
0037_2R
0038_1L
0038_2R
0039_1L
0039_2R
0040_1L
0040_2R
0041_1L
0041_2R
0042_1L
0042_2R
0043_1L
0043_2R
0044_1L
0044_2R
0045_1L
0045_2R
0046_1L
0046_2R
0047_1L
0047_2R
0048_1L
0048_2R
0049_1L
0049_2R
0050_1L
0050_2R
0051_1L
0051_2R
0052_1L
0052_2R
0053_1L
0053_2R
0054_1L
0054_2R
0055_1L
0055_2R
0056_1L
0056_2R
0057_1L
0057_2R
0058_1L
0058_2R
0059_1L
0059_2R
0060_1L
0060_2R
0061_1L
0061_2R
0062_1L
0062_2R
0063_1L
0063_2R
0064_1L
0064_2R
0065_1L
0065_2R
0066_1L
0066_2R
0067_1L
0067_2R
0068_1L
0068_2R
0069_1L
0069_2R
0070_1L
0070_2R
0071_1L
0071_2R
0072_1L
0072_2R
0073_1L
0073_2R
0074_1L
0074_2R
0075_1L
0075_2R
0076_1L
0076_2R
0077_1L
0077_2R
Blank Page

Citation preview

IMMAGINI DELLA RAGIONE -----

4

-----

FRIEDRICH WILHELM }OSEPH SCHELLING

BRUNO OVVERO SUL PRINCIPIO DIVINO E NATURALE DELLE COSE UN DIALOGO

A

cura

di

CARLO TATASCIORE

LEO S. 0LSCHKI EDITORE 2000

IMMAGINI DELLA RAGIONE ----- 4

-----

FRIEDRICH WILHELM JOSEPH SCHELLING

BRUNO OVVERO SUL PRINCIPIO DIVINO E NATURALE DELLE COSE UN DIALOGO A

cura

di

CARLO TATASCIORE

LEO S. 0LSCHKI EDITORE 2000

ISBN 88 222 4913 5

INTRODUZIONE

Tra le carte del NachlajS berlinese di Schelling, ora conservato presso l'archivio della Berlin-Brandenburgische Akademie der Wissen­ scha/ten, si trovano due fascicoletti, numerati rispettivamente 728 e 816, in ognuno dei quali si possono leggere due lettere. Nel primo caso si tratta delle missive inviate a Schelling, da Perugia, dalla mar­ chesa Marianna Florenzi Waddington: 1 una dell'agosto 1845 , l'altra del l O aprile 1849. Il secondo fascicoletto contiene invece le minute di due lettere del 1849, che effettivamente Schelling inviò alla mar­ chesa. Quest'ultima, più tardi, le pubblicò in italiano, 2 insieme con una del 1845 , in appendice alla seconda edizione (1859) della sua tra­ duzione del Bruno oder Uber das gottliche und naturliche Princip der 1 Ella pubblicò a Milano, nel 1 844, la prima versione italiana di un'opera schel­ linghiana, e precisamente del dialogo del 1 802 (col titolo: Bruno, ossia un discorso sul principio divino e naturale delle cose) . La figura di questa nobildonna italiana ( 1 802 - 1 870), che prima Schelling stesso e poi Gentile definirono una «novella Dio­ tima», filosoficamente vivace e politicamente "ribelle", tenuta d'occhio dal governo pontificio per le sue idee liberali, non è sicuramente priva di rilievo; anzi, secondo C. Cesa, «con tutti i limiti che si possono trovare, la sua lettura di Schelling resta la più intensa, e la più intelligente, che ci abbia dato l'Ottocento italiano» (C. CESA, In­ troduzione a M. A. DEGL'INNOCENTI VENTURINI, Dalle carte di Marianna Florenzi Wad­ dington: scritti inediti sul panteismo, Napoli, Bibliopolis, 1 978, p. 1 6 ) . Per un profilo della Florenzi, con l'indicazione dei suoi scritti a stampa, bisogna ancora rifarsi a quello di G. Gentile («La Critica», 1 9 14, pp. 380-3 89, poi in Io. , Le origini della filosofia con­ temporanea in Italia, III, Messina 1 923, pp. 3 7 -50). Gentile, pur includendola tra gli hegeliani, mise in rilievo la sua grande passione per le idee di Schelling, rimasto il «fi­ losofo del cuore» anche quando, nella parte finale della sua vita, ella si avvicinò mag­ giormente a Hegel. Cfr. anche M. A. DEGL'INNOCENTI VENTURINI, Marianna Florenzi Waddington; una traduttrice italiana di Schelling, «Archivio di Filosofia», 1 976, pp. 1 73 - 1 84 . Alla Florenzi, nel 1 86 1 , F. Fiorentino dedicò il suo primo studio bruniano dal titolo: Il panteismo di Giordano Bruno. 2 Nella stampa queste due lettere portano le date del 15 maggio 1 849 e del 6 ottobre 1 849, mentre nella minuta della seconda si legge 8 maggio 1 849. -

