Barocco al femminile

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STORIA E SOCIETÀ

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© 1992, Gius. Laterza& Figli

I saggi di R.L. Kagan e di R.S. Porter sono stati tradotti da Giampiero Cara; quello di F. Koorn da Luca Falaschi; Vittorio Giacopini ha tradotto il saggio di S.F. Matthews Grieco; Lucia Nencini quello di E. Cropper;

Claire Vovelle quello di G. Jancke-Leutzsch

Renata Ago Elisabeth Cropper Silvia Evangelisti Gabi Jancke-Leutzsch Richard L. Kagan Florence Koorn Sara F. Matthews Grieco Roy S. Porter Anna Scattigno

BAROCCO

AL FEMMINILE

a cura di Giulia Calvi

Editori Laterza

1992

INTRODUZIONE di Giulia Calvi

Testi e relazioni

Il rapporto fra un gruppo eterogeneo di donne e la scrittura è al centro di questo volume. Vissute fra il 1580 e il 1730, le autrici che qui vengono discusse appartengono al ceto medio-alto delle città dell'Europa occidentale. Ciò che le divide è la provenienza, la lingua parlata e scritta ed il credo religioso, anche se la maggior parte di esse aderisce alla Chiesa cattolica. Nubili, mogli, madri, vedove, religiose, intellettuali, ciò che le unisce è l’aver attraversato una

delle fasi più drammatiche della storia europea: sopravvivono alla peste, alle guerre di religione in Francia, alla Rivoluzionein Inghilterra e alla guerra dei Trent'anni in Germania; affrontano il carcere, il tribunale dell’Inquisizione e, in senso lato, il potere. Sempre si dibattono tra povertà, malattia, morte. Di tutto questo hanno lasciato traccia in diverse forme di scrittura, quasi sempre misconosciuta o dimenticata: colta (Angelica Baitelli, Mary Astell); visio-

naria (Lucrecia de Leén, Eleanor Davies); spirituale (Jeanne de Chantal); occasionale (Artemisia Gentileschi, Maria Spada Veralli); autobiografica (Elisabeth Strouven, Clara Staiger)!. 1 Sulla scrittura femminile in età moderna, la bibliografia è soprattutto concentrata sull’Umanesimo e il Rinascimento: si veda, in particolare, M.L. King, A. Rabiljr. (a cura di), Her Immaculate Hand: Selected Works by and about the Women | Humanists of Quattrocento Italy, Binghamton (New York) 1983; V.A. Grafton, L. +

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Ad un primo sguardo, nessuna attività potrebbe apparire più solitaria, più chiusa entro un progetto individuale, della scrittura, soprattutto se autobiografica: eppure, a ben guardare, per queste donne l’atto stesso dello scrivere e la sua motivazione profonda nascono da una relazione. Il rapporto da cui germina il testo, infatti, non si riferisce solo all’ovvia dualità che unisce qualunque autore alla propria pagina, ma rimanda ad un momento costitutivo anteriore, che prepara e precede questo legame fra testo e soggetto. Scritto o trascritto, il testo è la «punta di un iceberg» sommerso, è il momento visibile e culminante di un rapporto storicamente determinato fra l’autrice e un altro o altri soggetti: ispirate da Dio, imposte dal confessore, sollecitate dalla vicinanza affettiva e spirituale, richieste dal proprio gruppo di appartenenza, suscitate da un trascinante impulso interiore, le pagine che queste donne redigono nascono non tanto da singole sollecitazioni ideali e culturali, quanto da una serie mutevole di radicamenti vitali e profondi. Non a caso una parte rilevante di questi scritti nasce da una mediazione chiaramente percepibile con la cultura orale, filtrata attraverso il sogno e la visione, ma anche attraverso le parole dei confessori e dei predicatori tante volte ascoltati dal pulpito. Anche la divinità ispira a scrivere attraverso una voce interiore, così potente da diventare irresiJardine, From Humanism to the Humanities, Cambridge (Mass.) 1986; P. Labalme (a cura di), Beyond Their Sex: Leamed Women of the European Past, New York 1980; O. Niccoli (a cura di), Rinascimzento al femminile, Roma-Bari 1991; K.M. Wilson (a cura di), Women Writers of the Renaissance and Reformation, AthensLondon 1987. Per l’età barocca si veda: K.M. Wilson (a cura di), Women Writers of the Seventeenth Century, Athens-London 1989. Su alcune forme specifiche di

scrittura, Libri di famiglia e memorialistica, cfr. M. Foisil, La scrittura privata, in P. Ariès, G. Duby (a cura di), La vita privata. Dal Rinascimento all’Illuminismo, Roma-Bari 1987; sull’autobiografia femminile, si veda E.C. Jelinek (a cura di), Womens’ Autobiography, Bloomington-London 1980; M.G. Mason, The Other Voice. Autobiographies of Women Writers, inJ. Olney (a cura di), Autobiography. Essays Theoretical and Critical, Princeton 1980. Sulla scrittura storica delle donne, si veda: N.Z. Davis, Gender and Genre: Women as Historical Writers (1400-1820), in Labalme (a cura di), op. cit., pp. 153-182; G. Pomata, Storia particolare e storia universale: in margine ad alcuni manuali di storia delle donne, in «Quaderni Storici», XXV, 1990, pp. 341-385. a

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stibile. La scrittura è inoltre segnata da una capacità mne- . monica sorprendente: Eleanor Davies nutre il proprio immaginario ritenendo la Bibbia a memoria e Lucrecia de Le6n detta le proprie visioni tanto speditamente che pare stia leggendo, mentre Elisabeth Strouven modula le emozioni che la muoveranno al racconto di sé suli’onda delle parole appassionatamente ascoltate in Chiesa. Tutte queste narrazioni orientano il nostro sguardo verso le relazioni che le preparano e, potremmo dire, le presuppongono, ed è a partire da questa concezione «negoziale»

del testo scritto che indagheremo il rapporto fra le donne — quelle di cui qui si tratta in particolare — e le società europee occidentali in cui vivono. Il rapporto fra queste donne e la scrittura ci muove dunque a riflettere sulle relazioni che si diramano dal testo e che lo hanno costituito, in un movimento costante fra esterno e

interno. In questo senso, vorrei aggiungere qualche osservazione sui modi con cui il materiale autobiografico e biografico femminile di età moderna è stato in genere studiato. I testi che qui vengono proposti non ci interessano infatti

prevalentemente come misura del rapporto fra un modello, un exemplum, e la realtà storica ad essi esterna, né come profili in cui precipitano gli aspetti più sfuggenti eppure complementari di contesti già noti — quasi ombre che accompagnino una figura in piena luce — ma piuttosto come luoghi in cui vengono rappresentate delle relazioni. Tranne che per le opere della storica Angelica Baitelli e dell’aristocratica profetessa Lady Eleanor Davies, si tratta qui di scritti destinati ad una circolazione non ufficiale (lettere occasionali, carteggi, diari) oppure, come nel caso di Lucrecia de Leén, di trascrizioni di sogni da lei stessa dettati ad altri. Originate da uno scambio fra chi scrive o detta e chi legge, ascolta, trascrive, queste carte lasciano trasparire un tessuto di emozioni, una qualità reattiva che traduce l’atto stesso . dello scrivere in una ambivalente e complessa rappresentazione di sé. In questo senso, intendendo per scrittura non

