Beethoven nei suoi quaderni di conversazione

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Luigi Magnani

Beethoven nei suoi quaderni di conversazione

SAGGI

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Copyright © i975 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino

Luigi Magnani

Beethoven nei suoi quaderni di conversazione

Giulio Einaudi editore

Indice

ρ. 3

I Quaderni di conversazione La voce di Beethoven 29 il. Ideali sociali e passione politica 43 in. Il problema dell’opera 67 IV. La concezione drammatica della musica 81 V. L’antinomia kantiana e i due principi della forma-sonata 93 vi. La genesi dell’idea e la Missa Solemnis I 12 v i i . Natura e arte in Beethoven 128 vin. Umanesimo di Beethoven 144 ix. Il Parnaso musicale 160 X. Gli ultimi anni 191 xi. Ritratti romantici di Beethoven 202 X u . Beethoven e l’età romantica 13

I.

Appendice 227

Beethoven e l’Inghilterra

249

Indice delle opere

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Indice dei nom i

Elenco delle illustrazioni

L ’inizio dell’ultim o tempo della Sonata quasi una fantasia, op. 27 n. 2 {A l chia­ ro di luna). Joseph W illibrord M ahler, R itratto (1804-805). Historisches Museum der Stadt, Wien. Johann Christoph H eckei, R itratto (1815). Library of Congress, Washington. Carl Friedrich A ugust von Kloeber, R itratto a m atita (circa 1818). Collezione H. C. Bodmer, Beethovenhaus, Bonn. Ferdinand Schimon, R itratto (1818 ο 1819). Beethovenhaus, Bonn. Joseph Carl Stieler, R itratto (1819-20). Walter Hinrichsen, New York. Ferdinand Georg W aldm üller, R itratto (1823). L’originale, bruciato, si trovava presso Breitkopf und Härtel. Foto H. C. Robbins Landon, Buggiano Castello (Italia). Le ultim e note scritte da Beethoven (abbozzo per la Decima Sinfonia). Staatsbibliothek, Preussischer Kulturbesitz, Berlin.

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Alla memoria di mio Padre

I Quaderni di conversazione

Nel silenzio in cui la sordità lo aveva relegato come in un de­ serto, nessun rumore, nessuna voce umana poteva giungere sino a lui, a distoglierlo dai miraggi della musica, a consolare la sua so­ litudine. Prigioniero della sua infermità non meno che della sua grandezza, non era dato negli ultimi anni comunicare con lui se non per iscritto'. Affidate alla pagina, molte di quelle parole giunsero sino a noi, ed i centotrentasette Quaderni superstiti dei quattrocento rinvenuti alla sua morte sono quanto ci resta di ciò che costituì il suo fragile ponte col mondo, l ’effimero legame che lo ricongiunse alla te rra 12. Sfogliandoli sembra che il tempo, incorporato in quelle pagi­ ne, riprenda lentamente a fluire e che le parole ivi raggrumate fondano come le paroles gélées di Pantagruel, esalando i loro suo1 « La conversazione con Beethoven - testimonia tra gli altri Ferdinand Hiller - do­ veva farsi in parte per iscritto; egli parlava, i suoi interlocutori erano obbligati a scrive­ re le loro domande e risposte. A questo fine egli aveva sempre a portata di mano dei grossi quaderni di carta ordinaria, di formato in quarto, e delle matite... Egli seguiva con occhio avido la mano che scriveva e afferrava con un colpo d’occhio piu che non leggesse ciò che vi era scritto. Questo lavoro continuo di scrittura da parte dei visitatori era un grande inciampo alla vivacità della conversazione»; cfr. F e rd in an d h i l l e r , A us Dem Tonleben unserer Zeit, nuova ed., Leipzig 1871, pp. 169 sgg., e A. w. t h a y e r (h . Dei­ t e r s - H. rie m a n n ), Ludwig van Beethovens Leben, V, Leipzig 1908, pp. 481 sgg. 2 Beethoven, porgendo uno di questi quaderni a un giovane artista, A. von Zuccalmaglio, che si era recato a visitarlo e che, non potendo farsi intendere da lui, gli espri­ meva la sua gioia e la sua ammirazione con le lagrime, aveva detto: «So ganz bin ich doch nicht von der Welt und denen die mich lieben abgetrennt... hier hab ich mein Buch und hier ist Schreibzeug, so können Sie mir schriftlich jede meiner Fragen beant­ worten » (« In tal modo non sono del tutto separato dal mondo e da coloro che mi ama­ no... qui ho il mio libro, qui c’è l’occorrente per scrivere, cosi lei può rispondere per iscritto a ogni mia domanda»; cfr. Der Besuch beim Meister, nacherzählt von G. w e d e l , in «Neue Zeitschrift für Musik», 1838,1-3, p. 14, e G. schünemann , Ludwig van Bee­ thovens Konversationshefte, Berlin 1941-43,1, p. 4).

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ni con l ’indistinto brusio di frasi interrotte: frammenti di un dia­ logo quasi costantemente mutilo della voce principale. Raramen­ te infatti Beethoven scrive nei Quaderni: quando teme che qual­ che indiscreto possa ascoltare le sue parole, quando parla a se stesso, o quando debba rivolgersi (e si dà anche questo caso) ad un altro sordo. Ma anche là ove, come in un negativo, per gli in­ vertiti rapporti di luci e di ombre, nulla sembra essere rimasto impresso, può sorgere, evocata da quanto l’attornia, l’immagine: e la perduta parola trova allora il suo inserto nelle lacune che la suggeriscono e la restituiscono al dialogo, come i vuoti di un cal­ co e i suoi rigidi contorni restituiscono la plasticità di una forma, il movimento di un gesto. Il flusso esistenziale riprende allora a scorrere in quei frammenti avulsi dalla vita, che della vita sono determinazione e qualifica e insieme riflesso dell’opera, che si an­ dava attuando in necessario rapporto col tutto e nel tutto. In ogni grande spirito, aveva osservato H um boldt, c’è una sfera di attività più immediata e piena di quella delle sue opere. Queste mostrano infatti solo una parte della sua essenza, la quale invece si trasfonde per intero nella manifestazione viva della sua personalità, accolta dai contemporanei e trasmessa in eredità alle generazioni seguenti. In modo diretto e piu sovente indiretto i Quaderni ci docu­ mentano su tale azione silenziosa e quasi magica esercitata dalla grande personalità di Beethoven, che le opere rivelano in tutta la sua purezza e trasmettono incontaminata, resa incorruttibile dal­ la forma al di là degli abissi del tempo. Permettendoci di ricalare l ’opera nell’ambito esistenziale da cui sorge, di ricondurre quelle pure forme agli eventi di cui sono sublimazione, essi ci aiuteran­ no a meglio scorgere il sottile legame che ricollega l’arte alla vita, la legge al fenomeno, quel costante tendere al di là del finito ver­ so l ’infinito. Per registrare con immediatezza i piu fuggevoli mo­ tivi del sentimento essi ci riveleranno inoltre aspetti segreti del suo animo, ci documenteranno sulla vastità dei suoi interessi spi­ rituali ed umani, sulla passione politica, sull’amore per la storia, la poesia, la filosofia, a mostrare come egli costantemente aspiri a riannodare la musica a qualche cosa di piu alto, a un pensiero che.

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trovando profonda risonanza nel suo animo, proietti una nuova luce sul processo creativo, lo inserisca al centro della spiritualità più pura. Affetti, passioni politiche, idee filosofiche e religiose che non solo ci testimoniano la sua intensa partecipazione al mondo in cui vive, le sue curiosità e la sua cultura, ma ci rivelano la misura, la dimensione della sua spiritualità e ci si offrono quale elemento integrante e complementare della sua concezione del­ l ’umano, elevata alla sfera di supremo ideale. Di questi frammenti e relitti di vita è compenetrata la sostan­ za conoscitiva della sua arte, che quei moti del cuore e della men­ te sa detergere da ogni elemento caduco e rendere manifesti in virtù della forma, come pure realtà, come verità inconfutabili e assolute. Se le pagine dei Quaderni di conversazione sembrano arresta­ re il divenire della realtà esistenziale, l ’opera, in cui quella realtà si riflette trasfigurata, ne sa cogliere l’attimo fuggente facendolo eterno. Soltanto infatti riportando gli eventi, registrati in quei fogli, al processo spirituale in cui si inseriscono, risalendo dalle verità di cui sono diretta testimonianza alla poesia cui ci iniziano, potranno divenire da spoglie mortali di cronaca, storia, da tempo perduto, tempo ritrovato. Alla morte di Beethoven Stephan von Breuning, avuti dagli eredi con altre carte i Quaderni di conversazione, ne fece dono ad Anton Schindler, che se ne valse per redigere la biografia del suo maestro ed amico. Beethoven stesso, come Schindler ebbe a riferire al conservatore della Königliche Bibliothek di Berlino, S. W. Dehn, avrebbe espresso il desiderio «dass diese Originalien wie überhaupt der grösste Teil seines geistigen Nachlasses, einstens ungetheilt an einem würdigen öffent­ lichen Orte deponiert und jedermann zugänglich werden möge»3(«che questi originali, come in genere la maggior parte di quanto costituiva la sua eredità spirituale, fossero depositati indivisi in una degna e pub­ blica sede che potesse divenire accessibile a tutti»). 3 Cfr. Berlino, Staatsbibliothek, lascito Schindler,, manoscritti musicali autografi, 36, nn. 88, 89, 90 e schünem ann , I, p. 8. [L’edizione dei Quaderni di conversazione dello Schünemann, già citata, come quella del Prod’homme, il volume del Leitzmann, L. van Beethoven, e l’epistolario beethoveniano a cura del Kastner, che il lettore trove­ rà citati in seguito, saranno indicati in nota, nel corso del volume, con il solo nome degli autori].

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Beethoven nei suoi quaderni di conversazione Ma quando nel 1846 venne stipulata la vendita dei Quaderni di con­ versazione alla suddetta biblioteca, il loro numero risultò di soli centotrentasei. I duecentosessantaquattro Quaderni mancanti erano stati di­ strutti dallo stesso Schindler, che credette potersene giustificare verso il Thayer dichiarandoli di scarso interesse, e verso il Dehn (che avendo ap­ preso notizia della loro esistenza ne aveva reclamato a termini di con­ tratto la consegna) adducendo quale pretesto il loro compromettente contenuto politico. Due di essi peraltro, insinuava Schindler, «enthiel­ ten nämlich die gröbsten und zügellosesten Ausfälle auf den Kaiser ebenso auf den Kronprinzen (jetzigen Kaiser) und andere erlauchte Mitglieder des Kaiserhauses. Dieses letztere war leider ein Thema das Beethoven, mit der obersten Staatsverwaltung, ihren Gesetzen und Ver­ ordnungen bekanntlich in stetem Widerspruche, in der Conversation gerne bevorzugte»4(«contenevano gli attacchi più grossolani e più sfre­ nati sia contro l’imperatore sia contro il principe ereditario, ora impera­ tore, ed altri illustri membri della famiglia imperiale. Quest’ultimo era purtroppo un soggetto di cui Beethoven, notoriamente in costante ri­ volta contro le autorità superiori, contro le leggi e le ordinanze, si com­ piaceva volentieri nella conversazione»). E poneva fine alla controver­ sia con le seguenti parole che dovevano scoraggiare il conservatore da ogni altro possibile tentativo di rivalsa o di recupero di quei testi incri­ minati: « Ich bin überzeugt dass S. Excellenz, hätten Sie Kenntniss von dem Inhalte solcher Schriften, alsbald befehlen würden, selbe dem Feuer zu übergeben, damit die Königl. Bibliothek nicht der Aufbewah­ rungsort von zügellosen Ausfällen gegen allerhöchste Personen werde» («Sono convinto che se Vostra Eccellenza avesse avuto conoscenza del contenuto di tali scritti, Ella stessa li avrebbe gettati nel fuoco perché la Biblioteca reale non divenisse il ricettacolo in cui fossero conservati questi attacchi sfrenati contro le autorità supreme»), I Quaderni già custoditi dalla Biblioteca di Berlino registrano con­ versazioni riferentisi agli anni 18x9-275. Nel Beethoven-Archiv di Bonn si conservano inoltre un Quaderno di conversazione del 181867ed un al­ tro del 1825 già nella collezione Bodmer di Zurigo \ L’edizione critica, iniziata dal Nohl nel 1922 e arrestatasi al primo

4 Cfr. sch Ünem ann , I, p. 9. S’intende che oltre alla prudenza politica, ragioni pili strettamente personali e meschinità inconfessabili hanno determinato la distruzione, da parte di Schindler, di tanti quaderni. 5 Dall’inventario redatto dal conservatore della Biblioteca di Berlino, S. W. Dehn, risulta che quattro Quaderni appartenevano all’anno 1819, undici al 1820, otto al 1822, ventotto al 1823, ventitré al 1824, trentuno al 1823, diciannove al 1826, dodici al 1827. 6 Cfr. Katalog der Handschriften des Beethoven-Hauses und Beethoven-Archivs, bearb. von j. sch m id t -görg, Bonn 1933, p. 20, n. 54. 7 Cfr. Eine Schweizer Beethovensammlung. Katalog bearb. von m ax unger , Zürich 1939, p. 80, e T. FRIMMEL, Beethoven-]ahrbuch, 1909, II, pp. 161 sgg.

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fascicolo89,venne nuovamente intrapresa dallo Schünemann, ma dopo i primi tre volumi, usciti rispettivamente negli anni 1941,1942 e 1943, è rimasta anch’essa interrotta, limitandosi alla pubblicazione dei Quader­ ni appartenenti al periodo corrente dal febbraio 1818 al luglio 1823 \ Per i Quaderni degli anni successivi non resta che ricorrere alla fram­ mentaria edizione francese curata da Jacques-Gabriel Prod’homme1012 e seguire la pubblicazione dei testi originali curata da K. H. Köhler e G. Herre “. Dai Quaderni e da altri taccuini ora perduti furono copiate da mano ignota nel cosi detto manoscritto Fischoffn numerose frasi e citazioni di Beethoven: prezioso ricupero di testi cui abbiamo fatto ri­ corso nel nostro lavoro, seguendo la lezione che ne ebbe a dare Albert Leitzmann13. Ci siamo valsi inoltre delle citazioni che biografi di Beethoven quali Anton Schindler, Gerhard von Breuning, Alexander Wheelock Thayer, Ludwig Nohl, Theodor Frimmel e Alfred Kalischer ebbero a trarre dai manoscritti dei Quaderni da essi consultati, ad integrazione parziale del­ le lacune del testo pubblicato dal Prod’homme.

Gli interlocutori dei Quaderni di conversazione appartengono in gran parte alla cerchia piuttosto ristretta degli intimi di Bee­ thoven. S’incontrano per primi J. K. Bernard, giornalista, redat­ tore della «W iener Zeitschrift», che assiste Beethoven nel pro­ cesso per la tutela del nipote e intende collaborare quale libretti­ sta al progettato oratorio La vittoria della Croce-, Franz Oliva, impiegato di banca, già intermediario tra Beethoven e Goethe, suo consigliere finanziario, solerte e fedele amico; Joseph Czerny «famoso maestro di pianoforte» (cosi è definito nei Quaderni), di cui il nipote di Beethoven è allievo; Karl Peters, precettore in casa del principe Lobkowitz, servizievole, gioviale, devoto; il dottor Johann Baptist von Bach, musicomane, ammiratore entu­ siasta di Beethoven, suo legale, e altri ancora. 8 Cfr. w. nohl , Ludwig van Beethovens Konversationshefte, München 1922, 1. 9 Cfr. G. schünem ann , Ludwig van Beethovens Konversationshefte, 3 voll., Berlin 1941-43. Le citazioni da questa edizione critica sono qui riportate fedelmente, con tutte le inesattezze ortografiche e grammaticali che contengono. 10 Cfr. J.-G. prod ’h o m m e , Les cahiers de conversation de Beethoven, Paris 1946. 11 Beethovens Konversations-hefte, VEB Deutscher Verlag für Musik, Leipzig 1968 sgg. 12 Già nella Staatliche Bibliothek di Berlino. 13 Cfr. a . leitzm a nn , L. van Beethoven, Berichte der Zeitgenossen, Briefe und per­ sönliche Aufzeichnungen, Leipzig 1921, II, pp. 239 sgg. e 365 sgg.

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Particolare interesse hanno i colloqui con Karl Blöchlinger (seguace di Pestalozzi e direttore dell’Istituto in cui il nipote ve­ niva educato), con August Friedrich Kanne (autore del testo del­ la cantata Die gute Nachricht, spirito aperto alla poesia e alla filosofia, con il poeta Franz Grillparzer, con Christoph Kufiner, musicista e uomo di cultura cui si deve, secondo la testimonianza di Czerny, il testo del coro della fantasia op. 80 e il progetto per l ’oratorio Saul. Numerose pagine registrano le conversazioni dei familiari (il nipote Karl, il fratello Johann), di Karl Holz, secondo violino del Q uartetto Schuppanzigh, che per un certo tempo ha goduto la piena fiducia di Beethoven, ed infine di Anton Schindler, che è il principale interlocutore di questo grande dialogo beethovenian o 14. Le sue parole rivelano il carattere dell’uomo, il suo zelo spesso inopportuno, la sua curiosità indiscreta, la sua saccente pedanteria, la sua irrimediabile mediocrità. Servizievole sino a mostrarsi servile, paziente sino ad apparire succube, geloso del privilegio di una famigliarità che la sua dedizione gli ha conqui­ stato, Schindler mira ad accrescere il tesoro di cognizioni e di confidenze che va raccogliendo dalla viva voce del maestro e che in un giorno non lontano potranno farlo apparire quale suo erede spirituale. La sua incapacità a comprendere l ’arte di quel genio è pari alla sua ostinazione di potervi riuscire Lo vediamo infatti, nei Quaderni di conversazione, infastidire e spazientire Beethoven, persino nei suoi ultimi giorni, con insi­ stenti domande nel vano tentativo di poter risolvere, in termini apprendibili di regole e di procedimenti formali, il mistero della sua arte, di costringere entro i precisi contorni di precostituite immagini letterarie il libero volo della sua fantasia musicale, di abbassare a valore significante ciò che in essa è altamente signifi14 Per le notizie biografiche delle persone sopracitate e delle altre che interverranno nel corso delle conversazioni dei Quaderni, rinviamo a T. f r im m e l , Beethoven-Hand­ buch, Leipzig 1926. 15 Schindler trova difficoltà anche nello studio delle prime sonate: « Il Largo della Sonata in re magg. è molto difficile da intendersi. Voi sarete ancora molto scontento di me. Io credo che dovrò farvela sentire ancora una volta. E poi io mi ricorderò [della vo­ stra lezione] per sempre. Dunque vi prego abbiate pazienza». Cfr. schünemann , II, pp. 201-2.

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cativo, di ridurre infine quella grandezza nei limiti della pochezza sua e dei suoi pari. Nelle sue reiterate suppliche quali «O ttim o, siate calmo! » 1617; «Maestro, non prendete quell’aria scura» ", è implicito l ’eco del­ le brusche reazioni di Beethoven18, che piu di una volta avrà ac­ colto l’arrivo dell’allievo con il fastidio e il disprezzo di Faust per il suo assistente Wagner: O Tod! ich kenn’s! das ist mein Famulus. Es wird mein schönstes Glück zunichte! Dass diese Fülle der Gesichte der trockne Schleicher stören m uss!19

(«O h morte! lo conosco! è il mio famulus. La mia piu bella for­ tuna è distrutta! Che proprio questo arido sornione debba di­ sturbare questa pienezza di visione! ») Comunque, se per Faust W agner è «ärmlichster von allen Er­ densöhnen» («il piu miserabile di tutti i figli della terra»), per Beethoven Schindler è anch’egli «miserabile e degno di disprez­ zo», come scrive il i6 aprile 1823 al nipote Karl. «An den Schindler, diesen verachtungswürdigen Gegenstand, werde ich Dir einige Zeilen schicken, da ich unmittelbar nicht gern mit die­ sem Elenden zu tun habe»20 («quanto a Schindler, questo sog­ getto degno di disprezzo, ti manderò io alcune righe per lui, poi­ ché non ho piacere di avere a che fare direttamente con questo miserabile»). E non esita a manifestare anche all’interessato, in una lettera del maggio 1824, questi suoi sentim enti21. Beetho­ ven, come Faust, mal sopporta infatti la vista del discepolo, «una 16 PROD’HOMME, p. 326.

17 Ibid., p. 380. 18 Fra i tanti inopportuni interventi di Schindler, questo durante la composizione della Missa Solemnis·. facendo allusione al «terribile fracasso» che Beethoven ha fatto la notte, lo ammonisce: «Non chiudetevi dunque durante la notte! Non può venire nessuno nella stanza... Sappiate che in tal caso tutti i vostri pasti saranno bruciati e im­ mangiabili; e non fate tanto fracasso (hear, hear!)». Cfr. sch Ünem ann , II, pp. 262-63. 19 Goethe , Faust, parte I, Notte, w . 165-68. 20 Cfr. Kästner , Ludwig van Beethovens sämtliche Briefe, Leipzig 1923, p. 688, n. 1157. 21 Cfr. ibid., p. 711, n. 1207.

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pertica nera... avvolta in una cravatta tremendamente bianca e un muso di cadaverica tetraggine» (cosi lo descrive Heine), e si com­ prende come possa sorgere in lui il timore che questi gli porti iat­ tura. «Überhaupt aber habe ich eine gewisse Furcht von Ihnen, dass mir einmal ein grosses Unglück durch Sie bevorsteht» («Ma soprattutto ho una certa paura di Lei, che una volta o l’altra mi accada per causa Sua una grande disgrazia»). Come Faust egli sa quanto il discepolo sia estraneo al mondo spirituale in cui vive e non solo per non comprendere la sua arte, ma anche per frain­ tendere i profondi turbamenti che lo travagliano, per giudicare quali sfoghi di ipocondria le tempeste della sua anima; e le pa­ role di insofferenza di Schindler, che i Quaderni ci conservano («O h Dio! eccovi ancora di cattivo umore; non lo potrò soppor­ tare» )22, sembrano trovare qui la loro risposta: «Denn ich geste­ he es, es stört mich zu sehr in so vielem: sehn Sie kein heiteres Gesicht, so heisst es: heut war wieder übles W etter. Denn bei Ihrer Gewöhnlichkeit, wie wäre es Ihnen möglich, das Unge­ wöhnliche nicht zu verkennen? ! !» («Lo confesso, Lei mi distur­ ba troppo in molte cose: se non vede un volto sereno sentenzia: oggi abbiamo ancora il solito [brutto] tempo. Poiché con la Sua natura comune come sarebbe possibile che Lei non disconosces­ se il non comune, lo straordinario? ! ! ») E conchiude determinan­ do con rude franchezza la distanza che separa le loro opposte na­ ture: «Ich gestehe es, die Reinigkeit meines Charakters lässt es nicht zu, bloss Ihre Gefälligkeiten für mich durch Freundschaft zu vergelten, ob ich schon bereit bin, Ihnen gern zu dienen, was Ih r wohl betrifft » ( « Confesso che la schiettezza del mio carattere non mi permette di ricambiare con l’amicizia le Sue gentilezze, sebbene io sia pronto a servirLa ben volentieri in ciò che Le può essere utile»): pronto se occorre a servirlo, a mettersi al di sotto di lui, ma non disposto di stargli a pari, il che, come è noto, ri­ chiede sforzo e virtù ben maggiori. Schindler tuttavia, a somiglianza del W agner goethiano, non si mostra troppo sensibile alle umiliazioni inferte al suo amor 22 Cfr.

SCHÜNEMANN,

III, p. 154.

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proprio e, se pur ripetutamente discacciato, gli riesce sempre di ritornare a fianco del maestro, che a suo modo egli ama e venera e dalla cui frequentazione e amicizia conta di poter trarre noto­ rietà e fam a23. Poiché se Schindler ha la pedanteria e l’ostinazione di W a­ gner, non ne possiede la candida ingenuità né la innata modestia. Scomparso il maestro, si trova anch’egli divenuto nuovo «Dok­ tor W agner», quasi celebre, attorniato da allievi, al centro del­ l’interesse del pubblico: e se non gli è dato distillare nella storta Yhomunculus, egli sembra personificarne l’immagine (spoglia na­ turalmente del significato metafisico e del valore simbolico che assume nel poema) intesa come espressione di una congenita Kleinichkeit, di una irrimediabile meschinità morale, quale ci appare evocata dalle parole di Heine (qui, ora, nella parte di Mefistofele), che ebbe ad incontrarlo nel 1841 a Parigi: «Assai me­ no suggestivo della musica di Beethoven fu per me Schindler, " l’amico di Beethoven” quale egli si proclama ovunque e credo persino sulle carte da visita. È questo amico di Beethoven stato davvero il suo Pilade? O piuttosto non lo si dovrebbe collocare nel rango di quelle conoscenze insignificanti con le quali talvolta un uomo geniale si trattiene tanto più volentieri quanto piu in­ sulso è il loro chiacchierio, che offre un sollievo riposante dopo i lirici affaticati voli dello spirito? Come poteva il grande artista sopportare un amico cosi poco divertente e povero di spirito? si chiedevano i francesi, che avevano perduto ogni pazienza in pre­ senza del monotono cicalare di quell’ospite seccante. Essi non pensavano che Beethoven era sordo» 24. Ma Heine ignorava l’esi­ stenza dei Quaderni di conversazione. 23 In un quaderno del 1824 v’è un accenno quasi patetico agli anni dei loro primi in­ contri: «Sono arrivato al secondo tempo dell’Ottava Sinfonia - ta, ta, ta, ta, - il cano­ ne su Mälzel. Fu una serata ben divertente, quando noi l’abbiamo cantato in canone al Cammello. Mälzel [faceva] il basso. Io cantavo allora il soprano. Credo si fosse alla fine del dicembre 1817. L’epoca in cui osavo venire sovente alla presenza della Maestà vo­ stra. - Ero ancora molto giovane allora, ma avevo molto ardire, non è vero? » (cfr. pro D’Ho m m e , p. 315). Beethoven l’aveva conosciuto nel 1814, studente di idee rivoluzio­ narie. « Si, senza l’intervento delle circostanze, io sarei certamente diventato un diplo­ matico, per lo meno un secondo Talleyrand» ( schünem ann , II, ρ. 262). 24 Cfr. h . He in e , Divagazioni musicali, trad. it. di E. Roggeri, Torino 1928, p. 73.

I.

La voce di Beethoven

Tra le tante voci registrate nei Quaderni di conversazione è quella di Beethoven che andiamo anzitutto cercando, e prima di rintracciarne l ’eco nelle parole altrui, cogliamo le sue, dal suo labbro. Esse ci giungono quasi sempre inattese, estranee al di­ scorso in cui sembrano interferire. Nomi di persone, di luoghi, di cose, frasi isolate, titoli di libri, numeri, temi musicali costellano le pagine: elementi erratici caduti su di esse come meteore su un campo, a interrompere la trama già corrosa del dialogo. «Vom Himmel hoch, da komme ich her» («D all’alto del cie­ lo ecco ch’io vengo») troviamo scritto di sua mano in un Q ua­ derno del 1819: è il titolo di un Corale luterano di Bach, ed è quanto egli sembra dirci con quelle sue stravaganti improvvise apparizioni, indici del suo apparente distacco dalla vita, che pur lo attornia e lo stringe per frangersi poi come onda ai suoi piedi. Di questa difficile e dolorosa partecipazione alla realtà esisten­ ziale ci documentano i primi Quaderni degli anni ’19 e ’20, quasi interamente occupati da testi di dialoghi riguardanti le vicende dei processi sostenuti per la tutela del nipote Karl, figlio di suo fratello Kaspar Karl, morto a Vienna nel 1815; tutela che, per essergli contestata dalla madre del ragazzo, diede luogo a inter­ minabili diatribe giudiziarie e che tanto lo occupò e amareggiò da interferire nel suo lavoro e turbarlo. Era quello il tempo eroico della Sonata op. 106, della Missa Solemnis, che andava lentamente componendo, dei primi proget­ ti e abbozzi per la Sinfonia corale. Agli schizzi musicali vediamo alternarsi nelle pagine dei Quaderni gli appunti per la stesura dei memoriali da presentare al magistrato, alla folgorazione di un te­ ma l’elenco dei motivi polemici da addurre a sostegno della cau-

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sa che egli difende con appassionata ostinazione. Inutilmente gli amici avevano cercato di dissuaderlo, consigliandolo alla rinun­ cia. Nella primavera del ’19 uno dei suoi intimi, il giornalista Karl Bernard, consiglia: «se volete raggiungere una qualche tranquillità ritengo sia bene che voi nominiate un tutore... Sin tanto che siete voi il tutore e che Karl resta qui non avrete sol­ tanto delle preoccupazioni come sino ad ora, ma dovrete anche continuamente lottare contro sua madre e i suoi intrighi». «Sie muss dahin gebracht [werden] » annota poi a questo proposito Beethoven «dass sie sich gar nicht mehr rühren [u.] Kl. [Karl] schaden kann, alsdenn ist es erst möglich die M enschlichkeit] in ihre rechte treten zu lassen»1 («Si deve indurla [la madre di Karl] a non più agitarsi e danneggiare Karl, allora soltanto sarà possibile ripristinare anzitutto l ’umanità nei suoi diritti»). Ma intanto è la sua umanità che viene umiliata. Essendo emerso, durante il processo, che egli non è nobile di nascita, il Landrecht, tribunale privilegiato, rigetta il suo ricorso e trasferi­ sce la causa al Magistrato civile della Municipalità di V ienna12. Questa esclusione ferisce Beethoven che, se intrattenendosi con Bernard sulla distinzione stabilita dai giudici tra il Von e il Van e in quali casi il Van sia da considerarsi attributo di nobiltà, ostenta un ironico distacco da tale questione «importante senza importanza», solo, dà sfogo all’intimo risentimento. Consapevo­ le della superiorità che il suo tempo, la Geniezeit, riconosce al­ l’arte e agli artisti, egli afferma la propria nobiltà spirituale, la vera autentica aristocrazia che lo innalza tanto sulla schiera dei titolati quanto sulla gente comune: «den[n] ich gehöre nicht ge­ mäss meine[r] Bescheftigfung] unter diese pleb[ejer] M [asse]»3 1 Cfr. SCHÜNEMANN, I, p. 76. 2 II prefisso van, spiega Beethoven a Bernard, non è attributo di nobiltà se non in certi casi: «V an bezeichnet den Adel u. das patriciat nur, wenn es zwischen zwei Eigen Nahmen in der Mitte steht, z. b. Bentink van Dieperheim, Hooft van Vrenland, etc. etc. Bey Niederländer würde man die beste Auskunft über diese Unbedeutende Bedeutenheit erhalten » (« van significa nobiltà e patriziato soltanto quando è posto tra due nomi propri, per esempio Bentink van Dieperheim, Hooft van Vrenland ecc. ecc. Dagli olan­ desi si potrebbero avere le migliori informazioni su questa cosa importante senza im­ portanza»). Cfr. SCHÜNEMANN, I, p. 160. 3 Cfr. ibid., p. 215.

La voce di Beethoven



(«perché io non appartengo per la mia attività a questa massa plebea»). E l ’amarezza riaffiora durante un colloquio con Peters, quando Beethoven, rivolgendosi all·amico che ha avvertito il suo stato di depressione («Voi siete oggi infelice quanto me»), è co­ stretto a riconoscere: «Abgeschlossen soll der Bürger von hoh­ em Menschen sein, u. ich bin unter ihn gerathen»4(«il borghese deve essere escluso dagli uomini superiori, ed io sono capitato tra quelli»). Ma non è questa la sola ragione della sua tristezza. Anche i suoi generosi intenti educativi, ispirati agli ideali di Rousseau e ai precetti pedagogici di Pestalozzi, di cui egli era fer­ vido ammiratore, suscitano una diffidenza offensiva5. «Le vo­ stre intenzioni sono eccellenti, ma non sempre conciliabili con un mondo meschino» deve ammettere Peters, che sarà poi chiamato a dividere con Beethoven la responsabilità della tutela del nipo­ te 6. Lo si esorta ad evitare di mostrarsi in pubblico col ragazzo, di portarlo con sé in trattoria, per non dare pretesto a malevoli commenti: «L ’attenzione di tutti è rivolta su di voi, —lo ammo­ nisce Bernard; —tutto viene deformato dalle chiacchiere e dalle false interpretazioni»7. O ltre che guardarsi dai sospetti dei mali­ gni egli deve difendersi dinanzi al giudice da accuse altrimenti circostanziate: di aver iscritto il ragazzo, ancor troppo giovane, all’università con grave danno della sua formazione morale, di avergli inculcato sentimenti ostili verso la madre, irriverenti ver­ so la religione e le pratiche del culto. Nei Quaderni di conversazione del ’20 si trovano numerosi appunti di cui egli si varrà per redigere il suo memoriale di dife­ sa. «Karls eigene N atur war schuld daran, dass man ihn nicht an jeden O rt geben kann, wie Selbst die Professoren behaupteten, dass er im gimnasium nicht gut thun würde. - Man gab ihn an 4 Cfr. ibid., p. 247. 5 Nel marzo 1820 Beethoven si intrattiene sui principi del celebre pedagogo sviz­ zero con Blöchlinger, il direttore della scuola frequentata dal nipote Karl. « I principi di Pestalozzi - dice Blöchlinger - non convengono che a poche persone, poiché egli visse troppo per l’umanità perché altri abbiano voglia di imitarlo, perciò scherzano volentieri su di lui. Tra lui e tanti altri nostri educatori del nostro tempo vi è la stessa differenza che tra Cristo e i farisei». Cfr. sch Ünem ann , I, p. 341. 6 Cfr. ibid., p. 129. 7 Cfr. ibid., p. 183.

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die Universität weil man glaubte, dass die Studien dort am besten für sein N atureell»8(«È a causa della natura stessa di Karl, che non lo si possa mettere in qualsiasi posto, come persino i profes8 Cfr. ibid., pp. 187 sgg. Il testo cosi continua: «Konnte ich eben so wenig als an­ dere, denn er blieb einmal derselbige da sowohl als er durch gianat[asio] abgehohlt wurde als durch mich u. als durch den Hofmeister. - übrigens sollte diese person als der Klägerin wenig gehört werden, denn wer eine solche Crimina Emph.[ehlung] hat, verdient wenig Zutrauen oder gar keins - hierauf deutet auch der § 191 ausserdem be­ seelt sie auch wahrte] Bossheit interesse die pension zu gemessen - wenn ich auch hier sollte gefehlt haben welches erwiesen werden muss, so verdiene ich achtung u. Scho­ nung für meine immer Bewiesene Unterstüzung u. theilnahme - selbst als Tuscher V.tormund] war, habe ich alles aus meinem Beutel bezahlt, mehr sorge als vorher ge­ habt, weil sie zu ihm immer gegen mich u. ihr [en] sohn gewirkt hat. - Die verschiede­ nen Perioden angezeigt dies ist das deutlichste zu erst konnte giannattasio u. wollte ihn nicht behalten - alle Zeugnisse von mir sind gut - wie es bej Kudl. [ich] hergegangen weiss jeder, wo er ganze Tage aus sejn konnte, sonderbar dass man von allen Seiten auf den wohlthäter losprügeln dagegen das wirklich schlechte gegen das Gute alles frevel­ haft beginnen kann - ich kann nicht wie diese Müssiggänger überall hinlaufen bej der Periode als ich in Mödling war u. K.[arl] bej Kudlich - lief sie zu Tuscher log ihm im­ mer vor - am 12"° Maj traf ich in M.[ödling] ein. Tuscher hatte schon niedergelegt. am 22te“ juni ist Karl zu Blöchl.[inger] gekommen - Vom November an Monathl. 100 fl. - warum wird nicht die erste schrift der Fr. Beth.[oven] als Vorm, erwähnt - der Magistrat hat gleich anfangs sich parthejisch für sie gezeigt u. ist nur auf mich... - Es sind mehrere andere Grafen u. Barone von gianatt[asi]o weg, welche alle über die Uni­ versität] giengen... - Erziehung fordert durchaus einen gesicherten] gang - bald ist ihr verboten worden ihn zu sehn als denn wieder das Gegentheil unmässig - Mit dem Ad­ vokaten zu dem referenten gehn - ... 2 mal ist er zu ihr, wo er das Schlimmste began­ gen - da ich einmal das Geld gebe, damit die Erziehung befördert werde, So ist es natürl. dass auch dieser Zweck erreicht werden muss - alles wider Sie wurde nicht ge­ würdigt - Die Briefe von g[iannatasio] nur wider mich. - man kann denken, dass Smettana mir nicht zu gefallen ein Unglück zulassen würde, indem er die sache gleich für abgefertigt erklärte - ... meinem Neffen war der Karakter Seiner Mutter nie ein Geheimniss hiervon wollte der M.fagistrat] aus übelverstandner UnMoralität u. Parthejlichkeit nichts wissen, ohnerachtet mein Neffe in dem gehörigen grad von Achtung ge­ gen seine Mutter angeleitet wurde» («Io potevo far tanto poco come gli altri, poiché egli non si cambiava, sia che fosse da Giannatasio, da me o dal precettore. - Del resto non si dovrebbe dare ascolto alle lamentele di una tale persona; poiché chi ha una cosi delittuosa presentazione merita poca fiducia o nessuna. - A questo accenna anche il pa­ ragrafo 191 [riguardante i diritti e i doveri del tutore] ed inoltre la cattiveria e l’interes­ se di godere la pensione la animano - Anche se io ho mancato su questo punto, il che deve essere provato, merito tuttavia stima e riguardo per il sempre dimostrato appog­ gio e assistenza, persino quando Tuscher era tutore ho pagato tutto di mia borsa e avevo più preoccupazioni di prima poiché essa con lui ha tramato contro di me e contro suo figlio. - Indicati i diversi periodi, questo è chiaro: al principio Giannatasio non poteva né voleva tenerlo - tutte le mie testimonianze sono buone - tutti sanno cosa è successo da Kudlich, dove egli poteva rimanere fuori per intere giornate, è strano che si dà ad­ dosso da tutte le parti al benefattore, mentre il vero malvagio può commettere ogni de­ litto contro il bene. - Io non posso correre ovunque come questi oziosi quando ero a Mödling e Karl presso Kudlich. - Ella corse da Tuscher e gli menti sempre. - Sono ar­ rivato il 12 maggio a Mödling, Tuscher aveva già dato le dimissioni. Il 22 giugno Karl è

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sori affermavano, che egli non farebbe niente di buono al ginna­ sio. —Lo si è messo all’Università poiché si credeva che quegli studi convenissero meglio alla sua natura»). E dopo un confuso entrato nell’istituto di Blöchlinger - xoo fiorini al mese a partire da novembre - ... per­ ché Frau Beethoven non è menzionata come tutrice nel primo documento - il magistra­ to si è mostrato parziale con lei sin dal principio e non ha fatto che attaccarmi; e come numerosi altri conti e baroni hanno lasciato Giannatasio e andarono tutti alla Universi­ tà - L’educazione richiede a tutti i costi un andamento regolato - le è stato proibito di vederlo, come poi il contrario in modo eccessivo - Andare con l’avvocato dal relatore due volte egli è andato da lei ove ha commesso le peggiori azioni - poiché io do il da­ naro affinché l’educazione venga impartita, è naturale che anche questo scopo debba ve­ nir raggiunto. - Non si tenne conto di tutto [ciò che è stato detto] contro di lei - Le lettere di Giannatasio soltanto contro di me. Non si può pensare che Smetana, per far­ mi un favore, permetterebbe una situazione infelice, in quanto egli dichiarò la cosa già risolta - Il carattere di sua madre non era mai un segreto per mio nipote - il magistrato, per immoralità e parzialità non volle saperne di questo fatto - sebbene mio nipote sia stato educato nel dovuto rispetto per sua madre...») Smarrito tra i suoi stessi pensieri, Beethoven si rivolse allora a Bernard, chiedendo con la seguente lettera il suo aiuto (1820): «Lieber Bernard! Indem ich mich wieder allein in diesen mich verwirrenden Umständen befinde, schwebt mir die wahre Einsicht über meine Denkschrift erst recht vor, ohne mit fremden Federn prangen zu wollen, glaube ich doch, dass ich Ihnen gänzlich freisteilen sollte da Sie mit wenigen Worten soviel oder mehr als ich bogen­ weise sagen können, alles ganz nach Ihren mir überlegenen Einsichten zu behandeln die Sache würde dadurch für die Richter eindringender und fasslicher werden. Freilich müsste das bald vollendet sein. Denken Sie, dass Sie für das Glück Karls und für meine nur mögliche Zufriedenheit wirken mitwirken und zwar zum letztenmal - noch ein­ mal schalten und walten Sie mit meinem rohen Material nach Ihrem Ermessen. Sie schreiben ohnehin deutlicher wie ich und die Abschrift würde bald da sein. Ihr Freund und Verehrer Beethoven» («Caro Bernard! Mentre io mi trovo di nuovo solo in questa per me confusa situazione, mi sta dinanzi agli occhi ora piu che mai il vero aspetto del mio Memoriale, e senza volermi far bello con le penne altrui io credo tuttavia che io do­ vrei lasciarlo interamente a Lei poiché Lei sa dire con poche parole tanto o piti di quan­ to potrei io con lunghe frasi. Tratti la cosa secondo il Suo per me superiore giudizio; farà piu impressione e sarà piu comprensibile per i giudici. S’intende che deve essere pronto al piu presto. Pensi che Lei lavora per la felicità di Karl e per la sola soddisfa­ zione che mi è consentita e che è per l’ultima volta. Ancora una volta disponga ed agisca come crede meglio con il mio materiale grezzo. Comunque Lei scrive in modo piu chiaro di me e la copia sarà presto pronta. Il suo amico ed estimatore L.v.B. »); cfr. e . kastner , p. 569, n. 955. Il confuso abbozzo tracciato da Beethoven nei Quaderni di conversazione trova infatti ampio riscontro e chiarimento nella Denkschrift redatta con la collaborazione di Bernard e presentata il 18 febbraio 1820 in tribunale. Vedine il te­ sto integrale in dagmar w e is e , Entwurf einer Denkschrift an das Appellationsgericht in "Wien ecc., Beethoven-Haus, Bonn 1953. Bernard, come ci informano i Quaderni, as­ siste Beethoven in questa vertenza giudiziaria ( schünemann , I, pp. 75, 108), lo inco­ raggia ad escludere, contro l’opinione del suo stesso avvocato, doti. Bach, la madre dalla tutela del ragazzo {ibid., pp. 85-86), gli riferisce puntualmente la cronaca delle udienze del tribunale, alle quali egli presenzia in sua vece (ibid., p. 162); lo consiglia ad agire con prudenza nel periodo che precede il giudizio della Corte d’Appello per non offrire pretesti all’accusa (ibid., p. 185), tiene le fila di tutto l’andamento della vicenda (ibid., p. 212). «Voi non date niente da fare al vostro co-tutore; sono geloso di Bernard» dirà scherzosamente Peters a Beethoven (ibid., p. 211).

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susseguirsi di frasi interrotte in cui rimemora argomenti e fa tti da produrre a sua giustificazione, ammette umilmente: «Einen einzi­ gen Fehler begieng ich, aber so wenig man einem Vater (u. das war ich u. bin ich) seine Kinder wegnimmt, wie wenn ein Versehn in einem Erziehungs Hauss vor sich geht dieses aufhebt eben so wenig hoffe, dass man mir deswegen die Vorm.fundschaft] nehmen könnte, da ich mich allzeit nur gleich u. dem Zweck benommen habe»9(«U n solo errore io ho commesso, ma come non si possono togliere ad un padre, e questo ero io e lo so­ no, i propri figli, e come quando un errore è stato commesso in un istituto di educazione non lo si chiude, cosi altrettanto poco spe­ ro che mi si possa, a causa di ciò, per questa unica ragione, revo­ care la tutela, quando io mi sono comportato sempre allo stesso modo e per lo stesso scopo»). E mentre egli sta costruendo la grande cattedrale sonora della sua Missa Solemnis, lo vediamo interrompere il colloquio con Dio per confutare le false accuse del curato di Mödling e provare la sua innocenza: «Sollte der Pfarrer von Mödling nicht ange­ halten werden können, Seine Aussagen zu beweisen oder als Schurke öffentlich erklärt zu w erden...» 10( « Se il parroco di Möd­ ling non dovesse essere tenuto a provare la sua asserzione o di­ chiarato pubblicamente un furfante...») «W ie ich für’s beichten gesinnt bin, kann man aus dem abnehemen dass ich K. [ari] selbst zum A bt vom St. Michael führte zur B eichte»11(«Q uanto io sia favorevole alla confessione, lo si può dedurre dal fatto che io stesso ho condotto Karl dall’abate di San Michele ä confessarsi»). Gli argomenti si affollano confusamente nella sua mente ecci­ tata e la penna non giunge a fissarli compiutamente sul foglio per il sopraggiungere sempre di nuovi che urgono, sotto lo stimolo del risentimento per l ’ingiustizia e l ’offesa sofferte. «M an wird mir vor [wer] fen dieses u. jenes getha[n] zu haben, allein bej ei’ SCHÜNEMANN, I, p. 189.

10 Ibid., p. 196. 11 Ibid.,p . 203.

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ner strengen Untersuchung kann ich bestehen»12(«M i si rinfac­ cia di aver commesso questo e quello, invece con ima rigorosa istruttoria io posso resistere»). Come i motivi e gli abbozzi musicali dei taccuini trovano ri­ scontro e sviluppo nelle partiture, cosi tutta la tematica raccolta in queste caotiche pagine riappare nella Denkschrift, il memoria­ le redatto con la collaborazione di Bernard e presentato nel feb­ braio del 18 20 alla Corte di Appello di Vienna. Allo stesso modo di quando compone, egli ferma l ’idea e cerca poi, al modo usato, di tradurla, di esprimere cioè fedelmente l’immagine, che un mo­ to di passione gli ha suscitato nell’animo. «Ich übergehe das W i­ d e r r u f e n ! » («Io passo sopra alla revoca!») annota, ma poche righe dopo riprende la frase, la corregge in obbedienza al pensie­ ro e rimossa qui una parola come là una nota, dà nuovo avvio al discorso che ora fluisce senza impedimento: «Ich übergehe die Misshandl. denen ich von allen Seiten ausgesetzt war, u. ma[n] wird merken wie fest u unerschütterl. ich war. Socrates u. Jesus waren mir M uster»13 («Io passo sopra a questi malvagi tratta­ menti ai quali fui esposto da ogni parte e ci si accorgerà come io sia stato fermo e irremovibile. Socrate e Gesù furono i miei mo­ delli»). Accostamento di Socrate a Gesù che, se ci richiama ad Hamann, rivela la sua adesione alla religione liberale del tempo, in cui confluivano esperienze filosofiche e mistiche, pagane e cri­ stiane, per rispondere alle più alte esigenze dello spirito. Beethoven è disposto a perdonare le offese, a transigere sulle ingiustizie sofferte, ma non alla rinuncia: «W o man wünschte, dass ich ganz von ihm entfernt blieb —wo er mir gar keinen ge­ höre [am] nur Sein [er] M [utter], indem ich wie vorhin alle Sor12 Ibid., p. 207. 13 Ibid., p. 208. Beethoven adduce l’esempio anche di Filippo il Macedone che, se­ condo Plutarco, aveva egli stesso curato l’educazione del figlio Alessandro, dandogli co­ me maestro Aristotele :«hat (nach Plutarch) ein Philippus seiner nicht unwert geach­ tet, die Erziehung seines Sohnes Alexander selbst zu leiten und ihm den grossen Aristo­ teles zum Lehrer zu geben, weil er die gewöhnlichen Lehrer hierzu nicht geeignet fand... warum sollten dgl. schöne erhabene Erscheinungen nicht auch aus anderen wieder her­ vorgehen?»; Beethoven al Magistrato della Città di Vienna, i° febbraio 1819. Cfr. KASTNER, p. 493, n. 883.

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gen... » 14(«Qualora si desiderasse che io fossi completamente al­ lontanato da lui - qualora egli non obbedisse piu a me ma solo a sua madre, mentre io sino ad ora tutte le cure...») Dopo il pate­ tico inizio la frase resta sospesa e non sai se essa preluda ad una minaccia o se la parola ceda come l’animo dinanzi al pensiero del­ l’abbandono che egli non osa formulare. E il silenzio di quella so­ spensione si fa piu doloroso quando si oda riecheggiare, rimemo­ rata, la voce del cuore: «G ott helfe! Du siehst mich von der gan­ zen Menschheit verlassen, denn Unrechtes will ich nichts bege­ hen. Erhöre mein Flehen, doch für die Zukunft nur mit meinem Karl zusammen zu sein, da nirgends sich jetzt eine Möglichkeit dahin zeigt. O hartes Geschick! O grausames Verhängnis! Nein, nein, mein unglücklicher Zustand endet nie! » 15 («Dio aiutami! Tu mi vedi abbandonato da tutta l ’umanità, poiché io non voglio fare il male. Ascolta la mia preghiera, che io possa nel futuro vi­ vere solo con il mio Karl, benché ora questo sembri impossibile. O duro destino! O crudele fatalità! No, no, il mio stato infelice non avrà mai fine»). Comprenderemo allora perché egli contenda con tanta ostinazione il figlio alla madre, perché voglia sottrarre Karl al malefico influsso di colei che con chiaro riferimento al Flauto magico egli suole chiamare «die Königin der Nacht» «la Regina della N otte». Non era infatti soltanto per ottenere dai giudici il diritto di tutela che egli lottava, ma per conquistare l’affetto del ragazzo. E la sentenza, a lui pienamente favorevole («Eccovi completamen­ te vendicato, —gli dice il suo amico Kanne apprendendo l’esito del processo. —Quali sono i nomi dei giudici? Vado a darne no­ tizia nel " M orgenblatt”, ciò farà piacere anche alla C orte»)16, 14 SCHÜNEMANN, I, p. 2x4. Beethoven era seriamente preoccupato per l’esito del ricorso [ibid., pp. 353, 391). Karl Czemy assiste alla udienza della Corte di Appello (24 marzo 1820) e ne riferisce a Beethoven (ibid., p. 393) che sebbene ormai certo della vit­ toria attende con impazienza la pubblicazione della sentenza (ibid., II, pp. 14,16). 15 È questo uno dei testi beethoveniani, che, trascritti da mano ignota da originali ora perduti, ci sono stati conservati e trasmessi dal manoscritto Fischoff, già alla Biblio­ teca di Berlino, e pubblicati in leitzmann, II, pp. 241 sgg. 16 Cfr. SCHÜNEMANN, II, p. xo. Scrivendo al segretario del conte Pallfy, Beethoven annuncia con pittoresca esultanza la sua vittoria: «Lieber Herr von Pinterics! Ich mel­ de Ihnen, dass der Zivilsenat vom hohen Appellationsgericht beauftragt worden, mir

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non segnerà il termine delle sue pene: la vittoria ottenuta in tri­ bunale non porterà pace nella sua vita. Questa dolorosa inquietudine trova riflesso nei mesti solilo­ qui affidati alle pagine dei Quaderni, in cui si rivolge mentalmen­ te ora al ragazzo, per l ’intimo bisogno di esprimere ciò che forse non osava dirgli, ora a un terzo invisibile, cui chiede di introm et­ tersi in suo aiuto, di esercitare opera di persuasione per il ravve­ dimento del giovane sviato. «D u gewöhnst dich nach u. nach an abscheulichk. [eiten] —die richter über dich würden sagen, du musst deine M utter kennen, denn man gab dir das beste Bejspiel hier... hören Sie seine Aüsserungen was wider Seine M utter — sagen sie, dass Sie eben so unparthejisch wie ich, u. eben so we­ nig Gefallen daran finden als ich, dass er etwas wider Seine M. [utter], was nicht so ist - Fragen Sie ihn doch, wie er denn bej mir angeleitet worden nach Sokratischer Manier, wie es dort mit sein [er M utter] gegangen, wie es gekommen dass er hätte 2 mal von mir, sagen sie mir die Wahrheit in allem, ich auch wenn sie gefehlt haben? ich kann sie heilen u. will sie seelen-Gesund ma­ chen... führen sie denn zurück auf die Schmerzen, welche er mir verursacht hat, sagen Sie, dass andere schon gesagt hätten dass sie sich seiner ganz entäussert hätten, an meiner Stelle —gehen Sie die verschiedenen Perioden Seiner Kindheit mit ihm durch jedes übele verbringst] du ach mit deiner M utter, für dich ist [es] von Übeln Folgen... übrigens ist mir der grund Seiner Moral Besserung auf die wahre Erkenntniss seiner M utter zu legen... — schon über 13 Jahre das gute muss sich in dir neu befestigen — du sollst deine M utter nicht hassen, allein du darfst sie nicht wie dessen Beschluss, welcher mir vollkommene Genugtuung leistet, bekannt zu machen. Dr. Bach war Vertreter dieser Angelegenheit und zu diesem Bach gesellte sich das Meer mit Blitz, Donner und Sturm und der Magistratische Brigantine musste auf selben gänz­ lichen Schiffbruch leiden» («Caro signor Von Pinterics, Vi annuncio che il Senato Ci­ vile è stato incaricato dalla Corte di Appello di informarmi della sua decisione, che mi dà completa soddisfazione. Il dottor Bach mi ha rappresentato in questa faccenda e a questo Ruscello si sono aggiunti l’oceano, i lampi, il tuono e la tempesta, tanto che il bri­ gantino magistrale ha dovuto subire un completo naufragio»; cfr. kastner , p. 585, n. 975). Il nipote Karl non sembra aver accolto con pari soddisfazione la sentenza della Corte ( schünemann , II, p. 81) e Blöchlinger cerca di giustificarlo presso Beethoven {ibid., ρ. 181).

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eine andere gute M [utter] betrachten —dies ist Evident, und so­ bald du dich fernerer Vergehungen gegen mich schuldig machst, so kannst du kein guter Mensch werden, das ist dasselbe als wenn du dich gegen deinen Vater empörtest. —K.[arl] du weist meine übrige läge alles muss ich verdienen um dich zu versehen ich thue es m[it] Freud [en]... Die Fehler wo du vorgibst von deine[r] M .[utter] dazu verleitet worden [zu sein], finden keine Entschuldigungen mehr, du bist alt genug zu wissen, was gut oder schlimm ist... » 17(«Tu ti abitui poco a poco a delle mostruo­ sità —i giudici ti direbbero che tu devi imparare a conoscere tua madre poiché qui ti si diede il migliore esempio... ascoltate le sue dichiarazioni contro sua madre - dite che voi appunto siete im­ parziale come me e che voi provate altrettanto poco piacere quan­ to me che egli [dica] qualche cosa contro sua madre. —Domanda­ tegli inoltre come egli è stato guidato da me secondo il metodo socratico, come si svolsero le cose con sua madre, come è accadu­ to che egli abbia potuto scappare due volte da me, ditemi la veri­ tà su tutto anche se essi hanno mancato io posso guarirli, e io vo­ glio sanare le loro anime... Ricordategli i dolori che egli mi ha causato, dite ciò che altri hanno già detto, che al mio posto lo avrebbero completamente abbandonato —riesaminate con lui i diversi periodi della sua infanzia —ogni cattiveria che commetti con tua madre, per te di nefasta conseguenza... come inoltre è per me fondamentale per il suo miglioramento morale fargli un vero ritratto di sua madre... —tu hai già tredici anni passati, il bene 17 schünem ann , II, pp. 155 sgg. Una frase di Bernard poche pagine dopo ci illumi­ na sulle circostanze che hanno provocato questo sfogo del cuore: «Ho di recente fatto visita a Blöchlinger... Ho visto Karl: Blöchlinger mi ha detto che Karl gli aveva confes­ sato di non esser fuggito che per supplicare sua madre di intercedere presso Blöchlinger perché non lo punisse» (ibid., p. 167). Dallo stesso Blöchlinger apprendiamo poi le cir­ costanze della fuga e come il ragazzo fosse stato ripreso e riaccompagnato in collegio (ibid., p. 175). La madre, Johanna, ritenuta responsabile dello sviamento del figlio, vie­ ne tanto severamente giudicata da uno dei professori del collegio, Joseph Köferle (ibid., p. 189), da provocare una reazione in suo favore da parte di Beethoven, che annota nel Quaderno: «Noi dobbiamo cercare di mostrarci umani verso di lei senza dimenticare che sei tu che hai scoperto tutto... Karl anche non era piti lo stesso da qualche tem­ po...»; indulgenza e comprensione di breve durata se poi ingiunge: «Ma se ella viene non l’ascoltate ma fatela ricondurre a casa... » (ibid., p. 192) e se il dottor Bach, suo av­ vocato, deve ripetutamente insistere per dissuaderlo dal voler impedire ogni rapporto tra madre e figlio (ibid., pp. 228 e 230).

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deve nuovamente fortificarsi in te - non devi odiare tua madre ma non puoi considerarla come una buona madre - è evidente che se continui a renderti colpevole di mancanze verso di me non puoi diventare una brava persona, sarebbe come se tu ti ribellassi contro tuo padre. Karl, tu conosci il mio stato, tutto, che io devo guadagnare denaro per accudire a te e lo faccio con gioia... Le col­ pe che tu pretendi di aver commesso a causa di tua madre non trovano più scuse ora se le commetti ancora, tu sei abbastanza grande per sapere che cosa è il bene e che cosa è il male...») Si inizia cosi, scoperta e diretta, senza piu schermi illusori, l’appassionata vicenda interiore, dominata da un contrasto di sentimenti che nessuna sentenza di giudice, nessun intervento di amici potrà mai comporre: sfuggente miraggio di felicità che egli persegue disperatamente per tutta la vita come Peter Schlemihl la sua ombra perduta, u n ’ombra che vale l’anima e che Bee­ thoven, come Chamisso, riconquistò in virtù dell’arte, dissolven­ do la realtà sensibile come u n ’ombra e conferendo all’ombra cor­ po e realtà mediante la forma: «Die w ir den Schatten Wesen sonst verliehen | seh’n W esen jetzt als Schatten sich verziehen»18. Ai propositi di fermezza e di rassegnazione, che ci riportano alle toccanti espressioni raccolte dal manoscritto FischofE, si al­ ternano nei Quaderni annotazioni caustiche ed amare, come que­ sta riferentesi al fratello Johann: «Ich habe meinem Brudfer] Kain schon seine 200 fi. gegebfen] h e u te» 19(«H o restituito oggi a mio fratello Caino i suoi 200 fiorini»). Ma pochi mesi dopo, in uno slancio di generosità, lo vediamo pronto ad accoglierlo ammalato presso di sé, per sottrarlo ad una sciagurata situazione familiare e rendere anch’egli partecipe del­ la vita felice, che egli sogna ed attende: «Komm zu m ir u. bleib bej uns, ich brauche nichts von dir; wie schrecklich] wenn du unter solchen H änden den Geist auf geben müstest ...ich rathe 18 «Noi che prima abbiamo attribuito realtà alle ombre, vediamo ora la realtà dis­ solversi come ombre». Cfr. Adalbert von c h a m isso , A n meinen alten Freund Peter Schlemihl, in 'Werke, Berlin 1894, II, p. 4, e b . t e c c h i , L’ombra nella fiaba di Chamis­ so, in Romantici tedeschi, Milano-Napoli 1959, pp. 93 sgg. 19 SCHÜNEMANN, I II, p . 1 2 .

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dir herauszukommen u. ganz da zu bleiben, u. später ganz mit uns zu leben, wie könntest du glücklicher leben, mit einem ausgezeichneten Jüngling wie Karl, wie dein Bruder ich — wahrhaftig du hättest die Seeligkeit auf E rd en » 20(«Vieni da me e resta con noi, non ho bisogno che tu mi dia nulla, come sareb­ be terribile che tu dovessi rendere l’anima in quelle mani... io ti consiglio di uscire di là e di restare qui e piu tardi di vivere defini­ tivamente con noi; come potresti vivere più felicemente con un eccellente ragazzo quale è Karl, e con me, tuo fratello —avresti veramente la beatitudine in terra»). Ora registra come un cronista antico gli eventi del giorno che piu lo colpiscono: tra questi la tragica fine (non dissimile, sem­ bra, da quella di cui fu vittima il Winckelmann) di un suo amico di giovinezza, il pittore Gerhard von Kügelgen: «Am 3 i ten März 1820 war Kügelchen \_sic] in Dresden auf offener Sehr beleb­ ter landstrasse bej hellem Mondscheine schrecklich ermordet u. b eraubt»21(«II 31 marzo Kügelgen è stato orribilmente ucciso e derubato a Dresda: in una aperta strada di campagna molto fre­ quentata, al chiaro di luna»), ove il chiaro di luna, qui evocato 20 Ibid., p. 339. In altre pagine dei Quaderni Beethoven si esprime severamente sul fratello Johann e sul suo «vergognoso legame» che egli inutilmente aveva cercato di impedire: «Alles wurde gethan um ihn von dieser schandvollen Verbindung zurück zu halten - vergebens, er ist aber, wie ich ihn kenne, nichts besseres werth! er suchte nur allzeit das gemeinste... er war besser, ward unter den Franzosen u. hier verdorben - er brachte mich in die Kothgasse, was ich bisher ausgestanden, ist unglaublich, denn nun trenne ich mich wieder von ihm» («Tutto è stato fatto per trarlo da questo vergogno­ so legame - invano; però, per quanto lo conosco, non è diventato migliore! egli ha cer­ cato sempre tutto ciò che c’è di piu volgare... era [un tempo] migliore, è stato corrotto sotto i Francesi e qui - mi ha portato nella Kothgasse, è incredibile ciò che io sino ad ora ho dovuto subire, quindi ora mi separo di nuovo da lui»), Cfr. ibid., p. 170. Nei Quaderni è dato di seguire le mutevoli fasi dei rapporti tra Beethoven e il fratello; rap­ porti resi piu difficili dalle malevoli insinuazioni di Schindler («Egli ha detto a Gailen­ berg di essere venuto a Vienna per sistemare i vostri conti, poiché voi eravate indebita­ to sino al collo»; «Vostro fratello non viene dunque a trovarvi? Non mi deve amare poiché io non tralascio di denunciare la sua negligenza per ciò che riguarda i vostri af­ fari ed egli deve saperlo»; cfr. ibid., II, pp. 382, 389), e dai sarcastici giudizi del nipo­ te Karl sulla vanità, la debolezza di carattere, le velleità musicali, l’avarizia di Johann (ibid., pp. 264, 288, 388, 402; III, pp. 247, 263, 307, 344 e passim). Il Thayer cercò di riabilitare Johann nel suo saggio Ein kritischer Beitrag zur Beethoven-Literatur, 1877. L’interessamento di Johann agli affari di Beethoven trova ampia documentazione nei Quaderni di conversazione ( schünem ann , III, pp. 140-41, 236 e passim). 21 SCHÜNEMANN, I I , p. 38.

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quale testimone silenzioso, sembra avvolgere la tragica scena nel romantico alone di un N otturno 22. Si susseguono frequenti nelle pagine dei Quaderni gli annun­ ci, trascritti dai giornali, di case in vendita o d ’affitto, che ci te­ stimoniano la sua irrequietezza, il perpetuo anelito a mutar di al­ loggio, nella illusoria speranza di trovare in una nuova abitazio­ ne quella pace di cui il suo animo è privo. Già il manoscritto Fischoif ci aveva tramandato questi suoi nostalgici desideri: «Ein Bauerngut, dann entfliehst du deinem Elend! » 23 («Un po­ dere rustico; allora sfuggiresti alla tua miseria! ») «O pern und alles sein lassen, nur für deine W eise schreiben und dann eine H ütte, wo du das unglückliche Leben beschliessest» 24(«Dà abbandono alle opere e a tutto, scrivi solo per il tuo orfano, e poi una capanna dove conchiudere la tua vita infelice»). «Ein kleines Haus allda, so klein, dass man allein nur ein we­ nig Raum hat! N ur einige Tage in dieser göttlichen B rühl»25 («Una piccola casa, cosi piccola, che si abbia soltanto un poco di spazio per uno! Almeno alcuni giorni in questa divina Brühl»). Nei Quaderni di conversazione i riferimenti si fanno altrimen­ ti circostanziati, assumono un aspetto più pratico, ma basta talo­ ra una parola a rivelare una segreta aspirazione alla solitudine, Tanelito verso la natura, che si celavano in quella affannosa ri­ cerca. «... bejm Thor rechts nach den bergen zu —ein Haus bauen —Die aussicht ist schöner auch könnte... Die läge erwünscht ge­ gen Morgen u. welcher Sonnenaufgang! » 26(«Costruire una casa 22 Nella conversazione che segue Oliva dice a Beethoven: «Kügelgen fu nel 1810 a Weimar, ove era molto lodato. Goethe encomiò la sua straordinaria scioltezza e preci­ sione di disegno... Kügelgen dipingeva anche miniature, egli aveva fatto il ritratto a Goethe, a Wieland» ( schünem ann , II, ρ. 39). Sull’amicizia di Beethoven con Gerhard Kügelgen e suo fratello Karl: l . schiederm a ir , Der junge Beethoven, Bonn 1951, ρ. χΐ4· Il nome di Kügelgen ritorna in una conversazione del febbraio 1826, in occasione della visita di August Mittag, un suonatore di fagotto che illustra a Beethoven, tramite Karl Holz, le caratteristiche, le innovazioni e l’estensione del registro di quello strumen­ to. Cfr. prod ’h o m m e , ρ. 383. In un taccuino del 1820 Beethoven registra anche la mor­ te del naturalista boemo Hänke: «Hänke Naturforscher aus Böhmen gestorb. in Süd­ amerika» ( schünem ann , I, p. 197). 23 Cfr. LEiTZMANN, II, p. 254, n . 79. 24 Cfr. ibid., p. 236, n. 96. 25 Cfr. ibid., p. 266, η. 181. 26 Cfr. SCHÜNEMANN, II, pp. 148-49.

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presso la porta [della città], a destra verso la montagna. La vista è piu bella e potrebbe... La posizione desiderata verso mattino e quali levate di sole! ») Mödling sulle colline dei sobborghi di Vienna non gli appare abbastanza campestre («Mödling ist immer noch nicht ländlich genug —So viele M aniren»)27: è troppo sofisticata. Meglio allora rifugiarsi a lavorare nella quiete di una citta­ dina di campagna come Petersdorf e passarvi estate e inverno e non occorre che una casa per realizzare questo sogno! («in ’einem landstädchen wie Petersdorf Sommer u. W inter dazu brauchte nicht als ein [H aus]»)28. Soltanto una casa, che non ebbe mai. D i tre sole conversazioni i Quaderni ci conservano il testo in­ tegrale per essersi Beethoven indotto ad affidare anch’egli alle pa­ gine le sue parole: una volta per rivolgersi a un sordo2930,le altre, per evitare che qualcuno potesse ascoltare un colloquio troppo confidenziale, come quello col nipote nell’autunno del 1824 o quello con Schindler sul conte Gallenberg e sua moglie Giulietta Guicciardi. Se nella biografia beethoveniana è rimasto famoso l’episodio sentimentale legato a questo nome di donna, cui è dedicata la Sonata quasi una fantasia op. 27 n. 2 detta A l chiaro di luna, è assai meno noto il suo inglorioso epilogo, quale è dato apprendere dalle parole stesse di Beethoven, in un francese che doveva proteggerne il segreto, ma che rischia di perpetuarlo 3°. 27 Ibid., p. 180. 28 Ibid., I l i , p. 303. 29 II sordo è un certo Sandra di origine renana, viaggiatore di commercio, come egli si definisce: il dialogo verte sulla loro comune infermità, sui diversi metodi di cura. Bee­ thoven consiglia «Bäder, Landluft können vieles verbessern, gebrauchen Sie nur nicht zu früh Maschinen, durch deren Enthaltung habe ich mein linkes Ohr so ziemlich erhal­ ten» («Bagni, aria di campagna, possono dare un grande miglioramento, ma non usate troppo presto gli apparecchi; astenendomene ho conservato quasi il mio orecchio sini­ stro»): e dopo uno scambio di informazioni sulle cure da loro sperimentate lo ascoltia­ mo conchiudere con l’abituale rassegnazione: « Ein trauriges Übel, die Ärzte wissen we­ nig u. man ermüdet endlich, besonders wenn man immer sich beschäftigen muss» («Un triste male, i medici sanno poco e alla fine ci si stanca, specialmente quando uno deve sempre essere occupato»). Cfr. schünem ann , III, pp. 170-71. Per il testo originale del colloquio con il nipote Karl vedi a . w. thayer , Ludwig van Beethovens Leben, V, Leip­ zig 1908, ρρ. 509-10. 30 SCHÜNEMANN, II, pp. 357 Sgg.

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Schindler, dopo aver riferito a Beethoven lo scortese rifiuto opposto da Gallenberg, archivista del teatro del Kärntnerthor, alla richiesta di prestare la partitura del Fidelio al suo autore, ne provoca il risentimento, rimuove in lui vecchi rancori e ravvi­ va il ricordo di sentimenti già sepolti nel cuore. «Ich w ar sein u n s ic h tb a re r w ohlthäter durch andere» (« Io fui già suo bene­ fattore invisibile attraverso altri») si lascia sfuggire Beethoven, offeso dalla ingratitudine di Gallenberg. «Egli dovrebbe saperlo —ribatte Schindler —e avere per voi piu riguardi di quanto non mostri di avere». Beethoven: «Cosi, voi avete trovato, come pare, Gallenberg non disposto in mio favore; il che non mi importa affatto, tutta­ via vorrei conoscere le sue parole» («Sie fanden also, wie es scheint, G. nicht gestimmt für mich; woran mir übrigens nichts gelegen, doch möchte ich von seinen Äusserungen Kenntniss ha­ ben»). Schindler: «Egli replicò che voi dovreste avere la partitura: ma quando io lo ebbi persuaso che veramente voi non la posse­ dete egli disse che la colpa era dovuta alla vostra instabilità, al vostro perpetuo errare, che voi stesso l ’avete perd u ta...» 31. Con la consueta abilità Schindler, dopo aver divagato ricon­ duce il discorso su Gallenberg e su sua moglie Giulietta, riuscen­ do a strappare a Beethoven le piu intime confidenze. « J ’etois bien aimé d ’elle et plus que jamais son epoux, —scrive Beetho­ ven. - Il etoit pourtant plutôt son amant que moi, mais par elle j’apprenois [j’en m ’apprit nois] de son Misere et je trouvais un homme de bien, qui me donnoit la somme de 500 fl. pour le sou­ lager. Il etoit toujours mon ennemi, et c’etoit justement la raison, que je fusse tout le bien que possible». «Ed è per questa ragione —ribatte Schindler —che egli inoltre mi ha detto: è un uomo insopportabile! senza dubbio per pura riconoscenza. Ma Signore perdonate loro perché non sanno cosa si fanno». E proseguendo anch’egli in francese gli chiede: «Ma è molto tempo che è sposata con Gallenberg? - Era ricca? - È an31 Ibid., pp. 362-63.

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cora bella». E Beethoven: «Elle est née Guicciardi. E ll’etoit encor[e] l ’Epouse de lui à avant [son voyage] de l ’Italie. [Arrivé à Vienne] et elle cherchait moi pleureant, mais je la meprisois». Schindler: «Ercole al bivio!» Beethoven: «W enn ich hätte meine Lebenskraft mit dem Le­ ben so hingeben wollen, was wäre für das edle, bessere geblie­ ben? » 32(«Se avessi voluto disperdere cosi la mia energia vitale, cosa sarebbe rimasto per ciò che è nobile, per ciò che è miglio­ re? »). Se il tempo ha dissanguato il desiderio, la cicatrice riarde co­ me già la piaga, ma la rinuncia trova conforto nel nobile e nel mi­ gliore, che rifulgono nell’opera cui unicamente ora si affida il no­ me e il ricordo della non amante amata. È nella musica infatti che la vita e l ’arte, la verità e la poesia, oltre ogni ingannevole apparente distinzione, si ricongiungono a portare testimonianza dell’uomo Beethoven nella sua totalità sensibile e spirituale. Lina musica che permeando tutta la sua vita è riannodata a qualcosa di più alto e di piu basso, affonda nell’o­ scuro delle passioni, si eleva nel cielo luminoso della forma. 32 Ibid., pp. 363-65. Il nome di Gallenberg si trova in seguito ripetutamente men­ zionato nei Quaderni di conversazione. Tra l’altro udiamo Schindler riferire a Beetho­ ven: «Gallenberg è stato estremamente colpito dalla vostra lettera, ed è esploso in lodi inaudite per voi. Vi considera la prima stella del cielo musicale. Egli si stimerebbe felice se ora gli vorreste far visita, poiché egli vi considera un amico di casa... In quanto al­ l’opera disse che il solo desiderio dell’Amministrazione è che voi ne scriviate una, vo­ gliono onorarvi per quanto sarà in loro potere» (ibid., p. 382). E alcuni mesi dopo (mag­ gio 1823): « GaÙenberg ha fatto un nuovo Balletto alla Rossini» (ibid.. I li, p. 243).

II.

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«N ell’intima cerchia di Beethoven —ebbe a scrivere uno che vi appartenne, il poeta Franz Grillparzer - ci si esprime senza alcun riguardo: si maledice e si ingiuria tanto chi tiene il potere, quanto i subordinati. Non si ha paura della grossolanità, del ci­ nismo, delle offese ». Se l ’impunità, tacitamente e forzatamente accordata dalle au­ torità viennesi a Beethoven, può averlo talora incoraggiato a dar libero sfogo a sentimenti ostili verso un governo ciecamente rea­ zionario e poliziesco, i Quaderni di conversazione testimoniano la sua viva partecipazione agli avvenimenti politici del tempo, la sua simpatia per i movimenti di insurrezione che andavano serpeg­ giando ovunque, l’indistruttibile fede nell’avvento di un mon­ do migliore, rischiarato dalla luce della libertà. «Freyheit», libertà, la parola mormorata in segreto, riful­ ge isolata in una pagina di un Quaderno del ’20, come nell’animo di Beethoven ‘. In essa si compendiavano infatti il nuovo concet­ to di umanità, la visione delle speranze e degli ideali di cui si an­ dava allora riscoprendo la sacralità e il valore. A questi ideali umani, posti al di sopra dell’arte stessa (se pur in realtà ad essa soggiacenti per costituire Vhumus da cui il processo creativo trae­ va alimento), Beethoven era stato iniziato dal tempo della sua giovinezza, a Bonn, nel fervido clima di quella Università, ove nel 1789 era stato immatricolato e che era detta l’Università delVAufklärung per essere il centro di cultura piu aperto alle corren­ ti dell’illuminismo francese, al nuovo pensiero filosofico di Kant, alla nuova ardente poesia di Schiller. SCHÜNEMANN, I, p. I38

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La sua vasta e impegnata partecipazione alla vita comprende anche la passione politica: per lui, come per Schiller, la libertà, che ne costituiva il fine, doveva essere conquistata ed egli, men­ tre si schiera contro le forze che le si oppongono e ne ostacolano il trionfo, segue con trasporto le idee e gli eventi che gli sembra­ vano volti a promuoverla e ad attuarla. Egli era, riferisce Schindler, in costante rivolta contro le auto­ rità superiori, contro le leggi e le ordinanze. Il tono allusivo e guardingo, quasi da cospiratori, di molti colloqui nei Quaderni, lo sta ad accertare. «Silentium! Le pareti hanno orecchie»23lo mette in guardia il nipote. «Non parlate cosi forte; le vostre tendenze sono troppo note» lo ammonisce un amico. «Czerny mi ha raccontato —gli riferisce infatti Bernard —che l ’abate Gelinek ha sparlato di Voi al Cammello: ha detto che sie­ te un secondo Sand, che parlate male dell’Imperatore, contro l ’Arciduca, contro i Ministri, che finirete sulla forca» \ Sand stava allora a significare rivoluzionario, per allusione a Karl Sand, lo studente che aveva ucciso Kotzebue a Mannheim il 23 marzo 1819: evento ancora tristemente attuale (vi si accen­ na anche in una conversazione con Blöchlinger in un Quaderno del marzo 1820)4, per aver provocato l ’infierire della reazione che, in forza delle Karlsbader Beschlüsse (le deliberazioni di Karlsbad), incombeva minacciosa e mirava ad opprimere e a sof­ focare ogni anelito di libertà. «La polizia locale —riferisce Oliva a Beethoven —va in tutte le librerie a perquisire; anche i libri che sono pubblicati all’inter­ no [dell’Austria] sono proibiti; si sequestrano gli esemplari e si acquistano persino le edizioni esistenti; gli Obskuranten [gli Oscurantisti] hanno qui il sopravvento in modo terribile. Görres [il direttore del "Rheinischer M erkur”] è condannato a vita per 2 Ibid., II, p. 286. 3 Ibid., I, p. 333. 4 Ibid., p. 324.

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aver osato dire la verità. Egli è stato costretto a fuggire in Fran­ cia, e come vada li per i tedeschi si sa... » 5. Le restrizioni si fanno sempre piu severe. «Q ui, al Congres­ so —osserva ironicamente Bernard —si elabora ora una legge me­ diante la quale si stabilirà a che altezza debbano volare gli uccelli e a che velocità correre le lep ri» 67. Ma l ’ironia cede ben presto all’amarezza: «Bisogna poter tu t­ to sacrificare per conservare se stessi, altrimenti tutto è perduto, - dice Blöchlinger, il direttore del Collegio ove il nipote Karl è internato. —Molte cose fanno presagire dei guai; è u n ’epoca pie­ na di auspici; ciò che ne sortirà, attendiamolo con pazienza e fac­ ciamo il nostro dovere, ciascuno nel proprio ambito» \ Ma vi è anche la nuova generazione che non si rassegna a la­ sciarsi soffocare dalle Karlsbader Bastetten, dai pasticci di M et­ ternich a K arlsbad8. «C ’è un uomo - riferisce Bernard - che ha affermato pubblicamente: l’Imperatore è un briccone, ci ha tra­ diti per la terza volta, e nessuno lo ha contraddetto». Lo spirito di rivolta si diffonde e si rafforza pur tra le severe repressioni. I moti di insurrezione in Italia e in Spagna suscitano consenso ed entusiasmo nell’intima cerchia di Beethoven. Ascol­ tiamo infatti esaltare nelle loro conversazioni i nostri carbonari che «avevano consacrato dinanzi all’immagine della Madonna i loro pugnali e le loro armi per usarle contro i nemici della liber­ tà » 910, fossero pur questi le truppe austriache di stanza in Italia. Simpatizzano per il movimento di rivolta spagnolo, provocato dalla cieca restaurazione di Ferdinando V II. «Cosi accadono i fatti di Spagna. Il principe M etternich e l ’austriaco Beobachter sono in grande imbarazzo» “, dice Bernard, alludendo all’acuirsi della situazione spagnola nel febbraio del 1820, a Beethoven, che segue con vivo interesse le alterne fasi di quella lotta tra l ’idea 5 Ibid., p. 201. 6 Ibid., p. 303. 7 Ibid., p. 323. 8 Ibid., p. 296. 9 Ibid., II, p. 260. 10 Ibid., I, p. 264.