V

-

INTRODUZIONE

Dinge. Ein Gespriich, lo scritto schellinghiano del 1 802 che noi qui ripresentiamo in una nuova versione. l. MARIANNA fLORENZI WADDINGTON PRIMA TRADUTTRICE DEL

BRUNO

La prima e più interessante delle tre lettere pubblicate dalla mar­ chesa era quella del 1 845 , in cui l'anziano filosofo, che l'anno seguente avrebbe definitivamente interrotto anche il suo insegnamento univer­ sitario a Berlino, si era congratulato con l'autrice per la traduzione ese­ guita. Nel diario di Schelling del 1 848, ove i (non molti) giudizi sui fat­ ti rivoluzionari di quell'anno si trovano mescolati con la registrazione degli avanzamenti e degli arresti nella stesura delle lezioni sulla filoso­ fia «positiva», alla pagina del 1 6 maggio è annotato: «trovata a casa una lettera del Segretario di Gabinetto bavarese con un libro: Lettere filosofiche della marchesa Marianna Florenzi, sul quale il re Max vuo­ le una mia opinione».3 Le Lettere filosofiche- un titolo d'assonanza anche schellinghiana, visto che lo stesso filosofo si era una volta servito del genere epistolare per ill u strare l'opposizione tra dogmatismo e cri­ ticismo4 - erano un'operetta apparsa a Parigi in quell'anno e subito censurata dall'inquisizione romana, in cui la marchesa difendeva il suo razionalismo panteistico e, nella ottava, svolgeva direttamente «al­ cune osservazioni sui principi della filosofia di Schelling». li re Massi­ miliano di Baviera, molto legato a Schelling fin dalla gioventù, conti­ nuava a benvolere la Florenzi, così come aveva fatto il padre Luigi l. Anzi, secondo un'ipotesi di Gentile, non da tutti però condivisa,5 ai 3 F.W.J. ScHELLING, Das Tagebuch 1848. Rationale Philosophie und demokratische Revolution, Hamburg, Meiner, 1 990, p. 78. In una lettera di Massimiliano a Schelling, datata 17 maggio 1 848, troviamo un probabile, ed unico, riferimento alla marchesa nel breve passo in cui si legge: «Una Sua ammiratrice, tanto bella quanto ricca d'ingegno, mi pregò di inviare il libro qui accluso con lettera» ( KòNIG MAxrMILIAN II VON BAYERN UNO ScHELLING, Briefwechsel, hrsg. von L. Trost und Fr. Leist, Stuttgart, J.G. Cotta'scher Verlag, 1 890, p. 155). 4 Cfr. F.W.J. ScHELLING, Historisch-kritische Ausgabe: Werke, I, 3, hrsg. von H. Biichner, W. Jacobs, A. Pieper, Stuttgart, Frommann-Holzboog, 1 983, pp. 1 - 175; F.W.J. SCHELLING, Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo, trad. it. a cura di G. Semerari, Roma-Bari, Laterza, 1 995 . s Cfr. M. A. DEGL'INNOCENTI VENTURINI, Marianna Florenzi Waddington, cit., pp. 174- 175.

- VI -

INTRODUZIONE

tempi di Luigi lei e Schelling si sarebbero conosciuti anche personal­ mente. Dopo l'invio del suo scritto, la marchesa, in verità, temette che Schelling non l'avesse ricevuto, visto che, con la lettera dell'aprile del 1 849, tornava a sottoporglielo ricordando ancora l'approvazione da lui ottenuta quattro anni prima per la traduzione del Bruno. Perché mai la preferenza della Florenzi era caduta proprio su quel dialogo? A questa domanda possiamo e dobbiamo in prima istanza rispondere con le ragioni espresse dalla stessa autrice, la qua­ le, nell'invito rivolto a Terenzio Mamiani a scrivere una prefazione alla sua traduzione, premetteva che Schelling «ha rinnovata in parte la dottrina di Giordano Bruno», dalle opere del quale «ha[. . .] attinto molte idee fondamentali del suo sistema dell'indifferenza». Nel chiu­ dere, la Florenzi aggiungeva che suo desiderio era · s tato quello di «far conoscere ai nostri compatrioti quanta sapienza ha trovato un grande filosofo oltremontano ne' libri di un nostro antico pensatore».6 In un'altra lettera del 1 843 al re Ludovico di Baviera si legge: da più di un anno studio dei libri di filosofia e metafisica specialmente, è per questo che ho scelto Schelling anche perché il conte Mamiani distinto filo­ sofo, mi ha consigli ata. [. ] ho ancora scelto Bruno perché Schelling ha pro­ dotto nel suo sistema la filosofia di Giordano Bruno. 7 . .