una forma espressiva elitaria, ma un’attività sociale suscita2

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ta e legittimata da un radicamento relazionale, abbiamo avvicinato il testo alla metafora squisitamente barocca del tea-

tro e dunque della messinscena, in cui ci si disvela, ci si

camuffa e ci si autorappresenta in base alle regole della morale pratica e del comportamento, della verità e della simulazione. Quali sono dunque le relazioni che presiedono a questi testi? Quali le configurazioni umane e sociali che si pongono come parte attiva nella costruzione di questi scritti? Possiamo distribuirle in due ambiti, uno in cui la componente singola, individuale, è più accentuata e l’altro in cui l'istanza comunitaria si avverte con più forza: la divinità, il ‘confessore, il padre spirituale; la famiglia, il convento, il mercato, la corte, il gruppo amicale. All’interno di questi rapporti è racchiusa la spinta motivazionale alla scrittura, la sollecitazione a trasferire in una dimensione esplicitamente oggettiva ed esterna (rivolta a chi legge) quello che nasce in una sfera ancora in gran parte indistinta, in cui le soglie fra personale, privato e pubblico sl sovrappongono. Comunità e diritti

L’ambito delle attività femminili in età moderna non è confinato a quella che il XIX secolo chiamerà «la sfera separata» dei rapporti domestici e privati; nonostante il graduale scadimento del lavoro femminile a mansioni subalterne e la parallela perdita di status e diritti in rapporto alla trasmissione ed alla gestione della proprietà, le donne occupano un terreno pubblico, o che è comunque rilevante alla costruzione della dimensione civile e statuale. Nessuno, nei secoli XVI-XVIII, avrebbe infatti collocato la famiglia ed i rapporti familiari, né la professione religiosa ed ? Cfr. M.L. King, Le donne nel Rinascimento, Roma-Bari 1991; J. Kelly, Women, History and Theory, Chicago-London 1984; S. Marshall (a cura di), Womzer

in Reformation and Counter-Reformation Europe, Bloomington-Indianapolis 1989.

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il sentimento del divino nell’ambito del privato e della scelta individuale. Al contrario, è proprio in questa intensa fase di transizione, in cui l'Europa sperimenta il sorgere di confessioni separate e la tragedia delle guerre di religione, che questi ambiti vengono tanto più fortemente connessi all’affermazione ed al rafforzamento, al «progetto» di uno Stato assoluto. Al di là delle confessioni religiose, i trattatisti laici ed ecclesiastici evidenziano con forza i legami che uniscono la famiglia patrilineare ed autoritaria al regime monarchico ed all’accentramento del potere3, e l’universo familiare diventa perciò uno dei terreni d’elezione per cogliere da un lato le attività, le strategie, i poteri informali delle donne e, dall’altro, il loro lento riconoscersi ed esprimersi come soggetti portatori di diritti. È infatti indubbio che negli Stati europei, indipendentemente dalle confessioni religiose, la progressiva svalutazione sociale e giuridica del lavoro femminile impedisce la nascita di strutture consociative: marginali all’interno delle corporazioni e delle confraternite, le donne non si vedono riconosciuta un’identità in quanto lavoratrici, ma solo in riferimento al loro status familiare*. Un’occupazione remunerata a livello di sussistenza è socialmente tollerata purché rimanga funzionale al ciclo di vita delle donne e delle loro famiglie, ed in questo senso il lavoro non attiva alcun elemento comunitario, alcuna forma di mediazione fra individuo ed 3 L. Stone, The Family, Sex and Marriage in England 1500-1800, London 1977 (trad. it., Farziglia, sesso e matrimonio in Inghilterra tra Cinque e Ottocento, Torino 1983). Per la Francia, v. S. Hanley, Engendering the State: Family Formation and — State Building in Early Modern France, in «French Historical Studies», XVI, 1989, Dei:

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4 M.E. Wiesner, Spinning Out Capital: Women's Work in the Early Modern Economy, in R. Bridenthal, C. Koonz, S. Stuard (a cura di), Becoming Visible. Women in European History, Boston 1987, pp. 223-249; M.E. Wiesner, Women’s Work in the Changing Economy, 1500-1650, in M.J. Boxer, J.H. Quataert (a cura di), Connecting Spheres. Women in the Western World, 1500 to the Present, New York-Oxford 1987, pp. 64-74; O. Hufton, Donne, lavoro e famiglia, in G. Duby, M. Perrot (a cura di), Storia delle donne, vol. III, Dal Rinascimento all’età moderna, a cura di M.Z. Davis e A. Farge, Roma-Bari 1991, pp. 15-52; Ch.

| Klapisch-Zuber, Ur salario o l'onore: come valutare le donne fiorentine del XIV-XV

| secolo,in«Quaderni Storici», XXVII, 1992, n° 79, pp. 41-49.

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istanza politica formalizzata. Non è un caso che, a contrasto con una trattatistica tendente a svalutare ed a passare sotto silenzio il lavoro femminile, i Libri di famiglia e di conti, le fonti demografiche, i catasti ed i censimenti casa per casa facciano affiorare un tessuto occupazionale femminile esteso e ramificato nei centri urbani, prevalentemente concentrato all’interno delle unità domestiche capeggiate da donne sole, vedove e, più raramente, nubili?. Questa connotazione semiclandestina ed informale — ri-

flessa dalla documentazione — conferma il carattere episodico, fluttuante, frammentario del rapporto delle donne con il lavoro, intrapreso e poi a più riprese abbandonato in coincidenza con il matrimonio, le gravidanze, i parti, gli allattamenti, le malattie, le morti dei figli. Il caso certamente eccezionale di Artemisia Gentileschi serve qui indirettamente a confermare l’estrema difficoltà di un apprendistato femminile in bottega ed il reale impedimento che i codici sociali dell'onore familiare e femminile hanno costituito nella formazione professionale di una donna che pure era di sicuro talento. Nell’Europa mediterranea la famiglia e il convento sono, per la maggior parte delle donne, i luoghi che mediano e definiscono l’incontro fra le istanze individuali e quelle istituzionali, dove suddito e sovrano, individuo, Stato e

gerarchia ecclesiastica interagiscono. Addentrandoci nello studio di questi.elementi comunitari e consagiativi si può tentare di ricomporre la separazione fra Stato e società, superando una visione astrattamente bipolare del problema del potere nella prima età moderna, al contempo assimilando la storia delle donne ai più generali problemi della formazione dello Stato e della creazione di un senso di cit3 Firenze, Biblioteca Nazionale. EB, 15, 2, GF. 133 Descrizione de’ fuochi et delle persone della città di Firenze e di tutto lo Stato et Dominio di S.A.S. fatta l’anno MDCXXXII. Si v., anche se per un periodo più tardo, M. Palazzi, Vivere a compagnia e vivere a dozzina. Gruppi domestici non coniugali nella Bologna di fine Settecento, in L. Ferrante, M. Palazzi, G. Pomata (a cura di), Ragnatele di rapporti. Patronage e reti di relazione nella storia delle donne, Torino 1988, pp. 344-380.