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liberale e l ’assolutismo al potere. Di frequente vediamo emergere nei suoi colloqui gli eventi storici di quella rivoluzione: l ’accetta­ zione del re a ripristinare la Costituzione giurata a Cadice nel ’1 2 “, l ’indignazione del popolo spagnolo alla lettura della nota di protesta dei monarchi della Santa Alleanza, l’orgoglioso rifiuto opposto dalle Cortes alla richiesta di modificare la Costituzione 12, la loro ferma decisione di persistere nel cammino intrapreso, an­ che a costo del sangue dell’intera nazione13, il prevalere infine dei «realisti», il loro vittorioso ingresso in Madrid, lo scioglimento delle C ortes14. Traspare da questa, come da tante altre pagine dei Quaderni, un sentimento di profonda solidarietà umana verso tutti gli op­ pressi che lottano per la loro libertà, siano questi i carbonari ita­ liani, gli spagnoli o i greci insorti contro il dominio turco. Aderendo spontaneamente a quella vasta alleanza spirituale che abbracciava popoli stranieri e lontani, Beethoven partecipò all’opera di idealizzazione, allora in atto, della Grecia, divenuta simbolo delle libertà nazionali e di cui tutti i migliori si sentono figli, si che per lei eroi della fantasia poetica, quali Hyperion di Hölderlin, e della realtà, quali Byron, erano pronti a lottare e a morire. Era questa la Grecia che Beethoven si era proposto di cele­ brare in un rifacimento delle Rovine di Atene, trasformando un vacuo spettacolo d ’occasione in un’opera ispirata a sentimenti vi­ vi ed attuali, il cui nuovo intreccio egli avrebbe voluto porre in rapporto con le recenti vicende storiche del suo popolo e della sua eroica rivoluzione. Il testo originario di Kotzebue, che aveva offerto il pretesto alle musiche composte da Beethoven nel 1811, doveva essere adattato e modificato da Grillparzer. Come leggiamo in un Qua­ derno del marzo 1823, il poeta si dichiara pronto ad affrontare quei mutamenti che Beethoven riteneva necessari e lo prega di 11 Ibid. 12 Ibid., II, p. 306. 13 Ibid., ρ. 347· 14 Ibid., I l l , ρ. 7.

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dargli un’idea approssimativa di ciò che volesse per il duetto «poiché io dispongo i miei pensieri in armonia con i vostri, te­ nendo conto di ciò che deve essere cantato. Forse questo duetto non dovrebbe esprimere che la gioia di Minerva in contrasto con l’oscuro avvertimento di M ercurio»I5167. L ’antica scena di Kotzebue, nella quale Minerva (risvegliata dal millenario sonno in cui l ’aveva condannata Giove per casti­ garla di non aver evitato la morte di Socrate) apprende da Mer­ curio che Atene è in rovina nelle mani dei Turchi e che la città dell’arte e della scienza, la sua erede, era Pest, nel cui teatro vive­ vano i personaggi dei drammi di Lessing, di Schiller, di Goethe e di Collin, doveva evidentemente essere mutata. Ora Atene stes­ sa, risorgendo dalle rovine, era chiamata a riprendere il suo glo­ rioso destino nel mondo. «Riconosco - dice Grillparzer - che è necessario inventare una nuova azione; ma non è cosa di un istante; poiché l ’esecuzio­ ne è piu rapida dell’invenzione bisogna dunque che io vi chieda del tempo per poter riflettere e ponderare la cosa... In quanto al­ l’idea di fare allusioni alla Grecia contemporanea la censura vi metterà il suo potente veto» Questo sentirsi sempre tenuti d ’occhio e sospettati (Grillpar­ zer, come riferisce anche Bernard, aveva già avuto un ammoni­ mento dal ministro della polizia per il poema L’antica e la nuova Roma) ”, questo perpetuo stato d ’allarme suscitava odio alla ti15 Ibid., p. 76. Vedi anche A. orel , Grillparzer und Beethoven, Wien 1941, e i Grill­ parzers Gespräche (Aug. Sauer), Wien 1904-16, II, pp. 175 sgg. In un quaderno del feb­ braio 1823 Schindler riferisce a Beethoven che «alle Rovine lavora un giovane storico: credevo che fosse per vostro incarico: se avessi saputo questo non avrei fatto alcun pas­ so» (cfr. schünem ann , II, p. 377). Del testo di Kotzebue, riveduto da Cari Meisl, e del­ la musica delle Rovine di Atene (con l’aggiunta di una Ouverture e di un coro) Beetho­ ven si era già valso per allestire l’opera di occasione Die Weihe des Hauses che inaugurò il Josephstadttheater di Vienna (3 ottobre 1822). 16 Ai primi di maggio del 1826 Karl Holz dice a Beethoven: «Mylord [Schuppanzigh] desidera fare eseguire al concerto dell’Augarten la marcia con coro [delle Rovine di Atene] ; ne ha pregato Haslinger, ma questi gli ha detto che non assumeva la respon­ sabilità di dargli [la partitura] senza prima consultarvi e che non era facile mettersi d’ac­ cordo con voi. Bisogna dunque, se voi permettete che venga eseguita, che diate a Mylord una autorizzazione scritta che egli possa mostrare a Haslinger» ( prod ’h o m m e , p. 403). 17 SCHÜNEMANN, I, p. 163.

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rannide e insieme una ossessiva aspirazione alla indipendenza, uno stato d ’animo che ricorda il fervore e l’esuberante entusia­ smo dello Sturm und Drang. Si può comprendere come in quel clima di oscurantismo e di depressione potessero risorgere negli animi, con il ricordo nostal­ gico, l ’ammirazione per Napoleone e come ai loro spiriti mortifi­ cati quel despota potesse nuovamente apparire come simbolo di giustizia e di libertà. « Se Napoleone ora ritornasse, —dice Peters, —egli avrebbe da attendersi una migliore accoglienza in Europa. Egli ha compreso lo spirito dell’epoca e ha saputo tenere le redini. I nostri discen­ denti sapranno apprezzarlo meglio. Come tedesco io fui suo grande nemico, ma gli ho perdonato, date le circostanze. Promes­ se, fedeltà e fiducia sono scomparse. La sua parola valeva di piu. Egli aveva il senso dell’arte e della scienza e aborriva le tene­ bre. Egli avrebbe dovuto apprezzare di più i tedeschi e protegge­ re i loro diritti. Negli ultimi tempi era contornato da traditori e lo spirito era sviato dai generali. I migliori marescialli si erano riti­ rati. I figli della rivoluzione e lo spirito del tempo esigevano un tale carattere di ferro. Eppure egli abbatté ovunque il sistema feudale, e fu il difensore del diritto e della legge» Le pagine dei Quaderni riflettono questa immagine mitica di un Napoleone fervido assertore dei diritti dell’uomo, nemico della tirannide e delle istituzioni che «i privilegiati» si ostinano a voler imporre, valendosi dei regimi della restaurazione. «U n vecchio abito strappato che non si lascia più rattoppare» definisce Peters la condizione dell’Europa sotto il dominio del­ l’assolutismo. «Invece che più prudenti per l ’esperienza, sono divenuti piu folli: ecco cosa fanno i privilegiati. H anno per primi sciolto il Contratto sociale e parlano di d iritti» 189. «Se egli avesse soltanto potuto realizzare i suoi piani, —sospi­ ra Schindler, - ma troppo presto ha dovuto rinunciarvi. Nel suo petto la Rivoluzione aveva messo radici, con lui se n ’è andata e 18 Ibid., pp. 206-7. 19 Ibid., p. 207.

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chi vuole condurla a term ine...»20. La frase è rimasta incompiuta per l’interruzione di Beethoven, impaziente di replicare. Quando Janitschek, informato che Girolamo Bonaparte vole­ va inviare a Sant’Elena musicisti e cantori, ebbe a proporgli: «Per questo tanto incompreso Napoleone Voi dovreste compor­ re un inno», Beethoven avrà risposto con un brusco diniego, se Bernard commenta : « Peccato per Napoleone, era un buon diavo­ lo. H a voluto sottrarre il continente agli Inglesi per annientarli», e se Janitschek ribatte «Napoleone era mecenate delle arti e del­ le scienze»212. Un Inno per Napoleone? Avevano già dimenticata l ’Eroica? La sinfonia grande avrebbe forse potuto essere ancora «tito­ lata Bonaparte» come nella partitura originale. Sparsasi la voce (data per certa da Oliva a Beethoven) che egli fosse evaso da Sant’Elena, le sopite speranze di libertà, i so­ gni eroici, i generosi idealisi riaccesero e rivissero nei cuori. Ma non è detto che Beethoven condividesse e sottoscrivesse tutte le opinioni che leggiamo espresse dai suoi amici nei Quader­ ni di conversazione. Pur essendo solidale con loro contro il nemi­ co comune, egli aveva su tutto idee proprie che sosteneva pole­ micamente, come è dato arguire dalle repliche dei suoi interlo­ cutori. E s’intende come, tra l’altro, la politica antinglese di Napo­ leone non potesse costituire un argomento convincente quando si conosca quale profonda simpatia Beethoven nutrisse per quel popolo e quanto ammirasse le sue istituzionia. Alcuni passi dei Quaderni stanno inoltre a rivelare una inso­ spettata problematica che sorge dall’intimo contrasto tra la sua coscienza individuale e la società che lo attornia. Se Beethoven si scaglia contro quella forma concreta di op­ pressione della personalità umana, che si identifica nell’assoluti­ smo e nei privilegi di un ordinamento ancora feudale —e può in20 Ibid., II, p. 356. 21 Ibid., I, p. 242. 22 Vedi in questo volume il capitolo su Beethoven e l’Inghilterra.

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tendersi come la constatazione di una triste ineluttabile realtà l ’ambigua frase da lui scritta nei Quaderni: «Gewalt, die eins ist, vermag alles gegen die M ehrheit die es nicht is t» 23 («Il potere, che è uno, può tutto contro la maggioranza, che non lo è») —non sa tuttavia reprimere, lo vedemmo, la sua istintiva insofferenza a riconoscersi e a identificarsi nel popolo: « ...h ier ein [e] Lücke herrscht, die sollte ausgefüllt werden, den[n] ich gehöre nicht gemäss meine[r] Bescheftigfung] unter diese pleb[ejer] M[asse] » 24(«... qui una lacuna deve essere colmata perché io non ap­ partengo per la mia attività a questa massa plebea»). L ’ideale democratico e rivoluzionario non sembra trovare ade­ guata e concreta rispondenza nella realtà della vita, cede nel con­ flitto che si determina tra la sua aristocratica individualità e l’in­ distinta massa popolare, tra lo spirito di grandezza che è in lui e il Geist der Kleinichkeit, la gretta mentalità piccolo borghese, tra la chiara coscienza della sua superiorità e il sentirsi relegato di fatto in una classe sociale inferiore256.2 Quando in seguito ad una notizia pubblicata in un lessico si era sparsa la voce che Beethoven fosse figlio naturale di Federico il Grande “, anziché darne una pronta smentita ed esigerne una rettifica, come gli amici suggeriscono con insistenza27, egli sembra piuttosto compiacersene. Avevano un bel ripetergli che egli «non abbisognava ricevere lustro da un re»: ma intanto il Landrecht, la Corte speciale di Vienna, per non aver egli potuto provare la sua nobiltà di nascita, gli aveva inferto l’umiliazione di respinge­ re il ricorso per la tutela del nipote, rinviandolo al tribunale co­ mune, con conseguenze catastrofiche sull’andamento della causa che tanto gli stava a cuore. «Questo trasferimento della causa scrisse poi Schindler —costituì per Beethoven un gravissimo col­ po. Attribuiva egli una cosi grande importanza al fatto di essere 23 SCHÜNEMANN, I, p. 66. 24 Ibid., p. 215. 25 Cfr. p. 14. 26 Cfr. Conversations-Lexikon oder encyclop. Handwörterbuch für gebildete Stän­ de, I, ρ. 176, η. I. 27 SCHÜNEMANN, I, pp. I75 e 242.

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considerato nobile dall’opinione pubblica? È difficile a dirsi. Si può tuttavia essere certi che né il suo genio né la sua opera gli avrebbero assicurato il posto privilegiato che egli occupava nel­ l ’ambiente aristocratico, se la nobiltà non lo avesse considerato uno dei loro. La prova si ebbe ripetutamente da quando la deci­ sione presa dall’Alta Corte fu resa di pubblica ragione. Resta il fatto che dopo la decisione del Landrecht austriaco la grande cit­ tà di Vienna divenne troppo piccola per il nostro maestro offeso e che, se egli non fosse stato trattenuto dai doveri di cui le ultime volontà del fratello lo avevano investito, egli avrebbe fatto allora quel viaggio in Inghilterra di cui aveva sovente parlato e sarebbe rimasto forse a lungo in questo paese di cui egli già molto apprez­ zava le istituzioni politiche » “. Se la sua estrazione familiare lo esclude dalla classe privilegia­ ta, la profonda coscienza del suo valore lo eleva non solo sul po­ polo ma sui principi. «Di principi ce ne sono e ce ne saranno del­ le migliaia —di Beethoven non ce n ’è che uno» aveva gridato du­ rante un diverbio a Lichnowsky, suo protettore ed amico. Egli si rifiutava infatti di riconoscere ciò che un uomo è «per casualità di nascita», sminuiva l’importanza della condizione so­ ciale cui appartiene, non per livellare gli uomini in basso o in al­ to, ma per stabilire una nuova gerarchia di valori, per affermare l ’autentica superiorità degli höhere Menschen, degli spiriti emi­ nenti, che costituiscono quella vera aristocrazia, fiore di umanità, cui egli sa di appartenere. Aristocrazia rivoluzionaria la sua, in lotta contro la falsa su­ periorità e la supremazia della classe dominante ed insieme con­ tro la mediocrità spirituale e la vita miseramente egoista della classe borghese, disprezzate entrambe da Beethoven perché en­ trambe di ostacolo al libero sviluppo della personalità umana, al­ l ’affermazione piena del merito individuale. Questo ideale umanistico, che lo Sturm, und Drang aveva po­ sto al centro delle sue aspirazioni, era destinato ad entrare in con­ flitto con la realtà storica di u n ’epoca ancora asservita a un ordiCfr. a . Schindler , Biographie von L. van Beethoven, Münster 1840, ρ. 228.

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namento feudale e suscitare il disagio di intime contraddizioni negli spiriti indipendenti, restii ad adeguarsi ai limiti e alle esi­ genze livellatrici della borghesia cui appartenevano e di cui pur auspicavano il trionfo. Non diversamente da Goethe, che si era imposto «sich selbst zu leben», di vivere tutto se stesso, anche Beethoven aveva ane­ lato di poter «vivere mille volte la vita» («o, es ist so schön das Leben tausendmal zu leben»)29, insofferente delle caste chiuse ma anche dell’apertura verso una concezione democratica, che anteponga la società all’individuo, i doveri ai diritti dell’uomo. Goethe e Beethoven giustificano infatti il loro istintivo pre­ potente individualismo identificandolo con la natura, che ha la supremazia su ogni forma meditata di ordinamento e di organiz­ zazione, di cui riconoscono l’opportunità pratica, ma cui si rifiu­ tano di sottostare. «Solo la natura —dice W erther —è infinitamente ricca, e lei sola forma il grande artista. Si possono dire molte cose sulla utili­ tà delle regole, all’incirca quanto si può dire in lode della socie­ tà borghese»: ove la semplice e pur cosi eloquente contrapposi­ zione tra la spontanea forza creativa della natura e la pratica utili­ tà degli ordinamenti umani, sia nell’arte che nella vita sociale, implica un giudizio di valore che trova pieno consenso nell’ani­ mo di Beethoven. La sua notoria ammirazione per Federico il Grande non era originata infatti soltanto da ragioni sentimentali, come vanno in­ sinuando nei Quaderni gli amici («Janitschek — dice Peters — pensa che voi amiate tanto Federico il Grande perché deve essere vostro padre»)30, e neppure da ragioni politiche. In quel tempo di incertezze e di contraddittorie tendenze la figura del re di Prussia potè apparire a molti in Germania come esempio storico destinato a rafforzare il principio sempre più sentito e diffuso del­ la unità nazionale tedesca e Beethoven, al pari di Goethe, ammi­ rò in quel sovrano non solo il mito astratto dell’eroe, ma la gran23 Cfr. la lettera a F. Wegeler del 16 novembre 1801 ( kastner , p. 54, n. 56).

30 SCHÜNEMANN, I, p. 242.

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dezza dell’uomo che aveva saputo affermare vittoriosamente la propria personalità, rivendicare i propri diritti. Era questa la suprema finalità dell’individuo: un volere che è potere, azione in atto, libertà. «Vouloir et agir c’est précisément la même chose qu’être libre» aveva detto Voltaire, propugnando una libertà che si identifica con la coscienza e con l’umanità della vita. L ’azione appariva necessariamente determinata dal pensie­ ro: doveva infatti bastare che gli uomini conoscessero questa idea della libertà per sentirsi spinti a realizzarla. L ’artista, non meno del filosofo e del politico, aveva il dovere di renderla ma­ nifesta agli uomini di buona volontà per conquistarli alla sua causa. Questa corrente di pensiero, trionfante nella Francia rivolu­ zionaria, era giunta, attraverso la mediazione di Kant, a Beetho­ ven che l’accolse, la fece propria, la visse con passione. Essere li­ bero significò anche per lui, come per Voltaire, avere coscienza dei diritti dell’uomo, come per Kant, volere ciò che si deve. Il diritto di Natura, affermato ed esaltato dall’individualismo francese del Settecento, doveva infatti trovare equilibrio nel sen­ timento del dovere, elevarsi a legge morale. Intimamente legato a questa concezione illuministica, Beethoven la sostiene contro la nuova tendenza romantica che al diritto naturale oppone il dirit­ to acquisito, all’indipendenza e alla libertà individuale la dipen­ denza alle istituzioni sociali e alle leggi; tendenza di cui si fa por­ tavoce, in una conversazione raccolta dai Quaderni, l ’amico gior­ nalista Karl Bernard Questi aderendo alle teorie di moda nega infatti l ’esistenza del diritto naturale: «si è sempre pensato che ve ne fosse uno, ma poiché non esiste alcun stato di natura non si può concedere tale analogo diritto. I diritti vengono originati solo in seno alla società. Se io sono isolato non ho alcun diritto e nessuno può vantarne su di me. Lo stato di natura presuppone l’uomo senza restrizioni; non appena egli fa parte di un gruppo sociale ha re-31 31 Ibid., pp. 287-88. 4

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strizioni e riguardi e deve osservare doveri verso gli altri; questi ne hanno a loro volta da osservare verso di lui, e li può esigere poiché anch’egli li deve assolvere. Questi sono i suoi diritti, che non possono aver luogo nello stato di natura, poiché allora l’uo­ mo è solo». Pur da queste categoriche negazioni e affermazioni, come dal­ l ’insistenza polemica con cui Bernard ripete gli argomenti, è da­ to poter intuire l’opposizione di Beethoven, il suo pensiero, la sua fede nella trascendenza dell’idea del diritto, il suo apriori­ smo, l ’affermazione dell’esistenza di un diritto naturale insito nell’animo dell’uomo anteriormente al formarsi degli aggregati sociali, l ’accettazione del concetto dello stato di natura, come pie­ tra di paragone della società presente, condizione ideale insita nel fondo incontaminato dell’uomo, da cui sorge il perenne richiamo al bene, alla verità, alla libertà. Bernard ha un bel ribattere: «Non c’è alcuno stato di natura poiché allora dovrebbe esistere un uomo completamente solo». Il filosofo orecchiante che pretende di confutare Rousseau, op­ ponendogli argomenti da questi già superati e risolti, mostra di non averlo neppure inteso a dovere. Cosi quando dimostra che diritti e doveri sono reciproci nella vita sociale, che il diritto si identifica nelle restrizioni a tutto ciò che si vorrebbe fare agli al­ tri e nella esigenza che gli altri osservino lo stesso riguardo verso di noi, non scopre nulla di nuovo, come vorrebbe far credere a Beethoven. Sebbene Bernard affermi con sufficienza e arroganza, quasi a vantare una sua superiorità culturale, che « tu tto questo non si trova esposto nei manualetti» (Lehrbüchern), quella sua tesi che non esista individualità se non in rapporto alla comunità e che solo in seno ad essa si esplichi la vita del diritto, ci riporta in realtà a Fichte, alla Grundlage des Naturrechts {Fondamento del diritto naturale), ove appunto la vita del diritto viene integra­ ta dal suo aspetto oggettivo, sociale e statale, accentuata l ’estrin­ secazione del singolo rispetto ai propri simili. Principi questi per altro già impliciti nel Contratto sociale di Rousseau, donde Kant e Fichte trassero ispirazione di idee e da cui giunse per via diretta o mediata a Beethoven la fede nei diritti dell’uomo, l ’aspirazione

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ideale ad una libertà in cui il singolo obbedisca alla volontà uni­ versale, riconosciuta come la propria, libertà che l’uomo e la so­ cietà devono conquistare come una redenzione32. Arte e politica sembrano qui integrarsi per essere entrambe mezzo di azione volto allo stesso fine, per ispirarsi ad uno stesso ideale di umanità e di libertà, per assumere alto carattere morale. «L ’uomo non è fatto per meditare, ma per agire» riafferma con Rousseau tutto l ’illuminismo tedesco. Nessuno poteva né doveva sottrarsi alla grande opera di rin­ novamento spirituale e sociale allora in atto che, tu tti ormai lo avvertono, stava preparando un nuovo avvenire al mondo. Der Menschheit Würde ist in eure Hand gegeben, bewahret sie! Sie sinkt mit euch! Mit euch wird sie sich heben!33

«La dignità umana è posta nelle vostre mani, custoditela! Essa decade con voi! Con voi si eleverà! » aveva ammonito Schiller ri­ volgendosi agli artisti. La coscienza di questo grande compito suscita in Beethoven una nuova tensione interiore, che egli domina e dirige verso idea­ li chiaramente determinati, quali trovano piena espressione nella Nona Sinfonia. Come la poesia per H erder, la musica per Beetho­ ven diviene «impeto di azione», assume una funzione sociale, ri­ suona come espressione di nuovi valori spirituali, destinati ad agire sulle realtà umane. 32 L’aspirazione ad una comunità patriarcale e felice in cui il sentimento della natu­ ra si confonda con un vago sentimento religioso, la visione di uno stato sociale di liber­ tà nella natura, che stanno a fondamento dell’ispirazione della Sesta e della Nona Sinfo­ nia, riflettono gli ideali di Rousseau, che Beethoven potè conoscere non solo mediati dagli scritti di Johann Jakob Engel o dalla poesia di Klopstock, ma anche direttamente. Nei Quaderni di conversazione il nome di Rousseau appare infatti citato durante un col­ loquio con Christoph Kuffner, musicista e scrittore. Questi, dopo un giudizio sommario sul teatro tragico francese (« I tragici francesi, in luogo delle passioni di cui trattano, non hanno che una metafisica analitica delle passioni»), afferma: «Rousseau è cresciuto su suolo francese, ma non appartiene, come ogni grande spirito, ad alcuna singola nazio­ ne, ma al mondo. Egli era un poco ipocondriaco. Ma chi non lo diviene quando si vive in un’epoca che non può comprendervi? » ( prod ’h o m m e , p. 400). Religione e naturalismo è argomento sfiorato anche in un Quaderno del 1823: cfr. schünem ann , III, p. 160. 33 Cfr. sc h il ler . Die Künstler, w . 433-35.

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«Comporre, questo non significa per voi agire? — chiede Schindler a Beethoven. —È un atto straordinario» 3\ «Se si sapesse cosa voi pensate con la vostra musica» dice G rillparzer3435. E Kuiiner: «Le parole sono censurate: per fortuna i suoni, che rappresentano le parole e conferiscono loro forza, sono an­ cora liberi» 36. Mediante questo linguaggio eloquente e segreto Beethoven poteva esprimere e trasmettere ad altri spiriti le idealità supreme e assolvere in questo la sua missione di artista. E non si equivochi su quel «pensare», e su quel «rappresen­ tare», né si attribuisca un senso significante e concettuale alla sua musica, pur cosi nutrita di fatti e di idee. Una musica la sua in cui fatti ed idee sono elevati alla sfera del sentimento, in cui la coscienza individuale e l ’universale si conciliano in una superiore unità, pensiero ed immagine poetica si compenetrano e si fondo­ no in virtù di una folgorante intuizione assoluta, di quella «intel­ lektuelle Anschauung» di cui, come la poesia tragica per H ölder­ lin, anche la musica di Beethoven può dirsi m etafora37. 34 PROD’h o m m e , p. 232. Schindler prosegue: «Se Goethe non fosse stato ministro di Stato ma unicamente poeta avrebbe avuto meno influenza come poeta? Agire ha due sensi: per sé e per gli altri». 35 Ibid., p. 269. 36 Ibid., p. 400. 37 Cfr. F. H ö l d e r li n , Über den Unterschied der Oichtungsarten, in 'Werke, Zürich 1944, p. 340, e G. viGOLO, Saggio introduttivo a f . H ö ld e r lin , Poesie, trad. it. G. V., To­ rino 1938, ρ. 20.

III.

Il problema dell’opera

Le conquiste napoleoniche, miranti all’Impero, se per reazio­ ne suscitarono nei popoli nuovo spirito di indipendenza, avevano inoltre rafforzato in essi la coscienza del sentimento nazionale. Anche Beethoven, voltate sdegnosamente le spalle a colui che già gli era apparso quale eroico assertore della libertà e del diritto umano, sembrò propenso a trasferire nell’ambito della patria te­ desca quei valori ideali, che aveva sognato potessero inverarsi e trionfare in un mondo senza confini. Ed è in obbedienza e in ar­ monia con questi sentimenti che egli depone «auf den Altar des Vaterlandes», sull’altare della Patria, quasi offerte votive, le sue composizioni, come ebbe a scrivere nella Danksagung pubblicata dalla «W iener Zeitung» dopo i concerti da lui diretti alla Univer­ sità di Vienna Γ8 e il 12 dicembre 1813, a beneficio dei soldati austriaci e bavaresi feriti nella battaglia di H anau contro le trup­ pe francesi \ Il programma comprendeva fra l’altro la Schlacht-Symphonie op. 91 in cui Beethoven aveva inteso celebrare (e lo dichiara nel titolo) La vittoria di Wellington o la battaglia di Vittoria. E qual­ che anno dopo, nel 1818, si propone di cantare u n ’altra sconfitta di Napoleone, quella subita alla battaglia detta delle Nazioni a Lipsia, nell’ottobre del 1813, come si apprende da una sua nota, trascritta nel manoscritto Fischoff: «Auf den Leipziger Oktober ein National-Lied schreiben und dieses alle Jahr aufführen! N. B. Jedes Volk mit seinem Marsch und dem TeDeum laudamus»12 1 II testo della Danksagung è riportato da L. 1912, pp. 160-61. 2 Cfr. LEITZMANN, II, p. 263.

nohl ,

Beethovens Leben, II, Berlin

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(«Scrivere un canto nazionale sxAVOttobre di Lipsia e farlo ese­ guire ogni anno! N. B. Ciascun popolo con la propria Marcia e con il Te Deum laudamus» ). Ma non era con queste ed altre composizioni di circostanza, tra cui il coro Germania, Germania e la cantata Der glorreiche Augenblick (L’istante glorioso) op. 136, scritta in occasione del Congresso di Vienna, né col sostituire la terminologia musicale italiana, consacrata da una antica tradizione, con una tedesca, che Beethoven manifesta il suo amor di patria, bensì nella fervida e sincera aspirazione ad esaltare quel sentimento in una Sinfonia, denominata appunto nel suo primo abbozzo Allemande (che sarà poi la Nona) e nel proporsi di contribuire con tutte le forze del suo genio e con il prestigio della sua autorità, all’affermazione vittoriosa dello spirito della nazione nel campo aperto e vivamen­ te contrastato dell’opera, ove continuavano a trionfare gli ita­ liani34. Quando dichiara a Seyfried: « Il capolavoro di Mozart è il Flauto magico, è li ove si è rivelato come maestro tedesco. Don Giovanni ha ancora la forma italiana, inoltre l’arte non dovreb­ be mai lasciarsi disonorare dalla follia di un soggetto tanto scan­ daloso», appare influenzato dagli stessi pregiudizi che avevano indotto H erder a screditare appunto il Don Giovanni e a prefe­ rirgli il Flauto magico, per il chiaro intento moralistico di quel­ l’opera e per la sua profonda vibrazione nazionale 3 II coro «Germania, Germania, wie stehst du jetzt im Glanze da» era tratto dal Singspiel di Treitschke Oie gute Nachricht, celebrazione ed esaltazione della presa di Parigi. Sull’abolizione della terminologia italiana, sostenuta dalla «Gazzetta musicale» di Vienna in articoli pubblicati nel 1815, si vedano le lettere di Beethoven: a G. A. Stei­ ner in data 23 gennaio 1817 redatta neflo stile perentorio di una ordinanza militare con evidente intonazione umoristica («Publicandum. Wir haben nach eigener Prüfung und nach Anhörung unseres Konseils beschlossen und beschliessen, dass hinfüro auf allen unseren Werken, wozu der Titel deutsch statt Pianoforte Hammerklavier gesetzt wer­ de... »), e nello stesso anno a Ignaz von Mosel, in cui tra l’altro egli esprime la sua deci­ sione di abbandonare nelle sue nuove composizioni « diese wiedersinnigen Benennun­ gen Allegro, Andante, Adagio, Presto». Cfr. kastner , p. 401, n. 700, e p. 449, n. 801. 4 Non si deve tuttavia dimenticare quanto, fuor di polemica, fosse viva l’ammirazio­ ne di Beethoven per quest’opera del cui successo, scrivendo agli editori Breitkopf e Härtel, dice compiacersi come se si trattasse di un suo proprio lavoro: «Die gute Auf­ nahme von Mozarts Don Juan macht mir soviel Freude, als sei es mein eigenes Werk». Cfr. kastner , p. 198, n. 289.

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Beethoven fu consapevole del grande compito che la Germa­ nia affidava al musicista: quello di creare la nuova opera tede­ sca, «die neue zu schaffende O per» che H erder aveva preconiz­ zato dovesse sorgere «auf menschlichen G rund und Boden», sul fondamento di valori umani, «m it menschlicher Musik und De­ clamation, und Verzierung», con musica, declamato e ornamen­ to umani, dal confluire del bello col sentimento morale e dalla fusione armonica delle diverse a rti5. Se nel Fidelio, composto secondo gli schemi del Singspiel te­ desco, egli aveva inteso rispondere, sia pure parzialmente, alle esigenze della tradizione nazionale, in seguito, memore del moni­ to di H erder e dell’esempio di Mozart, andò vagheggiando una nuova e piu complessa forma di spettacolo, proponendosi di scri­ vere una composizione teatrale in cui confluisse « l’elemento me­ lodrammatico, in breve, la Cantata con Coro al fine di poter mi­ surarsi in tutto» («ein Schauspiel zu schreiben, worin auch Me­ lodramatisches vorkommt, kurzum Kantate m it Chor so dass man sich in allem zeigen k ann»)6; u n ’opera cioè in cui si fondes­ sero il dramma e il melodramma, la sinfonia strumentale e il co­ ro, a formare, mediante u n ’audace e libera scrittura armonica, una nuova unità organica altamente espressiva. «Dissonanzen vielleicht in der ganzen O per nicht aufgelöst» («Dissonanze for­ se non risolte in tutta l’opera») si propone nel 1815 annotando i primi schizzi musicali per la composizione di un Bacchus, su testo di Rudolph vom Berge. «Da sich in diesen Zeiten unsere verfei5 Cfr. L. magnani, Delle teorie estetiche dell’opera, in Le frontiere della musica, Milano-Napoli 1957, p. 283. Anche Schelling, precorrendo la concezione estetica di Beethoven e di Wagner, esalta nella sua Philosophie der Kunst (1802-804, pubblicata postuma), l’unione e la sintesi delle diverse arti nell’opera teatrale: «... die vollkom­ menste Zusammensetzung aller Künste, die Vereinigung von Poesie und Musik durch Gesang, von Poesie und Malerei durch Tanz, selbst wieder synthetisiert die componierteste Theaterscheinung ist». Cfr. in Werke, Münchner Jubiläums Druck, 30 Ergän­ zungsband, München 1959, p. 387. Sull’accenno alla Philosophie der Kunst di Schelling fatto da Kanne durante un colloquio con Beethoven nel marzo 1820 vedi oltre il cap. vu, p. 112. Pittura e poesia sono accostate da Grillparzer in una conversazione del mag­ gio 1823 (prod ’h o m m e , p. 270), e un visitatore, riprendendo il tema, afferma in un Quaderno del 1825: «Pittura e musica sono sorelle» {ibid., p. 333). 6 Dal manoscritto Fischoff. Cfr. leitzm a nn , II, p. 264.

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nerte Musik nicht denken lässt» 78(«Poiché in questi tempi non sarebbe concepibile la nostra musica raffinata»). Procedimento tecnico, questo delle dissonanze non risolte, che prefigura e ca­ ratterizza la scrittura armonica di Wagner, da considerarsi uno di quei «tentativi incoscienti» di cui questi parla, riferendosi alle opere della m aturità di Beethoven, «fatti col fine di formarsi una lingua che corrispondesse alle sue aspirazioni», uno degli aspetti della sua ricerca di «un linguaggio nuovo e possente» mediante le armonie piu strane, al fine di ottenere nuove sonorità espressi­ ve, di esprimere sentimenti piu individuali e determinati in fun­ zione della drammaticità della nuova opera tedesca \ Attuare questa ardita concezione, assolvere questo compito, costituì per Beethoven, come ci documentano i Quaderni di con­ versazione, l ’assillo delPultimo decennio della sua vita. «Procurate dunque alla Germania il piacere di u n ’opera nuo­ va» lo esorta nel gennaio del 1820 il suo amico P eters910che, dopo aver affermato non esservi in Italia, la grande competitrice, «ar­ tisti e compositori di musica notevoli», ed era il tempo di Rossi­ ni, insiste: «ma la perdita, anche a vostro giudizio, è grande, poi­ ché voi non avete scritto molte opere: l ’opera esercita una note­ vole influenza sugli uomini» “. Essa rendeva infatti più chiaramente manifesto il linguaggio ineffabile dei suoni, che permeando la parola, ne dilatano il sen­ so, ne liberano il racchiuso lirismo, vi infondono un palpito di vi­ ta piu possente e profondo. Si imponeva pertanto di proseguire nella lotta già gloriosamente intrapresa da Mozart con 1'Entführung aus dem Serail (1782) e con la Zauberflöte, di riaffermare nell’opera il caratte­ re tedesco, e assolvere cosi la missione teatrale che la nazione sembrava aver affidato ai musicisti. « In tutta-Europa —dichiara Schindler in un Quaderno di con­ versazione del ’23 —non vi è alcun compositore, se non voi, che 7 Cfr. p. B E K K E R , Beethoven, Berlin 1912, p. 298. 8 Cfr. R . W a g n e r , Oper und Drama, trad. it. di L. Torchi, Milano 1939, p. 92. 9 SCHÜNEMANN, I, p. 2o6. 10 Ibid., p. 281.

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possa salvare il nostro teatro dalla rovina»11; e poi, prendendo lo spunto dal suo lungo indugiare sulle Variazioni op. 120, a scapito dell’auspicata attività operistica, lamenta: «È inoltre un peccato che l ’espressione più alta del vostro genio sia sepolta in composi­ zioni per pianoforte»112. T utti lo incoraggiano e lo sollecitano al lavoro: «Farete felice il pubblico musicale con un’opera ancora? » gli chiede un violini­ sta del Josephstädter T heater131456; il dottor Bach: « Io non deside­ ro altro che u n ’opera vostra»“; Peters: «Almeno ancora u n ’o­ pera, vi prego, vi prego» il fratello Johann: «la cosa migliore sarebbe di scrivere u n ’opera», e il nipote: «tu devi scrivere u n ’o­ pera» “. Il successo riportato dal Fidelio a Vienna nel novembre del ’22, il suo glorioso affermarsi sulle scene tedesche17189sembrano in­ durre Beethoven ad accogliere le proposte che gli pervengono da diversi teatri e non solo di Vienna “. Schindler, riferendogli un colloquio da lui avuto con Gallenberg, archivista del Kärtnerthor Theater, precisa: « In quanto all’opera l’unico desiderio dell’am­ ministrazione è che voi ne scriviate una. Vogliono onorarvi per quanto sta in loro potere» Il direttore del Josephstädter Thea­ ter annuncia nel febbraio del 1823 che «forse tra quattro setti­ mane si potrà ascoltare una sua nuova opera». E v ’è chi dà già 11 Ibid., I ll, p. 118. 12 Ibid., p. 136. 13 Ibid., p. 32. 14 Ibid., p. 1x2. 15 Ibid.,p. 161. 16 Ibid., p. 323. 17 Leggiamo in un Quaderno del marzo 1823: «Ieri [3 marzo] c’era il vostro Fide­ lio. L’ouverture e due pezzi dovettero essere bissati. Tutto il pubblico era entusiasta» (cfr. sch Ünem ann , III, p. 74). A queste parole di Schick fa eco poco dopo Schindler: «Fidelio ha trionfato ieri. Il teatro era pieno. Anche il duetto e il quartetto [furono bis­ sati] ... Caraffa [il compositore napoletano Michele Carafa di Colobrano, che nel feb­ braio 1823 aveva chiesto di visitare Beethoven] ha espresso pubblicamente il suo entu­ siasmo» [ibid., p. 78). «Fidelio a Lipsia è sempre in repertorio» informa un visitatore di quella città (ibid., p. 360). 18 Di un invito a scrivere un’opera per l’Inghilterra vi è già accenno in un Quader­ no di conversazione del luglio-agosto 1820. Cfr. sch Ünemann , II, p. 205 (Oliva: «Ma voi dovete conchiudere il contratto con il teatro di Londra»). 19 SCHÜNEMANN, I I , p. 382.

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per certa la notizia, come un visitatore di Berlino, il dottor Dutz: « sento che abbiamo da rallegrarci per una vostra opera» ”. Ma occorreva anzitutto trovare un soggetto che, come quello del Fidelio, fosse in armonia con il suo sentire, degno di ricevere l ’investitura di un’idea, la consacrazione musicale; e che un poeta (come dice un visitatore di Lipsia) «gli tendesse la m ano»2021. Desistendo dall’idea, se pur mai l’ebbe, di comporre egli stes­ so il libretto («Poesie du selbst machen», «fa’ tu stesso la poe­ sia», sembra potersi leggere in una pagina di un Quaderno del marzo 1820)22, si rivolse ai più svariati autori, a cominciare da Goethe. «Beethoven will den Faust komponieren» («Beethoven vuo­ le musicare il Faust»): l’annuncio è del 1808, pochi mesi dopo la pubblicazione della prima parte della tragedia che doveva eser­ citare su di lui, come su tanti suoi contemporanei, un cosi grande e durevole fascino23. Una sua frase in un Quaderno di conversa­ zione del 1823 rivela quanto vivo ed attuale fosse rimasto in lui dopo quindici anni quell’antico progetto. «Ich schreibe nur das nicht was ich am liebsten möchte, sondern des Geldes wegen, was ich brauche. Es ist deswegen nicht gesagt, dass ich doch bloss ums Geld schreibe... so hoffe ich endlich zu schreiben, was mir u. der Kunst das Höchste ist —F au st» 24(«Io non scrivo ciò che preferirei di scrivere, ma per il denaro di cui ho bisogno. Non 20 Ibid., I li, p. 370. 21 Ibid., p. 360. 22 Lo Schünemann (I, p. 368) legge « Poesie du selbst Mahne » (« sollecita tu stesso la poesia»), ma il contesto della frase «... zuweilen hiezu die Silbenmasse der oper Na­ chahmen etc. oder sonst ein gutes lehrbuch» («imitare perciò talvolta il ritmo dell’ope­ ra, altrimenti [valersi di] un buon manuale »j sembra confortare la lezione machen ci­ tata anche da Rolland (cfr. r . Rolland , La Neuvième Symphonie, Paris 1943, p. 118). Nell’inventario dei libri della biblioteca di Beethoven figurava un volumetto che, come dice il titolo, prometteva d’insegnare l’arte di diventare poeta in due ore: fergar . Klei­ ner poetischer Handapparat (oder die Kunst in zwei Stunden ein Dichter zu werden), Pest 1823. Cfr. LEiTZMANN, II, p. 382. Beethoven si proponeva inoltre di consultare sul­ la versificazione il prof. Anton Stein, che risulta essere stato ordinario di letteratura classica all’Università di Vienna, o un altro: «Professor Stein oder ein anderer der Poesie deswegen fragen» ( schünem ann , I, p. 368). 23 Cfr. L. NOHL, Beethovens Leben cit., II, p. 40, e m . unger . Ein Faustoperplan Beethovens u. Goethes, Regensburg 1932. 24 schünem ann , III, p. 149.

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è detto che io scriva solo per il denaro... cosi spero di scrivere in­ fine ciò che per me e per l ’arte è la cosa piu alta: il Faust»). E lo continuò a sognare come il testo che gli avrebbe consentito la possibilità di rivelarsi pienamente e di raggiungere, valendosi di tutti i mezzi strumentali e vocali della musica, mediante la fusio­ ne della sinfonia e del dramma, la grandiosa solenne unità di un Festspiel“. Ma non fu questo l ’unico sogno. Le piu grandi figure del passato gli si proposero come sogget­ to; un lungo corteo d ’ombre sfila dinanzi alla sua fantasia, ansio­ sa di riconoscere tra esse l ’immagine che trovasse diretta corri­ spondenza con le sue passioni e i suoi ideali, che potesse rivive­ re in lui. Fugacemente gli erano apparsi Ulisse, Antigone, Romolo, Macbeth, G iulietta e Romeo. Con Les ruines de Babylone sfiora le civiltà antiche, con Attila la saga dei Nibelunghi, con L ’incen­ dio di Mosca l ’epopea napoleonica“. I Quaderni di conversazio­ ne documentano questa incessante e appassionata ricerca di un soggetto, ricerca cui partecipano i familiari e gli amici. 25 Oltre al Flohlied (La canzone della pulce), «Es war einmal ein Koenig», musi­ cato da Beethoven negli anni giovanili e pubblicato nel 1810 (op. 73, n. 3), non resta che un abbozzo della canzone di Margherita all’arcolaio, «Meine Ruh’ ist hin» (cfr. M. g . NOTTEBOHM, Zweite Beethoveniana, Leipzig 1887, p. 375). Vedi g . b ia m o n ti , Cata­ logo cronologico di tutte le musiche di Beethoven, Roma 1931, 1, p. 20. 26 II Romulus era tratto da un poema di G. F. Treitschke, cui si deve il rimaneggia­ mento del libretto del Fidelio per la nuova e definitiva versione del ’14; il poeta delTUlisse era Theodor Körner, del Macbeth Heinrich I. von Collin. Vedi inoltre, anche per l’accenno nei Quaderni a Giulietta e Romeo, s c h ü n e m a n n ,III, p.37. Il progetto di mu­ sicare Les ruines de Babylone risale al i8 rr. In una lettera dell’i r luglio di quell’anno si dichiara « so froh dieses Sujet gefunden zu haben », soggetto che riteneva « vortrefflich » («eccellente»; cfr. k a s t n e r , p. 193, n. 285). Tra i soggetti che ebbe a proporgli Reilstab figurano un’Antigone, un Belisario e un Attila («Pensai alla terribile notte delle sue nozze e agli avvenimenti connessi del Nibelungenlied»)·, cfr. L. r e l l s t a b , A u s meinem Leben, Berlin 1861, II, p. 24, e le itz m a n n , I, p. 299. Ma il Rellstab dovette anche ri­ cordarsi della tragedia omonima di Zacharias Werner, che culmina appunto nella scena in cui Hildegonde di Borgogna uccide Attila la notte delle loro nozze. Beethoven scri­ vendo il 28 gennaio 1812 ad August von Kotzebue per chiedergli un libretto d’opera, menziona, nell’esporgli le sue preferenze, questo soggetto: « Freilich würde mir am lieb­ sten ein grosser Gegenstand aus der Geschichte sein und besonders aus den dunkleren Zeiten, z.B. des Attila usw». Cfr. k a s t n e r , p. 208, n. 303. In un Quaderno di conver­ sazione del settembre T823 si leggono le seguenti frasi di Karl Holz, frammento di un colloquio sul ricorrente tema della ricerca di un soggetto d’opera: «Allora sarebbe pre­ feribile l’idea di Kuffner, L’incendio di Mosca. Bisogna che Goethe dia un libretto. For­ se si troverà ancora qualche altra cosa se voi consentirete a intraprendere qualche lavoro di questo genere». Cfr. p ro d ’hom m e, p. 362.

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Nel gennaio del 1820 vediamo Janitschek informare Beetho­ ven che Rupprecht (il poeta del suo Lied Merkenstein, op. 100) aveva abbozzato la trama di un’opera: Oie Begründung von Pensilvanien (La fondazione della Vensilvania) perché egli la mu­ sicasse 27. Nell’estate dello stesso anno Beethoven cerca tra gli eroi di Metastasio ispirazione per l’opera destinata all’Inghilterra. Egli, come annota su un Quaderno, si proponeva infatti «den Brief nach London in der Stadt schreiben - das sujet hängt ab von dem Englischen geschmak... von helden sprechen von Metasta­ sio - El[ena] al calv[a]ri[o] s[ehr] schö[n] - abe[r] in der H and­ lung zu wenig Bewegung - sollte es eine Ernsthafte Handlung sejn so wünschte ich Ballette soll wenig viel Spektakel [sein] » 28 («di scrivere in città la lettera per Londra —il soggetto dipende dal gusto inglese... parlare degli eroi di Metastasio —Elena al Calvario, molto bello - ma troppo poco movimentato nell’a­ zione - se si trattasse di u n ’azione [scenica] seria io desidererei poco balletto, molto spettacolo»). Poco dopo si sofferma su un altro personaggio di Metastasio: «Rüdiger oder Ruggiero von Metastasio —noch ungedruckt übersezt von Mosel—Romantische O p e r» 2930(«Rüdiger o Ruggiero di Metastasio — ancora inedito tradotto da Mosel —Opera romantica»). Bernard aveva accenna­ to alla necessità di scegliere per Londra un soggetto romantico che, data la destinazione, fosse tratto dalla storia inglese”; vedia­ mo infatti Beethoven fare ricerche nell’ambito di quella lettera­ tura: «aus dem neu gefunden [en] Irrländischen Ossian eine O p e r» 31(«un’opera di Ossian, l’irlandese ora scoperto»). Il fra­ tello Johann, sempre guidato da senso pratico, lo consiglia di ri­ volgersi ad un esperto e geniale librettista, ora divenuto famoso, 27 SCHÜNEMANN, I, p. 209. 28 Ibid., II, pp. 199-200. 29 Ibid., p. 208. Sant’Elena al Calvario e II Ruggero (ovvero l’Eroica gratitudine) di Metastasio erano già stati musicati rispettivamente dal Caldara (1731) e dallo Hasse ( 1771 )·

30 SCHÜNEMANN, II, p. 204. 31 Ibid., p. 242.

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a Friedrich Kind, il poeta del Freischütz: « In autunno vogliamo scrivere a Kind a Berlino per un libretto d ’opera per te. È molto b rav o » 32. E aggiunge, per invogliarlo: «Rossini è divenuto ricco con le sue opere —io credo che anche tu dovresti scrivere molte piu opere». I familiari e gli amici partecipano alla ricerca di un soggetto, propongono, consigliano, cercano di persuadere l ’in­ contentabile eterno dubbioso. «Lichnowsky —riferisce il fratello Johann —mi ha portato da leggere il libretto dell’opera: è di Schlegel, ed è tratto da un anti­ co poema indiano di duemila anni fa —è romantico —mi piace... se lo vuoi leggere te lo lascio, ma devi leggerlo subito... Credo che un compositore di qui lo abbia già voluto musicare, ma non si è arrischiato, io trovo che sia un grosso affare»33. O ra è lo stes­ so conte Moritz Lichnowsky che si intrattiene con Beethoven su di un libretto di cui è autore un professore di fisica, Neumann, e richiama la sua attenzione sul teatro di Voltaire: « Il mio deside­ rio sarebbe [che voi sceglieste] una delle belle tragedie di Voltai­ re. Zaire Mérope... tutte adatte per [farne] una grande opera»34. Ma carattere romantico e grandezza caratterizzano la Giovanna d ’Arco, cui sta appunto lavorando Friedrich K ind3S. Quasi non bastasse, Lichnowsky propone inoltre un Alfredo il Grande che Marianna Neumann von Meissenthal elabora da anni e che «de­ ve essere molto bello» “. Non c’è quasi amico e visitatore che non abbia un suo soggetto favorito da proporre. Bernard gli consiglia La rosa incantata di Ernst Schultze: «Questo poema —assicura — sarebbe la piu bella delle opere, la cosa migliore che esista in Ger­ mania di questo genere»: il genere feerico-epico di cui il Flauto magico aveva instaurato la moda, imposto il gusto e che viene qui contrapposto al Corsaro di Byron, definito «truce e senza incan­ tamento», pur riconoscendo che come soggetto è «tra i piu adat­ ti per un’opera»37.

,

32 33 34 35 36 37

Ibid., p. 275 Ibid., p. 343 Ibid., p. 351 Ibid., p. 338 Ibid., p. 395 Ibid., p. 174

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Il dottor Bach, suo legale, propone invece il Fiesco di Schil­ ler per i suoi tragici contrasti e per lo spirito di rivolta che lo ani­ ma. «Sarebbe un soggetto degno di essere trattato da voi. Schil­ ler e Beethoven, questi due nomi sono degni di stare l’uno accan­ to all’altro». Perorando la causa del Fiesco, svaluta e condanna senza appello una tragedia di Zacharias W erner, Wanda, regina dei Sarmati, che Beethoven sembra preferirgli: «Fiesco è già classico... Wanda è n iente»38. Beethoven infatti si proponeva da tempo di comporre un’opera su testo di W erner, pur senza mai decidersi a farlo. In un Quaderno di conversazione del ’19 Ber­ nard gli chiedeva: « In quanto a W erner, quando lo metterete in musica? Questo è il problema» 3\ Può apparire strana questa pre­ dilezione per uno scrittore tanto da lui alieno per carattere ed idee, e non meno per il suo passato libertino che per il successivo fanatismo religioso di cui si riscontra un diretto riflesso nella sua opera. Se Beethoven non assiste alle sue deliranti prediche nella Cattedrale di Santo Stefano40, acquista e legge i suoi libri. Nei Quaderni di conversazione del ’19 egli ripetutamente si annota: «Geistliche Übungen für 3 Tage, gedichtet von L. Z. W erner 8. W ien I fl: 30 + bej W allishauser»41(«Esercizi spirituali per tre giorni composti da L. Z. W erner»), e il manoscritto Fischoff ci trasmette ampie citazioni tratte da un altro volume di versi dello stesso autore, Die Söhne des Thales (I figli della valle), già da lui trascritte nei taccuini per trovare diretta risonanza nel suo cuore: Nicht Fragen, Taten sollst du spenden, dich selber opfern ohne Ruhm und Lohn! Erst übe Wunder, willst du sie enthüllen; nur so kannst du dein Dasein ganz erfüllen.

«Agisci invece di domandare, sacrificati senza speranza di gloria né di ricompensa. Opera prima miracoli se vuoi spiegarli. Cosi soltanto potrai colmare pienamente la tua esistenza». 38 Ibid., I ll, p. 114. 39 Ibid., I, p. 167. 40 Ibid., p. 132. 41 Ibid., p. 34.

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Kampf für das Recht und für des Rechtes Tochter, die durchs Gesetz verklärte ew’ge Freiheit.

«Gombatti per il diritto e per la figlia del diritto, che mediante la legge trasfigura l ’eterna libertà». ... Der Mann, der einzelne kann öfters mehr als im Verein mit tausend.

«L ’uomo solo può spesso più che in unione con mille». Was kann ich tun? Mehr als dein Schicksal sein.

«Che devo fare? —Essere più del tuo destino». Zacharias W erner, peccatore e penitente, poteva ben essergli estraneo, ma non lo erano gli ideali di giustizia e di libertà, i ge­ nerosi impulsi morali, l’eroica lotta dell’uomo contro il destino che sono i temi dominanti della sua poesia e dei suoi drammi. Se al tempo del Fidelio erano i sentimenti sublimi della Comé­ die héroïque che disponevano al canto il suo animo acceso di que­ gli stessi ideali, ora che il destino batte alla porta (« So klopft das Schicksal an die Pforte») e incombe sino a piegare la sua appas­ sionata resistenza, sarà la Schicksaltragödie, saranno i drammi appunto di Zacharias W erner dominati dalla oscura presenza del fato, che sembreranno offrirgli una materia poetica rispondente a quanto in modo confuso ma imperioso urgeva in lui. Il progetto di musicare Wanda, di cui Beethoven, al dire di Bernard, era infi­ ne «satt u. m üde»“ («sazio e stanco») viene, come quello di A t­ tila, abbandonato, ma non l ’idea che sovrasta a quelle torbide vi­ cende di voluttà e di sangue e che egli persegue nei drammi fata­ listici di Houwald, di Müllner e di G rillparzer4243. 42 Ibid., I l, p. 391. 43 Di una conversazione su Houwald è traccia in un Quaderno dell’aprile 1826, in cui leggiamo il giudizio di Holz: «Houwald è buono, Grillparzer occupa un rango piu elevato» cfr. prod ’h o m m e , p. 390). Dal Schicksaldrama di Müllner, Oie Schuld {La col­ pa), Beethoven aveva trascritto lunghi passi, tra cui l’inizio del dramma con le didasca­ lie e i versi finali, riportati dal manoscritto Fischoiï. Cfr. leitzm a nn (II, pp. 243-44) unitamente alla seguente nota in cui rileva l’idoneità di quel testo ad essere musicato e la sua disposizione a musicarlo. «Trochäen mit Daktylen, wo zuweilen der nicht mehr gilt als der lassen sich gut. In dem Stücke von Dr. Müllner sind meistens vier-

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Questi aveva già pubblicato Medea e Saffo, e stava componen­ do Ottokar quando, invitato a scrivere un libretto per Beetho­ ven, il suo nome, altamente elogiato da Lichnowsky («H a una bella lingua, molto fuoco, fantasia ed è in grado di fare un bel poema»), appare nei Quaderni di conversazione come quello di un collaboratore da cui ci si possa attendere molto «Quella richiesta —ricordò poi Grillparzer —mi mise, lo con­ fesso, in un certo imbarazzo. L ’idea di scrivere un libretto d ’ope­ ra era allora del tutto estranea alle mie intenzioni; ed inoltre du­ bitavo che Beethoven, divenuto completamente sordo e le cui ul­ time composizioni, malgrado il loro alto pregio, avevano assunto un carattere di asprezza che mi sembrava dovesse impedirgli di scrivere per i cantanti, dubitavo, dico, che fosse capace di scrive­ re u n ’opera. Ma l ’idea di offrire ad un grand’uomo l’occasione, forse, di un lavoro altamente interessante, prevalse su ogni con­ siderazione ed accettai» I Quaderni di conversazione ci consentono di seguire, sino dai primi approcci, condotti da Lichnowsky, da Schindler e dal fra­ tello Johann, le diverse fasi di questa laboriosa collaborazione in cui tutti (ad eccezione forse del poeta e del musicista) riponevano le più grandi speranze. La notizia che Grillparzer stia scrivendo per lui e le indiscre­ zioni sul soggetto stimolano la curiosità di Beethoven, lo rendono sempre più impaziente di prendere visione del libretto e di incon­ trarsi con il poeta. «L ’altro ieri dopo avervi lasciato ai bastioni füssige -.w-o, diese lassen sich auch gut zur Musik. Ueber mehrere Zweifel in der deutschen Poesie! Die Ouvertüre kann füglich darauf berechnet werden, dass sie mit einem Pizzicato endet, welches Elvire auf der Harfe noch einige Sekunden fortzusetzen scheint» («Trochei con dattili, in cui talvolta il dattilo non vale piu del trocheo, posso­ no andar bene. Nell’opera del dr. Müllner vi sono per la maggior parte dei trochei di quattro piedi: questi convengono bene anche alla musica. Sopra numerosi dubbi nella poesia tedesca! La Ouverture può convenientemente essere calcolata in modo che fini­ sca con un Pizzicato come quello che Elvira sembra per qualche istante continuare ad eseguire sull’arpa»). Beethoven aveva fatta propria l’idea dell’autore che nella didascalia suggerisce: «Die Ouvertüre muss mit einem Pianissimo endigen, welches Elvire einige Sekunden lang auf der Harpe fortzusetzen scheint». Cfr. l e itz m a n n , II, pp. 243-44 e 3 67· 44 SCHÜNEMANN, II, p. 397. 45 F. Grillparzer , Erinnerungen an Beethoven, in Werke, XVI, Stuttgart 1887, p. 230.

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gli riferisce Schindler - mi ha abbordato Grillparzer e mi ha det­ to che mi invierà al piu presto possibile l’ultima delle sue creatu­ re. Egli ha particolarmente elaborata la fiaba di Melusina e dice con la piu grande modestia che egli ha avuto ogni cura ad adattar­ la al vostro genio. Fu Mosel che ultimamente ve lo ha stimolato. Egli ammette che ne ha parlato con Vogel e Forti, che lo hanno bene informato. H a una grande esperienza della scena» Qualche giorno dopo il conte Lichnowsky lo assicura: « l’ope­ ra è già finita, me lo ha detto Wallishauser: il libretto è alla dire­ zione [del teatro] e vi sarà certamente inviato. È la favola di Me­ lusina. Wallishauser voleva venire questo pomeriggio a p a rla c e ­ n e » 47. Anche Schindler glie ne darà poi conferma, stimolando la sua curiosità48; ma il prolungarsi dell’attesa deve averlo infine ir­ ritato se Schindler cerca di giustificare il ritardo e la mancata vi­ sita: «Grillparzer deve essere ancora ammalato, altrimenti sa­ rebbe già venuto. Da tempo la sua gola gli dà molto da fare e deve evitare l ’aria. Ve lo dico sull’onore. Egli mi ha detto che se non lo troverete convenable per voi egli ne farà un lavoro teatrale, come era d ’altronde il suo primo progetto»45. Beethoven deve avere qui lamentato di essere ormai il solo a non aver letto il li­ bretto di Grillparzer, se Schindler risponde: «Egli si è riservato di sottoporvelo lui stesso... egli non ne ha fatto mistero e perciò molte persone lo possono sapere». E che Beethoven non creda che il poeta tenga in poco conto il suo giudizio sul lavoro; «lo ha scritto espressamente per voi, - afferma Schindler, —e si preoccu­ pa di sapere se vi piacerà. Egli si rimette al vostro giudizio e dice che voi lo potete distruggere, voltare e rivoltare come credere­ te» 50. Qualche giorno dopo gli riferisce: «Fui ora da Grillparzer; Lichnowsky andò ieri da lui e gli disse che voi lo avete mandato per il libretto. Sebbene egli non glie lo desse molto volentieri, e si 46 S C H ü n e m a n n , III, p. 131. Si accenna qui ad Ignazio von Mosel, musicologo, a Johann Michael Vogel, celebre baritono, e al cantante Forti che aveva interpretato la parte del governatore alla ripresa del Fidelio a Vienna nel 1822. 47 SCHÜNEMANN, III, p. I36. 48 Ibid., p. 153. 49 Ibid., p. 187. 50 Ibid., p. 187. ?

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riservò di parlarne con voi, tuttavia glie lo ha consegnato nelle sue proprie mani, dicendo di trasmettervelo senza ritardo. Mi ha dato una lettera che vi voleva inviare con il libretto. Non credia­ te, d ’altra parte, che egli manchi ai riguardi che vi deve: è soltan­ to la sua gola che lo trattiene in casa. Appena potrà uscire verrà a trovarvi, poiché anch’egli considera indispensabile parlarne con vo i» 51. Nello stesso Quaderno (fine aprile 1823) leggiamo il rappor­ to di Lichnowsky: «Grillparzer stesso desidera avere un collo­ quio con voi, è disposto a fare molti cambiamenti a vostro piace­ re, e vuole in seguito scrivere espressamente per voi Drahomira, storia boema... [una cosa] grande, tragica. Grillparzer è una per­ sona molto amabile e sincera»52. Ma come pretendere, dopo tanti indugi del poeta, una pronta decisione del musicista, che il nipote Karl ha ricevuto incarico di sollecitare? «Lichnowsky era oggi in grande imbarazzo a causa della nuova opera di Grillparzer poiché egli si è impegnato a dar­ gli tra pochi giorni la tua risposta... quando tu incominci, quali mutamenti [saranno] necessari e quando saranno finiti. Lichnow­ sky resterà accampato da tuo fratello sino a che non avrà la rispo­ sta. D ov’è l ’opera?... Com’è l’opera di G rillparzer?»53. Si com­ prende come il soggetto della Melusina potesse suscitare un cosi vivo interesse in Beethoven, per riecheggiare e riproporre due temi a lui cari, la fedeltà all’ideale, perseguito a prezzo della vita, e l ’opposizione di due mondi, il fiabesco (di cui il Flauto magico aveva rivelato la possente suggestione) e l ’umano, il soprannatu­ rale e il reale, tra loro contrastanti come i due principi che costi­ tuivano i termini dialettici e strutturali della sua forma-sonata, e che similmente tendevano ad una superiore conciliazione. T utta­ via, nonostante questa generica congenialità di motivi e di sche­ mi, la vicenda scenica della Melusina, priva di chiarezza e di spontaneità, estranea ai grandi ideali cui si ispirava il Fidelio, 51 Ibid., ρρ. 189-90. “ Ibid., p. 200. 53 Ibid., p. 207.

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non trovò piena rispondenza nel suo spirito, non seppe suscitare uno stato lirico atto a fecondare la sua fantasia e a dar vita al­ l ’opera. Il predominio della parte corale, i grandiosi finali e la presen­ za dell’elemento melodrammatico, che il poeta pensava dovessero convenire al carattere dell’ultima maniera stilistica del musicista, sembrano lasciare questi del tutto indifferente. E sarà anzitutto per dimostrare la sua solidarietà umana verso Grillparzer, caduto in disgrazia politica a causa della sua poesia sulle Rovine del Campo Vaccino a Roma, in cui alla grandiosa Roma pagana si contrappone la meschinità della Roma del suo tempo, che Bee­ thoven riprende il progetto di musicare l ’opera del poeta perse­ guitato. Invia ripetutamente Schindler a cercare di lui, abbando­ nato dagli amici, per fargli giungere il conforto della sua simpatia e l ’annuncio della sua non piu attesa ma ambitissima decisione. Grillparzer che ormai non nutriva dubbi sul disinteresse di Bee­ thoven per la Melusina, ne resta felicemente sorpreso e si rimette con nuovo fervore al lavoro54. « Il fatto che voi abbiate scelto il suo poema lo ha tanto mag­ giormente sorpreso, —dice Schindler, —in quanto che, ora lo con­ fessa, egli era certo che questa materia non dovesse interessarvi, ma egli ora desidera ardentemente di approntare un secondo li­ bretto, che dovrebbe riuscire degno di v o i» 55; allusione al nuovo dramma che Grillparzer intendeva scrivere sulla fosca vicenda 54 « Grill [parzer] war nicht zu Hause - ich hinterliess ihm schriftlich dass ich wie­ derkommen u. ihm das übrige mündlich mittheilen werde... bey der Stelle wo er ist, hat er auch keine Freunde, denn er ist einige Mahl preterirt worden, obwohl sein Be­ tragen höchst ed[e]l ist.» Cfr. schünem ann , III, p. 226. E poche pagine dopo: «Bey Grillp [arzer] war ich früh, er ist ganz enchantirt über Ihr Schreiben... das Gedicht, wo­ durch er in Ungnade fiel, wird er Ihnen lesen lassen, nicht der Nuntius, sondern ein hie­ siger Literator hat die Sache erregt. Der Kaiser schrieb an die Polizey: ein sicherer Grillp [arzer] etc. diese Infamie! er musste sich sogar schriftlich bey der Polizey vertheidigen... Die Anstellung als Dichter bey[m] Theater hat er jetzt auch durch Folgen dieser Niederträchtigkeit verloren, er hat schon Wien verlassen wollen, allein diess fällt ihm auch wieder schwer sich von seinen Anverwandten zu trennen. - Wo sie nur kön­ nen, dort chikaniren sie ihn. Nun schreibt er ein grosses Trauerspiel Ottokar. Wahr­ scheinlich wird man ihm wieder Prügel unter die Füsse werfen, u. dass er seine Werke im Auslande auflegen lässt, hat ihm auch schon Feindschaft zugezogen», schünemann , III, p. 229. 55 SCHÜNEMANN, III, p. 23Ο.



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della regina maga Drahomira, desumendola dalle stesse fonti boeme da cui Zacharias W erner aveva tratto Wanda, regina dei Sarmati. Ma dei libretti Beethoven avrebbe potuto dire col Manzoni: «basta uno per volta, quando non è d ’avanzo». Quello poi della Melusina presentava motivi di dissenso già nella prima pagina. Ce ne informa lo stesso Grillparzer, che rievocando il suo incon­ tro col musicista, ebbe a scrivere: «Quando noi entrammo, Bee­ thoven si alzò, mi tese la mano, disse parole di benvenuto e si mi­ se subito a parlare dell’opera: La vostra opera vive qui, mi disse indicando il suo cuore, tra qualche giorno andrò in campagna e comincerò subito a comporla. Soltanto non posso far niente del coro dei cacciatori che serve da introduzione...; voi vedete che era necessario che io ve ne prevenissi... Benché io prevedessi tu t­ to meno questo, dichiarai che il coro dei cacciatori poteva esse­ re tolto senza pregiudizio dell’insieme; egli parve molto conten­ to di questa concessione e né allora né più tardi egli non ha fatto nessun’altra obiezione al testo, né chiesta nessun’altra modifi56 ca» . «Se il coro dei cacciatori dell’inizio vi dovesse disturbare al­ lora egli scriverà un coro di ninfe» lo assicura anche Schindler5657. Ma sebbene rimosso l ’ostacolo, l’opera continua a vivere solo nel suo cuore, sepolta nel limbo delle intenzioni, da cui viene saltua­ riamente rimossa durante i colloqui con Grillparzer, che i Qua­ derni registrano nel maggio e nel luglio del 1823. «Una grande difficoltà per la nostra opera —dice Grillparzer —sarà di trovare un tenore che possa interpretare la parte di Raimondo. Se venisse Wild! La Unger non c’è male». Il discorso si mantiene ai margini dell’argomento principale, che entrambi sembrano evitare non senza imbarazzo; parlano della salute, della censura cui fortu­ natamente la musica può sfuggire («La censura non può nulla contro i m usicisti»)58, sulla mortificazione di dover sottostare a 56 Cfr. Grillpa rzer , Erinnerungen an Beethoven eit., pp. 231-32. 57 SCHÜNEMANN, III, p. 230. 58 Ibid., p. 274.

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governanti inetti e sulla impossibilità di potersi tuttavia sottrarre al fascino di Vienna: anche il poeta come il musicista, nonostan­ te tutto, non potrebbe vivere altrove. «Gefühl ist hier» («Q ui c’è il sentimento»), il sentimento che riporta fatalmente alla mu­ sica, di cui si riconosce la nuova funzione espressiva, la sua rivela­ zione quale voce diretta dello spirito, immagine, figura e tropo dell’infinito, come la poesia, secondo la definizione di Grillpar­ zer59. «La musica è la sola arte che i moderni abbiano inventa­ ta » 60612. E d è interessante ascoltare l ’autore di Saffo confidare a Beethoven: «Io ho appreso la melodia dei versi dalla musica» Chi conosce la sonorità, la scorrevolezza, l ’agile euritmia di tan­ te sue strofe, il tono e la cadenza della sua frase che, com’egli di­ ce, «tiene il mezzo tra il discorso e il canto» “, riconoscerà l ’esat­ tezza e la credibilità di tale affermazione, che rivela il pregio ed insieme il limite della sua arte. E tuttavia, pur tra tante esitazioni e divagazioni, si può coglie­ re da quei colloqui l ’intendimento di dar vita, con la Melusina, a una forma di spettacolo in cui «il poema non esiste che in fun­ zione della musica», non secondo l ’uso invalso nel melodramma italiano («A mio avviso —dice Grillparzer —vi sono due specie di opere: una che deriva dal testo [letterario], la seconda dalla musica: quest’ultima è l ’opera italiana»)63; bensì al modo che, sulle orme di Gluck, si andrà affermando in Germania come pro­ prio e caratteristico dell’opera tedesca. Una poesia che si dissolve nella musica, ma in una musica che si risolve a sua volta nel dram­ ma, avvolgendolo nell’alone del suo patetico lirismo, divenendo­ ne l ’afflato animatore, l’elemento essenziale e determinante; voce imperiosa che, come quella del coro nella tragedia greca, amplifi­ ca e potenzia i sentimenti cui partecipa, suscita in contrasto con essi nuove emozioni. Ma tuttavia, per giungere a tanto, «deve es­ sere u n ’opera di Beethoven», come precisa G rillparzer64, che pur 59 Cfr. L. v in c e n ti, Grillparzer e i suoi drammi, M ilano-N apoli 1958, p. 21. “ SCHÜNEMANN, I II, p . 275.

61 Ibid. 62 Cfr. v in cen ti , Grillparzer e i suoi drammi cit., p. 25. 63 SCHÜNEMANN, I I I , p . 400. 64 Ibid., p. 275.

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non nasconde le sue simpatie per l’opera italiana, richiamandosi a Mozart che l ’assunse a m odello65*678. Durante l ’estate del ’23 il poeta si reca a visitare il musicista dietro suo invito a Hetzendorf. « Io non so — scrive nelle sue Erinnerungen —se Schindler mi disse lungo il viaggio o qualcun altro mi avesse già detto che Beethoven era stato impedito da la­ vori urgenti a intraprendere la composizione dell’opera. Io mi astenni quindi dal porre il discorso sull’argomento» “. Beethoven infatti stava allora ultimando la Nona Sinfonia, e si comprende come, assorto in cosi alti pensieri, la fiaba di Grillparzer non po­ tesse che apparirgli quanto mai estranea e inattuale: tuttavia i Quaderni di conversazione ci testimoniano che, contrariamente a quanto afferma Grillparzer (mirante piu a confutare uno scritto di Rellstab che a ricostruire con esattezza la cronaca dei suoi in­ contri con Beethoven)“, a Hetzendorf si parlò anche dell’opera. Ma si era sempre allo stesso punto. «Siete ancora sempre della opinione che si dovrebbe sostituire, in luogo del primo coro della nostra opera, qualche altra cosa? —gli chiede Grillparzer. —Forse soltanto qualche nota del coro dei cacciatori, seguita da un coro di ninfe invisibili» “. Tuttavia il persistente arresto a quel primo ostacolo non aveva impedito il sorgere di nuove idee. Beethoven doveva avere già espresso il proposito di individuare i personag­ gi, come già nell’Egmont, mediante temi musicali se, e non senza stupore, ascoltiamo Grillparzer enunciare, con grande anticipo su Wagner, l ’impiego rigoroso del Leitmotiv. « Io ho riflettuto soprattutto se non fosse conveniente di caratterizzare tutte le ap­ parizioni o interventi di Melusina mediante una melodia facile a ritenersi: l ’O uverture non potrebbe cominciare con questa e l’Introduzione, dopo un rumoroso Allegro, non potrebbe essere anch’essa formata dalla stessa melodia? Io ho pensato questa me­ lodia come quella su cui Melusina canterà il suo primo L ied » “. 65 Ibid., p. 400. “ Cfr. G r i l l p a r z e r , Erinnerungen an Beethoven cit., p. 233. 67 Cfr. ibid., pp. 227 sgg. 68 SCHÜNEMANN, III, p. 398.

65 Ibid., p. 399.

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Quando venne invitato a presentare un soggetto d ’opera a Beethoven, Grillparzer aveva rinunciato a ragion veduta (come lui stesso ci informa) a proporre la vicenda fortemente passionale di Drahomira «per non voler offrire un pretesto a Beethoven di avvicinarsi ancor piu, mediante una materia semidiabolica, agli estremi confini della musica, inoltre già incombenti e minacciosi come dirupi» Questo scrupolo dovette tuttavia cedere al desiderio di lega­ re comunque il proprio nome a quello di Beethoven, all’ambizio­ ne che una sua opera potesse condividere il sicuro glorioso desti­ no di quella musica, anche se a lui, fedele mozartiano, in realtà non piaceva. « Ihre Musik bleibt uns doch ganz unbegreiflich » 701( « La vostra musica nondimeno rimane per noi del tutto incomprensibile») confessa apertamente a Beethoven, durante un colloquio del lu­ glio 1823. E sarà questa ambizione che lo indurrà ad offrire al musicista, con quel soggetto già da lui giudicato diabolico, il pretesto di so­ spingersi lungo l’intrapreso periglioso cammino sugli abissi, e incoraggiarlo a perdersi. Suona quindi quasi insidiosa e sinistra, dopo tanta prudente riserva, la proposta allettatrice che Grill­ parzer fa nei Quaderni a Beethoven: «Drahomira — Io vi tra­ smetterò per iscritto il progetto di questa D rahom ira»7273. Si deve a una nuova disavventura politica occorsa a Grillpar­ zer se l’idea della Melusina si ripresenta a Beethoven, quasi che egli, confermando il proposito di musicare im ’opera del poeta ca­ duto in disgrazia, volesse sfidare la Corte e il governo, che aveva­ no proibito la rappresentazione della sua tragedia La fortuna e la fine di re Ottokar (Koenig Ottokars Glück und Ende), per ravvi­ sare nella figura dell’antico sovrano boemo i tratti di Napoleo73 ne . « Il povero Grillparzer è da compiangere, —riferisce Schind70 Cfr. Grillparzer , Erinnerungen an Beethoven cit., p. 231. 71 SCHÜNEMANN, III, p. 399.

72 Ibid. 73 Cfr. v in c e n t i , Grillparzer e i suoi drammi cit., pp. 9 sgg.

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1er nel gennaio 1824 a Beethoven, —il suo Ottokar non sarà rap­ presentato poiché la censura lo ha terribilmente massacrato... Egli è già un uomo finito qui, sia come poeta che come funziona­ rio. Se ne rende conto egli stesso. È stato infinitamente contento di apprendere dalla mia bocca che voi scriverete l’opéra. Egli era già persuaso del contrario, ed era per questa ragione che non si faceva vivo con v o i» 74. L ’intenzione di Beethoven doveva essere sincera se aveva ini­ ziato trattative con il direttore del teatro, Duport, come si argui­ sce dalle seguenti parole della Unger, la giovane cantante che già aveva espresso il desiderio di leggere il libretto di Grillparzer, nella speranza vi potesse essere una parte per le i”: «D uport mi ha pregato di dirvi che le vostre condizioni per la Melusina gli convengono: desidera conoscere ora quelle di Grillparzer per mettersi d ’accordo»76. Si può comprendere, dopo tante ripetute promesse e categori­ che assicurazioni («la vostra opera è finita» gli aveva annunciato Beethoven), quanto amara fosse la delusione del poeta per il mancato adempimento del progetto e il tacito risentimento di cui è dato cogliere un riflesso delle sue Erinnerungen·. « Io restai fe­ dele al mio principio di non rinfrescargli menomamente la me­ moria e non m ’accostai piu a lui, poiché le conversazioni per iscritto mi erano penose, sino al giorno in cui, vestito di nero e con una candela accesa in mano, io seguii la sua bara» 14 P R O D ’ H O M M E , p. 297. 75 Ibid., p. 296. 76 Ibid., p. 298. 77 Cfr. G r i l l p a r z e r , Erinnerungen an Beethoven cit., p. 234. In un Quaderno di conversazione del 1826 Holz si intrattiene con Beethoven sulla allora famosa Schicksal­ tragödie Oie Ahnfrau (L’avola) di Grillparzer. Dalle parole di Holz sembra intendere che ancora una volta Beethoven abbia fatto annunciare al poeta l’intenzione di musica­ re la sua Melusina. «Ho parlato ieri con Grillparzer - Glie l’ho detto - Egli è rimasto molto contento: mi ha detto che, giustamente, egli non voleva farsene una grande glo­ ria, ma che non vedeva facilmente un libretto d’opera che fosse piu adatto dal punto di vista musicale e scenico». Si discute ancora sul coro iniziale dei cacciatori: «Weber ha già fatto due volte delle cacce - È peccato per i bei versi - stanno molto bene nel coro dei cacciatori». Cfr. p r o d ’ h o m m e , pp. 390-91. Nel luglio di quello stesso anno i Qua­ derni registrano un interessante colloquio con Grillparzer in cui peraltro non si accenna all’opera in progetto. «La censura mi ha assassinato. Bisogna andare nell’America del Nord per poter dare libero corso ai propri pensieri... Sono divenuto scettico. Il musi-

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La laboriosa preparazione del concerto in cui saranno per la prima volta eseguiti tre grandi frammenti della Missa Solemnis e la Nona Sinfonia possono in parte giustificare la definitiva rinun­ cia da parte di Beethoven a musicare quell’opera: ma solo in par­ te se, poche settimane prima del memorabile concerto che assor­ be tutta l ’attività del compositore, si parla ancora nei Quaderni di un libretto che non è di Grillparzer. «Grande maestro, —gli dice Schindler, —il piccolo D uport vi presenta i suoi rispetti... e vi invia il libretto di Kanne perché l ’esaminiate. Crede che sia molto buono, che il I atto sia un po’ freddo ma che il I I e il I I I siano veramente eccellenti. Kanne non ne sa nulla né deve an­ cora saperlo. Inoltre D uport ritiene che un’opera di soggetto ro­ mantico sia quanto vi è di meglio e di piu vantaggioso nel no­ stro tempo, per il compositore e per il teatro. Il contratto scrit­ to vi sarà rimesso appena che voi avrete deciso di scrivere l ’o78 pera» . Anche questa proposta non ebbe tuttavia alcun seguito”; ma Beethoven non desisterà dal perseguire il suo intento e non tar­ derà a rivolgere quel fervore di ricerche e quelle geniali intuizio­ ni là ove l ’idea dominante, la nuova opera tedesca, gli sembra tro­ vare il suo più alto modello: nella tragedia greca. Era la Grecia antica un mondo che la poesia e la cultura del suo tempo avevano riscoperto con l ’entusiasmo degli antichi uma­ nisti e fatto oggetto di evocazione e di adorazione romantica. Una Grecia luminosa, lontana, irraggiungibile come un paradiso per­ duto e insieme terra promessa verso cui convergono le nostalgie e le piu ardenti aspirazioni del tempo: patria ideale, che spiriti cista non ha [da temere] la censura... Ho la disgrazia di essere ipocondriaco. Questo spiega molte cose. Le mie opere non mi procurano alcun piacere. Se avessi la millesi­ ma parte della vostra forza e del vostro carattere! Non yi fu un tempo in cui gli avveni­ menti della vita vi abbiano a lungo turbato nei vostri lavori? Delle storie d’amore, per esempio». Cfr. p r o d ’ h o m m e , p. 410. 78 P R O D ’ H O M M E , p. 320. 75 Kanne riceverà poi l’incarico di rielaborare e ridurre a libretto Claudim di Vil­ labella di Goethe, ma, come riferisce Holz a Beethoven in un Quaderno di conversa­ zione del 1826, egli non osò «metter mano all’opera di Goethe». Cfr. p r o d ’ h o m m e , p. 391.