Si può dunque azzardare che in fondo, oltre al consiglio del Ma­ miani, sulla scelta della Florenzi aveva pesato più Bruno che Schel­ ling, visto che sua intenzione era di rivalutare la filosofia del naturali­ sta rinascimentale italiano e presentare, anche se con una certa va­ ghezza, quella di Schelling come influenzata da essa; da parte sua, co­ me si è già detto, ella ne condivideva la concezione panteistica. Occorre aggiungere che la forma dialogica dell'opera permetteva si­ curamente più dell' a rdo geometricus dell'EsposZ:Zione del mio sistema di filosofia (180 1 ) al pubblico colto italiano di accostarsi all'ostica fi­ losofia dell'identità. Ma al di là di questo, il Bruno è rimasto davvero qualcosa di unico nell'ambito delle opere schellinghiane, e il sistema dell'identità non era affatto un monolito compatto e compiuto, ma 6 La lettera al Mamiani è stata pubblicata nella seconda edizione della traduzione: si veda Bruno. Dialogo di Federico Schelling, Firenze, Le Monnier, 1 859, pp. 11 e IV. 7 La lettera è riportata in M. A. DEGL'INNOCENTI VENTURINI, Marianna Florenzi Waddington, cit., p. 175.

- VII -

INTRODUZIONE

piuttosto il titolo per un lavoro teorico in progresso, che ebbe come risultato migliore, ma non perfezionato, l'inedito Sistema del 1 804 , e sulle cui ambiguità e contraddizioni la Forschung schellinghiana ha avuto molto da indagare. Inoltre il presupposto sia della Florenzi sia del Mamiani che Schelling conoscesse direttamente le opere del filosofo italiano, era insostenibile.8 Un brunismo di Schelling poteva sì essere riscontrabile, soprattutto agli occhi della marchesa per via delle sue personali opzioni teoriche, nel suo panteismo, ma comun­ que non senza la mediazione dello spinozismo; del resto, si sa ormai bene quanto queste generiche defmizioni siano sempre bisognose di inaggirabili precisazioni critiche. A noi sembra che l'iniziativa della marchesa di presentare come prima traduzione di un'opera di Schel­ ling proprio quella del dialogo Bruno, non potesse essere più felice, pur se per ragioni diverse o almeno più complesse di quelle che do­ vettero animarla. 2. LE RAGIONI DI UN DIALOGO Schelling fu incline ad una certa sperimentazione a livello di co­ municazione del suo pensiero: così, oltre a tentare col dialogo, egli ha scritto non solo trattati, saggi o lezioni, ma anche lettere, aforismi e versi. Pur ammettendo che, nel caso del Bruno, egli scelse la forma del dialogo in omaggio allo stile preferito dal filosofo italiano, certa­ mente la sua opera non aveva come primaria finalità quella di far me­ glio conoscere la filosofia di Bruno. Per di più, il personaggio del dia­ logo che porta questo nome non ha quella forza rivelata dagli scritti e dalla biografia del Bruno storico. Non a caso, all'uscita del libro, da Parigi Friedrich Schlegel scriveva al fratello: «Il Bruno di Schelling merita molti elogi. Tuttavia avrei preferito che invece di una debole ombra di Bruno ci avesse presentato lo stesso coraggioso italiano».9 Il giudizio suona come una diretta conferma del brunismo aleggiante nell'ambiente romantico (lo stesso Goethe conosceva e ammirava 8 Cfr. C. CESA, Introduzione a M. Alessandra Degl'Innocenti Venturini, Dalle carte di Marianna Florenzi Waddington, cit., pp. 1 1 - 12 . 9 Schelling im Spiegel seiner Zeitgenossen, hrsg. v. X. Tilliette, Torino, Bottega d'E­ rasmo, 1 974, p. 99.