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tadinanza e di partecipazione attiva dei soggetti femminili alla vita civile. I modi con cui le donne si radicano entro questi contesti primari di vita pubblica ci consentono, a mio avviso, di intravvedere i passaggi ineliminabili e necessari per comprendere il primo affiorare di un senso dei diritti individuali e di gruppo: diritti fortemente radicati — come vedremo — nel senso di responsabilità e di accudimento, ed espressi attraverso un linguaggio che in parte assimila la funzione di priora all’interno del convento a quella di madre entro la famiglia. Il linguaggio e la terminologia del potere esprimono infatti una specifica qualità di genere, che di nuovo enfatizza la circolarità dei ruoli e delle funzioni all’interno come all’esterno dell’aggregato domestico. Sono innanzitutto le donne sole e che occupano una posizione di prestigio nelle comunità familiari e conventuali, le vedove e le priore, a gestire in prima persona il rapporto con il potere laico ed ecclesiastico, trovandosi a fronteggiare da un lato i funzionari statali preposti alla tutela dei minori (Ufficiali dei Pupilli, Couft of Wards ecc.) o i superiori nella gerarchia ecclesiastica (vescovi, priori), mediando nel contempo le istanze, le richieste, le aspettative espresse dai gruppi di appartenenza (figli, consorelle). Siamo qui posti di fronte ad un processo di lunga ed ampia portata, tendente a far confluire l’espressione della protesta e del diritto verso le istanze istituzionali accentrate, laddove, in età medievale, questa era frammentaria e dispersa in direzioni diverse: castelli, ordini, province, ceti. C. Tilly, nella sua analisi della formazione degli Stati europei nella prima età moderna, ha così sintetizzato il ma-

nifestarsi di un’embrionale volontà politica: «Di fatto, piuttosto che pensare a diritti astratti che siano applicati (o violati) dagli Stati, sarebbe molto più illuminante pensare ai diritti politici in quanto rivendicazioni che vincolano gli agenti dello Stato a specifici gruppi della popolazione. Questi sono diritti politici in senso lato — politici per il fatto che essi rappresentano un vincolo per gli agenti governativi

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invece che per qualsiasi altro gruppo». Non è certo questo il luogo per approfondire tematiche di questa portata, ma basti qui sottolineare quanto sia importante far affiorare dalla documentazione le richieste, le rivendicazioni e le reazioni di difesa espresse dalle donne nei confronti delle istituzioni, entro una dialettica che interpreti i rapporti fra Stato e società nei termini di reciproco condizionamento. Negli ambiti in cui sono presenti ed attive, le donne sono agenti sociali portatori di senso: le richieste e le pressioni che mettono in atto nei confronti dei rappresentanti del potere civile ed ecclesiastico mettono in luce quelle che alcuni scienziati sociali definiscono «razionalità ed etiche multiple» finalizzate a strategie circostanziate”. In questo senso, le istituzioni fungono da terreno di scontro e di elaborazione di norme e comportamenti differenziati: significativi sono, in questo contesto, i casi di Angelica Baitelli e Clara Staiger, dove emerge prepotentemente il tema dell'autonomia delle comunità femminili, radicata nel riconoscimento di diritti specifici, sostenuti e difesi in nome della collettività nei confronti dei superiori ecclesiastici. Ambedue sono infatti sollecitate a scrivere da istanze comunitarie assunte consapevolmente: sullo sfondo di uno scenario politico assai diverso — la guerra dei Trent'anni per la priora tedesca ed una so-

stanziale modificazione giuridico-istituzionale nella vita del proprio convento per la bresciana Angelica — le due donne si fanno esplicitamente portatrici dei tradizignali diritti di autonomia delle comunità religiose cui appartengono. 6 C. Tilly (a cura di), La formazione degli Stati nazionali nell'Europa occidentale, Bologna 1984, p. 39. I rapporti fra madri vedove e Stato per la custodia dei figli sono in: B.A. Hanawalt, Widows, Wards and the Weak London Patrilineage, relazione presentata al convegno «Matrilineality and Patrilineality in Comparative and Historical Perspective», University of Minnesota, 1-3 maggio 1992; G. Calvi, Dal margine al centro: soggettività femminile, famiglia, Stato moderno in Toscana (XVI-XVII sec.), in Discutendo di Storia. Soggettività, ricerca, biografia, Torino 1990, pp. 103-118; per il rapporto conventi-società cfr. G. Zarri, Monasteri femminili e città (secoli XV-XVIII), in Storia d’Italia. Annali. La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all’Età Contemporanea, Torino 1986, pp. 357-429. ee Gilligan, Con voce di donna. Etica e formazione della personalità, Milano

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Famiglia e convento costituiscono dunque le forme consociative primarie, elementari, nella vita delle donne di età

barocca. Non è un caso che laddove la Riforma protestante cancella sia le forme e i luoghi, che le rappresentazioni simboliche della vita religiosa femminile, proponendo alle donne di ogni ceto il solo ruolo di moglie, si apre un vuoto che rimane a lungo incolmabile8, una nostalgia per le forme dell'autonomia cattolica ben compendiata dal progetto di un «protestant monstery» ideato da Mary Astell alle soglie del Settecento. Le donne al centro di queste pagine si muovono dunque prevalentemente entro i due perimetri della famiglia e del convento: ambiti per nulla contrapposti o isolati gli uni rispetto agli altri, ma, al contrario, uniti da un fitto scambio di funzioni. E dentro le mura dei chiostri che le bambine vengono messe «in serbanza» ed educate; che tessuti e doni di apparato vengono confezionati per le occasioni festive del gruppo familiare; che le mogli separate, le vedove e le «periclitanti» vengono rinchiuse quando la famiglia delega al convento una periodica funzione di correzione e sostegno delle proprie donne rimaste sole; è qui, infine, che vengono relegate le monacate senza vocazione,

estromettendole dal mercato matrimoniale. La dinamica interna alla famiglia aristocratica affiora dalle pagine del carteggio fra Orazio Spada e sua moglie, Maria Veralli. Da questa fonte si profila — in contrasto con la trattatistica matrimoniale dell’epoca — la centralità del ruolo materno nell’educazione dei figli, ma anche la funzione mediatrice di Maria, che promuove gli interessi familiari intervenendo attivamente, seppur in modo informale, nei luoghi della politica. Ampliando lo sguardo ad altri ménages dell’aristocrazia romana, si delinea una fun8 N.Z. Davis, Donne di città e mutamento religioso, in Le culture del popolo, Torino 1980, pp. 91-129; S. Ozment, Wber Fathers Ruled. Family Life in Reformation Europe, Cambridge (Mass.)-London 1983; L. Roper, The Holy Household. Women and Morals in Reformation Augsburg, Oxford 1989; W. Monter, Hi in the Age of Reformations, in Bridenthal, Koonz, Stuard (a cura di), Becoming Visible, cit., pp. 200-219.