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quali Herder, W ieland e Hölderlin sognavano potesse rivivere nella loro terra con il suo Odeon, la sua tragedia, la sua gloria. Affascinato dal mondo ellenico, appassionato lettore di Ome­ ro e dei poeti tragici, Beethoven non solo ammira «die reichen Schriften der Griechheit», i ricchi testi della grecità, ma tanto li sente in sé attuali da identificarsi nei sentimenti di Ulisse, da ri­ vivere i drammi di Eschilo. In una conversazione con Holz del ’26 questi è definito «il piu grande» dei tragici: la sua Trilogia (l’Orestiade) la piu bella rispetto a quelle di Sofocle e di Euripi­ de. Anche a Beethoven infatti l’evento appare sempre aureolato di mistero, quale rivelazione di una forza che lo trascende, e la vita come soggiacente alle leggi del destino: «Zeige deine Ge­ walt, Schicksal! W ir sind nicht H erren über uns selbst: was beschlossen ist, muss sein, und so sei es d en n » 80(«M ostra la tua potenza, destino! Noi non siamo padroni di noi stessi: ciò che è stato deciso deve essere e dunque sia»). Sarà quindi ad Eschilo, per tradizione il poeta della fatalità, che viene data la preminen­ za, «non tanto per essere il piu drammatico», ma per riconoscere in lui « l’idea del destino», pensiero dominante di Beethoven81. Dal Schicksaldrama dei romantici Beethoven si eleva alla trage­ dia antica ove tyche e moira, caso e fato, lirismo ed azione si fon­ dono in obbedienza e in armonia all’ordine universale e oggetti­ vo, che presiede alle vicende e ai sentimenti umani. Ed è qui ove finalmente egli crede riconoscere immagini adeguate all’empito di grandezza che era in lui e che non trovava riscontro nei prece­ denti testi poetici. « È cosi diffìcile trovare un buon poema per un libretto», dice a Rellstab quando questi gli offre la sua collabora­ zione di poeta e gli suggerisce alcuni soggetti: « avrete da penare, vi sarà diffìcile intendervi con m e » 82; troppo nuova era infatti la 80 Dal manoscritto Fischofi, n. 86. Cfr. l e i t z m a n n , II, p. 255. 81 «Di Eschilo tuttavia - dice Holz - nessuno ha fatto la traduzione - Voi mi fate passare un esame? - Eschilo è il piu grande - La sua idea del Destino - Le Gru d’Ibico - La sua trilogia è tuttavia la piu bella rispetto a quelle di Sofocle e di Euripide - Que­ sti era più amabile ma non tanto commovente quanto Eschilo - Ma Euripide era più te­ nero». Cfr. P R O D ’ H O M M E , p. 428. 82 Cfr. r e l l s t a b , Aus meinem Leben cit., II, p . 224, e l e i t z m a n n , I, p p . 288 sgg. La frase di Beethoven, «Es ist so schwer ein gutes Gedicht zu finden», doveva ricor-

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concezione dell’opera che si era andata in lui maturando e quale non ci risulta sia stata mai intesa né rilevata, ma che è dato poter arguire e desumere dai Quaderni di conversazione. Durante un colloquio del maggio 1825, a Baden, il giovane poeta berlinese dopo aver proposto un Enrico V i l i ambientato nell’antica Scozia, con personaggi alla W alter Scott e con un in­ treccio in cui «il comico si fonda nel modo migliore con il tragi­ co» conviene con Beethoven che «tuttavia un soggetto di questo genere non possa essere trattato interamente in forma di recitati­ v o » come esigeva Beethoven. Una rigorosa esclusione delle arie, dei duetti e dei concertati, l ’abolizione di tutte le forme tradizio­ nali dell’opera, sostituite da un recitativo e da un declamato con­ tinuo (che sta già a preannunziare la melodia infinita di Wagner) in funzione dell’azione drammatica e di una musica che non si li­ mita a sorreggerla ma, fattasi linguaggio, la interpreti e potentemente la esprima, stava dunque alla base del nuovo teatro ideato da Beethoven. Un teatro dove l’azione drammatica e la sinfonia strumentale avessero la preminenza sul canto (« Il dramma non consente neppure l ’azione lirica con il canto» è detto in una con­ versazione tra Beethoven e Kanne) “, un ’opera prettamente tede­ sca in cui «i cantanti siano subordinati alla composizione [musi­ cale] e non come in Italia, i compositori ai cantanti» M, ad attuare quella nuova imita tra sinfonia e declamato, che egli si propo­ neva di raggiungere musicando il Faust. Solo particolari soggetti infatti sembravano rispondere a que­ rere di frequente durante quelle lunghe e infruttuose ricerche, e ci richiama ad una sua lettera del 18 gennaio 18ix al conte Palffy, in cui similmente lamenta: «Es ist so schwer, ein gutes Buch zu finden für eine Oper» ( k a s t n e r , p. 195, n. 285). 83 S C H Ü N E M A N N , III, p. 367. 84 Un cantante di Cassel, certo Gerstäcker, in visita a Beethoven nel giugno 1823, dopo aver fatto accenno alle esecuzioni del Fidelio («Auch Fidelio haben wir gegeben») e alla impazienza con cui si attende la sua nuova opera (« Alles sieht mit Sehnsucht der neuen Oper entgegen»), gli dice: «Non fate troppo aspettare - Il pubblico musicale sembra essersi ammalato - Un’opera lo farebbe guarire... specialmente nel nord della Germania si sono organizzati molti buoni teatri - La musica strumentale non stette mai tanto in alto quanto ora ed io credo che essa sia la vera musica. Io credo che la musica dica ciò che nessuna lingua può dire: rinefEabile... nell’opera italiana la cuoca canta co­ me la regina. La musica italiana è sempre insulsa rispetto alla tedesca». Cfr. s c h ü n e m a n n , I II, pp. 330-32.

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sta nuova esigenza espressiva, quelli appunto del teatro greco, l’i­ deale modello cui si rivolgerà poi W agner « Oreste ha un recitativo continuo, - osserva Rellstab, - tutta­ via è facile che l ’orecchio si affatichi»; ma poiché Beethoven in­ siste su questo soggetto egli propone di apportarvi delle modifi­ che: «Sopprimo Cassandra e al suo posto introdurrò alcune sce­ ne che esprimano piuttosto la gioia insolente di Egisto, per dare piu varietà all’opera». Ma il poeta non comprende che Beethoven cercava al contrario di evadere dagli schemi convenzionali per in­ staurare una forma drammatica d ’eccezione in cui, come nella tragedia antica, la catena di stragi e di vendette stesse a rivelare il serrato gioco del destino o, meglio, la fatalità ineluttabile della giustizia umana e divina. Ma «le scene di orrore si accumulano troppo» per Rellstab, che cerca di sviare l’interesse del musicista su altri temi. «Vi sceglierei piu volentieri —dice congedandosi — un soggetto che possa essere rappresentato su altre scene e possa convenire meglio di quello di O reste» “. Il nuovo Odeon, il teatro ideale preconizzato da H erder, in cui poesia musica e azione avrebbero formato un sol tutto, se ap­ parirà trovare la sua attuazione storica nel Wort-ton-drama di Wagner, fu nondimeno intuito e precorso da Beethoven che, me­ diante quella sua concezione dell’opera non viziata dai presup­ posti dell’estetica wagneriana, di una pretesa insufficienza dram­ matica del suono e di una insufficienza lirica della parola, intese adeguarlo ad una piu attuale e matura fase della musica strumen­ tale, reagendo all’intellettualismo illuminista (come già la Came­ rata dei Bardi al formalismo contrappuntistico del Rinascimento) con l ’immediatezza d ’invenzione e con la forza emotiva del suo genio.856 85 « Sino ad oggi non v’è stata che la ellenica intuizione del mondo, che abbia potuto produrre la vera opera d’arte del dramma». Cfr. w a g n e r , Oper und Orama cit., pp. 189 sgg. 86 P R O D ’ H O M M E , pp. 348 S g g .

IV .

La concezione drammatica della musica

Se gli arditi progetti teatrali di Beethoven e le sue geniali in­ tuizioni, che avrebbero rinnovato l ’opera tedesca, non trovarono pratica attuazione e consacrazione scenica, quella nuova conce­ zione drammatica della musica, destinata a cosi gloriosi sviluppi e che è già implicita negli ariosi recitativi della terza redazione del Fidelio, nelle ultime Sonate per pianoforte e nel Finale della Nona, riappare chiaramente riaffermata nei Quaderni di conver­ sazione e piu particolarmente nei colloqui del 1826 con il poeta Christoph Kuffner. Questi, riferendosi al testo che andava elaborando per il pro­ gettato oratorio Saul e David dichiara infatti, quasi a rassicurare Beethoven: «Penso molto a trattare in forma di recitativo le espressioni appassionate, poiché il soggetto è ricco di azione» \ Era infatti, il recitativo, la forma che appariva a Beethoven co­ me la piu adeguata alla piena espansione sinfonica del discorso musicale, fedele interprete della parola, ma trascendente il suo li­ mite concettuale, ispirato alle immagini della poesia e manifesta­ zione insieme dell’anelito più segreto e ineffabile che essa rac­ chiude. Se alcuni anni prima, nella Vittoria della Croce, l’oratorio che Bernard andava allora scrivendo per lui, «la parte lirica doveva essere soprattutto quella dominante», come è precisato nei Qua­ derni12, ora per il Saul è l’azione drammatica che avrà la premi­ nenza; e non il canto, ma il recitativo incorporato nella musica, che, dirà poi Wagner, in sé racchiude anche il perfetto dramma, 1 P R O D ’ H O M M E , p . 395. 2 s c h ü n e m a n n , II, p. 172: «Das Erzählende muss historisch gehalten werden, aber das Lyrische muss grösstentheils die vorherrschende Art seyn».

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sarà chiamato a rivelare questo in tutta la sua profondità ed effi­ cacia. Appare cosi già manifesta e dichiarata la tendenza che W a­ gner teorizzerà poi in Oper und Orama, e che, al fine di «restare in una intelligibile relazione con la vita», appare volta a trarre «dalla prosa della lingua ordinaria l ’espressione sonora rinfor­ zata, mediante la quale l’intento poetico si deve manifestare al sentimento con la massima potenza»34.E sarà appunto Beethoven che con la Missa Solemnis e con il Finale della Nona gli offrirà l’e­ sempio di questa intima fusione, là ove, come nel corale «Seid umschlungen Millionen! » («Abbracciatevi, o milioni di uomi­ ni !» ), la musica appare sviluppata « sul verso delle parole » in per­ fetta unità di intenti poetici, a differenza di quanto, sempre a giu­ dizio di Wagner, avviene per la Freudemelodie, la melodia della gioia, distesa sui versi di Schiller più che originata e determinata da essi \ Ma già nel coro della Fantasia per coro pianoforte e orchestra op. 80 Beethoven aveva celebrato quel mistico connubio tra pa­ rola e suono, suggerendo al poeta, lo stesso Kuffner, il concetto ispiratore dei versi: Wenn der Töne Zauber walten und des Wortes Weihe spricht muss sich Herrliches gestalten. Nacht und Stürme werden Licht. Äussre Ruhe, inn’re Wonne herrschen für den Glücklichen. Doch der Künste Frühlingssonne lässt aus beiden Licht entstehn.

«Quando domina la magia dei suoni e la sacra parola si effonde, allora si compie l’incanto. N otte e tempesta si fanno luce. Pace all’esterno, estasi nell’intimo regnano per i felici. Il sole prima­ verile delle arti fa scaturire luce dalla loro' unione». E scrivendo nel 1812 ai suoi editori Breitkopf e H ärtel ne aveva ribadito il principio, auspicando l ’inverarsi di una cosi be3 Cfr. W a g n e r , Oper un Drama cit., p. 308. 4 Cfr. ibid., p. 339.

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nefica unione («soll man froh sein, wenn man findet dass Musik und W ort nur eins sin d » 5; «ci si deve rallegrare quando Musica e Parola fanno tu tt’uno»); unione che egli persegue con tanta in­ sistenza negli ultimi anni della sua vita per costituirne l ’ideale estremo: quello di una nuova musica che, fecondata dalla parola, fosse atta a identificarsi nel contenuto sentimentale del pensiero fatto presente. La musica infatti (ancorata da Kant al mondo fisico, all’ele­ mento sensibile e come tale incapace per sé di esprimere quelle suggestioni poetiche che il sensibile trascendono), congiungendo­ si alla parola (che i romantici, in contrasto e in opposizione a Kant, ritenevano insufficiente a manifestare integralmente la concezione del poeta), superando i propri limiti, assurgeva al rango di linguaggio poetico, diveniva voce rivelatrice dei presen­ timenti, degli intuiti inespressi, dell’ineffabile, esprimeva piena­ mente ciò che le parole potevano soltanto suggerire. U n’arte «nuova e bella» si schiudeva all’uomo, u n ’arte che aveva il po­ tere di conferire al suono sensibilità umana ed elevava il senti­ mento individuale della poesia a valore universale e assoluto. Se la musica, contrariamente a quanto pretendeva Grillpar­ zer, non può pensare, essa, dirà poi W agner, «può realizzare dei pensieri, cioè manifestare il loro contenuto eccezionale... come un contenuto non più ricordato ma rappresentato»6. La parola, conferendo alla presunta indeterminazione del suono la precisa determinazione della sensazione suscitata dal motivo, avrebbe fatto della musica la voce di un’alta intuizione poetica, l ’espres­ sione piu immediata dell’idea. «Tutto guida al grande scopo, —osserva Kuffner, —le parole sono censurate, fortunatamente i suoni che rappresentano le pa­ role e conferiscono loro forza, sono ancora lib eri» 7. Alla po­ tenza dei suoni doveva essere affidato il compito di rendere ma­ nifesta e sensibile l ’idea ispiratrice, che (ribadisce il poeta Kuff­ ner nel suo colloquio con Beethoven) «deve sussistere nel fondo 5 Cfr. k a s t n e r , p. 377, n. 961. 6 Cfr. W a g n e r , Oper und Drama cit., p. 405. 7 P R O D ’ H O M M E , p. 400.

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di ogni opera d ’a rte » 8. Quella che ispirava il nuovo oratorio Saul e David era, ci informa Holz, «di rappresentare la vittoria delle forze nobili sulle passioni selvagge»901. Ma non ne è ancora ulti­ mata la stesura del testo che già si parla nei Quaderni di un altro oratorio, sempre di Kuffner, ispirato agli Elementi, che non do­ vrà essere, precisa l ’autore, «una pittura musicale, ma una pittu­ ra animata dell’uomo, figlio, schiavo e signore degli Elementi» «Un piano vasto, un soggetto universale, —commenta Holz; - vi si può mostrare tutto ciò che viene dal sentimento» Questo sentimento di universalità ora affascina Beethoven che, dopo la forzata rinuncia all’opera, considera, non diversamente dal suo poeta, l ’oratorio come il summum della musica12. G iunto al termine della sua vita egli tende infatti ad evadere dall’espressione individuale per rifugiarsi in quella corale, dalla dialettica della forma-sonata, alla forma monotematica ed espo­ sitiva della fuga: coralità e stile fugato in cui la patetica confes­ sione dei suoi ultimi quartetti sarebbe stata come riassorbita e risolta. Dalla penetrazione dell’intimo, colto nei suoi contrasti e nel suo divenire, egli si sarebbe elevato, in quelle opere sognate, alla contemplazione dell’umanità posta dinanzi ai suoi destini e della natura dinanzi a Dio, cioè a quella sfera spirituale in cui, come gli dice Holz, «la religiosità, il sublime accompagnano in certo mo­ do il terrestre alla piena espansione del sentimento» senza di cui, afferma Kuffner, non può sorgere la poesia13. Prima di accingersi al lavoro di versificazione il poeta esige, tramite Holz, di ricevere assicurazione ferma e immutabile che Beethoven, senza lasciarsi distrarre da altre idee e da nuovi dub­ bi, avrebbe musicato il suo oratorio. E Beethoven deve aver dato questa certezza se un mese dopo, 8 Ibid., p. 398. 5 Ibid., p. 40X. 10 Ibid., p. 398. 11 Ibid., p. 409. 12 Ibid., p. 396. 13 Ibid., p. 409.

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come apprendiamo dai Quaderni, il rifacimento della prima parte del testo (del Saul o degli Elementi non è precisato) era già pron­ ta. Ma il progetto, di cui non si trova piu menzione, dovette es­ sere da allora abbandonato anche per il sopraggiungere di tragici eventi: il tentato suicidio del nipote e la malattia m ortale14. Con­ tinuarono tuttavia a vivere in lui le suggestioni letterarie e i fan­ tasmi poetici che avevano acceso la sua fantasia e stimolato la sua ispirazione dando abbrivio alle immagini sonore. Sapevamo per testimonianza di Amenda che neW Adagio del Quartetto op. 18 n. 1 egli aveva adombrato la scena della tomba di Giulietta e Romeo, che il contenuto poetico delle Sonate per pianoforte op. 31 n. 2 e op. 57 (Appassionata) era da ricercarsi nella Tempesta di Shakespeare (Schindler), ma ora è Beethoven stesso che nei Quaderni ci rivela l’esistenza di segrete corrispon­ denze tra la sua musica e la poesia. I Quaderni ci permettono in­ fatti di assistere ad uno dei suoi ultimi colloqui con Schindler, in cui questi, avvertendo ormai prossima la fine del maestro (siamo ai primi del febbraio del ’27), approfitta di un apparente miglio­ ramento per avere dall’infermo, troppo debole per opporsi a quel­ la ostinata insistenza, ancora nuove rivelazioni e notizie sull’ope­ ra destinata a gloriosamente sopravvivergli; confidenze da cui egli conta trarre profitto nella biografia che ha già in animo di scrivere e che spera gli consentirà di apparire quale depositario del pensiero del maestro, suo erede spirituale. «State benissimo oggi, - dice Schindler con ostinato e non di­ sinteressato ottimismo (mancano solo poche settimane alla mor­ te), — potremmo dunque poetizzare un poco, per esempio sul Trio in si bem. maggiore [op. 97] ove ci eravamo arrestati la vol­ ta scorsa». Beethoven doveva allora aver accennato all’esistenza di un rapporto fra quest’opera e la struttura ideologica della tra­ gedia greca se Schindler, che ha avuto frattanto il tempo di ag­ giornare la sua cultura sull’argomento, soggiunge: «H o letto nel14 Beethoven oltre alla già ricordata Vittoria della Croce, ebbe anche in progetto di comporre gli oratori Oie Zerstörung Jerusalems [La distruzione di Gerusalemme), su testo di Collin, e Judith. Cfr. b e k k e r , Beethoven cit., pp. 40 e 372.

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la Poetica di Aristotele ciò che egli dice della tragedia. Dice: oc­ corre che gli eroi tragici abbiano al principio una esistenza per­ fettamente felice e brillante. È quanto vediamo anche nell’Egmont. Cosi mentre essi sono perfettamente felici sopraggiunge il destino, che intreccia sopra il loro capo un nodo che essi non ar­ rivano a sciogliere. Coraggio e ostinazione subentrano al penti­ mento, ed essi affrontano e contemplano temerariamente la sor­ te, e la morte stessa... ne convengo maestro, ma questa immagine è il microcosmo, il ritratto della vita; e cosi Pimmagine [che si ha] del vostro trio è, come lo è il trio, desunta dalla vita dell’uo­ m o. Ecco la mia idea» Cade qui la precisazione di Beethoven circa il rapporto esi­ stente tra quella sua musica e la Medea di Euripide. E poiché l ’azione di questa tragedia non sembra essere presente alla me­ moria di Schindler, questi chiede a Beethoven di volersi spiegare meglio, «altrimenti questo [rapporto] resterà oscuro». E dopo aver attentamente ascoltato ciò che Beethoven gli avrà detto, conviene: « Si, il destino di Klärchen [l’eroina dell’Egmont] com­ muove per questa ragione, come la Gretchen nel Faust, perché erano prima felici. Una tragedia che inizi subito tristemente e continui sempre piu triste annoia, è senza effetto. O ra la Medea mi ritorna chiaramente alla mente, ma... sono curiosissimo di co­ noscere ciò che caratterizza le parti del trio». Poi annota, e par di assistere al suo compitare: « Il primo tempo non sogna che feli­ cità e contentezza. Vi è anche della malizia, un sereno scherzare e del capriccio, beethoventano, con [vostro] permesso. Nel secon­ do movimento l ’eroe è al colmo della beatitudine» e qui trascri­ ve sul pentagramma l ’ascendente figurazione melodica del tema. «Nel terzo —prosegue —la felicità si trasforma in emozione, sof­ ferenza e preghiera ecc. Andante lo considero l’ideale piu ele­ vato della santità e del divino». La conclusione di questa esegesi sta tuttavia a dissolvere tutte le precedenti precisazioni programmatiche. «Q ui le parole non significano nulla, sono cattivi servi delle parole divine, che la muPROD’HOMME, p . 4 5 8 .

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sica esprime»; frase in cui riconosciamo l’eco della voce di Bee­ thoven, l’autentico riflesso del suo pensiero. Tali ammissioni sem­ brerebbero tuttavia poter giustificare il tentativo, sempre ricor­ rente, di interpretare criticamente la sua opera quale trasposizio­ ne musicale di determinati programmi letterari e avvalorare di conseguenza le ipotesi, di cui è maggior responsabile nel nostro tempo lo Schering, che ha creduto scoprire la chiave di un pre­ sunto linguaggio segreto beethoveniano in testi poetici, sulla cui orditura verbale la musica avrebbe tessuto una variopinta tela sonora16. Alle sue minute parafrasi fanno tuttora ricorso i compi­ latori dei programmi di concerto per informare il pubblico che, ad esempio, il contenuto poetico del Quartetto in si bem. op. 130 deve essere ricercato nel Sogno di una notte di mezza estate di Shakespeare, che la sua tematica, la sua originalità e novità for­ male sono derivate dalla necessità di conferire a quello schema letterario «la maggior efficienza simbolistica musicale»; che la Grande fuga op. 133 è modellata sul Faust ecc. Ma quando si sappia non solo che questa Fuga non fu concepita per sé stante ma costituiva l ’ultimo tempo del Quartetto op. 130, che ne era e ne è parte integrante, anzi il coronamento formale ed espressivo verso cui tendono e confluiscono i tempi precedenti a rinsaldare, anche mediante alcune affinità tematiche, quella possente e dram­ matica unità organica originaria, allora l’assurdità e l’arbitrio di quella duplice ipotesi risulteranno in tutta la loro evidenza. Né tragga in inganno l’apparente pertinenza, non soltanto metrica, che può talora riscontrarsi tra il testo proposto e la composizione cui è accoppiato, considerando l ’estrema adattabilità, duttilità e polivalenza espressiva della musica; né va inoltre dimenticato che a numerose composizioni strumentali di Beethoven, specialmente di tempo lento, furono già in passato adattate parole, si da renderle atte ad esprimere particolari stati d ’animo ed eventi drammatici, senza che gli Schering di allora, che rispondevano ai nomi di Hübner, di Sicher ecc., presumessero di aver scoperto, 16 Cfr. a . S c h e r i n g , Beethoven in neuer Deutung, Leipzig 1934, e Beethoven und die Dichtung, Berlin 1936.

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per l ’apparente aderenza e pertinenza dei testi da loro arbitraria­ mente adattati alla musica, la chiave del linguaggio segreto di Beethoven e vantassero di rivelarne cosi un nuovo, anzi il vero significato Volendo stare al gioco può sorprendere allora che il Trio in si bem. op. 97 sia posto in stretto rapporto dallo Schering con l’Oberon di W ieland e non con la Medea di Euripide, cui lo stesso Beethoven, come vedemmo, sembra riferirlo; che al Macbeth sia connessa la Sonata op. 57 (Appassionata) quando Beethoven, a Schindler che gli chiedeva dove fosse da ricercarne l’ispirazione, aveva risposto: «Lesen Sie Shakespeares Sturm » («Leggete la Tempesta di Shakespeare»); che con Giulietta e Romeo sia posto in rapporto il Quartetto in m i bem. op. 74 e non il Quartetto op. 18 η. I di cui Beethoven, lo vedemmo, ebbe a confidare ad Amenda di averne composto VAdagio pensando alla scena della tomba di quella tragedia. Il che non è poco presumere. Le ammissioni di Beethoven, se rettamente intese e cioè in ar­ monia col pensiero e col gusto dominante del tempo, ben piu che sulla sua cultura letteraria potranno illuminarci sulla sua poetica. M entre ogni singola arte, nell’anelito di superare la rappre­ sentazione oggettiva, la realtà fenomenica entro cui si sentiva li­ mitata e costretta, tendeva alla condizione di musica, ambiva ele­ varsi alla sua universalità, alla sua pura essenza, la musica a sua volta, col volgersi al pittoresco, al drammatico, al rappresentati­ vo, sembrava cercare un punto di contatto e di unione con la poe-17 17 A molte pagine strumentali di Beethoven vennero adattati testi poetici, a comin­ ciare dalla prima Sonata per pianoforte in fa min. (op. 2 n. i), il cui Allegro diede canto alla poesia di Schiller Sehnsucht, e l’Adagio si trasformò nel Lied Die Klage. Cfr. F . G . w e g e l e r e F . r i e s , Biographische Notizen über L. v. Beethoven, Koblenz 1838. Con­ simili adattamenti subirono l’Adagio della Sonata per pianoforte op. 2 n. 2, il Largo della Sonata per pianoforte op. 7, il Largo della Sonata per pianoforte op. io n. 3, l’An­ dante della 2a Sonata per pianoforte e violino op. 12, l’Adagio della Sonata per piano­ forte op. 13 (Patetica), l’Adagio del Settimino op. 20, i primi tempi delle due Sonate op. 27 (Quasi una fantasia), l’Andante della Quinta Sinfonia, l’Adagio della Sonata op. 81 (Les Adieux) ecc. A Sicher si deve la trascrizione per canto e pianoforte dello Scherzo della 2a Sonata dell’op. 2, l’Adagio della 2a Sonata per pianoforte e violino op. 30, l’A n­ dante della Sonata op. 57 (Appassionata), a Hübner il primo ed il secondo tempo della Sonata op. 90, l’Adagio della Sonata p. 106, ad entrambi l’Allegretto della Settima Sin­ fonia. Cfr. w. d e l e n z , Beethoven et ses trois styles, Paris s. a., pp. 311-92.

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sia e le arti figurative. U n’anima comune, un comune ideale affra­ tellava allora tutte le arti, uno stesso caldo umano sentire, uno stesso slancio spirituale verso il sopramondo coesisteva nel fondo della coscienza dei singoli artisti, là ove sorge e prende avvio, va­ riamente determinandosi poi come colore, parola o suono, l’im­ magine. Ricalata entro questo limbo delle forme ove anch’essa ha tratto il comune alimento, l ’opera di Beethoven rivela entro qua­ li limiti debba intendersi la sua contemporaneità con altre espres­ sioni artistiche, il suo rapporto storico con la stagione dello spi­ rito umano che, pur senza condizionarla, l ’ha maturata. Quando Beethoven ricollega le sue opere a testi letterari, a contenuti psi­ cologici o comunque extramusicali, appare in accordo con il gu­ sto estetico del tempo, in cui il musicista era detto Tondichter, poeta del suono, e le composizioni definite Tongemälde, quadro, pittura sonora. Pur senza condividere l ’ingenua pretesa di offri­ re con tali composizioni l ’equivalente sonoro di sentimenti deter­ minati, di paesaggi, di eventi, Beethoven riafferma la convinzio­ ne sempre piu certa che la musica strumentale, non meno di quel­ la vocale, dovesse parlare all’uomo; che i suoni, non meno delle parole, dovessero significare, fossero voce dello spirito. La musi­ ca, aveva ammonito Schiller, anziché mirare soltanto al senso e lusingare «il gusto dominante che vuole essere solo piacevolmen­ te sollecitato», deve fortemente commuovere, elevare. Il secola­ re connubio con la parola aveva arricchito il suono di un nuovo valore semantico, di determinate e stabilite analogie tra i ritm i e i battiti del cuore, tra la dinamica, l’agogica musicali e i moti del­ la passione, tra gli intervalli, le tonalità e l ’espressione degli af­ fetti. Dal corale, dal Lied, dall’oratorio discende, filtrato da ogni impurità contenutistica, il lirico fervore che feconda l ’arido cam­ po della frivola musica di una società galante, dota di un nuovo linguaggio gli strumenti, conferisce pathos drammatico alla sona­ ta e alla sinfonia. Può apparire contraddittorio che Beethoven, pur non pro­ penso ad applicare alla musica l ’«ut pictura poësis», ad accettare il principio di mutazione, l’estetica del Tongemälde e del pro-

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gramma letterario («piu espressione di sentimento che pittura» è il motto da lui preposto alla Sesta Sinfonia), non solo abbia chia­ mato Patetica la Sonata op. 13, Pastorale la Sinfonia op. 68, Les Adieux la Sonata op. 81, ma che si proponesse di dare un titolo a tutte le sue composizioni, come è dato inferire da un colloquio re­ gistrato nelle pagine dei Quaderni di conversazione. A questa precisa intenzione espressa da Beethoven Schindler infatti ob­ bietta: «Perché un titolo ovunque? questo può nuocere là ove il sentimento e l’immaginazione devono suggerirlo. La musica non può né deve imporre sempre una direzione determinata al senti­ mento». Ma è appunto quando sentimento ed immaginazione vengono meno che la parola può e deve intervenire a stimolare la ricezione auditiva, a richiamare lo spirito su ciò che di significati­ vo racchiude il discorso musicale, mediante u n ’allusione metafo­ rica, u n ’immagine significante che lo suggerisca alla fantasia e ne agevoli la comprensione. E Beethoven stesso ne dà conferma con queste parole a Schindler: « Il tempo in cui io scrissi le mie opere era piu poetico di quello attuale, si che le indicazioni illu­ strative erano superflue. Ognuno allora sentiva che dal Largo del­ la Sonata in re maggiore [op. io n. 3] si sprigionava la descrizio­ ne dello stato d ’animo di un malinconico, con tutte le diverse sfu­ mature di luce e di ombra, dell’immagine della melanconia nelle sue fasi, senza che un titolo ne dovesse fornire la chiave». «Ognuno —prosegue Beethoven —riconosceva allora descrit­ to nelle due Sonate op. 14 il contrasto dei due principi, o un dia­ logo tra due persone, poiché ciò era chiaro come in una luce solare». Stati d ’animo, contrasti, dialoghi; suggestioni e meta­ fore dell’idea suscitata da quelle stesse intime disposizioni spi­ rituali, che nel poeta si convertono in parole e che in lui si era­ no convertite in suoni; sicché a chi lo richiedeva sul significato di questa o quell’opera soleva dire: «Dass sich darauf nur am Kla­ vier antworten lasse», che su ciò si poteva soltanto rispondere al pianoforte; che l’opera cioè trovava il suo vero significato soltan­ to nei puri valori musicali che la costituiscono. Nessun titolo in­ fatti, nessuna suggestione letteraria ci potrà far penetrare nell’intimo della composizione, a coglierne l ’essenza, e anziché offrirci

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la chiave del processo creativo ci riporterà invece alla sua fase iniziale e periferica, alla occasionale emozione d ’avvio. Quei ti­ toli, quei riferimenti letterari infatti non stanno già ad indicare un simbolismo sonoro dietro cui, come hanno presunto lo Sche­ ring e tanti altri esegeti, si celino idee e sentimenti espressi nei testi poetici e drammatici, che avrebbero determinato e condizio­ nato lo sviluppo musicale di una sonata, di un quartetto, di una sinfonia, ma rappresentano al contrario una generica surrogazio­ ne verbale della intuizione musicale, una illustrazione letteraria, talora a posteriori, dell’opera il cui nesso analogico coi suoni non risulta in realtà meno vago e arbitrario di quello esistente tra gli astri e l ’immagine della costellazione che l ’uomo crede o vuole riconoscervi; quando non si tratti di un semplice e illusorio ri­ flesso di un gioco. Una frase dei Quaderni di conversazione, sfuggita all’atten­ zione degli studiosi, sta infatti a rivelare quanto sia precario ap­ poggiarsi, anziché sulla viva testimonianza dell’opera, sulla vuo­ ta narrazione, sulla cronaca esterna che le si accompagna, fosse questa pur costituita da affermazioni dello stesso autore, come quelle di Beethoven riferentesi alla Sonata per pianoforte op. 90. Essa infatti nel primo tempo ci racconterebbe «la passione del conte Maurizio Lichnowsky [cui la sonata è dedicata] per una at­ trice, le difficoltà che contrastarono il suo desiderio di sposarla; nel secondo, la felicità che egli trovò in questa unione». «Kampf zwischen Kopf und Herz — Konversation mit der Geliebten» («Lotta tra testa e cuore —conversazione con l’amata»), come avrebbe appunto precisato Beethoven a Schindler commentando i due tempi della predetta sonata. Si legga ora quanto, a proposito, riferisce nei Quaderni Schindler a Beethoven: «Lichnowsky ha eseguito la Sonata op. 90 con la storia del suo matrimonio. Sua moglie ascoltava e pren­ deva parte al commento. Il vostro scherzo è riuscito alla perfezio­ ne». Il primo a riderne è lo stesso Schindler, che gabellò poi per un valido esempio di poetica uno scherzo e lo addusse a riprova di un presunto simbolismo sonoro cui soggiacerebbe la musica di Beethoven.

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E, forse al fine di facilitarne la comprensione, di vincere l ’o­ stile diffidenza di un gusto ormai sviato, egli, avvalorando con la sua autorità di testimone le leggende, contribuì a creare un equi­ voco che non è ancora dissipato. Se Schindler riduceva l ’ambito dell’arte del suo maestro ed amico nei ristretti limiti della mediocrità propria ed altrui, c’era chi aveva avuto l’intuito della grandezza di quelle pure creazioni, coscienza critica della loro novità formale ed emotiva: primo fra tutti Theodor Hoffmann, l’entusiasta recensore della Quinta Sin­ fonia, dei T ra op. 70, il fervido sostenitore della sua musica stru­ mentale, seguito da Adolf Bernhard Marx, che non solo ne condi­ vise l’entusiasmo ma anche i criteri di giudizio e le idee esteti­ che. Entrambi infatti avevano avvertito che la musica di Beetho­ ven, nonché risolversi in un puro gioco di suoni e di forme, era possente espressione dell’individualità artistica del suo autore, della sua personalità nuova ed originale, della totalità della sua esperienza umana, che dell’opera costituiva, sia pure inconscia­ mente, il contenuto. «Das Neue u. Originelle gebiert sich selbst —sagten Sie uns letzthin - ohne dass man daran denkt » ( « Il nuovo e l ’originale si genera da sé, ci dicevate ultimamente, senza che uno ci pensi») scrive in un Quaderno del febbraio 1823 Schindler, riferendo pa­ role di Beethoven18. Era in virtù di questo valore espressivo che l’opera poteva ri­ velare la sua essenza poetica agli uditori e tendeva a creare quell ’intima unione spirituale tra autore e pubblico cui Beethoven anelava, come testimonia il motto da lui preposto alla partitura della Missa Solemnis·. «Von Herzen —Möge es wieder zu H er­ zen gehn» («Dal cuore —possa di nuovo andare ai cuori»). E se Hoffman aveva rivelato ai contemporanei, mediante le sue acute, penetranti analisi nella «Allgemeine Musikalische Zeitung» di Lipsia, l ’originale struttura organica della Quinta Sinfonia e il genio che vi si esprime, a sua volta Marx, insorgendo contro i malevoli critici che avevano creduto riconoscere nel Finale della SCHÜNEMANN, I I , p . 3 7 9 .

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Nona Sinfonia «piuttosto la volgare ebbrezza del vino che non lo slancio ispirato del poeta», aveva rivendicato nella «Berliner All­ gemeine Musikalische Zeitung», ch’egli dirigeva, la celeste ispi­ razione di quell’opera. In essa, egli affermava, l ’Ode di Schiller aveva acquisito un piu alto valore, era trascesa nell’ineffabile mentre la musica strumentale, mediante il dono delle parole, si era umanizzata, era divenuta linguaggio dell’anima ”. Quei suoi scritti non dovevano certo essere sfuggiti a Beetho­ ven, che fu anche in rapporto con il loro autore tramite Schlesin­ ger, editore di quella rivista. « Il vecchio Schlesinger è arrivato oggi e gli ho parlato. Voi siete lo scopo della sua presenza qui. Si è informato quando egli potrebbe incontrarvi... gli si potrebbe parlare dell’edizione delle vostre opere». A queste parole di Holz fanno seguito, nei Quaderni di conversazione, quelle dell’ospite che gli parla tra l ’altro del suo ammiratore e esegeta berlinese e gli domanda a suo nome un Lied : «M arx chiede un piccolo Lied per il suo giornale» Anche gli scritti di Hoffmann non poterono restargli scono­ sciuti: vi fu comunque chi ebbe a richiamare su di essi la sua attenzione. In un Quaderno del marzo 1820 un visitatore scri­ ve: «Nei Phantasiestücke di Hoffmann si parla spesso di v o i» 21 e se ne parla infatti come di colui che con la sua musica «schiude il regno del prodigioso e dell’incommensurabile», suscita «quel desiderio nostalgico dell’infinito che è l’essenza del romantici­ smo». In opposizione e contrasto a quella esteriore e meccanica ri­ spondenza tra sentimenti e suoni insinuata e pretesa da Schind­ ler, al di là di tutti i programmi letterari, di tutti i pittoreschi 15 Cfr. per i testi citati: J . b o y e r , Le romantisme de Beethoven, Toulouse 1938, pas­ sim, e a . B . M a r x , Beethoven. Sein Leben und Schaffen, Berlin 1839. 20 P R O D 'H O M M E , pp. 424-23. 21 s c h ü n e m a n n , I, p. 314. Il visitatore informa inoltre Beethoven che Hoffmann «era direttore di musica a Bamberg e che era divenuto Regierungs-Rath»; e aggiunge: «si dànno a Berlino opere di sua composizione». Segue la scritta di mano di Beetho­ ven: «Hoffmann-du bist kein Hof-mann»; gioco di parole (Hof-mann = cortigiano) su cui scriverà il canone a due voci: «Hoffmann - sej kein Hofmann - nein, nein - Ich. heisse Hoffmann Und bin kein Hofmann». Cfr. s c h ü n e m a n n , I, pp. 384-86 e tav. h i .

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Tongemalde, delle Aurore, dei Temporali o delle Battaglie alla moda, Hoffmann esalta infatti l ’arte di Beethoven quale epressione di un mondo sovrasensibile, come puro linguaggio dello spirito. Pur avvertendo la presenza dell’ineffabile, egli non lo confonde tuttavia con l ’indeterminato, ma anzi, reagendo alla piu diffusa opinione critica del suo tempo, che lamentava in quel­ le composizioni mancanza di ordine e di equilibrio ed era incline a giudicarle quali improvvisazioni caotiche seppur geniali, ne af­ ferma accanto alla potente originalità la coerenza formale, l ’in­ tima unità di struttura, l ’alto spirito riflessivo, riconosce che Beethoven, non diversamente da Haydn e da Mozart, sapeva be­ nissimo «separare il suo io dall’interiore mondo sonoro e domi­ narvi da padrone assoluto», in virtù della forma. Sensibile a questa autorevole voce di simpatia e di compren­ sione, riconoscendo in quell’entusiasmo il segno di una intima profonda affinità di ideali, Beethoven il 23 marzo 1820, pochi giorni dopo che un visitatore, forse lo Czerny, aveva richiamato la sua attenzione su Hoffmann, scrisse al suo geniale critico una lettera in cui con incantevole semplicità è tra l’altro detto: «Auch über meine W enigkeit haben Sie geschrieben... Sie neh­ men also, wie ich glauben muss, einigen Anteil an mir. Erlauben Sie mir zu sagen, dass dieses von einem mit so ausgezeichneten Eigenschaften begabten Manne Ihresgleichen mir sehr w ohltut» («Anche sulla mia pochezza avete scritto... Avete cosi, almeno io penso, qualche interesse per me. Permettetemi di dirvi che questo, da parte di un uomo altamente dotato quale siete voi, mi ha fatto molto bene»). Semplicità ed umiltà che ben si addi­ cono alla grandezza “. 22 Cfr. k a s tn e r , p. 777, n. 961.

V.

L ’antinomia kantiana e i due principi della forma-sonata

«Das Moralische Gesetz in uns u. der gestirnte Himmel über uns —Kant ! ! ! » 1( « La legge morale in noi, ed il cielo stellato sopra di noi —Kant! ! ! »). Dal Quaderno ove Beethoven l’ha trascritta, sottolineandola e accompagnandola con manifesti segni di ammi­ razione, la frase ci riporta alle ultime mirabili pagine della Criti­ ca della Ragion pratica, in cui si contempla il segreto rapporto tra l ’universo e il mondo della coscienza, e al filosofo da cui il musi­ cista seppe trarre insegnamenti di vita e ispirazione per l ’arte. Non è dato infatti intendere pienamente il genio di Beethoven senza penetrare nel mondo degli ideali da cui trasse stimolo e lu­ ce, senza immergerlo nel tempo eroico in cui egli grandeggia, per averne espresso nella concretezza della sua opera le aspirazioni piu alte. Aderendo con entusiasmo al movimento rinnovatore àeXRAuf­ klärung, il musicista ebbe modo di conoscere sin dalla sua giovi­ nezza i principi fondamentali della morale kantiana, che accolse nel suo animo quali forze vive ed operanti. Profonda attrazione esercitò infatti su di lui quel lucido pensiero che penetrando nel­ l ’irrazionale tentava di estendervi il dominio della ragione, che nelle leggi della natura come nelle esigenze radicate nello spirito umano riconosceva la manifestazione del divino. E come Kant aveva posto le basi della religione sulla morale, elevata dal piano del pratico e dell’utile a quello di una superiore illuminazione, cosi Beethoven, inserendo al centro della morale la musica, la ar­ ricchì, piu di quanto mai non fosse prima avvenuto, di valori ideali, la potenziò di una nuova carica emotiva, le infuse u n ’agoSCHÜNEMANN, I, p . 23O.

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gica ispirata al proteiform e m oto dei sentim enti, per renderla at­ ta ad esprim ere gl’intim i conflitti dell’anima. E ra questo il grande tem a che l ’esperienza della vita propone­ va alla contem plazione d ell’arte. «Zw ei K räfte, welche beide gleich gewiss, gleich einfach und zugleich ursprünglich u n d all­ gemein sind, nämlich die Anziehungs-und Zurückstossungsk ra ft » 2 («N ell’anima come nel m ondo fisico agiscono due forze entram be ugualm ente grandi, ugualm ente semplici, desunte da uno stesso principio generale: la forza di attrazione e quella di repulsione»): cosi Beethoven annota in un suo taccuino la for­ mulazione del principio che K ant nei Fondamenti metafisici della scienza della natura qualifica quale originario im pulso insito nel­ la m ateria, considera nella dinamica delle sue forze com ponenti (l’attrazione appunto e la repulsione), inserisce, quale specifica­ zione fisica di principi metafisici, tra le form e a priori dello spa­ zio e del tem po. Stim olato da u n pensiero che si avventurava cosi ricco di pre­ sentim enti nel m ondo delle apparenze, a scoprirvi i segni rivela­ tori di una finalità ascosa, Beethoven cercò di cogliere, a quella luce, le intim e segrete analogie tra le leggi della musica e quelle che governano l ’animo d ell’uomo. E se la convinzione di u n sia pur fuggevole riflesso del divino nel processo creativo conferiva una piu alta investitura all’arte, ne legittim ava l ’originalità, ne santificava l ’ispirazione, la precisa coscienza di quel fondam en­ tale principio di attrazione e di repulsione, costantem ente ope2 Dal manoscritto Fischoff. Cfr. l e i t z m a n n , II, p. 259. Le parole di Beethoven trovano infatti riscontro nel seguente passo dei Metaphysische Anfangsgründe der Na­ turwissenschaft di Kant: «Anziehungskraft ist diejenige bewegende Kraft, wodurch ei­ ne Materie die Ursache der Annäherung anderer zu ihr sein kann (oder, welches einerlei ist, dadurch sie der Entfernung anderer von ihr widersteht). Zurückstossungskraft ist diejenige, wodurch eine Materie Ursache sein kann, andere von sich zu entfernen (oder, welches einerlei ist, wodurch sie der Annäherung anderer zu ihr widersteht). Die letzte­ re werden wir auch zuweilen treibende, so wie die andere erstere ziehende Kraft nen­ nen». Cfr. I. KANT, Werke, a cura di W. Weischedel, Wiesbaden 1957, pp. 49-50. Oltre che sotto l’aspetto fisico Kant aveva considerato queste due forze di attrazione e di re­ pulsione sotto l’aspetto logico (Nova delucidatio, 1755), metafisico (Tentativo di intro­ durre nella filosofia il concetto delle qualità negative, 1763) e psicologico (Osservazioni sul sentimento del Bello e del Sublime, 1764). Vedi anche E . k a n t , Scritti precritici, a cura di P. Carabellese, nuova edizione riveduta a cura di R. Assunto e R. Hohenemser, Bari 1953.

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rante sia nel mondo fisico che in quello morale, costituì per Bee­ thoven il fulcro attorno a cui egli andò elaborando, a immagine della vita, la sua poetica, l’elemento ispiratore della nuova strut­ tura della forma-sonata. Inserendo in quel tradizionale schema compositivo un più ac­ centuato contrasto tra i due temi, Beethoven instaurò nella mu­ sica, come già Kant nella filosofia, la concezione nuova dei prin­ cipi opposti, che egli stesso ebbe a definire quali widerstrebende Prinzip e bittende Prinzip, principio respingente o di opposizio­ ne e principio implorante, caratterizzato l ’uno quasi costantemente da energia ritmica, da concisione melodica, da una decisa determinazione tonale; rappresentato l ’altro da un tema melodi­ co tonalmente indeterminato e modulante. Principi o temi in per­ petuo conflitto fra loro, come i personaggi di un dramma che sog­ giacciono alle leggi dell’amore e dell’odio. «Un dialogo tra un uomo e una donna o tra un amante e la sua amica» aveva detto Beethoven a Schindler (alludendo alle due Sonate dell’op. 14) per spiegare con una immagine l ’appassionata dinamica di quelle forze opposte che agiscono nella sonata come nella vita. Una lotta tra senso e ragione, kantianamente intesi, l ’uno quale istinto sensibile della materia, negativo; positivo l ’al­ tro quale istinto della forma. E sebbene l ’uno eserciti la propria influenza stimolatrice e limitatrice sull’altro, è quest’ultimo che, come nella vita, anche nella forma-sonata deve infine prevalere, subordinando a sé, ma non annullando, l’elemento opposto e af­ fermandosi vittoriosamente su di lui. Un indissolubile legame av­ volge i due temi che nel divenire musicale trovano la loro supe­ riore conciliazione, quale osserviamo pienamente attuarsi là ove il widerstrebende Prinzip, il principio di opposizione, investe con la sua forza di espansione ed incorpora nel proprio ambito il bittende Prinzip, il principio implorante, conferendo alla musica quella vivente unità che Hegel, continuando la dialettica delle an­ tinomie di Kant, andava in quegli anni, mediante un consimile procedimento, conquistando alla filosofia. L ’analogia apparirà anche più evidente quando si consideri che non nelle singole esposizioni tematiche e negli sviluppi me-

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lodici in se stessi, bensì nel loro vicendevole attrarsi e contrastar­ si risiede la ragione ed il senso della forma-sonata beethoveniana, che tiene ferma in sé la contraddizione facendo in essa consiste­ re la vitalità dell’idea, l ’unità della sua struttura compositiva e formale. E inoltre l’elemento contrastante, determinato dal se­ condo tema, talvolta è già insito nel tema principale, come nella Sonata op. 106, e si manifesta nel corso dell’esposizione del pri­ mo tema \ Talora, come nella Sonata op. 8 1 (Les Adieux), lo stes­ so motivo iniziale (Adagio) contiene la cellula da cui procedono entrambi i due temi della sonata e in cui si identifica l ’idea. L ’idea infatti racchiude virtualmente in sé il divenire melodi­ co armonico e ritmico di tutta la composizione, l’impulso vitale che genera la forma: «scaturita dall’entusiasmo, —disse Beetho­ ven a Bettina Brentano, - la inseguo con passione, la raggiungo e la vedo rifuggire e scomparire nel tumulto delle diverse emozioni. Tosto la riprendo con rinnovato ardore, né posso piu separarmi da lei. Con rapida estasi la dispiego in tutte le modulazioni e in­ fine trionfo sul primo pensiero musicale. Ecco una sinfonia»34, cioè ecco la sonata, la sua. «Vi ricordate, —gli chiede Schindler, —come osai eseguirvi, alcuni anni fa, le Sonate op. 14?... la mano mi duole ancora». E qui verrebbe d ’intendere che il maestro, spazientito, lo avesse energicamente corretto con la ferula. «O ra tutto si spiega per me» soggiunge l ’allievo: e che la spiegazione rivelatrice, che gli permetteva di comprendere la struttura della sonata e conseguen­ temente gli consentiva di poterla rettamente interpretare, consi­ stesse appunto nella opposizione dialettica dei temi a quel modo contrastanti si arguisce dal richiamo alla presenza operante dei principi·. «Principe auch im Mittelsatz der Pathétique —Tausen­ de fassen das n ich t» 5(« I principi anche nella parte centrale [del primo tempo] della Patetica —Migliaia di persone non lo affer­ rano»). 3 Cfr. Sonata op. io 6, Allegro, battute 4-8 e 63 sgg. 4 Cfr. B e t t i n a B r e n t a n o v o n A r n i m , Il carteggio di Goethe con una bimba, trad. it. di G. Necco, Milano-Roma 1932, II, p. 108. 5 Cfr. S C H Ü N E M A N N , III, p. 341.

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Schindler non nasconde la sua soddisfazione per il privilegio concessogli dal maestro di essere reso partecipe di un segreto del­ l ’arte, e si potrebbe ancor oggi lamentare con lui questa incom­ prensione quando si consideri che anche uno dei piu. celebrati esegeti beethoveniani, il Rolland, male interpretando le stesse ammissioni del suo autore, per isolarle e non saperle intendere alla luce di quella realtà spirituale in cui trovano la loro ragione ed il loro storico significato, definisce i zwei Prinzipien «uno di quei giochi un po’ puerili senza pretesa teorica in cui si ricrea ta­ lora la fantasia di un grande artista» 6. In realtà questi principi agivano in lui come impulso sensibile che incatena lo spirito, come istinto della forma che lo spirito esalta, ed è la loro vivente immagine che trova riflesso nello spec­ chio della musica. Una musica che, a differenza di quella lamenta­ ta da Schiller, non mira piu al senso, né «lusinga il gusto domi­ nante che vuole essere solo piacevolmente sollecitato», ma viene ricondotta alla sua piu nobile aspirazione di elevare l ’animo, di commuovere il cuore. Come la poesia per Schiller «deve com­ muovere il cuore perché sgorgata dal cuore», cosi la musica per Beethoven, che riecheggiando quelle parole affermò lo stesso ideale nella frase da lui apposta alla partitura della Missa Solemnis: «Von Herzen —Möge es wieder zu Herzen gehn» («Dal cuore —possa di nuovo andare ai cuori»), e potrebbe essere il motto di tutte le sue opere. Ma alla espressione del sentimento sensibile si accompagna in Beethoven quella della forza soprasen­ sibile che le resiste e le si oppone. E sarà la presenza del dolore, l’intensità della passione a rendere piu gloriosa la vittoria del su6 Cfr. R . R o l l a n d , Beethoven: Les grandes époques créatrices. De l’Héroique à l’Appassionata, Paris 1928, p. 135, n. 1. Il Riezler (Beethoven, Zürich 1931, p. 90) con­ sidera i principi alla stregua del Wechsel der Affekte di Filippo Emanuele Bach e di Neefe. Ma pur non riconoscendo la novità della loro funzione strutturale e dialettica, rispetto a quella dei due temi della sonata di Haydn e di Mozart, egli ammette tutta­ via che Beethoven ha instaurato qualcosa di nuovo con i principi, non per attribuire lo­ ro una determinazione programmatica, bensì «einem neuen rein musikalischen Gestal­ tungswillen folgend», «per obbedire ad una nuova, e puramente musicale, volontà di forma». Gestaltungswillen, che ci appare quale l’analogo del gotischer Formwillen del Worringer, un astratto schema intellettualistico che, pur dando risalto alla organicità formale dell’opera beethoveniana, non è certo adeguato a pienamente intenderla.

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peramento. Da questa lotta contro la sensibilità che ci opprime sorge infatti la forza tragica della rappresentazione, il patetico. Ed è in questo senso, e solo in questo, che Beethoven ha denomi­ nato Patetica la sonata da lui citata come esempio del contrasto tra i due principi, ma che troppi famosi commentatori hanno in­ teso e lasciato intendere come espressione di una effusione senti­ mentale che lo spirito dell’opera contraddice e cui si oppone il significato storico del termine, teorizzato da Schiller7ed accolto da Beethoven: pathos, che per costituire l’impulso vitale della forma-sonata, si ripresenta ogni volta nei termini fondamentali della antinomia, rinnovandosi nella espressione come i temi miti­ ci della tragedia greca, ma serbando una concezione strutturale costante, sino all’ultimo. Come nel Grave della Patetica, cosi nel Maestoso della Sonata op. i n , il dolore incombe come un ostacolo da superare, come un peso da riportare con l ’incessante fatica di Sisifo sulla vetta; una lotta che si rinnova per conseguire una libertà che va senza tregua riconquistata; un dramma sempre risorgente che nel su­ blime trova la sua catarsi. Questa è la sonata di Beethoven. Mentre il pensiero speculativo scopriva con Hegel la logica dialettica, la musica con Beethoven scopriva anch’essa, nella dia­ lettica sonora, la sua nuova anima motrice, quale particolarmente si rivela negli sviluppi, là ove i temi perdono la loro plastica fis­ sità per assumere, mediante alterazioni melodiche, armoniche e ritmiche, i più svariati aspetti e per vivere, si direbbe, in un con­ tinuo incessante divenire. Talora, come nello sviluppo della So­ nata op. 106, le note del tema principale si dilatano, quasi ad esprimere nell’amplificazione spaziale e nella durata temporale la loro accresciuta potenza, mentre con procedimento inverso il se­ condo tema si restringe sempre piu in se stesso, si riduce ad un mutilo frammento, si annulla sino a lasciare libero il campo al suo oppositore, pur senza soccombere. La sua voce riemerge infat­ ti dolce ed espressiva dalla prigione dell’immobilità tonale (svi7 Cfr. F . s c h i l l e r , Philosophische Schriften: Ober das Pathetische, in Sämtliche Werke, XI, Erster Teil, Stuttgart-Berlin 1909.

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luppo melodico) e la riascolteremo precedere, come ostaggio nei trionfi, l ’apparizione finale del tema vincitore. Infatti, come la struttura formale pone chiaramente in evidenza, non vi è sopraf­ fazione ma subordinazione tra i due principi, che con il loro reci­ proco agire esercitano nella sonata di Beethoven una funzione analoga a quella che i due istinti contraddittori di Kant esercita­ no nella vita morale; subordinazione ed azione reciproca che la filosofia del tempo aveva teorizzato e nella quale Fichte ( Grund­ lage der gesamten Wissenschaftslehre) aveva riconosciuto il fon­ damento di tutta la dottrina della coscienza, poiché come la ma­ teria non era piu considerata soltanto quale ostacolo alla forma, cosi l’attività di ciascuno dei due principi o istinti si rivelava fon­ damento e insieme limite dell’attività dell’altro. Subordinazione armoniosa che un poeta filosofo, Federico Schiller, aveva chiama­ to «istinto del gioco» per riassumere in sé le due opposte forze che agiscono insieme e mirano a conciliare il mutamento con l ’i­ dentità, l’essere col divenire. L ’«istinto del gioco», pur esercitan­ do la sua costrizione sulle due opposte forze che agiscono nell’uo­ mo, accordando il sentimento con la ragione, la testa col cuore, pone entrambi in libertà. Ed era in questa concordia discors che consisteva per Schiller e per Beethoven l ’ideale della bellezza. Era da questo superiore equilibrio che scaturiva il bello, tanto piu bello e tanto piu poetico quanto più vero, un bello che per il suo valore di perfezione non si scosta, come per i Greci, dal buo­ no, il bello che Beethoven invoca nell’Opferlied con le parole di Matthisson: «gib mir... o Zeus, das Schöne zu dem G uten» («dammi..., o Giove, il bello unito al buono»); «Ein Gebet für alle Zeiten», la preghiera di ogni tempo, come egli la disse, la co­ stante aspirazione del suo spirito. Se Mozart, non diversamente da Goethe, sembra m ettere in una forma le immagini della sua fantasia e inserirle entro schemi compositivi i quali, pur animandosi al contatto di quella viva ma­ teria, conservano alcunché di precostituito e di astratto (si pensi tra l’altro all’integrale e meccanica riesposizione tematica nella forma-sonata, o all 'aria da capo), Beethoven plasma nella sonata una nuova forma a immagine e somiglianza dell’idea in cui egli

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totalmente si identifica. Quasi a rispecchiare l ’armoniosa struttu­ ra del mondo organico e di quello morale, ogni elemento compo­ sitivo, nel simmetrico alternarsi di movimento e di stasi, di orien­ tamento tonale e modulatorio verso l’ombra e verso la luce, appa­ re regolato dalla piu cosciente attività dello spirito, obbedisce, si direbbe, ad un ordine superiore. Ma non è nella perfezione in­ trinseca della sua struttura che risiede il suo fine, bensì nell’idea stessa della finalità, intesa come idea di un accordo intenzionale e spontaneo tra due principi drammaticamente opposti di un tutto e in un tutto armonici. Ma, come la vita che vi si rispecchia, que­ sto processo formale non si lascia ridurre a schema compositivo, non consente la deduzione di una regola che lo renda ripetibile. Era quanto avrebbe voluto il suo famulus Schindler, sempre an­ sioso di carpire al suo maestro la formula magica che permettes­ se a lui, povero apprenti sorcier, come già al famulus di Faust, Wagner, cui tanto assomiglia, «di tentare per via d ’intelletto ciò che si celebra per alto mistero». Interrogato dall’allievo, Beethoven aveva esplicitamente di­ chiarato (come si legge in un Quaderno di conversazione del ’24, che registra il colloquio): «Quando le idee sono giuste, l ’elabo­ razione non ha alcuna im portanza»“, ribadendo cosi l’identità fondamentale tra intuizione ed espressione, a significare che nel­ l ’idea è virtualmente racchiuso il suo divenire, come nell’embrio­ ne la vita, nell’uomo che nasce il suo destino. «Ma l ’idea non crea l’elaborazione» obietta Schindler deluso, come chi, non possedendo realmente l ’idea, trova insuperabile difficoltà a tradurla in atto, ad esprimerla; ed insiste con la con­ sueta ostinazione, quasi volesse vincere la riluttanza del maestro a confidarsi. «Vi ricordate di quei due temi che io vi diedi per improvvisa­ re due anni fa a Mödling? Erano due soggetti». Se il miracolo creativo si era compiuto indipendentemente dalla bontà delle idee, doveva essere, pensava Schindler, in virtù di un procedi­ mento tecnico e come tale apprendibile. Ma quelle idee, che non PR O D ’H O M M E ,

p. 314.

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stentiamo a credere non buone, ridiventavano per Beethoven ma­ teria di una nuova intuizione e, sebbene per loro stesse insignifi­ canti, potevano suscitare una musica altamente significativa, co­ me già era avvenuto col mediocre tema proposto da Diabelli, che diede origine al capolavoro delle 33 Variazioni op. 120. «E la vostra lezione sul procedimento dei ritmi? - insiste Schindler. —Aristotele si chiede: perché quando sono molti a cantare, conservano il ritmo meglio di pochi? 91 Greci definiva­ no il ritmo un rapporto reciproco delle parti di un tutto; che il tutto sia nel tempo, nello spazio, in ambedue insieme. Il ritmo è incontestabilmente l ’elemento piu necessario alla intelligenza della musica». Ma dalle citazioni erudite con cui Schindler crede elevarsi agli occhi di Beethoven, da questi concetti generici ed astratti si passa ben presto ad una concreta fenomenologia del rit­ mo, riportato al palpito vitale da cui scaturisce. Beethoven gli de­ ve aver fatto rilevare che il ritmo, ridotto alla sua espressione es­ senziale, è già contenuto nel motivo, costituisce la carica vitale della cellula tematica, da cui procede ogni ulteriore sviluppo in modo naturale e spontaneo come in vivente organismo. Era in­ fatti nella realtà fenomenica e non in una regola astratta che egli ne riconosceva il principio primo. «Si può cogliere il ritmo nel battito del polso... nel volo degli uccelli, ecc. Arsi e tesi. Molti uccelli cominciano il loro volo in arsi». Schindler assicura di averlo anch’egli osservato, ma resta stupito quando Beethoven accenna al volo dell’aquila. «L ’aqui­ la? » interroga ignaro. Egli conosce il pesante volo dell’«uccello acquatico» sugli stagni, ma non ha dimestichezza con le aquile; nessuna ha mai solcato il suo cielo. E avrà ascoltato, senza com­ prendere, il maestro restando estraneo al moto del pensiero e della fantasia di quel genio per il quale il ritmo della musica, do­ minando l’impulso dell’intima concitazione, si slancia nel tempo come l’aquila si libra a volo nello spazio. Il ritmo beethoveniano, infatti, non è uno schema astratto entro cui, come in alveo preco9 Si confrontino i nn. 22 e 45 dei Vroblemata physica di Aristotele da cui Schindler ha tratto la citazione. Il testo greco è pubblicato anche in Ar i s t o t e l e , Problemi musi­ cali, a cura di G. Manughi, Firenze 1957, pp. 46 e 76.



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stituito, si im m etta e scorra con costante meccanica regolarità la m ateria sonora, ma al contrario è il respiro stesso della musica, il palpito del suo cuore, è l ’impulso generatore dei disegni m elodi­ ci, l ’elem ento unificatore che accompagna il loro divenire. « I ritm i prolungati nelle vostre opere non sono dunque calco­ lati, ma nella natura della m elodia e sovente dell’arm onia» rias­ sume Schindler e pensa forse all’Allegretto della Settima Sinfo­ nia su cui, come testim oniano i Q uaderni, egli ripetutam ente si intrattiene sino a spazientire Beethoven per la sua insistenza N e consegue che questa agogica interna, insita anzi im plicita nel­ la stru ttu ra degli Allegri della forma-sonata, richieda u n tem po di esecuzione quanto mai vigilato. Cade qui un rilievo di Beethoven rim asto sconosciuto e ina­ scoltato, ma di fondam entale im portanza quando si sappia inten­ dere a quale profonda esigenza espressiva esso risponda: rilievo che dovrebbe essere m editato ed accolto da tu tti i suoi interpreti. D urante le prove della Nona Sinfonia, come apprendiam o dai Q uaderni, non solo egli volle « tu tti gli Allegri più lenti di quan­ to si era soliti eseguirli», ma estese questa esigenza, m otivandone la ragione, a tu tta la sua musica. «U m lauf e Schuppanzigh —gli riferisce Schindler - si meravigliavano m olto ieri, che voi evitiate in m odo cosi sorprendente i tem pi rapidi nelle vostre opere a pa­ ragone di quelle degli anni passati; per voi ora tu tto è troppo ra­ pido. Vi avrei abbracciato ieri, al rapporto, quando avete dato le ragioni p er le quali voi sentite oggi le vostre opere diversam ente di quindici o venti anni fa. V i confesso sinceram ente che gli anni 10 10 Cfr. s c h ü n e m a n n , III, pp. 340-41: Schindler: «Che cosa scegliamo oggi? Io preferirei la Sinfonia in la magg., specialmente a causa del 2° tempo [Allegretto] dove non mi sono ancora chiare le vostre intenzioni. - Abbiate pazienza con me, ottimo! Ul­ timamente siete stato troppo affrettato, non ho potuto afferrare tutto cosi presto. - Cosi Andante J = 80, non di più. - Quasi Allegretto - 72 = J va meglio». Poche settimane dopo Schindler lo interroga sull’interpretazione ritmica del Larghetto della Sinfonia in re magg.·. «Vorrei una volta ascoltare eseguire il Larghetto della Seconda Sinfonia se­ condo le vostre intenzioni. Soltanto è molto difficile. - Io mi annoto ora ugualmente tut­ to. - Con la vostra orchestra non è consigliabile fare tentativi. - Ma là le diverse altera­ zioni dei tempi si possono indicare con precisione senza valersi di altri segni di esecu­ zione che non siano quelli conosciuti. - Gli altri movimenti della sinfonia restano allo­ ra strettamente in tempo? ». Cfr. s c h ü n e m a n n , III, p. 388.

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scorsi non comprendevo bene questo o quel tempo poiché inter­ pretavo altrimenti ciò che chiamerò il significato di questa musi­ ca. Alle prove della Josephstadt era già evidente e sorprendente per molti, che voi voleste tu tti gli Allegri piu lenti di quanto li volevate prima. Ne ho ben compresa la ragione. Differenza im­ mensa! Tutto ciò che nelle parti intermedie risalta, e che un tem­ po non si poteva quasi intendere, era spesso confuso» Non era soltanto in funzione di una maggiore chiarezza di ese­ cuzione che Beethoven esigeva un trattenuto nei tempi allegri, bensì per conseguire una piu intensa espressione drammatica; un rallentare del discorso musicale non solo per porne in evidenza la struttura polifonica, ma per rivelarne la tensione segreta. Co­ me le passioni non si annullano col dominarle ma assumono più ampio respiro, cosi nell’ardore di un Allegro saldamente soste­ nuto e frenato trova espressione Tintimo pathos della sua musica, come nell’antinomia di dolore e di gioia la vita. ... in Eile zögernd, mit des Adlers Lust, die geschwungnere Bahn zu wandeln.

(«... rattenere la fuga e con la gioia dell’aquila librarsi in ben lan­ ciato corso»)112. In quel volo che si libra nel vuoto, Hölderlin e il suo coetaneo Beethoven avevano entrambi scorto l’immagine di quell’armoni­ co conciliarsi dei due momenti opposti, dell’azione e della con­ templazione, della vita e dell’arte, il ritmo ideale della poesia e della musica. Questa agogica appassionata Beethoven avrebbe voluto me­ glio precisarla nelle didascalie delle partiture valendosi di fre­ quenti indicazioni di tempo rubato, come ci rivela un altro passo dei Quaderni, di cui non è mai stata rilevata l ’im portanza13. Tem11 PROD’HOMME, p. 325. 12 Cfr. H ö l d e r l i n , Stimme des Volks, in Poesie, trad. it. di G. Vigolo, Torino 1938, ρρ. 188-89. 13 Cfr. s c h ü n e m a n n , I II, ρ. 341 : Schindler: « Il i° clarinetto piu agitato nella frase in re maggiore? - Nell’edizione completa delle vostre opere bisogna indicare tutto que­ sto, poiché nessuno ve lo cerca... Troppe indicazioni di tempo rubato, credo, ingenere­ ranno una confusione ».

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Beethoven nei suoi quaderni di conversazione

po rubato che non sarebbe da intendersi qui in senso romantico, come languida e sognante esitazione, bensì come libero movi­ mento in immediata rispondenza con i moti della fantasia, che as­ sicuri, pur entro il rigore della battuta, la varietà e la parlante spontaneità del fraseggio. Beethoven, dopo aver indicato, nel manoscritto del Lied Nord oder Süd, il tempo metronomico, av­ verte: « io o nach Mälzel, doch kann dies nur von den ersten Takten gelten, denn die Empfindung hat auch ihren Takt, dieses ist aber doch nicht ganz in diesem Grade (io o nämlich) auszu­ drücken» (« io o secondo [il metronomo di] Mälzel, tuttavia può valere soltanto per le prime battute, poiché anche il sentimento ha la sua battuta e questa non è del tutto espressa da questo tem­ po, cioè io o » ) 14. La sua musica racchiude infatti entro la salda e misurata struttura della forma l ’impeto, il calore e la vita di una ispirata improvvisazione, e questa vita esige dall’interprete che deve avvicinarsi ad essa senza il pregiudizio di un astratto classi­ cismo, per intenderne con cuore aperto lo spirito verace. Improv­ visazione ispirata e lenta, meditata elaborazione costituiscono i poli estremi di un processo creativo in cui intuizione ed espres­ sione partecipano alla stessa lotta che combatte lo spirito per vin­ cere la materia e in cui le forze opposte e contrastanti si compon­ gono entro la stessa necessaria unità, unità che in Kant si configu­ ra come sintesi a priori, in Hegel come dialettica, come sonata in Beethoven. E mentre sulla scorta di quelle improvvise illuminazioni del­ l ’idea (di cui è frequente traccia nei Quaderni), possiamo intra­ vedere i suoi rapimenti, il lungo travaglio che in lui si accompa­ gna alPispirazione, ci consente di poterlo seguire tra i meandri dell’oscuro mondo della materia sonora, in quella discesa al mi­ sterioso Regno delle Madri, ove, come Faust, s’immerge per po­ ter dare concretezza alle pure immagini della forma, esistenza al­ la pura essenza dell’idea. 14 Cfr. Th a y e r , L. van Beethovens Leben e it., IV, 1907, p. 6 6 . Vedi inoltre H. b e c k , Bemerkungen zu Beethovens Tempi, in Beethoven-Jahrbuch, 1955-56, Bonn 1956, p. 24.

La genesi dell’idea e la Missa Solemnis

Beethoven, in un appunto affidato a una pagina dei Quaderni, affermando la piena indipendenza dell’arte da ogni asservimento al gusto imperante e alla moda, rivendicando all’artista l’espres­ sione diretta del suo intimo spontaneo sentire, identificando l’es­ senza dell’arte nell’Idea che racchiude l ’impulso creativo gene­ rante la forma, ci rivela i tratti fondamentali della sua estetica. «Die W elt ist ein König, u. sie will geschmeichelt sejn, Soll sie sich günstig zeigen —Doch wahre Kunst ist eigensinnig, lässt sich nicht in Schmeichelnde Formen zwängen — Berühmte Künstler sind befangen Stets, drum ihre ersten werke auch die Besten: Obschon aus dunklem Schoosse sie ensprossen. —Man sagt, die Kunst sej lang, kurz das Leben —Lang’ ist das Leben nur, kurz die Kunst; Soll uns ihr Hauch zu den G öttern heben —So ist er eines Augenblickes G unst » 1( « Il mondo è un re e vuo­ le essere adulato per accordare i suoi favori, —ma l ’arte vera è or­ gogliosa e non si lascia influenzare da forme adulatrici. —Artisti celebri vi si lasciano adescare e per questo le loro prime opere so­ no le migliori, sebbene sorgano da un petto oscuro. —Si dice che l ’arte è lunga, la vita breve. —Ma lunga è la vita e breve l’arte; se il suo soffio ci eleva sino agli dei, non è che per un istante»): l ’i­ stante in cui l ’idea prorompe dall’anima e la rischiara della sua luce. Se la musica è posta sotto l’alto contrassegno del senso mo­ rale e se, come già aveva detto a Bettina Brentano, tutto ciò che si raggiunge con essa viene da Dio, l ’ispirazione «che prefigge al­ le facoltà umane la meta» è simile ad un mistico raptus, fugace come lampo nella notte, tra le cui ombre si dovrà poi penosamenSC H Ü N EM A N N ,

I, p . 322;

e c fr. la ta v o la v .

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Beethoven nei suoi quaderni di conversazione

te cercare la fulgida immagine intravista, trovare il segno ade­ guato che rappresenti e renda sensibile quella realtà spirituale misticamente rivelata, ne preservi l’originaria purezza mediante la forma. Anche per Beethoven resta misterioso ed oscuro il tra­ passo tra l ’intima emozione che lo rapisce e la sua formulazione sonora, tra la beatitudine della ispirazione improvvisa e il lento, faticoso processo creativo. Egli stesso si dichiara inconscio della novità e della originalità del messaggio, dono del cielo, che egli ha captato. «Das Neue u. Originelle gebiert sich selbst... ohne dass man daran d en k t» 2 (« Il nuovo e l ’originale si manifesta da sé [al compositore] senza che ci si pensi») aveva detto a Schindler: una acquisizione ed una percezione che non dipendono né dalla vo­ lontà né dall’intelletto dell’artista, ma soltanto dalla sua recetti­ vità spirituale, che obbediscono ad un misterioso impulso inte­ riore. Ed è appunto in questa obbedienza ad una ispirazione non suscitata da sentimenti privati o fortuita ma «movente da un principio trascendente», oggettiva e assoluta, da ricondurre a quella dei trovatori stilnovisti, che egli ripone l ’essenza della sua poetica. Quando infatti dichiara a Karl Czerny «Was ich auf dem Herzen habe, muss heraus und darum schreibe ich » 3 («Ciò che mi viene [dettato] dal cuore devo esprimerlo e per questo io scri­ vo») sembra tradurre le parole con cui Dante si enuncia a Bonagiunta come nuovo poeta: « I ’ mi son un che, quando | Amor mi spira, noto, e a quel modo | ch’e ’ ditta dentro, vo significando» {Purgatorio, XXIV, 52-54). 1 Q uaderni di conversazione, non meno di certi suoi taccuini di schizzi musicali, serbano la visibile traccia, l ’ustione, si direb­ be, deH’im p ro w iso balenare d ell’idea; ci perm ettono di assistere al m om ento sacro in cui Beethoven, colto dall’ispirazione, trac­ cia sulla carta il segno che l ’esprime: uno spunto tem atico talora apparentem ente generico, quasi indistinto barlum e dell’idea di 2 Ibid., II, p. 379. 3 Cfr. L E i T Z M A N N , I, p. 33, e Poeti del Duecento a cura di G. Contini, MilanoNapoli i960, II, p. 443.

La genesi dell’idea e la M issa S o lem n is

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cui egli solo intende il senso che racchiude, conosce la forza della carica emotiva che potenzierà la sua futura espansione ed il suo naturale sviluppo. Si è come iniziati al mistero della creazione, resi partecipi del tormento del compositore, che cerca di formu­ lare con quel raggruppamento di note, in quel rapporto di toni e di intervalli, in quel disegno ritmico, ciò che già vive e si agita confusamente in lui. « Il vostro taccuino è un artistico scrigno da cui non si può rubare» osserva, alludendo a quegli indecifrabili, schizzi, uno della numerosa compagnia che lo attornia al risto­ rante, presso il Josephstädter Theater, una sera del novembre 1822, dopo la rappresentazione del Fidelio, ripreso in quei giorni a Vienna con grande successo \ Fanno parte del gruppo musicisti, cantanti, attori e dilettanti che si stringono attorno a Beethoven, seduto come al solito vicino all’orologio meccanico che sta ora suonando l'Ouverture della Medea di Cherubini e lo intratten­ gono sugli avvenimenti della vita teatrale. Ma questi, astraen­ dosi dai loro futili discorsi, sembra solo intento ad ascoltare la voce che ditta dentro, a cercare di significarla. La sordità lo di­ fende dal chiasso, ma non dalla petulanza dei commensali. «Vi smarrirete presto» gli dice uno di questi; e v ’è chi, spazientito, lo ammonisce: «Voi dovreste smettere di scrivere note, altrimenti il vino diverrà aceto». Beethoven sembra infine cedere a quelle insistenze, la conversazione riprende animata tra i brindisi e i laz­ zi; le pagine si vanno rapidamente riempiendo di parole: ma l’i­ dea è là prigioniera, come impigliata tra le righe del pentagram­ ma, palpitante della vita che in lei è racchiusa. La maggior parte degli spunti tematici contenuti nelle pagine dei Quaderni di conversazione trova riferimento e riscontro nel­ la Missa Solemnis, che andava allora componendo, e ne costitui­ sce la prima fase del processo creativo \ Già nelle tre note (si-la-45 4 S C H Ö N E M A N N , II, pp. 294 S g g . 5 Oltre a spunti tematici relativi alla M issa S o le m n is le pagine dei Quaderni di con­ versazione contengono numerosi abbozzi musicali, tra cui chiaramente riconoscibile uno per l’inizio della S o n a ta p e r p ia n o fo rte in m i m agg. op. 109 ( s c h ü n e m a n n , III, p. 44) e il primo tema nella sua forma già quasi definitiva, del Q u a r te tto in d o d iesis m in o re op. 131 (p r o d ’ h o m m e , p. 373). Con minore certezza può essere riferito alla C a nzona del Q u a r te tto in la m in o re op. 132 uno schizzo in s c h ü n e m a n n , II, ρ. Ï02. L’abbozzo di

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sol) che si scorgono tracciate sulla copertina interna del primo dei Quaderni (marzo 1818) è forse da riconoscere una apparizione delYUrmotiv, della cellula originaria, che precede l ’idea e che in quel semplice rapporto di intervalli discendenti, in quella curva melodica è già individuazione formale di quel prosternarsi «con devozione» (mit Andacht, come è indicato nella partitura), rive­ lato dalla parola, espresso dalla musica, e che è l ’intimo impulso al cui imperativo tutta la Missa sembra obbedire. In un Quaderno del marzo 1819 egli aveva infatti annotato: «Preludiren des Kyrie vom Organisten stark u. abnehmend bis vor dem Kyrie piano»6(«Preludiare del Kyrie [da eseguirsi] da parte dell’organista forte e decrescendo sino al Kyrie piano»). Prima ancora che quell ’abnehmend trovi espressione nella tema­ tica del Kyrie, esso è già reso manifesto, quasi prefigurato, in quella dinamica sonora che mediante l ’improvviso cedere del suono dal forte o fortissimo al piano, prescritto nell’ambito di una polifonia a cinque voci (ibid,.. I li, p. 64) può essere uno studio per una delle due (o tre) nuove Messe che Beethoven si proponeva allora di scrivere, come egli attesta anche negli appunti per la lettera che invierà il io marzo 1823 a Peter Simrock: «Ich schreib[e] noch 2 änderte]. An Simrock - ich habe derweil bald eine andere Messe vollendet u. das ist die Ursache, warum sie noch warten müssen, ich bin noch nicht entschieden, welche Sie wollen, ich bitte Sie daher auch zu schreiben, dass sie selbe auf jeden Fall nehmen für - 3 Messen werden geschrieb[en]... Es wei[ss] nicht m [ehr] H. van Auwen, wie ich ihnen diese Messe schiken kann - Sobald die 2-te fertig melde ich ihnen es, u. so erhalten sie selbe, sie verliehren nich[t]s dabei, im gegentheil gewinnen sie noch Die Ursache warum ich so lange zurückhielt, war nicht [dass] ich nicht wusste welche Me[sse] ich ihnen geben sollte - diese ist für den Kaiser Bestimmt» (ib id ., p. 49). Vedi inoltre il testo definitivo della lettera inviata a Simrock ( k a s t n e r , p. 649, n. 1083) in cui, riprendendo il primo abbozzo, giustifica il ritardo nell’inviargli la partitura della messa adducendo l’imbarazzo della scelta tra le d u e che ha composto: « Sie erhalten von mir ganz sicher eine Messe. Ich habe aber noch eine Messe geschrieben und bin noch zweifelhaft welche ich Ihnen geben soll. Dies der jetzige Aufenthalt». Nell’appunto so­ pracitato dei Quaderni egli aveva rinunciato a questa scusa sia pur menzionandola (« La ragione per cui io ho cosi a lungo indugiato non era perché io non sapessi quale Messa avrei dovuto darle» ecc.). La vera causa dell’indugio era infatti che la nuova messa non era stata scritta. Ritorna nella lettera l’accenno alla terza M essa che egli si proponeva di comporre, dietro invito del conte Moritz Dietrichstein, per l’Imperatore («ich schreibe nächstens noch eine Messe für unseren Kaiser»). Cfr. t h a y e r , L . va n B e e th o v e n s L e b e n cit., IV, pp. 393 sgg.; V, pp. 204, 246, 339. Altri schizzi musicali, taluni di incerta lettu­ ra, si trovano nelle seguenti pagine dei Quaderni: s c h ü n e m a n n , I, p. 311 (probabile abbozzo per un C a n o n e ), II, pp. 112, 270, 274, 294; III, p. 128 (forse una idea per la Bach O u v e r tu re ).