- VIII -

INTRODUZIONE

Giordano Bruno 1 0), ma in fondo anche come la constatazione di un'occasione perduta per rinnovare concretamente l'interesse per la figura del nolano, per colmare finalmente una reale lacuna nelle co­ noscenze e completare il lavoro appena iniziato da Jacobi con gli estratti dal De la Causa, Principio e Uno pubblicati nella prima ap­ pendice aggiunta alla seconda edizione ( 1789) del suo libro Uber die Lehre des Spinoza. 1 1 Schelling, non conoscendo direttamente gli scritti di Bruno, attinse proprio e solo da questi estratti, che svolsero comunque sicuramente un grande ruolo; egli li citò onestamente e commentò nelle note aggiunte al dialogo. Con Vieillard-Baron, che pure ha rimarcato l'evidente richiamo al De la Causa contenuto nel titolo, possiamo tranquillamente affermare che il dialogo di Schelling «non è certo l'opera che ci istruisce di più sulla conoscenza che si po­ teva avere della filosofia del nolano all'epoca dell'idealismo tede­ sco»Y Riteniamo che nell'ambito della vasta influenza esercitata dal libro di J acobi nel riproporre la questione del panteismo, sulla cui traccia si possono collocare a distanza di molti anni le stesse Ri­ cerche filosofiche sull'essenza della libertà umana del 1 809, 1 3 il filosofo più in discussione rimanesse Spinoza, che Schelling - come si evince chiaramente dal frammento Sull'essenza della scienza tedesca ( 1 807 ) ­ puntava a ricondurre allo «spirito tedesco», intendendo sottrarlo ai __

IO Cfr. S. RICCI, La ricezione del pensiero di Giordano Bruno in Francia e in Germa· nia. Da Didero! a Schelling, «Giornale Critico della Filosofia Italiana», LXX ( 1 99 1 ) , fase. III, pp. 442-444 e 459-462 . Si noti che, a differenza di Schelling, Goethe aveva letto sin dal 1770 il De la Causa. Egli rimase poi colpito dal dialogo Bruno. Nell'articolo del Ricci ad esso è dedicato naturalmente ampio spazio (ivi, pp. 448-45 8). Stabilita la linea Plotino­ Bruno-Spinoza-Schelling, sin dalle opere di fùosofia della natura, Ricci ha giustificato «quell'impegnativo e per certi tratti compromettente riferimento al fùosofo italiano del Rinascimento» col fatto che, nella cornice di una progettata concordia philosophorum, Bruno occupava «un posto di rilievo nella storia schellinghiana della categoria del dogma­ tismo-spinozismo» (ivi, p. 452 ) . Il F.H. }ACOBI, La dottrina di Spinoza. Lettere a l Signor Moses Mendelssohn, trad. it. a cura di V. Verra, Bari, Laterza, 1 969, pp. 1 6 1 - 1 80. La prima edizione dell'opera di Ja­ cobi era apparsa nel 1785. 1 2 J.-L. VIEILLARD-BARON, De la connaissance de Giordano Bruno à l'époque de l'«idéalisme allemand», «Revue de Métaphysique et de Morale», 1 97 1 , 4 , p. 4 1 8 . 1 3 Cfr. M. HEIDEGGER, Schellings Abhandlung iiber das Wesen der menschlichen Frei­ heit (1809), hrsg. v. H. Feick, Tiibingen, Niemeyer Verlag, 1 97 1; M. H., Schelling. Il trat­ tato del 1809 sull'essenza della libertà umana, trad. it. a cura di E. Mazzarella e C. Tata­ sciore, Napoli, Guida editori, 1 994 , pp. 125 - 127.

-

IX

-

INTRODUZIONE

materialisti atei francesi. 1 4 Se la filosofia di Bruno era materialista nel senso che poneva nella sola materia, che è tutto, l'unità di principio divino e naturale, riprendendo cioè l'antico ilozoismo, per cui tutto è divinamente animato, essa era anche panteista e quindi affine con quella spinoziana. Nella lettera di Schelling del 1845 pubblicata dalla marchesa sor­ prende la modestia dell'anziano filosofo. Riferendosi all a traduzione, egli infatti dichiarava: Giudichi Ella, nobile Marchesa, come questa vista mi rallegrò; però mi permetta di confessare che nondimeno, e nel tempo medesimo, mi spaven­ tò. Un'opera che Ella tradusse doveva essere altra e più leggiadra e piena di vita. Intanto a me erano di già troppo noti i mancamenti della composizio­ ne, che il conte Mamiani con tanta giustezza notò, per potermi insuperbire della fortuna che è toccata al mio Bruno! 1 5