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zione specifica delle donne che, proprio per il loro essere escluse dalle transazioni matrimoniali e dai negoziati patrimoniali gestiti dagli uomini, ricoprono tuttavia un ruolo essenziale, che è quello della pressione, del sondaggio, della diplomazia informale entro un «gioco di squadra» che attribuisce ad ognuno parti e compiti precisi?. Entro la struttura verticale del sistema patrilineare si profila così, e non solo nella famiglia aristocratica, l’importanza della linea materna, che si rende visibile nei momenti di crisi e di passaggio attraversati dal gruppo: il raggiungimento dell’età adulta dei figli maschi ed il loro inserimento nella vita pubblica (è il caso di Maria Veralli); la morte del marito e l’assunzione di tutela della vedova sui figli minori (è il caso di Jeanne de Chantal); il matrimonio delle figlie femmine (di nuovo Jeanne de Chantal). Tutti questi snodi attivano strategie, mettono in risalto scelte e modalità d’uso delle istituzioni non più confinate entro una presunta fissità esterna, ma assimilate al gioco delle razionalità e degli interessi in campo. Alcuni recenti indirizzi di ricerca hanno iniziato ad indagare queste strutture orizzontali che segnano la presenza della linea materna nella formazione e nella trasmissione dell’ethos familiare, scomponendo la rigidità giuridico-formale del patrilignaggio. Seppure in modo più periferico, anche la corte e il mercato sono cellule comunitarie che strutturano la vita delle donne, i loro percorsi biografici, le strategie sociali complessive di cui esse sono pedine, ma anche protagoniste, muovendole a scrivere. In ognuno di questi ambiti, in ognuno di questi rapporti le donne in questione stabiliscono relazioni di dipendenza, ma non di sottomissione. Il nesso con le istituzioni (familiari, ecclesiastiche, politiche) è retto piuttosto da una serie di aspettative reciproche, che

muovono da istanze di protezione/tutela e responsabili-

? R. Ago, Giochi di squadra: uomini e donne nelle famiglie nobili del XVII secolo, in M.A. Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri nell'età moderna, Roma-Bari 1992, pp. 256-264.

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tà/accudimento (Angelica Baitelli, Clara Staiger, Elisabeth Strouven, Jeanne de Chantal) fino alla cosciente e concreta elaborazione dei propri diritti e all'opposizione esplicita nei casi in cui le aspettative vengano meno o siano minacciate (Eleanor Davies, Lucrecia de Leén, Mary Astell). Le paro-

le scritte dalle autrici ci introducono dunque entro ra di pratiche relazionali fatte di compensazioni informali, non certo di acquiescenza all’autorità o subalternità. Tutti questi rapporti — in famiglia,

una sfee poteri di mera in con-

vento, a corte, nel mercato, e a contatto con il direttore

spirituale — hanno attivamente richiesto un investimento reciproco, e la scrittura lascia affiorare questi patti impliciti che sanzionano l’appartenenza e la partecipazione del singolo alle istanze di relazione. Scrittura e identità

Se dunque i testi scritti esprimono la coscienza e la necessità di una relazione con il proprio universo di appartenenza, è ugualmente vero che essi lasciano affiorare delle soggettività individuali. Tutte le protagoniste di questi saggi, indipendentemente dall’origine sociale, dalla provenienza geografica e dal credo religioso, presentano tratti individuali ben precisi. Eppure, più che di autrici, si tratta di presenze femminili che attribuiscono valore di parola scritta ad uno spazio, ad un perimetro di esperienze — ad un «discorso» — che non possiamo considerare come esclusivamente espressivo del loro singolo percorso biografico. In questo senso, il linguaggio dei testi suona come un linguaggio comune alle moltissime donne anonime che hanno occupato spazi analoghi e vissuto entro contesti simili. Il convento di Angelica Baitelli e Clara Staiger, la bottega di Artemisia Gentileschi, la famiglia di Maria Spada Veralli, la corte di Lucrecia de Le6n racchiudono elementi tipici,

esperienze condivise da altre e presenti non solo nei rari

Mémoires femminili (si pensi alle due sorelle Mancini, a Ca#

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Introduzione

milla Faà Gonzaga, a Gliickel di Hameln), ma anche in quei

vividi schizzi autobiografici che alcune donne hanno abbozzato, presentandosi di fronte ai tribunali inquisitoriali e criminali!°, Il sé femminile che si profila in queste pagine riflette, a mio avviso, una soggettività condizionata, che si esprime

non contro, ma attraverso la rete delle appartenenze e dei legami. L’autobiografia dell’olandese Elisabeth Strouven è qui l'esempio più illuminante: perfino il ritmo della sua scrittura è modellato sull’intensificarsi, il perdersi o l’interrompersi traumatico dei legami affettivi e spirituali, mentre la motivazione profonda a superare le proprie resistenze al racconto di sé muove dall’interazione autorevole e feconda col proprio confessore, che la costringe a scrivere. Natalie Z. Davis, interrogandosi sull’utilità euristica del concetto di individuo nella Francia del XVI secolo, ha ribaltato il classico assioma burckhardtiano che lega la modernità all'emergere ed all’affermarsi dell’individuo, sottolineando come il radicamento («embeddedness»), soprattut-

to per le donne, non solo non abbia precluso, ma al contrario abbia favorito l’autoanalisi e la scoperta di sé!!. Appartenere significava infatti anche essere di, essere posseduti da, entro una concezione fisica e spirituale del corpo aperto e permeato di presenze, influssi, voci diaboliche o divine. La profetessa inglese Lady Eleanor Davies aderisce bene a questa percezione del sé in relazione osmotica cop l’esterno: la voce che, entrando in lei, la muove a scrivere, sconfina dal perimetro aperto del suo corpo in travaglio a quello della sua famiglia e dell'Inghilterra insanguinata dalla guerra civile. Il 1° A. Jacobson Schutte, Un caso di santità affettata: l'autobiografia di Cecilia Ferrazzi, in G. Zarri (a cura di), Finzione e santità tra Medioevo ed Età moderna, Torino 1991, pp. 329-342; E.S. Cohen, La verginità perduta: autorappresentazione »penso donne nella Roma barocca, in «Quaderni Storici», XXIII, 1988, pp.