6 S C H Ü N E M A N N , I, p. 33.

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una stessa battuta, conferirà alle reiterate invocazioni liturgiche un palpito ansimante, un doloroso accento umano \ In una pagina di un Quaderno del dicembre di quello stesso an n o *78vediamo Beethoven annotare l ’idea, colta nei suoi elemen­ ti armonici e timbrici essenziali, della modulazione da fa maggio­ re a re bemolle maggiore che nella Missa introduce il «Miserere nobis» del Gloria (battute 272-75) e che mediante quell’improv­ viso incupirsi del tono, quel patetico cedimento, determina una nuova piu intensa espressione emotiva. Oboe

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trova riscontro quasi senza varianti nella Missa, a costituire il fluente e saldo basso affidato ai violoncelli e ai contrabbassi nel 7 II tema (fa diesis - si - la - sol) su cui è costruito il Kyrie, riappare nel Sanctus e nel Dona nobis pacem finale, come il motivo fondamentale di tutta la composizione. Lo schizzo di un Eleison nel sopracitato Quaderno del 1818 ( s c h ü n e m a n n , I, p. 27) non trova invece riscontro nella Missa Solemnis; è forse una esercitazione nel modo dorico, di cui segue, da lui trascritta, la scala. 8 S C H Ü N E M A N N , I, p. I36. 5 Ibid., p. 221.

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finale del Gloria (battute 507-12), mentre numerosi altri fram­ menti tematici ci riportano alla genesi del Credo che, contraria­ mente a quanto ebbe ad asserire Schindler, non potè essere com­ piuto nell’ottobre del 1819 se ancora nel dicembre di quell’anno e nel marzo dell’anno seguente le pagine dei Quaderni di conver­ sazione registrano schizzi tematici che si riferiscono ancora alla fase aurorale della sua composizione101. In un primo tempo Beethoven aveva ideato, come apprendia­ mo dai Quaderni, di far precedere l’attacco delle voci del coro, nel Credo, da una breve e solenne introduzione strumentale, e ne accompagna l ’abbozzo musicale, poi abbandonato, con una indi­ cazione timbrica che ne determina il carattere: «ganzes Orchester erst bei patrem omnipotentem d.h. Pauke u. Trompete trombon e n » “ («tutta l ’orchestra soltanto sino al "Pattem omnipoten­ tem ”, cioè timpani, trombe e tromboni»).

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istituisce qui tra l ’affermazione di voler credere e quel tema la­ pidario e deciso appare manifesto anche nel «Descendit de coelis » 12per il diretto rispecchiarsi dell’immagine nel disegno melo­ dico, in quell’ampio intervallo discendente, che subito risale e spazia altissimo sulle parole de coelisI3.

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tyj-j f-r-p-p12 Ibid., p. 379. 13 Cfr. le battute 98-100 e 111-17 della partitura del Credo. 14 Cfr. le battute 106-7 della partitura del Credo. 15 s c h Ün e m a n n , I, p. 379. Nella edizione critica qui citata il diesis tra parentesi è una arbitraria alterazione del testo, dovuta allo SchÜnemann per aver egli erroneamente attribuito al «E t homo factus est» questo spunto melodico, che trova invece riscontro nel «De spiritu sancto». Cfr. nella partitura la parte del contralto alle battute 134-33.

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e spicca con il dovuto rilievo il fa diesis del « E t homo factus est».

che determinerà il prodigioso passaggio dal vago ambito sonoro della scala modale, alla chiara e decisa affermazione della tonalità di re maggiore; modulazione in cui Beethoven ha individuato simbolicamente ed inteso esprimere l’ineffabile mistero dell’in­ corporeo che assume forma sensibile. Ma di quel mistero teologi­ co questa modulazione non intende certo essere la parafrasi mu­ sicale, e la sua suggestione e il suo fascino non appaiono determi­ nati da quell’alto concetto. Il dogma di fede, non diversamente da altri passi teologici del testo liturgico che suscitavano in lui profonda emozione, fu inteso da Beethoven nel suo valore uma­ no di supremo atto di amore, gli si accese e si costituì come mate­ ria della sua arte, gli ispirò il mirabile contrasto di quel rapporto sonoro. Questa idea musicale, sciolto ogni legame con la sostan­ za conoscitiva che l ’ha nutrita, divenuta efficace elemento della sua poetica, riapparirà, evocata dal richiamo emotivo di un senti­ mento affine, nel Molto adagio del Quartetto in la min. op. 132, ad esprimere un altro miracolo, quello del rifluire della forza vita­ le («Neue Kraft fühlend») nel corpo esangue dell’ammalato gua­ rito, come è precisato nel titolo: «Canzona di ringraziamento of­ ferta alla divinità da un guarito, in modo lidico». In rispondenza di uno stesso intento espressivo viene anche qui contrapposto al vago ed arcaico materiale sonoro (il cosiddetto modo lidico della didascalia) la tonalità maggiore (re maggiore come nel « E t homo factus est» della Missa), la cui luminosa apparizione è in modo analogo armonicamente preparata e salutata dal trillo festoso del primo violino nel Quartetto, del flauto nella Missa. Un solo accordo sta a caratterizzare l ’episodio drammatico del «Crucifixus»,

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l ’accordo di settima diminuita, che un secolo di abuso e di com­ mercio con la cattiva musica ha logorato ed esaurito, ma che al­ lora racchiudeva ancora intatta la sua originaria, possente carica emotiva, dischiudeva intense ed efficaci possibilità espressive. L ’artificiosità stessa della struttura di questo accordo, risultante dalla sovrapposizione di due terze minori e, di conseguenza, pri­ vo della quinta giusta, la sua ambiguità armonica (che favorisce l ’equivoco nella qualifica delle note componenti) lo rendono atto tanto al lamento elegiaco, quanto alla tensione drammatica. L ’e­ spressione dolente di quegli accenti, il colore fosco della tragica scena evocata, tutto era già virtualmente contenuto, per Beetho­ ven, in quell’aggregato sonoro in cui ha identificato la propria emozione; tutto gli appariva implicito in quella duttile ed arden­ te materia sonora cui affida e delega l ’istanza espressiva del testo. Un solo accordo, ma che Se storicizzato, se ricondotto cioè all’e­ poca romantica, che fu la stagione del suo fiorire, ritroverà il va­ lore di simbolo già allora assunto, per la misteriosa corrisponden­ za esistente tra la sua natura ibrida e ambigua, tra il suo carattere incerto e sfuggente, e l’irrefrenabile oscuro anelito di quel tempo verso l ’irrazionale, l ’indeterminato, l ’indefinitoI6. L ’abbozzo di una serrata concatenazione armonica di accordi, di cui esiste nei Quaderni una precedente versione17,

16 A Goethe che aveva dichiarato a Schlösser: «Non mi seccate con la vostra set­ tima [minore], se non siete in grado di ricongiungerla in catena ed ordine, se essa non ri­ suona nelle ben concluse leggi dell’armonia e non ha la sua sensibile e naturale origine, né piu né meno delle altre note», replica Bettina Brentano facendosi portavoce delle idee del tempo (ma anche esagerandole): «La settima è la guida divina, la mediatrice tra la natura sensibile e quella celeste... mediante la settima l’irrigidito mondo dei suoni viene liberato e diviene musica, spirito in perpetuo moto », e tralasciamo il confronto istituito tra la settima che « s’è fatta suono per dare lo spirito ai suoni » e la Redenzione. Cfr. B . B r e n t a n o , I I carteggio d i G o e th e con un a b im b a , trad. it. di G. Necco, MilanoRoma 1932, 1, ρ. 2ΐI. Bettina la sapeva lunga sulla settima e sul suo relativo accordo, che ebbe a spiegare anche al fratello Clemens Brentano (in F rü h lin g skra n z): ma quan­ do componeva, a quanto pare, sbagliava i bassi. (Cfr. b o y e r , L e ro m a n tism e d e B e e th o ­ v e n cit., pp. 59-60). 17 S C H Ü N E M A N N , I, p. I55.

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compendia il tessuto delle voci e delle parti strumentali del «E t sepultus est» m

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patetica mise au tombeau in cui il suono, con il suo graduale incu­ pirsi, il suo lento estinguersi, suscita di per sé una immagine mu­ sicale, che si identifica con quella proposta dal testo liturgico e ne potenzia la sostanza emotiva. Se il tema del «E t resurrexit» che segue

si muterà nella partitura nel reiterato acutissimo grido d ’esultan­ za dei tenori, resta tuttavia senza variazioni, com’è già chiara­ mente indicato nell’abbozzo, il rapporto tonale con quanto pre­ cede: quella mutazione dal minore al maggiore di una stessa to­ nalità {fa nell’abbozzo dei Quaderni, sol nella versione definiti­ va), che sta a conferire coesione armonica e insieme efficace con­ trasto di luce tra i due brevi episodi. Un appunto per un particolare timbrico (tromba) della fuga «E t vitam venturi saeculi», Tromba w jh y — rn% ?

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18 Ibid., p. 379.

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che, unitamente ad uno schema armonico della cadenza finale sull’«Amen» del Credo,

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si riscontra già in un Quaderno di conversazione del ’19 testi­ monia la lunga elaborazione di quella che può considerarsi la par­ te culminante di tutta l ’opera, il punto verso cui egli guardò da lontano per costituire il fulcro e la convergenza della sua ispira­ zione poetica e musicale. È qui infatti che si manifesta viva e pos­ sente l ’idea suscitata dalla visione della vita futura, celeste o ter­ restre che fosse non importa se a Beethoven la vita futura appa­ riva come una estensione della esperienza umana, luminosa e concreta quanto nebulosa ed astratta ne può apparire l ’enuncia­ zione dogmatica. Ed è qui che la musica, fattasi consustanziale al­ l ’articolo di fede che afferma, lo rafforza con la sua convinzione, gli conferisce evidenza e realtà, la pura realtà dell’arte. Il mondo futuro che Beethoven, nella Missa come poi nella Nona, contem­ pla, è quello infatti che si identifica con l ’inverarsi degli ideali dell’uomo, con l’adempimento della sua superiore destinazione. E la precisazione timbrica che accomuna la tromba all’idea prima del «E t vitam venturi saeculi» conservataci dai Quaderni di con­ versazione, già preannuncia il gioioso tripudio sonoro della fuga, al modo che l ’accenno alla musica militare (Türkische Musik) e al coro in un taccuino di schizzi del ’22 per la Nona Sinfonia sta a rivelare il carattere eroico connaturato e congenito all’intima ori­ ginaria ispirazione di quell’opera. Può apparire strano che men­ tre di solito la genesi e l ’elaborazione strutturale di un tema oc-19 19 Ibid., p. 155. 8

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cupa num erose pagine dei suoi Skizzenbücher, in una sola dei Q uaderni di conversazione si ritrovino abbozzi e spunti quasi de­ finitivi di cosi gran copia di m otivi per la Missa. Se ciò sta a testi­ m oniare la brevità dell’istante in cui l ’artista, com’egli ebbe ad affermare, si eleva sino agli dei, la folgorante ispirazione che su­ scita la form ulazione sonora delle immagini emotive, può nondi­ meno suggerire qualche rilievo, utile alla valutazione critica del­ l ’opera che Beethoven definì come la sua piu riuscita («la plus accomplie»): effusione del cuore, «Preghiera p er la pace interna ed esterna» (« B itte um innern u n d äussern Frieden»), come è detto nella didascalia da lui apposta all’Allegretto vivace dell’ylgnus Dei. Conviene subito riconoscere che quei tem i non erano investiti del com pito stru ttu rale dei principi opposti operanti nella form a-sonata con il loro reciproco sviluppo, il loro contra­ sto dialettico, né erano richiesti di essere dotati della carica vita­ le e della stru ttu ra armonica atta ad alim entare e a sostenere l ’im­ pulso creativo della grande variazione. N onostante la sua quasi costante rifrazione polifonica, il suo m olteplice riecheggiare nelle im itazioni e nei fugati, la tem atica della Missa è e rim ane fonda­ m entalm ente semplice nella sua essenza lineare: una m ateria so­ nora che p u r sospinta e talora m irabilm ente anim ata dal contrap­ p u nto sem bra tendere, per una sua congenita inerzia e in forza di una segreta gravitazione, alla omofonia. N on diversam ente che nei Q uaderni di conversazione, che abitualm ente registrano l ’espressione diretta ed im m ediata del suo sentire, negli Skizzenbücher (per quanto è dato giudicare da quello relativo alla composizione della Missa Solemnis pubblica­ to a cura del Beethoven-Haus di B onn ) 20si riscontra la stessa flui­ dità di ispirazione, la stessa immediatezza di form ulazione tem a­ tica dell’idea: immagine che balena nella sua coscienza e che ri­ conosceremo quasi inalterata nella partitura. P er citare qualche esempio: gli abbozzi del « E t incarnatus est» dello Skizzenbuch sopracitato ripetono l ’inciso melodico, già precisato nei Q uader20 J. SCHMIDT-GÖRG, Beethoven, Drei Skizzenbücher zur Missa Solemnis, I: Ein Skizzenbuch aus den Jahren 1819-20, Beethoven-Haus, Bonn 1952.

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ni, r e -la -s i naturale, in cui l ’alterazione cromatica del si bemolle in si naturale determina l’ambiguità tonale del modo lidico e con­ ferisce particolare accento espressivo alla frase. Il «E t homo factus est» di cui è solo un fuggevole accenno nelle pagine dei Qua­ derni (ma ove il fa diesis precisa e caratterizza la luminosa modu­ lazione) trova in quello Skizzenbuch la sua estesa e definitiva ver­ sione. Similmente gli abbozzi per il «Crucifixus» non fanno che sviluppare, realizzare ciò che virtualmente era già contenuto nel­ l ’accordo di settima diminuita dei Quaderni; rapida sintesi del colore armonico e del pathos che trova facile svolgimento nella successiva fase di elaborazione contrappuntistica, vocale e stru­ mentale. E saranno ancora le pagine dei Q uaderni che potranno rivelar­ ci ciò che era assurto in lui a simbolo del suo intim o afflato spiri­ tuale, quella «zugrunde liegende Idee» che, come disse in quegli anni a Louis Schlösser, si tiene sem pre dinanzi al suo spirito e di cui lo richiede espressam ente Bernard: «La signora von W eissenthurn vorrebbe sapere qualcosa dell’idea su cui avete costrui­ to la vostra M essa»21. Sebbene i Q uaderni non ci dicano in modo esplicito quale fos­ se questa idea, essi ce ne offrono num erosi sparsi indizi, che van­ no raccolti e interp retati come le parole della Sibilla. «Gloria, Incarnatus. Per il sentimento. Noi diciamo che la co­ mune musica sacra è degenerata in una musica quasi operistica»22 dice Bernard a Beethoven, che appunto aveva inteso opporsi a quella deprecata tendenza profana, allora dominante, con la com­ posizione di una Messa che, per alta ispirazione religiosa e per ri­ gore e castigatezza di forma, intimamente aderisse e fosse consona al sacro testo. A misurare la grandezza e la nobiltà di tale compito e a proclamarne l ’attualità si era alzata la voce di Hoffmann, che nel suo saggio sulla Musica religiosa antica e moderna, pubblica­ to nel 1814 nella «Allgemeine Musikalische Zeitung», poi rac­ colto nei Serapionsbrüder, tacciava di teatralità (con qualche ec21 s c h ü n e m

a n n , I, p. 167, e inoltre III, pp. 44, 8 0 ,112. 22 Ibid., I, pp. 167-68.

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cezione per Haydn e Mozart) le composizioni chiesastiche del suo tempo, e additava (sulle orme del suo mistico precursore Wackenroder) l ’arte degli antichi maestri, dei Palestrina, degli H än­ del e dei Bach, quale espressione esemplare del piu sincero e pro­ fondo spirito religioso23. Ad essi bisognava rivolgersi per trova­ re la purezza di linguaggio richiesta a chi vuole parlare di Dio. Quasi ad accogliere l’invito rivolto da quello spirito acuto ai musicisti, vediamo Beethoven fare ricerca nella Biblioteca im­ periale di antiche partiture e libri rari. « Ich war in W ien - scrive il 29 luglio 1819 all’arciduca Rodolfo —um aus der Bibliothek I. K. H . das mir Tauglichste auszusuchen» («Fui a Vienna per cercare nella biblioteca di Vostra Altezza imperiale ciò che mi poteva essere piu utile»). E precisa: «Die Hauptabsicht ist das geschwinde Treffen (und m it der bessern Kunstvereinigung wo­ bei aber praktische Absichten Ausnahmen machen können) wo­ für uns die Alten zwar doppelt dienen, indem meistens reeller K unstw ert»24(«La cosa principale è il trovare con rapidità, e con il migliore accordo artistico, ma si possono anche fare delle ecce­ zioni per ragioni pratiche; per questo gli antichi doppiamente ci servono per avere, la maggior parte, valore artistico»). I Quaderni di conversazione ci preciseranno cos’era ciò che «piu gli conveniva» e che, non avendolo trovato nella Biblioteca imperiale, forse a causa degli ostacoli opposti dal cerimoniere di corte, come egli lamenta in quella stessa lettera, ricerca altrove valendosi dell’aiuto degli amici. Nel gennaio 1820 Czerny gli riferisce: «Abbiamo alcuni ita­ liani - Zarlino»25; e Peters, che per suo incarico ha indagato nel23 Cfr. e . T . a . H o f f m a n n , S e ra p io n sb rü d e r, II, 4 ( A lte u n d n e u e K ir c h e n m u s ik ), in S ä m tlic h e "W erke, a cura di C. G. von Maassen, VI, München-Leipzig 19x2. Vi si parla anche della M essa in d o m aggiore, op. 86 di Beethoven, giudicata quale «espressione di un animo infantilmente sereno che fidando nella sua purezza si abbandona fiducioso alla misericordia di Dio », ma non strettamente conforme al « severo stile religioso ». 24 Cfr. K ä s t n e r , ρ. 511, n. 900. Nel 1818 Beethoven si proponeva: «Per scrivere della vera musica religiosa, esaminare tutti i Corali ecclesiastici dei monaci ecc., farne degli estratti, anche delle strofe nelle migliori traduzioni con la prosodia piu esatta di tutti i salmi ed inni cattolici» (dal manoscritto Fischoff; cfr. l e i t z m a n n , II, p. 265).

25 S C H U N E M A N N , I, p .

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la biblioteca del principe Lobkowitz, presso cui è precettore, lo accerta: «Noi abbiamo lo Zarlino» e precisa il titolo dell’opera di Glareano, un teorico del xvi secolo, cui Beethoven sembra in­ teressarsi: «Si chiama Dode[kd}chordon » 26. In quei famosi trat­ tati, quand’anche ne avesse tentato l ’ingrata lettura, egli non avrebbe cercato né trovato piu di una documentazione sull’anti­ co materiale sonoro, una precisazione del carattere e della fun­ zione espressiva delle singole scale, dell ’ethos che si credeva con­ naturato agli antichi modi gregoriani, di cui egli subiva la sugge­ stione ed il fascino si da essersi proposto di scrivere una sinfonia «in den alten Tonarten», nelle tonalità antiche2728.Dalle Istitutioni harmoniche di Zarlino egli potè infatti avere appreso essere il modo lidico, con il frigio, il piu pertinente «nelle Tragedie e nel­ le Canzoni, si come in quelle che possono commuovere gli animi e quasi trarli da se stessi» (come seguendo quel trattato scrive il Tasso)“, e valersene nell’«Incarnarne est» della Missa come nel­ la Canzona in modo lidico del Quartetto op. 132. Ma da quell’antica pratica Beethoven, anziché limiti ristret­ tivi, intendeva trarre una libertà nuova e valersene come di un mezzo per evadere oltre i confini della tonalità, verso quella re­ gione sonora in cui, secondo Hoffmann, già si era manifestata l’intima essenza della musica, in cui era fiorita la vera e sacra ispi­ razione di Palestrina «in canti immortali e inimitabili». Ma in­ tanto l’indefinita sonorità modale stava (come nell’«Incarnatus est») a rafforzare, in virtu del contrasto, la plasticità e i valori to­ nali, mentre l’arcaismo della successione di accordi consonanti 26 Ibid., p. 193. Nel Oodekachordon, pubblicato nel 1317, il dotto umanista Henricus Loritus, detto Glareanus dal nome della sua città natale, aveva elevato il numero dei modi da otto a dodici, includendo tra i quattro modi aggiunti lo ionico, che corrispon­ deva alla nostra scala di do maggiore, e che sebbene largamente usata nella pratica («Modus ionicus... omnium modorum usitatissimus sed nostra aetate exulans...») appa­ re qui per la prima volta teorizzato. Glareano figura, unitamente a Franco di Colonia, tra i maestri che esercitarono influenza sullo sviluppo della cultura e dell’arte musicale nella regione renana, anche su quello della cappella di corte di Bonn, fiorita negli anni della prima giovinezza di Beethoven. Cfr. l . s c h i e d e r m a i r , Der junge Beethoven, Bonn 1951. Ρ· 29 27 In un taccuino del 1818, annota: «Frommer Gesang in einer Symphonie in den alten Tonarten». Cfr. m . g . n o t t e b o h m , Zweite Beethoveniana, Leipzig 1887, p. 165. 28 T . t a s s o , Prose diverse, a cura di C. Guasti, Firenze 1873,1, pp. 266 sgg.

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perfetti (come nel «Cum sancto spiritu» del Gloria e nel « E t resurrexit» del Credo ) che ha premessa e riscontro p iu che nella musica del tem po, nelle mistiche evocazioni letterarie di W ackenroder, ritrovano nella Missa nuovo vigore, risuonano audaci e possenti, irrom pono come luce accecante nell’animo d ell’ascolta­ tore a risvegliare « u n durevole sentim ento di religiosità» che era appunto il fine dichiarato di q u est’opera 2\ Se i nom i di Zarlino, di Palestrina, di H ändel e di Bach ricor­ rono nelle sue conversazioni e nelle lettere a testim oniare interes­ se e ammirazione p er la musica del passato, non c’è nella sua ope­ ra alcun proposito di imitazione accademica e di nostalgico rito r­ no, alcuna velleità archeologica. Il suo spirito innovatore rifug­ ge infatti da schemi precostituiti e da caduche form ule tradizio­ nali si da irridere bonariam ente la pretenziosa vacuità e la m anie­ ra stereotipa degli antichi scolastici, ch’egli chiama «die alten — Reichs Com ponisten» (« i com positori dell’antico Im pero»), di cui traccia nei Q uaderni un profilo m usicale 2930che prefigura quel­ lo dei Maestri Cantori. G li antichi m onum enti dell’arte polifoni­ ca e contrappuntistica appaiono a B eethoven (non diversam ente che a G oethe la cattedrale gotica di Strasburgo), nel loro valore simbolico, quale ideale sublime, espressione della Festigkeit , del­ la saldezza non solo tecnica e della spiritualità di uom ini e di un tem po quasi m itici. Palestrina è tra i com positori di musica sacra il preferito, tuttav ia «sarebbe assurdo im itarlo senza possedere il suo spirito e la sua concezione religiosa»31. Bach è un mare; Oceano, a suo dire, egli dovrebbe chiamarsi p iu tto sto che Bach 29 Beethoven aveva infatti scritto ad Andrea Streicher il 16 settembre 1824: «bei Bearbeitung dieser grossen Messe meine Hauptabsicht war, sowohl bei den Singenden als bei den Zuhörenden religiöse Gefühle zu erwecken und dauernd zu machen». Cfr. K Ä S T N E R , p. 726, n. 1238. E Hoffmann scrive nei Serapionsbrüder·. «Una sequenza di accordi consonanti perfetti ci è diventata ora, nella nostra superficialità, cosi estranea, che piu d’uno (la cui anima è chiusa a tutto ciò che è sacro) vi scorge niente altro che de­ ficienza di struttura tecnica» (da I fedeli di san Serapione, traduzione di R. Spaini, Ro­ ma 1957, p. 467). 30 S C H Ü N E M A N N , III, p. 43. 31 Cfr. K . G . F r e u d e n b e r g , A us dem Leben eines alten Organisten, Breslau 1870, p. 35, e L E I T Z M A N N , I, p. 284. Beethoven aveva detto a Freudenberg nel 1825 che la musica religiosa pura non dovrebbe essere eseguita che con le sole voci, ad eccezione del Gloria e di testi analoghi. «Perciò egli preferiva Palestrina».

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(ruscello) per la sua infinita inesauribile ricchezza. M a è proprio in virtù di questa tendenza allusiva, che sposta l ’interesse dall’ar­ te agli ideali di una civiltà, che Beethoven, pienam ente ricono­ scendosi nelle aspirazioni del proprio tem po, identificando cioè nella libertà e nel progresso il fine della musica m oderna, si sot­ trae alla tentazione dell’arcaico, di cui si vale solo come di u n ele­ m ento di colore, di arricchim ento espressivo. «G li antichi ci servono m oltissim o» aveva scritto Beethoven nella lettera sopracitata all’arciduca Rodolfo, ma aggiungeva: «A llein Freiheit, W eitergehn ist in der K unstw elt w ie in der gan­ zen grossen Schöpfung, Zweck, u n d sind w ir N eueren noch nicht ganz soweit als unsere A ltvordern in Festigkeit, so hat doch die V erfeinerung unserer Sitten auch manches erw eitert» (« T u tta ­ via la libertà, il progresso nel m ondo dell’arte come in tu tta la grande creazione, sono lo scopo, e sebbene noi m oderni non sia­ mo tanto avanti nella saldezza [della struttura] quanto i nostri antichi precursori, tuttavia la raffinatezza della nostra civiltà ha aggiunto qualche cosa»). L ’opera possente dello spirito ha progredito n ell’om bra: «e perché si dovrebbe chiudere gli occhi dinanzi ad esso, quando è lo stesso spirito anim atore del m ondo che ha conferm ato questo splendore alla m isteriosa arte m oderna, m irante alla interiore spi­ ritualizzazione?» si era chiesto anche Hoffm ann. A questo im ­ perativo di essenzialità e di interiorità di u n ’epoca «nella quale lo spirito riconosce la sua p atria» , volta ad arrestare «ogni frivola degenerazione dell’arte» e ad aprire «m ediante la musica il cuo­ re dell’uomo all’effetto più profondo e m isterioso di essa», in­ tendeva intonarsi e rispondere la Missa Solemnis di Beethoven. S’imponeva pertanto di porre al servizio di una nuova ispirazione profondam ente religiosa la dovizia dei mezzi tecnici m oderni, «lo splendore dei m olteplici strum enti», di potenziarli spiritualm en­ te, di redim erli dalla loro frivolità m ediante l ’arte di cui gli anti­ chi m aestri avevano lasciato esempio perfetto. Q uelle ricerche di antichi testi teorici com piute da Beethoven nelle biblioteche, quella m anifesta e dichiarata ammirazione per i grandi m aestri della polifonia, non assurgono a valore polemico

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di u n ritorno all’antico, in cui sarebbe im plicita sfiducia e con­ danna dell’arte del suo tem po. Q uella teoria e quelle musiche va­ levano infatti principalm ente per le idee che erano venute a sim­ boleggiare, idee letterarie e come tali di indiretta e scarsa effica­ cia per l ’am bito ricupero di quei solidi valori form ali, di quella Festigkeit che appariva a Beethoven connaturata alla grande an­ tica arte sacra. L ’identificazione simbolica di procedim enti stilistici con l ’e­ spressione del sublime, se accentuava l ’im portanza del particola­ re per il suo carattere indicativo e significante, faceva scadere la form a da valore assoluto a relativo, da diretta, im m ediata espres­ sione dell’arte a tram ite indiretto e m ediato d ell’idea. N ella stru ttu ra compositiva della Missa, non diversam ente che nell’architettura di quel tem po rom antico (ove il tim pano classico o l ’ogiva gotica stavano a suggerire m odi di sentire, par­ ticolari riferim enti d ’ordine storico e ideale), la d ottrina e l ’en­ tusiasmo, la riflessione e il sentim ento sembrano sostituirsi alla pura originaria creatività degli antichi modelli, alla loro sponta­ nea quasi inconscia aspirazione espressiva. La tendenza arcaiciz­ zante, il fram m entarism o, la mancanza d ’integrazione sinfonica dei singoli episodi e di un vigoroso sviluppo tem atico, che la cri­ tica ha rilevato nella Missa Solemnis di Beethoven, trovano p u n ­ tuale riscontro nel gusto antiquario e nella concentrazione sul particolare stilistico rim proverati all’architettura neoclassica. U na musica ed una architettura, entram be sensibili al fascino del passato e alle suggestioni letterarie di cui il Romanticismo ama arricchire ogni singola arte avvolgendola in un alone di sentim en­ ti e di idee. Se questo può aiutare a chiarire storicam ente la problem atica latente alla Missa, conferisce inoltre risalto a quanto in essa non appare subordinato al rigore di uno schema o alla severità di u n ideale, a quanto è espressione della sua vitalità e della sua poesia. Il miracolo dell’arte antica, avevano affermato W ackenroder e H offm ann, non poteva essere rip etu to in v irtù di una form ula racchiusa nei libri e nelle partitu re; sussistevano tuttavia le con­ dizioni del suo perenne rinnovarsi n ell’artista, che esplorando nel-

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la propria anima «trovi lo spirito della verità e della devozione» che lo spinga «a lodar Dio e a parlare delle meraviglie del regno celeste con i mirabili accenti della musica, se insomma il suo com­ porre non sia che una trascrizione dei sacri canti sgorganti in reli­ gioso raccoglimento dal suo animo». E ben ne era consapevole anche Beethoven che ponendo in testa al Kyrie della Missa il motto «Von Herzen - Möge es wieder zu Herzen gehn » («dal cuore —possa di nuovo andare ai cuori»), aveva inteso rendere manifesto non solo il suo nobile intento espressivo, ma la legit­ timità della sua ispirazione e la sacralità della musica.

V II.

Natura e arte in Beethoven

Beethoven, scrivendo il 2 novembre 1809 ai suoi editori Breitkopf e H ärtel, per sollecitare Γinvio, oltre che di numerose partiture di Bach, Haydn e Mozart, di testi letterari tra cui figura­ vano Omero, Euripide, tutto Goethe, tutto Schiller (i suoi «poe­ ti favoriti»), Ossian e W ieland, afferma: «Non c’è quasi trattato che sia oggi troppo dotto per me. Senza presumere di possedere una vera erudizione io mi sono sforzato fin dall’infanzia di com­ prendere il pensiero dei migliori e dei piu saggi di ogni tempo. Vergogna all’artista che non considera una colpa il non spingersi almeno cosi lontano» '. Se nei Quaderni di conversazione quasi ad ogni pagina trape­ la il suo amore per la cultura, il fervore per la poesia antica e mo­ derna, il suo vivo interesse per la filosofia e la storia, una conver­ sazione del marzo 1820 con August Friedrich Kanne, poeta e musicista viennese, lo accerta12. Potrà anzitutto stupire che Kanne chieda a Beethoven di pre­ stargli per qualche settimana la Farbenlehre, la Teoria dei colori di Goethe, ma non è poi difficile comprendere come il musicista potesse appassionarsi a quella ricerca scientifica sulla causa pri­ ma della luce che il poeta, guidato dall’intuito e dall’esperienza diretta e in spregio alle teorie di Newton, considerava «nella sua purezza e verità», quasi avesse una sua realtà oggettiva, una esi­ stenza metafisica, come aveva il suono per i pitagorici. Questo 1 Cfr. k a s t n e r , p. 147, n. 209, ed inoltre le precedenti lettere datate 26 luglio, 8 agosto, 19 vinale di quell’anno agli stessi editori, in cui sollecita l’invio dei libri che si riprometteva di leggere con «grandissimo piacere» durante la burrascosa estate «in qualche felice cantuccio campestre», quale allora anche una guerra napoleonica poteva concedere. 2 S C H Ü N E M A N N , I, p p . 34 S g g .

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misticism o scientifico, questa im periosa esigenza di una in ter­ pretazione teleologica del fenom eno esercitava in fatti u n grande fascino sull’animo di Beethoven, si da indurlo alla lettu ra di K ant, alla contem plazione delle leggi della n atu ra e della morale, alla meditazione del m istero del creato e dell’animo um ano. Se la luce, in opposizione alle empie analisi del fisico inglese, era considerata da G oethe non come p rodotto meccanicamente com posto che contenga virtualm ente in sé i colori, m a come al­ cunché di semplice, che suscita in contrasto con l ’om bra il colo­ re, da lui considerato quale manifestazione dell’ideale nella na­ tura, il suono era analogamente inteso da Beethoven come espres­ sione diretta dell’anima, vibrazione della sostanza eterna ed infi­ nita che vive in ogni cosa spirituale. Cosi egli aveva d etto a Bet­ tina Brentano e cosi Schelling, reagendo alla concezione meccani­ ca dell’illum inism o, aveva teorizzato, affiancandosi a G oethe con­ tro la fisica di N ew ton. In perfetto accordo con la Filosofia della natura di Schelling, che considerava l ’arte quale vivente m edietà tra natura ed anima um ana, la musica sarà p er Beethoven la voce che rivela l ’armonia segreta del creato, che ne coglie i ritm i e che esprim e, quasi alle­ goria sublime, il generale nel particolare, l ’infinito nel finito. E rano queste idee cosi vive ed attuali, e cosi grande risonanza su­ scitavano allora negli animi, che Beethoven e K anne giudicano Schelling all’altezza di Platone, lo definiscono con questi « il più grande». Egli in fatti considerando l ’arte quale espressione imme­ diata dell’universale, aveva identificato la musica con la filosofia. «Philosophie u n d M usik sollen leben» («filosofia e musica devo­ no vivere») dice K anne alludendo a questa priorità e affinità elet­ tiva, al loro comune destino. La filosofia pensava la grande musica, penetrava nei segreti della sua poetica, faceva luce sul processo creativo, la innalzava a principio assoluto, quale rivelazione del divino; la musica, consa­ crata da quel pensiero, ritrovava con Beethoven il linguaggio pro­ fondo, solenne e il tono profetico con cui nelle F assioni di Bach essa già aveva parlato con Dio. L ’espressione dei sentim enti as­ surge ad una nobiltà, si eleva ad una sacralità in cui il dramma

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um ano sembra confondersi con il dram m a divino, non in virtù di m istiche allusioni, ma della forma. Se K anne aveva chiesto a Beethoven la Farbenlehre di G oe­ the, a sua volta si offre di prestargli «una operetta di Schleierma­ cher» che crediamo poter arguire trattarsi dei Reden über die Re­ ligion, dei Discorsi sulla religione, il breve scritto giovanile del filosofo berlinese che tanto aveva influito sull’orientam ento reli­ gioso di Fichte e che aveva ispirato il pensiero di Schelling. Con­ forta e rafforza l ’attribuzione il leggere i nomi, appunto, di questi filosofi, citati nel Q uaderno subito dopo l ’accenno al «W erkchen», come logicamente p ertinenti al discorso. In q u est’opera di Schleiermacher Beethoven avrebbe ritrovato idee a lui profon­ dam ente congeniali, p er quel panteism o di cui la N atura era tea­ tro, per quella concezione dell’anima quale prodotto di due op­ posti im pulsi, l ’uno tendente all’intim o, l ’altro ad una sensuosa partecipazione col tu tto , entram bi m iranti al raggiungimento di una superiore libertà spirituale. «V olete leggere qualcosa di m olto chiaro in Schelling? » chie­ de poi K anne e subito precisa: « su ll’arte e gli studi accademici», alludendo alla Filosofia dell’arte e alle Vorlesungen über die Me­ thode des akademischen Studiums·, ma di Schelling Beethoven già doveva conoscere il Sistema dell’idealismo trascendentale se ne condivide i principi e se ad essi intona il suo credo estetico. In fatti, se p er Schelling è concesso « all’arte sola di acquietare la nostra infinita aspirazione e di sciogliere in noi l ’ultim a e piu esterna contraddizione, di raggiungere una infinita arm o n ia» 3, per Beethoven, come egli ebbe a dire a B ettina B rentano, «lo spi­ rito, che aspira ad una sconfinata universalità, raggiunge n ell’at­ to creativo, p er l ’armonica conciliazione degli opposti, una gran­ de b e atitu d in e» 4: la «pace di tu tte le paci» di H ölderlin. La m u­ sica viene ad assumere per Beethoven l ’alta funzione unificatrice già riconosciuta all’arte in genere, e il suo messaggio viene consi3 Cfr. Sc h e l l in g , System des transzendentalen Idealismus, sez. VI. 4 Cfr. B e t t i n a B r e n t a n o v o n A r n i m , Sämtliche Werke, Berlin 1920, III, p p . 541 sgg., e II carteggio di Goethe con una bimba, trad. it. di G. Necco, MHano-Roma 1932, II, p . n o .

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derato quale diretta manifestazione dell’essere. In essa «si sente come in ogni cosa spirituale viva una sostanza eterna, infinita, non del tu tto afferrabile»5. Lo spirito infatti non riesce «a do­ m inare quanto in v irtù della musica crea» poiché n ell’artista, ac­ canto al suo libero cosciente operare, interviene l ’influsso di un m isterioso potere - il genio - che lo costringe ad esprim ere cose «che egli stesso non penetra interam ente e la cui significazione è in fin ita» 6. Cosi «ogni vera opera d ’arte —dice Beethoven riba­ dendo la concezione di Schelling —è indipendente e supera l ’arti­ sta stesso, per ritornare nell’atto della sua apparizione alla D ivi­ nità» 78*: alla D ivinità di cui l ’arte (possiamo concludere con le pa­ role di Schelling) «è l ’unica ed estrem a rivelazione, il miracolo che dovrebbe persuaderci d ell’assoluta realtà di q u est’essere su­ prem o» s. Se « l’arte rappresenta la D ivinità», se è mistica teofa­ nia, il rapporto um ano con l ’arte è religione, il mezzo, cioè, di tra ­ scendere il m ondo delle apparenze e dell’esistenza (lo Schein e il Dasein) per ricongiungersi con l ’A ssoluto. «Lasciarci dissolvere nella sua rivelazione, questa la dedizione all’elem ento divino che dom ina placido il tum ulto delle forze scatenate e cosi consente alla fantasia di operare con la massima efficacia» \ In queste pa­ role di Beethoven a B ettina B rentano sentiamo vibrare l ’accento commosso dell’ultim o Fichte, che sim ilm ente ad una realtà im ­ m utabile nel suo «ruhiges Sein u n d B estehen», nel suo calmo es­ sere e persistere, Dio, contrappone, a form are la nuova diade, l ’incessante e tum ultuoso divenire del m ondo, la vita, che p er il m usicista come p er il filosofo è di quell’Essere la coscienza e la rappresentazione fenomenica. Fenomenologia sarà appunto per Beethoven la musica come lo è la filosofia p er Fichte, riconoscen­ do entram bi nella musica e nella filosofia la form a che assume l ’A ssoluto quando è riflesso dalla coscienza dell’uom o. 5 Cfr. Bettina Brentano , Sämtliche 'Werke cit., I l i , pp. 541 sgg. 6 Cfr. Schelling , System des transzendentalen Idealismus, sez. VI. 7 Cfr. Bettina Brentano , Sämtliche Werke cit., I l i , pp. 541 sgg., e II carteggio di Goethe con una bimba cit., I I , p. n o . 8 Cfr. Schelling , System des transzendentalen Idealismus, sez. VI. 5 Cfr. Bettina Brentano , Sämtliche Werke cit., I li, pp. 541 sgg.

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Collocata al sommo dell’esperienza artistica, la musica per Beethoven non è piu, come per Schelling, organo della filosofia, filosofia essa stessa, ma «rivelazione superiore ad ogni sapienza e filosofia... l ’unica porta immateriata onde si ascende al mondo superiore della conoscenza, il quale abbraccia l’uomo e non può essere abbracciato»101. Se, come dice K uffner“, «tutto ciò che esprime una nobile tendenza al sublime è sacro», lo sarà in primo luogo la musica che «dà l ’intuizione e l ’ispirazione delle scienze celesti»; «die heilige M usik», la santa musica, espressione dell’infinito nel finito, del­ l ’idea nella materia, «göttliche Kunst», arte divina. «Voi sarete glorificato anche se non credete, poiché la vostra musica è religione» gli dice P eters12(riecheggiando il pensiero di Beethoven, quale egli ebbe già a manifestare a Bettina: « l’arte rappresenta sempre la Divinità e il rapporto umano coll’arte è religione»), mentre la parola che segue nella pagina del Quader­ no, «Naturalismus! », sta a precisare, nel corso della conversazio­ ne, il particolare significato di quel termine Religion, ci introduce nella concezione immanentistica, allora tanto diffusa, della Divi­ nità che sembra manifestarsi nella pienezza del sentimento come nell’impulso dei sensi, e di cui l ’animo crede avvertire la vivifi­ cante presenza nella natura che lo attornia e nell’aria che respira. L ’esperienza religiosa di Beethoven, che nella musica trova piena e diretta espressione e quasi si identifica in essa, include nondimeno in sé il senso temporale della natura e della storia, en­ trambe manifestazioni del potere di Dio che presiede agli imper­ scrutabili destini delle creature e del creato. Una commossa testi­ monianza di tale rivelazione ci è data dalle parole da lui scritte sul Kahlenberg un giorno di fine settembre del 1815.« Allmächtiger im Walde! Ich bin seelig, glücklich im W ald: jeder Baum spricht durch dich — O Gott! welche Herrlichkeit! In einer solchen Waldgegend, in den Höhen ist Ruhe, Ruhe ihm zu dienen»13 10 Cfr. ibid.

11 P R O D ’ H O M M E , p. 398. 12 S C H Ü N E M A N N , III, p. 160. a Dal manoscritto Fischofï. Cfr. l e i t z m

a n n

,

II, ρ. 254, η. 78.

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(«O nnipotente Iddio, nella foresta! Io sono beato, felice, nella foresta: ogni albero parla di Te. - Q uale splendore, o Signo­ re! In queste valli nell’alto è pace, la pace [che occorre] p er ser­ virlo»). Se la religione era im m anente alla natura, la natura santificata dalla religione diveniva il tem pio in cui D io parlava agli uom ini e gli uom ini lo cercavano per adorarlo e servirlo. «A us dem , was w ir von seinen W erken gew ahr w erden,» aveva annotato Bee­ thoven in un suo taccuino forse citando da u n testo indiano «kön­ nen w ir schliessen dass er ewig, allmächtig, allwissend u n d all­ gegenwärtig ist... O G o tt, du bist das w ahre, ewig selige, u n ­ w andelbare Licht aller Zeiten u n d Räume. D eine W eisheit er­ kennet tausend u n d m ehr als tausend Gesetze, u n d doch handelst du allzeit frei u n d zu deiner E hre... D ir sei alles Lob u n d A n­ betung! D u allein bist der w ahrhaft Selige (Bhagavan); du das W esen aller Gesetze, das Bild aller W eisheit» “ («D a quanto ci è dato di scorgere nelle sue opere, possiamo conchiudere che Egli è eterno, onnipotente, onnisciente, e onnipresente... O h D io, T u sei la luce vera, beata, eterna, di tu tti i tem pi e di tu tti i luoghi. La Tua saggezza riconosce mille e piu che m ille leggi, m entre T u agisci sempre liberam ente e a Tuo onore... A T e le nostre lodi, a T e la nostra adorazione. T u solo sei il vero Beato (Bhagavan); T u l ’essere di tu tte le leggi, l ’immagine di ogni sapienza»). D i questa presenza divina portava solenne testim onianza il Creato con la sua armonica stru ttu ra e con la m irabile organicità delle sue leg­ gi, che la scienza e la filosofia andavano appassionatam ente in­ dagando. Affascinato da queste ricerche, B eethoven le fa oggetto di me­ ditazione e di studio: «N icht der ohngefähre Zusam m enlauf der A tom e des Lukrez hat die W elt gebildet: eingepflanzte K räfte und Gesetze, die den weisesten V erstand zur Q uelle haben, sind ein unw andelbarer U rsprung derjenigen O rdnung gewesen, die aus ihnen nicht von ohngefähr, sondern notw endig fliessen m üs­ sen. W enn in der Verfassung der W elt O rdnung u n d Schönheit 14 14 Dal manoscritto Fischofï. Cfr. l e it z m a n n , II, p. 252, n. 74.

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hervorleuchten, so ist ein G ott. Allein das andre ist nicht weni­ ger gegründet. W enn diese Ordnung aus allgemeinen Naturge­ setzen hat herfliessen können, so ist die ganze N atur notwendig eine W irkung der höchsten W eisheit»15(« Il mondo non è stato formato dalla riunione fortuita degli atomi di Lucrezio: forze e leggi stabilite, aventi la loro origine nella intelligenza più sensa­ ta, sono state l ’origine di questo immutabile ordine ed hanno po­ tuto necessariamente e non fortuitamente derivare da questi ato­ mi. Se nella costituzione del mondo risplendono ordine e bellez­ za allora vi è un Dio. Tuttavia l ’altra [tesi] non è meno fondata. Se questa armonia ha potuto scaturire da leggi organiche genera­ li, allora la natura intera necessariamente rispecchia l’azione del­ la saggezza suprema»). O ra è da Kant, dal Kant precritico della Allgemeine Naturge­ schichte und Theorie des Himmels (Storia generale della natura e teoria del cielo) che Beethoven trae gli elementi e gli argomenti di una cosmologia cui il suo spirito spontaneamente aderisce per scorgere anch’egli, come il grande filosofo, nella formazione della materia e nell’indirizzo teleologico del creato «una innegabile prova della unità della loro prima causa, che deve essere un uni­ versale altissimo intelletto». Lo vediamo indugiare pensoso su quel testo e stimolato dalla suggestione di quelle ardite ipotesi trascriverne e riassumerne al­ tre parti 16. 15 Dal manoscritto Fischofï. Cfr. l e i t z m a n n , II, p. 258, n. xr6. 16 II manoscritto Fischofï ci trasmette inoltre i seguenti passi, desunti da Beethoven dalla sopra citata A llg e m e in e N a tu rg esch ich te·. «Der StofE, woraus die Einwohner ver­ schiedener Planeten, ja sogar die Tiere und Gewächse auf denselben gebildet sind, muss überhaupt um desto leichterer und feinerer Art, und die Elastizität der Fasern samt der vorteilhaften Anlage ihres Baues um desto vollkommener sein nach dem Masse, als sie weiter von der Sonne abstehen» (« La materia di cui sono formati gli abitanti dei diver­ si pianeti, come pure quella degli animali e delle piante su questi, deve essere tanto più leggera e fine, l’elasticità degli esseri e la loro struttura tanto piu perfetta quanto piu si trovano a maggior distanza dal sole»). «Dass die Trefflichkeit der denkenden Naturen, die Hurtigkeit in ihren Vorstellungen, die Deutlichkeit und Lebhaftigkeit der Begriffe, die sie durch äusserlichen Eindruck bekommen, samt dem Vermögen, sie zusammenzu­ setzen, endlich auch die Behendigkeit in der wirklichen Ausübung, kurz der ganze Um­ fang ihrer Volkommenheit unter einer gewissen Regel stehen, nach welcher dieselben nach dem Verhältnisse des Abstands ihrer Wohnplätze von der Sonne immer trefflicher und vollkommener werden... dass die Vollkommenheit der Geisterwelt sowohl als

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Se in quest’opera K ant osa estendere l ’indagine scientifica al m istero del creato, dalla contem plazione estetica della natura as­ surge peraltro alla illuminazione del pensiero, alla intuizione filo­ sofica: « P er la sua im m isurabile grandezza e per l ’infinita varietà e bellezza che ne traspare da ogni parte l ’universo ci colma di si­ lenzioso stupore». Se tu tta questa perfezione colpisce la fantasia, l ’intelletto dal canto suo riceve un altro genere di commozione quando considera come tanto splendore, tanta grandezza derivi da una singola legge universale, da u n ordine eterno ed e sa tto 17. Anche in Beethoven, come in K ant, la sensazione diviene in­ tuizione, la contem plazione trascende ad elevazione religiosa. «Egli riconosceva chiaram ente D io nell’universo, e l ’universo in D io » dice di lui Schindler. Nella realtà fenomenica Beethoven av­ vertiva infatti u n ’altra invisibile realtà che suggeriva, anzi im po­ neva alla sua ragione di pensare una intelligenza creatrice e prov­ vida: spirito e m ateria gli sembravano illum inarsi a vicenda, for­ m are un solo armonico tutto. Contem plando il creato Beethoven, iniziato da K ant, ne av­ verte la «finalità senza fine», ne intende la bellezza e il mistero: l ’esperienza della natura si fa in lui esperienza estetica e insieme metafisica. Anche Beethoven, come H ölderlin al tem po del suo giovanile entusiasm o kantiano, può godere dall’alto di un m onte l ’ampio cielo, la pace e il silenzio nella valle, sino a sentirsi com­ penetrato dalla dolcezza e dalla magnificenza che da lassù aveva abbracciato con lo sg u ard o 1S. In v irtù della m isteriosa presenza der Materialischen in den Planeten von dem Merkur an bis zum Uranus oder vielleicht noch über ihm (wofern noch andre Planeten sind) in einer richtigen Gradenfolge nach der Proportion ihrer Entfernung [von der Sonne] wachse und fortschreite» («Poi­ ché la perfezione delle nature [esseri] pensanti, l’agilità della loro immaginazione, la chiarezza e la vivacità delle loro idee, dovute alle impressioni esteriori, la facoltà di connetterle, la rapidità infine con cui esse la usano, in breve, tutta l’estensione della lo­ ro perfezione è sottomessa ad una certa regola, secondo la quale la perfezione di questi esseri aumenta in proporzione della distanza che li separa dal sole... poiché la perfezione del mondo spirituale come quella del mondo materiale, che vive sui pianeti, da Mercu­ rio sino ad Urano o forse anche sopra di lui - dato che vi siano altri pianeti - si sviluppa e cresce in rapporto diretto e proporzionale alla distanza dal sole»), Cfr. l e it z m a n n , II, pp. 258-59, nn. 116-19. 17 Cfr. R. a s s u n t o , P reparazione e c o n tin u a zio n e della « C ritic a d e l G iu d iz io » , in «Rivista di estetica», in, fase. 1 (gennaio-aprile 1958), pp. 57-84. 18 Cfr. H ö l d e r l i n , S ä m tlic h e W e r k e , Stuttgart 1954, VI, p. 124.

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di uri disegno intenzionale la natura gli si configura come arte ed egli studia di tradurne le immagini emotive in suoni. Uno schizzo della prima embrionale idea per l’Andante della Pastorale, in un taccuino del 1803, porta la scritta: «Murmeln der Bäche» («Mormorio dei ruscelli»), ma oltre che coglierne il ritmo scorrevole e l ’ondeggiante figurazione melodica, Beetho­ ven cerca di intonare la musica alla voce delle acque e ai suoi di­ versi registri: «Je grösser der Bach —je tiefer der Ton» («più grande il ruscello —piu profondo il suono») osserva, e trascrive quel motivo in chiave piu bassa. In uno Skizzenbuch del 1806, tra la tematica relativa alla Messa in do e alla Quarta Sinfonia, che egli andava allora componendo, vediamo inserirsi, quasi stu­ di dal vero, la formulazione musicale della voce del tuono (Don­ ner), del sibilo della tempesta (Sturm )19, come furono da lui inte­ si nella realtà fisica, simboli del suo tumulto interiore che rico­ nosceremo, tradotti in realtà pura, nella Sinfonia Pastorale da lui indicata quale «Erinnerung an das Landleben», ma ove il ricordo si eleva ad immagine della Natura eh’è rivelazione della Divini­ tà e sua glorificazione: « Ist es doch, als ob jeder Baum zu mir spräche auf dem Lande: Heilig, Heilig! Im W alde Entzücken! W er kann alles ausdrücken? » 1920 («È come se ogni albero nella campagna mi dicesse: Santo Santo! Incanto nella foresta! Chi può esprimere tutto [questo]? »). E quando la natura tace, gli re­ sta l ’ansia di poter riconoscere in essa almeno una eco del miste­ rioso linguaggio che sente risuonare confusamente in sé: «Geben doch, W älder, Bäume, Felsen den W iderhall, den der Mensch w ünscht»21(«Dànno, infatti, boschi, alberi, rocce, l’eco che l ’uo­ mo brama di intendere»). Per esprimere le sue vaghe emozioni il 19 Cfr. M . g . N O T T E B O H M , Z w e ite B e e th o v e n ia n a , Leipzig 1887, pp. S k iz z e n b u c h v o n B e e th o v e n aus d e m Jahre 1803, Leipzig 1880, p. 96.

370 sgg., e E in

20 Cfr. L E I T Z M A N N , II, p. 250, n. 69. Particolare interesse aveva suscitato in Bee­ thoven l’opera di Christian Sturm, B e tra c h tu n g e n ü b e r d ie W e r k e G o tte s im R e ic h e der N a tu r u n d d e r V o rs e h u n g (R iflessio n i su lle o p ere d i D io n e l regno della N a tu ra e della P ro v v id e n z a ) che figura tra i volumi della sua biblioteca (cfr. l e i t z m a n n , II, p. 380) e da cui egli aveva trascritto un passo riportato dal manoscritto Fischoff (cfr. ib id .,

p. 180). 21 Lettera di Beethoven a Teresa Malfatti (maggio 1810) in k a s t n e r ,

p.

165, n. 245.

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musicista si trovò nella necessità di dover rappresentare, di valer­ si cioè di immagini che riportassero per analogia a quella natura divenuta simbolo dell’emozione stessa, e ristabilire cosi il rap­ porto con l’esperienza esistenziale che il processo creativo rias­ sorbe totalmente in sé ed annulla. Nella Pastorale il discorso mu­ sicale si interrompe per lasciar intendere il canto degli uccelli, voce della foresta. Il flauto modula le note ribattute e il trillo del­ l ’usignolo; il clarinetto imita il verso del cuculo, l ’oboe il grido acuto della quaglia. Nell’improvviso silenzio di tutta l ’orchestra la citazione risuona solenne quasi a rivelare, isolati nella loro si­ gla sonora, gli artefici di quell’alta suggestione poetica. «Le qua­ glie, gli usignoli, i cuculi l’hanno composta con me» aveva detto Beethoven a Schindler indicandogli il luogo in cui aveva ideato quella sinfonia. In realtà il musicista non solo si compiace di contemplare ele­ vato a simbolo ciò che ebbe a suscitare la sua emozione, l’ogget­ to ispiratore, permettendoci cosi di penetrare nel momento au­ rorale della sua creazione poetica, ma intende rivelarci la spiri­ tualità della natura che con quelle voci esprime alla Divinità la sua lode. In quel tema dell’oboe infatti, tema che riconosciamo identico a quello da lui inserito nel Lied Oer W achtelschlag (Il canto della quaglia), è naturalmente implicito il «lobe G ott», il «liebe G ott» e il «danke G ott» («loda Iddio, ama Iddio, rin­ grazia Iddio») che in quel Lied gli si accompagna, e che ci per­ mette di accertare (rivelatore come il «Jesu adiuva» nei mano­ scritti di Bach) quale fosse l’intimo intendimento di Beethoven, il senso segreto di quella musica. Proiezione dell’immagine ed insieme suo riflesso emotivo, contemplazione estatica ed insieme attività rigorosamente vigi­ lata, evocazione della fantasia e insieme materia ordinata in una salda struttura formale, questa musica ci appare sussistere in sé conchiusa e indipendente, per la validità della sua concretezza so­ nora, come un vivente organismo, quasi si direbbe una creazione spontanea della natura. Sebbene Beethoven si compiaccia, nella Pastorale e altrove, di rendere manifesto ciò che si costituì in lui come centro poetico e

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talora insista nel volerlo determinare nei confronti dell’opera che da questo oggetto sembra derivare, ma che di tanto lo supera per averlo in sé totalmente riassorbito ed annullato, il musicista è nondimeno consapevole della precarietà di quel presunto rappor­ to, della illegittimità di quelle suggestive corrispondenze. «Jede Malerei, nachdem sie in der Instrumentalmusik zu weit getrie­ ben, verliert... W er auch nur je eine Idee vom Landleben erhal­ ten, kann sich ohne viele Überschriften selbst denken, was der Autor will. Auch ohne Beschreibung wird man das Ganze, wel­ ches mehr Empfindung als Tongemälde, erkennen»22(«Ogni pit­ tura, quando sia spinta troppo oltre nella musica strumentale, si perde... Anche chi ha soltanto una [vaga] idea della vita campe­ stre, può immaginarsi anche senza molte didascalie ciò che vuole l ’autore. Anche senza descrizione si riconoscerà il tutto piu come sensazione che come pittura»). Cosi egli aveva annotato in un taccuino del 1807. E precisando in testa alla partitura della Pa­ storale: «M ehr Ausdruck der Empfindung als Malerei» («Più espressione di sensazioni che pittura»), Beethoven intese netta­ mente differenziare la sua opera dalla Programmusik allora di moda, di cui è tipico esempio il Portrait musical de la nature, la sinfonia di J. H . Knecht ( 1784), illustrazione sonora di uno sche­ ma letterario non senza apparente affinità con quello della Sesta Sinfonia («Paesaggio idillico —Temporale —Canto di gratitudi­ ne della N atura al Creatore»). Se il Tongemälde trovava un presupposto nella esigenza po­ sta dallo Sturm und Drang di un «ritorno alla natura» intesa nel suo primitivo aspetto oggettivo, ispirato a Rousseau (il Rousseau dei Discours), l’espressione della Empfindung che Beethoven gli contrappone è in armonia con il pensiero di Kant, e stava a riaf­ fermare che il Bello (della natura) non può essere espresso che in termini soggettivi, che l’arte non consiste nell’imitare la natura, ma nell’attività spontanea del genio che la trae dal fondo di sé e la fa scaturire dalle emozioni che gli oggetti contemplati suscita­ no in lui. 22 Cfr. L E i T Z M A N N , II, p. 241, n. 4.

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«Pastoralsinfonie, keine Malerei, —egli ancora insiste a preci­ sare in un taccuino del 1808, —sondern worin die Empfindungen ausgedrückt sind, welche der Genuss des Landes im Menschen hervorbringt wobei einige Gefühle des Landlebens geschildert w erden»23(«Sinfonia pastorale, nessuna pittura, ma in cui sono espresse le sensazioni che suscita nell’uomo il piacere della cam­ pagna, e sono descritti alcuni sentimenti della vita campestre»), ove Beethoven sembra distinguere, appunto come fa Kant nella Crìtica del Giudizio, tra Empfindung e Gefühl, tra la sensazione intuitiva, suscitata dalla visione oggettiva del mondo esterno, e il sentimento valutativo dell’impressione soggettiva; ma anche qui è un distinguere per riunire. I l riflesso emotivo dell’immagine illum ina e tende a unificarsi con la proiezione defl’immagine stessa; la musica (in cui parim en­ ti si fondono spontaneità ed intenzionalità) tende a identificarsi con la natura spiritualm ente intesa, ove l ’uom o si immerge per rinascere ad una nuova p u rità di cuore. Plasm ata secondo un ideale modello dal genio, che sta ad essa come D io sta alla natura, la musica assume p er Beethoven u n piu profondo significato, ci eleva ad una visione p iù vasta, ad un piu universale sentire; perm ettendoci di intravedere in essa il se­ greto della creazione divina, essa e non la natura, la musica e non la filosofia, potrà rivelarci l ’essenza spirituale della Bellezza. Se l ’arte esprim e l ’aspetto reale e corporeo delle idee divine (la musica costituiva appunto p er Schelling un m om ento reale dell’arte), la storia apparirà quale un riflesso di questo divino, la sua incessante rivelazione. N el contesto delle vicende um ane, dal loro libero e talora confuso intrecciarsi, emerge un necessario de­ stino, si m anifesta lo spirito del m ondo. Q uesta concezione della storia a priori, interpretata alla luce dei p uri concetti (teoria che lo Schelling espone appunto nel Metodo degli studi accademici consigliato a Beethoven da Kanne), tendeva a considerare il suc23 Cfr. ibid., n. 5.

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cedersi degli eventi in funzione di un unico processo di svolgi­ mento, di un organico disegno che rivelava la presenza vigile e operante della Provvidenza. A questo principio di finalità e a questa universalità di intenti era ispirata anche u n ’opera cui Bee­ thoven mostra d ’interessarsi: la Storia della letteratura greca di O tfried Müller, concepita appunto come svolgimento di valori ideali, e che Kanne consiglia giudicandola «un lavoro eccellen­ te » 24. Lo stesso Quaderno registra un colloquio con Blöchlinger (il direttore del collegio ov’era internato il nipote), sulla W eltge­ schichte di Johann von Müller, nostalgicamente ispirata agli idea­ li di Rousseau. «In quest’opera —dice il suo interlocutore —vi so­ no vedute che non si trovano altrove e si può dire che vi sia con­ tenuta l ’essenza della storia universale». Beethoven annota allora sulla stessa pagina: «Vier u. zwanzig Bücher Allgemeiner Ge­ schichten besonders der Menschheit durch Johannes v. Müller. Tübingen 3*e Aufgabe 1817»2526(«ventiquattro volumi di storia universale, specialmente dell’umanità, di Johann von Müller, Tübingen, 3a edizione 1817»). Se la storia era allora deificata, era nondimeno fatta anche cen­ tro della realtà e del pensiero, per scorgervi il confluire in essa del divino e dell’umano. Questa idea di una filosofia della storia basata sulla formazione e sulla educazione dell’umanità era ap­ punto l ’elemento nuovo ed originale del pensiero di Herder, cui si ispira e si intitola la sua opera Auch eine Philosophie der Ge­ schichte. I ventiquattro volumi del Müller non sembrano bastare a Beethoven, che s’interessa ad altre storie universali: quella del Wikosch (Grundriss der allgemeinen Weltgeschichte) indicatagli dal nipote“, e quella del Pölitz (Handbuch der Weltgeschichte), che Blöchlinger definisce «molte chiacchiere senza consistenza». Non sono infatti gli eventi in se stessi (e ogni cronaca li riporta invariati) che interessano, ma i fili segreti che li coordinano e li rendono significanti, l’acume dello storico nello scoprirli, la sua 24 SCHÜNEMANN, I, p. 344. 25 Ibid., p. 335. 26 Cfr. Μ. I. w ik o sc h , Grundriss der Universalgeschichte, Wien 1812; e mann , II, p. 284.

schöne -

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perspicacia nel rendere manifesto il disegno divino che in essi sembra attuarsi. Penetrare nella storia era infatti per Beethoven, come per i suoi contemporanei, un modo di sentirsi nelle cose, d ’intenderne il fatale divenire, la superiore finalità, l’incessante lineare pro­ gresso a termine, che doveva approdare ad un messianico regno cui si guardava come a una terra promessa27. Non vi è limite alla sua curiosità, che spazia dalla Grecia antica e dall’antica Roma al­ la Germania del suo tem po28. Una curiosità che si estende alla storia globale dell’uomo, che tende a risalire alle epoche più re­ mote, come nelle cronache medioevali, per arrestarsi alla soglia del mistero e contemplare dietro di sé l’abisso del tempo. «Unsre Weltgeschichte wird 5816» («La nostra storia uni­ versale risale a 5816 anni») aveva annotato Beethoven in un tac­ cuino, e lo vediamo ritornare su questo pensiero, che doveva esercitare una profonda suggestione sulla sua fantasia. «5818 rechnet man unser Bewusstsein auf unserm Planeten»2930(«Si ri­ tiene che noi viviamo sul nostro pianeta da 5818 anni»). Di que­ sto interesse per la vita e le civiltà remote troviamo indizio in un Quaderno del 1820 in cui egli si annota l ’ubicazione di una rac­ colta di antichità egiziane, le ore in cui è dato visitarla, il prezzo d ’entrata e il nome di un agente della Cancelleria ungherese, Emerich Legrady, che possiede una mummia di T ebe”. Strana curiosità che potè essere suscitata in lui, lettore di Herder, dalle pagine della sua Filosofia della storia (Auch eine Philosophie der 27 Nei Quaderni di conversazione vediamo Beethoven interessarsi perché anche il nipote, ancora un ragazzo, potesse fruire, mediante una scelta adeguata, dell’ammaestra­ mento di tali storie o romanzi cosmogonici. Ve n’era infatti per tutti i gusti e le età. « Per la gioventù - consiglia Blöchlinger - la migliore è la S to ria u n ive rsa le del Becker continuata da Woltmann. Sono 8 volumi» (p ro d ’HOMME, p. 156). Un accenno ad un’al­ tra storia universale, quella dello Schröckh, è fatto nei Quaderni ai primi di gennaio del ’22 dal piccolo Gerhard von Breuning, che assiste Beethoven ammalato, ed è questo forse uno degli ultimi libri che egli ha letto {ib id ., p. 452). 28 Ai quattro volumi del L a b irin to d ella sto ria di Kuffner e ai quattro volumi di sto­ ria romana { A rte m id o r ) dello stesso autore vediamo aggiungersi la S to ria d e i T e d e sc h i di J. H. Voss, l’autore del poema D a s W o h lla u t (L ’E u fo n ia ) e di una traduzione di Omero, di cui si parla nei Quaderni di conversazione (p ro d ’hom m e, p. 398). 29 Dal manoscritto Fischoff. Cfr. leitzm a nn , II, p. 255, n. 84; p. 263, n. 159. 30 SCHÜNEMANN,

I, p.

l8 6 .

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Geschichte) sopra ricordata, ove l ’antico Egitto, considerato nella sua originalità e individualità storica, viene contrapposto, in polemica con il neo-ellenismo di Winckelmann, allo schemati­ co classicismo di una Grecia convenzionale e accademica3132.Ma di quell’antica civiltà egli non sentiva soltanto l ’attrazione quasi magica degli oggetti: sul suo tavolo di lavoro egli teneva incorni­ ciato il testo da lui ricopiato delle seguenti iscrizioni egiziane: « Ich bin was da ist. Ich bin alles was ist, was w ar und was sein wird. Kein sterbli­ cher Mensch hat meinen Schleier aufgehoben. E r ist einzig von ihm selbst, und diesem Einzigen sind alle Dinge ihr Dasein schuldig» 3\ Quanto i geroglifici andavano allora svelando dell’antica sag­ gezza affascinava gli spiriti e convalidava ipotesi già intraviste dalla filosofia e dalla scienza. Le piu disparate testimonianze sem­ bravano coordinarsi e formare, mediante la loro intima connes­ sione causale, un sol tutto, rivelare la verità che è una, rischiara­ re il mistero della destinazione umana. Il ritrovare la seconda di quelle frasi citate da Kant nella Critica del Giudizio lo riprova e conferma il comune anelito a riconoscere la Divinità nella sua pu­ ra essenza. Se nella prospettiva del tempo il passato appariva quale com­ piuta manifestazione dei disegni della provvidenza, l’intima for­ za operante, insita nell’evento presente, lasciava invece intraw edere il suo compimento ideale nel futuro. Era quanto vagheggia­ va anche il Fessier, autore del volume Ansichten von Religion und Kirchentum (Vedute sulla religione e sulla Chiesa) che la po­ lizia asburgica doveva confiscare tra i libri di Beethoven dopo la sua morte. Ma quella idea profetica della fondazione del regno di Dio sulla terra tra gli uomini di buona volontà, già auspicata da 31 «Den Buckligt[en] habe ich den Serapis aus Aegipt[en] geheissen» dice ad Oli­ va. «Wenn Sie wüssten, wass das wäre» («Ho chiamato Buckligten, il Serapis d’Egitto. Se voi sapeste cosa questo sarebbe»), Cfr. schünem ann , I, p. 137. 32 « Io sono colui che è. Io sono tutto ciò che è, che è stato e che sarà. Nessun mor­ tale ha sollevato il mio velo. Egli è l’unico, da se stesso generato, e a questo unico tutte le cose devono la loro esistenza». Cfr. A. Schindler , Biographie von L. van Beethoven, Münster 1840, e leitzm ann , II, p. 266, n. 182.

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Kant, Beethoven l ’aveva solennemente celebrata nel Finale della Nona Sinfonia, ove si esalta il regno della fraternità umana, la vittoria delPuomo su ciò che fisicamente e moralmente l ’oppri­ me, la sua vittoria sulla tirannide politica e su quella delle passio­ ni, la sua libertà. Con la Nona Sinfonia, è come se egli, anzi la musica, uscisse appunto dall’ambito della esperienza personale e dei sentimenti privati, per abbracciare una visione più ampia in cui gli ideali non siano vane ombre, soggettivo riflesso dei deside­ ri, ma vengano affermati e riconosciuti come oggettivamente va­ lidi. «Quando di diversi uomini ciascuno ha il suo proprio mon­ do, —aveva detto Kant, —è da presumere che essi sognino». S’im­ poneva pertanto di uscire dal chiuso mondo individuale per en­ trare in uno piu vasto, di ritrovare il mondo comune di chi veglia. M entre vengono ripudiate le vane immaginazioni metafisiche e i sogni individuali, sorge imperioso il bisogno di reintegrare prati­ camente quei valori di cui ci viene negato il pieno e convincente possesso ideale. Sarà ora il cuore a dare norma alla ragione, a gui­ dare l ’uomo senza incertezza mediante le leggi morali insite in lui, verso i suoi veri fini. La legge dell’amore stringerà tra loro gli uomini come la legge della gravitazione stringe insieme gli esseri dell’universo fisico, ma secondo un ordine anche piu alto e mira­ bile perché non determinato da cieca necessità bensì da libera elezione. Froh, wie seine Sonnen fliegen durch des Himmels prächt’ gen Plan laufet, Brüder, eure Bahn freudig wie ein Held zum Siegen33.

L ’immagine kantiana sembra trovare riflesso in questi versi dell’ode Alla Gioia di Schiller, cantata da Beethoven, ove il poe­ ta e il musicista invitano gli uomini a percorrere gioiosi come gli astri nel cielo il loro cammino, in un mondo in cui la verità sia ac­ cordata col senso e la legge risponda alla libera elezione dell’a­ nima. 33 «Gioiosi come volano i soli dell’Altissimo nella volta splendida del cielo, se­ guite, o fratelli, la vostra strada; gioiosi come un eroe cammina alla vittoria ».

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Il nuovo regno, vagheggiato dai romantici come una nuova età dell’oro, se significava affermazione della libertà e della fra­ ternità umana, esaltazione di tutti i valori dello spirito, appariva nondimeno quale ritorno agli ideali della Grecia antica. R itorno al passato considerato come un progresso, quasi che immergendosi in u n ’epoca priva dei contrasti storici e sociali in cui allora ci si dibatteva, questi potessero in essa annullarsi o ar­ m oniosam ente risolversi. Il diffuso umanesimo, mirante alla riconquista della integrità dell’uomo, poneva i poeti, i filosofi e i tragici greci quali modelli supremi e auspicava l’avvento dello «stato di natura», non inteso come primitiva, selvaggia barbarie, ma come mitica Arcadia in cui la natura divinizzata si identificava con l’Ideale («Ideale è ciò che è N atura» diceva Hölderlin) ed in cui l ’uomo, in accordo pie­ no con la società, avrebbe potuto attuare quella armonia degli spiriti che, per il poeta di Hyperion, avrebbe segnato l ’inizio «di una nuova storia del mondo», di un rinnovamento della umanità. Esprimere questo anelito significò per Beethoven partecipare al grande movimento spirituale allora in atto, assolvere nel modo più alto il suo dovere di artista. Anche per lui la Grecia divenne simbolo di quei valori che già avevano trovato in essa storica realtà, e di questa Grecia gli sarà guida un libro allora famoso: Le voyage du jeune Anacharsis, dell’abate Jean-Jacques Barthé­ lemy, libro di cui egli si annota in un Quaderno di conversazione del 1819 l’indicazione bibliografica della traduzione tedesca del Biester: «Anacharsis reisen etc. 7 theile Komplet. Schrämblische Auflage 16 fl.» ’. 1 SCHÜNEMANN,

I, p .

50.

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Era tutto un mondo che la poesia e la cultura di quel tempo andavano riscoprendo con l’entusiasmo degli antichi umanisti, facendone oggetto di adorazione romantica, e la grande diffusio­ ne di quel libro sta a testimoniare quanto fosse viva, tra i con­ temporanei di Winckelmann, di H erder e di Goethe, la tendenza a rivivere Vethos greco, a intendere la grecità come sintesi armo­ nica di elementi politici e civili, di patria e di natura, di libertà individuali e nazionali. L ’attualità perenne di questo antico ideale era cosi vivamen­ te sentita anche da Beethoven da auspicarne il concreto inverar­ si nel suo tempo. Imbevuto delle teorie esposte da Platone nella Repubblica, egli avrebbe voluto, come riferisce Schindler, che il mondo fosse retto da quei principi, e si era acceso di entusiasmo per Napoleo­ ne credendo di ravvisare in lui l ’eroe che avrebbe attuato in Fran­ cia l’utopia politica di quel filosofo, condizione e principio «zu einem allgemeinen W eltglück» \ di una felicità universale. Ma la grecità doveva esercitare un ’influenza ed un fascino piu intimi, immediati e diretti sul suo animo, se egli afferma di aver assunto Socrate come modello del suo pratico operare \ se si com­ piace immedesimarsi in Ulisse, se si riconosce nei suoi dolori e cerca come quel saggio di aiutarsi per non soccombere («W ie der weise Odysseus weiss ich mir auch zu helfen»)4. Omero è il suo poeta preferito e l’Odissea la poesia in cui il suo spirito trova una misteriosa affinità, una profonda rispondenza che lo dispongono al canto5. L ’esemplare da lui posseduto del poema, nella traduzione te­ desca del Voss, conserva traccia dei segni di matita con cui Bee­ thoven soleva isolare dal contesto i passi che gli sembravano piu 2 Cfr.

Sc

h in d l e r

,

Biographie von L. van Beethoven cit., p. 56.

3 SCHÜNEMANN, I, p .

208.

4 Lettera al nipote del 4 ottobre 1825. Cfr. k a s t n e r , p. 792, n. 1347. 5 In un suo taccuino è l’abbozzo di un Canone su testo dell’Odissea: «Kanon aus der Odyssee 5; "Und die rosige Frühe entstieg des edlen Tithonos Lager und brachte das Licht den Göttern und sterblichen Menschen” » («E la rosea Aurora, sorgendo dal giaciglio del nobile Titone, portava la luce agli dei e ai mortali»). Cfr. M. G. nottebohm , Zweite Beethoveniana, Leipzig 1887, p. 328.

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vivamente riflettere il suo sentire6; ora per riecheggiare la voce stessa del suo dolore: Mein Herz im Busen ist längst zum Leiden gehärtet, denn ich habe schon vieles erlebt, schon vieles erduldet

« Il mio cuore è da tempo indurito alla sofferenza, poiché ha già molto vissuto, già molto sopportato»; ora per riconoscersi nel­ l ’eroe, che piange ascoltando il racconto della propria leggenda, quasi contemplasse l ’immagine della sua miseria, evocata dal can­ to dell’aedo: Dieses sang der berühmte Dämodokos. Aber Odysseus schmolz in Wehmut, Tränen benetzten ihm Wimper und Wangen

«Questo cantò il famoso Demodoco. Ma Odisseo si struggeva in mestizia, e lacrime gli bagnavano le ciglia e le guance»; ora per racchiudere la visione della felicità a lui negata, la nostalgia di quell 'amor coniugale che, come indica il sottotitolo della sua Leonora, gli si era costituito quale fonte d ’ispirazione: ... Denn nichts ist besser und wünschenswerter auf Erden als wenn Mann und Weib, in herzlicher Liebe vereinigt, ruhig ihr Haus verwalten...

«...poiché niente è piu bello né piu invidiabile sulla terra che uomo e donna, uniti da meraviglioso amore, reggere in pace la loro casa...» Beethoven non si compiace soltanto di riconoscere i propri sentimenti riflessi nello specchio trasfiguratore di quella poesia, ma aspira a penetrarne il senso profondo, a intenderne le oscure 6 Ai cinquanta e piu passi sottolineati da Beethoven nel suo volume dell Odissea so­ no da aggiungere le due citazioni dell’Iliade (XXII, 103; XXIV, 49) trascritte nel mano­ scritto Fischofi da suoi taccuini ora perduti. Vedine il testo in leitzm a n n , II, p. 248, n. 39, e p. 246, n. 37. Schindler informa che nella biblioteca di Beethoven si trovavano gli «ältesten Freunde und Lehrer aus Hellas» («i suoi piu antichi amici e maestri della Grecia»): Plutarco, Platone, Aristotele, e «andre derlei Gäste» («ed altri simili ospi­ ti»), Di questi soltanto l’esemplare citato dell’Odissea fa tuttora parte del gruppo dei li­ bri già appartenuti a Beethoven e conservati nella biblioteca di Berlino. Il manoscritto Fischofi riporta anche due sue citazioni di Plutarco: cfr. leitzm a nn , II, p. 238, n. 107 e p. 263, n. 162.

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allusioni, e cerca una guida a questo suo studio nell’opera esege­ tica di Johann J. Koppen, di cui prende nota in un Quaderno di conversazione del marzo 1820: «erklärende Anmerkungen zum Homeer —6 Bde, i n, 2n, 3" Bds. 3*e Auflage —4“ u. 3” Bandes 2,e auflage. 8 —Hannover in der Hahnschen H of Buchhandlung. — 6 T h lr» 7. Il suo interesse non si limita ad Omero ma si estende a tutti i «classici antichi», di cui, com’egli annota nei suoi Quaderni, è apparsa «una nuova e notevole edizione» presso la libreria uni­ versitaria di Franz H ärter («bei H ärter eine Merkwürdige neue Ausgabe alter classiker, zu erfragen auf Supscription —von Stutt­ garter gelehrten nach Freiung den ältesten seltensten Editio­ n e n » )8*. La precisione e la frequenza delle citazioni di libri nei Quader­ ni di conversazione rivela, latente in lui, la passione del bibliofi­ lo, sensibile al fascino di quelle «ältesten seltensten Editionen» («delle edizioni piu antiche e rarissime») dei classici, di cui si propone di assumere informazioni e che desidera poter acqui­ stare. E non sarà certo per la rarità del testo, ma piuttosto per l’amo­ re del bel libro che (come apprendiamo da un suo appunto in un Quaderno del marzo 1820) cercherà «beim Antiquar, in der Cur­ rentgasse, hinter der Oberjesuitenkirche», presso un antiquario nella Currentgasse, i «Xenophons Reden u. Thaten des Sokra­ tes», i Memorabili di Senofonte \ Commuove questa amorosa insistenza di voler penetrare in un m ondo che gli appare quale paradiso perduto dell’um anità, sim­ bolo del suo felice passato e del suo felice futuro, la patria ideale cui tu tti gli spiriti anelano. N on c’è cosa per lui piu nobile e piu degna di essere studiata ed amata del greco, lingua degli dei, di cui si compiace di contem ­ plare ammirato i caratteri p er lui m uti, tracciati in un Q uaderno 7 Cfr. SCHÜNEMANN, II, p. 120. 8 Cfr. ibid,, p. 218. 5 Cfr. ibid,, I, p. 312.