Sicuramente il Bruno aveva a vuto fortuna, pur essendo uno scrit­ to incompiuto, se è vero che uno dei presenti alla conversazione, Po­ liinnio (lo stesso nome di un personaggio del De la Causa), di fatto non parla dei simbol i adatti alla vera filosofia, come invece i dialogan­ ti avevano convenuto, poiché il dialogo si interrompe al calar della sera. Inoltre, nonostante le autocritiche, Schelling stesso l'aveva fatto 1 4 Siimmtliche Werke (SW) , hrsg. v. Karl F. August Schelling, Stuttgart/Augsburg, ].G. Cotta'scher Verlag, 1 856- 1 86 1 , Band VIII, p. 8: «Per senso e intelligenza Spinoza, che atei francesi e inglesi hanno considerato simile a loro e la cui dottrina, con minime eccezioni, era come un libro chiuso prima che il suo senso fosse svelato da uomini tede­ schi come Lessing e Jacobi, appartiene ai tedeschi». -Il Vieillard-Baron precisò che lo stesso Jakob Brucker, il wolffiano autore della Historia critica philosophiae ( 1742 -44 ), fonte molto utilizzata, considerava Bruno come un precursore di Leibniz per il concetto di monade; nemmeno lui aveva potuto leggere il De la Causa, ma si era servito del breve riassunto fattone da Bayle nel Dictionnaire historique et critique. Pertanto l'interessante novità portata da Jacobi era consistita nell'aver accostato Bruno a Spinoza. Per di più Ja­ cobi aveva sottolineato i riferimenti a Platone e Plotino e aveva puntato, attraverso il De la Causa, sul monismo bruniano, trascurando ogni riferimento al Bruno dualista degli Eroici furori (De la connaissance de Giordano Bruno, cit. , pp. 4 12 - 1 3 ) Il Ricci, però, ha sostenuto che l'interpretazione della ftlosofia di Bruno come un precorrimento di quella spinoziana si doveva già allo stesso Bayle, al quale «Va ricondotto il Bruno di J acobi, Goethe e Schel­ ling» (S. Ricci, La ricezione del pensiero di Giordano Bruno in Francia e in Germania. Da Didero/ a Schelling, cit., p. 43 1 ) . Secondo Cesa (Introduzione, cit., p. 1 2 ) , Schelling non aveva letto nemmeno il capitolo dedicato a Bruno da Brucker. 1 5 Bruno. Dialogo di Federico Schelling, cit., p. 2 13 (corsivi nostri). .

-

X

-

INTRODUZIONE

ristampare due anni prima e chissà che questa decisione non ebbe qualche influenza sulla marchesa, visto che il filosofo era chiuso da anni nel silenzio editoriale. Eppure venivano accettate e condivise le critiche mosse dal Mamiani. Questi in effetti, nella sua lunga pre­ fazione, tesa soprattutto a confutare il panteismo, aveva da un lato dichiarato la sua approvazione all'idea della Florenzi secondo la quale il libro di Schelling meritava una traduzione per il fatto stesso di por­ tare «in fronte un nome famoso nella storia della nostra patria filoso­ fia», ma dall'altro aveva formulato un giudizio sullo stile che suonava come una stroncatura. Secondo Mamiani Schelling aveva dimenticato «l'arte che accompagnar suole tal genere di composizione», un'arte che naturalmente egli faceva risalire a Platone, aggiungendo però: «né da questa banda sono da stimar poco i dialoghi stessi del Bruno». Invece i personaggi del dialogo schellinghiano (Anselmo, Luciano, Alessandro e Bruno) non lasciavano trasparire nulla del loro caratte­ re, erano delle vuote astrazioni; nulla di accidentale veniva a inter­ rompere la loro conversazione, che risultava priva di naturalezza e di brio: in sintesi, il difetto stilistico del Bruno consisteva nella man­ canza di «bellezze e ornamenti drammatici». 1 6 Schelling accoglie­ va dunque di buon grado queste critiche e, come vedremo, a ragion veduta. Cerchiamo di inquadrare meglio la stessa scelta schellinghiana del dialogo. Si potrebbe trattare di uno di quei casi in cui nel dialogo il logos appiana ogni reale differenza e tutto in realtà si risolve in un monologo con ruoli diversi distribuiti ai dialoganti dal vero condut­ tore del medesimo. 17 Ma non sembra che sia così, anzi X. Tilliette lo ha escluso recisamente e giustamente, affermando che Schelling cura, come Platone, la scrittura e il Bruno non è un trattato ritagliato e diviso tra i partecipanti. 1 8 Non che la forma del dialogo fosse richie­ sta dalla filosofia schellinghiana per necessità intrinseca; in fondo la finzione di ricerca comune fra i dialoganti non riesce a coprire l' emer­ genza di un nucleo teoretico già elaborato, e quindi, anche se nelle 1 6 lvi, pp. X-XI. 1 7 Cfr. B. WALDENFELS, Dialogo e discorsi, in AA. W. , La filosofia oggi, tra ermeneu­ tica e dialettica, a cura di E. Berti, Roma, Studium, 1 987, pp. 96-97 . 1 8 Cfr. X. TILLIETIE, Schelling. Une philosophie en devenir, l, Paris, Vrin, 1 970, pp. 335, ma è da vedere tutto il capitolo.