1! N.Z. Davis, Boundaries and the Sense of Self in Sixteenth Century France, in Reconstructing Individualism. Autonomy, Individuality and the Self in Western Thought, Stanford 1986, pp. 53-63; C. Gilligan, Remapping the Moral Domain: New Images of Self in Relationship, ivi, pp. 237-252. i

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suo immaginario biblico, i suoi giochi di parole fondono in un'unica voce l’esperienza circoscritta del suo corpo con la verità delle visioni. L’io, la soggettività sono dunque istanze relazionali che si definiscono all’interno di una serie di appartenenze reali e simboliche: la famiglia, il ceto, la comunità religiosa e geografica, gli ascendenti e i modelli mitici. Angelica Baitelli e Clara Staiger, lo abbiamo già osservato, legano inestricabilmente l’espressione della propria identità all'autonomia del gruppo cui appartengono ed è l’uso indifferenziato del «noi» e dell’«io» che segnala l’intreccio fra queste due dimensioni. Angelica Baitelli, aristocratica dotta, scrive gli Annali del proprio convento e traduce dal latino in volgare, perché le consorelle possano materialmente servirsi del suo testo per difendersi dalle ingerenze del potere vescovile. Clara Staiger, priora, maneggia invece con

difficoltà la penna e scrive in un tedesco intriso di inflessioni dialettali e vicino alla lingua parlata. Il suo diario è un brogliaccio che raccoglie conti, ricette e ricordi — assai simile, dunque, a quei Libri di famiglia che qualche vedova ha tenuto con analoghe preoccupazioni: il benessere e la sopravvivenza di un gruppo familiare di cui, rimasta sola, era responsabile!2. Clara, nella tragedia della guerra dei Trent’anni, occupa una posizione di potere che sa descrivere ricorrendo alle immagini dell’accudimento materno e non a quelle della gerarchia, o dei diritti astratti e universali. Angelica radica la propria capacità di storica, consapevolmente acquisita, all’interno di un processo di individuazione che non avviene per contrapposizione, ma, come per molte sante, sulla traccia di un modello femminile mitico (S. Giulia)

che si configura, anch'esso, in base ad un'immagine di appartenenza filiale/materna. Anche le due figure in apparenza più svincolate dal legame con la comunità, Artemisia 12 G. Calvi, Maddalena Nerli e Cosimo Tornabuoni: comportamenti domestici e affettivi (XVI-XVII sec.), in Visceglia (a cura di), Signori, patrizi, cavalieri, cit., pp. 265-276. Cfr. anche una versione più estesa in G. Calvi, Maddalena Nerli and Cosimo Tornabuoni: a Couple’s Narrative of Family History in Early Modem Flo-

rence, in «Renaissance Quarterly», XLV, 1992, 2, pp. 312-338.

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Gentileschi e Mary Astell, capaci di guadagnarsi da vivere col proprio lavoro, acquisiscono il senso del proprio valore rispetto al mercato delle opere d’arte ed editoriale, attraverso una sofferta mediazione fra la loro solitaria eccezionalità ed un indispensabile radicamento emotivo nella famiglia e nel gruppo di amiche, che si costituiscono anche come comunità artistica e intellettuale. Significativamente è qui che Artemisia e Mary vengono in primo luogo «riconosciute» — la prima dal padre, la seconda dalle amiche —, mentre, soprattutto per Artemisia, il rapporto con i com-

mittenti si colora di toni protettivi e velatamente compassionevoli, non riuscendo mai ad acquisire l’espressione di un apprezzamento pieno delle sue capacità artistiche. Per le nove donne di cui qui si discute il tema della comunità è dunque centrale, ed è rispetto ad essa che la scrittura prende forma: per costruirla (Jeanne de Chantal), difenderla (Clara Staiger, Angelica Baitelli), sostentarla (Ar-

temisia Gentileschi), garantirne la prosecuzione e l’inserimento nel mondo sociale e politico (Maria Spada Veralli),

trarne appoggio (Mary Astell). Familiare, conventuale, amicale, il gruppo di appartenenza è il passaggio ineliminabile alla definizione di sé. Nel caso delle due profetesse Lucrecia de Leén e Lady Eleanor Davies, lo è anche per contrasto. Ambedue intraprendono un percorso di emancipazione rischiosa e solitaria rispetto alla famiglia e alla corte, di cui criticano la degenerazione. Anche qui le metafore della parentela strutturano il mondo della vita pubblica e politica: per Lucrecia, che proietta il rapporto conflittuale col padre in quello col re che è ingiusto verso il popolo spagnolo, così come il padre di Lucrecia lo è stato verso di lei, mancando di versarle la dote; per Eleanor, che trasforma l’infelicità

coniugale e l’avversione per i due mariti in profezie di sventura contro Carlo I d’Inghilterra e la famiglia reale. Anche qui le aspettative e i diritti (non rispettati) danno voce ad

un privato che diventa pubblico, modellando il linguaggio della profezia politica coi toni dell’esperienza personale e domestica.

Introduzione

XXI]

Scrittura, integrazione sociale, comportamenti

Un dibattito storiografico ampio, consolidato e a tutt'oggi vivace riconosce all’onda lunga della crisi sociale che attraversa l'Europa fra il 1590 e il 1680 durata, pervasività e parziale autonomia rispetto alle congiunture del ciclo economico ed alla ripresa generalizzata della guerra. La crisi sociale si focalizza su aspetti specifici e produce un’alterazione dei valori e dei corrispondenti modelli di comportamento che si irrigidiscono entro codici austeramente imposti dall’alto. P. Burke ha sintetizzato con l’espressione «trionfo della Quaresima» la tendenza, comune a tutta l’Europa cattolica e riformata, verso una confessionalizzazione forzata delle popolazioni rurali e dei ceti popolari delle città, accompagnata da una moralizzazione della vita civile, purgata della sua componente ludicamente trasgressiva!3. La cultura e la società occidentale della prima età moderna sono tutte percorse da questo progetto di eterodirezione dei comportamenti sociali e di disciplinamento dei culti e delle forme della devozione. In questo senso J. Delumeau ha sotto| lineato la forte similarità fra le politiche religiose protestanti e cattoliche miranti a porre bruscamente fine ad un millennio di tentativi di assimilazione del paganesimo, con un attacco massiccio contro l’«idolatria» e la «superstizione»!4. La scolarizzazione primaria di maschi e femmine si espande | dunque con analoghi obiettivi di controllo sugli aspetti di sé ritenuti non omologabili ed è orientata ad un’attenzione acuta per le pratiche, i comportamenti, i modelli. Il tenta| tivo di inquadrare individui e gruppi, di imporre modelli che regolano l’aspetto esteriore e quello intimo, le buone maniere a tavola, in società e sul letto di morte suscitano una | sensazione di oppressione e di angoscia diffuse, che l’opera

di N. Elias!5 ha eloquentemente messo in luce: la distinzione |__5 P. Burke, Cultura popolare nell'Europa moderna, Milano 1978. © ‘14 Cit. in Monter, Women in the Age of Reformations, cit:pe212) | 15 N. Elias, La civiltà delle buone maniere, trad. it., Bologna 1982. #