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di conversazione del 1823 dal nipote Karl, quasi fossero l ’ideo­ gramma della immagine omerica racchiusa in quelle parole: νήσω έν άμφιρύτη “ («nell’isola bagnata dal mare»). Scrivendo a Goethe l’8 febbraio di quello stesso anno Bee­ thoven si vanta di avere un nipote sedicenne «in den reichen Schriften der Griechheit schon ganz zu H au se» 11(«già familiare con i ricchi testi della grecità»), e i Quaderni ci ragguagliano sui graduali progressi del ragazzo. «Tra sei mesi egli [Karl] comincerà a leggere Omero in greco» annunciava nel marzo 1820 Blöchlinger a Beethoven, mentre nel settembre di quell’anno Oliva lo informa che Karl nelle ultime tre settimane ha tradotto centodie­ ci versi di Omero al giorno 102. Poco dopo ascoltiamo lo stesso ni­ pote renderlo partecipe del mondo che va scoprendo con giova­ nile entusiasmo, tradurgli un epigramma: II viandante e la statua del Tempo, e delle epigrafi: «Tra tutte le iscrizioni tombali ve n ’è una che preferisco: "Q ui dorme... poiché il buono non muore m ai”. Questa su Omero è anche bella: " Se Omero è un dio ono­ ratelo tra gli dei, se egli non è che un mortale, innalzatelo al ran­ go degli dei ” » 1314. I Quaderni del 1823 ci mostrano il ragazzo già in grado di leg­ gere i tragici greci: «L ’edizione di Sofocle è già stata ordinata ma non è ancora arrivata; io leggo intanto il Prometeo di Eschilo» Vediamo Beethoven incoraggiarlo nello studio, seguire amorosamente i suoi progressi, procurargli solerte nuovi libri («A risti­ des u. Themistocles für Karl» si appunta in un Q uaderno)15, compiacersi della conquista della lingua, che consente «di pene­ trare nello spirito dell’antichità»16. 10 O d issea , I, 50 e 198. Cfr. s c h ü n e m a n n , III, p. 289. 11 KASTNER, p. 639, n. 1070. u SCHÜNEMANN, I, p. 334; II, p. 23I. 13 I b id ., II, pp. 299-300. 14 I b id ., I li, p. 187. 15 Pochi giorni dopo, ai primi di maggio del ’23, Karl accenna nuovamente al testo di Sofocle: «Gestern hat mir mein Lehrer dieselbe Ausgabe v. Sophocles gebracht, die jetzt die beste ist, und bey Schaumburg 30 f. C. M. kostet, für 13 f. W W. gekauft». Cfr. SCHÜNEMANN, III, p. 20Ô. 16 Poche pagine dopo Karl cita la traduzione d e ll’Ilia d e dello Stolberg, « che è però piu vecchia di quella del Voss» posseduta da Beethoven. Cfr. s c h ü n e m a n n , III, p. 209.

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E un paterno orgoglio traspare dalle parole con cui egli pre­ senta il nipote al musicista inglese Edward Schulz: «Sie können ihm ein Rätsel auf Griechisch aufgeben, wenn Sie w ollen»17189(«Se volete potete porgli un enigma in greco»). Il giovane, novello Edipo, sarebbe stato in grado di scioglierlo: per lui quella lingua non aveva segreti. La Grecia sembra attrarre su di sé tutto il suo interesse per il mondo antico; solo incidentalmente si parla nei Quaderni di let­ teratura latina e di Roma. H ohler accenna, durante una conversa­ zione del febbraio 1823, alle sue edizioni del De bello civili, dell ’Eneide'* e Kuffner, nel ’26, cerca di interessarlo alla sua opera sui Romani, Artemidor, in sei volumi, che promette di portare a Beethoven, ma dopo di essersi accertato che egli li avrebbe letti; e forse per scuotere la sua indifferenza aggiunge: «M olti grandi fatti della storia offrono materia di sviluppo. Ma la nostra epoca è troppo meschina, e il piccolo non ama il grande» Nelle ultime pagine dei Quaderni vediamo Gerhard von Breuning offrirsi di procurargli incisioni di antichità greco-romane e piace supporre che i suoi occhi, prima di spegnersi, si siano anco­ ra una volta posati su di una immagine di classica bellezza. Il barone di Trémont, ricordando nelle sue Memorie rincon­ tro con Beethoven a Vienna nel 1808 scrive: « L ’isolement de son célibat, sa surdité, ses séjours à la campagne, l ’avaient fait se livrer a l ’étude des auteurs grecs et latins et avec enthousiasme à celle de Shakespeare»2021,«le poète de prédilection», le cui opere, testimonia Schindler, egli conosceva come le proprie partiture I Quaderni di conversazione ce lo presentano, un giorno di 17 Cfr. T h ay e r, L. va n B e e th o v e n s L e b e n cit., IV, ρ. 457. 18 SCHÜNEMANN, II, p. 374. 19 p r o d 'hom m e, ρ. 399. Tra i suoi libri, già custoditi nella biblioteca di Berlino, figura un volume delle E p is to le di Cicerone con note e traduzione tedesca (cfr. l e i t z m ann, II, p. 383). In un Quaderno dell’aprile 1820 annota: «Bey Fridrich Stilke obe­ re Bäckestrasse N. n o . Ciceronis M. F. de officiis libri très etc. bearbeitet von Degen 1820... Sehr vermehrte u. verbesserte auflage». Cfr. sc h ü n e m a n n , II, p. 51. 20 Cfr. g iro d de viENNEY, b a ro n de t r é m o n t , S o u v e n irs , manoscritto alla Biblio­ teca Nazionale di Parigi, e p ro d ' hom m e, B e e th o v e n , Paris 1947, p. 53. 21 S c h in d le r, B io g ra p h ie v o n L . van B e e th o v e n cit., pp. 261-66.

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fine giugno del 18 2 3, intento a quella lettura, interrotta dal nipo­ te Karl che chiede: «Ti piace II mercante di Venezia? » 22. Alla domanda, anziché la pagina del Quaderno, rispondono con muta eloquenza i grossi segni di matita, che sottolineano i passi da lui piu ammirati di quell’opera nel volume che stava al­ lora leggendo e che era conservato nella biblioteca di Berlino. «Date troppa importanza alle cose del mondo. Ciò che si acquista con troppa cura si perde», ammonisce uno di quei passi2324che su­ scitano il suo intimo consenso. Ma tra questi il preferito, per tro­ vare più profonda eco nel suo animo, doveva essere il dialogo tra Gessica e Lorenzo che si conchiude con i famosi versi sottolineati da Beethoven: The man that hath no music in himself nor is not mov’d with concord of sweet sounds is fit for treasons, stratagems and spoils; the motions of his spirit are dull as night and his affections dark as Erebus ”.

«È per Shakespeare e per Calderon che Beethoven avrebbe dovuto scrivere» aveva auspicato Hoffmann commentando l’O u­ verture Coriolano, ispirata non dalla tragedia di Shakespeare ma da quella omonima e del tutto indipendente di Collin. Di questo poeta, già ammirato in giovinezza, Beethoven con­ tinua ad interessarsi e forse cerca ancora ispirazione nelle sue opere, che richiede gli vengano portate da Vienna ad Hetzen­ dorf, ove si trova in villeggiatura, come è dato arguire dalla se22 SCHÜNEMANN, III, p. 311.

22 « You have too much respect upon the world: they lose it that do buy it with much care». S h a k e sp e a re , T h e M e rc h a n t o f V e n ic e , atto I, scena i, vv. 74-75. 24 « L’uomo che non ha musica in sé e che non è commosso daU’armonia dei dolci suoni, è nato per il tradimento, per i raggiri e per le rapine. I moti del suo spirito sono foschi come la notte, ed i suoi appetiti oscuri come l’Èrebo»; S h a k e sp e a re , T h e M e r­ c h a n t o f V e n ic e , atto V, scena 1, vv. 83-87. Il testo della traduzione delle opere di Shake­ speare posseduto da Beethoven era quello in prosa dello Eschenburg e non, come ci si sarebbe potuto attendere, quello in versi di Schlegel, da lui citato in una lettera dell’a­ prile 1810 a Teresa Malfatti («Haben sie... den von Schlegel übersetzten Shakespea­ re? »): ma che secondo quanto riferisce Schindler egli giudicava «steif, gezwungen und stellenweise zu abweichend». Dello Schlegel tuttavia egli possedeva la traduzione del­ la T e m p e sta . Cfr. le itz m a n n , II, pp. 377 e 380.

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guente frase del nipote Karl in un Quaderno del maggio 1823: « Io non posso portare con me la prima parte della tragedia di Collin. La porterò la prossima domenica»25. Ben piu che dal romantico Grillparzer, l ’autore della fiaba del­ la Melusina, che in quei giorni avrebbe dovuto decidersi a musi­ care, Beethoven si sentiva attratto da Collin per congenialità di sentimenti e per comunanza di ideali. L ’eroismo sfortunato del suo Coriolano, che lotta per la libertà contro forze avverse, cui l ’eroe soccombe ma non l’idea destinata a trionfare, era il genero­ so tema esaltato dallo Sturm und Drang, l ’ideale ispiratore dei drammi di Schiller, alla cui nobile luce Beethoven intese e inter­ pretò YEgmont di Goethe. «Schiller e Beethoven. Questi nomi sono degni di stare l’uno accanto all’altro» scrive nei Quaderni di conversazione il dottor Bach, consigliando Beethoven a musicare il Fiesco Il nome di Schiller ricorre di frequente nei Quaderni, oggetto di venerazione e di ammirazione da parte di Beethoven e della sua cerchia, ma non è dato poter cogliere di quei discorsi molto piu dell’enunciazione del tema. Di particolare interesse sarebbe poter ricostruire nella sua interezza il dialogo frammentario in cui Beethoven, sostenuta la legittimità per l’artista di ricercare il successo (lo rivela il suo interlocutore, il poeta Grillparzer, non senza intenzione polemica: «Voi volete dire che il successo sa­ rebbe lo scopo supremo verso cui si tende»)27, sembra portare il discorso sui drammi di Schiller, evidentemente citati da lui come esempio di effetti teatrali sapientemente calcolati e di efficace rettorica. «Talvolta ottiene tuttavia una certa gioia nella rappresen­ tazione» riconosce Grillparzer, che in quegli arditi giochi del­ l ’immaginazione tendeva a scorgere una superiore abilità scenica, un perfezionamento dei mezzi tecnici adottati «evidentemente solo per allontanarsi dalla rozzezza dei suoi contemporanei» Talora il nome di Schiller è contrapposto a quello di Goethe, 25 SCHÜNEMANN, II, p. 267.

26 Vedi sopra p. 51. 27 SCHÜNEMANN, III, p. 396. 28 I b id ., p. 100. IO

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per l ’inevitabile confronto di prammatica. «H o già letto molto di Goethe, è magnifico —ma piu per l ’intelletto, mentre Schiller è per l ’intelletto e per il cuore», dice il nipote durante una conver­ sazione del marzo 1823, ed aggiunge: «Si dice che egli sia morto dal desiderio della vita eterna», parole che sembrano suggerite dai versi di Das Ideal und das Leben : Fliehet aus dem engen, dumpfen Leben in des Ideales Reich!29

«Fuggite dalla vita angusta e soffocata nel regno dell’Ideale!»; esortazione rivolta dal poeta prima che ad altri a se stesso. « Schiller ha preteso un giorno —dice Kuffner a Beethoven di aver estorto alla morte, mediante lo spirito, il suo po tere» 30. Anche Holz si cimenta, in un’altra pagina dei Quaderni, nel paragone, ossessione del tempo, tra i due poeti, e sentenzia: «Io direi che Goethe si è forse abbassato verso gli uomini, mentre Schiller si è elevato al di sopra». La bilancia pende anche qui in favore di Schiller, cui va tutta la simpatia di Beethoven: «Goe­ the è piu. egoista» si afferma in una precedente conversazione31a conclusione del consueto confronto. « I tedeschi si accapigliano —diceva Goethe - per sapere chi di Schiller o di me è il piu grande. Essi dovrebbero rallegrar­ si di avere due gagliardi come noi su cui poter discutere». Ma erano stati questi stessi poeti a rivelare l’antitesi delle loro posizioni ideali, la grande differenza esistente tra l ’uno «che cer­ ca il particolare nel generale», e l’altro che «vede il generale nel particolare» (il realismo umanistico illuminista di Goethe); ed è questa precisa distinzione di Goethe (Sentenze in prosa) che rico­ nosciamo riflettersi, se pur ridotta a formula corrente, nell’imma­ gine di Holz. Pur nei brevi e frammentari accenni, il nome di Goethe, con­ fronti a parte, domina sovrano nei Quaderni. Anche un suo devv. 29-30. 30 PROD’ HOMME,

31 I b id ., p. 428.

p. 399.

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trattore («G oethe non dovrebbe piu scrivere, gli succederà come ai cantanti») è costretto a riconoscerne la supremazia: «Egli re­ sta, malgrado tutto, il primo poeta tedesco». Lo si cita come la massima e indiscussa autorità, si beve nelle riunioni alla sua sa­ lute, si parla delle sue opere, che Beethoven possedeva ed ammi­ rava 3\ Il Faust viene riconosciuto da lui come l ’opera la piu su­ blime, quella che egli vorrebbe scrivere: « So hoffe ich endlich zu schreiben, was mir u. der Kunst das Höchste ist - F au st» 323(«Co­ si io spero di scrivere finalmente ciò che per me e per l’arte è la cosa più alta: Faust»). Anche gli amici insistono perché egli si valga per il suo nuovo lavoro teatrale di un testo di Goethe. Dai Quaderni di conversazione apprendiamo che Beethoven si era in­ fatti proposto di musicare Claudina di Villabella, dando l’incari­ co a Kanne di apportarvi alcune modifiche per l’adattamento a li­ bretto, ma questi rifiuta non osando «m etter mano ad u n ’opera di G oethe»34. E se Kanne erroneamente cita il Meister in luogo di Dichtung und W ahrheit («G oethe ha lanciato l’idea nel suo W ilhelm Meister di una traduzione di Omero in prosa. Una tra­ duzione di questo genere è apparsa utilizzando quella del Voss e l ’autore [Zamper] ha ricevuto le felicitazioni di G oethe»)35, dà un giudizio deli’Hermann und Dorothea («La Louise di Voss è anteriore all’Ermanno e Dorotea. La Louise è piu tenera e ama­ bile, ma l ’Ermanno ha per sé la tendenza elevata... ») che non dif­ ferisce sostanzialmente da quello dato da Schiller («L ’Ermanno , e precisamente per la sua forma poetica, ci trasporta nel mondo divino dei poeti, mentre il Meister non mi lascia mai uscire del tutto dal mondo reale... » ) Beethoven aveva conosciuto Goethe a Teplitz nel luglio del 32 Oltre ai ventiquattro volumi delle S ä m tlic h e S c h r ifte n di Goethe (Wien 1811), l’inventario della biblioteca di Beethoven comprende un esemplare del W e stö stlic h e r D iv a n con numerosi passi da lui sottolineati (cfr. le itz m a n n , II, pp. 380 e 382). 33 SCHÜNEMANN, III, p. I49. 34 p ro d ’h o m m e , p. 391. Già nel 1790-91 Beethoven aveva tratto dalla prima versio­ ne del Singspiel C la u d in a d i V illa b ella , il testo di un’aria per basso e orchestra, M i t M ä ­ d e ln sich vertra g en . Cfr. g. b ia m o n ti, C atalogo cronologico d i t u tt e le m u sic h e d i B ee ­ th o v e n , Roma 1 9 5 1 , 1, p. 49. 35 PROD' HOMME, p. 398.

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1812: in quei giorni memorabili i due grandi spiriti si sentirono attratti l ’uno verso l ’altro, e se Beethoven non potrà dimenticare «die glücklichen... Stunden» “, le ore felici vissute vicino al poe­ ta, questi riportò dall’incontro col musicista la piu profonda im­ pressione: «Zusammengefasster, energischer, inniger habe ich noch keinen Künstler gesehen» («Non ho sino ad ora mai visto un artista piu potentemente concentrato, più energico, piu pro­ fondo») aveva scritto alla moglie”. Il suo talento lo aveva riem­ pito di stupore, ma la sua personalità gli appare completamente sfrenata (ungebändigte) 3678, e chi conosce Goethe sa come sulle sue labbra quella parola significhi condanna. L ’unico riferimento ai rapporti personali di Beethoven col poeta è dato nei Quaderni di conversazione dalla intestazione della lettera sopracitata a Goe­ the, compilata con l’aiuto di Schindler, in osservanza alle qualifi­ che e ai titoli che spettavano all’illustre destinatario. «Ich werde schreiben - conchiude Schindler —an Se Exc. den H r. geheimen Rath V. G. in W .» 3940(«Scriverò - a Sua Eccellenza il Consigliere Segreto ducale von Goethe in W eimar»). In questa lettera Beethoven, richiamandosi a quella geniale collaborazione artistica che avrebbe dovuto costituire, ben più del loro fuggevole incontro, un saldo e durevole vincolo («Spero avrà ricevuto la dedica a V. E. di Meeresstille und glückliche Fahrt, musicata da me. Q uanto gradirei sapere se ho ben legato la mia armonia alla sua!... Presto verranno forse alla luce delle sue poesie... da me musicate, tra cui Rastlose Liebe “. Q uanto amerei soprattutto una osservazione generica sul com porre o m ettere in musica le sue poesie!»), lo prega perché voglia interessare il G randuca di W eim ar a sottoscrivere l ’acquisto di u n esemplare m anoscritto della sua Missa Solemnis, che non «vuole ancora stam pare, ma che è destinata soltanto alle maggiori corti». E a 36 Beethoven a Goethe, 8 febbraio 1823. Cfr. kastner , p. 639, n. 1070. 37 Goethe a Christiana, 19 luglio 18x2. 38 Goethe a Zelter, 2 settembre 18x2. 39 SCHÜNEMANN, II, p. 395. 40 II progetto di musicare la lirica Rastlose Liebe (di cui esiste un abbozzo che risale al 1800 circa) fu poi abbandonato da Beethoven.

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giustificare la richiesta non esita a confidargli umilmente lo stato di infermità e di miseria in cui vive: «Le mie risorse sono incon­ sistenti» («M ein Gehalt ist ohne Gehalt»). «La mia infermità da molti anni non mi permette di compiere viaggi artistici e soprat­ tutto di intraprendere ciò che porta al guadagno. Se potessi ria­ vere la mia piena salute, potrei allora attendermi qualche altro maggiore vantaggio.... La venerazione, l’amore, l ’alta stima che io avevo negli anni giovanili per l’unico, per l’immortale Goethe, sono rimasti sempre in me. Questo non può essere espresso a pa­ role specialmente da un imbrattacarte quale sono io, che ha sem­ pre e soltanto pensato a padroneggiare i suoni... Ma un sentimen­ to particolare mi spinge sempre a dirle tante cose mentre vivo nei suoi scritti. —Lo so, lei non mancherà di adoprarsi per un ar­ tista, che... il bisogno costringe a lavorare anche per altri... La vi­ sione del bene ci sta sempre dinanzi agli occhi, cosi so che Vostra Eccellenza non respingerà la mia domanda. Alcune sue parole diffonderebbero in me un senso di beatitudine». L ’atteso conforto di quelle parole non giunse mai a Beetho­ ven: la lettera restò senza risposta e in quel silenzio naufragò la loro amicizia Altri nomi strettamente legati a quello di Goethe o apparte­ nenti alla sua cerchia: Bettina Brentano, Clemens Brentano, Varnhagen von Ense, testimoni e compagni degli anni eroici, ap­ paiono citati fugacemente nelle pagine dei Quaderni di conversa­ zione, ad evocare glorie già dimenticate, entusiasmi già spenti, e a rischiarare, come lampi, la notte del passato“. Nomi legati alla leggenda che il loro stesso quasi mistico fervore ha creata e che ancora avvolge la persona e l’opera di Beethoven in un alone ro­ mantico. Bettina e Clemens Brentano, Varnhagen von Ense furo­ no infatti i primi che, con Hoffmann, riconobbero in lui «il mae­ stro dell’arte profonda» che schiude con la sua musica un nuovo 412 41 In un Quaderno di conversazione del giugno di quell’anno Beethoven annota: «Schindler - Goethe verlangen» («Schindler - chiedere di Goethe»), Cfr. schüne m ann , III, p. 308. Goethe si era ammalato alla fine di febbraio. La lettera di Beethoven fu ritrovata nell’archivio del poeta a Weimar. 42 SCHÜNEMANN, I, p. 44; III, p. I08.

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cielo allo spirito dell’uomo, che rivela la presenza del divino nel creato. Questa concezione irrazionale e fantastica della musica, che dalla imitazione della natura viene riportata alla suggestiva mi­ stica dei suoni, se sarà caratteristica dell’estetica romantica, tro­ va sua radice e sostegno in scrittori e filosofi dello Sturm und Drang, quali, tra gli altri, H erder e Schubart, ben noti entrambi a Beethoven. Numerose citazioni conservateci nel manoscritto Fischoff ri­ sultano infatti tratte da H erder, le cui opere il pittore August von Kloeber aveva veduto unitamente a quelle di Goethe in casa di Beethoven, quando vi si recò nel 1818 per fargli un ritratto 43 e per la testimonianza di Schindler sappiamo che egli aveva tra i suoi libri le Ideen zu einer Aesthetik der Tonkunst ( Idee per una estetica della musica) di Schubart44. Per entrambi questi autori la musica, di essenza divina, ci ini­ zia ai misteri di un mondo superiore, è linguaggio dell’emozione, espressione diretta del sentimento. Ma se dagli scritti del primo egli potè prendere piu chiara coscienza dei compiti che la nazione affidava agli artisti, di assurgere cioè, mediante la piena afferma­ zione del carattere nazionale, all’universale, e trarre forse lo spunto di quella sua idea di comporre u n ’opera in cui si fondes­ sero insieme la sinfonia, il melodramma e la cantata con coro, nel­ le teorie del secondo egli sembra trovare una convalida al princi­ pio dell’ethos sonoro, secondo cui ogni tonalità sarebbe dotata di un particolare significato espressivo. E non parve casuale alla cri­ tica del tempo che all’inizio dell’Oratorio Cristo sul monte degli ulivi Beethoven avesse scelto la tonalità di mi bemolle minore, cui era stato attribuito da Schubart, nella sua estetica dei suoni, un consimile carattere lamentoso e dolente45. 43 Cfr. LEITZMANN, I, pp. 217-I9. 44 Cfr. ibid., II, p. 379. 45 Vedi nella «Allgemeine musikalische Zeitung», xiv, Leipzig 1812, n. 1, coll. 1 sgg. e n. 2, coll. 17 sgg., la critica dell’Oratorio di Beethoven, attribuita all’HoSmann, e precisamente il seguente passo relativo alla tonalità di mi bem. minore·. «Tonart, von welcher Schubart (Charakteristik d e r T ö n e ) in seiner energischen Sprache bemerkte, wenn Gespenster reden könnten, so müssten sie aus dieser Tonart, mit ihren frostig

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Quegli amici, quegli scrittori e filosofi si erano fatti paladini dell’invisibile regno deU’armonia di cui Beethoven era ricono­ sciuto sacerdote, mago e sovrano. Regno misterioso da cui (lo ammette anche Schiller deflettendo dalla acquisita posizione kan­ tiana) proviene la travolgente onda del canto, come acqua che sgorga da profonde ignote sorgenti. So strömen des Gesanges Wellen hervor aus nie entdeckten Quellen46.

Se, al dire di Hegel, non c’è nella filosofia del tempo «neanche una piccola parte che non sia inebriata», cosi anche nella musica, che tende a risolvere la plasticità e l ’effabilità delle sue forme nel­ l ’ineffabile, ad affrancarsi dal compito di rendere sensibile e di tradurre mediante corrispondenze psicofisiche i moti del cuore, di gareggiare con la pittura di paesaggi o d ’anime, per elevarsi alla contemplazione e all’estasi. Non è piu infatti la Natura, sia pure evocatrice della persona amata, come in Adelaide, o specchio dei sentimenti umani e divi­ ni, come nella Pastorale, che la musica è ora chiamata ad espri­ mere. I poeti della sua giovinezza non parlano più al suo cuore, in cerca di poesia. Bernard si offre di trascrivergli un Lied di Les­ sing, perché lo componga ", ma egli non darà un compagno a Die Liebe, la lirica di quell’autore da lui musicata in anni ormai lon­ tani, né sembra interessarsi ad una antologia poetica di canti po­ polari nordici che l ’amico gli decanta come eccellente48. Matthisson, il poeta tanto amato, non è ora per lui che «un nobile pittore paesista» (come è definito nei Quaderni) poiché, com’egli stesso gli aveva scritto (4 agosto 1800), l ’artista «immer packenden, erschütternden Klängen, sprechen». È peraltro da osservare che l’opera di Friedrich Daniel Schubart, scritta durante la prigionia nella fortezza di Hohenasperg negli anni 1784-85, fu pubblicata a cura del figlio Ludwig nel 1806, tre anni dopo la pri­ ma esecuzione del Cristo sul monte degli ulivi (1803). 46 s c h il ler , Die Macht des Gesanges, w . 9-10. 47 SCHÜNEMANN, I, p. I78. 4®Ibid., p.301.

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weiter geht» («va sempre avanti»); «je grössere Fortschritte in der Kunst man macht, desto weniger befriedigen einen seine äl­ teren W erke» («quanto maggiori progressi si fanno nell’arte, tanto meno ci si accontenta delle piu antiche opere proprie»). A un poeta, Guglielmo Gerhard, che gli aveva inviato dei ver­ si da musicare e che egli giudica, per essere descrittivi, «i meno adatti al canto», dichiara: «die Beschreibung eines Bildes gehört zur Malerei, auch der Dichter kann sich hierin vor meiner Muse glücklich schätzen, dessen Gebiet hierin nicht so begrenzt ist, als das meinige, sowie es sich wieder in andere Regionen weiter er­ streckt und man unser Reich nicht so leicht erreichen k an n » 15 («La descrizione di un quadro appartiene alla pittura, anche il poeta può stimarsi fortunato rispetto alla mia Musa, poiché il suo campo non è cosi limitato come il mio, che tuttavia si estende più ampio in altre regioni e questo nostro regno non si può cosi fa­ cilmente raggiungere»). Era dalle lontane regioni di questo misterioso regno che, an­ che per Schiller, giungeva all’uomo sulle ali del canto lo spiri­ tuale messaggio, che riaccende i cuori, li innalza a Dio e insieme li riconduce «in der N atur getreuen A rm en»5“ («tra le fedeli braccia della Natura»). «W as mich aber angeht, — scrive Beethoven il 23 gennaio 1824 alla Società degli Amici della Musica di Vienna, - so will ich lieber selbst Homer, Klopstock, Schiller in Musik setzen» («Per quanto mi riguarda, io preferisco mettere in musica Ome­ ro, Klopstock, Schiller»): i poeti che della natura, della religiosi­ tà e del sentimento umano hanno colto ed espresso il sublime. Come sospinto dal grande afflato di u n ’epoca che Goethe defi­ nì «dei talenti sforzati» e indulgendo a riconoscersi nell’immagi­ ne che di lui, dietro l ’esempio di Hoffmann, di Clemens Brenta­ no e di Varnhagen, la critica contemporanea andava delineando, Beethoven sembra infine, superate le posizioni dell’illuminismo, tendere ad una concezione della musica che trascenda l ’individua-4950 49 Cfr. Kästner , p. 426, n. 750. 50 sc h il ler , Die Macht des Gesanges, v. 49.

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le ed il contingente ed assuma valore universale, abbandonarsi a sogni sovrumani, sommergere l ’intima, umana confessione degli ultimi Quartetti nei diluvi sonori della Decima Sinfonia51 51 Per questa sinfonia, annunciata a Moscheles il 18 marzo 1827, pochi giorni prima della sua morte, come già interamente abbozzata («Eine ganze skizzierte Symphonie liegt in meinem Pulte»), aveva un tempo progettato di decuplicare i violini dell’orche­ stra nel Finale (« Die Orchester Violinen etc. werden beim letzten Stück verzehnfacht »; cfr. NOTTEBOHM, Zweite Beethoveniana cit., p. 165) e di conseguenza di rinforzare tut­ to l’organico strumentale.

IX.

Il Parnaso musicale

Per quanto la figura di Beethoven domini e grandeggi sovra­ na sulla società che lo attornia, questa tuttavia fu necessario so­ stegno e stimolo al suo operare. Quei poeti, quei filosofi e quei giornalisti, quali Grillparzer, Kanne, Kufïner e Bernard, quei musicisti, quegli uomini di talento e comuni che lo circondano, partecipano allo stesso movimento storico in cui egli era immer­ so, vivono nello stesso clima spirituale, e se egli di tanto li supe­ ra è nondimeno l ’interprete dei sentimenti e delle aspirazioni del tempo. Il lavoro e la sordità lo avevano da anni estraniato dalla vita sociale, ma non vi è artista tedesco o straniero che venendo a Vienna non cerchi di incontrarlo; e fu avvertito come affronto la mancata visita del figlio di Mozart. « Il fatto che sino ad ora egli non abbia cercato di fare la vostra conoscenza e di avvicinarvi, non fa onore alla sua intelligenza, —aveva osservato Oliva. —Q ui si farà molto per lui, ma non sembra che possa conquistare a Vienna un posto tra gli artisti. —Deve essere un buon pianista —è incredibilmente vanitoso»1. E dopo il concerto da lui dato il 2 maggio 1820, V’è chi chiede con stupore: «Mozart non è stato da voi? Anche Hummel non è ancora venuto?» L ’insistenza degli amici dà risalto all’indifferenza ostentata dal figlio di Mozart, che trova riscontro nel riserbo sempre piu manifesto di Beethoven verso l’autore del Don Giovanni·, riserbo già implicito in questo suo vantare l ’assoluta superiorità di Händel tra i musicisti. «Händel è il piu grande compositore che abbia mai vissuto» ave­ va detto ad Edward Schulz, e quando questi cercherà inutilmente SCHÜNEMANN, II, pp. 87-88.

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di porre il discorso su Mozart, egli si limita a dichiarare: « In una monarchia sappiamo chi è il primo». Ma la mancata risposta ne era già una \ Alla esplicita domanda, rivoltagli da un altro visitatore ingle­ se, il fabbricante di arpe I. A. Stumpff, che cosa pensasse di Mo­ zart, Beethoven non aveva esitato a definirlo «Buono, eccellen­ te», ma quando il visitatore aggiunse: «Si, ed ha anche potuto accrescere la fama di Händel aggiungendo un accompagnamento al Messia», «avrebbe potuto sopravvivere anche senza questo aiuto» fu la pronta risposta che, pur essendo ineccepibile, sta a ri­ velare il suo um ore23. «Mozart era un buon pianista?» gli chiede un giorno Karl Holz. I Quaderni purtroppo non ci hanno tramandato il suo giu­ dizio, tuttavia possiamo arguirlo dal commento che segue: «Ma allora egli era ancora in fasce! » suscitato evidentemente da un ri­ lievo fatto da Beethoven alla tecnica ancora clavicembalistica e quindi arretrata e inadeguata alle risorse meccaniche ed espressi­ ve del nuovo strumento entrato nell’uso, il forte-piano: un arcai­ smo che secondo Holz trovava riscontro anche nella musica di Mozart, se rileva: «La fuga [dell’Ouverture] del Flauto potrebbe appartenere ad H ändel»4. «Durante il suo primo soggiorno a Vienna —informa il suo antico allievo Ferdinand Ries - Beethoven ebbe qualche lezione da Mozart, ma, come egli lamentava, questi non avrebbe mai suo­ n a to » 5. La notizia parrebbe trovare conferma indiretta nella afferma­ zione di Beethoven, riferita da Wegeler, non aver egli ascoltato nessun grande pianista prima del suo incontro con l’abate Sterkel, avvenuto nel 1791, anno della morte di Mozart; quando non 2 Edward Schulz pubblicò questi ricordi nella rivista inglese «The Harmonicon», 1824, pp. io sgg. Cfr. Thayer , L. van Beethovens Leben cit., IV, pp. 455 sgg. 3 Ibid., V, 1908, p. 126. Richiesto da un altro visitatore inglese, Potter, quale tra i maestri non viventi egli ritenesse il maggiore, Beethoven rispose aver ritenuto come ta­ le Mozart sino al giorno in cui conobbe Händel. Cfr. ibid., IV, p. 57. 4 PROD’HOMME, p. 370. 5 Cfr. F. G. w egeler e F. r ie s , Biographische Notizen über L. v. Beethoven, Kob­ lenz 1838.

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fosse da intendere quale una indiretta riserva, un velato giudizio di dissenso, come indurrebbe a credere una testimonianza di un altro suo allievo, Karl Czerny: «Beethoven mi ha inoltre raccon­ tato... che egli aveva molte volte inteso suonare Mozart e che questi, essendo la struttura del forte-piano ancora bambina, ave­ va a suo tempo preso l’abitudine di suonare sui clavicembali più comunemente usati, in un modo che non conveniva affatto al forte-piano. Conobbi in seguito molte persone che avevano stu­ diato con Mozart e il loro modo di suonare ebbe a confermare questa osservazione»6. Beethoven doveva comunque ben cono­ scere quale fosse lo stile e la tecnica pianistica di quel grande, egli che da quando si era stabilito a Vienna aveva dovuto subire, an­ che come esecutore, il continuo ingrato confronto, sia pure indi­ retto, con lui. Quasi dimenticato negli ultimi anni della sua vita, Mozart fu riconosciuto, dopo la sua morte, quale il più compiuto ed alto esempio dell’arte musicale, la personificazione stessa della musi­ ca. Un gruppo di fedeli, capeggiato dall’abate Stadler (che ad ogni esecuzione di composizioni nuove abbandonava la sala del concerto scuotendo il capo e dicendo: «N on capisco»), elettisi custodi e difensori della tradizione mozartiana, ostentavano un atteggiamento critico costantemente negativo verso ogni altra espressione artistica che non fosse conforme al loro celebrato mo6 Cfr. K. Czerny , Erinnerungen, in «Jahresbericht der Gesellschaft der Musik­ freunde», Wien 1870, e leitzm a nn , I, pp. 25 sgg. Quanto Beethoven, fuor di polemica, amasse e ammirasse Mozart lo attesta anche il suo desiderio di averne vicino, per trarne conforto, il ritratto, unitamente a quelli dei suoi sommi maestri, come si apprende dal seguente appunto trascritto da un taccuino del 1815 nel manoscritto Fischofi: «Han­ dels, Bachs, Glucks, Mozarts, Haydns Porträte in meinem Zimmer, sie können mir auf Duldung Anspruch machen helfen» (cfr. ibid., II, p. 247, n. 53). «Allzeit habe ich mich zu den grössten Verehren Mozarts gerechnet und werde es bis zum letzten Lebenshauch bleiben» («Mi sono sempre considerato come il piu grande ammiratore di Mozart e lo sarò sino all’ultimo respiro») dichiara in una lettera all’abate Stadler il 6 febbraio 1826 (cfr. Kästner , p. 804, n. 1378): né è dato dubitare della sincerità di Beethoven, che si era rallegrato della buona accoglienza tributata al Don Giovanni come di un proprio successo, e che aveva scritto ad Emilia M. (17 luglio 1812) «Nicht entreisse Händel, Haydn, Mozart ihren Lorbeerkranz: ihnen gehört er zu, mir noch nicht» («Non strap­ pare a Händel, a Haydn, a Mozart la loro corona di aÈoro: ad essi appartiene, a me non ancora»; cfr. kastner , p. 224, n. 338).

II Parnaso musicale

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dello. E non solo usavano opporre alle composizioni di Beetho­ ven le celebrate opere del Maestro scomparso, ma, ora che questi non poteva piu dominare alla tastiera, vantavano la superiorità degli allievi della sua scuola, di cui Woelfl, Gelinek e Hummel erano i piu fedeli ed ammirati campioni. Nelle competizioni, ri­ maste famose, in casa di principi mecenati, cui assisteva una folla di dilettanti appartenenti alle due fazioni, Beethoven con la sua irruenza, i suoi slanci appassionati, i suoi improvvisi abbandoni, conferiva, per contrasto, maggior rilievo alla tecnica brillante, al­ la limpida sonorità, allo stile controllato e uniforme degli allievi di Mozart. La libertà di quelle sue improvvisazioni in cui, spezza­ ti i vincoli delle convenzioni scolastiche, la musica sembrava spa­ ziare in un nuovo cielo, la novità e la fantasia del suo linguaggio che appariva misterioso ed oscuro, accessibile solo agli iniziati, stavano parimenti a porre in evidenza la calma e la serena discor­ sività di un fraseggio e di un discorso musicale costantemente conforme alle leggi dell’armonia tradizionale, alle regole consa­ crate, accessibile a tutti; ma si comprende peraltro come la tecni­ ca della scuola di Mozart potesse apparire, ai più giovani, ancora clavicembalistica, antiquata nella sua compostezza e nel suo ni­ tore, un poco arida e inespressiva nel suo staccato, inadeguata al nuovo strumento, il forte-piano che, come ci testimonia un se­ guace di Mozart, Ignaz von Seyfried’, Beethoven dominava in modo sovrano, traendone sonorità ora di insolita dolcezza, quasi d ’organo, mediante la serrata prensilità del suo prodigioso lega­ to, ora aspre e violente. Il contrasto tra le due correnti stilistiche (l’ima sostenuta da una gloriosa tradizione, l’altra dal vigore di una nuova intuizione musicale) nonché diminuire col passare de­ gli anni sembra accentuarsi. In un Quaderno del maggio 1825 si legge il seguente giudizio di Oliva sul maggior esponente della fazione pianistica mozartiana : « Hummel non fa quasi affatto can­ tare lo strumento. Egli è solo un virtuoso [Passagenmacher\, cosa che non piace a Goethe; egli deve essersi dichiarato sul vostro 7 7 Cfr. I. X. v o n S e y frie d , Erinnerungen , in «Caecilia», 1828, p. 2i8, e le itz m a n n , I, ρρ. 23 sgg.

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modo di suonare, poiché soltanto da voi ha udito ciò che si può fare sul pianoforte» \ Goethe, dopo aver ascoltato Beethoven il 21 luglio 1812 aTeplitz, si era limitato ad annotare nel suo diario: «Er spielte köst­ lich» («suonò in modo delizioso»). L ’impressione tuttavia che egli riportò dell’uomo fu grande, e il suo talento di esecutore lo aveva «im Erstaunen gesetzt» \ immerso nello stupore. Una cosi profonda impressione avrebbe potuto lasciare un piu durevole ri­ cordo nel poeta e rappresentare (come sembrerebbe potersi ar­ guire dalle parole di Oliva) un termine insuperabile di paragone nei confronti degli altri pianisti. Ma in realtà l’ammirazione di Goethe cede dinanzi alla diffidenza suscitata in lui dalla natura demoniaca di quel genio: «allein er ist leider eine ganz ungebändigte Persönlichkeit»10 («ma egli è purtroppo una natura total­ mente sfrenata»). Non è quindi da stupire che finisse poi per pre­ ferirgli un pianista controllato e composto quale era Hummel, che egli ospitò a W eimar e che, contrariamente a quanto riferi­ sce Oliva, ammirò ed ebbe a giudicare con grande rispetto. «Napoleone trattava il mondo come Hummel il suo pianofor­ te, - dirà poi ad Eckermann alludendo alla facilità innata all’uo­ mo di genio, —e l ’una cosa e l ’altra ci appaiono meravigliose: poco intendiamo l ’una e l’altra; eppure sono avvenute cosi... sot­ to i nostri occhi... [Napoleone] era in armonia con ciascun istan­ te, con ciascuna circostanza: come è indifferente a Hummel di suonare un Adagio o un Allegro» Ma nell’intima cerchia degli amici di Beethoven questo Napo­ leone della musica non riscuoteva né stima né simpatia. «H um ­ mel è un uomo vacuo» afferma Oliva; e Schuppanzigh, di ritorno s sc h ü n e m a n n , II, p. io 6. Franz Oliva si era recato a Weimar da Goethe, nel mag­ gio 1811, latore di una lettera di Beethoven e della musica dei K lä rc h en lied e r (dall’Egm o n t ). Cfr. T. f r i m m e l, B e e th o v e n -H a n d b u c h , Leipzig 1926, 1 , p . 466. 5 Goethe a Zelter, 2 settembre 1812.

10 Ib id .

11 Cfr. G. p. e c k e rm a n n , C o llo q u i con G o e th e , trad. it. di E. Donadoni, I, Bari 1912, p. 342 (7 aprile 1829). Il 5 novembre 1822 Eckermann annota: «Questa sera ho trovato da Goethe... il celebre Hummel. Hummel improvvisò al piano per quasi un’ora, con una tale forza e genialità, che chi non ha udito non può farsene un’idea» (ib id ., II, 1914, pp. 132-33).

Il Parnaso musicale

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da un viaggio, riferisce: «Hummel ha suonato con Field un quatres mains, ma tanto il profano che l’intenditore hanno avvertito la sensibilissima differenza. Field suona bene: bisogna ascoltarlo eseguire Beethoven, quale gioia rara. - Io non ho mai udito un pianista che trattasse lo strumento come lui. —Field mi ha mol­ to ricordato voi nel modo di suonare»12. Se Hummel appariva il continuatore della tradizione mozartiana, sia pure nel suo aspetto piu esteriore e virtuosistico, Field, poeta del pianoforte, per l’in­ tima e profonda musicalità delle sue esecuzioni, stava a esempli­ ficare l’arte di Beethoven, quella tecnica pianistica che la sua stes­ sa musica esigeva, determinava e andava sempre piu largamente imponendo. Se Oliva e Schuppanzigh ostentavano il loro disprezzo per Hummel, Beethoven, che pur ebbe con lui vivacissimi scontri, non serba rancore al temibile rivale nelle competizioni pianisti­ che dei suoi begli anni, quando, superando ogni ostacolo, era an­ dato affermando vittoriosamente il suo genio1314.Tempo felice che ama rievocare e cui lo riporta una conversazione col nipote, che in un Quaderno del ’23 gli chiede: «Quando venisti a Vienna? » e dà cosi l ’avvio al racconto nostalgico. «Anno 90 —sarebbero 33 anni». Anno 90 che non sta tuttavia ad indicare la data del suo arrivo a Vienna (ove si era recato una prima volta nella primave­ ra dell’87 e ove ritornò poi per stabilirvisi definitivamente nel ’92 ), bensì quella per lui memorabile del suo primo incontro con Joseph Haydn, che di ritorno dall’Inghilterra trascorse a Bonn il Natale: incontro che egli considera decisivo per le sorti della sua vita d ’artista e che determinò in seguito la sua andata a Vienna per completare sotto la guida di quel celebre maestro gli studi «Tu ti recasti anzitutto da Swieten» dice poi il nipote, che do12 SCHÜNEMANN, II, p. I o 6 ; III, p. 177. 13 Cfr. LEITZMANN, I, p. 349.

14 « Als Haydn zuerst aus England zurückkam ward ihm vom kurfürstlichen Or­ chester ein Frühstück in Godesberg, einem Lustorte nahe bei Bonn, gegeben. Bei die­ ser Veranlassung legte ihm Beethoven eine Cantate vor, welche von Haydn besonders beachtet und ihr Verfasser zu fortdauerndem Studium aufgemuntert wurde »; cfr. w eGELER e r i e s , Biographische Notizen über L. van Beethoven cit., e l . s c h ie d e rm a ir, Oer junge Beethoven, Bonn 1931, p. 145.

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veva già conoscerla quella storia, ma che forse per compiacenza mostra di interessarsi alla ennesima rievocazione dei fasti musi­ cali di un tempo («O ra è un’altra Vienna» commenta il giovane), quando la generosità dei principi suscitava e favoriva la più in­ tensa attività artistica. E nella residenza appunto del barone G ottfried van Swieten, ove Mozart era già stato iniziato all’arte di Johann Sebastian Bach, Beethoven, assistendo alla esecuzione di alcuni Oratori di Händel, ebbe la rivelazione della grandezza di quel compositore che resterà il suo preferito. L ’intelligente mecenate, cultore e sostenitore della piu alta ed autentica tradizione musicale tedesca, se potè influire sull’orien­ tamento di gusto e, di conseguenza, sulla evoluzione stilistica di Mozart e di Haydn, contribuì nondimeno alla formazione cultu­ rale del giovane Beethoven, che forse fu stimolato da quella fre­ quentazione ad uno studio più approfondito del contrappunto e della musica antica. La vita musicale di Vienna trova eco nelle pagine dei Quader­ ni, che puntualmente registrano ogni avvenimento musicale di qualche rilievo: l ’esecuzione delle Stagioni di Haydn, le riprese dellTdomeneo e della Clemenza di Tito di Mozart, l ’allestimento di nuove opere, un concerto in casa di Rossini, venuto a Vienna per la rappresentazione della sua opera Zelmira. «H o incontrato Rossini —dice a Beethoven il fratello Johann - che mi ha salutato molto gentilmente. Desidererebbe tanto di parlarti; se avesse saputo che eri in casa sarebbe venuto o ra » 1516. Vi andò poi e la visita di cui serbò durevole ricordo restò famosa per il racconto che egli ne avrebbe fatto in seguito ad amici. Seb­ bene egli avesse ripetutamente affermato a H iller ed a Hanslick che la sordità di Beethoven e la propria ignoranza della lingua te­ desca avevano reso penosissimo l ’incontro ed ogni conversazione tra loro quasi impossibile ne avrebbe poi dato a W agner una 15 SCHÜNEMANN, II, p. 275.

16 Rossini aveva già confidato a Hiller: « La sordità e la mia ignoranza della lingua tedesca resero ogni conversazione impossibile» (cfr. f . h i l l e r , A u s dem Tonleben unse­ rer Zeit, Leipzig 1867, II, p. 49), e aveva ripetuto allo Hanslick: «Certo la visita non

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versione altrimenti circostanziata e patetica. Secondo questa ver­ sione Beethoven lo avrebbe accolto felicitandolo per il Barbiere («È una eccellente opera buffa: l’ho letta con piacere e me ne so­ no compiaciuto. Non cercate di fare altro che opere buffe, sareb­ be forzare il vostro destino il voler riuscire in un altro genere»), ma non senza esprimere un severo giudizio sulle sue opere serie, un genere non congeniale alla natura degli Italiani. «Per trattare il vero dramma —avrebbe aggiunto —essi non hanno sufficiente scienza musicale: e come potrebbero acquistarla in Italia? Nel­ l ’opera buffa nessuno potrebbe eguagliarvi: la vostra lingua e la vivacità del vostro temperamento vi ci destinano». E non senza una punta di malizia gli avrebbe ripetuto il consiglio, congedan­ dosi : « soprattutto fate molto Barbiere ». « Io gli dissi tutta la mia ammirazione per il suo genio, - con­ chiudeva Rossini, —tutta la mia gratitudine per avermi concesso di potergliela manifestare. Egli mi rispose con un profondo sospi­ ro e con una sola parola: Oh, un infelice». Questa versione, riferita dal M ichotte”, se contraddice alle precedenti già date da Rossini, trova invece riscontro assai so­ spetto nel testo della immaginaria Visita a Beethoven scritta da W agner nel ’40 a Parigi, e ci sembra che da questa fantasia, piu che dallo scarnito ricordo di Rossini (a quasi quarant’anni di di­ d urò a lungo poiché la conversazione con Beethoven era penosissima...» (cfr. e. h a n sl ic k , A u s d e m K o n z e r ts a d , Wien 1870). 17 Cfr. e. MiCHOTTE, S o u v e n irs perso n n els. L a v is ite d e R ic h a rd W a g n e r à R o s s in i , Paris i860. Cfr. anche l’efficace rievocazione di e. b a c c h e l l i , in R o ssin i, Milano 1954,

p. 185. Particolarmente sospetto appare il presunto accenno di Beethoven al «vero dramma» che richiama alla concezione del «dramma lirico veramente degno di questo nome» su cui il Beethoven immaginario di Wagner intrattiene, a ragion veduta, il suo interlocutore. Se poi si dovesse prestar fede a Schindler, questa famosa visita ripetutamente sollecitata da Rossini tramite l’editore Artaria e l’abate Carpani, non avrebbe mai avuto luogo, poiché Beethoven se ne sarebbe sempre sottratto con qualche scusa. «Von Ablehnung eines dem Meister zugedachten Besuches ist nur eine anmerkenswert. Zwei­ mal hatte Rossini in Begleitung des Kunsthändlers Artaria versucht, bei Beethoven Ein­ tritt zu erlagen, nachdem Artaria bereits zweimal anfragen liess, ob er mit Maestro kom­ men dürfe, allein Beethoven hat sich stets entschuldigen lassen»; cfr. A. S c h in d le r, B io g ra p h ie v o n L . va n B e e th o v e n , Münster 1840, II, pp. 178 sgg. È la versione accolta anche da R. Schumann che la tradusse nell’aforisma: «Der ScbmetterHng flog dem Ad­ ler in den Weg, dieser wich aber aus, um ihn nicht zu zerdrücken mit dem Flügel­ schlag» («La farfalla volò sulla via dell’aquila, ma questa la scansò per non schiacciarla con un colpo d ’ala »).Il

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stanza) il relatore abbia tratto lo spunto e il tono del suo colorito racconto Anche il Beethoven della novella di W agner si dichiara «tan­ to infelice», ma non è questo il solo tratto comune: lo vediamo infatti rivolgersi «con rude accento» (Wagner), «brusquement» (Rossini-Michotte) ai suoi visitatori che, entrambi, stentano a do­ minare la loro emozione ed escono da quell’incontro commossi «sino alle lagrime» (Wagner), «piangendo» (Rossini-Michotte). Se i Quaderni di conversazione superstiti non hanno conservato traccia delle parole che in realtà ebbero o non ebbero a dirsi, tra­ mandano tuttavia ciò che Beethoven pensava del suo ospite. Pro­ vocato da un articolo in cui si esaltava l ’italiano a detrimento di Händel e suo, Beethoven dà sfogo, con frasi tronche e un poco sconnesse, allo sdegno suscitato dallo scrittore irriverente ed in­ giusto: «Sebbene non siano che punture di moscerino io lo rico­ nosco tuttavia dagli strali contro di me; resta a vedere se egli ha trovato in me una roccia... sotto certi aspetti non è che polvere... malanimo... Händel briareo! Mentre nessun vero maestro del­ l ’arte bada a lui, Rossini. A queste punture di moscerino ricono­ sco... colui che ha scritto questo. Voglia il cielo che non abbia an­ ch’io un giornale ove si tratti di un uomo di tale onorabilità. Ros­ sini non ha forma, perché è incapace di crearla : ne manca non per­ ché lo voglia ma perché non può fare diversamente di un imbrat-18 18 La visita a Beethoven di Wagner è presentata allo sprovveduto lettore come real­ mente avvenuta nell ’In tr o d u z io n e di A rn a ld o B o n a v e n tu ra agli S c ritti su B e e th o v e n di R. W agner (Firenze 1930), che comprendono anche quella novella. Il Bonaventura dà commosso risalto ai sacrifici materiali e morali ch’egli (Riccardo Wagner) s’impose per vedere e avvicinare il sommo maestro; sacrifici materiali per aver dovuto fare a piedi il viaggio da Lipsia a Vienna (tante leghe da consumare sette paia di scarpe); sacrifici mo­ rali poi, in quanto dovette piegarsi, fremendo d’indignazione, a comporre alcuni G a lo p s, che finalmente gli procurarono il necessario per pagarsi almeno l’albergo. Ma che cosa non avrebbe fatto pur di raggiungere l’intento! Certo, anche nascere con dieci anni di anticipo... - È a lui Wagner, infatti, che, secondo il racconto, Beethoven avrebbe non solo dato notizia per primo di una nuova opera del suo genio, appena terminata (la N o n a Sinfonia·, si era dunque nel ’23), ma affidata la sua difesa: «mi fissò con uno sguardo misto di tristezza e d’ironia e mi disse: “Cosi potrete difendermi quando si parlerà della mia nuova opera” ». Un paladino che essendo nato nel ’13, non avrebbe potuto vanta­ re piu di dieci anni. Il racconto è anche in r . w a g n e r, R ic o rd i, b a tta g lie, v isio n i, a cura di M. Mila, Milano-Napoli 1953, pp. 81-104.

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tacarte»15. 1 frequenti accenni alla superficialità e alla facilità di effetto della musica di Rossini, che si incontrano nelle pagine dei Quaderni di conversazione, stanno a confermare il disprezzo che nell’intima cerchia di Beethoven si era soliti ostentare nei riguar­ di dell’idolo delle platee: «Egli ha certo del genio, —ammette Oliva, —ma è un imbrattacarte senza gusto»1920. «Non sono nemi­ co di Rossini, —dice il dottor Bach, —ma se dopo tante tiritere si ascolta qualcosa di forte - (e allude qui al " celeste Fidelio ” su cui verte il colloquio) - è come un giorno di fresco ristoro in un cli­ ma caldo e afoso. Rossini mi sembra puerile, melato e lascivo» 2‘. Gli vengono inoltre rimproverate, come afferma un visitatore olandese, la mancanza di vera scienza, la nota disinvoltura nell’adattare le Ouvertures da un’opera all’altra «come se una testa po­ tesse convenire a non importa quale corpo». Beethoven si indusse tuttavia ad includere, quale richiamo per il pubblico, un’aria di Rossini nel programma del concerto del 23 maggio 1824, che comprendeva la Nona Sinfonia e gran parte della Missa Solemnis: ma sortendone esito opposto dallo sperato, come riferisce il nipote Karl nei Quaderni: «Una parte del pubblico si è astenuta dall’assistervi poiché l ’aria di Rossini lo indignava, come ho provato io stesso. Ero in sala per ascolta­ re i commenti e tutti erano indignati di questa aria. Il pubblico trovava a ridire che le tue composizioni fossero messe alla stessa stregua delle tiritere di Rossini, e disonorate. Questo non avreb­ be dovuto accadere»22. 19 Cfr. p ro d ’hom m e, p. 341. A sua volta Rossini, scrivendo al Cicognara (lettera del 12 febbraio 1817; cfr. E p isto la rio , pubblicato da G. Mazzatinti e F. G. Manis, Firenze 1902), avrebbe definito le composizioni di Beethoven «prive di unità e di naturalezza, ridondanti di stranezze e di arbitri», e accusato il loro autore di aver corrotto «intera­ mente il gusto della musica strumentale». Cfr. m. m ila . L e id ee d i R o ssin i, in S t u d i in o n o re d i M a tte o M a rangoni, Firenze 1957. L’autenticità della lettera fu peraltro negata con buone ragioni da G. r a d i c i o t t i , L a fa m o sa le tte r a al C icognara n o n f u scritta da R o ssin i, in «Rivista musicale italiana», in , 1923. In quello stesso anno 1817 il corri­ spondente tedesco della «Allgemeine Musikalische Zeitung» di Lipsia scriveva da Milano: « Il maestro Rossini mi ha suonato a memoria interi passi di Haydn, Mozart e Beethoven, che neppure sospettavo che egli potesse conoscere»: ed è una testimo­ nianza che avvalora la tesi sostenuta dal Radiciotti (cfr. ib id ., p. 403, n. 2). 20 SCHÜNEMANN, I, p. I47. 21 I b id ., I l i , ρ. X13. 22 PROD-HOMME, p. 332.

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Alla vigilia del suo secondo concerto a Vienna anche Liszt, al­ lora dodicenne, si reca a visitare Beethoven. «H o manifestato molte volte al signor Schindler il mio desiderio di fare la vostra conoscenza e sono felice che questo si compia ora. Darò un con­ certo domenica 13 e vi prego molto rispettosamente di accordar­ mi l ’onore della vostra presenza» si legge, scritto di sua mano, in un Quaderno dell’aprile 1823 Di questa visita Liszt diede in seguito u n ’ampia e pittoresca versione in cui tra l’altro è detto: «Incoraggiato dalla affettuosa accoglienza —potrei osare di eseguire una vostra composizione? —chiesi arditamente. Beethoven acconsenti sorridendo. Suonai il primo tempo del Concerto in do minore. Quando ebbi finito mi prese con ambe le mani e mi baciò sulla fronte e mi disse dolce­ mente: —Va’, sei una creatura felice e farai felici altri uomini: non c’è nulla di meglio né di più bello - . Questo avvenimento costituisce il maggior orgoglio della mia vita, il palladium di tutta la mia carriera di artista. Non l ’ho raccontato che raramente e sol­ tanto a dei buoni amici» 2\ Discrezione quanto mai saggia ed opportuna. L ’incontro in­ fatti dovette svolgersi in modo assai meno patetico se Schindler, il giorno prima del concerto, rinnovato a Beethoven l ’invito, cer­ ca di vincere la sua ostinata resistenza: «Voi vorrete riparare, nevvero, alla poco amichevole accoglienza già fattagli —("die et­ was unfreundliche Aufnahme von letzthin dadurch gut ma­ chen”) - con l’assistere domani al concerto del piccolo Liszt? » 2345. Questi, per nulla scoraggiato da quella burbera accoglienza, vor­ rebbe ora da Beethoven un tema «per la libera improvvisazio­ ne». È sempre Schindler a supplicare: « Il piccolo Liszt mi ha chiesto con insistenza di pregarvi di dargli un tema su cui egli desidererebbe improvvisare nel concerto di domenica. [Prega] 23 SCHÜNEMANN, III, p. I70. 24 Liszt raccontò questa visita all’amico d’Ortigue, che ne diede un referto nella «Gazette musicale» del 14 giugno 1835, e a Ilka Horowitz-Barnay, sua allieva, cui va riferita la versione da noi citata. Cfr. w. nohl , Der elfjährige F. Liszt und Beethoven, in « Athenaion Blätter», III, x, p. 20. 25 SCHÜNEMANN, III, p. I36.

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hum ilim e dom inationem V estram , si placeat scribere unum them a». Il postulante raccomanda che non sia «difficile e che lo si possa com prendere. Il ragazzo è u n abile pianista, ma per l ’improvvisazione si è ancora lontani dal giorno in cui si potrà dire che egli improvvisa. I l suo m aestro è K arl Czerny». E insiste: «V e­ nite dunque, divertirà anche K arl [il nipote] come suona quel ra­ gazzino. Prom ettetem i che v e rre te » “. M a Beethoven non andò, e anche l ’altro famoso racconto d ell’abbraccio con cui questi avrebbe consacrato alla gloria il giovane pianista dinanzi al p u b ­ blico plaudente, va parim enti restituito alla fantasia d ell’interes, 27 sato . P u r nel suo isolam ento Beethoven si interessa a tu tto , è infor­ m ato di tu tto . T ra i personaggi di questa cronaca quotidiana regi­ strata dai Q uaderni si incontra Salieri, che fu già p er qualche tem po m aestro di Beethoven, ma che non gode alcuna simpatia nella sua cerchia. Persino Peters non m anifesta l ’abituale indul­ genza nei suoi riguardi: «Salieri non è il mio uom o» afferm a2627829, m entre Schindler si fa portavoce delle calunniose dicerie che cor­ revano su di lui a Vienna. «Salieri sta di nuovo malissimo. È com pletam ente abbattuto. D elira sempre [dicendo] che egli è col­ pevole della m orte di M ozart e che gli ha dato il veleno ». Beetho­ ven deve m ostrarsi incredulo se Schindler ribatte: «è la verità, poiché egli vuole confessarsene; cosi tu tto si paga». E il nipote K arl di rincalzo: « O ra si dice apertam ente che Salieri sia l ’as­ sassino di M ozart» 2\ N ei Q uaderni si fa anche il nom e di Süssmayer, l ’allievo di M ozart che p ortò a term ine il Requiem lasciato incom piuto dal M aestro; si commenta la chiam ata a Berlino di Spontini dopo i 26 Ibid., p . 135. 27 L’indomani il nipote Karl riferisce nei Quaderni a Beethoven la cronaca del con­ certo: «La sala non era piena... Ha già composto qualche cosa ma gli editori non pub­ blicano niente...» Beethoven s’era anche rifiutato di dare il tema richiesto per l’improvvisazione, che avvenne, come precisa il fratello Johann, «su un tema di valzer un­ gherese» ( s c h ü n e m a n n , III, pp. 137-38). A detta del nipote, v’era chi asseriva «dass er viele Fehler in Spiel [en] gemacht habe», ma Czerny lo portava alle stelle paragonando­ lo a Mozart e a Beethoven giovani (ibid., p. 183). 28 SCHÜNEMANN, I, p. 132. 29 PROD’HOMME, p p . 297-98.

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raggiri di cui era stato vittima a Parigi («È abbastanza singolare che il Re ingaggi a Berlino un direttore d ’orchestra francese» [sic] ), si accenna al grande successo suscitato dalla sua nuova ope­ ra, Olimpia, ma non senza ironia («Spontini fa rumore. 36 trom­ be nell’Olimpia... much ado about nothing » ) 3°. Si dà notizia della venuta a Vienna dell’operista napoletano Michele Carafa, che chiede di essere presentato a Beethoven, e si annuncia il prossimo arrivo di M ercadante303132. Si fa ripetutamente il nome di Zelter («Professor Zelter» troviamo scritto da Beethoven in un Qua­ derno del febbraio 1823)32 che, dopo avere ostentato dinanzi a Goethe un atteggiamento di diffidente riserva nei confronti del genio di Beethoven33 e giudicato con disprezzo le sue opere, ve­ diamo poi collaborare alle trionfali esecuzioni della Missa Solemnis e della Nona Sinfonia a Berlino, curare egli stesso la prepara­ zione dei cori e dei solisti della Singakademie34. Si riportano le notizie dei successi delle sue opere in Germa­ n ia 35, dei festeggiamenti di Bremen per il suo compleanno, del­ l’entusiasmo degli studenti di Lipsia per la sua musica. «Io non sono un adulatore, —afferma Holz, —ma vi assicuro che quando penso alla musica di Beethoven, mi sento felice di vivere»36. C’è chi lo definisce «il piu grande uomo d ’E uropa»37, chi dice: «Un 30 s c h ü n e m a n n , I, p. 182, III, p. 371. «Zelter sagte wie er aus der Oper Lärm und die Retraite trommeln hörte dass ist doch eine Musik bey der man sich erholen kann» gli riferisce inoltre, sullo stesso tono, il suo visitatore, un certo Deetz di Berlino. 31 S C H Ü N E M A N N , II, p p . 380, 394, 396. 32 I b id ., p. 367. 33 Cfr. fa lettera di Zelter del 12 novembre 1808 a Goethe: «Con stupore e spa­ vento si vedono dei fuochi fatui all’orizzonte del Parnaso, dei talenti della maggior im­ portanza, quali Beethoven, impugnare la clava di Ercole per schiacciare delle mosche. Ci si stupisce, da prima, poi si alzano le spalle dinanzi a questa ostentazione di virtuosi­ smo per dar rilievo a delle bagattelle». In una lettera del settembre 1812 giudica il C ri­ s to su l m o n te d eg li u liv i come una «impudicizia». «Conosco degli amatori di musica che già si erano allarmati o anche indignati, ascoltando le sue opere: ora le amano con una passione analoga a quella dei partigiani dell’amor greco... » 34 «A Berlino è stata eseguita tutta la M issa e la S in fo n ia [la N o n a ] con grande suc­ cesso, - riferisce a Beethoven il pianista Doleczalek ai primi di febbraio del 1827. - Il professor Zelter ha fatto provare i cori con delle cantanti: non c’erano [nel coro] che dei ragazzi per soprani e contralti» ( p r o d ’ h o m m e , p. 459). 35 S C H Ü N E M A N N , III, p. 74; II, pp. 290-91; III, p. 330.

p. 346. 37 SCHÜNEMANN, I, p. 313. 36 P R O D ’ H O M M E ,

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dio, un Beethoven»38, chi dà risalto al riconoscimento della sua superiorità da parte dei più autorevoli musicisti. «Avrebbero chiesto a Cherubini - racconta il nipote —perché egli non scrive piu quartetti: Se Beethoven non ne avesse scritti ne scriverei, ma cosi non posso»39. Tra i nomi dei maestri che costituivano il Parnaso musicale appaiono nei Quaderni anche quelli di piu giovani e meno cele­ bri compositori ma predestinati anch’essi alla gloria: di W eber, che gli richiede la partitura del Fidelio per dirigerlo a D resda40; di Meyerbeer, di cui si annuncia la rappresentazione a Vienna dell’opera Emma di Leicester o la voce della coscienza ( i° feb­ braio 1820) e se ne commenta l ’insuccesso giudicandola «una pa­ lese imitazione di R ossini»41; di Mendelssohn, astro sorgente, be­ niamino di Goethe («ha dodici anni, promette m oltissimo»)42; di Schubert, la cui fama comincia a diffondersi nell’ambiente musi­ cale di Vienna. «Si loda molto Schubert, —riferisce il nipote. — Dice che egli deve nascondersi»43. Un religioso rispetto lo aveva trattenuto dinanzi alla soglia della casa di Beethoven quando vi si era recato per fargli dono delle Variazioni op. io a lui dedicate. «Egli ha una grande facilità per i Lieder, —lo informa Holz. —Si è sempre espresso in modo molto mistico. Conoscete il Lied Der 38 I b id ., II, p. 358. 39 p r o d ’ h o m m e , p. 366. «Voi siete l’idolo di'Cherubini, - gli riferisce l’editore Schlesinger. - Egli ha detto sovente ai suoi allievi che i piu grandi geni musicali che sia­ no mai stati e che mai saranno, sono Beethoven e Mozart». «È il contrario che è vero», annota Schindler alludendo alla generosa lettera inviata il 15 marzo del 1823 da Bee­ thoven a Cherubini, in cui era detto: «Vous resterez toujours celui de mes contempo­ rains, que je l’estime le plus. Si Vous me voulez faire un extrême plaisir, c’étoit si Vous m’ecrivez quelques lignes, ce que me soulagera bien. L’art unit tout le monde, wie viel mehr wahre Künstler ["tanto piu i veri artisti”] et peut-être vous me dignez aussi, de me mettre auch zu rechnen unter diese Zahl» [« anche di annoverarmi in questo nume­ ro»]. Cfr. K ä s t n e r , p. 651, n. 1086. «Sono curioso se Cherubini vi risponderà presto», troviamo scritto da Schindler in un Quaderno dell’aprile-maggio di quell’anno. Il com­ mento di Schindler alle parole di Schlesinger farebbe supporre che la risposta non sia mai giunta. Cherubini non avrebbe infatti mai ricevuto la lettera. Vedi m . b e c k e r , A n to n S c h in d le r d er F re u n d B ee th o v e n s. S e in T a g e b u c h au s d e n ]a h ren 1841-43,

Frankfurt 1939, p. 42. 40 S C H Ü N E M A N N , II, pp. 354 e 368. 41 I b id ., I, pp. 223-27. 42 Ibid., I ll, ρ. 37ι. 43 Ibid., ρ. 320.

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Erlkönig? » Ma soltanto nei suoi ultimi giorni Beethoven avrà la sorpresa di scoprire nelle composizioni dello sconosciuto devoto ammiratore «den göttlichen Funken», la scintilla divina del ge­ nio, e commosso lo riconoscerà fratello. L ’interesse di Beethoven per la nuova generazione musicale sembra limitarsi alla cronaca, ad eccezione che per W eber. Incu­ riosito dal successo che il Freischütz andava ovunque suscitando, volle leggerne la partitura di cui ammirò la potenza espressiva e l ’efficacia teatrale. Ma l ’originalità di linguaggio, l’ardimento del­ lo strumentale piu che convincerlo lo stupiscono e suscitano in lui diffidenza, sembrandogli quella musica affidarsi troppo alle suggestioni del timbro, agli effetti sonori, risentire di uno sforzo troppo audace e ambizioso. «Vedo bene ciò che W eber ha voluto fare, ma vi ha messo un diavolo d ’orgoglio! » e indicando il suo orecchio: «Si, bisognerebbe poter ascoltare queste cose, ascol­ tarle soltanto... ma io ...» 44. Quando W eber nel 1823 si recò a visitare Beethoven questi l ’accolse con la piu calorosa cordialità45 e mostrò vivo interesse per la sua nuova opera Euryante, rappresentata a Vienna il 25 ottobre e di cui i Quaderni di conversazione registrano l ’insuc­ cesso. Il conte Lichnowsky durante un colloquio con Beethoven (fine novembre 1823) cosi si esprime: «La musica non è adatta al libretto. È troppo tragica —non ci sono che dissonanze e pas44 Max Maria von Weber, nella Biographie che egli scrisse del padre (1864), riferi­ sce questi ed altri giudizi di Beethoven: « "Nun muss der Weber Opern schreiben, ge­ rade Opern, eine über die andere und ohne viel daran zu knaupeln! Der Kaspar, das Untier steht da wie ein Haus. Überall wo der Teufel die Tatzen reinsteckt, da fühlt man sie auch! ” Und als ihn jemand an das zweite Finale und das musikalisch Unerhörte darin erinnerte, sagte er " Ja, damit ist’s freilich auch so; aber mir geht es dumm damit... Wenn ich lese wie da bei der wilden Jagd, so muss ich lachen, und es wird doch das Rechte sein... so was muss man hören, nur hören, aber da... ich...” » (« "Ora bisogna che Weber scriva opere, una dopo l’altra, senza troppo tormentarsi. Kaspar, il mostro, sta saldo come una casa. Ovunque quel diavolo metta le zampe, lo si sente bene”. Ricor­ dandogli qualcuno il secondo Finale e l’inaudita musica che racchiude, disse: "Si, certo, ma per me c’è della stupidaggine li dentro. Quando io leggo questa roba, come la cac­ cia selvaggia, io devo ridere, e deve essere appunto cosi” »). Cfr. l e i t z m a n n , I, p. 261. 45 Su questa visita fatta da Weber a Beethoven e sulla affettuosa accoglienza ricevu­ ta vedi la lettera di Weber alla moglie in data 5 ottobre 1823 in t h a y e r , Ludwig van Beethovens Leben cit., IV, p. 463.

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saggi artificiosi —Una ricerca costante di difficoltà —Il pubblico non va già piu ad ascoltare questo lavoro, che non reggerà» Tre anni dopo (luglio 1826) Grillparzer chiede a Beethoven: «Cosa ne dite dell’Euryante di W eber? » E nella frase che segue appare chiaramente quale dovette essere la sua risposta: « Il mondo ha perduto la sua innocenza, e senza innocenza non si crea né si gode di alcuna opera d ’arte. La parola d ’ordine ai nostri giorni è la critica —W eber è un compositore critico» ". Proprio in quel tempo (il 24 giugno 1826) anche Goethe esprimeva il suo giudizio negativo su W eber, ma (è curioso os­ servare) motivandolo con ragioni opposte. Dopo aver ascoltata u n’aria dell’opera Predosa, aveva manifestato il suo scontento con queste parole, tanto rivelatrici per chi voglia comprendere i suoi umori ed i suoi gusti musicali: «Le melodie tenere e senti­ mentali mi deprimono; io ho bisogno di suoni vigorosi e vivaci che mi stimolino a raccogliere le mie energie, a rianimarmi —Na­ poleone, che era un tiranno, amava, si dice, la musica dolce, io senza dubbio perché non sono un tiranno, amo la musica viva, en­ tusiasmante, gaia. L ’uomo aspira sempre a ciò che non è » 4678. Secondo quanto riferisce nei Quaderni di conversazione Karl Holz, secondo violino del Q uartetto Schuppanzigh, W eber avrebbe pubblicamente ostentato un atteggiamento di critico ri­ serbo nei confronti delle ultime composizioni di Beethoven: «Noi gli suonavamo in suo onore il vostro Quartetto in mi bem. [op. 127], egli trovò l ’Adagio troppo lungo, ma io gli dissi: —Beethoven ha un sentimento piu lungo ed una immaginazione piu lunga di tutti quelli che sono qui e che non vi sono. —Da allo­ ra Linke non può più sentirlo, non glielo possiamo perdonare» E forse non glielo perdonò neppure Beethoven. 46 p r o d 1h o m m e , p. 285. In un Quaderno del 1825 l’editore Schlesinger informa Beethoven che « Weber sta ora scrivendo O b e ro n per l’Inghilterra, ma non so se Weber potrà introdurvi il L ie d g e m ü tlic h che è la sua specialità. La lingua inglese lo permette difficilmente » (ib id ., p. 360). 47 P R O D 'H O M M E , p. 410. 48 Cfr. F. v o n M ü l l e r , E n tr e tie n s , trad. it. di A. Béguin, Paris 1930, p. 210. 45 P R O D ’ H O M M E , p. 362.

X.

Gli ultimi anni

Fedeli testimoni della sua grandezza e della sua miseria, i Quaderni di conversazione evocano, talora con crudo realismo, le drammatiche vicende degli ultimi anni, portano traccia dei tra­ gici eventi in cui vediamo Beethoven lentamente impigliarsi, co­ me in una rete tesagli dal destino. Tra i tanti fatti insignificanti, di cui è intessuta la cronaca del vivere quotidiano, tra il brusio quasi indistinto di tante frasi ge­ neriche, non sarà difficile a noi posteri, cui è dato poter contem­ plare nella prospettiva del tempo l ’intero corso della sua vita, av­ vertire i segni premonitori della crisi imminente, distinguere l ’e­ vento determinante, cogliere le parole che celano l’insidia: e quelle parole allora, isolandosi dal contesto ed emergendo dalle pagine del quaderno, risuoneranno nella loro nudità lapidaria co­ me inappellabili sentenze. Parimenti, in quegli estremi deliranti progetti di lavoro (il Faust, due Oratori, 1O uverture sul nome di Bach, la Decima Sinfonia, un Requiem, un Quintetto) 1par di ri-1 1 Durante un colloquio del 1825 con Karl Holz (il cui testo non è riportato dal Prod’homme) Beethoven manifesta l’intenzione di comporre una nuova sinfonia con co­ ro e ne illustra, forse al pianoforte, la struttura formale, come è dato arguire dalle se­ guenti frasi, che Holz ha scritto nei Quaderni: «Ancora una sinfonia con coro? - È un bel contrasto: la canzone gioiosa ne trae un piu festoso risalto - Il suo irrompere ("das Aufspringen”) è veramente fr a p p a n ti - Io mi rallegro come un bambino di questa sin­ fonia» (cfr. R . R o l l a n d , L a N e u v iè m e S y m p h o n ie , Paris 1943, p. 37). Ma nella succes­ siva elaborazione del progetto Beethoven sembra aver rinunciato alle voci, secondo quanto riferisce Gerhard von Breuning: «Tra i temi di conversazione favoriti con mio padre erano i suoi progetti di nuove composizioni, specialmente quali forme egli vole­ va o doveva dare alla D e cim a S in fo n ia per infonderle una nuova forza di attrazione. E questa [nuova sinfonia] egli intendeva scriverla di nuovo senza coro» («und zwar diese wieder ohne Chor»). Cfr. g e r h a r d v o n b r e u n i n g , A u s d e m S c h w a n s p a n ie r h a u s e ,Wien 1874. Anche sul progetto del R e q u ie m (di cui vi sono saltuari accenni nei Quaderni di conversazione) Beethoven si è intrattenuto con Holz, confidandogli la sua intenzione di prendere come modello il primo R e q u ie m di Cherubini per preferirlo, come concezione,

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conoscere il disperato assillo dell’artista, che presentendo prossi­ ma la fine si affretta ad assolvere il grande compito creativo che si era assunto, e si assiste con commozione al graduale declino della sua vita, che sembra veder infine naufragare nel silenzio delle pa­ gine rimaste per sempre bianche. I Q uaderni di conversazione, cronaca veritiera e fedele, che degli eventi rende non solo edotti ma partecipi, ci consentono inoltre di risalire alle origini di fatti e di idee, di assistere al loro lento fatale divenire, di cogliere non solo il ciclo esistenziale del­ la sua vita, ma le diverse fasi del processo creativo della sua opera. Cosi nel marzo 1820, in margine alla cronaca delle solenni esequie di Giorgio I I I d ’Inghilterra, vediamo apparire il propo­ sito di inserire le voci del coro nel discorso sinfonico dell’orche­ stra: «Grossbrittanien... Todten Marsch aus Handels Saul ward auf geführt... Variationen über Handels Trauer Marsch für gan­ zes Orchester für die Akademie, vieleicht später dazu Singstim­ men. —Diese Variationen müssen ebenfalls verschiedene Klagen erhalten»2 («Granbretagna... Venne eseguita la Marcia funebre del Saul di Händel... Variazioni sulla Marcia funebre di Händel per grande orchestra, per il concerto, forse piu tardi con parti di canto. —Queste variazioni devono includere diverse trenodie»). Gli stessi Quaderni ci consentiranno poi di seguire, passo a pas­ so, le vicende dell’allestimento e della memorabile prima esecu­ zione della Nona Sinfonia, in cui quell’idea, anziché nelle varia­ zioni progettate, doveva trovare gloriosa attuazione: a comincia­ re dal colloquio in cui Schindler, nel marzo 1824, si rallegra con Beethoven per aver questi, aderendo all’affettuosa istanza dei suoi ammiratori ed amici, riservato a Vienna e non, come si temeai Requiem di Mozart. «Ein Requiem solle eine wehmüthige Erinnerung an den Toten sein; mit dem Weltgericht müsse man nichts zulieb machen» («Un Requiem deve esse­ re una commemorazione malinconica dei morti; con il giudizio universale non c’è da fa­ re delle piacevolezze»); inoltre: «eine ruhige Musik sein solle, keine Weltposaune nöthig sei: die Erinnerung an die Todten verlange kein Getöse» («Deve essere una musi­ ca calma; non c’è bisogno della tromba del Giudizio: la commemorazione dei morti non richiede strepito»), Cfr. l . n o h l , Beethoven, Liszt und Wagner, Wien 1874, p. m , e T h a y e r , L. van Beethovens Leben cit., V, p. 329, n. 2. 2 S C H Ü N E M A N N , I,p . 318.

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va, a Berlino, il diritto di priorità sulla sua ultima grande compo­ sizione. «La vostra decisione mi dà un piacere straordinario. È cosi che doveva essere. Tutto andrà magnificamente e tutti se ne rallegrano sin d ’o ra » 3, e prospetta, con troppo facile otti­ mismo, i vantaggi finanziari dell’impresa: «Voi potete dunque guadagnare circa 2000 fiorini al primo [concerto] ma per il secon­ do [la replica prevista] essendo eliminate le spese di copiatura, voi potete guadagnare netto circa 3000 fiorini»4. Vediamo gli amici costituirsi in comitato e distribuirsi le man­ sioni relative alla organizzazione del concerto: «Piringer si occu­ perà degli strumenti, Sonnleithner dei cori, Schuppanzigh del­ l ’orchestra, Blahetka dei manifesti, biglietti ecc... Cosi tutto è pro n to » 5. Assistiamo agli affrettati preparativi della colazione offerta da Beethoven alla Sontag ed alla Unger, le due giovani cantanti che parteciperanno quali soliste al concerto e che intan­ to portano un po’ di scompiglio in famiglia per non aver dato in tempo conferma della loro venuta6. Bisognava anzitutto ripulirsi e farsi m ettere un po’ in ordine i capelli dal barbiere dabbasso («Quando siamo arrivate —gli dice la Sontag - eravate appunto dal barbiere: quando ho visto questo abbiamo svoltato a sinistra e vi abbiamo aspettato per non disturbarvi»), e provvedere in cu­ cina: la cuoca protesta di essere stata avvisata troppo tardi; ci si dovrà quindi accontentare di ciò che passa il convento: «Tutto è già chiuso. Pollo con qualche porzione di carne del ristorante. Quante persone? Abbiamo della insalata e del Kugelhof per dol­ ce». Beethoven se ne preoccupa e fa le sue scuse alla Unger, che lo tranquillizza: «Non sono venuta per mangiar bene, ma per fare la vostra preziosa conoscenza, il che desideravo da tanto tem­ po. Schindler ci ha detto che vi eravate finalmente deciso, con soddisfazione di tutti, a dare un concerto. Vi saremo grate se ci giudicate degne di prendervi parte in qualche cosa». Beethoven si era mostrato sulle prime titubante, ritenendo che 3 PROD'HOMME, p . 3OX.