- XI -

INTRODUZIONE

prime battute compare il termine «Wettez/er» (emulazione) , non si può parlare di un dialogo che si ispiri - per esprimerci in termini habermasiani - ad «una ricerca cooperativa della verità organizzata come gara». 1 9 Steffen Dietzsch ha dato risalto al fatto che col dia­ logo, come pure con gli aforismi, entrano nell'ambito intellettuale di Schelling «lo sperimentale, l'ipotetico, il costruttivo, con sullo sfondo il mondo». Egli cioè vi ha colto il passaggio da una ragione che si rispecchia puramente in un ordine fisso e sistematico ad un ordinamento dinamico del Diskurs.20 Quel che sappiamo è che cer­ tamente il Bruno fu dai contemporanei subito ricondotto per forma e contenuto al platonismo e Schelling esaltato, o semplicemente ri­ conosciuto, come un «secondo Platone». 2 1 Ma è chiaro che per questa identificazione non bastava l'aver scelto il dialogo, che Schelling usava come tanti altri filosofi avevano fatto prima di lui: solo per fare qualche nome, Scoto Eriugena, Cusano, Galilei, Ber­ keley, Diderot. Ci chiediamo se i limiti denunciati dal Mamiani, tra­ scurando la soggettività della preferenza, fossero davvero imputabi­ li allo stile di Schelling o non addirittura al dialogo di tipo platoni­ co. Che il carattere dialettico del tradizionale dialogo si allontani necessariamente dall'autentica «comunicazione esistenziale» come luogo della verità e della filosofia, è stato ad esempio sostenuto da Karl J aspers, quando ha osservato che «i dialoghi platonici non esprimono la comunicazione di esistenze possibili, ma solo la struttura dialettica della conoscenza intellettuale» e che, anzi, ancor meno espressione di un filosofare «comunicativo» risultano i dialo­ ghi filosofici di Giordano Bruno e di Schelling. 22 Se da un lato non meraviglia questo accenno a Schelling da parte di un filosofo che è stato suo interprete, esso suona perlomeno come una conferma del risalto assunto dal Bruno rispetto alle altre opere schellinghiane. Hans Georg Gadamer, che anch'egli ha avuto modo di citarlo nella 1 9 J. HABERMAS, Etica del discorso, trad. it. a cura di E. Agazzi, Roma-Bat:i, Laterza, 1 985, p. 98. 2o S. DIETZSCH, Schellings kurzer Sommer der Identitiit (Nachwort), in F.W.J. SCHEL· LING, Bruno, Leipzig, Reclam, p. 123 . 2 1 Cfr., ad esempio, i giudizi contenuti nelle lettere del 1 803 di J. Jackob Wagner ad Andreas Adam, in Schelling im Spiegel seiner Zeitgenossen, cit., pp. 1 08- 1 09. 22 K . }ASPERS, Filosofia , trad. it. a cura di U. Galimberti, Torino, U.T.E.T. , 1 97 8, pp. 586-87 . -

XII

-

INTRODUZIONE

sua opera capitale, 2 3 ha da parte sua notato che ciò su cui si regge il dialogo in genere è la «struttura della domanda e risposta» e di con­ seguenza la sua condizione essenziale risiede nella possibilità che l'interlocutore ha di seguirlo in ogni momento. Anche se ciò nel dialogo scritto produce un effetto esteticamente negativo, tale con­ dizione è imprescindibile, come facilmente tutti si accorgono quan­ do il dialogo ha un carattere formativo. Egli infatti così continuava: Questo si vede anche troppo bene nel continuo dir di sì degli interlocu­ tori dei dialoghi platonici. L'aspetto positivo di questa monotonia è l'intima consequenzialità con cui procede nel dialogo lo sviluppo dell'argomento. 2 4

Da tale punto di vista la monotonia è un prezzo che non si può non pagare nel dialogo filosofico e di conseguenza dovrebbero cade­ re riserve stilistiche del tipo di quelle fatte dal Mamiani e condivise da Schelling stesso. La consequenzialità, a sua volta, non manca certo al dialogo di Schelling, soprattutto nelle parti centrali in cui a conversa­ re sono Bruno (Schelling) e Luciano (Fichte). Queste considerazioni, seppur frammentarie, ci servivano solo a suscitare di nuovo, direttamente o indirettamente, questioni abba­ stanza dibattute: ad esempio, quanto conti nell'opera filosofica lo sti­ le espositivo, 2 5 quale sia la funzione originaria del dialogo in filoso­ fia, 2 6 quale sia il ruolo del dialogo nel platonismo 2 7 e nella filosofia di Bruno; 2 8 ma ponendoci il problema dell'uso del dialogo in filoso2 3 H. G. GADAMER, Ventà e metodo, Milano, Bompiani, 1 9907, p. 532. Qui Gada­ mer ha parlato di «geniale illustrazione della opposizione speculativa>>, che è la più alta unità, per il paragone scelto da Schelling nel Bruno (SW, IV, 237) con l'oggetto e la sua immagine riflessa nello specchio. 2 4 lvi, p. 424. 2 5 Come dimenticare la sentenza di Feuerbach: «La filosofia [. . . ] nascendo dalla bocca o dalla penna, ritorna immediatamente alla sua propria fonte; essa non parla per parlare - di qui la sua antipatia per le belle frasi -, ma per non parlare, per pensare»? (L. FEUERBACH, Scritti filoso/ici, a cura di C. Cesa, Roma-Bari, Laterza, 1 976, p. 59). 26 Cfr. C.A. VIANO, Il testo filosofico, «Rivista di Filosofia», 1 987, n. 2, pp. 1 5 5 - 1 79, in particolare pp. 159- 1 63 . 2 7 Cfr. G. REALE, Per una nuova interpretazione di Platone. Rilettura della metafisica dei grandi dialoghi alla luce delle "Dottrine non scritte", Milano, Vita e Pensiero, 1 987 5, pp. 7 1 -84 . 28 Cfr. M.VV., Il dialogo filosofico nel '500 europeo. Atti del Convegno internazio­ nale di stud� Milano, 28-30 maggio 1 987, Milano, Franco Angeli, 1 990.