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Introduzione

SEXI

che regge la gerarchia richiede infatti l’elaborazione continua di norme sociali che mantengano le distanze fra i ceti, producendo evidenti effetti di malessere e di più o meno aperta opposizione. L’ossessione tutta barocca per i rituali

sociali, le disquisizioni sulle precedenze e l’onore esteriore del rango evidenziano un’ansia di miglioramento, di elevazione nella scala gerarchica e producono trasformazioni nei rapporti e nei vincoli che uniscono gli individui fra di loro. Inevitabilmente, infatti, l’ideologia e la pratica del disciplinamento sociale comportano alterazioni di diversa intensità nei processi di integrazione degli individui, ed il pericolo di destabilizzazione nasce proprio dall’incompiutezza di questo processo, che lascia inassimilati alcuni gruppi sociali: i poveri, i malati, i nati senza lignaggio, le donne. In quest’ottica, A. Mac Farlane e K. Thomas hanno interpretato l’ossessione diabolica e la caccia alle streghe come fenomeni interni ad una strategia che mira a eliminare i non integrabili perché maggiormente esposti ai processi di razionalizzazione economica (il passaggio dalla carità privata all'assistenza pubblica) e meno tutelati dalla famiglia e dall’ideologia patriarcale: le donne nubili e le vedove!6. Rispetto alla storiografia che dell’età barocca dà una visione sostanzialmente statica, conservatrice e autoritaria,

ci preme insistere su quest’interpretazione attenta alle con-

notazioni più specificamente culturali e comportamentali, che assimila il mutamento sociale ai processi di integrazione delle minoranze e dei soggetti deboli. La spinta all’integrazione si combina e si accompagna infatti con la complessiva elaborazione di un sistema «esterno di criteri di legittimazione, radicati nella pratica dell’esistenza e motivati in modo sempre più ‘legale’»!7. La tensione che attra16 A. Mac Farlane, Stregoneria in Inghilterra fra il 500 e il 600, in M. Roma-

nello (a cura di), La stregoneria in Europa, Bologna 1975, pp. 235-262; K. Tho-

mas, Problemi sociali, conflitti individuali e stregoneria, ivi, pp. 202-234; Monter, Sranen nee Si vReomacoe cit., pp. crea .

Schiera,

Lo Stato moderno eil rapporto disciplinamento/legittimazione, in

«Problemi del Socialismo», V, 1985, p. 118,

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Introduzione

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versa la società post-tridentina si esprime dunque sotto forma di uno sforzo «di adattamento degli uomini (come sin-

goli e come gruppi consociati) alla necessità di vita uniforme, astrattamente regolata dall’esterno e della capacità dei governanti di procedere in modo convincente all’inventariazione, raccolta, omologazione,

razionalizzazione delle

pratiche di vita individuali e di gruppo riconosciute e proposte come socialmente accettabili»!8, Il movimento che attraversa le società secentesche è stato efficacemente interpretato nei termini di una «sociologia delle aspirazioni»!?, che porta a considerare il Barocco come una cultura ed un sistema di comunicazione fortemente attratto dal comportamentismo, dall’analisi della condotta umana «così come può essere osservata dagli altri». I due piani di questo comportamentismo si situano nella conoscenza di sé (La Bruyère) e nell’apprendimento di regole tattiche che consentono di adeguarsi alla realtà, conformandosi ai modelli proposti dall’alto. Già nel Galateo di monsignor della Casa vengono poste in primo piano le virtù mediane, che facilitano la vita di relazione e si apprendono con l’esercizio e la disciplina, in vista della loro utilità sociale. Ma | la nozione di imitazione di un modello comporta di per sé

una definizione di devianza, di non conformità, e questo | discrimine fra virtù e vizio, fra verità e falsità struttura e attraversa, come ha scritto G. Zarri, tutti gli status propri di una società gerarchica che vuole evitare mesalliances. Si distingue infatti non solo fra «vera» e «falsa» religione, ma tra «vere» e «false» vergini, tra «vere» e «false» vedove, «veri» e «falsi» mendicanti. Tale distinzione diviene impellente nell'ordine sociale quando il processo di aristocratizzazione e pauperizzazione conduce alla costituzione di una gerarchia chiusa che prevede l’inclusione del vero e l’esclusione del falso?0.

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18 Ibid.

19 J.A. Maravall, La cultura del Barocco, trad. it., Bologna 1984. 20 G. Zarri, «Vera» santità, «simulata» santità: ipotesi e riscontri, in Id. (a cura |di), Finzione e santità, cit., p. 15.

Introduzione

XXIV

L’attenzione verso la morale pratica del vivere quotidiano si declina così entro un codice sociale che oppone verità e falsità, nella consapevolezza che l'imitazione dei modelli si attua anche lungo il crinale ambiguo della finzione. L’accentuazione del versante comportamentale si avverte anche nella diffidenza per gli eccessi interiori che — così suggerisce Jeanne de Chantal alle consorelle — vanno tenuti a freno con l’esercizio delle «virtù grige», una pratica delle relazioni reciproche capace di addomesticare con la «moderazione» quegli impulsi che, sottratti alla presunta tentazione diabolica, vengono ora prosaicamente ricondotti alla propria costituzione naturale. È noto come nell’ambito del pensiero politico il dibattito sul tacitismo e la ragion di Stato sfoci nella teorizzazione della simulazione, accompagnata da una prassi che esalta la prudenza e la discrezione; sul versante ecclesiastico, il modello di santità approvato si definisce tale rispetto al suo opposto, la santità «affettata» o simulata. A partire dalla fine del XVI secolo, la simulata santità (caratterizzata

dalla persistenza del modello mistico) diviene una «categoria specifica di repressione inquisitoriale» volta a disciplinare l’ampia gamma di comportamenti superstiziosi?2!. Nella pratica inquisitoriale e nella trattatistica, la simulazione diventa un attributo specificamente femminile, potremmo anzi dire una qualità di genere. Ma è proprio partendo dai

comportamenti simulati in campo politico,.sociale e religioso, che possiamo scomporre l’immagine di un Seicento conformista e statico. Già R. Villari osservava che la simulazione era il codice che traduceva le istanze di critica al potere, una delle vie «tortuose e difficili attraverso le quali i tentativi di resistenza [...] erano obbligati a passare»?2, In questo senso, la simulazione non è solo interpretabile dall’alto, come espressione del «dirigismo» di una società in 21 A, Prosperi, L'elemento storico nelle polemiche sulla santità, ivi, pp. 88-118.

22 R, Villari, Elogio della dissimulazione. La lotta politica nel Seicento, RomaBari 1987, p. 8.

Lee

Introduzione

XXV

crisi che si scopre società di massa, ma come linguaggio attraverso cui esprimere il conflitto, la dissidenza.