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il pubblico lo avesse ormai abbandonato. Ma la giovane artista aveva cercato di distoglierlo da quel pessimismo: « Se voi date un concerto io scommetto che la sala sarà piena. —Avete troppo po­ ca fiducia in voi stesso. T utte le lodi del mondo non vi hanno dunque reso un poco orgoglioso? —Chi parla di tribolazione? Non volete dunque credere che si arde di ammirarvi ancora in nuove opere? oh che testardaggine...» La Sontag a sua volta lo esorta ad includere nel programma anche il «Benedictus» della Missa, la pagina che Beethoven doveva giudicare come la preferi­ ta, se si rammarica di dovervi rinunciare per il timore che la du­ rata del concerto risulti eccessiva: «Fate dunque [eseguire] il " Benedictus ” : come mai u n ’opera vostra potrebbe sembrare lun­ ga al pubblico? » Anche Schindler partecipa a questa colazione di cui riferirà malignamente i disastrosi effetti sulle due visitatrici, tali da pro­ vocare il rinvio dell’esecuzione dell’opera che la Sontag doveva interpretare quella sera. «Ecco delle eroine! Esse non sono abi­ tuate a bere vino: d ’altronde si trattava di un vino cattivo e que­ sta ne è la prova... Queste due bellezze vi porgono i loro compli­ menti e vi pregano di avere un ’altra volta del vino migliore e ge­ nuino: ed è giusto, poiché altrimenti i vostri pranzi costerebbero loro troppo cari» 7. Si discute a lungo sulla data del concerto e sulla scelta del luo­ go ove tenerlo. Beethoven propende per la sala del Ridotto, e già si dice a Vienna che egli darà un concerto in un guscio di noce. Schindler gli fa osservare che le possibilità di quel Verein sono troppo deboli per opere tanto grandiose: «ove sarà la forza, l’ef­ fetto che sono in esse? è possibile di realizzarle con questa orche­ stra? Per Dio, no». Anche il conte Lichnowsky cerca di dissua­ derlo («Voi rischiate che le vostre nuove opere perdano tutto il loro effetto»), e sostiene sia da preferirsi un teatro. « Il concerto sarebbe più dignitoso in teatro» ritiene anche il nipote Karl. «L ’esperienza ha provato che il Landständischer Saal non contie7 Ibid., pp. 299, 307. Cfr. inoltre, in T . d e w y z e w a , Beethoven et Wagner, Paris 1899, Ü capitolo Un épisode de la vieillesse de Beethoven, pp. 139 sgg.

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di conversazione

ne che 500 posti. Non ci verrà nessuno dell’alta nobiltà, della corte ancor meno... La corte verrà certamente al teatro» \ Se Beethoven insiste nel preferire la sala del Ridotto è forse perché un teatro poteva apparirgli sede troppo profana e inadatta ad un’opera di alta ispirazione religiosa, quale era la Missa Solemnis. Lo sta a confermare una frase di Lichnowsky che, dopo aver chiesto a Beethoven per quali ragioni egli avesse potuto con­ sentire a dare un concerto in una sala cosi piccola, dove ogni ef­ fetto sarebbe andato perduto, ribatte come a confutare una tale obbiezione: « Il Kapellmeister Seyfried ha già dato delle opere religiose in teatro » 8910. Ma infine cede al consiglio degli amici. Incominciano le prove con i cori e l ’orchestra del Teatro del Kärntnerthor sotto la dire­ zione del barone de Lannoy che, al dire di Schindler “, stacca i tempi troppo veloci, contrariamente alle precise indicazioni di Beethoven “. L ’incomprensione dello spirito animatore dell’opera porta di conseguenza a falsare i tempi e cosi il primo Finale sarebbe «an­ dato al diavolo»12. Sotto la direzione di Umlauf le prove procedono meglio e tu t­ ti sembrano soddisfatti '3, ma sorgono nuovi ostacoli da superare. La Sontag trova molto difficile la sua parte e dichiara di non aver mai cantato nella sua vita musica cosi astrusa; ma, a giudizio di Schindler, risulta soprattutto mancare di scuola «per eseguire un simile canto portato»; s’impone quindi di rimetterla allo stu­ dio dei «metodi di Durante, Leo e Porpora». «Le gargagliate italiane le hanno allontanate ambedue dalla buona strada» lamenta Schindler14: onde è dato inferire che il termine bel canto, di cui erano riconosciuti maestri gli italiani, 3IO-XI. 9 Ibid., p. 309. 10 Ibid., p. 313. 11 «Umlauf e Schuppanzigh si meravigliavano molto, ieri, che voi evitiate i tempi rapidi nelle vostre opere» aveva riferito poco prima Schindler. Cfr. inoltre ibid., p. 325. 12 Ibid., p. 322. 13 Ibid., p. 321. 14 Ibid., p. 323. 8 P R O D 'H O M M E , p p .

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non debba qui intendersi quale sinonimo di canto italiano, dege­ nerato nel melodramma ottocentesco, ma piuttosto designare l’antico virtuosismo, che esigeva dalla voce l’esattezza e il rigore tecnico di uno strumento. Un altro solista, Preisinger, ha una voce di basso profondo, anziché di baritono come esige la parte, e pretende che Beethoven modifichi per lui il recitativo del Finale della Nona. «Non può cantarlo; nessun basso può prendere il fa diesis» dice Schindler, che si sforza di persuadere Beethoven a vincere la sua riluttanza a modificare, sia pur minimamente, l’espressione dell’idea per adattarla alle esigenze di un interprete, ad alterare l’immagine nella forma in cui essa vive per facilitare il compito degli esecuto­ ri. « Si, è penoso - ma una simile esecuzione non può che nuocere all’insieme» osserva Schindler. E v ’è dell’altro. « I recitativi dei contrabbassi sono di una difficoltà enorme... Non riescono ad ese­ guirli al tempo giusto —possono suonare anche a 20, non come voi lo esigete». È ancora Schindler che si fa portavoce del malumore degli or­ chestrali per il nuovo, inaudito compito espressivo affidato da Beethoven ad uno strumento per tradizione adibito all’umile uf­ ficio di rinforzo sonoro; ed insiste: «Bisogna pensare a Preisin­ ger per il recitativo, soprattutto a causa della cadenza» “, tanto da spazientire Beethoven. «O h ottimo, siate calmo, altrimenti io mi taccio e...», supplica il suo famulus, che tuttavia non si scoraggia ed insiste: «Non manca di buoni polmoni ma questo è [chieder­ gli] troppo. Forti potrebbe arrivare al fa diesis, ma è privo di no­ te profonde. Farò io la correzione nella parte del basso. Va bene, lasciate cosi e non abbiate più dubbi, che egli ora lo eseguirà be­ ne. Allora siete d ’accordo? Bon! » “. Beethoven si è rassegnato ad apportare la provvisoria modifica richiesta dal cantante, ma insi­ ste che i contrabbassi debbano eseguire all’unisono il recitativo. «Q uanti contrabbassi debbono eseguire il recitativo? —chie­ de Schindler preoccupato. - Ma sarà possibile? Tutti! In tempo 15 16

I b id ., p. 326. Ib id .

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non vi sarebbe difficoltà, ma poiché essi devono suonare cantan­ do, questo procurerà molti guai alle prove. Se il vecchio Kraus vivesse ancora, si potrebbe stare tranquilli, perché egli dirigeva dodici contrabbassi che facevano tutto quello che voleva». Beethoven suggerisce allora, perché il coro dei contrabbassi possa eseguire piu facilmente e con l ’espressione voluta il fraseg­ gio, di dar loro, come guida, il testo del consimile recitativo del basso, che essi anticipano e prefigurano. «Proprio come se vi fossero le parole [scritte] sotto? » chiede Schindler che alla ripe­ tuta conferma di Beethoven dichiara: «A ll’occorrenza metterò loro le parole sotto [alle note], cosi impareranno a cantarle». La frase sonora infatti è articolata da Beethoven ad immagine e somiglianza del linguaggio verbale: l ’idea musicale tende ad in­ carnarsi nella intellettuale parola che rende manifesta l ’espressio­ ne ineffabile e segreta della musica, chiaro il suo oscuro spiritua­ le messaggio, ad attuare l’antica aspirazione, proclamata in un canto che sta alle radici della Freudemelodie, nella Fantasia per coro pianoforte e orchestra op. 80: Wenn der Töne Zauber walten und des Wortes Weihe spricht muss sich Herrliches gestalten. Nacht und Stürme werden Licht.

«Quando la magia dei suoni domina, e la sacra parola si effonde, allora si attua l ’incanto. N otte e tempesta si fanno luce»: la luce spirituale che risplende nel Finale della Nona. Avvicinandosi il giorno del concerto, Beethoven viene consul­ tato sui titoli che egli ritiene debbano figurare nel manifesto e che Schindler propone di limitare a quello di membro «delle Accade­ mie reali di Stoccolma e di Amsterdam. Niente di più, suona me­ glio» 17. Beethoven vorrebbe si fosse meno generici, venisse spe­ cificato «Accademie delle arti e delle scienze» e non si omettesse nessuno dei suoi titoli onorifici. Ma Schuppanzigh non è dell’av­ viso: «Beethoven è dittatore e presidente di tutte le accademie 17 Ibid., p . 327.

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del mondo, e le persone intelligenti giudicherebbero questo co­ me vanità». Come in altri luoghi dei Quaderni e in altri casi della sua vita, vediamo qui affiorare l ’ingenuità che è inerente e si ac­ compagna alla sua grandezza, l ’elemento puerile che contrasta con il lato eroico e sublime della sua natura, l ’uomo nel genio, il fanciullo nell’artista e nell’uomo. Anche Schindler si permette di dargli lezioni di modestia: « Il nome di Beethoven brilla dello splendore piu vivo e più indiscus­ so senza tutti questi orpelli, e tutti sanno bene chi voi siete. Que­ sto non sarà di nessun utile alla vostra posterità». E qui Beetho­ ven deve aver alzato con scetticismo le spalle se Schindler ribat­ te: «chi può sapere cosa sarà il futuro? » 18. Ma non ci vuol molto a indurre quel gran cuore infantile alla rinuncia anche di queste futilità che si staccheranno da lui e che egli abbandonerà unita­ mente alle spoglie terrene nell’istante in cui entrerà nella vita im­ mortale che lo attende19. Da quel concerto che in tre ore avrebbe bruciato anni di la­ voro e di vita, egli non si attendeva la gloria, che i viennesi non potevano né dargli né togliergli, ma un valido aiuto finanziario che lo sollevasse dalle angustie materiali in cui allora versava. L ’indigenza, infatti, era tale da non permettergli di avere un abi­ to decoroso per presentarsi al pubblico quella memorabile sera. I Quaderni, che ci permettono di riviverla ora per ora, ci conserva­ no queste parole di Schindler che non si possono leggere senza es­ serne commossi: «O ra portiamo tutto con noi; portiamo anche il 18 Ibid., pp. 326-27. 19 Beethoven soleva mostrare con grande compiacenza ai visitatori la medaglia d’oro inviatagli da Luigi XVIII per ricambiare il dono della partitura della Missa Solemnis (cfr. p r o d ' h o m m e , ρ. 318). Nel settembre 1826, mentre si sta preparando l’esemplare della partitura della Nona Sinfonia da inviare al Re di Prussia, cui l’opera era dedicata, vediamo Beethoven esprimere con insistenza il desiderio di ricevere, in compenso ( ! ), una decorazione. « Questo desiderio - gli dice Schlesinger, l’editore - potrà essere tra­ smesso dall’ambasciatore, in seguito la riceverete certamente. Ordine al merito, o Ordine dell’Aquila rossa di 3“ classe. Nello stesso tempo, quando voi avrete consegnato la sinfo­ nia all’ambasciatore, Schlesinger avrà l’onore di informarvi se egli l’ha inviata al Re e se prende a cuore il vostro desiderio. Allora egli farà menzione nella "Allgemeine Musi­ kalische Zeitung” di questo dono di Luigi XVIII, per farlo notare al Re di Prussia». Il nipote Karl commenta: «Credo che una decorazione non potrà renderti piu grande di quanto sei... Il medico Stoffel ha qualche decina di decorazioni e tra venti anni tuttavia nessuno si ricorderà di lui...». Cfr. p r o d ’ h o m m e , pp. 426-27. 12

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vostro frac verde che potrete mettere in teatro per dirigere. Il teatro è nella oscurità e nessuno vedrà che è verde. O h grande maestro, tu non possiedi un frac nero! cosi il verde farà lo stesso effetto. Ma tra qualche giorno ci sarà anche il frac nero... » Poche ore dopo, la pagina registra l ’eco dell’entusiasmo che la sua musica ha suscitato. «Mai nella mia vita —gli dice Schindler - ho inteso degli applausi cosi impetuosi e cosi sinceri come quel­ li di questa sera. Il secondo tempo della Sinfonia è stato interrot­ to da una ovazione e si dovette ricominciare. L ’accoglienza è sta­ ta piu che imperiale. Tutto il pubblico è commosso, soggiogato dalla grandezza della vostra opera» A sua volta il nipote Karl gli riferisce l ’indomani: «Ieri nel pomeriggio la gente quasi faceva a pugni davanti alla cassa per entrare. Una folla numerosa quanto mai. La Sontag e la Unger che riscuotono sempre i piu grandi applausi quando appaiono, non furono quasi applaudite ieri alla loro entrata, ciò del resto è naturale: poiché quando tu dài un concerto il pubblico sa bene che non ha da applaudire i cantanti». L ’incasso che, secondo le ottimistiche previsioni di Schindler, avrebbe dovuto aggirarsi sui millecinquecento fiorini (« Il con­ certo a Parigi o a Londra vi avrebbe reso certo 12 o 15 mila fio­ rini. Qui forse altrettante centinaia»), a conti fatti risultò assor­ bito totalmente dalle spese. La delusione di Beethoven fu grande e suscitò la sua terribile collera contro Schindler, che vediamo di­ scolparsi durante il pranzo da lui offerto al Prater, e abbandona­ re umiliato il tavolo seguito da Umlauf e da Schuppanzigh che commenta: « Il povero Schindler non ne ha colpa, è veramente innocente» 201 20 p r o d ’ h o m m e , p. 330. «Quando nella seconda parte dello Sch erzo i timpani ese­ guirono da soli il motivo, il pubblico scoppiò in tali applausi da coprire l’orchestra. Gli occhi degli esecutori erano pieni di lagrime. Il maestro continuava a battere il tempo sino a che Umlauf, con un gesto della mano, ebbe a mostrargli l’emozione del pubblico. Egli si guardò attorno e s’inchinò, calmissimo». Cosi ebbe a riferire Karl Holz (cfr. p r o d ’h o m m e , L e s S y m p h o n ie s d e B e e th o v e n , Paris 1921, p. 439). Cfr. anche in t h a y e r , L. va n B e e th o v e n s L e b e n cit., V, pp. 32 e 93, la versione dell’episodio datane dal Thal­ berg e quella del violinista Böhm. 21 p r o d ’ h o m m e , p. 33X. Beethoven, deluso e contrariato dal miserevole esito finan­ ziario del concerto ritenne di essere stato ingannato dal direttore del teatro, Duport, in

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Beethoven era giunto al termine della sua grande fatica (la Missa Solemnis e la Nona Sinfonia') stremato di forze, gli occhi riarsi, quasi che il fuoco interiore gli avesse abbacinato la vista e trasmesso al suo corpo la febbre, che per mesi ebbe ad affliggerlo. Se quel favoloso viaggio nelle regioni d ’oltremondo e terre­ stri poteva aver fiaccato il suo fisico, aveva peraltro stimolato il suo animo ad altre imprese, acceso in lui nuovo ardore creativo. Dopo di aver contemplato nella Missa Solemnis il mistero re­ ligioso rivivendone il testo liturgico come "un dramma umano e divino, dopo di aver esaltato nella Nona Sinfonia la gioia che na­ sce dalla conquista della libertà morale e politica, senti infatti il bisogno, come obbedendo ad un imperioso richiamo, di inoltrar­ si in regioni più segrete ed oscure, di indagare in sentimenti piu intimi e dar loro espressione. Il grande affresco, mirante a tra­ smettere ai cuori dellà fffllàì piu alti ideali di un nobile cuore, ce­ de ora al campo ristretto di una pagina. Rinunciando infatti alle smaglianti sonorità dell’orchestra, alla varietà dei colori timbrici degli strumenti, alla potenza di effetti del coro, e limitandosi ai combutta con Schindler, di cui leggiamo nei Quaderni di conversazione l’accorata difesa («Ricordatevi la storia con Klement, quando voi non voleste desistere dal vostro pro­ getto; ne fui anche allora la causa? Infine non ne fui io solo la causa se queste grandi opere sono state eseguite? Tutti quelli che vi vogliono bene lo diranno con me. Addio, addio, e cosi addio! »), e il seguente commento del nipote Karl che sembra attribuire al­ la non benevola ingerenza del fratello Johann il risentimento di Beethoven verso il suo famulus·. «Dinanzi a diverse persone il fratello ha detto, e Schindler lo sa da un testi­ mone che era presente: egli lascia che passi il concerto e poi se lo leverà di torno». In una lettera scritta a Schindler pochi giorni dopo il concerto Beethoven cosi si esprime sull’incidente del Prater: «Ich beschuldige Sie nichts Schlechten bei der Akademie aber Unklugheit und eigenmächtiges Handeln hat manches verdorben - Verstopfte Schleusen öffnen sich öfter plötzlich, und den Tag im Prater glaubte ich mich in man­ chen Stükken sehr empfindlich angegriffen von Ihnen» («Io non la incolpo di nulla di grave per quanto riguarda il concerto, ma imprevidenza e l’agire di sua testa ha molto danneggiato - spesso canali otturati s’aprono d’improvviso, e quel giorno al Prater cre­ detti di essere attaccato da lei in molti punti molto suscettibili»), E gli preannuncia il congedo: «überhaupt würde ich eher Ihre Dienste, die Sie mir erweisen, gern öfter mit einem kleinen Geschenke zu vergüten suchen, als mit dem Tische... kurzum ich lie­ be meine Freiheit zu sehr; es wird nicht fehlen Sie manchmal einzuladen. Für beständig ist es aber unmöglich da meine ganze Ordnung hierdurch gestört wird» («Soprattutto io vorrei cercare di compensare spesso e di buon grado con un piccolo dono i suoi ser­ vigi, anziché con la tavola... insomma, io amo troppo la mia libertà; non mancherà oc­ casione di invitarla qualche volta. Ma in permanenza mi sarebbe impossibile poiché tut­ to il mio ordine [di vita] ne sarebbe disturbato»; cfr. k a s t n e r , p. 711, n. 1207).

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solisti del quartetto d ’archi, sarà entro l’ambito spaziale creato da questo complesso che egli configurerà, farà risuonare e rifran­ gere il particolare, irripetibile accento della propria voce. Q uesto ridursi, dopo la sublime eloquenza di cosi solenni p ro ­ fessioni di fede nei suprem i valori religiosi ed um ani, ad una spo­ glia confessione delle sue illusioni e delusioni, questo sostituire all’assunto di una tem atica che investiva l ’universale, i dolenti m otivi della p iù individuale casistica, alla proclamazione di ideali utopistici la testim onianza di una sofferta esperienza esistenziale, potrebbe apparire una lim itazione e u n im poverim ento. C ostituì in realtà u n maggiore acquisto. Rifugiato nella solitudine della sua anima gli fu dato infatti di intendere piu chiara e diretta la voce dello spirito, Vunendlicher G eist, lo spirito infinito, «fuoco vivo di vita», che lo rivela a se stesso, gli schiude, come a Faust, le profonde pieghe segrete del suo petto. ... z e ig st m ic h d a n n m ir s e lb s t, u n d m e in e r e ig n e n B r u s t g e h e im e tie f e W u n d e r ö ffn e n s i c h 2223.

Ma accingendosi a comporre i suoi ultimi Quartetti, Beetho­ ven non obbediva soltanto ad una misteriosa voce interiore: ri­ spondeva ançhe al pressante invito che gli giungeva dal di fuori e che sembrava riecheggiare quell’intimo richiamo. Le richieste dei committenti erano anche per lui occasioni, segni provviden­ ziali di cui si doveva tener conto, a cui si doveva saper corrispon­ dere, obbedire. E com’egli (il 25 gennaio 1823) aveva pronta­ mente aderito alle sollecitazioni del principe Nicola Galitzin per «comporre uno, due o tre nuovi Q uartetti», un mese dopo (il 25 febbraio 1823) accoglie un consimile invito dell’inglese Charles Neate, e, il 20 marzo, quello dell’editore P eters“. «Anche il 22 G o e t h e , F a u st, parte 1, w . 2877-79 (« ■ ■■rivelami allora a me stesso, e si schiudo­ no le profonde piaghe segrete del mio petto»). 23 Cfr. K ä s t n e r , p. 644, n. 1075, A rt C harles N e a te : « Ries tells me you wish to have three Quartetts of me and I now write to beg you will let me know about what time they are to be ready, as I am fully satisfied with your offer...»; e pp. 652-53, n. 1088,

A n E . F. P eters.

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m ondo reclama Q u artetti - com m enta Schindler in u n Q uaderno di conversazione del principio di aprile di quell’anno - e voi po­ tete anche scriverli senza troppo torm en tarv i » 24. Il m ondo reclama confusam ente ciò di cui sente u n oscuro b i­ sogno senza assum erne coscienza se non quando gli accada di sen­ tirlo appagato. M a Beethoven conosceva il valore e la straordina­ ria novità della rivelazione, che p er configurarsi in lui come nuo­ va form a gli sminuiva al confronto tu tta la precedente sua attivi­ tà artistica. E il campo che gli si schiude dinanzi gli appare cosi ampio e copioso di messi da sentirsi, m entre già il suo giorno de­ clina, soltanto all’inizio del lavoro. Il 17 settembre del 1824 egli scriveva all’editore Schott: «Apollo und die Musen werden mich noch nicht dem Knochen­ mann überliefern lassen denn noch so vieles bin ich ihnen schul­ dig und muss ich vor meinem Abgang in die Elysäischen Felder hinterlassen, wass mir der Geist eingibt und heisst vollenden. Ist es mir doch, als hätte ich kaum einige Noten geschrieben»2526 («Apollo e le Muse non vorranno ancora consegnarmi alla morte poiché io debbo loro ancora molto e prima della mia andata ai Campi Elisi devo lasciare dietro di me ciò che lo spirito mi ispi­ ra e mi ingiunge di terminare. Mi pare di aver scritto sinora sol­ tanto qualche nota»). L ’oscuro presentim ento della fine non lontana lo sprona, ed egli non concede tregua alla sua ansia di lavoro, incurante delle conseguenze che quello sforzo arreca alla sua salute. N on tardano infatti a m anifestarsi i sintom i della m alattia incipiente. « Io cre­ do sia una conseguenza delle vostre fatiche di questi ultim i tem pi e della mancanza di regolarità nella vostra vita» gli dice Schind­ ler e lo supplica: «Carissimo m aestro, pensate all’avvenire. A che scopo passare le no tti a lavorare? » “. Nei Quaderni dell’aprile 1825 appaiono, a denunciare la so­ praggiunta infermità («una febbre infiammatoria —una seria in24 S C H Ü N E M A N N ,

25 Cfr.



st n e r

,

26 P R O D ’H O M M E ,

III, p. I33. p. 727, n. 1239. p. 346.

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fiammazione intestinale») le prescrizioni e i consigli del dottor Braunhofer, suo medico curante, che dopo avergli fatta seguire una dieta rigorosa, lo induce a recarsi in campagna, non senza ri­ petergli la solita raccomandazione: «Non dimenticate la musica [promessa], qualche [nota] senza importanza; si tratta unicamen­ te di avere un vostro autografo»27(«Pas de pensée: seulement la signature», chiederà un giorno a Proust un consimile ammira­ tore). A Baden con la salute ritorna la gioia del lavoro e con essa il buon umore. « Il mio medico mi ha salvato poiché non potevo piu scrivere musica; mentre ora scrivo Noten che mi possono li­ berare dalle Nöthen» (dalle necessità), scrive Beethoven in un Quaderno del maggio di quell’anno28, compiacendosi, come so­ vente accade di riscontrare nelle sue conversazioni e nelle lettere, del bisticcio. Ma le pagine che seguono ci offrono una ben piu alta e signi­ ficativa testimonianza di quel miracoloso ritorno alla vita: l ’ap­ punto per la didascalia del Molto adagio del Quartetto in la mi­ nore op. 132, che egli andava allora componendo29: «DankHymne eines Kranken an G ott by seiner Genesung. Gefühl neu­ er Kr[aft] auf u. wieder erwachten Gefühl» («Inno di ringrazia­ mento a Dio di un ammalato per la sua guarigione. Sentimento di nuova forza e sentimento [di gratitudine] nuovamente risve­ gliato»; maggio 1825), corretta poi in «Heiliger Dankgesang an die G ottheit eines Genesenen» («Cantico sacro di ringraziamen­ to alla Divinità di un guarito»), che diverrà infine nella versione definitiva: «Canzona di ringraziamento offerta alla Divinità da un guarito, in modo lidico». Segue la frase: «Beim 3/8: neue 27 Beethoven mantenne la promessa e inviò al dottor Braunhofer un canone ispirato al solito bisticcio: «Doktor sperrt das Tor dem Tod, Note hilft auch aus der Not» (« II medico sbarra la porta alla morte, la Nota aiuta a liberarsi dal bisogno»), scritto P i i maggio 1825 in Baden, Helenental, presso la seconda Antonsbrücke, verso Siechenfeld. Cfr. k a s t n e r , p. 758, n. 1288. 28 P R O D ’ H O M M E , p. 348. 29_ In uno schizzo musicale di un Quaderno di conversazione del maggio 1820 sem­ bra già potersi riconoscere un primo abbozzo tematico per il Quartetto op. 132. Cfr. S C H Ü N E M A N N , II, p. 102, e P R O D 'H O M M E , p. 334.

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Kraft fühlend» («sentendo nuove forze»), che figurerà in testa all’Andante della stessa Canzona e che ci richiama alle parole che accompagnano in un taccuino di schizzi, detto «Italiano», il pri­ mo abbozzo di quell’idea musicale: «Doch Du gabst mir wieder Kräfte mich des Abends zu finden»3031(«M a tu mi desti di nuovo forze, per trovarmi la sera»). Una tregua quasi felice in cui il suo cuore si effonde nella pienezza della grazia con commossa gratitu­ dine e si eleva a religiosa contemplazione. Egli si sente guarito, ma non è che l’illusoria beatitudine, l’en­ tusiasmo di un istante, che la contemplazione estatica sembra prolungare, che l ’arte ha reso eterno. «Come mi è penoso vivere, —scrive in quel tempo al nipote. — Veramente la vita mi sarebbe intollerabile se essa non avesse uno scopo piu alto... Dove non sono ferito, dove non sono spezzato! Mi sento ancora cosi debole che appena posso reggermi in piedi. La continua solitudine mi indebolisce sempre piu... L ’uomo dal­ la falce non tarderà molto» Nei Quaderni, accanto alla frase «neue Kraft fühlend» che ci richiama alla radiosa pagina musicale del Quartetto op. 132, tro­ viamo scritto: «testamento»; e la parola risuona anche qui inat­ tesa, come un memento morì, nel pieno di quella gioia di vivere: un richiamo misterioso, un ostinato presentimento, cui egli non può sottrarsi. Ma se la notte si addensa sulla sua vita, nessuna ombra sem­ bra offuscare la celeste serenità degli ultimi due tempi di quel Quartetto. Le pagine dei Quaderni ci consentono di conoscere le reazio­ ni degli interpreti e del pubblico a quella sua ultima musica «troppo nuova e troppo difficile» per essere pienamente intesa: è lo stesso Schuppanzigh che, tra proteste di ammirazione e di af­ fetto, lo dichiara a Beethoven per giustificare le deficienze riscon30 Cfr. c . d e r o d a , Un Quaderno di autografi di Beethoven del 1825, Torino 1907, p. II. 31 Cfr. K ä s t n e r , p. 761, n . 1295; p. 762, n . 1297; p. 767, n . 1315.

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träte alla prima esecuzione del Quartetto in mi bem. op. 127 a Vienna il 6 marzo 1 8 2 5 32. Pur ammettendo di averlo presentato al pubblico «troppo presto e che esso non è risultato come avrebbe dovuto essere», il 32 Alla vigilia dell’esecuzione dell’op. r27, Beethoven, come un generale prima del­ la battaglia, aveva inviato ai suoi fidi collaboratori, i componenti del Quartetto Schuppanzigh, il seguente messaggio: «Beste! Es wird jedem hiermit das Seinige gegeben und wird hiermit in Pflicht genommen, und zwar so, dass man sich anheischig machte, bei Ehre, sich auf das beste zu verhalten, auszuzeichnen und gegenseitig zuvorzutun. Dieses Blatt hat jeder zu unterschreiben, der bei der bewussten Sache mitzuwirken hat. - Bee­ thoven, Schindler Sekretarius» («Miei bravi! Ciascuno farà quanto può e compirà il proprio dovere e ciascuno si impegna, sull’onore, di comportarsi nel modo migliore. Ciascuno di coloro che partecipano a quanto convenuto deve sottoscrivere questo fo­ glio. - Beethoven, Schindler segretario»), Cfr. k a s t n e r , p. 751, n. 1276. Nel maggio 1825 Schindler, riferendo a Beethoven la cronaca di un concerto cui ha assistito, dice: «L ’E ro ica è stata eseguita vergognosamente nel senso proprio della parola» ( p r o d ’ h o m ­ m e , p. 348). Ma non è soltanto la «lunghezza di tutta la sinfonia» che, come lamentava la critica al primo apparire dell’opera, « ne rende l’esecuzione penosa e difficile ». La sua musica per gli esecutori e per il pubblico è «zu neue, zu fremd» («troppo nuova, trop­ po estranea»), come è detto nei Quaderni del Q u in te tto op. 29 (cfr. s c h ü n e m a n n , III, p. 96). Nel febbraio 1823, a distanza di circa quattro mesi dal concerto, Beethoven an­ cora si lagna della cattiva esecuzione della O u v e r tu r e op. 124 ( W e ih e d e s H a u ses) con Schindler, che vi aveva partecipato quale primo violino ( ! ). « Ma come, ritornate oggi su questa vecchia storia. Se ho commesso l’errore di farvi scrivere questa O u v e r tu r e mi as­ sumo ben volentieri [la responsabilità di] questo errore, ma se le orchestre non possono eseguirla e la eseguiscono male non è affatto colpa mia. Mandatela a Lipsia, a Berlino, forse se la prenderanno piu a cuore» ( s c h ü n e m a n n , III, p. 26). «Voi dovreste andare a Lipsia a dare un concerto: là l’entusiasmo per voi è senza limiti» gli dirà nel marzo 1825 August Mittag, di Dresda: « ora l’orchestra è di novanta persone, e forse la miglio­ re oggi... I migliori artisti vogliono andare a Monaco... Le vostre sinfonie in nessuna parte sono meglio eseguite di là: ma fanno cinque o sei prove» ( p r o d ’ H O M m e , p. 385). Beethoven si lamenta del pubblico di Vienna che Schindler cerca di giustificare: «Vi prego di finirla con questa storia; il pubblico è scusato di non comprendere uno schia­ mazzo come quello che si è potuto ascoltare nel passaggio fugato» ( s c h ü n e m a n n , III, p. 26). Ma l’incomprensione non è soltanto del pubblico. «Mi ricordo di ciò che è ac­ caduto con la S o n a ta op. 102 e il vecchio Simrock» dice Schindler, alludendo alla 2“ S o n a ta p e r vio lo n c ello e p ia n o fo r te dell’op. 102, di cui Simrock era stato il primo edito­ re (1817), ed ammette: «Anch’io non capisco il F u g a to , benché lo abbia eseguito un gran numero di volte»; ma si affretta ad aggiungere: «Maestro, non prendete per que­ sto quell’aria scura - Io correggerò questa deficienza ogni giorno, poiché ogni giorno di­ vengo piu vecchio e forse piu intelligente. Cosi, forse un giorno potrò comprendere an­ ch’io questo F ugato » ( p r o d ' h o m m e , p. 280). Ma poi, per non provocare il risentimento di Beethoven, cambia tattica, schierandosi con i suoi ammiratori, ma non rinuncia nei suoi colloqui con il maestro a rilevare l’incomprensione di altri musicisti a giustificazio­ ne della propria. « Czerny ha avuto la grande amabilità di suonarmi domenica le vostre 33 V a ria zio n i [su tema di Diabelli]. Io non oso, come profano, farvene l’elogio, ma so­ no stato colpito dalla grandezza e dalla sublimità di quest’opera che non potrà essere ap­ prezzata se non nel corso di lunghi anni come Moscheies e Kalkbrenner stessi dimostra­ no, essi che non le capiscono...» ( p r o d ’h o m m e , p. 314).

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prim o violino del suo Leibquartett (« Q u artetto del corpo»), strenuo paladino dell’arte beethoveniana, reagisce all’accusa di «incapacità e di insufficienza tecnica»: «M entirei [se io dicessi] che è troppo difficile p er me nei passaggi: è l ’insieme che è diffi­ cile». In realtà nella musica di Beethoven, com ’egli aveva giusta­ m ente rilevato, «non vi sono difficoltà di tecnica, m a ciò che la rende difficile è soltanto Y originalità, che non si lascia subito af­ ferrare» 3\ Schuppanzigh non doveva aver dim enticato né le parole, né il tono sprezzante con cui Beethoven aveva risposto ad u n suo rilie­ vo circa un passo da lui reputato non «violinistico», non confa­ cente cioè alle possibilità tecniche e al carattere del suo strum en­ to: «G lau b t E r, dass ich an seine elende Geige denke, w enn der G eist zu m ir spricht? » ( « Credete voi, che io pensi al vostro pove­ ro violino quando lo spirito mi parla? ») Difficile era infatti saper intendere la voce che giungeva da re­ gioni tanto lontane, espressa in u n linguaggio necessariamente e non volutam ente oscuro per adeguarsi alla profondità e alla dram m aticità della visione, rivelata al m usicista da uno spirito, che alla critica del tem po era sem brato paragonabile a quello che aveva ispirato a G iovanni YApocalisse M.3 4 33 p r o d ή ο μ μ ε , pp. 3 4 3 - 4 5 . L’insufficienza tecnica degli esecutori è spesso lamen­ tata nei Quaderni di conversazione. Dopo il concerto del 9 aprile 1820, nel quale era stata eseguita la Q u in ta S in fo n ia , Oliva informa Beethoven: «Ho dimenticato di dirvi che i dilettanti ieri hanno massacrato la sinfonia; - del terzo tempo ne hanno tagliato quasi la metà; - il pezzo fugato del centro non è stato eseguito che una volta (senza ripresa), poi è venuto subito dopo il passaggio in cui i violini hanno il piccicato [sic], poi sono andati al finale, questo ha fatto una cattiva impressione. Nel complesso la sinfonia è stata completamente sfigurata dalla miserabile direzione e, verosimilmente a causa dell’andazzo della maggior parte degli esecutori, ogni tempo è andato peggio la prima volta, meglio la seconda. - Malgrado tutto, ha fatto piacere di vedere come, a dispetto dell’esecuzione estremamente difettosa, la bellezza di questa sinfonia non possa scomparire. - Ciò ha fatto visibile impressione su tutto il pubblico». Cfr. p r o d ’ h o m m e , p. 169. - Anche il F idelio, ripreso ai primi di novembre del 1822 al Hoftheater di Vienna, trionfa nonostante l’insufficienza del direttore e dell’orchestra. « I Kapellmeister conoscono troppo poco le vostre opere» lamenta uno della brigata che attornia Beethoven al ristorante, dopo il teatro. « L’orchestra non fila mai dritto, sem­ pre vacillante. Essi non possono eseguire che Rossini. Con Rossini non hanno bisogno di forza: sempre piano e l’abituale cre sce n d o » . Cfr. p r o d ’ H O M M E , p. 203. 34 Cfr. la critica di r e l l s t a b al Q u a r te tto op. 127 nella «Berliner Allgemeine Mu­ sikalische Zeitung», 1822, η . 4 , 27, e b o y e r , L e ro m a n tism e d e B e e th o v e n cit., p . 280.

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Sebbene apparisse avvolta in un «geloso velo di nebbia», l’o­ pera parlava all’ascoltatore, e il «brivido sacro» che quella musi­ ca suscitava in lui, accertando una comunione diretta fra le ani­ me, sembrava renderlo intimamente partecipe della sua essenza segreta. Altri valenti violinisti, quali Joseph Böhm e Joseph Mayseder, si contendono con Schuppanzigh il privilegio e l ’onore di eseguire una musica che schiudeva agli uditori un mondo nuovo e sconosciuto, il mondo degli spiriti e del sogno35367. Il successo ali­ mentato da curiosità e stupore si va, pur tra la resistenza e l ’in­ comprensione, sempre piu affermando “. Ne cogliamo l ’eco nelle parole del nipote Karl che, nel tra­ smettere a Beethoven il saluto dell’amico Stephan Breuning, scri­ ve in un Quaderno di conversazione del maggio 1825: «Egli è molto soddisfatto che la tua fama cresca ancora oggi, grazie al Quartetto [op. 127] di cui ha già sentito parlare; molta gente ne parla» Beethoven frattanto va ultimando a Baden un altro Quartet­ to, quello in /tü minore (op. 132). Ai primi di settembre se ne organizza a Vienna u n ’audizione privata per Maurizio Schlesinger, editore in Parigi, che ne vuole acquistare i d iritti38. Holz che, quale componente con Linke e p. 345. 36 Nel settembre 1826 Karl Holz riferisce non senza qualche malizia a Beethoven: « Mi è stato recentemente raccontato che qualcuno si era recato ad acquistare il Quartet­ to in mi bem. [da Haslinger, il mercante di musica amico di Beethoven, che scherzosa­ mente egli si divertiva a chiamare "Ehemaliger Bierwirt, nun mehriger Kunstfabrikant! Bester Herr nordamerikanischer Notenhändler wie auch Kleinhandelnder!” ("Antico oste birraio, presentemente fabbricante d’arte! Ottimo signor commerciante di note nordamericano come pure rigattiere!”); cfr. k a s t n e r , p. 732, n. 1344]. Mio Dio, dice Tobias, nessuno può eseguirlo, e l’estero non lo compra. Gli Schott possono rallegrarsi di avere di questi commissionari... Sono scoppiato a ridere quando ha detto di voi: Beethoven non esiste che per avvelenarmi la vita» (cfr. p r o d ’ h o m m e , p. 430). 37 PROD’HOMME, p. 330. 38 Ibid., p. 363. Maurizio Schlesinger aveva fatto una suggestiva proposta a Beetho­ ven, che si vorrebbe fosse stata da lui accolta. « Sarebbe molto interessante, Signor van Beethoven, se voi voleste scrivere un articolo intitolato: Cosa deve essere una sinfonia, una ouverture? - [Rossini] ne fa passare una da un’opera all’altra come se una testa po­ tesse convenire a un corpo qualsiasi» ( p r o d ’ h o m m e , p . 360). Beethoven avrà forse r i ­ sposto ciò che aveva scritto l’anno prima all’editore Schott declinando l’invito a colla35 P E O D 'H O M M E ,

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Weiss del Q uartetto Schuppanzigh, partecipa alla esecuzione, co­ si ne riferisce a Beethoven l ’indomani (8 settembre 1825): «Vi era anche Karl —Eravamo tutti incantati... C’era anche Wolfmayer [l’amico cui Beethoven dedicherà poi il suo ultimo Quar­ tetto op. 135] che ha pianto all’Adagio come un bambino... To­ bias [Haslinger] si grattava dietro l ’orecchio mentre ascoltava: egli rimpiange sicuramente che l ’ebreo Steiner [il socio editore] non l ’abbia acquistato» Due giorni dopo, in una sala del W ilder Mann, al Prater, il Quartetto in la minore viene ripetuto alla presenza di Beethoven, rientrato a Vienna da Baden: assistono al concerto anche Karl Czerny, la pianista Antonia Cibbini nata Kozelych, Wolfmayer ed alcuni altri invitati. «M ilord [Schuppanzigh] non ha mai suo­ nato bene come oggi —Nessuno può eseguire in tal modo brani come il recitativo» commenta Holz. Schuppanzigh si limita ad una nota di cronaca: «La Cibbini era completamente fuori di sé, non vi ha mai lasciato con lo sguardo». «La Cibbini —riferisce a sua volta il nipote - mi sembrava quasi una baccante durante l’e­ secuzione del Quartetto, tanto le piaceva. - Vi è tuttavia un ca­ rattere particolare in ogni sua parte, si vede ora come tu vai sem­ pre avanti. T utti erano completamente incantati dalla tua im­ provvisazione, soprattutto Sedlaczek, che ne ha parlato col piu grande entusiasmo... H o dimenticato di dirti che Wolfmayer ave­ va assistito alla prova del 20 Quartetto : al Corale non ha potuto trattenere le lagrime: questo solenne canto religioso lo ha pro­ fondamente commosso» “. Il successo del Quartetto in la minore si rinnova all’esecuzio­ ne pubblica del 6 novembre; l ’indomani il nipote ne riferisce a Beethoven: «Era pienissimo, e il Trio [op. 97] ma soprattutto il Quartetto è stato molto applaudito. Vi era troppa gente per po­ ter cogliere molte conversazioni, ma ho sentito che molti passi borare alla rivista «Caecilia»: «Tanto volentieri vorrei essere utile per quanto riguarda la mia modesta persona, se la mia maggiore ed innata vocazione non fosse quella di rive­ larmi al mondo mediante le opere [musicali] ». Cfr. k a s t n e r , p. 706, n . 1191. 35 P R O D ’ H O M M E , p. 363. 40 Ibid., ρρ. 365-66.

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sono stati accolti da acclamazioni e all’uscita la gente parlava del­ la grande bellezza del Quartetto. Ci si meraviglia che tu abbia fat­ to tanto con le poche note che ti era permesso di fare nel modo lidico»41. Confuso nel gruppo dei fedeli, il cui entusiasmo contrasta con l ’indifferenza del gran pubblico e con l’incomprensione di una parte della critica per quei Quartetti detti «folli e del diavolo», Schubert ascolta ad occhi chiusi, rapito, come se quella musica si rivolgesse e parlasse a lui solo. Holz, che ha soppiantato Schind­ ler presso Beethoven ed è divenuto suo intimo, gli riferisce: «Schubert era da Artaria: leggeva una partitura di Händel. È stato molto gentile, ha ringraziato anzitutto per il piacere che gli ha procurato l ’esecuzione dei vostri Quartetti. Vi ha sempre assi­ stito » 4243. M entre si susseguono a Vienna le repliche dell’op. 127 e dell’op. 132, già si offriva alla aspettazione di quegli ammiratori ed esecutori un altro Q uartetto, in si bemolle, destinato a comple­ tare la serie promossa dal principe Galitzin, ma non ad esaurire l ’ardore di quel rinnovato impulso creativo. «Schuppanzigh ver­ rà anche a chiedervi il terzo Q uartetto... È piu bello del secon­ do? » chiede Holz nel settembre del x 825 4\ Il segreto che viene mantenuto attorno alla nuova opera ne rende piu viva l’attesa. L ’editore Schlesinger, che vorrebbe ac­ quistarne il diritto di pubblicarlo unitamente all’op. 132, chiede a Beethoven: «Avete pensato al 30 Q uartetto? » ed è impaziente 41 Ibid., p. 368. 42 Ibid., p. 382. 43 Ibid., p. 363. In un Quaderno del novembre seguente Beethoven scrive: «Titolo del Quartetto» seguito dalla dicitura, in francese, di altra mano: «30 Quatuor. Pour deux violons, viola et violoncelle, composé au désir de S. A. Monseigneur le Prince Ni­ colas Galitzine et dédié au même». Beethoven aggiunse «par L.V.B.» ( p r o d 1h o m m e , p. 370). Lo stesso Holz non esiterà poi a giudicare U Quartetto in si bem. op. 130 il mi­ gliore dei tre, provocando la seguente precisazione di Beethoven: «Jedes in seiner Art! Die Kunst will es von uns, dass wir nicht stehen bleiben. Sie werden eine neue Art der Stimmführung bemerken, und an Phantasie felht’s, Gottlob, weniger als je zuvor» («Ciascuno [è bello] nel suo genere. L’arte vuole che noi non restiamo fermi. Voi cono­ scerete [presto] un nuovo modo di condurre le parti: e quanto alla fantasia, grazie a Dio, non ne manchiamo mai»), Cfr. x h a y e r , Ludwig van Beethovens Leben cit., V, ρ.318.

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di ascoltarlo. «Böhm, M erk ecc. vogliono, se permettete, eseguir­ lo martedì o mercoledì» (il 6 o il 7 settembre 1825). E poiché Beethoven si mostra restio accampando la scusa di averne già af­ fidata l’esecuzione a Schuppanzigh e ai suoi compagni, insiste: «Voi ben potete farlo eseguire da Linke: Böhm, M erk ecc. vo­ gliono solo provarlo in una stanza, così avrei la fortuna di ascol­ tarlo... non in pubblico... semplicemente nella mia stanza... mu­ nita di doppia finestra»44. Ma tre mesi prima che quest’opera venga eseguita da Schup­ panzigh a Vienna, vediamo apparire in una pagina dei Quaderni del dicembre 1825 il primo tema di un nuovo Q uartetto, quello in do diesis minore (op. 131), nella sua forma quasi definitiva, ed è come se d ’improvviso sentissimo, tra il brusio di vane paro­ le, alzarsi scoperta, appassionata e dolente la sua voce, a confi­ darci una pena segreta45. Questa musica infatti, che risuona alle soglie dell’anno della passione, sembra iniziarci e renderci piu in­ timamente partecipi delle drammatiche vicende, che porteranno il nipote Karl a tentare il suicidio, Beethoven alla morte. D i questo dram m a se ne possono cogliere nei Q uaderni i sin­ tom i prem onitori, come là ove il fratello Johann, in un colloquio con Beethoven, rivela l ’acuirsi della tensione esistente tra zio e nipote dicendo: « H o chiesto a K arl l ’altro giorno perché si fa così raram ente vedere da te. La sua risposta è stata pressappoco la seguente: Egli teme le tue scene e i continui rim proveri sulle sue colpe p assate» 46. Dalle parole dello stesso K arl trapela inoltre una malcelata esasperazione, uno scontento che, se tanto amareggia Beethoven, indurrà il giovane a compiere un gesto disperato. « T u trovi che sia testardaggine - dice Karl - quando, dopo avermi fatto p er ore dei rim proveri im m eritati, io non riesco a passare subito d all’ap. 359. 45 A fine gennaio 1826 appare in un Quaderno di conversazione il tema d e ll’A n d a n ­ t e co n va ria zio n i , e Holz chiede a Beethoven: «Forse possiamo subito provare qualcosa del Q u a r te tto in d o d iesis m in o r e ?» (cfr. R . r o l l a n d , B e e th o v e n . L e s d e rn iers Q u a ­ tu o r s , Paris 1943) Ρ· 231)· Il passo non è riportato dal Prod’homme nei C ahiers d e co n ­ 44 P R O D ’ H O M M E ,

versa tio n . 46 P R O D ’ H O M M E ,

p. 383.

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maro sentimento di dolore all’indifierenza e allo scherzo. Non so­ no cosi leggero come tu pensi » ". Pochi mesi dopo Karl fugge nell ’Helenental e tenta di suicidarsi, mentre Beethoven, allarmato dalla sua assenza, lo va affannosamente cercando durante tutta una notte, accompagnato da Holz. Questi propone di denunciare la scomparsa del giovane. «Vado a prevenire la polizia» scrive sul Quaderno. Si recano insieme alla casa di Schlemmer che ospi­ tava il ragazzo, e che ascoltiamo dire a Beethoven: «H o appreso oggi che vostro nipote voleva uccidersi già da molto tempo... H o cercato se aveva fatto dei preparativi e ho trovato nel suo baule una pistola carica di polvere e piombo, che ora è in mia custodia. Trattatelo generosamente altrimenti si dispererà». «Si annegherà» troviamo scritto subito dopo nel Quaderno, di mano di Beethoven, che rimprovera Holz, incaricato di sorve­ gliare il ragazzo, di esserselo lasciato sfuggire. Holz ribatte: « Io credo che se ha l ’intenzione di farsi del male nessuno glielo po­ trà im pedire»4748. Beethoven fuori di sé corre con Holz a dare l’al­ larme alle sentinelle di guardia lungo il Danubio e a riprendere le affannose ricerche. Lo ritroviamo poi l’indomani al capezzale del nipote ferito, trepidare sulla sua sorte, seguire amorevolmen­ te le fasi della convalescenza. E a Schindler che gli rimprovera di mostrarsi troppo indulgente con il giovane sino a voler scusare la sua condotta, Beethoven risponde come parlando a se stesso: «Io non voglio altro scopo che il suo bene. Se lo si abbandona ora, potrebbe accadere qualcosa di terribile»49. Durante tutta l ’estate, rinunciando alla consueta villeggiatu­ ra, egli resta a Vienna per essere vicino al ragazzo, anche se que­ sti non mostra di gradire la sua presenza. «Karl non vuole veder­ ti» gli dichiara Stephan von Breuning, che lo ha sostituito nella tutela e che ha provveduto a far arruolare il giovane come cadetto nel reggimento del barone von Stutterheim, suo amico, cui Bee­ thoven dedicherà poi in segno di gratitudine il Quartetto in do diesis minore. 47 Ibid., p. 405. 48 Ibid., pp. 417-18. 49 Ibid., p. 422.

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Ma intanto, nell’attesa del giorno in cui il giovane possa pre­ star servizio, vediamo zio e nipote partire insieme, riconciliati, alla volta di Gneixendorf, ove il fratello Johann possiede casa e poderi. I Quaderni permettono di seguirli nel viaggio (Karl: «Oggi arriveremo soltanto sino a Stackeren, ove c’è un ottimo alber­ go»), di accompagnarli nelle visite ai monumenti nei dintorni (Karl: «Ecco il convento in cui è morta Margherita, la moglie di O ttokar: la scena è rappresentata anche nella tragedia di G rill­ parzer»), di assistere ai loro frequenti contrasti (Karl: «Tu hai il diritto di dirmi tutto quello che vuoi e io devo sopportarlo... Io non posso che ripetere che mi è impossibile di rispondere a tutto ciò che oggi tu mi hai detto, poiché io non posso che ascoltare ta­ cendo, come è mio dovere. Non crederlo orgoglio»), e alle loro non durevoli paci (La moglie di Johann: «N on abbiate timore. Egli [Karl] ritornerà certamente prima dell’una a casa. Non era irritato - Egli vi ama sino alla venerazione»)50. E vediamo prolungarsi inspiegabilmente sino alle soglie del­ l ’inverno quel non confortevole soggiorno, amareggiato inoltre da una ingenerosa ospitalità51. Ma come decidersi a partire quan­ do leggiamo in un Quaderno questa frase di Karl: «Più a lungo resteremo qui, piu a lungo potremo stare ancora insieme poiché appena saremo a Vienna bisognerà naturalmente che io parta senza ritardo». Poi, dopo tanti indugi, la decisione improvvisa, la partenza precipitata, il disastroso viaggio in dicembre sotto la pioggia, il sopraggiungere della malattia mortale. Si inizia cosi, nelle pagine dei Quaderni che seguono, la dolo­ rosa cronaca dei suoi ultimi giorni. Giunto a Vienna riarso dalla febbre non si trova un medico che venga ad assisterlo. Braunhofer si scusa dicendo di abitare 50 Ibid., pp. 433-36. 51 Apprendiamo dai Quaderni che Beethoven era ospite pagante, e che era insoddi­ sfatto della cucina: Johann: «Se tu vuoi vivere da noi, lo puoi per 40 [fiorini] al mese, che fanno 500 [fiorini] all’anno... Non considero i primi 14 giorni: farei di piu se non fossi oppresso dalle tasse». Beethoven: «Mai buona carne di bue, e con ciò un’oca. Il cielo viene in aiuto alla mia fame». Cfr. p r o d ’h o m m e , p. 434.

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troppo lontano, Staudenheim vien meno alla promessa, V ivenot è ammalato. H olz m anda infine a cercare del prof. W aw ruch che al suo arrivo cosi si presenta aH’inferm o: «U n grande ammira­ tore del vostro nome farà tu tto il possibile per procurarvi al più presto un p o ’ di sollievo. Prof. W aw ru c h » 52. Sebbene le condizioni di Beethoven fossero allarm anti, la sua forte costituzione e l ’energico intervento medico gli perm isero di superare la crisi. M a una crisi ben piu grave, per non investire soltanto il suo fisico e per sconvolgere profondam ente il suo ani­ mo doveva abbattersi pochi giorni dopo su di lui: una crisi da cui non seppe piu risollevarsi. U n ’ira violenta aveva provocato il fa­ tale tracollo delle sue energie fisiche e m orali, vinto le difese del corpo e dello spirito. Intim am ente offeso e um iliato egli sembra rinchiudersi nel si­ lenzio, abbandonarsi senza resistenza alla sua sorte ormai segna­ ta. T ra l ’indifferenza che lo attornia egli segue dal suo letto di do­ lore i preparativi del nipote che si appresta a raggiungere, quale cadetto, il suo reggimento a Iglau, preoccupato soltanto (si di­ rebbe) delle sue u n ifo rm i53. « D ov’è Iglau? » si lim ita a chiedere Beethoven. « Iglau è in M oravia». Lo sconforto della solitudine che lo attende riavvicina Bee­ thoven agli amici, gli fa desiderare la loro presenza e lam entare persino che le visite di Schindler si siano fatte rade, se ascoltiamo questi giustificarsene nei Q uaderni: « I num erosi intrighi di H olz e altri mi dispiacciono ed è per questo che io vengo cosi raram ente. T uttavia io rispondo sempre 52 p r o d ’ h o m m e , pp. 437-38. Vedi inoltre il particolareggiato referto sull’ultima ma­ lattia di Beethoven redatto dallo stesso Wawruch il 20 maggio 1827: A n d r e a s w a w ­ r u c h , Ärztlicher Rückblick auf Ludwig van Beethovens letzte Lebensepoche, in l e i t z m a n n , I, pp. 363-69. 53 « Io non ho altro da fare in tutta questa faccenda - scrive sul Quaderno il nipo­ te - che di farmi prendere le misure dei vestiti... avrò tre abiti, l’uniforme del reggi­ mento, un mantello, l’uniforme di Galla [sic]. Ora sta a te di decidere di che qualità di stoffa quest’ultima debba essere fatta. In quanto al prezzo ne sarai informato prima... Tu vedrai d’altronde che l’uniforme non è tanto male, ma bisogna che sia ben fatta e al­ lora bisogna promettere al sarto di dargli una mancia extra» ( p r o d ’ h o m m e , pp. 439-41).

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immediatamente alle vostre domande scritte». E a Beethoven che avrà espresso il suo disappunto per quei malintesi egli inge­ nerosamente ribatte: «Questo si è ripetuto cosi sovente ed è cosi indegno di voi: e il dispiacere che voi ne provate giunge troppo tardi. A che servono i consigli se le chiacchiere di Holz, di Karl e di vostro fratello neutralizzano tutto...» All’ostentato risenti­ mento fa seguire una protesta di affetto ma, in odio ad Holz, po­ ne condizioni per assistere il maestro, che ora ha bisogno di lui: «Devo dichiararvi per la millesima volta che io non vi abbando­ nerò mai? Non mi legano forse a voi tanti vincoli di affetto e di gratitudine? Ma non date sempre ascolto a della gente volgare semplicemente perché sembrano di avere ragione —Voi avete ca­ pito —sintanto che questo accadrà tanto io che Breuning ci terre­ mo lontani». Soppiantato da Holz, Schindler si vendica del gio­ vane rivale e dei tanti ammiratori che attorniano Beethoven. «La condotta di certa gente che vi sta intorno, ora come sem­ pre, da quando io vi conosco, mi fa sovente ricordare ciò che si legge delle corti dei principi orientali, dei nababbi —Sultan Bee­ thoven». Leggendo queste righe nel quaderno Beethoven avrà scosso tristemente il capo, rilevando con amarezza l’ironico con­ trasto tra quella allusione e il suo miserevole stato, se Schindler, mutando tono, subito aggiunge: «G li è che, non ostante poveris­ simo, ahimè, voi siete anche un principe nel reame dell’arte e un principe ricchissimo» Il male frattanto avanza inesorabile. «Alla terza settimana —ricorderà poi W awruch nel suo me­ moriale - cominciarono a prodursi delle soffocazioni notturne: l ’enorme quantità di acqua accumulata imponeva un pronto in­ tervento. Mi trovai obbligato di proporre la puntura dell’addome per scongiurare il pericolo di un travaso». Tra il 19 e il 20 dicem­ bre 1826 egli scrive infatti nel quaderno che Beethoven gli por­ ge: «Bisogna che procediamo il piu presto possibile alla evacua­ zione. Poiché bisognerà farvi soffrire sino a domenica, prenderò 54

13

PR O D ’H O M M E ,

p. 442.

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dunque tutte le disposizioni necessarie. —Ritornerò nel pomerig­ gio » 5556. Beethoven acconsente «dopo qualche istante di severa rifles­ sione» (Wawruch). Schindler, che la gravità del male ha richia­ mato vicino al maestro e che ritroveremo sino all’ultimo al suo capezzale, cerca di tranquillizzare l ’infermo : «Egli dice che subi­ to dopo tutto andrà meglio. —Chiama Seybert dell’ospedale ge­ nerale che è molto abile». Dopo l ’operazione leggiamo nei Quaderni, tra le generiche frasi di compiacimento per il buon esito dell’operazione, le se­ guenti parole di W awruch: «Vi siete comportato in modo ca­ valleresco». Egli aveva infatti sopportato con stoica fermezza senza un lamento la dolorosa operazione, suscitando l ’ammira­ zione dei medici e degli amici presenti“. Due settimane dopo, come informano i Quaderni, si rese ne­ cessario un secondo intervento, e vediamo seguirne altri il 2 e il 27 febbraio. Nonché diminuire, la sofferenza si fa sempre piu acuta, la pia­ ga visibile e quella segreta non cessano di tormentarlo, e sa che non può attendersi piu alcun conforto da chi ama, nessun aiuto da chi lo cura. «Sareste un uomo felice se poteste dimenticare di avere dei parenti...» gli dice Schindler, e l ’amico Stephan von Breuning: «Queste inquietudini a causa del giovane [Karl] ti hanno fatto molto male... non bisogna che tu abbia emozioni: bi­ sogna pensare soltanto a delle cose piacevoli, questo affretta la guarigione»57. Ma la guarigione appare sempre piu lontana e improbabile. «È cosa nota —gli ricorda Schindler —che l’idropisia è malattia lenta a guarire » 58. « Una malattia lunga —dice Breuning —che tro­ verà il migliore medico nella natura, al principio della buona sta­ gione»59. 55 I b id ., 56 Ib id ., 57 I b id ., 58 I b id ., 59 I b id .,

p. 443. p. 444. pp. 45i> 455 e 457ρ. 452. ρ. 454.

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Ma intanto, cedendo all’insistenza di Beethoven che non nu­ tre alcuna simpatia né stima per W awruch, anche se Schindler gliene canta le lodi e lo consiglia a pazientare («È tuttavia prefe­ ribile e piu ragionevole che voi non perdiate ancora la fiducia nel vostro m edico»)“, viene chiamato il dottor M alfatti, zio di Te­ resa M alfatti e già un tempo suo amico. Questi interviene ad un consulto, ritorna a visitarlo e infine, prescrivendo all’infermo, or­ mai insofferente di medicine, del punch ghiacciato, lo solleva dal­ l ’abbattimento e fa rinascere in lui una illusoria speranza di gua­ rigione“. «W under, W under, W under» («miracolo, miracolo, miracolo»), annuncia Beethoven a Schindler il 17 marzo. «Die hochgelehrten H errn sind beide geschlagen, nur durch Malfattis Wissenschaft werde ich gerettet»“ (« I sapientissimi signori [Wawruch e Seybert] sono entrambi battuti: soltanto per la scienza di Malfatti sarò salvo»). M a dieci giorni dopo moriva. D i sollievo e conforto negli ultim i mesi di vita gli fu l ’amo­ rosa assistenza di u n ragazzo, il figlio del suo amico d ’infanzia Stephan von Breuning, G erhard, ch’egli chiama il suo Ariel. È il solo che ha il potere di rasserenarlo, di riportare il sorriso sulle sue labbra, il solo di cui attende con impazienza la visita (« G er­ hard ritornerà oggi» lo assicura il nipote), con cui ama in tratte­ nersi. A somiglianza del genio fam iliare di Prospero nella Tem ­ pesta di Shakespeare, lo vediamo irrom pere «lieve come il ven­ to» (cosi è definito nei Q uaderni) e ansim ante nella stanza del­ l ’inferm o («N on tossisco ma ho fatto di corsa le scale»), e aleg­ giargli benefico intorno. Si interessa con prem ura affettuosa sul decorso del male, sull’effetto delle cure, incoraggia («Q uesto è6012 60 Ibid., p. 452. 61 Dopo l’operazione del 2 febbraio 1827 Schindler scrive sul quaderno: «Mi do­ mando se voi non vogliate che Malfatti venga oggi a rendersi conto dello stato del fega­ to e del ventre... cosi Malfatti potrà dare le migliori indicazioni del caso. Egli vuole che voi lasciate il letto il più presto possibile: vi prega inoltre di continuare soltanto que­ sta prescrizione, e cosi lo stesso per il vino od altro; e di non dimenticare, quando questa piccola dose di Gumpoldskirchner sarà esaurita, che egli ne ha ancora per voi nella sua cantina». Cfr. p r o d ’ h o m m e , pp. 455-56. 62 K A S T N E R , p. 843, n. I47O.

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u n buon sintom o»), consiglia (« T u dovresti sudare di p iu»), lo richiama alle prescrizioni (« P u o i ora ricominciare a prendere un p o ’ di vino»), è pronto a som m inistrare al tem po giusto u n me­ dicam ento («Sono orm ai tre ore che hai mangiato. Q uanti cuc­ chiai in tu tto ? ») Si preoccupa del nutrim ento e gli porta da casa, già pronti, i p iatti che egli m ostra di appetire; lo distrae in tratte­ nendolo sul teatro, sulle sue lettu re, gli procura nuovi libri. « H ai già finito di leggere W alter Scott? » «V uoi la Storia Universale di Schröckh? » «V orresti forse le Descrizioni di viaggio di Sommer? » «D om ani ti porterò, se vuoi, la seconda p arte di O m e ro » 63. Beethoven ama l ’ingenuità e la sincerità del ragazzo, che sem­ bra più di ogni altro com prenderlo. Talora, come spinto da un imperioso bisogno di confidarsi, parla con lui delle sue intim e pe­ ne. Il ragazzo, che sa ascoltare e com prendere, cerca di distoglier­ lo dal triste pensiero dom inante («N on farti cattivo sangue per questo: parlam i piuttosto d ’altro»). Al suo sguardo innocente le apparenze non fanno velo: e m entre egli si m ostra disposto a giu­ stificare il nipote K arl che non scrive dalla guarnigione («U n sol­ dato è obbligato a servire tu tta la giornata, papà dice che ora che il carnevale è finito le sue lettere non tarderanno ad arrivare»), giudica severam ente l ’ostentata devozione di H olz, il giovane violinista che è riuscito a conquistare la fiducia e l ’affetto di Bee­ thoven: «Egli agisce come se ti amasse in m odo straordinario. H a m olta ipocrisia; m ente come u n libro», e sembra che lo spi­ rito parli in lui quando lo udiam o dire: « T u sei il migliore degli uom ini; gli altri non sono che dei bricconi. Se tu non fossi tanto generoso potresti a buon diritto reclamare lo scotto» M. Le num erose pagine dei Q uaderni contenenti i suoi scritti («P apà dice che scrivo male: è vero? ») stanno a testim oniare la frequenza delle sue visite, la continuità della sua affettuosa as­ sistenza. Lo ritroviam o al suo capezzale ansioso di alleviare le sue pe63 P R O D ’H O M M E ,

64 I b id ., p. 463.

p. 461.

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ne. «H o inteso dire oggi che tu soffri talmente per le cimici quan­ do riposi, che ti risvegli continuamente durante il sonno. Poiché il sonno ti fa bene ti porterò io qualcosa per scacciarle » Par di vedere Beethoven, prigioniero nella sua tomba di mate­ rassi, affondare sempre piu nel dolore, nell’abbandono e nella mi­ seria. E sarà per bocca del suo Ariel, dalle sue ingenue e pietose parole ch’egli apprenderà la propria sentenza, avrà la conferma della propria condanna. «W olfmayer ti ama molto: quando si è congedato da te ha detto con le lagrime agli occhi: il grand’uo­ mo — ahimè — ahimè». Parole e lagrime che stavano a signifi­ care ben più dell’affetto. Dedicando a questo pietoso amico il suo ultimo Quartetto op. 135, Beethoven aveva cercato parole che esprimessero il sentimento di gratitudine e di stima che egli nutriva per lui; ma diede poi ascolto al nipote, che in un Quader­ no del dicembre 1826 lo consiglia: «io penso che non ci sia altro da mettere che: A l suo amico Wolfmayer, Beethoven. Egli ap­ prezzerà piu questo di ogni altro titolo» Negli ultimi Quaderni vediamo Schindler rinnovare le sue proteste di affetto intese a sminuire agli occhi di Beethoven la sincerità dei sentimenti del suo antico allievo ed amico Ries : « Si, mio nobile maestro, ve lo prometto davanti a Dio! Non sarò co­ me Ries. Ciò che voi mi avete insegnato nulla al mondo potrà di­ struggerlo e il mio compito supremo sarà di trasmetterlo agli al­ tri - è appunto con queste intenzioni che voi mi avete insegnato. Allora le persone potranno con ragione conoscere chi tradiva Beethoven e lo vendeva per di piu per settanta denari d ’argento. Come potete voi pensare che io stimi cosi poco un vostro dono [la partitura della Nona Sinfonia e quella del Quartetto in m i mi­ nore] per venderlo! » Beethoven lo pensa ma non ha la forza di ribattere, oppresso dalla triste realtà che lo attornia e che si rispecchia nelle lettere da lui dettate quello stesso giorno (22 febbraio 1827) e indirizza-657 65 Ibid., p. 464. 66 Ibid., p. 445. Beethoven aveva ricevuto da Johann Nepomuk Wolfmayer un an­ ticipo di mille fiorini per una Messa di Requiem che egli avrebbe dovuto comporre. 67 P K O D ’ H O M M E , p. 466.

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te a Ignaz Moscheles e a George Smart, umili richieste di aiuto, cui egli ha appena la forza di apporre la firma. «Ich bin so schwach —vi è detto —dass ich nicht mehr schreiben k an n » “ («Sono cosi debole che non posso più scrivere»). Ma il suo sguardo non si arrestava innanzi al dolore e alla mi­ seria. «Quei giorni estremi furono straordinari, —scrisse Schind­ ler. —Con una saggezza veramente socratica e una grande pace nell’anima egli vedeva venire la morte». «La morte non è nulla —non si vive nella vita che per qualche istante, e sono i momenti piu belli, —gli aveva detto il suo amico e poeta Kuffner durante la sua ultima visita. —Ciò che vive vera­ mente nell’uomo è eterno. Ciò che passa non ha alcun valore. Ciò che grande e bella può fare questa vita è la fantasia, un fiore che si apre interamente solo nell’altro m ondo»6869. L ’amico Peters per consolarlo di una amara afflizione gli aveva una volta detto: «Io vivo molto meglio di voi nella mia condizione... ma quando un giorno morirò io sarò morto del tu tto » 70, mentre a lui era riserva­ to un altro destino. Questa speranza di immortalità, affidata alla sopravvivenza della propria opera, lo aveva sempre sostenuto e animato. «Malen Sie, und ich mache Noten, und so werden wir... ewig?... ja vielleicht ewig fortleben»71 («Dipingete, io scrivo note e cosi noi... eternamente? si, forse eternamente vivremo»), aveva scritto al pittore Alexander Macco, ed ora più che mai il «non omnis moriar» del poeta si sarà insistentemente ripresenta­ to alla sua coscienza. Nulla può ora distoglierlo dall’ascolto di u n ’altra voce, che ri­ suona sempre più alta in lui: la voce della musica, nella sua pura essenza, spoglia della materia sonora: quella musica silenziosa di cui aveva parlato nell’ultimo colloquio con Kuffner quando que­ sti gli chiese: «Conoscete anche voi una musica senza suoni? Vi ricordate ancora la casa del pescatore a N usdorf, ove eravamo se­ duti sul balcone una notte di plenilunio, verso mezzanotte, e da68 KASTNER, p. 836, Π. X455. 69 PROD’HOMME, p. 399. 70 SCHÜNEMANN, I, p. II4 . 71 KASTNER, p. 75, Π. 89.

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vanti a noi il sussurro delle praterie e del D anubio in piena? » 72 U n paesaggio che egli aveva inteso e contem plato come musica, e che ora si confondeva in lui con quello della sua infanzia sul R e­ no, luogo della memoria in cui ritrovava tu tto u n m ondo p er­ duto. « Il ricordo del passato mi commuove sempre e non senza mol­ te lacrime ricevi questa lettera» aveva scritto Beethoven pochi mesi prima, il 7 ottobre 1826, a un suo vecchio amico di Bonn, Franz Gerhard W egeler. Ed è il tempo passato che egli sembra ora contemplare materializzato nelle sembianze di un giovane, già co­ nosciuto ragazzo, che viene a visitarlo con la sua fidanzata. Schindler lo annuncia scrivendo sul quaderno: «C ’è Cramolini, primo tenore dell’opera tedesca». Di questa visita, che fu una delle ultime che ricevette Beethoven, il Cramolini scrisse: «Quando entrammo il pover’uomo giaceva sul letto di dolore e con i suoi occhi lucenti mi guardò, poi mi tese sorridendo la ma­ no sinistra e disse: - Ecco dunque il piccolo Luigi, ed ora è fidan­ zato... —Ci diede carta e matita e continuammo la conversazione. Egli pregò di cantargli qualcosa... Io scrissi che avrei cantato la sua Adelaide, che mi aveva fatto conoscere nel mondo degli arti­ sti. Ma quando volli cominciare la mia gola si chiuse per la com­ mozione, tanto da esserne impedito. Beethoven domandò cosa ac­ cadeva e quando Schindler gliene riferì la ragione: — Cantate dunque, mio caro Luigi, - disse, —io non sento niente, ahimè, voglio soltanto vedervi cantare —. Mi feci animo e cantai con sin­ cero entusiasmo la divina Adelaide. Quando ebbi finito Beetho­ ven mi attirò vicino al suo letto e stringendomi la mano mi disse: - H o letto nei vostri occhi che voi sentite ciò che cantate... Mi avete dato una grande gioia —. Poi Nanni cantò la grande aria di Leonora del Fidelio e con entusiasmo tale che Beethoven batté il tempo diverse volte, divorandola con i suoi occhi. —Vi ringrazio per questa bella ora: possiate essere entrambi felici —. Nanni pro72 PROD’homme, p. 397. Riconosciamo in queste parole un’altra eco della concezio­ ne metafisica della musica di Schelling che nella sua Philosophie der Kunst similmente considera la natura come una musica silenziosa quale soltanto l’arte dei suoni ci permet­ te di avvertire e di comprendere.

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fondamente commossa prese la mia mano e la portò al cuore. Bee­ thoven disse: —Mi sento turbato, sconvolto. Addio mio piccolo Luigi, addio mio caro Fidelio! - , ci guardò con tristezza e volse il capo verso il muro. —Abbiamo visto per l ’ultima volta quest’uomo divino, —disse Nanni in carrozza: la presi per mano e piangemmo in silenzio»73. Le parole si diradano nelle pagine del quaderno come il tessu­ to della vita che lentamente si sfalda, poi si arrestano. Nel silen­ zio senza fine solo la musica sta a testimoniare la sua presenza pe­ renne. T utta la triste cronaca delle sofferenze fisiche e morali che ci trasmettono i Quaderni potrà infatti rivivere in noi come dramma spirituale quando se ne sappia riconoscere il trasfigurato riflesso nella sua musica, che trae vita dalle ceneri del suo cuore, come il fiore dalle foglie purpuree di cui ci parlano i versi del suo Lied Adelaide: «Einst, o Wunder! entblüht auf meinem Grabe / eine Blume der Asche meines Herzens: / deutlich schimmert auf jedem Purpurblättchen / Adelaide» o come l ’albero rigoglioso e possente, dalla cima stroncata ma verzicante di fronde, che un ignoto visitatore ha disegnato sulla pagina di un quaderno e che la scritta Adelaide pone in rapporto con il Lied, forse a tradurre, ingigantita, quella immagine poetica’5. Dal vasto mondo che gli si muove intorno, da tutti quegli eventi di cui è formata la trama esistenziale del tempo che i Qua­ derni di conversazione ci permettono di ritrovare, non potremmo infatti desumere che i caratteri di una generica umanità se costan­ temente non li riferissimo alla sua attività creatrice, alla sua ope­ ra che s’identifica in pieno con la sua vita, la vita vera in cui anco­ ra e sempre egli vive.7345 L. van Beethovens Leben cit., V, pp. 307 sgg. e p r o d ’h o m m e , p. 465. 74 «Un giorno, o miracolo! fiorirà sul mio sepolcro un fiore dalle ceneri del mio cuore: luminoso risplende su ogni foglia purpurea Adelaide». 75 s c h ü n e m a n n , I, p. 209; e cfr. la tavola xvi. 73 Th a y e r ,

X I.

R itratti rom antici di Beethoven

La fama che consacrò la giovinezza di Mozart e la rese senza tramonto, colse Beethoven già ormai sulla cinquantina, al culmi­ ne della sua attività creatrice; ed è questo momento di popolari­ tà e di gloria, questa fulgida stagione del suo genio che la ritrat­ tistica, fedele riflesso del vivo e crescente interesse suscitato dal­ l ’artista e dall’uomo, puntualmente colse e intese perpetuare. Pensando a Beethoven, l ’immagine che ci si presenta sponta­ nea tende a identificarsi, per esservi inconsciamente attinta, a quella proposta e tramandata dai pittori che lo ritrassero tra il i 8 i 8 e i l ’2 3 ,la feconda stagione in cui sono maturate le ultime sonate per pianoforte, la Missa Solemnis, e la Nona Sinfonia. Stenteremmo infatti a riconoscerlo in altri precedenti ritratti, come nei due eseguiti da W illibrord Joseph Mähler (il primo tra il 1804 e il 1805; il secondo verso il 1814) o in quello di Von H eckeldel 1815. Sebbene accertati della identità del personaggio rappresenta­ to, questi ci apparirà nondimeno quasi sconosciuto ed estraneo; e non perché i tratti fisionomici del modello non vi trovino riscon­ tro, ma perché l ’immagine che quei pittori si fecero di Beetho­ ven non collima con quella che il riconoscimento del suo genio e l’interpretazione romantica della originalità e novità della sua ar­ te sapranno poco più tardi ispirare ad altri artisti, e durevolmen­ te affermare. La leggenda del musicista visionario, mago e profeta, quale andavano creando gli scritti di Hoffmann, di Clemens e Bettina Brentano, di Varnhagen von Ense, non trova infatti eco e riscon­ tro nei ritratti di Mähler e di Von Heckel, in quei volti carnosi ed

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accesi che stanno piu ad accusare un’ottima salute che non i tu r­ bamenti di una ispirazione celeste. Saranno altri gli illustratori ed interpreti di quel mito, i suoi fortunati divulgatori: primo tra questi il berlinese August von Kloeber che, ritraendo Beethoven nel 1818, cominciò col mette­ re un po’ di disordine (un disordine intenzionalmente ossianico e demoniaco) nei suoi capelli, con l’infondere un che di fatale nella espressione del volto. «Quando Beethoven vide il mio ritratto — racconterà poi il pittore —osservò che l’acconciatura dei capelli gli piaceva molto, fatta in quel modo: gli altri pittori [diceva] lo avevano sempre raffigurato tirato a lucido, come se egli stesse per recarsi a prendere servizio a corte, e che non era affatto cosi» ’. Se il grande quadro che lo ritraeva unitam ente al nipote Karl sullo sfondo del paesaggio di M ödling (ove fu eseguito il dipinto) è andato perduto, resta tuttavia a docum entare quella nuova vi­ sione un disegno, che forse ne fu lo studio preparatorio. Vi possia­ mo com unque riconoscere « l’aria grave... gli occhi estrem am ente vivi... quasi sempre sognanti» che il pitto re ci confida aver cerca­ to di cogliere in quel suo quadro, «lo sguardo u n p o ’ cupo, teso, rivolto verso l ’alto..., un foglio di musica in m ano». Particolare questo che non sta qui a ricordare soltanto l’arte in cui egli eccelleva, come la cetra che gli aveva posto tra le mani1 1 August von Kloeber, nato a Breslavia nel 1793, pubblicò nella «Allgemeine Mu­ sikalische Zeitung» del 4 maggio 1864 dei ricordi sul suo incontro, avvenuto nell’esta­ te del 1818 a Mödling, con Beethoven che aveva acconsentito di lasciarsi fare un ritrat­ to a condizione di non dover posare a lungo. « Io mi presentai da lui un mattino, - egli racconta. - La vecchia governante mi disse che egli sarebbe venuto tra poco: stava anco­ ra facendo colazione; ma c’erano là dei libri di Goethe e di Herder, coi quali potei di­ strarmi durante l’attesa. Beethoven infine arrivò e mi disse: "Voi volete fare il mio ri­ tratto, ma io sono molto poco paziente”. Egli era già molto sordo ed ero obbligato, quando volevo dirgli qualcosa, di farlo per iscritto, oppure egli poneva un cornetto acu­ stico all’orecchio, a meno che il suo famulus (un suo congiunto di circa dodici anni) non fosse presente a gridargli le parole all’orecchio... Dopo tre quarti d’ora egli si cominciò ad agitare; io sapevo... che era questo il momento di fermarmi e gli chiesi semplicemente il permesso di ritornare l’indomani: poiché io abitavo a Mödling stesso. Beethoven ac­ consenti molto volentieri e disse: "Allora noi potremmo rivederci spesso, poiché io non posso restare seduto a lungo”. Tutte le mattine egli posava un’oretta per me. Devo os­ servare che il ritratto dipinto ad olio per mio cognato [il barone von Skrbensky] è di di­ mensioni piu grandi della litografia, egli tiene un foglio di musica in mano e lo sfondo rappresenta un paesaggio di Mödling». Cfr. l e it z m a n n , I, pp. 217 sgg. Un’altra lito­ grafia dal disegno di Kloeber è stata pubblicata nel 1841 da Fischer.