- XIII -

INTRODUZION E

fia intendevamo soprattutto introdurre delle riflessioni che molti anni prima della lettera alla Florenzi Schelling stesso aveva svolto, pur non pubblicandole, proprio su tale tema e che, a nostro avviso, possono giustificare quella sua condivisione delle critiche à la Ma­ miani. Se già nello stesso anno del Bruno egli aveva scritto un altro dialogo, polemico, dedicato al confronto con il pensiero di Rein­ hold, dal titolo: Sul sistema assoluto dell'identità e sul suo rapporto con il più recente dualismo (reinholdiano). Un dialogo tra l'autore e un amico,29 è a quello in forma narrativa intitolato Clara, che in­ vece qui ci riferiamo. Verso la conclusione, questo scritto inedito del 1 8 1 0 o 1 8 1 1 ci presenta infatti il racconto di un dialogo sul dia­ logo filosofico. A proporlo come tema di discussione all'io narrante (un pastore protestante) è Clara, la protagonista. Perché ai filosofi odierni - ella inizia col domandare è impossibile scrivere così co­ me parlano? Eppure la profondità è cosa ben diversa dall'oscurità, e «ciò che è eterno nell'oggetto, se è tale, cerca ciò che è eterno anche nell'espressione». Il testo appartiene al periodo in cui Schelling rie­ laborò il lutto per la perdita dell'amata Caroline, fonte di malinco­ nici ricordi e verosimilmente anche di sentimenti nostalgici per quel confilosofare a cui la donna aveva partecipato con gli amici roman­ tici di Jena: -

Mi ricordo - disse Clara - che quando Albert era ancora con noi, tene­ vamo spesso tutti insieme dei dialoghi, che sarebbe stato sufficiente fossero trascritti per suscitare un interesse universale. Perché [. .. ] i dialoghi fùosofici (philosophische Gespriiche) non vengono scritti più spesso?

L'interlocutore di Clara significativamente risponde: Ah, mia cara amica, vi sarebbe molto da dire su questo argomento. I dialoghi filosofici, se non vogliono essere privi di vita, richiedono personaggi viventi, ben determinati.

Però questi ultimi ormai mancano: manca un Socrate! Schelling si era posto quindi decisamente il problema: già il passo citato induce a pensare che, per alleviare la "monotonia", i dialoghi filosofici dovreb29 Pubblicato nel «KritischesJoumal der Philosophie», 1 802 , l. Band, l. Stiick, pp. 1 -90 (SW, V, 1 8-77 ) .

- XIV -

INTRODUZIONE

bero essere quantomeno la trascrizione di dialoghi orali. I filosofi, in­ vece, ora comunicano piuttosto attraverso la carta stampata: In questa condizione, una vita autenticamente drammatica sarebbe dif­ ficilmente possibile. Infatti la scrittura e l'inchiostro da stampa, come suoi dirsi, non possono arrossire, ed è per questa ragione che molti hanno lodato l'arte della stampa come un'invenzione meravigliosa e realmente divina.