Credo sia interessante chiedersi se gli stereotipi dell’ignoranza e della bassezza, che percorrono quasi tutti gli scritti qui proposti, non siano anch'essi interni ad una retorica della simulazione manipolata dalle donne. L’onnipresente denuncia della riluttanza a scrivere per via della propria natura femminile inadeguata a tale compito si pone, infatti, da un lato entro una «cultura del silenzio» transnazionale e transconfessionale rivolta a tutte le donne, ma dall’altro è parte di un più ampio contesto di simulazione civile e religiosa. Le biografie qui tracciate ci pongono costantemente di fronte a personalità ambivalenti: Angelica Baitelli è stata la portavoce delle istanze di autonomia del suo convento o un’insubordinata sospetta di possessione diabolica? Lucrecia de Leén era una visionaria o un’astuta simulatrice? Lady Eleanor Davies era il Daniele delle Scritture o un’arrogante aristocratica insofferente dei suoi doveri? Elisabeth Strouven soccorreva i malati e i bambini per amore o per affermare la propria superiorità, soddisfacendo — si direbbe oggi — il suo narcisismo? Clara Staiger | è stata obbediente o proterva nei confronti del suo superiore? L’ambivalenza che circonda la maggior parte di questi profili di donne si rende visibile soprattutto nel rappor| to con l’autorità, ed è qui che s’infittiscono da un lato le accuse di doppiezza, ma dall’altro la soggettiva capacità di | manipolare i luoghi comuni della misoginia tradizionale. Scrivono, affermando di non saperlo fare; resistono alle direttive dei superiori, adducendo la propria ignoranza delle pi sole; criticano il potere, servendosi del sogno e della vi| sione; si adeguano esteriormente al proprio status, per sce| gliere la libertà interiore. Gli stereotipi vengono manipolati e sono una risorsa nel «teatro» dei ruoli e delle funzioni, e forse servono anche a difendersi dalle ingerenze e dai

da

controlli.

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dalle apparenze, vi sba-

XXVI

Introduzione

glierete spesso: quel che appare non è mai la verità»??: con queste parole la futura principessa di Clèves viene introdotta da sua madre alla frequentazione della corte, che si traduce ipso facto in capacità di autorappresentarsi nel gioco della simulazione e del disvelamento. C’è forse un tracciato sotterraneo e tutto da decifrare che collega una retorica della simulazione femminile dall’esperienza della corte a quella della famiglia aristocratica e del convento, per sedimentare poi nella scrittura? Il filo della finzione che protegge dagli sguardi indiscreti dei cortigiani e dei servi regge tutti iMémoires (1675) di Ortensia Mancini, nipote del car-

dinal Mazzarino, che così ricorda il proprio apprendistato alla vita devota: «Se non lo fate per Dio — le diceva lo zio cardinale — fatelo per la gente». Relegata temporaneamente in convento con un’altra dama, per via dei dissidi con suo marito, Ortensia racconta divertita gli scherzi che facevano alle monache le quali, a suo dire, si scandalizzavano

«come se fossimo state là per osservare la loro regola»?4. Ortensia rifiuta di simulare un’obbedienza che, lo si comprende indirettamente, era invece ritenuta la norma. Il convento, scrive Arcangela Tarabotti nel suo Inferzo m0nacale, è — come la corte — un «laberinto» di inganno e simulazione. I Ricordi di Maria Mancini (1678)?, sorella di Ortensia, muovono dall’intento di stabilire la verità sul-

la propria vita, contro le falsità che su di lei vengono fatte circolare negli ambienti vicini alla corte francese; e Camilla Faà Gonzaga scrive nel 1622 «il racconto della mia infelice tragedia», pur «non essendo questo il mio mestiere», per ristabilire la verità sulla propria vicenda alla corte di Mantova. Eppure, convinta che «la verità suole partorire degli

2 Cit. ivi, p. 21. 24 O. Mancini, duchessa di Mazzarino, I piaceri della stupidità, a cura di D.

Galateria, Palermo 1987, pp. 18, 38 (titolo originale: Mémoires D.M.L.D.M. [de Madame la Duchesse de Mazarin], 1675). 25 M. Mancini connestabile Colonna, I dispiaceri del Cardinale, a cura di D. Galateria, Palermo 1987 (titolo originale: Apologie, ow les véritables mémoires de madame la Connétable de Colonna Maria Mancini, éctris par Elle-méme, 1678); F. Medioli, L’«Inferno monacale» di Arcangela Tarabotti, Torino 1990.

Introduzione

XXVII

odi», supplica che la «presente scrittura non sia veduta» e sceglie di apparire muta agli occhi del mondo, di simulare il silenzio. All’opposto, la vicenda di Elisabeth Strouven (ma anche

di Lucrecia de Len e Eleanor Davies) ribalta il rapporto fra scrittura, autobiografia e verità: la simulazione non è più solo un comportamento, ma una dimensione interiore, che

può produrre false voci e false visioni. Il tormentato racconto della sua vita germina, per Elisabeth, dalla confessione generale al proprio padre spirituale che opera il vaglio fra vero e falso. E il confessore ad indicarle ciò che deve includere o escludere in modo che il testo si conformi ai modelli. di santità tridentini, lontani da ogni enfasi mistica. Anche il dettato visionario di Lucrecia viene manipolato da chi, con la penna in mano, ne raccoglie la voce. Il rapporto di potere attribuito alla scrittura è quindi rovesciato, ed è chi ascolta o chi legge a dettare le regole del testo. Se dunque per le sorelle Mancini e Camilla Faà Gonzaga il racconto di sé s’identifica con il disvelamento delle maschere e dei giochi del potere, per Elisabeth è, al contrario, segno della propria obbedienza, della propria capacità di autocensurarsi accettando le forme del controllo ecclesiastico. La scrittura delle nove donne qui presentate oscilla fra

questa doppia polarità: da un lato, quale che ne sia la sollecitazione originaria, è espressione di autonomia, ma dall’altro è indice di accettazione, di adeguamento ad un modello esterno. Il loro costituirsi come soggetti si forma attraverso questa transazione implicita. Il senso di sé che | queste donne prepotentemente ci comunicano, da una parte e dall'altra delle barriere confessionali, politiche e geografiche, nasce comunque all’interno di queste «storie par| ticolari» e dei perimetri stretti di appartenenza che le . hanno ispirate e sollecitate. Da questo radicamento comunitario nasce la spinta verso la parola e l'affermazione di sé, idii

| attraverso un’identificazione primaria con i diritti della co-

— munità di appartenenza.