Ritratti romantici di Beethoven

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il Mähler nel suo primo dipinto (1804-805), ma che, non diver­ samente dagli attributi che accompagnano la figurazione dei San­ ti, intendeva essere il simbolo del suo martirio e della sua gloria. Con quel volto dall’espressione tesa e contratta, quello sguardo fisso ad una visione lontana, quei capelli sconvolti che sembrano risentire del tumulto interiore, il messaggio captato durante il raptus dell’ispirazione che ancora lo possiede sarà la testimo­ nianza di una profonda esperienza umana, potrà racchiudere una rivelazione divina. La pittura, in armonia con la piu illuminata critica del tempo, che non solo aveva riconosciuto in Beethoven la manifestazione di una possente personalità individuale, ma aveva inteso il carat­ tere veramente inaudito del suo linguaggio, da ritenerlo manife­ stazione del superiore mondo degli spiriti, ne idealizzò di conse­ guenza l ’aspetto. Atteggiandolo come un eroe tragico ne accen­ tuò i tratti del volto, diede all’espressione u n ’aria grave, fatale e rapita, che conferisce a quei fogli di musica, nelle sue mani, il va­ lore di messaggio divinatorio che hanno nelle figurazioni medioe­ vali i cartigli dei Profeti. Il riverbero trasfiguratore dell’opera sull’uomo era cosi vivido da avvolgerne in u n ’aureola l’imma­ gine. Il Kapellmeister Reuling, che incontrava per la prima volta Beethoven, dichiara, in un Quaderno di conversazione del marzo 1823: «Io vi avrei ugualmente riconosciuto dal vostro ritratto. Ne ho visto uno a Monaco, di Schimon il cantante»2. Egli aveva infatti posato nel 1818 per il giovane pittore ungherese Ferdi­ nand Schimon (nato a Pest nel 1797) che in seguito, per consiglio di Franz Schubert, doveva dedicarsi al canto e svolgere con suc­ cesso la sua nuova attività artistica a Monaco. Ma già con la pit­ tura aveva inteso servire la musica e rendere omaggio con il ri­ tratto di Beethoven (come con quelli di Spohr e di W eber) ad un grande maestro di quell’arte, ponendone in particolare rilievo la severa forza del carattere e la potenza del suo spirito creativo. In netto contrasto con l’aspetto amabile, sereno e un poco frivolo, 2 SCHÜNEMANN,

III, p. 85.

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che di consueto hanno i ritra tti dei musicisti suoi predecessori, in abito di corte e parrucca, questo di Beethoven, che per prim o sep­ pe affermare e salvaguardare la propria indipendenza e che non vesti mai livree, ci presenta u n uomo di pensiero e di azione, in ­ vestito delle responsabilità sociali e morali e della problem atica del tem po. Lo sta a suggerire la forte tensione tra la fronte prom i­ nente, spaziosa e il m ento, duro e risentito, a conchiglia, quasi ca­ parbio, e non meno quel corrugarsi delle sopracciglia, che accen­ tua l ’energia em anante da tu tto il volto. Energia caparbia del m ondo inferiore, che contrasta e insieme è di piedistallo e fonda­ m ento a quello superiore: equivalenza fisiognomica delle antino­ mie e della dialettica in cui si attuarono la sua vita e la sua arte. In armonia con le teorie di Lavater, celebrate da G oethe e allora tanto diffuse34,il pitto re s’industria di riscoprire nei lineam enti di Beethoven i segni rivelatori del genio, di coglierne sim ultanea­ m ente il m om ento etico e quello estetico. Il quadro di Schimon (ora conservato nel Beethoven-Haus a Bonn) suscitò al suo apparire vivo consenso tra coloro che, nella intensità di quello sguardo di veggente, in quella fronte audace, riconoscevano riflettersi l ’immagine dell’ideale rom antico \ 3 Parlando del comune amico Karl Bernard, Schindler dice a Beethoven: «La sua fisionomia rivela, secondo la mia fisiognomica, molta pedanteria» ( s c h ü n e m a n n , III, p. 5), e il fratello Johann: «La fisiognomica è facile da cogliere poiché i lineamenti non sono comuni» {ibid., p. 285). 4 Da questo dipinto fu tratta la litografia di Rudolph Hoffmann, che sviluppò la composizione originale, limitata al solo busto, in una figura a tre quarti munita di pen­ na e di carta da musica, in atto di comporre. Ci informa Schindler che Beethoven, pur rifiutando di posare durante la composizione della Missa Solemnis, aveva permesso al giovane pittore di porre il suo cavalletto in una stanza attigua per consentirgli di osser­ varlo, senza essere disturbato. Il ritratto, sebbene eseguito a distanza e ultimato a me­ moria, venne giudicato da Schindler «pieno di caratteristica verità», se pur non ecce­ zionale dal punto di vista artistico: e precisamente «Aus künstlerischem Gesichtspunk­ te betrachtet, ist Schimons Arbeit kein bedeutsames Kunstwerk dennoch voll charakteristicher Wahrheit». E inoltre: «... im Zeichnen des festgeschlossenen Mundes und des muschelartig gestalteten Kinns, hat kein anderes Bildniss Naturwahreres geleistet» («... nel disegno della bocca saldamente serrata, del mento forte e muscoloso, nessun al­ tro ritratto si è più avvicinato alla verità della natura»). «La rudezza e l’originalità del giovane artista, - racconta Schindler, - la sua disinvoltura, quasi egli fosse nel proprio studio, il suo entrare senza dire buongiorno, il suo andarsene senza salutare avevano colpito l’attenzione di Beethoven piu della tela che stava sul cavalletto. Insomma il gio­ vane cominciò ad interessarlo - lo invitò al caffè», ove il pittore potè studiare l’espres­ sione dei suoi occhi che passava « dalla salvatichezza e dall’arroganza alla piu amabile

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Anche il poco benevolo Schindler, per riscontrare in esso una piu stretta aderenza al tipo o «carattere» creato dalla leggenda romantica, mostra di preferirlo a quello che un pittore altrimenti celebre, Joseph Karl Stieler, aveva intrapreso ad eseguire. «H o visto il ritratto abbozzato da Stieler, —scrive in un Quaderno di conversazione del marzo 1820. - Quello di Schimon mi piace di piu. Li c’è più il vostro carattere —Cosi trovano tu tti» 5. Lo Stieler, pittore aulico e alla moda, dinanzi a cui si compia­ cevano di posare sovrani e belle dame, ne aveva ricevuto allora incarico da Franz Brentano, come apprendiamo da un Quaderno di conversazione del gennaio 1820, in cui Karl Peters ne dà noti­ zia a Beethoven: «Egli [Brentano] lo ha scritto a Stieler. Vuole assolutamente avere il vostro ritratto dipinto da Stieler, in gran­ dezza naturale»6. Lo stesso imperatore Franz aveva invitato a Vienna il celebre ritrattista, ma a differenza di questi illustri per­ sonaggi che ambivano di posare per lui, Beethoven non dovette mostrarsi molto entusiasta della proposta, se un visitatore deve strapparne l’assenso, richiamandolo ad una sua precedente pro­ messa: «Stieler parte presto —voi avevate già promesso l’anno scorso —ma ve ne siete dimenticato» \ Bisognò allora ricordarse­ ne e rassegnarsi. Questa volta non era infatti possibile negarsi, confinare il pittore (come aveva fatto con il giovane Schimon) fuori dalla porta, nella stanza accanto, ma docilmente obbedirgli, sottostare a tutte le sue esigenze, recarsi da lui nello studio e sof­ frire la costrizione cui sempre si era ribellato, di atteggiarsi, im­ mobile come un manichino, in una posa. I Quaderni di conversazione ci consentono di assistere alla scena veramente inattesa di un Beethoven che, dominando l ’irndolcezza», e ultimare il ritratto. Ma la naturalezza che Schimon aveva colto, tendeva a trascendere il realismo dei tratti fisionomici per cercare di esprimere « das ProphetischIdeale», l’ideale profetico, come osserverà poi il Kalischer e come appare con chiara evi­ denza. Cfr. A. S c h in d le r, Biographie von L. van Beethoven, Münster 1840, passim, e T h ay e r, L. van Beethovens Leben cit., IV, p. 170; inoltre: τ. f r i m m e l, Neue Beethoveniana, Beethovens äussere Erscheinung, Wien 1890, pp. 191 sgg. 5 SCHÜNEMANN, 6 Ibid., p. 193.

7 lbid., p. 213.

I, p . 3 7 I.

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pazienza e il fastidio, si sottopone docilmente, quasi intimidito dalPautorità mondana del pittore di corte, alle sue gentili ma de­ cise ingiunzioni. «Vogliate dunque sedervi come quando scrive­ te, per studiare la posa. Quando vi farò segno vi prego di non muovervi dalla posizione in cui siete» 8. E non basta. Bisognerà ritornare ripetutamente nello studio del famoso pittore della Schönheits-Galerie, della Galleria della bellezza, che il mondo ammira nel palazzo della Residenza di Monaco, e che si è assunto il compito di trasmettere ai posteri, ringiovanita e abbellita, la sua immagine. «La pittura deve asciugarsi. Quando sarà asciutta vi scriverò, se potrete darmi ancora u n ’ora. Il vostro [ritratto] dovrà essere il mio capolavoro»9. Frattanto Bernard informa Beethoven della proposta di un altro postulante. «C ’è il pittore Taffinger [Moritz Michael DafHnger] che è molto ricercato per la somiglianza, egli desidera fare il vostro ritratto. H a già fatto quello di G rillparzer»10il. Ma egli era ancora e sempre alle prese con Stieler, che allettandolo con l’idea del capolavoro, lo induce­ va a vincere la sua istintiva resistenza, timidamente opposta («Perché non siete venuto da Stieler? » gli chiede un visitatore in quei giorni) “ e a rimettersi in posa, la bella posa cosi studiata da pretendere di sembrare spontanea. «Ancora un piccolo quarticello d ’ora, se per voi non è troppo, —insiste Stieler verso il 15 mar­ zo. - Io devo pregarvi di ritornare domani, poiché posdomani i colori sarebbero già essiccati» 12. Un mese dopo c’è di nuovo qual­ che ritocco da dare al dipinto prima di esporlo e di inviarlo al committente. 8 Ibid., p. 256. 9 Ibid., p. 264. 10 Ibid., p. 265. In un Quaderno di conversazione del gennaio 1820, Oliva riferisce a Beethoven: «L ’Haslinger [Tobias Haslinger, socio dell’editore Steiner]... desidera il vostro ritratto e il molto abile pittore miniaturista di qui, Daffinger, si è offerto di fare il vostro ritratto in una sola seduta. Haslinger vi pregherà che gli concediate un’ora ». Cfr. s c h ü n e m a n n , I, p. 200. In quegli stessi giorni lo scultore Daniel Böhm che stava modellando una medaglia con l’effigie di Beethoven si intrattiene con lui e coglie l’occa­ sione per apportare qualche ritocco all’opera: «Dobbiamo mostrare il vostro ritratto al piccolo Karl Beethoven... Sono molto contento di avervi trovato poiché cosi potrò por­ tare sempre piu innanzi il compimento della medaglia». Cfr. ibid., p. 201. 11 SCHÜNEMANN, I, p. 263. 12 Ibid., p. 380.

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« In che tonalità è la vostra Messa ?» dom anda Stieler per scriverlo sul foglio della p artitu ra riprodotta nel quadro, e Bee­ thoven precisa nel quaderno : « D - Missa solemnis aus D » ( « re — Missa Solemnis in re»). Finalm ente ora l ’opera è finita. «U n quarto d ’ora dopo l ’esposizione —dice Stieler —la spedirò a Bren­ tano. Vi ringrazio mille e m ille volte per tanta p azienza»I3145. I Q uaderni di conversazione registrano i contrastanti giudizi, le lodi e le critiche che l ’opera va suscitando. O liva se ne m ostra subito soddisfatto : « Stieler ha colto lo spirito della vostra fisio­ nom ia» ma Bernard è di parere opposto: « H o visto il vostro ritratto all’esposizione d ’arte, ma non ne sono rim asto contento. Egli avrebbe dovuto cogliervi con maggior fedeltà, senza aggiun­ gere nulla. Lawrence ha dipinto W ellington semplicemente in re­ dingote, senza alcun contrassegno esteriore e tu tti lo riconoscono all’istante. È inoltre m olto somigliante... I suoi ritra tti [di Stie­ ler] sono m olto rifiniti, ma egli non può dar loro il giusto conte­ nuto interiore. I ritratti di Stieler sono di solito mediocri sebbene eseguiti con cura... Io non ho ancora visto di veri ritratti che quelli del pittore inglese Lawrence. - Lawrence in confronto a Stieler ha scarabocchiato, ma i suoi ritratti sono pieni di vita e di sincerità» N on sfuggiva ai contem poranei, cui non facesse velo la moda, l ’accademismo di quel pittore, che nobilitando e idealizzando al­ la maniera neoclassica la figura del musicista, la privò di quella 13 Ibid., II, p. 37. 14 Ibid., p. 69. 15 Ibid., pp. 98-99. Durante una conversazione con Beethoven del luglio seguente, registrata nei Quaderni, Stieler si mostra soddisfatto della propria opera e del successo riportato: «Per la prossima esposizione d’arte io farò ancora un vostro ritratto di gran­ dezza naturale. La vostra testa risulta straordinariamente bene di fronte ed era ben si­ stemata, [avendo] da una parte quella di Haydn, dall’altra quella di Mozart... Il dottor Wechtl ha avuto una gioia straordinaria dal vostro ritratto... » E richiesto non senza una punta di malizia da Beethoven (che non ha dimenticato le parole di Bernard) su Law­ rence, egli esprime candidamente la propria ammirazione per il pittore inglese, che gli è stato vittoriosamente contrapposto: « I ritratti di Laurence [sic] sono i migliori che io abbia visto dei pittori del nostro tempo» (cfr. s c h ü n e m a n n , II, p. 180). L’editore dei Konversationshefte, attenendosi per scrupolo filologico alla lettera, errata, ha creduto che qui si accennasse non a Lawrence, come è indubitabile, ma a un pittore di nome Laurence, di cui ha fatto inutili ricerche nel Thieme-Becker. Cfr. ibid., nota 5.

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intensità e di quella forza espressiva, che sorgeva dall’intimo con­ trasto spirituale e che trovava vivo riflesso e quasi simbolico ri­ scontro nei tratti fisionomici del suo volto. In quello stesso anno un acuto osservatore, il dottor W . C. Müller, cosi descriveva Beethoven in una lettera al Konferenzrath Goehler (26 ottobre): «Nella sua apparenza esteriore tutto è possente, rude, in molti aspetti, come la struttura ossea del suo viso, della fronte alta e spaziosa, del naso corto e diritto, con i suoi capelli arruffati e rag­ gruppati in grosse ciocche. Ma la sua bocca è graziosa e i suoi be­ gli occhi parlanti riflettono ad ogni istante i suoi pensieri e le sue impressioni, che mutano rapidamente, ora graziose, amoroso-sel­ vagge, minacciose, furenti, terribili» A differenza e in contrasto con il monocorde ritratto di Stieler, intonato ad una assorta malinconia, il Müller dà risalto ai tratti parlanti e ai tratti m uti del volto, a quanto cioè, come os­ servava Schiller, appare domato dalla forza dello spirito e a quanto sta ad indicare una sopravvivenza della natura istintiva, quale la grazia dolorosa confinata nel taglio della bocca «di for­ ma nobile e dolce», a rivelare il punto debole ed indifeso, la vul­ nerabilità umana dell’eroe, che viene paragonato a Re Lear o a un Bardo di Ossian Anche al Rochlitz non era sfuggita l ’estrema mutabilità espressiva di quel viso, modellato dalle ombre e dalle luci del­ l ’anima: «N ell’espressione della [sua] fisionomia, —scrive il 9 lu­ glio del 1822 a G ottfried Christoph H ärtel, —dell’occhio soprat­ tutto, pieno di vita e di spirito, un misto o un perpetuo alternarsi di bonomia molto cordiale e di timore: in tutto il suo atteggia-167 16 LEITZMANN, I, p. 225.

17 Nella biografia di C. M. von Weber (pubblicata dal figlio Max) si legge questo ritratto di Beethoven, che l’autore del Freischütz visitò nel 1823 : « Lear o i Bardi di Os­ sian dovevano avere quell’aspetto. I capelli spessi, grigi, rialzati sul capo, bianchi qua e là, la fronte e il cranio di una ampiezza e di una curva meravigliosa, elevati come un tempio, il naso squadrato come quello di un leone, la bocca di forma nobile e dolce, il mento largo con quello straordinario ripiegamento a conchiglia che mostrano tutti i suoi ritratti, formato da due ossa mascellari che sembrano essere state create per schiacciare le noci piu dure. Sul viso largo, butterato, era diffuso un cupo rossore: sotto le sue scu­ re sopracciglia folte e riunite, due occhi piccoli e luminosi guardavano con dolcezza il visitatore». Cfr. le itz m a n n , I, p. 262.

L’inizio dell’ultimo tempo della Sonata quasi una Fantasia, op. 27 n. 2 {Al chiaro di luna).

Joseph Willibrord Mähler, Ritratto (1804-805). Historisches Museum der Stadt, Wien.

Johann Christoph Heckel, Ritratto (1815). Library of Congress, Washington.

Carl Friedrich August von Kloeber, Ritratto a matita (circa i8i8). Collezione H. C. Bod­ mer, Beethovenhaus, Bonn.

Ferdinand Schimon, Ritratto (ι8 ι8 o 1819). Beethovenhaus, Bonn.

HE Joseph Carl Stieler, Ritratto (1819-20). Walter Hinrichsen, New York.

Ferdinand Georg Waldmüller, Ritratto (1823). L’originale, bruciato, si trovava presso Breitkopf und Härtel. Foto H. C. Robbins Landon, Buggiano Castello (Italia).

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mento questa tensione, questa perpetua inquietudine...» confi­ denza e timore, tensione e inquietudine suscitate in lui dal con­ fluire di sentimenti contraddittori, dall’urto di tendenze opposte. Questo intimo doloroso contrasto, totalmente ignorato od eluso da Stieler, appare adombrato nel ritratto dipinto nel 1823 da G. F. Waldmüller. Nel maggio di quell’anno infatti, come ap­ prendiamo dai Quaderni di conversazione ”, Johann van Beetho­ ven interviene presso il fratello in favore dell’artista, preoccupa­ to di non poter condurre a termine l ’opera intrapresa: « Il pitto­ re ti prega insistentemente‘di voler posare ancora una volta per un quarto d ’ora, poiché egli ha finito - altrimenti ne avrà grave danno per non riceverne il pagamento - egli vive di questo ». Beethoven tuttavia che aveva appreso da Stieler cosa signifi­ casse «un piccolo quarticello d ’ora» per un pittore, non si lasciò commuovere dalla patetica richiesta obbligando Waldmüller, co­ me già Schimon, ad ultimare il ritratto dopo una sola seduta, a memoria. Potrà forse stupire che quei due giovani artisti, nelle loro opere eseguite frettolosamente, in modo quasi clandestino e costretti a completarle valendosi dell’ausilio del ricordo, abbia­ no, a giudizio dei contemporanei, colto il carattere di Beethoven piu fedelmente e meglio di Stieler, con tutte quelle sue sedute20. Ma in realtà quell’ostinato sottrarsi del modello alla loro di­ retta percezione esistenziale e al calco visivo della loro osserva­ zione immediata, quell’isolarsi della immagine nella loro memo­ ria, anziché ostacolare, facilitò la sua acquisizione nella coscien­ za dei due pittori che pur delimitando il dato offerto dalla realtà oggettiva agli elementi da essi individuati e anteponendoli, per dar loro risalto, ad altri ”, fissarono e tramandarono alcuni tratti 18 Cfr. LEITZMANN, I, p. 230. 15 Cfr. SCHÜNEMANN, III, p. 279. 20 Non ostante il giudizio negativo di Schindler («Das misslungenste Porträt Bee­ thoven’s ist wohl unstreitig jenes von Waldmüller für Herrn Härtel gemalte »), il ritrat­ to di Waldmüller era stato lodato anche da G. W. Fink; cfr. f r i m m e l , Neue Beethoveniana cit., p. 289. 21 Un contemporaneo, il Fink, aveva infatti osservato: «Eben dies Unwirsche, Kei­ fende und Polternde war nur von Waldmüller etwas stark aufgetragen»; cfr. f r i m m e l , Neue Beethoveniana cit., p. 289.14 14

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caratteristici e rivelatori dell’uomo Beethoven. Osservandoli si è tentati infatti di attribuire alla realtà storica della sua persona le qualifiche esistenziali che quei dipinti suggeriscono e propongo­ no. E mentre il ritratto dello Schimon riflette in quello sguardo intenso, da veggente, in quella fronte audace, l’immagine dell’e­ roe romantico che costituiva l ’ideale del pittore e del suo tempo, questo del W aldmüller ci presenta un uomo dall’aspetto un poco smarrito e deluso. È un uomo che non sembra né vedere, né udi­ re, né agire, quasi divenuto estraneo alla vita. Le sue sopracci­ glia non sono ora piu. corrugate, nello sforzo di isolare e di co­ gliere ciò che di puro e di eterno si cela sotto le apparenze sensi­ bili. Prefigurata dall’orecchio la sensibile bocca appare amara ed afflitta: una bocca chiusa dalla rinuncia per amore dei suoni, che l’orecchio atrofizzato, quasi sepolto sotto i capelli, non sa piu per­ cepire. La tensione dell’udito ripiegato su se stesso, spiritualizza­ to, si è trasferita dal senso fìsico alla memoria, dietro la grande fronte che si distende appiattendosi per contenerla, in vigile per­ petuo ascolto degli echi della musica, che in quel silenzio risuona. Se Schimon sembra essersi applicato a scoprire nei tratti fi­ sionomici di Beethoven la conferma del suo genio, W aldmüller ne ha colto i segni che rendono manifesta la sua dolorosa umanità e che ci evocano l’immagine della sua mesta solitudine. Due ri­ tratti che sembrano appartenere a persone diverse, per riflettere due opposte immagini di Beethoven, l’una in armonia con l’inter­ pretazione romantica della sua opera, l ’altra rispondente alla sua più segreta, patetica umanità. Ma nessun ritratto ci ha tuttavia tramandato lo sguardo di quegli occhi «pieni di energia, impetuo­ si» (Russel), «inquieti e penetranti» (Rochlitz), che brillavano «sotto le folte sopracciglia... come dal fondo di caverne» (Ros­ sini), che aveva colpito tanto profondamente i contemporanei e che sembrava trafiggere i visitatori, quel magico sguardo in cui la sua anima affiora e in cui i lineamenti contraddittori del suo volto trovano accordo e unità di espressione22. Espressione ineffabile 22 Sir John Russel visitò Beethoven tra il 1821 e il ’22, e ne lasciò memoria nel suo volume A tour in Germany ecc., Edinburgh 1825. Cfr. l e it z m a n n , I, p. 226. Sul ricordo

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che non si è spenta con la luce dei suoi occhi, se vive e risplende nella sua musica, ove soltanto ci è dato di attingere ancora Pumano e il piu che umano del suo spirito. rossiniano cfr. e . m i c h o t t e , Souvenirs personnels. La visite de R. Wagner à Rossini, Paris i860, p. 28. Alois Fuchs, che aveva conosciuto personalmente Beethoven e posse­ deva una grande collezione di suoi ritratti lamentava: « Wie wenige der zahlreichen Ab­ bildungen seine höchst charakteristiche Gesichtsbildung in der äusseren Form dem Geiste nach vollkommen wiedergeben». Cfr. f r i m m e l , Neue Beethoveniana cit., p. 193.

X II.

Beethoven e l ’età rom antica

La parola romantico, quando ci è dato di coglierla sulle labbra di Beethoven, non sta a designare che u n particolare genere dei m odi e dei contenuti cui p otrà indifferentem ente ispirarsi il li­ bretto d ’opera che egli richiedeva all’antirom antico Kotzebue: «möge es rom antisch, ganz ernsthaft, heroisch, komisch, senti­ m ental sein, kurzum , w ie es Ihnen gefalle » 1 («potrebbe essere romanzesco, serio, eroico, comico, sentim entale, in breve, come Le piace»); nei Q uaderni di conversazione ricorre invece co­ me qualifica di gusto e di moda letteraria, a denunciare con di­ screzione la presenza del «m ale del secolo». Sebbene storicam ente immerso n ell’età rom antica e p u r ade­ rendo ad alcuni aspetti della sua civiltà e della sua cultura, Bee­ thoven appare tuttavia intim am ente estraneo a quel m ondo cui affida in retaggio la sua opera, come l ’albero che preserva il godi­ m ento dei suoi fru tti alla stagione che non li ha cresciuti e m atu­ rati. Proteso verso u n fu tu ro di libertà, di um anità, di giustizia, Beethoven si trova costretto a vivere in una società nostalgica­ m ente rivolta a u n passato di cui egli, in armonia con gli ideali dell’Aufklärung, aveva auspicato il superam ento. Alla visione di un progresso a term ine, che avrebbe condotto gli uom ini pacifi­ cati alla conquista della felicità terrena, subentra la concezione teologica che ne sposta la m eta, e pone il com pim ento dell’um ana destinazione in u n m ondo ultraterreno. Come G oethe, dopo aver fatto balenare a Faust la visione del «paradiesisch L and», del nuovo paradiso terrestre in cui gli uoLettera del 28 gennaio 1812. Cfr. k a s t n e r , p. 208, n. 305.

Beethoven e l’età romantica

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m ini vivono in libera attività , lo fa poi ascendere, per astuzia d ’angeli, al mistico cielo del paradiso cattolico, cosi Beethoven, dopo aver cantato nella Nona Sinfonia l ’unione fraterna tra gli uom ini («Seid um schlungen, M illionen, diesen Kuss der ganzen W elt» ), l ’avvento di u n m ondo m igliore sulla terra, volge la p ro ­ pria ispirazione al sacro, si propone di com porre una terza M es­ sa, u n Requiem , u n O ratorio. Con il riaccendersi del sentim ento religioso era ritornata in onore l ’epoca in cui la religione aveva costituito il suprem o idea­ le e la forza storica dom inante: il M edioevo, di cui si ammirava la salda stru ttu ra delle istituzioni che avevano conferito unità po­ litica all’E uropa, l ’arte ingenua e sincera, la tradizione cavallere­ sca, il carattere eroico. M entre dietro la scorta delle illum inanti intuizioni di W ackenroder si cominciava ad intendere e ad apprezzare l ’antica arte tedesca nelle sue espressioni architettoniche, pittoriche e poeti­ che, i fratelli Boisserée, m ediante la pubblicazione di u n ’opera dedicata alla cattedrale gotica di Colonia e la raccolta di antichi dipinti, avevano contribuito a diffondere e ad affermare quel nuo­ vo gusto dei prim itivi. Se ne parlava allora ovunque, in casa di G oethe, amico di quei collezionisti, in quella di Beethoven. Leg­ giamo infatti nei Q uaderni di conversazione: «Boisserée aveva la bella collezione di quadri ad H eidelberg ed ora a Stoccarda - Si parla ora in tu tta la G erm ania di questa collezione che deve con­ tenere dei pezzi magnifici so p rattu tto d ell’antica scuola tedesca e Boisserée la lascia visitare a tu tti —Si è fatto conoscere anzitutto per u n disegno della cattedrale di Colonia» \ A l tem po delle sue ricerche e del suo studio sulla musica degli antichi m aestri, Beethoven, scrivendo all’arciduca Rodolfo, ave­ va affermato che « tra questi soltanto H ändel e Bach, tedeschi, hanno avuto del vero g en io !» 23, p er riconoscere espresso fedel­ m ente nella loro opera quel «carattere serio, diritto e forte dell’anim a tedesca» che W ackenroder aveva riconosciuto nella p ittu ra 2 SCHÜNEMANN, II, p. 39. 3 KASTNER, p. 51x,11.90ο.

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di D ürer e che pur era (come testimonia Schindler che nei Qua­ derni definisce Beethoven «so fest wie von hartem Holz»: «sal­ do, quasi fosse fatto di duro legno»)4il suo proprio carattere. L ’amore per questa severa bellezza non esclude la compren­ sione e l ’ammirazione per l ’arte ispirata ad altri e opposti ideali, si che Palestrina si affianca a Bach nel Parnaso musicale di Bee­ thoven come Raffaello a D ürer nel sogno del Monaco innamorato dell’arte di Wackenroder. Ma Palestrina (non meno di Raffaello) è inimitabile per chi non possieda il suo spirito, afferma Beetho­ ven56; poiché l ’arte di quegli antichi appariva quale luminoso ri­ flesso della loro vita, si fondeva con la vita a formare, come ani­ ma e corpo, u n ’inscindibile unità. Come nella storiografia romantica, reagendo alla tendenza limitatrice e alla passione polemica dell’Illuminismo, si manifesta lo sforzo di comprendere tutto, di rendere a tutto giustizia, cosi nelle arti figurative, reagendo alla tendenza classica sostenuta dal Winckelmann, ci si disponeva a considerare le particolari qualità di u n ’opera «in se stessa e nel loro collegamento», cioè a storiciz­ zarle, a intenderle criticamente. E Friedrich Schlegel ammira e pone in rilievo le qualità spirituali ed estetiche dei primitivi tede­ schi raccolti dai Boisserée, W ilhelm Schlegel esalta i quadri ita­ liani della Galleria di Dresda, rende tributo di lodi a Leonardo e a Raffaello. Della risorta popolarità di Leonardo (cui W ackenroder aveva invitato ad alzare gli occhi «come verso i santi che sono in glo­ ria») ci documentano anche i Quaderni di conversazione, là ove Peters racconta a Beethoven che Heinrich Seelig, il trattore della Stadt Triest, «ha un Leonardo da Vinci di sorprendente bellez­ za», e precisa: «vale 20 000 fiorini —Proprietà di famiglia —Voi dovreste vederlo... Un Cristo»; e Bernard conferma: «Seelig ha un ammirevole Cristo che porta la Croce di Leonardo da Vinci» \ III, p. 224. 5 Beethoven aveva detto a Freudenberg a proposito di Palestrina: «... doch sei es Unsinn ihn nachzuahmen, ohne seinen Geist und religiöse Anschauung zu besitzen»: cfr. LEITZMANN, I, p. 284. 6 SCHÜNEMANN, I, pp. 239-40. 4 SCHÜNEMANN,

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E sarà poi lo stesso Seelig che, m entre offre a Beethoven, seduto ad un tavolo della sua trattoria, una bottiglia di vino ungherese (« È R üster, che vi piacerà»), lo invita a vederlo: «se poi’volete vedere un quadro straordinario, u n Leonardo da Vinci, vi prego di farm i l ’onore di venire da me prim a di mezzogiorno » 7. Doveva trattarsi di uno dei tan ti quadri che, per riecheggiare in m odo fa­ cile e orecchiabile qualche spunto o invenzione del m aestro, gli venivano attrib u iti; forse quello stesso che risulta essere stato inutilm ente proposto per l ’acquisto da un Seelig alla corte di V ienna8. M a a stregare il gran pubblico bastava il nom e di Leonardo, che per l ’universalità del suo genio e per aver ricondotto le di­ verse arti, da lui esercitate, ad una unità ideale, appariva ai ro­ m antici quale espressione della piu alta spiritualità, e la sua ope­ ra come il raggiungimento di quella totalità cui allora si tendeva come alla suprem a condizione estetica. N ell’universo, di cui si va acquistando coscienza come organi­ cità e come totalità dei fenomeni, anche il m ondo antico trova la sua legittim a inserzione e accanto al classicismo archeologico tra­ dizionale sorge una nuova concezione rivoluzionaria dell’elleni­ smo, avversata ed irrisa da Schiller come Graekomanie, che mi­ rava a prom uovere la pratica realizzazione delle utopie e degli ideali antichi, rivissuti come problem i attuali, come interesse presente. Simpatizzando con questo rinnovam ento giacobino dell’elle­ nismo, Beethoven non solo auspica l ’avvento di u n m ondo model­ lato sulla Repubblica di Platone, ma progetta u n rifacim ento ra­ dicale del testo delle Rovine di Atene, ispirato alla lotta del po­ polo greco contro il turco oppressore, lotta in cui sembrava rivi­ vere con l ’epico eroismo l ’antico culto della libertà. I paesi lontani, le civiltà rem ote andavano suscitando un sem­ pre crescente interesse. N ei Q uaderni di conversazione sorpren7 Ibid., p. 245. 8 Cfr. T. FRiMMEL, Geschichte der "Wiener Gemäldesammlungen, I, Wien s. a., ρ. 279 .

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diamo Beethoven intrattenersi su questo allora appassionante ar­ gomento con Christian Kufïner: «M olto tempo prima di Cristo vi furono dei grandi imperi che si elevarono, sotto tutti i rappor­ ti, molto al di sopra di ciò che si è raggiunto oggi. L ’India, l ’Assiria, la Siria, la Caldea, ecc. Questi imperi, già un tempo magnifi­ ci, sono decaduti poco a poco. Chi conosce oggi il segreto della costruzione delle Piramidi, delle mummie, delle lampade eterne, ecc.?» . All’ammirazione del passato si accompagna la ricerca di un rapporto con il presente, quasi che tutto fosse in funzione di un unico ed organico processo di svolgimento. «Per esempio, - os­ serva Kuffner, - il parafulmine, che noi attribuiamo a Franklin, era certamente già conosciuto dagli egiziani e dagli etruschi». In armonia con questa generale tendenza il neopagano Goe­ the, cantando gioiosamente la Persia e l ’Arabia, sembrava conver­ tirsi all’Islam, mentre i neocattolici fratelli Schlegel, rimettendo in onore la saggezza e la lingua degli Indiani, scorgevano adom­ brati nei testi di quella letteratura i misteri della fede cristiana, prefigurati gli aspetti della eterna lotta tra le forze del bene e del male. Entrambi questi due mondi, cosi estranei e lontani tra loro, quello dell’amore umano, che pure aspira ad attingere il valore assoluto, e quello dell’assoluta spiritualità che tende anche a ri­ velarsi in umana carità e saggezza, sono abbracciati da Beetho­ ven, accolti entrambi nella sua anima: e se sa cogliere il sotti­ le incanto del Westöstlicher Divan e se mostra di consentire ai sentimenti del poeta, sottolineando nell’esemplare che egli pos­ sedeva centinaia di versi (anche il «nego» da lui apposto in segno di disaccordo ad una frase del Buch des Unmuts è riprova di que­ sta sua appassionata partecipazione alla lettura), nondimeno è sensibile alla mistica voce che parla dagli antichi testi della filoso­ fia indiana, da cui ricopia nei suoi taccuini i lunghi passi che il manoscritto Fischoff ci ha tramandati. Im porta citarli poiché avendoli Beethoven riconosciuti quale espressione del suo pen-V

9

9 PROD’HOMME, p . 4 O I.

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siero, assumono per noi il valore di una diretta testimonianza: «Tutto ciò che emana da Dio è puro e senza macchia —se la pas­ sione mi ha ottenebrato e spinto al male, sono ritornato dopo lungo pentimento e purificazione alla sorgente originaria, altissi­ ma e pura, alla divinità, alla tua arte. Nessun egoismo ti spinge­ va a questo, —che sia sempre cosi... Se la lagrima trema nel ciglio, resisti coraggiosamente al suo primo tentativo di sgorgare... Durante il tuo pellegrinaggio sulla terra, ove i sentieri ora in salita ora in discesa rendono raramente riconoscibile il giusto cammino, la traccia dei tuoi passi non sarà sempre uniforme, ma la virtù ti spingerà sempre avanti nella direzione giusta. Beato colui che ha dominato tutte le passioni e poi, senza preoccuparsi del risultato, con tutte le sue forze ha compiuto tu t­ ti i doveri della vita. Lo scopo sarà nell 'azione e non nell’esito —Non essere uno di quelli il cui stimolo all’azione è la speranza di una ricompensa. Non lasciar trascorrere la tua vita nell’ozio — Sii laborioso, compì il tuo dovere, elimina il pensiero delle conseguenze e del­ l’esito, buono o cattivo che sia —poiché questa equanimità richia­ ma la tua attenzione verso lo spirituale —Cerca solo un rifugio nella saggezza poiché attaccarsi ai risultati è causa di miseria e di infelicità - Il vero saggio non si cura del bene e del male di que­ sto mondo, perciò preoccupati di conservare questo uso della ra­ gione poiché [un tale uso] è u n ’arte delicata nella vita. Immerso nelle ombre della solitudine eterna, nelle dense te­ nebre del folto bosco impenetrabile, inaccessibile, illimitato, amorfo, il suo spirito prima che le anime fossero state risveglia­ te, solo, riempiva il mondo, come degli occhi mortali (per com­ parare il Finito e l’Infinito) che si guardino nella lu ce» 10. Se Friedrich Schlegel ricercava nella filosofia indiana i presup­ posti dottrinali del cristianesimo, le segrete affinità con la teolo­ gia, Beethoven trovava in essa il riflesso delle proprie credenze, una conferma della loro validità. 10 Dal manoscritto FischoS. Cfr.

le itz m a n n ,

II, pp. 253-54, ηη· 7 5 -7 7 ·

208

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Questa concezione della Divinità come puro essere, senza li­ miti, che abbraccia, compenetra, riempie di sé il mondo, e che si manifesta nelle opere del creato, appare infatti in piena armonia anche con quella di Spinoza e di Herder. Questa religiosità intesa come vivente esperienza, che investe tutte le facoltà umane, come accettazione e sublimazione della vi­ ta, come disinteressato amore di virtù e di perfezione, è quella professata dai cuori generosi degli Stürmer und Dränger, dallo stesso Beethoven. E che le frasi che egli espunge dai libri indiani siano da lui considerate come frammenti di una verità originaria destinata ad essere integrata e convalidata da altre concordi testi­ monianze lo dimostrano altre citazioni raccolte nel manoscritto Fischoff, quale ad esempio l ’esortazione tratta dal poema di Za­ charias W erner Die Söhne des Thaïes·. «Agisci invece di doman­ dare, I sacrificati senza speranza di gloria né di ricompensa»11, che intende riaffermare il generoso disinteresse dell’azione fine a se stessa, il valore assoluto della virtù e del bene. Sarà inoltre alla luce di quell’antico ideale volto a santificare la vita mediante l’azione e in armonia con quel precetto della sag­ gezza indiana che ingiunge: «non lasciar trascorrere i tuoi giorni - sii laborioso, adempì ai tuoi doveri», che sarà dato d ’intendere il pieno significato delle parole scritte da Beethoven in un Qua­ derno di conversazione del dicembre 1825: « Il tuo tempo è fa­ cilmente bene impiegato; questo dipende soltanto dall’insieme ordinato delle occupazioni»112. Se già egli aveva considerato il la­ voro come il rimedio migliore «per scacciare il pensiero del male che lo affligge» u, un mezzo per far trascorrere più rapidamente la ruota del tempo, per eluderlo e cosi sottrarsi ad uno stato infeli­ ce, ora esso gli appare come l ’adempimento di un sacro dovere, e con quelle semplici parole, «il tuo tempo è bene impiegato», sembra che la sua coscienza, a un anno dalla morte, ne prenda se­ renamente atto. 11 Cfr. qui il capitolo in , pp. 51-52. p. 377 * u Dal manoscritto Fischoff. Cfr. l e it z m a n n , II, p. 243, n. 14. 12 PROD'HOMME,

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L ’interesse e la curiosità di Beethoven per l ’India si estende, come rivelano alcuni suoi appunti, alla storia della sua arte («Si trovano in India delle opere di architettura, le pagode, antiche rocce trasformate, che hanno 9000 anni d ’età»), della sua musi­ ca ( « Scala e toni indiani : Sa - ri - ga - ma - na - da - ni - sche » ), del­ le sue tradizioni («N el chiostro la regola impone al futuro brami­ no un silenzio di cinque anni») ”, della sua letteratura. In un Quaderno di conversazione del gennaio 1823 Johann van Beethoven scrive: «Lichnowsky mi ha portato da leggere un libretto d ’opera: è di Schlegel tratto da un poema indiano antico di 2000 anni. È romantico e questo mi piace. Q uesto mi piace m olto, se vuoi leggerlo te lo lascio, ma biso­ gna che tu lo legga subito. Io credo che un compositore di qui abbia già voluto m ettere in musica questo libretto, ma non si è arrischiato. Io trovo che sia un grosso affare. Vado anzitutto ad informarmi da Lichnow­ sky» 415. Un libretto indubbiamente ispirato a quella sintesi ideale di sacro e di profano, di paganesimo e di cristianesimo, che per apparire non solo adombrata negli antichi testi indiani, ma attua­ ta nella religione cattolica, aveva predisposto lo Schlegel alla con­ versione. Di questa, di numerose altre non meno clamorose conversioni e delle accese polemiche che esse suscitavano tra i liberali tede­ schi, troviamo menzione anche nei Quaderni. Durante un colloquio del marzo 1820 ascoltiamo Blöchlinger esprimere a Beethoven i propri dubbi sulla sincerità di quelle crisi religiose, facendo particolare riferimento alla conversione di Fritz von Stolberg: «Come è possibile che uno Stolberg, che nella sua traduzione di Platone ha cosi bene illustrato le idee che questi aveva in comune con Cristo, abbia potuto diventare cosi inconseguente?» (Beethoven, che dichiarava di aver assunto So­ crate e Gesù come modelli, doveva pienamente condividere gli ideali che già avevano ispirato a Stolberg tale accostamento). 14 Ibid., p. 257, n. 106. 15 SCHÜNEMANN, II, pp. 343

Sgg.

210

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«Cosa ci si deve aspettare —replica Blöchlinger —dalla gente che non perviene mai alla vera coscienza di sé. Tutte queste con­ versioni sono determinate da personali interessi e non da convin­ zioni. Schlegel è certamente divenuto cattolico per interesse, per­ ché io non lo ritengo affatto capace di qualcosa di grande: alme­ no per quanto riguarda i suoi scritti, che sono tu tti tirati per i ca­ pelli» “. Contro Stolberg e la numerosa schiera dei neo-cattolici si era alzata la voce aspra e minacciosa di Johann Heinrich Voss, il fa­ moso traduttore di Omero, a denunciare la restaurazione cattoli­ ca quale rinascita del Medioevo feudale e il conseguente tramon­ to della libertà di pensiero protestante e della politica laica. Ma nell’intima cerchia di Beethoven c’è chi critica gli eccessi di quel fervido polemista in nome di quegli stessi valori da lui esaltati e difesi. «Sono stato da Voss a Heidelberg, —riferisce Bernard a Bee­ thoven in un Quaderno del gennaio 1820: - appena che ha inteso dire che io sono cattolico ha incominciato a eccitarsi violente­ mente contro la spiritualità cattolica. È il colmo dell’intolleranI 17 za!» . Ma un’altra e ben piu temibile intolleranza, quella degli Obs­ kuranten, dei reazionari che in Austria dominavano con sempre maggior rigore la vita pubblica, trova condanna nei Quaderni di conversazione. Riferendo tutta una sequela di prepotenze e di abusi della politica viennese, Oliva informa tra l ’altro Beethoven che « Görres è stato condannato per aver osato dire la verità, e co­ stretto a fuggire in Francia» Coraggioso assertore delle guerre di liberazione e campione intrepido del liberalismo, il Görres doveva essere ben noto a Beethoven, che simpatizza con le sue idee politiche, per ricono­ scervi il comune generoso spirito renano, e mostra inoltre di ap­ prezzare un particolare aspetto della sua attività letteraria, quel1678 16 Ibid.., I, p. 348. 17 Ibid., p. 197. 18 Ibid., p. 201.

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2II

costante parallelo istituito tra processo fisico e spirituale, per se­ guirne l’esempio e valersi anch’egli di quella nuova simbolica de­ sunta dalla natura e dalla scienza. Questo rapporto tra materia e spirito, se per l ’insistenza con cui è osservato dal Görres può apparire una sua caratteristica, trova peraltro riscontro nella teoria della conoscenza dell’Illumi­ nismo basata sulla esperienza diretta, negli scrittori dello Sturm und Drang, nello stesso Beethoven. Dalle sorprendenti scoperte scientifiche di un Franklin e di un Priestley vediamo sorgere in­ fatti una mitologia della fisica, in cui termini quali energia, elet­ tricità assumono nuovo valore metaforico, stanno a mediare il principio dinamico della materia e la creatività dello spirito. «Noi ci elettrifichiamo per operare... questa è la meravigliosa for­ za creativa che dà vita all’anima, come la scintilla elettrica scocca, forse, nel sangue e nel sole» aveva scritto H erder a Merk, e si­ milmente Beethoven aveva detto a Bettina Brentano: «La mu­ sica è il suono elettrizzato in cui lo spirito vive pensa e crea. Ogni elemento elettrico eccita lo spirito a fluide effuse creazioni musi­ cali. Il mio temperamento è elettrico». Come dalla legge fisica, formulata da Kant, dell’attrazione e della repulsione, da quel contrasto di forze in movimento Bee­ thoven aveva desunto i principi che stanno alla base della formasonata ”, cosi in tutte le diverse espressioni delle forze della natu­ ra egli cerca di scoprire l ’analogia segreta con i moti dell’animo umano, di risalire, mediante la scienza, alle energie che stanno all’origine di tutti i fenomeni materiali e immateriali. Vediamo infatti Beethoven interessarsi alla T eoria dei colori di Goethe come all’Acustica di Chladni “, quasi che di ogni sen­ so egli volesse indagare il suo proprio mondo per trascendere poi 15 Vedi il capitolo V. 20 Già nel 1815 Beethoven si era interessato alla ricerca di Chladni: «in Chladnis Buch vom Klang nachzuschlagen » (cfr. il manoscritto Fischofl in leitzmann , II, ρ. 243, η. 63), riferendosi alle Entdeckungen über die Theorie des Klanges, Leipzig 1787, e nel gennaio 1820 annota in un Quaderno di conversazione: «Chladnis Akustik» ( schüneMANN, I, p. 243): l’altra opera che con titolo A kustik era stata pubblicata a Lipsia nel 1802. Il nome di Chladni appare ancora, scritto da Beethoven, in un Quaderno del mar­ zo 1820.

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dall’analisi empirica ad una verità superiore. Era la via che dalla lettura degli articoli sull’astronomia di L itrow 212lo conduceva al­ la meditazione delle ultime pagine della Critica della Ragion pra­ tica di Kant, che dalla contemplazione del cielo stellato lo elevava a Dio, lo stimolava sia pure vanamente a tradurre quella celeste armonia nella musica. «Quando la sera - aveva confidato a Stumpfi —contemplo con stupore il cielo e la schiera dei corpi luminosi chiamati soli e ter­ re, che gravitano eternamente nella sua orbita, il mio spirito si slancia verso queste stelle distanziate da tanti milioni di leghe, verso la prima sorgente donde nasce tutto ciò che è stato creato e donde eternamente sorgeranno nuove creature. E quando in se­ guito io cerco di dare una forma musicale ai miei sentimenti ri­ svegliati, allora mi sento terribilmente deluso...» Nei Quaderni di conversazione si deplora chi «non è interes­ sato all’arte e alla scienza», intese come parti complementari di un unico vero: ma arte e scienza sono per Beethoven sinonimo di u n ’altra equazione, di bellezza e verità. E se la scienza, indagan­ do l ’origine e le leggi costanti cui obbediscono nel loro divenire i fenomeni naturali, rende manifesta l’origine spirituale e soprasensibile dell’universo, la sua intima coesione, l’arte consentirà di comprendere intuitivamente quella coesione, stabilirà, me­ diante la forma e la bellezza, il perfetto accordo tra l’uomo e il mondo. «All beauty is truth» proclamava l ’estetica dello Shaftesbury, che tanto aveva influito su H erder e su Schiller; ma anche ogni verità è bellezza e la verità del cosmo si rivelava in tutto il suo splendore al genio di Beethoven, che vediamo tormentarsi per darle espressione sensibile mediante il suono. 21 Litrow era il direttore dell’osservatorio astronomico di Vienna. In un Quaderno di conversazione del marzo-aprile 1822 Beethoven annota «Dr. F. Η. M. der Astrono­ mische Jugend Freund», un trattato di astronomia elementare che lo interessa: egli commissiona inoltre degli schermi astronomici trasparenti per osservare il cielo stellato «bey Neuhause zum Todtenkopf Bognergasse n. 315. Transparente astronomische lichtschirme (sehr merkwürdig da man darau[s] den gestirnten Himmel sich ganz zu eigen machen kann) in Comission». Cfr. schünem ann , III, p. 128. 22 Cfr. LEITZMANN, I, p. 278.

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213

Questa tendenza a concepire l ’opera d ’arte come un tutto or­ ganico e l’universo come un’opera d ’arte, già manifesta in H er­ der e in Goethe, viene ripresa da Friedrich Schlegel e costituisce un punto comune tra i loro diversi mondi spirituali, una possibi­ lità d ’intesa tra Beethoven e i romantici. Dai Q uaderni di conver­ sazione apprendiamo che egli ebbe rapporti personali con gli Schlegel ( « Inviare un esemplare dei tuoi rielaborati Lieder [scoz­ zesi] . A proposito di questo [scrivere] oggi a Schlegel» annota nel febbraio 1823 ) 23e quanto puntualmente egli fosse informato del­ le tendenze di gusto che i due fratelli, i dioscuri del romantici­ smo, andavano promovendo24: anche di quella tendenza che, in conformità alla presupposta supremazia dell’ideale cattolico, col­ locava in primo piano, anzi al vertice della poesia, anteponendolo a Shakespeare, Calderon de la Barca. E come nel 1813 Beethoven aveva annotato in un taccuino: «Die Schärpe und, die Blume, Der standhafte Prinz, von Calde­ ro n » 25 in concomitanza con la ristampa a Vienna di questi due drammi tradotti da Wilhelm Schlegel e tratti dal suo Spanische Theater (1803-809), cosi il nome di Calderon riappare nei Qua­ derni di conversazione del 1823, puntualmente l ’anno in cui Friedrich Schlegel, nella nuova edizione della sua Storia della let­ teratura, esaltava, seguendo Tieck, il poeta della cavalleria e del monachiSmo quale il più alto rappresentante dell’arte cattolica. Lo menziona Schindler durante un colloquio del marzo di quel23 sc h ü n e m a n n ,

III,

p. 22.

«Avete scritto

a

Schlegel?» chiede Schindler (cfr.

ibid.). 14 Nei Quaderni di conversazione vediamo Beethoven interessarsi alla rivista « Con­ cordia» diretta da Friedrich Schlegel, e chiederne notizie a Bernard che precisa: «Si tratta di un giornale mistico, politico, religioso. Lo stesso Schlegel e Werner vi scrivono molto» (cfr. schünem ann , I, p. 197). La rivista edita da Wallishauser aveva iniziato le sue pubblicazioni appunto in quell’anno a Vienna dopo che Schlegel vi si era trasferito in seguito alle polemiche del Voss e alla condanna di Goethe, ma senza molto soffrire di quell’esilio, se dobbiamo credere a quanto riferisce, nei Quaderni di conversazione, Ber­ nard a Beethoven: «Wallishauser era oggi da me e mi ha detto che Schlegel non fa al­ tro che mangiare, bere e leggere la Bibbia », il che starebbe ad avvalorare quanto Heine ebbe poi a scrivere nella Scuola romantica·. «Federico Schlegel si recò a Vienna, ove ogni giorno ascoltò la messa e mangiò polli arrosto». 25 Dal manoscritto Fischoff. Cfr. leitzm a nn , II, p. 245, n. 22.

214

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l ’anno con Beethoven, a proposito della nuova opera che questi avrebbe dovuto comporre Suggerendo il nome di Calderon egli intendeva proporre l’au­ tore allora piu celebre e attuale che potesse offrirsi ad un compo­ sitore quale Beethoven, il poeta piu degno, con Shakespeare, del­ la sua musica eroica, come già lo aveva designato Hoffmann nella sua critica all’O uverture del Coriolano di Collin. « In tutta Euro­ pa non c’è un compositore che potrebbe salvare il nostro teatro dallo sfacelo se non voi, - dice Schindler. —Questo sanno i si­ gnori [della direzione] e per questo accetteranno ogni [vostra] condizione»2627. Il problema dell’opera è un fatto di importanza nazionale e soltanto Beethoven potrebbe risolverlo con il suo genio. Ma quella materia epico-religiosa romanticamente intesa (il celebre librettista del Freischütz, Kind, informano i Quaderni, ne avrebbe elaborata la versione scenica: «Kind scriverà per voi soltanto che voi lo vogliate» assicura Schindler) doveva ri­ manere estranea al suo spirito, pur non insensibile al fascino del mitico, dell’avventuroso e del leggendario. Quando Beethoven, chiedendo a Kotzebue un libretto d ’ope­ ra, dichiara di preferire «un grande soggetto storico, specialmen­ te dei tempi oscuri, per esempio di Attila» (lettera del 27 gen­ naio 1812), manifesta quanto egli fosse partecipe del vivo, pro­ fondo interesse per l’antico mondo tedesco, di cui lo Sturm und Drang aveva risvegliato negli animi il culto, prima che su di esso convergesse con pari venerazione ed entusiasmo il gusto roman­ tico. Era un modo, il suo, di intendere Medioevo e germanesimo molto simile a quello con cui Goethe aveva inteso l’architettura gotica, W ackenroder i primitivi, per riconoscere in quelle opere antiche «impresso fedelmente e chiaramente... il carattere serio, dritto e forte dell’anima tedesca», il segno rivelatore della sua nobiltà originaria. E sarà anche ad essi comune il modo di inten26 SCHÖNEM ANN,

27 Ibid.

I II, p .

Il8 .

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215

dere il linguaggio forte e sano di quei tempi lontani, la «derbe, kräftige und wahre Sprache» di un Hans Sachs, che W ackenro­ der legge negli in folio della biblioteca di Norimberga e Beetho­ ven nell’edizione corrente, apparsa a Vienna «da Graff —nella Franziskanerplatz» come egli annota in un Quaderno di conver­ sazione del marzo 181928. Ma il Medioevo vagheggiato dai romantici e che il romantico Grillparzer propone con la sua Melusina a Beethoven non è l’età storica in cui lo spirito tedesco affonda le proprie salde radici, bensì un’età immaginaria e favolosa, priva pertanto della forza che è implicita nell’evento, e che al carattere eroico di personaggi reali sostituiva larve evanescenti, alle grandi passioni tragiche sentimenti uniformi, anche se nobili e umani. Soggetti d ’opera tratti dall’epica nazionale, quali VAlfredo di cui si parla nei Quaderni di conversazione, non troveranno il con­ senso di Beethoven, non accenderanno la sua ispirazione; forse per essere appunto interpretati romanticamente, quale esaltazio­ ne ideologica dell’epoca preghibellina, del tempo in cui la forza eroica dei Germani e il sentimento cristiano avevano trovato ar­ monica unione e stavano a simboleggiare l ’avvento di una nuova sognata totalità. «Se Mosel [condirettore dell’opera di Vienna con Dietrich­ stein] ha del rispetto per voi —dice Grillparzer a Beethoven - è unicamente perché voi siete un tedesco» In lui sembrava infatti rivivere lo spirito degli «antichi eroi dell’arte e della scienza tedeschi» che Schlegel additava come esempio di rettitudine, di fedeltà, di profondo sentire; ma tutta­ via senza per questo aderire al culto della germanistica romanti­ ca, instaurato dal Tieck, che sotto l ’insegna del cattolicesimo e del concetto unitario di Europa tendeva a costituire appunto (pur dando rilievo al proprio carattere storico) quella totalità cui ane­ lava lo spirito del tempo. Beethoven infatti, non ostante le sue aspirazioni universalistiche, possedeva viva coscienza della forza a Ibid., I, p. 20. 29 Ibid., I li, p. 397. IJ

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spirituale tedesca, indipendente, dominante la cultura europea, e che andava suscitando in Germania un nuovo umanesimo. E come l ’antico umanesimo italiano, pur traendo dalla co­ scienza della sua origine latina una forte impronta nazionale, era radicato nell’universalismo medievale, anche l’umanesimo tede­ sco si innesta idealmente nell’universalismo della grande filoso­ fia. Formare l ’uomo nuovo, riunire il mondo in una comunità umana di civiltà unitaria è la meta di entrambi; se presupposto dell’uno era la barbarie, tedesca o francese che fosse, e «libera­ zione dai barbari» la parola d ’ordine, presupposto dell’altro è il mondo latino, il Welsche, corrotto e degenerato quanto il barba­ ro era rozzo e incivile, ed evitare il Welsche, liberarsi dal W el­ sche, è lo Schlagwort, il motto che accompagna la lotta contro l ’invadente straniero. Lo udiamo risuonare anche nei Quaderni di conversazione con non celato disprezzo: «Die Wällschen sind etwas schmutzig, man darf ihnen ja nicht entgegen kommen! sonst drücken sie»30(« I Welschen sono alquanto sudici, certo non si doveva incoraggiarli! altrimenti di­ vengono invadenti»), e che qui per Welschen s’intenda designa­ re gli Italiani, gli artisti italiani che trionfavano nei teatri di Vienna, è dato arguire dal seguente passo dei Quaderni: «Q uan­ do questa mattina sono passato da Artaria — dice Schindler a Beethoven —mi sentii chiamare e fui presentato al signor Carafa, che desidera ardentemente di conoscervi — se volete riceverlo mercoledì o giovedì lui ne sarebbe molto contento». Poco dopo: «Die wälschen H erren kommen schon an! —Die an der W ien» (« I signori Welschen sono già arrivati! —Quelli del [teatro] An der W ien »)31. Contro il Welsche Rossini anche Beethoven, lo vedemmo, aveva scagliato i suoi strali polemici, tacciandolo di imbrattacar­ te, ma quando denuncia la deficienza costruttiva di quella musi­ ca, sentiamo che è la sua salda e severa coscienza formale che in­ sorge contro la «mancanza di forma» dell’italiano, al cui sensuo30 Ibid., I, p. 377. 31 Ibid., I l i , p. 47·

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217

so edonismo egli sa di opporre la profonda sacralità della propria ispirazione, il proprio umanesimo. Non meno di H erder e di Les­ sing, di Goethe e di Schiller, poeti da lui amati “, Beethoven ci appare partecipe di quella nuova rinascita, che sotto l’insegna di un piu vasto concetto di umanità tendeva a raggiungere median­ te l ’universale la piena e originale espressione dell’individuo, a rigenerare l’artista inteso nella sua totalità, come carattere, come uomo. Nell’ambito di questa totalità gli aspetti piu diversi dell’e­ spressione sembrano accordarsi per obbedire ad un unico fondamentale impulso: anche la lingua, che, come la musica, in Bee­ thoven è strettamente aderente al suo intimo sentire: entrambe cosi dirette e appassionate da infondere nuovo e piu intenso va­ lore ai suoni e alle parole usate, si che sembra talora che dalla lo­ ro veemente espressione trabocchi qualcosa di non determinato in modo assoluto, che supera i termini circoscritti della parola e del suono per appellarsi all’idea. Ma se è la stessa compiutezza formale, la stessa realtà pura della sua musica che postula, si direbbe, l ’esistenza di un mondo che ci trascende e stimola il nostro spirito a ricercarlo oltre il li­ mite dei suoni, nondimeno soltanto mediante il suono ci sarà concesso di esplorare quel mondo appena intravisto, che soltanto nella fisicità in cui è formulato trova la sua realtà e diviene spec­ chio dell’anima. Questa traboccante pienezza si ritrova anche nel suo linguag­ gio, in quella sua prosa impetuosa, contorta, fluente, ove talora è dato di scorgere il baleno dell’idea che agita il suo spirito, la stes­ sa che per misterioso trapasso troverà piena espressione nella musica e che qui s’intravede riflessa come le forme del paesaggio e la luce del cielo vagamente si riflettono sulle acque torbide di un fiume. Negli appunti dei suoi taccuini, come nelle lettere e nei fram-32 32 Opere di Lessing e Herder sono richieste da Beethoven a un amico che scrive nei Quaderni di conversazione: «Di Lessing non ho che Nathan; Herder non l’ho»; cfr. SCHÜNEMANN, I, p. 252.

2i 8

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mentali colloqui dei Quaderni, sembra talora di poter cogliere l ’intima vibrazione di un’ansia segreta, la parola che prorompen­ do dal profondo dell’animo come sentimento umano, è destinata poi a fiorire e a dissolversi in canto. Nella estatica contemplazione della natura («M i sembra che in campagna ogni albero mi faccia intendere la Sua voce dicendo­ mi: Santo, santo - O h dolce silenzio della foresta — «Quale splendore, Signore, —Queste foreste, queste valli respirano la calma, la pace che occorre per servirLo! » )334, nella pungente no­ stalgia di paesi e di amici lontani ( « Come sarebbe bello visitare la mia patria, partire per l’Inghilterra! —» 3S367; «Per liberarsi non c’è che un mezzo: partire —Ancora una sinfonia poi partire, parti­ re, p artire» “; «Q uante volte ti desidero vicino... tu sei uno di quelli che il mio cuore ha prescelto, perché il tuo Beethoven ha una vita molto infelice in lotta con la natura e con il Creatore » ) ”, nell’ardente anelito dell’amore («Si, l ’amore, unicamente e solo l ’amore, può rendere la tua vita più felice! » )3839,nella dolorosa ri­ nuncia («Rassegnazione, rassegnazione profonda alla tua sorte — Essa soltanto ti permetterà di accettare i sacrifici che richiede il servizio e la lotta penosa»)35, nella invocazione religiosa («Dio, Dio, mio rifugio, mio sostegno, tu che sei tutto per me, tu penetri la mia anima —Ascolta la mia preghiera, tu di cui io non saprò mai esprimere la grandezza, ascolta il tuo infelice Beethoven»)40, e nello sconforto («Colui che è colpito da un male senza rimedio ed è portato cosi poco a poco alle soglie della m orte... » )41ricono­ sciamo adombrate le fasi aurorali di tutta la sua tematica, il pri­ mo sorgere dell’idea che, formulandosi in suono, ascenderà poi dall’oscuro mondo dell’evento al cielo luminoso della forma. 33 Dal manoscritto Fischofi. Cfr. leitzm a nn , II, p. 250, n. 69. 34 Ibid., p. 254, n. 78. 35 Ibid., p. 248, n. 60. 36 Ibid., p. 261, η. 131. 37 Cfr. Kästner , p. 42, n. 50. 38 Dal manoscritto Fischofi. Cfr. l e itz m a n n , II, p. 266, n. 183. 39 Ibid., p. 242, n. 7. 40 Ibid., p. 264, η. 171. 41 Dal manoscritto Fischofi. Cfr. ibid., p. 253, n. 85.

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E cosi non diversamente da tutte quelle individuate sensazio­ ni emotive, che anelavano in lui di trovare espressione, anche il dolce paesaggio della boscosa vallata della Brühl da cui si sente misteriosamente attratto («Qualche giorno in questa divina Brühl! » )42e che costituisce la sua ansia segreta («W er kann alles ausdrücken », « chi potrà esprimere tutto questo » ) 43egli lo elegge a luogo della memoria, lo pone tra cielo e terra come il biblico Eden, ne fa l ’oasi incantata della Sinfonia Pastorale. Se era sua costante aspirazione di «rivelarsi al mondo soltan­ to mediante le opere musicali» (lettera del io marzo 1824) e se comporre era per lui sinonimo di poetare (lettera del 30 luglio 1817) nondimeno il suo linguaggio non ci appare quale un surro­ gato prosaico di quella poesia musicale, bensì talora una fase, sia pure ancora imperfetta, di quello stesso processo creativo. Per sorgere dal nucleo originario della sua personalità in cui coesiste indifferenziato ciò che troverà poi precisa individuazione nella forma, il suo linguaggio non ci consentirà soltanto di coglie­ re sottili e allusivi rapporti tra la sua esperienza umana ed il mon­ do dei suoni, di informarci sulla sostanza conoscitiva delle sue immagini musicali, di meglio situare la sua opera nella storia, ma si afferma in noi con la forza del suo proprio carattere, per l’au­ tenticità e l’originalità del suo accento. Strettamente aderente all’intimo da cui scaturisce, plasmata dalle forze operanti dell’animo, la sua lingua, che riflette gli entu­ siasmi e i cedimenti, le illuminazioni e le ombre, in obbedienza agli impulsi e alle esigenze che la suscitano, ci appare ora limpi­ da e fluente, ora involuta e contorta, e, quando non vi spiri l’af­ flato animatore, che ravviva e fa divampare il chiaroscuro di que­ sta brace, non esente talora da oscurità, da forzature sintattiche, da idiotismi, che il pedante Schindler non si trattiene dal rile­ vare e dal correggere. «Ma ottimo! diffidate dei vostri germaniSmi: si dice fare at­ tenzione e non darei » scrive in un Quaderno interrompendo, con 42 Ibid., p. 266, η. 181. 43 Ibid., p. 250, n. 69.

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impertinenza, il colloquio". Beethoven non è certo disposto a sopprimere quelle limitazioni interne, profondamente radicate nella lingua tedesca e consone alla struttura organica di questa e del suo pensiero. « Se parli in un certo modo, in quello tu pensi» scriveva H erder ad Hamann, che reagendo al razionalismo idea­ listico delPIlluminismo e alla pedanteria dei filologi aveva riven­ dicato la «necessaria irregolarità del linguaggio», non schiavo di regole astratte, e affermato la legittimità dell’espressione sponta­ nea e immediata. Anche il linguaggio di Beethoven, musicale o verbale che sia, rifugge dall’estetismo formale e una certa sua sprezzatura e rudezza sta a rivelare il carattere originario dell’ar­ tista e dell’uomo. «Siccome non riusciremo mai a raggiungere i vantaggi dell’arte classica è nostro dovere mantenerci con corag­ gio all’altezza di questi vantaggi barbarici» aveva osservato Goe­ the annotando il Nipote d i Rameau di Diderot. E Beethoven, ri­ conosciuta inimitabile la classica purezza di Palestrina, aveva ideato e si era proposto di comporre una musica tutta intessuta di dissonanze non risolte, osando cosi con piena e virile coscienza quel coraggioso passaggio dal puro all’impuro : il procedimento inverso di quello piu comunemente seguito dai barbari, come aveva osservato Schiller. Dal puro all’impuro era infatti il contrario della tendenza ar­ tistica dei romantici, che aspiravano all’espressione forbita e me­ lodiosa, immateriata. «La lingua ha rinunciato ad ogni corporeità e si dissolve in un soffio di spirito in cui le parole sembrano appe­ na venir pronunciate, si che suonano quasi ancor più dolci del canto». Era questo il nuovo ideale stilistico che dalla sua catte­ dra berlinese annunciava W ilhelm Schlegel e s’intende come la sua famosa traduzione di Shakespeare condotta secondo quei principi non potesse piacere a Beethoven, che la giudicava «ma­ nierata»". Se per i romantici la parola tendeva alla evocazione pittorica {ut pictura po'ésis) e alla condizione di musica, la musica a sua45 44 PROD'H O M M E, p. 282.

45 Cfr. LEITZMANN, II, p. 377.

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volta appariva loro quasi una sublimazione della poesia e della stessa pittura. «Musica e pittura sono sorelle» afferma anche un visitatore di Beethoven“ riecheggiando la teoria delle «corrispondenze tra i sensi», quella sinestesia che Tieck aveva posto alla base della nuova estetica: Die Farbe klingt, die Form ertönt... So dass der Klang hier seine Farbe kennet... Sich Farbe, Duft, Gesang, Geschwister nennet.

(« Il colore tintinna, la forma risuona... Cosi che il suono conosce qui il suo colore... colore, profumo, canto si dicono fratelli»). Di questa tendenza romantica ad evadere dalla realtà per ele­ varsi ad un mondo indefinito, vago ed etereo (dall’impuro al pu­ ro) in cui le diverse sensazioni trovavano la loro conciliazione ed espressione nel suono («Colori, luci e profumi sono dei suoni» fa dire Hoffmann a Kreisler) il Tongemälde o quadro sonoro ne fu il modesto, infimo risultato. «Recentemente si leggeva questo annuncio sulla "W iener Zeitung” : Un quadro sonoro di Leidesdorf»464748riferisce Kuffner, in un colloquio dell’aprile 1826, a Beethoven, ed è facile imma­ ginare come questi avrà giudicato tali sottoprodotti musicali che godevano il favore del pubblico Beethoven, se ripudia la parola-suono dei romantici, nega il suono-immagine («Piu espressione di sensazioni che pittura» aveva ammonito nella Pastorale), giudica insensata l ’accentuazio­ ne dell’elemento coloristico nella musica, come in quella del Frei­ schütz, per apparirgli estraneo a quel profondo ideale umano, che unitamente alla schietta semplicità di espressione («immer sim46 P R O D ’ H O M M E , p . 3 5 3 .

47 I b id ., p. 397. # 48 Max Josef Leidesdorf era scherzosamente chiamato da Beethoven D o r f d e s L e i­ d es, paese del dolore. Anche Tobias Haslinger, il T obiasse, mercante di note, aveva com­ posto e pubblicato qualche «caracteristisches Tongemälde» per pianoforte, quali D e r K u rier, o d e r W ie n s ] u b e l b ey d e m E in tr e ffe n d e r S ieges-N achricht: P aris is t g e n o m ­ m e n ! («Il corriere, ovvero il giubilo di Vienna per Barrivo della notizia vittoriosa: Pa­ rigi è presa»), il D e u tsc h e s T r iu m p h , l ’Id e a l e in e r S c h la c h t e altre consimili oleografie

musicali che suscitavano l’ilarità di Beethoven.

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pler », « sempre piu semplice» era un suo motto) egli aveva posto a fondamento dell’arte. Nonché evadere dalla realtà e compiacersi dell’estetismo for­ male, delle suggestioni timbriche, del vago e dell’indefinito, l’ar­ te di Beethoven trova al contrario intima corrispondenza nei grandi problemi allora attuali e ad essi s’intona e aderisce, ponen­ dosi in lotta contro il proprio tempo. È la posizione eroica assun­ ta da Schiller e da Goethe a difesa e sostegno dell 'arte vera con­ tro la nuova, che sorgeva da una coscienza reazionaria, da una fantasia morbosa e esaltata, da un deformato sentimento del su­ blime, da una forma minata dall’arbitrio e tendente a dissolversi. Alla Formlosigkeit, alla mancanza di forma latente nello spirito romantico, alla oscillazione dei termini contraddittori in cui esso si esprime, Beethoven oppone una forma salda e articolata, che nella conciliazione ed unificazione degli opposti trova la sua dia­ lettica e la sua vita. E questa sua robusta organicità, se non con­ viene alle vaghe e instabili immagini del sogno, appare perfetta­ mente adeguata ed idonea ad esprimere la verità spirituale di cui la musica per Beethoven, come la poesia per Herder, è celeste te­ stimonianza. «Ja, von oben muss es kommen, das was das Herz treffen soll; sonst sinds nur Noten, Körper ohne Geist» (« Si, ciò che tocca il cuore viene dall’alto, altrimenti non vi sarebbero che dei suoni, dei corpi senz’anima») aveva detto a Stumpff49. Se la musica di Beethoven ci appare sostanzialmente ispirata alla poetica dello Sturm und Drang, sarà la critica romantica che, intendendola secondo i propri ideali, ne farà l ’esaltazione. «È il soffio divino che ci commuove nei suoni della musica»; aveva detto Friedrich Schlegel «essa non si lascia prendere a forza... ma amichevolmente attrarre dalla bellezza mortale...» L ’esigen­ za dei romantici di tutto chiarire, di svelare ogni mistero doveva infatti trovare nella musica di Beethoven la materia più straordi­ naria e stimolante che potesse offrirsi a questa ansia di verità e di trascendenza, a questo anelito di assoluto. Questo anelito, ricercato anche nella poesia, per convergere in 49 Cfr.

LEITZMANN,

I, p. 279.

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essa trasfigurati vita e pensiero, natura e filosofia, troverà suo ap­ pagamento nella musica e Hoffmann sarà il primo a riconoscere in quella di Beethoven l ’afflato di una rivelazione divina, che «tra­ sporta irresistibilmente l’ascoltatore nel meraviglioso regno spiri­ tuale dell’infinito». Ma questo infinito non era evocato che dal finito, dalla strut­ tura formale in cui si riflette e che lo esprime, dalla stessa logica organica secondo cui l ’opera musicale sorge e si sviluppa da una cellula tematica con la spontaneità ed il rigore di una pianta. E sarà appunto questa organicità unita ad una ispirazione ardente che rivela ad Hoffmann «die hohe Besonnenheit des Meisters» (« l’alta riflessione del maestro»); quella stessa Besonnenheit che H erder, seguendo Condillac, aveva inteso come forza originaria dello spirito, in cui si fondono sensazione e pensiero, e che ora viene riconosciuta quale elemento rivelatore del genio di Bee­ thoven. I romantici poterono cosi credere di pienamente riconoscersi in u n ’arte volta ad altri ideali, ispirata ad una concezione della forma che era l’opposto di quella da essi vagheggiata, protesa verso il futuro quanto essi lo erano verso il passato, impegnata nei grandi problemi del tempo, quanto essi tendevano ad eluder­ li con il rifugiarsi nel regno della fantasia e del sogno. Q uell’anelito a voler cogliere la ragione e il significato di tu t­ to aveva intellettualizzato i loro sensi, avvicinato l’orecchio al li­ mite dell’immateriale, sostituito all’esistente il simbolico, si da in­ tendere la musica come magica evocazione: che è una delle vie, diceva Nietzsche, per giungere alla barbarie. Con Beethoven tramonta infatti nella musica, come nella let­ teratura con Goethe, il periodo dell’arte: di u n ’arte ispirata ai più alti ideali umani, che investe l ’uomo nella totalità dei suoi sentimenti e delle sue aspirazioni, che esalta i valori del suo spi­ rito, di un’arte che si afferma in lotta contro il vecchio e contro il nuovo e che, pur dopo il suo tramonto, risplende luminosa nel cielo deserto.

Appendice

Beethoven e l ’Inghilterra

Beethoven guardò all’Inghilterra come al paese della libertà, alla patria ideale di cui egli, suddito dell’Austria, si elesse citta­ dino; provò per lei l’attrazione dell’amore, l’unico ricambiato e senza delusioni della sua vita. Molte ragioni possono aver con­ corso a creare in lui questo mito; forse anche, come è sempre dei miti, la lontananza. Per anni, e sarà anche il suo ultimo voto, anela a partire alla volta dell’isola, sospira di raggiungerla e di conoscerla, come Jaufré Rudel la sua Contessa di Tripoli, amata in sogno. Dalla costrizione di un ambiente spirituale e politico che egli avvertiva sempre più angusto, dall’oscurantismo che lo avvolgeva e da cui si sentiva soffocare, Beethoven guardava con occhio cupido alla terra lontana, in mezzo al mare, aperta ai ven­ ti come alle correnti del pensiero, la cui immagine, per contrasto con quelle ombre, appariva anche piu luminosa e desiderata. Non era questo un anelito vago e indeterminato all’evasione dalla realtà, in cui l ’anima romantica si sentiva sempre esule e sperduta. L ’Inghilterra non fu per Beethoven la terra dei sogni, l ’ultima Thule, ma il paese in cui i suoi ideali politici, le sue aspi­ razioni sociali avevano trovato concreta, storica realtà; ideali cui egli era stato iniziato sin dal tempo della sua giovinezza, nel fer­ vido clima della Università di Bonn. Su di un foglio d ’album egli aveva allora scritto, ad affermare il credo cui rimarrà fedele tutta la vita: «Fare il bene che si può, amare sopra ogni cosa la libertà, mai rinnegare il vero, neppure dinanzi al trono»; parole in cui riconosciamo vibrare l’eco dei versi dell’ode Alla gioia di Schiller, che sin da quel tempo egli si proponeva di musicare.

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Appendice

A disagio nella Vienna di Metternich, tutta corte, sbirri e bu­ rocrati, ostile a un governo reazionario che mirava a soffocare ne­ gli animi persino lo spontaneo anelito all’unità tedesca, Beetho­ ven non nasconde la sua ammirazione per l ’Inghilterra che aveva saputo conciliare la coscienza individuale con l’aspirazione so­ pranazionale, trovato equilibrio e armonia tra gli ideali politici ed umani. Essa infatti brillava nel cielo delle speranze liberali da quando, per la saggezza dei suoi reggitori, espressione di una ma­ nifesta volontà popolare, non solo si astenne dal partecipare alla Santa Alleanza ma, ricusando l’ufficio di guardiana della Restau­ razione e di protettrice dell’assolutismo, prese ad incoraggiare i moti costituzionali e di indipendenza nazionale, sostenendoli ta­ lora con la forza come quando, durante il governo di Canning, aveva inviato appoggio militare alla Grecia in rivolta contro la dominazione turca. Evento questo destinato a trovare la piu vi­ va risonanza nell’animo di Beethoven, che si propose allora di ri­ scrivere su di un nuovo testo, chiesto a Grillparzer, il Festspiel Le rovine di Atene e di trasformare uno spettacolo di rettorica occasionale in u n ’opera, che facesse riferimento alla storia elleni­ ca contemporanea e ne celebrasse l ’eroismo. Se Beethoven amava l’Inghilterra per le sue istituzioni politi­ che e sociali, tanto da esprimere ad un amico inglese, Philip Ci­ priani Potter, il desiderio di visitare a Londra la Camera dei Co­ m uni1, egli fu nondimeno sensibile all’incanto della poesia in­ glese. Fervido ammiratore di Shakespeare, a lui noto nella tra-1 1 Philip Cipriani Potter, direttore della Reale Accademia di musica di Londra, di­ rettore d’orchestra, pianista e compositore, era nato a Londra nel 1793. La sua testimo­ nianza fu raccolta dal Thayer: cfr. t h a y e r , L. van Beethovens Leben cit., IV, ρ. 5 4 : « Selbst die Politik spielte eine Rolle in ihren Gesprächen. Gleich am ersten Tage des Zusammenseins stürzte sich Beethoven darauf und belegte die österreichische Regie­ rung mit allen möglichen Namen. Er war erfüllt von dem Gedanken, nach England zu kommen. Sein Wunsch wäre, sagte er, das Haus der Gemeinen zu sehen. "Ih r in En­ gland habt Köpfe auf euren Schultern” ». Apprendiamo anche dal Potter che Beethoven parlava correntemente l’italiano e che la conversazione si svolgeva per la maggior parte in questa lingua. «Er muss also durch den Verkehr mit Salieri und anderen italienischen Künstlern den Antrieb erhalten haben, auch in dieser Sprache seine Kenntnis zu för­ dern, und war ja wiederholt in der Lage gewesen, italienische Texte zu komponieren. In dieser Sprache wurde meist die Unterhaltung geführt ».