È evidente che questo passo evoca un luogo del Fedro platonico, solo che il rapporto conflittuale tra oralità e scrittura nella modernità è venuto a potenziarsi attraverso la stampa. La proposta che viene avanzata è che si potrebbe tentare con «brevi scene teatrali», metten­ do in scena personalità determinate, come in effetti faceva Platone, senza che ciò apparisse un attacco personale, al contrario di quanto accadrebbe se si tentasse di riproporlo. Se quindi i personaggi non possono essere presi dall'attualità, nemmeno sarebbe utile rispolvera­ re quelli dell'antichità. Se nel dialogo deve veramente sentirsi palpi­ tare la vita, saranno altrettanto inadeguati personaggi della moderni­ tà, come quei confilosofanti dell'Accademia platonica fiorentina, ai quali comunque nel Clara è tributato un omaggio: «Quali meraviglio­ se personalità filosofiche dovevano offrire il XV o il XVI secolo, se è vero ciò che si narra della corte medicea; e quante figure eccelse in tempi ancora più prossimi ai nostri ! ». Ciò che fa ostacolo sarebbe in sostanza la necessità del rigore storico nella ricostruzione di quei personaggi: la rigorosa osservazione dei modi di parlare e di vestire e, insieme, delle altre forme che caratterizzano un'epoca antica, si oppone già di per sé alla natu­ rale libertà dell'opera d'arte; proprio per questo un dialogo, che deve pro­ vocare su di noi un effetto vivente, deve essere preso dal presente o esservi stato preso.

Dalla domanda sulle ragioni dell'assenza dei dialoghi filosofici si è entrati così decisamente nella problematica estetica. L'unica soluzio­ ne - afferma Clara, come noi anticipavamo - sarebbe redigere «dia­ loghi come quelli che si svolgono nella realtà concreta», ma in tal caso la difficoltà insormontabile obietta l'interlocutore - consisterebbe co­ munque nell'impossibilità di rappresentare un personaggio che si ha di fronte (come in quel momento Clara stessa) «con tutta la grazia e la delicatezza dei suoi discorsi, tutto il fascino e l'incanto delle sue - XV -

INTRODUZIONE

svolte improvvise, il gioco pieno d'anima ed eloquenza delle sue espressioni così dolci». Sarebbe inoltre richiesta una introduzione al dialogo, con la descrizione delle circostanze e dei rapporti tra i dialoganti, e in tal caso o verrebbe meno la necessità della forza in­ ventiva, divenendo piuttosto oggetto di critica (e invece l'esteriore deve avere un posto subordinato), oppure finirebbe per prevalere proprio l'elemento storico, descrittivo e l'opera sarebbe un «erma­ frodito composto di un romanzo e di un dialogo filosofico». La ser­ rata discussione, come si vede, mira a pensare la modalità migliore di resa artistica, quindi bella, perché vivente, del filosofare come vi­ ta. Potrebbe forse essere il romanzo stesso ad avvicinarsi maggior­ mente al dialogo filosofico? Anche la risposta a questa domanda è inizialmente negativa, perché nel romanzo manca l'unità di tempo e d'azione, che al dialogo filosofico è invece tanto necessaria quanto lo è alla tragedia. Tuttavia, con gli opportuni accorgimenti del caso, è proprio sul romanzo 30 che i dialoganti del Clara finiscono per concordare, almeno sulla proficua necessità di fare una prova in questa direzione, «poiché le sfumature proprie di ciascuna forma artistica si apprendono soltanto nella sua esecuzione». Schelling si è posto dunque esplicitamente la questione della forma letteraria più adatta a comunicare le prospettive filosofiche, ma nel diverso contesto teoretico del Bruno, precedente di otto o nove anni il Cla­ ra, quel che egli aveva in mente era soprattutto un modello ben pre­ ciso di divisione quaternaria dei sistemi filosofici (materialismo, in­ tellettualismo, realismo e idealismo) che poteva essere agevolmente reso servendosi o di quattro rispettivi rappresentanti oppure di quattro loro illustratori, come egli scelse di fare (nel dialogo, rispet­ tivamente: Alessandro, Anselmo, Bruno e Luciano) evitando così sia ogni ricostruzione storica dei personaggi sia, con l'evocazione me3 0 Illu strando le radici storiche della polifonica unione di generi che si trova nei romanzi di Dostoevskij, M. Bachtin (Dostoevskij, trad. di G. Garritano, Torino, Ei­ naudi, 1 968, pp. 1 3 9 - 1 4 7 ) ha ricostruito le origini e i caratteri fondamentali del «dialogo socratico» come uno dei generi dell'antico «serio-comico» e lo ha messo in stretta rela­ zione con la «linea dialogica» del romanzo, che porta a Dostoevskij. Ma egli ha anche ricordato come già in Platone, «nei dialoghi del primo e secondo periodo della sua crea­ zione, il riconoscimento della natura dialogica della verità ancora si conserva anche nella sua concezione del mondo filosofico, seppure in forma attenuata», mentre nell'ultimo periodo «il monologismo del contenuto comincia a distruggere la forma del dialogo so­ cratico» (p. 146). -

XVI

-

INTRODUZIONE

diante i nomi di un tempo storico diverso dal proprio, di mettere direttamente in scena personalità viventi. La conclusione del dialogo sul dialogo ripropone la questione della chiarezza del filos