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duzione dello Eschenburg e in quella di W ilhelm Schlegel2, ne trasse ispirazione per l’Adagio del Quartetto op. 18 n. i , com­ posto, come egli disse, pensando alla scena della tomba di Giu­ lietta e Romeo, e per le Sonate per pianoforte op. 31 n. 2 e op. 57 (Appassionata), il cui lirico contenuto egli stesso ebbe a rife­ rire alla Tempesta-, ebbe inoltre in progetto di musicare il Mac­ beth, nell’adattamento in versi tedeschi del poeta H . I. von Col­ lin, autore di un Coriolano, per il quale Beethoven scrisse la fa­ mosa O uverture, comunemente ed erroneamente riferita all’o­ monima tragedia di Shakespeare3. D i tale progetto ci porta testi­ monianza uno schizzo musicale, in un taccuino del 1808, accom­ pagnato dalla scritta: «O uverture Macbeth, fällt gleich in den Chor der Hexen ein » 45(«O uverture del Macbeth, si inserisce di­ rettamente nel coro delle streghe»). Come ci informano i Quaderni di conversazione, Beethoven si interessa di Milton, di Ossian («L ’Omero Caledone, - lo defi­ nisce Schindler, — sublime pittura della grandezza dell’anima umana, dell’eroismo guerriero, rappresentazione della natura grottesca e delle sue m eteore»)3, di Byron, che egli ammira non meno come poeta che come uomo, di Thomas Moore e del suo poema Gli amori degli Angeli. Non è solo con la voce dei suoi poeti che l ’Inghilterra parlò a Beethoven, ma anche con quella, non meno autentica e diretta se pur anonima, del popolo che, come già soleva manifestare il pro­ prio ideale civile ed umano fiancheggiando e determinando con la sua vigile e decisiva influenza l’azione politica, rivelava poi nei suoi canti un intimo e profondo sentire. George Thomson, edi2 Beethoven scrive infatti a Teresa Malfatti nel maggio del 1810: «Haben sie... den von Schlegel übersetzten Shakespeare? Auf dem Lande hat man so viele Musse es wird Ihnen vielleicht angenehm sein, wenn ich Ihnen diese Werke schicke». Cfr. kastner, p. 164, n. 245. 3 Cfr. pp. 1 3 3 -3 4 · „ , * NOTTEBOHM, Zweite üeethovemana cit., p. 233. 5 Le parole di Schindler trovano inatteso riscontro in un giudizio di Leopardi: «Tutti i caratteri principali dello spirito antico, che si trovano in Omero e negli altri greci e latini, si trovano anche in Ossian e nella sua nazione... La stessa divinizzazione della bellezza, lo stesso entusiasmo per la gloria e per la patria». Cfr. leopardi, Opere, a cura di G. De Robertas, Milano-Roma 1937, III, p. 146.

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tore in Edimburgo, ebbe infatti l’idea di affidare a lui l’incarico di comporre ritornelli ed accompagnamenti di melodie popolari e gliene inviò nel 1809 un primo gruppo comprendente quaranta­ tre arie gallesi e irlandesi. Beethoven discute le condizioni di que­ sto lavoro che, scrive, «ne fait pas grand plaisir à Partiste», ma accetta e dichiara: «... soyez assurés, Monsieur, que vous traitez avec un vrai Artiste qui aime d ’être honorablement payé, mais qui pourtant aime encore plus sa gloire et aussi la gloire de l’Art —et qui n ’est jamais content de soi même, et se tache d ’aller tou­ jours plus loin et de faire de progrès encore plus grandes dans son A rt». Raccomanda infine: «Une autre fois je vous prie aussi de m ’envoyer les paroles des Chansons, comme il est bien necessaire de les avoir pour donner la vrai expression —ici on me les tra­ duira» \ Segui a breve distanza di tempo l ’elaborazione armonica di cinquantatre arie scozzesi, che Beethoven inviò a Thomson il 17 luglio 1810 accompagnandola con queste parole: «Voilà, Mon­ sieur, les airs écossais dont j’ai composé la plus grande partie con amore, voulant donner une marque de mon estime à la nation Ecoissaise et Anglaise en cultivant leurs chants nationaux... Je voudrais bien avoir les paroles de ces airs écossais... pour en faire usage en Allemagne, dès que vous les aurez publié en Ecosse». E un anno dopo ancora insiste: «Je vous prie d ’ajouter dans l’a­ venir toujours le texte, sans cela on est hors d ’état de satisfaire aux connaisseurs et de composer un accompagnement digne d ’u­ ne bonne poésie». Nel febbraio dell’anno seguente (1812) replica spazientito: «Je vous prie instamment d ’adjoindre toujours le texte aux chan­ sons écossaises. Je ne comprends pas comme vous, qui êtes con-6 6 Nella sua lettera del 25 settembre 1809 il Thomson lamenta di non aver ricevuto alcun riscontro di un precedente invio a Beethoven di ventun melodie: «Encore je vous supplie avec instance de ne plus différer de composer dans votre style charmant les Ritornelles et les Accompagnements pour les aires. Et me permets la liberté de prier que la composition de l’accompagnement pour la Piano soit la plus simple et facile à jouer, parceque nos jeunes demoiselles en chantant nos airs nationaux, n’aiment pas et ne savent guère exécuter un accompagnament difficile» (cfr. t h a y e r , L. van Beethovens Leben cit., I l l , Leipzig 1911, p. 591). La lettera di risposta di Beethoven è datata 23 novembre 1809.

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naisseur, ne pouvez comprendre que je produirais des composi­ tions tout à fait autre si j ’aurai le texte à la main, et les chansons ne pouvent jamais devenir des produits parfaits, si vous ne m ’en­ voyez pas le texte et vous m ’obbligerez à la fin de refuser vos or­ dres ultérieurs». Non sfuggirà ad alcuno l’importanza di questa esigenza della parola, cosi perentoriamente richiesta ai fini dell’espressione mu­ sicale, e quanto significhi per la sua poetica questo riaffermare .l’esistenza di un rapporto diretto tra il contenuto e la forma, la quale, pur nella sua indipendenza, pur nel suo valore essenzial­ mente musicale, non è mai avulsa, per lui, dalla vita emotiva che la genera, non è mai ridotta a un fenomeno meramente sonoro. Causa la deplorata mancanza del testo non restavano, a sug­ gerire il carattere espressivo delle diverse melodie, che le indica­ zioni di tempo e le didascalie che accompagnano la notazione mu­ sicale. E vediamo Beethoven chiedere precisazioni sul termine Andantino («Je vous prierais de me notifier si cet Andantino est d ’entendre plus lent ou plus vite que VAndante»)1, giudicare il tono di la bemolle non pertinente a un’aria di carattere amoroso («ce ton m ’a paru peu naturel et si peu analogue à l’inscription Amoroso, qu’au contraire je le changerait en Barbaresco»), mu­ tarlo in altro piu confacente all’espressione voluta. Beethoven sente ed esige una cosi stretta aderenza tra mate­ ria sonora ed idea politica, stabilisce un cosi stretto rapporto tra tonalità e stato d ’animo, da ricordare le severe discriminazioni operate dai Padri della Chiesa in seno alla musica ecclesiastica, per stabilire una consimile interdipendenza tra i sentimenti uma­ ni e i singoli modi (frigio, lidio, dorico, ecc.) cui veniva attribui­ ta la forza e il potere evocativo di una formula magica. Estre­ ma eco dell’antico ethos musicale, che dopo tanti secoli riaffiora nella coscienza e nella poetica di Beethoven e in lui rivive per avere egli similmente riconosciuto e attribuito alla musica fun­ zione e valore altamente morali. Ma queste nobili suggestioni non lo distraggono dalla concre7 Cfr. Kä s t n e r , p . 241, n. 363. 16

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ta immagine musicale che, in virtù del processo creativo, assu­ me consistenza organica, severa unità di forma. Cosi quando il Thomson gli chiede di apportare qualche modifica negli accom­ pagnamenti e nei ritornelli di nove delle sessantadue nuove can­ zoni scozzesi da lui rielaborate nel 1813, egli può rispondere: «Je suis fâché de ne pas pouvoir vous y complaire. Je ne suis pas accoutumé de retoucher mes compositions. Je ne l’ai jamais fait, pénétré de la vérité que tout changement partiel altère le carac­ tère de la composition. Il me fait de la peine que vous y perdez, mais vous ne sauriez m ’en imputer la faute; puisque c’est à vous me faire mieux connaître le goût de votre pays et le peu de facilité de vos éxecuteurs. M aintenant muni de vos renseignements je les ai composé tout de nouveau... Croyez-moi que c’est avec une grande répugnance, que je me suis résolu de mettre à gêne mes idées...» Preferirà, sia pure a malincuore, di riscriverle, di rifon­ dere e riplasmare nuovamente la materia pur di non alterare la raggiunta unità organica in cui ogni opera trova la sua vita. Fre­ no dell’arte che per Beethoven si identifica qui nel freno dell’ar­ monia, nel rigore di un determinato ambito tonale entro cui e in obbedienza alle sue leggi la melodia data, ridiscesa a materia, di­ venisse, per nuova intuizione, forma. Egli stesso aveva annotato in un taccuino del 1814: «Die Schottischen Lieder zeigen, wie ungezwungen die unordentlich­ ste Melodie vermöge der Harmonie behandelt werden kann» (« I canti scozzesi ci mostrano come in grazia all’armonia, la melodia la piu irregolare può essere trattata in modo sciolto e natura­ le » )89. E di quelle melodie, cosi estranee al suo mondo tonale, egli seppe intendere l ’intimo linguaggio espressivo, le interpretò con libero genio, con inesauribile invenzione, e pur conservando­ ne nell’armonia il carattere vago ed arcaico, ne ampliò ed appro­ fondi il senso mediante l’aggiunta di preludi, di ritornelli, vi tra­ sfuse il suo lirico respiro, ricantandole come un antico bardo di una Scozia intravveduta in sogno \ 8 D a l m a n o s c ritto F ischofl. 9 B e e th o v e n co m p o se nel 18x4 gli a cc o m p a g n a m e n ti e i rito rn e lli d i tre n ta n u o v e

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In ogni tema Beethoven sapeva cogliere infatti il segreto im­ pulso vitale, la capacità di sviluppo virtualmente in esso racchiu­ sa, fosse questo lo spunto di una canzone popolare, un motivo di danza (si pensi alle mirabili Variazioni sul Valzer di Diabelli), le note di un Inno nazionale: «Ich muss den Engländern ein wenig zeigen, was in dem G od save the King für ein Segen is t» 10(«De­ vo mostrare un poco agli Inglesi quale benedizione risieda nel lo­ ro G od save the King») annota mentre sta componendo l’ultimo tempo della Sinfonia La vittoria di Wellington ove egli inserirà appunto, quale elemento dominante del Finale, le variazioni di quel tem a". Sul contenuto extramusicale, quale era appunto l’e­ vento storico che quella sinfonia intendeva celebrare, prende il sopravvento l ’esaltazione dell’idea, che è implicita negli interval­ li del motivo, a rivelare ciò che di misterioso, di ineffabile e di musicale risiede in esso: la sua benedizione. A un visitatore che gli chiede, come leggiamo in una pagina di un Quaderno di conversazione del 1820: «Lavorate? il mondo attende», Beethoven precisa che era l ’Inghilterra, se mai, che ata rie tte scozzesi, e in u n a le tte ra a l T h o m s o n d e l 13 s e tte m b re d i q u e ll’a n n o , r e d a tta in ita lia n o , p re c isa n d o il c o m p en so che egli ric h ie d e p e r la rielab o ra z io n e d i a ltre m elo d ie scozzesi, fa rile v a re : « S e n z a u n a sp eciale stim a e a tta c c a m e n to p e r la n a zio n e in g lese e p e r la m elo d ia scozzese n o n m i p re s te re i a ta l lav o ro n é p e r q u e s to n é p e r v e ru n a ltro p re z z o » . C fr. k a s t n e r , p . 284, n . 43 9 . T r a le v a rie o p e re c h e B e e th o v en a v re b b e d o v u to c o m p o rre p e r l ’e d ito re T h o m so n e ra a n ch e u n a C a n ta ta su te s to d i T h o m a s C a m p b e ll, The battle of the Baltic, d i c u i si fa c e n n o in u n a le tte r a d e l 20 lu g lio 1811: « P o u r la C a n ta te su r la b a ta ille d a n s la m e r B a ltiq u e je d e m a n d e 3 0 D u c a ts , m ais à c o n d itio n q u e le te x te o rig in a l n ’e st p a s in v ec tiv e c o n tre les D a n o is; d a n s le cas c o n tra ire je n e p u is m ’e n o c c u p e r» . P o te v a e v id e n te m e n te b a s ta re il fa tto che in q u e lla b a tta g lia (2 a p rile 1801) YHome Fleet avesse d is tr u tto a l c o m p le to la flo tta d an ese. C fr. k a s t n e r , p . 197, n . 286. 10 D a l m a n o s c ritto Fischoff. 11 L ’8 o tto b re 1814 B e eth o v en scrive a l T h o m s o n : « ... a tte sa la n o s tra a n tic a c o n o ­ scenza le offerisco u n a m ia o p e ra su l trio n fo d i W e llin g to n n e lla b a tta g lia d i V itto ria , la q u a le è co m p o sta d i d u e p a r ti: p rim a p a r te La battaglia, seco n d a p a r te Sinfonia del trio n fo . L ’o p e ra è sc ritta p e r g ra n d e o rc h e stra , h a riscosso q u i a V ie n n a u n a p p la u so ge­ n e ra le e a co m u n e ric h ie s ta v e rrà a n ch e ad esso eseg u ita a ll’occasione d e lla p re se n z a d i so v ran i alleati... Q u e s ta com p o sizio n e è d e d ic a ta a l P rin c ip e R e g g en te d ’I n g h ilte rra e tra tta n d o s i d i u n so g g etto che ta n to in te re s sa la d i lei p a tria n o n p u ò m an c are d i fa r fo r­ t u n a » . L a Sinfonia o rig in a ria m e n te sc ritta p e r il Fanharmonicon, l ’o rc h e stra m eccanica in v e n ta ta d a M älzel, v e n n e p o i is tru m e n ta ta d a B e e th o v en e d a lu i stesso d ir e tta n e l 1817 a V ie n n a in u n c o n ce rto d i b en eficenza p e r i so ld a ti a u stria c i e b a v a re si f e riti n ella b a tta g lia d i H a n a u c o n tro i francesi.

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tendeva. « L ’Inghilterra? » replica l’altro incuriositoI213.Per le sce­ ne inglesi infatti egli doveva allora scrivere u n ’opera e andava cercando un testo per il libretto. « Il Corsaro di Byron sarebbe un soggetto dei più adatti, —gli consiglia il suo amico Bernard. —Il librettista deve scegliere un soggetto romantico, desunto dalla storia inglese. La storia d ’Inghilterra è molto ricca di soggetti di questo genere. Egli può prendere consiglio da poeti ed eruditi in­ glesi, che li daranno molto volentieri. In quanto al balletto, resta da vedere se ne hanno uno» «A Londra - dice Oliva, uno dei suoi intimi - credo che al­ meno si debbano chiedere 400 sterline, se vogliono avere il diritto di proprietà dell’opera»14. Ma non era soltanto u n ’opera teatra­ le che l’Inghilterra attendeva. «Tra quanto tempo sarà terminata la sinfonia per Londra? » gli domanda il fratello Johann1S. Già dal 1817 Beethoven aveva in progetto di comporre due grandi sinfonie per Londra. Il 9 luglio di quell’anno, scrivendo al Ries, precisa infatti le condizioni per l ’accettazione delle propo­ ste «molto lusinghiere» di quella Società Filarmonica: « I , Io sarò a Londra nella prima quindicina del mese di gen­ naio 1818 al piu tardi. Le due grandi sinfonie completamente nuove saranno pronte e la proprietà esclusiva sarà e resterà alla Società Filarmonica. La società mi darà 300 ghinee per le sinfo­ nie e 100 per le spese di viaggio, che ammonteranno, per me, a molto di piu, poiché è assolutamente necessario che io prenda una persona che mi accompagni. 2. Poiché incomincio subito a comporre queste grandi sinfo­ nie, la Società mi assegnerà qui la somma di 130 ghinee affinché possa procurarmi la carrozza e fare senza ritardo tutti gli altri preparativi per il viaggio»16. 12 PROD’HOMME, p . I7 4 .

13 Ibid., p p . 182 Sgg. 14 Ibid., p . 183. 15 Ibid., p . 258. 16 Cfr. Kä s t n e r , p. 424, n. 748.

B eeth o v en e l ’In g h ilte rra

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Le trattative dovettero subire un arresto se cinque anni dopo, il 6 aprile 1822, Beethoven scrive a Ries: «Cosa mi proporrebbe la Società Filarmonica per una sinfonia?» E il 20 dicembre 1822: «Con piacere accetto l ’incarico di scrivere una nuova sin­ fonia per la Società Filarmonica. Anche se l ’onorario degli in­ glesi non può essere messo a confronto con quello delle altre na­ zioni, io vorrei scrivere gratuitamente per i primi artisti di Eu­ ropa se non fossi ancora e sempre il povero Beethoven. Fossi ora a Londra, cosa non vorrei io scrivere per la Filarmonica! Poiché Beethoven può scrivere, grazie a Dio, benché non [sappia fare] al­ tra cosa al mondo» Convenuto in cinquanta ghinee l ’onorario, l’opera avrebbe dovuto essere finita entro il marzo del 18 2 3. Un mese dopo il ter­ mine stabilito per la consegna Beethoven, sollecitato da Londra, si giustifica adducendo le innumerevoli difficoltà in cui vive, la malferma salute, il mal d ’occhi; e rassicura i committenti: rice­ veranno presto la sinfonia; soltanto la sua miserevole condizio­ ne è responsabile del ritardo“. «Tra quanto tempo sarà finita la sinfonia per Londra? » gli chiede in aprile il fratello Johann. Il 5 febbraio (1823)0 Beethoven che a sua volta, scrivendo a Ries, sollecita i committenti: «non ho avuto ancora ulteriori no­ tizie riguardo alla sinfonia; intanto lei ci può contare sicuramen­ te... Se non fossi cosi povero da dover vivere con i proventi della mia penna non accetterei nulla dalla Società Filarmonica. Inve­ ce devo aspettare che l’onorario della sinfonia mi sia inviato q u i» ”. Nell’attesa di ricevere il compenso pattuito, egli prende accordi con un funzionario dell’Ambasciata austriaca a Londra, che si incaricherà di far pervenire a suo tempo l ’opera a destina. 20 zione .178*20 17 C fr. ib id ., p . 606, n . r o i 6 ; p . 628, n . 1044. 18 « N u n b in ic h a u ch v o n v iele n e r litte n e n V e rd rie ss lic h k e ite n je tz t n ic h t w o h l; sie e rh a lte n d ie S y m p h o n ie n ä c h ste n s; w irk lic h n u r d iese e le n d e L age is t d a ra n S c h u ld » (25 a p rile 1823). C fr. ib id ., p . 658, n . 1097. 15 C fr. ib id ., p . 6 3 6 , n . 1067. 20 I I 2 ago sto d i q u e ll’a n n o scrive d a H e tz e n d o rf a F ra n z v o n B re n ta n o : « V o rre i in ­ v iare u n g ro sso p acco d i m u sica a L o n d ra , c o n la carrozza p o sta le sin o a F ra n c o fo rte e d i c o sti p e r acq u a e p e r te r r a (p e r a cq u a a n d rà b e n p iu le n ta m e n te ) sin o in O la n d a e di là p e r m a re sin o a L o n d ra . È tro p p o p e s a n te p e r fa rlo p o rta re d a u n c o rrie re. S e n to che

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Sette mesi più tardi può finalmente annunciare a Ries : « Il co­ pista ha finito di copiare in questi giorni la partitura della sinfo­ nia e Kirchehoifer ed io aspettiamo una buona occasione per mandarla» 21. Ma la partitura della Grosse Sinfonie geschrieben — für die Philarmonische Gesellschaft —in London —von Ludwig van Bee­ thoven (dice il titolo della copia autografa conservata in Inghil­ terra) era destinata a sostare ancora a Vienna, ove anziché a Lon­ dra, com’era stato convenuto, fu per la prima volta eseguita la se­ ra del 7 maggio 1824. In quest’opera (che, inutile dirlo, è la No­ na) erano andate confluendo le idee originariamente destinate a due singole sinfonie (la Londinese strumentale e VAllemande con coro), entrambe ispirate ad un unico grande ideale: l’avvento del regno della fraternità umana nella libertà. Era il tempo in cui Lord Brougham conduceva in Inghilterra la sua battaglia per l’a­ bolizione della schiavitù, e si può comprendere l ’entusiasmo con cui Beethoven, come racconta Schindler, salutò l ’annuncio di questa impresa e con quanto fervido consenso leggesse, riporta­ te dalla «Allgemeine Zeitung» di Vienna, quei suoi famosi di­ scorsi22. A Beethoven, allora immerso nella composizione della sua ul­ tima sinfonia, sarà parso riconoscere inverarsi nella realtà l’idea­ le di cui quella musica era profetico annuncio, intravedere gli uo­ mini avviarsi alla conquista della libertà, iniziare al suo ritmo eroico il vittorioso cammino23. ella h a u n figlio a L o n d ra e p e rc iò c re d o c h e m e d ia n te la su a b o n tà e i su o i appoggi, riu ­ scirà p iu facile p o te rlo m a n d a re lag g iù . T u tt e le spese le rim e tte rò io con p iacere. Sola­ m e n te la p re g o ris p o n d e rm i s u b ito in p ro p o s ito p e rc h é c ’è m o lta p re m u ra » ( k a s t n e r , p . 6 8 7 , n . 1154). Si t r a t t a e v id e n te m e n te d e lla p a r titu r a d e lla sin fo n ia d e stin a ta a lla F i­ larm o n ic a d i L o n d ra . 21 C fr. k a s t n e r , p . 69 4 , n . 1165. 22 C fr. L. NOHL, B e e th o v e n s L e b e n c it., I l i , p a r te I , p . 188. I n u n Q u a d e rn o d i co n ­ v e rsaz io n e d e l 1820 u n am ico riferisc e a B e e th o v e n c h e u n a C o n tessa d i V ie n n a , d a ta p e r m o rta la su a b e llissim a d a m a d i co m p a g n ia, l ’aveva in r e a ltà v e n d u ta a d u n e b reo tu rc o p e r il serrag lio . « M a u n in g lese l ’h a ris c a tta ta e d o ra sta rito rn a n d o ... » 23 L ’in se rzio n e d e l co ro n e l F inale d e lla N o n a S in fo n ia tro v a risc o n tro n e ll’id ea (su g g e rita a B e e th o v en d a lla c ro n aca d e lle e se q u ie d i G io rg io I I I ) d i c o m p o rre d e lle va­ riaz io n i sin fo n ich e su lla M arcia fu n e b r e d e l S a u l d i H ä n d e l p e r o rc h e stra e voci. « G ro ssb r itta n ie n , - a n n o ta B e e th o v e n in u n Q u a d e rn o in to r n o a l 13 m arz o 1820. - U n te r d e m

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L ’impazienza suscitata in Inghilterra dall’attesa della sinfo­ nia che subisce, come il suo progettato viaggio a Londra, sempre nuovi rinvìi, era resa più viva dalla grande popolarità che ivi go­ deva Beethoven. «Moscheles —gli riferisce il fratello Johann — ha scritto a un banchiere di qui e gli dice che non si potrebbe de­ scrivere a che punto si è entusiasti di te a L ondra»24. Nel tardo autunno Moscheles, venuto a Vienna per concerti, cerca di incon­ trare Beethoven, tramite Schindler, che scrive nei Quaderni: «Moscheles non finiva di dirmi... quanto siete adorato in tutta l ’Inghilterra, e che egli non oserebbe ritornare a Londra senza poter dire agli inglesi che vi ha trovato in buona salute»25. G e m ä h ld e H a n d e ls w a r e in T r o h n e r ric h te t u n te r w e lch e m d e r S a rk o p h a g r u h te - T odte n M a rsc h au s H a n d e ls S aul w a rd a u fg e fü h rt - E b e n so d ie v o n H ä n d e l a u f d e n T o d d e r P rin z essin K a ro lin e c o m p o n in e T ra u [er] K a n ta te a u fg e fü h rt m it g ro sser W irk u n g . - V a ria tio n e n ü b e r H a n d e ls T ra u e r M a rsc h f ü r ganzes O rchester f ü r d ie A k a d e m ie v ie ­ le ic h t sp ä te r d azu S in g stim m e n - D ie se V a ria tio n e n m ü sse n eb en fa lls v e rsc h ie d e n e K la­ g en e rh a lte n » ( « G r a n B re ta g n a - A l d i s o tto d e l r i tr a tto d i H ä n d e l [?] e ra sta to e re tto u n tro n o , so tto il q u a le giaceva il sarcofago - V e n n e ese g u ita la Marcia funebre d a l Saul d i H ä n d e l - V e n n e p u re ese g u ita c o n g ra n d e e ffe tto la C a n ta ta fu n e b re c o m p o s ta da H ä n d e l p e r la m o rte d e lla p rin c ip e ssa C a ro lin a - V a riaz io n i su lla Marcia funebre d i H ä n d e l p e r g ra n d e o rc h e stra p e r il co n ce rto , fo rse p iu ta r d i co n vo ci - Q u e s te V a riaz io ­ n i d o v re b b e ro c o n te n e re d iv erse tre n o d ie » ), C fr. s c h ü n e m a n n , I , p . 318. 24 PROD’ H O M M E , p . 258. 25 Ibid., ρ . 286. « [M oscheles] v i fa c h ie d ere m o lto c o rte se m e n te se egli p o tr e b b e v e ­ n ire a fa rv i u n a v isita , d a to che d e v e rito rn a re p ro ss im a m e n te a L o n d ra » gli dice in o l­ tre S c h in d le r. « V o i d o v re ste a c c o n se n tire a rice v erlo d o m an i, m a m o lto a m a b ilm e n te , ve n e p reg o . N o n è a rriv a to che d a p o co e d è sp ia ce n te d i n o n essere riu sc ito c o n n e ssu n m ezzo a g iu n g ere p re sso il re [G io rg io IV ]. E ste rh a z y stesso si è riv o lto alla E n n in g h a m , l ’a m a n te d e l re , m a d e v e essere u n a ... d u n q u e partout comme chez nous » {ibid.). - M o­ scheles su o n ò su l p ia n o fo rte in g lese che B e e th o v en av eva ric e v u to in d o n o n e l 1818 d allo stesso fa b b ric a n te T h o m a s B ro a d w o o d (cfr. k a s t n e r , p . 4 6 5 , n . 841). « I l v o s tro s tr u ­ m e n to è d iv e n u to co si p e r fe tto che fa rà epoca. È u n v e ro p iac ere asc o ltare M o scheles su o n a rlo » g li riferisc e S c h in d le r (p ro d 'H O M M E , p . 286). T u tta v ia le esecu zio n i d i M o ­ scheles e ra n o m en o fa v o re v o lm e n te g iu d ic a te dagli in te n d ito ri. I l p ia n is ta S te in scrive n e l Q u a d e rn o : « L ’im p ro v v isa z io n e d i M o scheles è m o lto p ia tta , s o p r a ttu tto p e r c h i ha a sc o ltato B e e th o v e n » {ibid.). Si c o m p re n d e l ’irrita z io n e d i B e e th o v en n e l v e d e re il n i­ p o te K a rl a p p la u d ire con tro p p o calore il p ia n is ta inglese. « T u cred ev i c h e io a p p la u d is­ si cosi p e r e n tu sia sm o , - si g iu stifica il g io v an e - m a e ra so lta n to p e rc h é a d u n a c b ia m ata u n a p a rte d e l p u b b lic o , p ro b a b ilm e n te d eg li s tra n ie ri, fisch iav a» . A lla d o m a n d a d i B ee­ th o v e n su q u a le tem a egli avesse im p ro v v isa to K a rl risp o n d e « s u l te m a Gott erhalte Franz des Kaiser» [l’in n o n azio n ale a u stria co ]. « È p e r q u e sto c h e t u t t i h a n n o a p p la u d ito q u a n d o h a in to n a to il te m a - H a m o lta sicurezza - N o n e ra u n a cosa e la b o rata ; egli cercava d i n a sc o n d ere la m an c an z a d i idee c o n d e i b rilla n ti v irtu o sism i. I n p la te a , v icin o a n o i, p a rla v a n o d i te : la g e n te d ice v a che tu e ri il primo compositore» ( p r o d ’h o m m e , p . 288).

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D i questo entusiasmo portano testim onianza altri num erosi inglesi che lo visitano a V ien n a“. Alcuni di essi, quali Sir John Russel, Edw ard Schulz, il fabbricante di arpe Stumpff, e Lady Clifford ci hanno lasciato ricordo dei loro incontri con Beetho­ ven, che Russel descrive con i caldi colori, i contrasti di luce, l ’e­ stro brioso e la fedeltà di un ritratto di H enry R aeburn (« I tra tti del suo viso sono fortem ente marcati, il suo sguardo animato da energia im petuosa, i capelli ombreggiano la sua grande fronte con la loro massa disordinata, da potersi paragonare ai serpenti che cingono il capo della G o rg o n a» )262728,che Stumpff rievoca in una pagina idillica, seduto sotto il tiglio di una tratto ria di campagna, rendendoci partecipi delle sue confidenze. «Egli si espresse allora sulla musica, e come essa fosse avvili­ ta e divenuta gioco delle più basse e sfrenate passioni. La vera musica non troverebbe entratura in q u est’epoca rossiniana... Io presi una m atita e scrissi: "chi considerate voi come il piu gran­ de com positore che abbia mai v issu to ?” . "H än d e l” rispose su­ bito. " Io mi inginocchierei davanti a lu i” e mise u n ginocchio a terra. "M o z a rt? ...” scrissi allora. "M ozart è buono, eccellente”. Scrissi allora: "Sebastiano B ach”. "Perché è m orto? ”. "Egli ri­ vivrà ”. " Si, quando lo si studierà, ma non se ne ha piu il tem po ”. M i perm isi ancora di scrivere: "Poiché voi, artista inarrivabile n ell’arte divina, ponete cosi in alto e al di sopra di tu tti i m eriti di un H ändel, dovete certam ente possedere le partiture dei suoi ca­ polavori”. " Io ? Io povero diavolo, come lo avrei potuto! Si, le partiture del suo Messia e della Festa di Alessandro mi sono ca­ pitate tra le m ani... ” » 2\ 26 U n Q u a d e rn o d i c o n v ersazio n e d e l 1823 re g is tra la p re se n ta z io n e a B e e th o v en d e ll’a rc h ite tto scozzese D a v id H a m ilto n d a p a r te d e l filologo E . T . H o h le r: « M . D a v id H a m ilto n d i E d im b u rg o , am ico e d a m a n te d e lla d iv in a a rte m u sicale è v e n u to q u i p e r co n o scerv i e p o rta re in G ra n B re ta g n a q u a lc h e n u o v a v o stra co m posizione. S uo p a d re è o rg a n a re a d E d im b u rg o . P o sso fa rlo e n tra re ? È u n g e n tilu o m o » ( p r o d ’HOMM e , p . 229). 27 C fr. Ru s s e l , A to u r in G e rm a n y c it., p . 190. 28 C fr. T h a y e r , L. van B e e th o v e n s L e b e n c it., V , p p . 121 sgg. D a u n a m em o ria m a ­ n o s c ritta lasciata d a llo S tu m p ff su l viaggio in G e rm a n ia il T h a y e r trasse le n o tiz ie e il m a te ria le re la tiv o a ll’in c o n tro co n B e e th o v e n q u i r ip o rta to .

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Anche durante quei loro colloqui Beethoven aveva ripetutamente espresso la sua simpatia, la sua predilezione, non mai delu­ sa, per la nazione britannica («L ’Inghilterra occupa un posto eminente per la sua cultura. A Londra tu tti sanno qualcosa e lo sanno bene»), di cui tutto gli piace, tutto loda, persino la cucina, mentre a suo dire quella viennese lo avvelena29. Ma in realtà ciò che lo attossica a Vienna è l ’abbandono del pubblico («oh vienne­ si, Rossini e compagni sono i vostri eroi. Non ne volete più sape­ re di me»), ed è l ’ammirazione ed il successo suscitati dalle sue opere a Londra che forse gli rendono tanto appetibile il cibo in­ glese. «Si, in Inghilterra si ha ancora il senso della grandezza, si eseguono degnamente opere quali io ho concepito. Bisogna che io vada a Londra... » 30. I Quaderni di conversazione registrano altre visite di inglesi. Nel 1825 giunge a Vienna (con una presentazione di Ries, il pia­ nista e compositore allievo di Beethoven che viveva a Londra) l ’organista Smart, che già aveva diretto una esecuzione dell’ora­ torio Cristo sul monte degli ulivi, e nel 1826 Lady Clifford. «Es­ sa vi venera al massimo —gli dice Schindler —e non desidera che di conoscervi personalmente. È ancora giovane e bella, ed allieva di Moscheles». « Su di un biglietto in cui lo si pregava di volerci ricevere —si legge in una relazione anonima di una Signora inglese, che si ri­ tenne, a torto, di poter riconoscere nella visitatrice annunciata da Schindler nei Quaderni - egli scrisse in risposta: "Avec le plus grand plaisir ie recevrai une fille de...” » L ’incontro si svolse cor­ dialissimo nella casa di campagna di Baden, «perfettamente ben 29 Cfr. ib id ., la memoria dello Stumpfï: « "I pesci che ci vengono dal mare: questo sarebbe un piatto per me, come quelli che si servono a Londra”. Allora si mise a parlare dei cuochi e dei mercanti di vino viennesi, che falsificano tutto (egli disse a v velen a n o ). "Si, si, è cosi”, e cominciò ad elogiare gli Inglesi, che sanno stimare tutto ciò che è for­ te, buòno e bello ». 30 A n c h e a d u n m u sicista inglese, E d w a rd S chulz, egli av ev a m an ife sta to l ’a n n o p rim a « l ’o p in io n e la p iu fav o rev o le su lla n a zio n e b rita n n ic a . "A m o la n o b ile se m p lic ità d e i c o stu m i in g le si”, d isse, e d aggiunse a n co ra e lo g i» . E d w a rd S chulz, c h e aveva già co­ n o sc iu to B e e th o v en a V ie n n a n e l 1816, p u b b lic ò u n re so co n to d e lla seconda v isita che gli fece a B ad en n e l se tte m b re d e l 1823. C fr. « T h e H a rm o n ic o n » , 1824, p . i o , e t h a y e r , L. va n B e e th o v e n s L e b e n c it., IV , p p . 455 sgg.

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tenuta e che, pur senza nulla che rivelasse il superfluo della ric­ chezza, non mancava di mobili utili, e non era mal arredata. Non si deve dimenticare che quella era la sua dimora di campagna e che i viennesi non sono cosi meticolosi o prodighi nei particolari dell’arredamento dei loro interni quanto noi inglesi». A lei inol­ tre egli avrebbe detto che avrebbe voluto parlare l’inglese, ma che la sua sordità gli aveva impedito di progredire nella cono­ scenza di questa lingua «oltre la possibilità di leggerla», e che preferiva gli scrittori inglesi ai francesi poiché «ils sont plus vrais». «Thomson è il suo scrittore preferito, ma la sua ammira­ zione per Shakespeare è in realtà grandissima»31. Le promette in­ fine, al congedo, di farle una visita in Inghilterra, ove ha sempre in animo di recarsi. Già nel 1817, otto anni prima, accogliendo un invito della Società Filarmonica di Londra, aveva annunciato come certo il suo arrivo a Ries, che risiedeva in questa città: «Sa­ rò a Londra nella prima metà del prossimo gennaio al piu tardi... Come vorrei volare costi piuttosto che inviare questa lettera» (9 luglio 1817); ma il 5 marzo 1818 si rammarica della mancata partenza: «Non mi fu possibile venire a Londra quest’anno. La prego riferire alla Società Filarmonica che la mia malferma salute me lo ha impedito. Spero però di essere completamente ristabili­ to a metà primavera e ad anno inoltrato approfitterò delle propo­ ste fattemi dalla Società e soddisferò a tutte le sue condizioni. Appena mi sarà possibile mi metterò in cammino per evitare la mia completa rovina e quindi sarò al piu tardi nell’inverno a Londra. So che ella dovrà assistere un amico infelice. Mi saluti Neate, Smart, Cramer, sebbene senta che è un Kontrasubjekt di lei e di me. Frattanto imparo un po’ l ’arte di trattare con questa gente e a Londra, malgrado tutto, formeremo una grande ar­ monia». Pochi giorni dopo scrive a Ries perché gli trovi un editore che gli acquisti alcune composizioni, tra cui «una grande sonata per piano», che è Pop. 106: «Mi perdoni se le do dell’incomodo, la 31 C fr. « T h e H a rm o n ic o n » , 1823, p . 22 2 ; M E, p . 44 1 .

l e it z m a n n ,

I , p p . 3 2 0 sgg., e

p r o d ’h o m -

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mia situazione ora è tale che devo rigirarmi da tutte le parti per sopperire a questa triste vita. Potter dice che Chapphell nella Bondstreet è uno dei migliori editori... Prego Neate di non far conoscere nessuno dei miei lavori che prese con sé, sino al mio ar­ rivo a Londra. Ciò che spero certamente nell’inverno prossimo. Devo venire se non voglio ridurmi un mendicante» Quel viaggio in cui ripone tante speranze è poi ancora rinvia­ to: «Per ora mi è impossibile venire a Londra —scrive il 30 mar­ zo 18 19 a Ries —avviluppato come sono in tante cose. Un Dio mi assisterà perché io verrò certamente l’anno prossimo e porterò anche le nuove sinfonie. Faccia per me quello che può, perché ne ho bisogno. Mi sarebbero molto gradite delle ordinazioni da par­ te della Società Filarmonica. Mi spiacquero però assai le notizie che mi ha riferite Neate che le tre Ouvertures siano quasi spia­ ciute3233. Qui non solo sono piaciute ognuna nel suo genere, ma quella in mi bemolle [Re Stefano] e quella in do maggiore [op. 115] hanno suscitato anche grande impressione. Incomprensibile è per me la sorte [avuta] da questa composizione presso la So­ cietà Filarmonica». Affidato al corriere del principe Esterhazy il manoscritto del­ la Sonata in si bemolle maggiore (op. 106), che apparirà prima che altrove in Inghilterra, Beethoven farà poi pervenire a Ries, alla vigilia della pubblicazione, le didascalie, le indicazioni dei tempi di quella composizione e l ’aggiunta di due note al terzo tempo, che costituiscono appunto l ’anacrusi con cui inizia l ’A ­ dagio 34. 32 C fr. k a s t n e r , p . 42 4 , n . 74 8 ; p . 4 6 8 , n . 844; p . 4 7 1 , n . 848. 33 Si t r a tta d e lle O u v e rtu re s Le rovine di Atene o p . 114; Re Stefano o p . 117 e Ou­ verture in do maggiore o p . 115. C fr. k a s t n e r , p . 70 1 , n . 886. 34 È d a o sserv a re c h e q u e ste p recisazio n i m e tro n o m ic h e (le sole d i c u i B e e th o v en a b b ia c o rre d a to u n a so n a ta) risu lta n o (a d eccezione d i q u e lle d e i te m p i le n ti) in ac ce tta ­ b ili p e r essere in c o n tra sto co n lo s p irito e co n la le tte ra d e lla m usica. L ’in d icazio n e M . J = 138 è sem p re a p p arsa , p e r la sua ra p id ità , in c o m p a tib ile con il c a ra tte re eroico e g ra n d io s o d e l p rim o te m p o , e d è c o n tra d d e tta in o ltre d a lla d id asca lia che B e eth o v en , n e lla le tte ra a R ies, co rregge (al fine d i m o d e ra re il m o v im e n to d a Allegro assai in Alle­ gro): « E rs te s Allegro allein Allegro, das assai m uss w e g » ( « il p rim o Allegro solo Alle­ gro, v ia l’assai»). C fr. k a s t n e r , p . 702, n . 887, e h . b e c k , Studien über das Tempo-Pro­ blem bei Beethoven, E rla n g e n 1954 (sp ecialm en te al c a p ito lo Zur Frage der metronomi­ schen Bezeichnungen Beethovens, p p . 31 sgg.).

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A p pendice

Dopo la poco incoraggiante accoglienza fatta alle tre Ouver­ tures Beethoven sembra temere che anche la nuova Sonata, forse per la sua lunghezza, non possa incontrare il favore degli amici inglesi. Scrive infatti due giorni dopo (19 aprile 1819) a Ries : « Se la Sonata non andasse bene per Londra potrei mandar­ ne un’altra, oppure lei potrebbe anche tralasciare il Largo e inco­ minciare subito dalla Fuga nell’ultima parte. Lascio decidere a lei come crede meglio... » Suggerisce di inserire lo Scherzo dopo VAdagio per ottenere maggiore varietà nella agogica delle parti (sug­ gerimento che sarà accolto nella prima edizione inglese) e, quasi dovesse scusarsi di quel capolavoro, aggiunge: «La Sonata è scritta in condizioni assillanti; poiché è duro scrivere per il pane. A tanto sono giunto35*.Circa la mia venuta a Londra ci scrivere­ mo ancora. Sarebbe di certo la mia sola salvezza per liberarmi dall’assillo di questa miserevole situazione, in cui non posso vive­ re in salute, né fare quello che in condizioni migliori mi sarebbe possibile». Non c’è quasi lettera diretta in Inghilterra in cui egli non esprima il desiderio di partire per l ’isola, la sua viva simpatia per i suoi abitanti“. «Coltivo sempre l ’idea di venire a Londra, se la mia salute lo permette, —afferma ancora un anno dopo a Ries (6 aprile ’22). —Forse la prossima primavera? ! » Ma le primave­ re continuano a susseguirsi senza che egli sappia decidersi, senza che egli possa rinunciarvi. Si dichiara «felice di visitare il paese e tutti i suoi egregi arti­ sti», esprime alla Filarmonica, che gli ha rinnovato l ’invito, la sua gioia di poter conoscere la nobile nazione inglese; ma il 19 marzo del 1825 scrive a Neate, che lo attendeva: «Je ne pourrai guère venir à Londres durant le printemps, mais qui sait quel ac35 « D ie S o n a te is t in d ra n g v o lle n U m s tä n d e n g e sc h rie b en ; d e n n es is t h a rt, u m des B ro tes w ille n z u sc h reib e n ; so w e it h a b e ic h es n u n g e b rac h t! » C fr. k a s t n e r , p . 503, n . 888. 34 U n ese m p io tr a i m o lti: « D ie s e n B rief ü b e r b rin g t Ih n e n e in g e istv o ller E n g lä n ­ d e r, w elch e m eiste n s alle tü c h tig e K e rls sin d , u n d m it d e n e n ich g e rn e in e Z e itla n g in Ih n e m L a n d e z u b rin g e n m ö c h te » (a R ies, il 23 m ag g io 1819). C fr. k a s t n e r , p . 5 0 3 , n . 891.

B eeth o v en e l ’In g h ilte rra

243

cident m ’y conduit, peut-être en au to m n e» 37. L ’idea sembra or­ mai tram ontata, l ’eventualità del viaggio affidata al caso, quando l ’anno dopo, ancora sollecitato da N eate, il fondatore della Fi­ larmonica londinese, suo vecchio amico, l ’ormai inattesa decisio­ ne appare im m inente. T u tti intorno a lui cercano di vincere l ’u l­ tim a resistenza. «N eate —gli dice il nipote nei Q uaderni di con­ versazione —assicura che tu tornerai con una somma che potrà renderti libero da ogni preoccupazione finanziaria per tu tto il re­ sto della tua vita», e all’obbiezione di Beethoven che è orm ai tar­ di per intraprendere il viaggio risponde: «H aydn è pure andato a Londra a cinquant’anni e non era celebre come te». I l fratello Johann a sua volta lo rassicura: «sarebbe certo u n bene anche per la tua salute»; e Schuppanzigh: « Io auguro soltanto che voi abbiate una buona volta il coraggio di fare un viaggio: non ve ne p en tire ste» 38. M a Beethoven ancora esita e rinvia. E proprio quando sta per cedere al perpetuo im pulso di evadere egli sembra avvertire piu. viva la forza del vincolo che lo trattiene, piu salda la catena che lo rende prigioniero di se stesso: u n vincolo e una catena che non erano soltanto quelli del lavoro, una rem ora che non era solo im posta dalla salute e dagli anni. Le vicende e i tra ­ gici eventi che seguiranno, quasi fosse scoccata l ’ora segnata dal destino, stanno a confermarlo. È di quella estate in fatti la dram ­ matica tensione tra lui e il nipote K arl, la crisi che condurrà que­ sti a tentare il suicidio: e pochi mesi dopo, quasi che quel gesto disperato avesse colpito lui, Beethoven, il sopraggiungere della m alattia e la m orte. N el doloroso abbandono di quei giorni, nella lotta contro il male e la miseria, gli giungono da Londra, inatteso conforto, i quaranta volumi delle opere di H ändel, il musicista ch’egli ha piu di ogni altro amato. D alla lettera in cui egli ringrazia Johann Andreas Stumpff del munifico dono apprendiam o in quale diffici­ le condizione egli versi e come n ell’estrem o bisogno sia ancora agli amici inglesi che egli si rivolge per ricevere aiuto. «Q uale 37 C fr. Kä s t n e r , p . 606, n . 1016; p . 742, n . 1268; p . 732, n . 1278. 38 PROD’HOMME,

p. 389.

244

Appendice

grande piacere mi abbia procurato l’invio delle opere di Händel, di cui mi ha fatto dono, un dono regale per me, la mia penna non sa esprimere... Dal 3 dicembre purtroppo sono a letto per idropi­ sia. Può immaginare in quale situazione tutto questo mi metta. Io vivo abitualmente solo con il provento del mio lavoro intellet­ tuale, per procurarmi il necessario per me e per il mio Karl. Pur­ troppo da tre mesi non sono in condizioni di scrivere una nota. Pensi poi che non è possibile in alcun modo prevedere la fine del­ la malattia, e che anche guarito non mi sarà possibile volare subi­ to a piene vele nell’aria sul Pegaso. Medico, chirurgo, farmacista, tutto deve essere pagato. Mi ricordo molto bene che la Società Filarmonica parecchi anni fa voleva dare un concerto a mio favo­ re. Sarebbe una fortuna per me se volesse riprendere questo pro­ getto; perché possa essere salvato da tutte le preoccupazioni che mi sovrastano. Perciò scrivo a Sir Smart, e se lei, egregio amico, può fare qualcosa per me, la prego di unirsi al signor Smart. Scri­ verò anche a Moscheles: con l ’unione di tu tti i miei amici credo davvero si potrà fare qualcosa per me» Quasi non potesse dominare l ’ansiosa impazienza della rispo­ sta, indirizza pochi giorni dopo un’altra lettera a Smart suppli­ candolo di prendere a cuore la sua richiesta: «Purtroppo non ve­ do la fine della mia terribile malattia, anzi le mie sofferenze e le mie preoccupazioni sono aumentate. Di che devo vivere in attesa che raccolga le mie forze per guadagnarmi nuovamente la vita con la mia penna! Non la voglio annoiare con nuovi lamenti, ma riportarmi soltanto alla mia lettera del 22 febbraio per pregarla di esercitare tutta la sua influenza per sollecitare la Società Filar­ monica a m ettere in effetto la sua decisione di un concerto a mio profitto»*. Il 14 marzo rinnova anche a Moscheles la sua preghiera: «Una sorte ben dura mi ha colpito. Ma mi rassegno alla volontà del de-3940 39 Cfr. Th a y e r , L. van Beethovens Leben cit., V, ρ. 459; per il testo della annuncia­ ta lettera a Smart (22 febbraio 1827), ibid., p. 462, e per quella a Moscheles, ibid., pp. 462 sgg. 40 Cfr. T h a y e r , L. van Beethovens Leben cit., V, ρ. 464.

Beethoven e l’Inghilterra

245

stino e prego Dio che voglia disporre secondo la sua divina volon­ tà perché almeno sino a quando io devo soffrire la morte in vita, sia preservato dalla miseria. Questo mi darà là forza di sopporta­ re il mio destino per quanto duro e terribile possa essere, rasse­ gnato alla volontà delPAltissimo»4142. Le parole di Beethoven trovarono pronta eco nel cuore degli amici inglesi, che senza indugio gli fecero pervenire l ’aiuto richie­ sto. Un funzionario della Banca che aveva avuto l’incarico di tra­ smettergli la somma di cento sterline, un certo Rau, rispose a Moscheles: «La tua lettera ci ha stupefatti. Come! Il grande uomo che tutta Europa onora e celebra, il piu grande cuore, il piu nobi­ le, giace a Vienna nella miseria tra la vita e la morte. E questo dobbiamo apprenderlo da Londra. E da Londra ci si affretta ad addolcirgli la sua pena con l ’alleviare la sua miseria e sottrarlo ge­ nerosamente alla disperazione. Sono corso da lui per convincermi del suo stato ed annunciargli l ’aiuto. Spezzava il cuore vederlo congiungere le mani e piangere di gioia e di gratitudine» Il 18 marzo Beethoven dettò a Schindler il suo commosso rin­ graziamento: «Non posso esprimervi a parole i miei sentimenti, —dice la lettera indirizzata a Moscheles. —La magnanimità con cui la Società Filarmonica ha risposto alla mia preghiera mi ha commosso nel profondo dell’anima. Per esprimere il mio piu cal­ do ringraziamento mi impegno di offrirle una nuova sinfonia [la Decima] che è già abbozzata sul mio leggio e una nuova ouver­ ture. Possa il cielo ridarmi presto la salute e mostrerò ai generosi Inglesi come io sappia riconoscere degnamente la loro compren­ sione per la mia triste sorte»43. E a Hiller, che lo visita pochi gior­ ni dopo, ripeteva che appena guarito sarebbe partito per Lon­ dra. Ancora e sempre la stessa ansia di evadere dalla sua prigione, lo stesso anelito alla libertà. «Per liberarti non c’è che un mezzo, andartene, —aveva scrit­ to nel suo diario. - Soltanto cosi tu potrai di nuovo elevarti sino 41 Cfr. ìbid., p. 465. 42 Cfr. R. Ro l l a n d , Beethoven. Finita Comoediat Paris 1945, 43 Cfr. Kä s t n e r , p. 843, n. 1471.

p.

80.

246

A p pendice

al sommo della tua arte, mentre qui tu affonderai nella volgarità. Ancora una sinfonia, poi partire, partire, partire» E parti infatti in quel 27 marzo a ritrovare libertà e pace, ma ben piu lontano che in Inghilterra. 4 44 Dal manoscritto Fischofï. Cfr.

l e it z m a n n ,

II, p. 261, n. 131.

Indici delle opere e dei nomi

Indice delle opere

Adelaide (Lied), op. 4 6 ,141,189,190. Alfredo il Grande (progetto d’opera), 51,

2I5·

Antigone (progetto d opera), 49 n. Attila (progetto d’opera), 49 e n, 53. Bacchus (progetto d’opera), 45. Bach Ouverture (schizzo), 96 n, 160. Begründung von Fensilvanien, Oie (pro­ getto d’opera), 30. Belisario (progetto d’opera), 49 n. Claudina di Villabella (progetto d’opera), 63 n, 137 e n. Concerto in do minore per pianoforte e orchestra n. 3, op. 37,134. Coriolano (ouverture), op. 62, 134, 133, 229. Cristo sul monte degli ulivi, op. 85, 140, 15611,239. Drahomira (progetto d’opera), 56,61. Egmont, op. 84,60,72,135. Elementi, Gli (progetto d’oratorio), 70. Elena al Calvario (progetto d’opera), 50 e n. Enrico V i l i (progetto d’opera), 65. Fantasia per coro pianoforte e orchestra, op. 80, 8, 68,166. Faust (progetto d’opera), 48, 49, 65, 72, 73,137,160. Fidelio, op. 72, 27, 45, 47 e n, 48, 49 n, 53> 55 n, 56, 65 n, 67, 95,153,157, 175 n, 189. Fiesco (progetto d’opera), 52,135. Flohlied (dal Faust), 49 n.

Germania, Germania (coro), 44. Giulietta e Romeo (progetto d’opera), 49 n, 70. 74 ,229. Glorreiche Augenblick, Oer (cantata), op. 136,44. Gott ist eine feste Burg (canone), 98. Grande fuga, op. 133, 73. Gute Nachricht, Oie (Singspiel), 8, 44 n. Incendio di Mosca, L ’ (progetto d’opera), 49 e η. Judith (progetto d’oratorio), 70 n. Klage, Die (Lied), 74 n. Liebe, Die (Lied), 141. Machbeth (progetto d’opera), 49 n, 74, 229. Meeresstille und glückliche Fahrt (Lied), op. 112,138. Meine Ruh' ist hin (dal Faust), 49 n. Melusina (progetto d’opera), 56-59, 61, 62 e n , 135,215· Merkenstein (Lied), op. 100,50. Messa in do, op. 86,105,120. Missa Solemnis, op. 123, 9 n, 13, 63, 68, 78, 85, 9 3 -in , 138, 153, 156 e n, 163, 164,167 n, 169,191,194 n, 197. Nord oder Süd (Lied), 92. Ouverture, op. 115, 240 e n. Ouverture, op. 124 (Weihe des Hauses), 33 η, 174 η· Quartetto, op. 18 η. χ, γο, 74, 229. Quartetto, op. 7 4, 74 ·

Indice delle opere

2 J0

Quartetto, op. 127, 159, 174, 175 η, 176, 178. Quartetto, op. 130,73,178 η. Quartetto, op. 131,95 η, 179 e η, ι8ο. Quartetto, op. 132, 95 η, 99, 107, 172 e η, 173,176-78. Quartetto, op. 135,177,187. Quintetto, op. 29,160,174 η. Rastlose Liebe (schizzo), 138 e η. Requiem (progetto), 160 e n, 187 n. Re Stefano, op. 117,241 e n. Romulus (progetto d’opera), 49 n. Rosa incantata, La (progetto d’opera), 31. Rovine di Atene, Le, op. 114, 32, 33 n, 205, 228,241 n. Ruggero, Il (progetto d’opera), 30 n. Ruines de Babylone, Les (progetto d’ope­ ra), 49 e n. Saul e David (progetto d’oratorio), 8, 67, 70,71. Settimino, op. 20,74 n. Sinfonia della vittoria di Wellington (,Schlacht-Symphonie), op. 91, 43, 233 en. Sinfonia n. 2, op. 36, 90 n. Sinfonia n. 3, op. 53 [Eroica), 35, 174 n. Sinfonia n. 4, op. 60,120. Sinfonia n. 3, op. 67, 74 n, 78,173 n. Sinfonia n. 6, op. 68 (Pastorale), 4t n, 76, T20-23,14 I >2 I 9 >221· Sinfonia n. 7, op. 92,74 n, 90 e n. Sinfonia n. 8, op. 93, i r n. Sinfonia n. 9, op. 123 [Corale), 12, 41 e n, 60, 63, 67, 68, 79, 90, 97, 103, t27, 152 n, 153, 136 e n, i6 r, 163, 166, 167 n, 168,169,187,19t, 203, 236 e n. Sinfonia n. ro (abbozzo), 143, r6o e n,

„245’

·

,

Sonata per pianoforte, op. 2 n. r, 74 n. Sonata per pianoforte, op. 2 n. 2, 74 n. Sonata per pianoforte, op. 7,74 n. Sonata per pianoforte, op. io n. 3, 8 n, 74 n>76' Sonata per pianoforte, op. 13 (Patetica), 74 n, 76, 84, 86. Sonata per pianoforte, op. 14 n. 1, 76, 83, 84. Sonata per pianoforte, op. 14 n. 2, 76, 83, 84. Sonata per pianoforte, op. 27 n. 2 (Quasi una fantasia, detta A l chiaro di luna), 26, 74 n.

Sonata per pianoforte, op. 31 n. 2,71, 229. Sonata per pianoforte, op. 37 (Appassio­ nata), 71, 74 e n, 229. Sonata per pianoforte, op. 81 (Les Adieux), 74 η, 76, 84. Sonata per pianoforte, op. 90,74 n, 77. Sonata per pianoforte, op. 106, 13, 74 n, 84 e n, 86, 241, 242. Sonata per pianoforte, op. 109,95 n. Sonata per pianoforte, op. i n , 86. Sonata per pianoforte e violino, op. 12, „ 7 4 n. Sonata per pianoforte e violino, op. 30, 74 η. Sonata per violoncello e pianoforte, op. 102 n. 2,174 n. 33 Variazioni su un tema di Diabelli, op. 120,47,89,174 η, 233. Trio, op. 97,70,74,177· Ulisse (progetto d’opera), 49 n. Vittoria della Croce, La (progetto d’orato­ rio), 7,67,70 n. Wachtelschlag, Der (Lied), 121. Wanda, regina dei Sarmati (progetto d’o­ pera), 52,53,58. Zerströrung Jerusalems, Die (progetto d’opera), 70 n.

Indice dei nomi

Amenda, K., 70,74. Aristotele, 19 n, 72, 88 e n, 130 n. Artaria, A., 151 n, 178, 2x6. Asburgo, Rodolfo d’, arciduca d’Austria, 98 n, 106,109, 203. Assunto, R., 82 n, 1x9 n. Auwen, H. van, 96 n. Bacchelli, R., 151 n. Bach, F. E., 85 n. Bach, J. B. von, 7,17 n, 21 n, 22 n, 47,52, 135, 153·

Bach, J. S., 13, 106, 108, 109, 112, 113, 121,146 n, 150,203, 205,237. Barthélemy, J.-J., 128. Beck, H., 92 η, 240 η. Becker, Μ., 137 η. Becker, Ρ., 125 η. Beethoven, Johann van, 8, 24 η, 47» 5°> 5 L 54 , 150,155 η, 169 η, 179, ι8 ι, 194 η, 199, 209, 233 , 234 , 236,242. Beethoven, Johanna van, 17 η, 22 η. Beethoven, Karl van, 8, 9, 13-16, 17 η, ι8, 20, 21 η, 22-24, 26 η, 31, 56, 132 e η> 134, 135, Ι 53 , *55 e a, 163, 167 η, χ68, 169 η, 176, 177, ϊ 79-8 ι , 183, 184, χ86, Γ92,196 η, 236 η, 242,243· Beethoven, Kaspar Karl van, 13. Béguin, A., 159 η. Bekker, P., 46 η, 7° η. Berge, R. vom, 45. Bernard, J. K., 7, 14 e n, 15, 17 n, 19, 22 n, 30, 31, 33, 35, 39, 40, 51-53, 67, 105, 106,141,144,194 a, 196, 197 e n, 204, 210, 213 n, 233. Biamonti, G., 49 n, 137 n. Biester, 128. Blahetka, 162. Blöchlinger, K., 8, 15 n, 17 n, 21 n, 22 n, 30,31,124,125 n, 132, 209,210.

Böhm, D., 196 n. Böhm, J., 168 n, 176,179. Boisserée, fratelli, 203, 204. Bonaventura, A., 152 n. Boyer, J., 79 n, 102 n, 175 n. Braunhofer, 172 e η, 181. Breitkopf e Hartël, editori, 44 n, 68, 112. Brentano, B., 84 e n, 93, to i n, 102 η, 113. 116,140,191,211. Brentano, C., 102 n, 139,142,191. Brentano, F., 195,196,234 n. Breuning, G. von, 7, 125 n, 133, 160 n, 185. Breuning, S. von, 5,176,180,183-85. Broadwood, T., 236 n. Brougham, 235. Byron, G. Gordon, Lord, 32, 51, 228, 233. Caldara, A., 50 n. Calderon de la Barca, P., 134, 213, 214. Campbell, T., 232 n. Canning, G., 227. Carabellese, P., 82 n. Carafa, M., 47 n, 156, 216. Carpani, G., 151 n. Chaldni, 211 e n. Chamisso, A. von, 23 e n. Chappell, S., 240. Cherubini, L., 95,157 e n, 160 n. Cibbini Kozelych, A., 177. Cicerone, Marco Tullio,' 133 n. Cicognara, 153 n. Clifford, Lady, 237,238. Collin, H. I. von, 33, 49 n, 70 n, 134,13?’ 214,228. Condillac, S. Bonnot de, 223. Contini, G., 94 n. Cramer, J. B., 239. Cramolini, L., 189. Czerny, J., 7,8,30, 80.

2 52

Indice dei nomi

Czerny, K., 20 η, 94 >107> 146 e η>*55 e η> Gelinek, J., 30,147. Gerhard, G., 142. 174 η, ΐ 77 · Gerstäcker, 65 n. Giannatasio, vedi Del Rio, C. Giannata­ Daffinger, Μ. Μ., 196 e η. sio. Dante Alighieri, 94· Giorgio I II, re d’Inghilterra, 161, 235 n. Deetz, 156 η. Giorgio IV, re d’Inghilterra, 236 n. Dehn, S. W., 5 ,6 e n. Girolamo Bonaparte, re di Vestfalia, 35. Deiters, H., 3 n. Glareano (Henricus Loritus), 107 e n. De Lenz, W., 74 n. Gluck, C. W., 59,146 n. Del Rio, C. Giannatasio, 16 n, 17 n. Goethe, W., 7, 9 n, 25 n, 33, 38, 42 n, 48, De Robertis, G., 228 n. 49 n, 63 n, 8 7 ,101 n, 109, 112-14,129, De Roda, C., 173 n. 132,135-40,142,147,148 e n, 156 e n, Diabelli, A., 89,174 n, 232. Diderot, D., 220. 157, 159, 17° n> x92 n> 194, 202> 203 > 206, 21X, 213 e n, 214, 2x5, 218, 222, Dietrichstein, M., 96 n, 215. 223. Doleczalek, 156 n. Görres, G. von, 30,210,211. Donadoni, E., 148 n. Grafi, K., 215. Duport, 62,63,168 n. Grillparzer, F., 8, 29, 32, 33, 42,45 η, 53" Durante, F., 164. Dürer, A., 205. 63, 69, 135, Ι 44 , *59, ι8 ι, 196, 215, 227 Eckermann, G. P., 148 e n. Guasti, C., 108 η. Engel, J. J., 41 n. Guicciardi, G., 26-28. Enningham, 236 n. Eschenburg, J. J., 134 n, 228. Hamann, G. G., 19,220. Eschilo, 64 e n, 132. Hamilton, D., 237 n. Esterhazy, N., principe di, 236 n, 240. Händel, G. F., 106, 108, 144, 145 e n, Euripide, 64 e n, 7 2 ,7 4 ,112. 146 n, 150, 152, 161, 178, 203, 236 n, 237 n, 238,243, 244. Federico II, re di Prussia, detto il Gran­ Hänke, T., 25 n. de, 36,38. Hanslick, E., 150 e η, 151 n. Ferdinando V II, re di Spagna, 31. Härtel, G. C., 198. Fergar, 48 n. Härter, Franz, 131. Fessier, I. A., 126. Haslinger, T., 33 n, 176 n, 177,196 n, 221 Fichte, G. A., 40, 8 7 ,114,115. n. Field, L, 149. Hasse, G. A., 50 n. Fink, G. W., 199 η. Haydn, J., 80, 85 n, 106, 112, 146 n, 149 Fischer, 192 η. e n, 150,153 n, 197 n, 243. Fischoff, 7, 20 η, 23, 2% 43 ,4 5 η>52, 53 η, Heckei, J. A. von, 191,192. 64 η, 82 η, 107 η, π 6 η, 117 η, χχ8 η, Hegel, G. W. F., 83, 86, 9 2 ,141. 120 η, 123 η> ΐ3 ° η, ΐ4°> 146 η, 2ο6, Heine, H., 11,12 e n, 213 n. 207 η, 2o8 e η, 2 ΐι η, 213 η, 2ΐ8 η, 231 Herder, J. G. von, 41, 44, 45, 64, 66,124, η, 232 η, 245 η · 125, 129, 140, 192 n, 208, 211-13, 217 e n, 220, 222, 223. Forti, A., 55 e η. Franco di Colonia, 107 n. Hiller, F., 3 n, 150 e n, 244. Franklin, B., 206,211. Hoffmann, E. T. A., 78-80, 105 e n, 107 e Freudenberg, K. G., 109 n, 204 n. n, 109, n i , 134, 139, 140 n, 142, 191. Frimmel, T., 6 n, 7, 8 n, 148 n, 195 n, Hoffmann, R., 194 n, 214, 221,223. 199 n, 200 n, 201 n, 205 n. Hohenemser, R., 82 n. Fuchs, A., 20X n. Hohler, E. T., 133, 237 n. Hölderlin, F., 32, 42 e n, 64, 91 e n, 1x4, Galitzin, N., 170,178 e n. 119 e n, 128. Gallenberg, W. R. von, 24 n, 26, 27, 28 n, Holz, K., 8, 25 n, 33 n, 49 n, 53 n, 62 n, 63 n, 64 e n, 71, 79, 136, 145, 156, 157, 47 ·

Indice dei nomi 159, 160 n, 168 n, 176-78, 179 n, 180, 182,183,186,204. Horowitz-Barnay, I., 154 n. Houwald, C. E. von, 53 e n. Hübner, 73, 74 n. Humboldt, W. von, 4. Hummel, J. N., 144,147-49. Janitschek, 33,38, 50. Kalischer, A., 7,195 η. Kalkbrenner, F. W., 174 n. Kanne, A. F., 8, 20, 43 n, 63 e n, 63, 112i ï 4, 123,124,137,144. Kant, I., 29, 39,40, 69, 81-83, 87, 9 2 ,113, 118, 119, 122, 123, 126, 127, 21X, 212. Kästner, E., 3 n, 9 n, 17 n, 19 n, 21 n, 38 n, 44 n, 49 n, 63 n, 69 n, 80 n, 96 n, 106 n, 108 η, 112 n, 120 n, 129 n, 132 n, 138 n, 142 n, 146 n, 137 n, 169 n, 170 η, 171 n, 172 n, 173 n, 174 n, 176 n, 177 n, 185 n, 188 n, 202 n, 203 n, 218 n, 229 n, 231 n, 233 n, 234 n, 236 n, 237 n, 241 n, 242 n, 243 n, 243 n. Kind, F., 51,2x4. Kirchehoffer, F. C., 233. Kloeber, A. von, 140,192 e n. Klopstock, F. G., 41 n, 142. Knecht, J. H., 122. Köferle, J., 22 n. Koppen, J. J., 131. Körner, T., 49 n. Kotzebue, A. von, 30, 32, 33 e n, 49 n, 202, 214. Kraus, 166. Kudlich, J., 16 n. Kufïner, C., 8, 41 n, 42, 49 n, 67-69, 71, 116,125 n, 133,136,144,188, 206,221. Kügelgen, G. von, 24,25 n. Kügelgen, K. von, 23 n. Landon, H. R. Robbins, 191. Lannoy, E., barone de, 164. Lavater, J. K., 194. Lawrence, T., 197 e n. Legrady, È., 123. Leidesdorf, M. J., 221 e n. Leitzmann, A., 3 n, 7 e n, 20 n, 25 n, 43 n, 45 n, 48 n, 49 n, 53 n, 34 n, 64 n, 82 n, 94 n, 106 n, 109 η, 116 η, 118 n, 119 n, 120 n, 122 n, 123 n, 126 n, 130 n, 133 n, 134 n, 137 n, 140 n, 146 n, 147 n, 149 n, 138 n, 182 n, 192 n, 198 n, 199 n, 200 n, 204 n, 207 n, 208 η, 211

233

n, 212 n, 213 n, 218 n, 220 n, 222 n, 240 n, 246 n. Leo, L., 164. Leonardo da Vinci, 204,203. Leopardi, G., 229 n. Lessing, G. E., 3 3 ,141, 217 e n. Lichnowsky, K., 37. Lichnowsky, M., 51, 34-56, 77, 163, 164, 209. Linke, J., 159,176,179. Liszt, F., 154 e n. Litrow, 212 e n. Lobkowitz, F., 7,107. Lucrezio Caro, T., 118. Luigi XVIII, re di Francia, 167 n. Maassen, C. G. von, 106 n. Macco, A., 188. Magnani, L., 45 n. Mähler, W. J., 191-93. Malfatti, J., 185 e n. Malfatti, T., 120 n, 134 n, 185,228 n. Mälzel, J. N., u n , 92,232 n. Manughi, G., 89 n. Manzoni, A., 58. Marx, A. B., 78,79 e n. Matthisson, F. von, 8 7 ,141. Mayseder, J., 176. Meisl, C., 33 n. Mendelssohn-Bartholdy, F., 157. Mercadante, S., 156 n. Merk, J., 179, 211. Metastasio, P., 50 e n. Metternich, Q. W. L. von, 31,227. Meyerbeer, J., 157. Michotte, E., 151 e n, 152, 201 n. Mila, M., 132 n, 153 n. Milton, J., 228. Mittag, A., 25 n, 174 n. Moore, T., 228. Moscheies, I., 143 n, 174 n, 188, 236 e n, 238,243 e n, 244. Mosel, I. von, 44 n, 50,55 e n, 215. Mozart, W. A., 44-46, 60, 80, 85 n, 87, 106, 112, 144-47, 150, 153 n, 155 e n, 157 η, 161 η, 191,197 n, 237. Muller, F. von, 159 n. Müller, J. von, 124. Muller, O., 124. Muller, W. C., 198. Müllner, A., 53 e n, 54 n. Napoleone I Bonaparte, imperatore dei Francesi, 34, 35,43,129,148.

254

Indice dei nomi

Neate, C., 170,239-42. Necco, G., 84 n, 102 n, 114 n. Neefe, C. G., 85 n. Neumann, F., 51. Neumann von Meissenthal, M., 51. Newton, I., 1x2,113. Nietzsche, F., 223. Nohl, L., 7,43 n, 48 n, x6x n, 233 n. Nohl, W., 6,7 n, 154 n. Nottebohm, M. G., 49 n, 107 n, 120 n, 129 n, 143 n, 228 n. Oliva, F., 7, 23 n, 30, 33,47 n, 126 n, 132, 1 4 4 . 1 4 7 - 4 9 .1 7 5 n, 197,210,234. Omero, 6 4 ,112,123 n, 129,131,132,137, 142,186,210,228 n. Orel, A., 33 η. Ortigue, J.-L. d’, 134 n. Ossian, 3 0 ,112,198 e n, 228 e n Palestrina, G. P. da, 106,107,108,109 η, 204 e n>220. Pallfy, F., 20 η, 63 η. Pestalozzi, J. H., 8,13 e n. Peters, K., 7, 13, 17 n, 34, 36, 38, 46, 47, 106,116,133,170,188,193,204. Pinterics, F. von, 20 n, 21 n. Piringer, F., 162. Platone, 113,129,130 n, 205,209. Plutarco, 19 n, 130 n. Politz, 124. Porpora, N. A., 164. Potter, P. Cipriani, 143 n, 228 e n, 241. Preisinger, 163. Priestley, L, 211. Prod’homme, J.-G., 5 n, 7 e n, 9 n, 11 n, 25 n. 33 n, 41 n, 42 n, 43 n, 49 n, 33 n, 62 n, 63 n, 64 n, 66 n, 67 n, 69 n, 72 n, 79 n, 88 n, 91 n, 95 η, 116 n, 125 n, 133 n, 136 n, 137 n, 145 n, 133 n, 155 n, 156 n, 157 n, 139 n, 160 n, 162 n, 164 n, 167 n, 168 η, 171 n, 172 n, 174 n, 175 n, 176 n, 177 n, 178 n, 179 η, 181 n, 182 n, 186 n, 187 n, 188 n, 189 n, 190 n, 206 n, 208 n, 220 n, 221 n, 234 n, 237 n, 240 n, 243 n. Proust, M., 172. Radiciotti, G., 133 n. Raeburn, H., 237. Raffaello Sanzio, 204. Rau, H., 244. Rellstab, H. L. F., 49 n, 60, 64 e n, 66, 173 η.

Reuling, 193. Riemann, H., 3 n. Ries, F., 74 n, 143 e n, 149 n, 187, 233-33, 238-41. Riezler, W., 83 n. Rochlitz, J. F., 198, 200. Rodolfo, arciduca, vedi Asburgo, Rodolfo d’, arciduca d’Austria. Roggeri, E., 11 n. Rolland, R., 48 n, 83 e n, 160 n, 179 n, 244 n. Rossini, G., 28 n, 46, 31,130-33,157,175 n, 176 n, 200,2x6,238. Rousseau, J.-J., 13,38,41 e n, 122,124. Rudel, J., 226. Rupprecbt, J. B., 30. Russel, J., 200 e n, 237 e n. Sachs, H., 213. Salieri, A., 155,227 n. Sand, K., 30. Sandra, 26 n. Schelling, F., 45 n, 113-16,123,189 η. Schering, A., 73 e n, 74, 77. Schick, 47 n. Schiedermair, L., 23 n, 107 n, 149 n. Schiller, F., 29, 30, 33, 41 e n, 52, 68, 74 n, 75 . 79 , 85-87, ΐϊ2 , i 27 , 135-37 , M i e n, 142 e n, 198, 205, 212, 217, 220, 222, 227. Schimon, F., 193-95, i99> 200· Schindler, A., 5-11, 24 n, 26-28, 30, 33 n, 34, 36, 37 n, 42 e n, 46, 47 e n, 54, 55, 57, 58, 60, 61, 63, 70, 72, 76-79, 83-85, 88-90, 91 n, 94, 98 e η, 119,121,126 n, 129 e n, 130 n, 133 e n, 134 n, 138,139 n, 140, 151 n, 154, 155, 157 n, 161-68, 169 η, 171, 174 n, 178, 180, 182-85, 187-89, 194 n, 195 e n, 199 n, 204, 213 e n, 214, 216,219, 230 e n, 236,237 e n, 239 , 245 · Schlegel, F., 51, 204, 206, 207, 209, 210, 213 en , 215,222. Schlegel, W., 134 n, 204, 206, 213, 270, 229 en . Schleiermacher, F., 114. Schlemmer, 180. Schlesinger, M., 79, 157 n, 159 n, 167 n, 176 e n , 178. Schlösser, L., 101 n, 105. Schmidt-Görg, J., 6 n, 105 n. Schott, B., 171,176 n. Schröckh, J. M., 125 n, 186. Schubart, F. D., 140 e η, 141 n.

Indice dei nomi Schubart, L., 141 n. Schubert, F., 157,178,193. Schultze, E., 51. Schulz, E., 133,144,145 η, 238,239 η. Schumann, R., 151 η. Schünemann, G., 3 η, 5 η, 6 η, 7 η, 8 η,

9 η, ίο η, ι ι η, 14 η, 15 η, 17 η, ι8 η, 20 η, 2ΐ η, 22 η, 23 η, 24 η, 25 η, ζ6 η, 29 η, 33 », 36 η. 3» η, 41 η, 46 η, 47 η’ 4 8 η, 4 9 η, 50 η, 5 4 η»55 η, 57 η, 58 η, 59 η, 6ο η, 6ι η, 65 η, 67 η, 78 η, 79 η, 8ι η, 84 η, 90 η, 91 η, 93 η>95 η, 96 η, 98 η, 99 η>IQi η, 105 η, ιο8 η, ι ι 2 η, ιι6 η, 124 η>125 η, 126 η, 128 η, 129 η, Ι 3 Ι η, 132 η, 133 η, 134 η»*35 η, 137 η, 138 η, 139 η» Ι 4 1 η>Ι 4 4 η, !4 8 η»149 η, 150 η, 153 η, 154 ». Ι55 η> η>*57 η’ ι6ι η, Ι7Ι η, 172 η, 174 η>ι88 η>*93 η, 195 η>196 η, 197 η>Ι 99 η>203 η, 204 η, 209 η>212 η, 213 η>21 4 η>217 η>237 η.

Schuppanzigh, J., 8, 33 η> 9 °> Ι48, ΐ49> 159, *62, 164 η, ι66, ι68, 173, ΐ74 η> 175-79 , 243 · Scott, W., 65,186. Sedlaczek, J., 177· Seelig, H., 204, 205. Senofonte, 131. Seybert, 184,185. Seyfried, J. X. von, 44,147 e n, 164. Shaftesbury, A., 212. Shakespeare, W., 70, 73, 74, 133, 134 e n, 185, 213, 214, 220, 228, 229 e n, 240. Sicher, 73,74 n. Simrock, P., 96 n, 174 n. Skrbensky, barone von, 192 n. Smart, G., 188,238, 239,244 e n. Smetana, K. von, 17 η. Socrate, 19, 33,129, 209. Sofocle, 64 e n, 132 e n. Sommer, 186. Sonnleithner, L., 162 n. Sontag, H., 162-64,168. Spaini, R., 108 n. Spinoza, B., 208. Spohr, L., 193. Spontini, G., 155,156. Stadler, M., 146 e n. Staudenheim, J., 182. Stein, A., 48 η, 237 η. Steiner, G. A., 44 n, 177,196 n. Sterkel, J. F. X-, 145. Stieler, J. K., 195-99· Stoffel, 167 n. Stolberg, F. von, 132 n, 209,210.

255

Streicher, A., 108 n. Stumpff, I. A., 145, 212, 222, 237 e n, 238 n, 243. Sturm, C., 120 n. Stutterheim, J. F. von, 180. Süssmayer, F. X., 155. Swieten, G. van, 150. Tasso, T., 108 e n. Tecchi, B., 23 n. Thalberg, S., 168 n. Thayer, A. Wheelock, 3 n, 6, 7, 24 n, 26 n, 92 n, 96 n, 133 n, 145 n, 158 η, 161 n, 168 n, 178 n, 190 n, 195 n, 227 n, 230 n, 238 n, 239 n, 245 n. Thomson, G., 228, 229 e n, 231, 232 n, 239. Tieck, L., 213, 215, 221. Torchi, L., 46 n. Treitschke, G. F., 44 n, 49 n. Trémont, G. de Vienney, barone di, 133

en.

Tuscher, von 16 n. Umlauf, M., 90,164 e n, 168 e n. Unger, K., 58,62,162,168. Unger, M., 6 n, 48 n. Varnhagen von Ense, K. A., 139,142,192. Vigolo, G., 42 n, 91 n. Vincenti, L., 59 n, 61 n. Vivenot, 182. Vogel, J. M., 55 e n. Voltaire, F.-M. Arouet, detto, 39,51. Voss, I. H., 125 η, 129, 132 η, 137, 2ΐο, 213 η. Wackenroder, W. Η., ίο 6, ιο8, χ ι ι , 203, 204 , 2Ι 4 >2 ΐ 5 · Wagner, R., 45 η>4-6 e η, 6ο, 65, 66 e η, 67-69, 88,150-52. Waldmüller, G. F., 1 9 9 e n, 2oo e n. Wallishauser, 52, 55,213 n. Wawruch, A., 182-85. Weber, C. M. von, 62 n, 157,159 e n, 193, 198 n. Weber, Μ. M. von, 156 e n, 198 n. Wechd, 197 n. Wedel, G., 3 n. Wegeler, F. G., 38 n, 74 n, 145 e n, 149 n, 189. Weischedel, W., 82 n. Weise, D., 17 n. Weiss, 177.

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Indice dei nomi

Weissenthurn, J. F. von, 105. Wellington, A. Wellsley, duca di, 232 n. Werner, Z., 49 n, 32,33,38,208, 213 n. Wieland, A. M., 23 n, 64,74,112. Wikosch, M. I., 124 e n. Wild, F., 58. Winckelmann, J. J., 24,126,129. Woelfl, J., 147. Wolfmayer, J. N., 177,187 e n. Woltmann, 123 n. Worringer, W., 85 n. Wyzewa, T. de, 163 n. Zamper, 137. Zarlino, G., 106,108. Zelter, K. F., 138 n, 148 n, 136 e n. Zuccalmaglio, A. von, 3 n.

F i n i t o d i s t a m p a r e i l 1 7 m a g g io 1 9 7 5 p e r c o n t o d e l l a G i u l i o E i n a u d i e d i t o r e s . p . a . p r e s s o l ’O f f ic in a G r a fic a A r t i g i a n a U . P a n e ll i i n T o r i n o

c. L. 4254-9