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BAROCCO AL FEMMINILE

LUCRECIA DE LEON, LA PROFETESSA di Richard L. Kagan

Lucrecia de Leén visse a Madrid alla fine del XVI secolo. Ancor prima di aver compiuto ventidue anni, feceuna serie sorprendente di sogni profetici che dettò al suo confessore. I «registri dei sogni», che contengono le trascrizioni di più di quattrocento visioni oniriche registrate nell’arco di due anni e mezzo, sono praticamente unici negli annali della storia medievale e della prima età moderna. Eppure, per quanto oggi possa sembrare incredibile, questi sogni contribuirono direttamente all’arresto di Lucrecia da parte dell’Inquisizione spagnola nel maggio del 1590. Il Sant'Uffizio, infatti, arrivò a descriverla come una «madre di profeti» che, «sin da giovane... cominciò a sognare e fece molti sogni in cui sosteneva le fosse apparsa la Santa Trinità, insieme con Dio stesso, il Nostro Signore Gesù Cristo, Mosè, Ezechiele e le vergini celesti». Fu accusata anche di aver avuto «visioni di guerra e di pace, di piacere e di terrore, insieme ad altre di cose belle e brutte a venire». Tra i crimini di cui Lucrecia fu accusata, vi furono l’empietà, la falsità, il sacrilegio e la sedizione. . Chiera questa giovane «madre di profeti»? E perché i sogni avrebbero dovuto portare al suo arresto? In questo breve saggio, mi propongo di presentare Lucrecia e di offrire un accenno ai contenuti dei suoi sogni, per poi concludere con qualche osservazione sulle varie interpretazioni possibili di questa peculiare vicenda onirica. Non è nel mio intento, tuttavia, usare questi sogni al fine di elaborare una psicobiografia. Piuttosto, il mio approccio consiste nelpa

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Barocco al femminile

l’esaminare le visioni oniriche di Lucrecia come glosse a margine degli eventi storici del suo tempo. Una carriera profetica

Lucrecia de Leén nacque a Madrid, il cuore della monarchia spagnola, nell’ottobre del 1567. Figlia maggiore di Alonso Franco de Le6n, un procuratore, e di sua moglie Ana Ordofiez, visse, da ragazza, vicino alla città nella parrocchia di San Sebasti4n, un distretto dalla struttura sociale eterogenea, in cui risiedevano svariati negozianti e artigiani, nobili, ufficiali vicini alla corte di Filippo II e scrittori eminenti come Cervantes e Lope de Vega. Era un circondario vivace, affaccendato, e la finestra dell’appartamento al piano terra della sua famiglia avrebbe offerto alla giovane Lucrecia un punto di osservazione sul continuo andirivieni di gente che andava dalla Calle de Atocha alla Plaza Mayor. Sempre in zona, c'erano il convento di La Magdalena, un istituto agostiniano specializzato nella conversione delle prostitute, e la chiesa del distretto. A poca distanza si trovava la Plaza di Antén Martîn, col suo ospedale, un’istituzione specializzata nelle malattie contagiose, e la Calle de Principe, sede di uno dei primi teatri, o corral de comedias della capitale. Sappiamo relativamente poco dei primi anni di Lucrecia a San Sebastian, ma i suoi sogni e alcune delle prove presentate in seguito al processo inquisitorio contro di lei indicano che la sua educazione non si conformava al tipo di vita ritirata, quasi claustrale che gli educatori del XVI secolo prescrivevano abitualmente alle ragazze. Per fare un esempio, la pratica legale di suo padre la portava a contatto con un ampio spettro della società madrilena, compreso un certo numero di individui collegati alla corte del re Filippo. Alonso Franco, la cui clientela annoverava diversi banchie-

ri genovesi con interessi nelle finanze reali, fu responsabile anche di aver introdotto Lucrecia, forse troppo presto,

R.L. Kagan

Lucrecia de Le6n, la profetessa

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agl’intrighi della politica reale; inoltre, la sua posizione critica nei confronti della politica finanziaria del re produsse, a quanto pare, un'impressione profonda e durevole su di lei. Pare che Lucrecia nutrisse ammirazione per suo padre e che certamente lo rispettasse, ma vi sono anche dei segni che suggeriscono un deterioramento del loro rapporto man mano che lei cresceva. La pratica legale rendeva necessario che Alonso Franco rimanesse lontano dalla sua famiglia per lunghi periodi di tempo, lasciando Lucrecia a far fronte, insieme alla madre, alle questioni domestiche, e ad accu-

dire gli altri bambini, le tre sorelle più giovani e un fratellino. A complicare ulteriormente le cose dovette esserci il fatto che Alonso Franco non riusciva a guadagnare abbastanza o, perlomeno, non quanto Lucrecia e Ana Ordofiez avrebbero desiderato. La famiglia era alloggiata e nutrita in maniera decorosa; di certo, non era povera. Ciononostante, nei suoi sogni, Lucrecia criticava suo padre per es-

sere stato incapace di provvedere sufficientemente ai bisogni della famiglia e, soprattutto, per non averle fornito una dote adeguata. Un altro motivo di tensione tra padre e figlia era rappresentato proprio dagli insoliti sogni di Lucrecia. Alonso Franco puniva Lucrecia perché ne parlava: evidentemente temeva che potessero attrarre l’attenzione dell’Inquisizione e quindi mettere a repentaglio la sua carriera e la reputazione della famiglia. Una volta, in un drammatico scontro con Lucrecia, Alonso Franco proferì un’allarmante minaccia: «Figlia, nessuno nella mia famiglia ha mai creduto alle superstizioni, perché i sogni sono soltanto sogni e, se tu credi in essi, ti farò uccidere». Il rapporto di Lucrecia con sua madre era decisamente più tranquillo. Come suo marito, anche Ana Ordofiez si preoccupava per i sogni di sua figlia, ma questo non le im-

pedì mai di parlare di quelli che lei definiva le nifierias («bambinate») di Lucrecia con i vicini e gli amici. Inoltre, non appena importanti uomini di Chiesa e cortigiani si accorsero di Lucrecia e cercarono di farsi trascrivere i suoi sogni, Ana divenne una fervida sostenitrice di sua figlia,

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Barocco al femminile

incoraggiandola attivamente e promuovendone la carriera profetica. All’inizio di febbraio del 1588, per esempio, quando Lucrecia espresse alcune riserve sul fatto che i suoi sogni venissero trascritti, Ana parlò con lei «esortandola risolutamente a non aver paura», e dicendole di «continuare a sognare». Ana Ordofiez fu anche la principale responsabile dell'educazione di Lucrecia, o meglio, di quel minimo d’educazione che sua figlia ricevette. Era poco istruita e, a quanto pare, non si sforzò molto d’insegnare a Lucrecia a leggere o a scrivere. In ogni caso, sorvegliò da vicino il benessere spirituale di sua figlia, allevandola nell’osservanza della fede cattolica e facendola partecipare regolarmente a pii pellegrinaggi verso vari santuari di Madrid e dintorni. Pertanto, da adolescente, Lucrecia ebbe l'opportunità di visitare gran parte della capitale e dei suoi sobborghi, e la sua conoscenza della città si riflette vividamente nelle ossessio-

nanti immagini di diverse scene di vita madrilena che popolano i suoi sogni: danzatori nella Plaza Mayor; penitenti che marciano lungo la Calle de Atocha; donne che raccolgono erbe sulle sponde del Manzanarre; e, più banalmente, la scimmietta seduta alla finestra della casa di un vicino. Tuttavia, a diciassette anni circa, Lucrecia ebbe un’opportunità educativa che poche altre ragazze della sua estrazione sociale avrebbero potuto aspettarsi. Con l’aiuto della duchessa di Feria, sotto la cui signoria la sua famiglia si trovava, fu assunta come cameriera da Dofia Ana de Men-

doza, l’istitutrice dell’Infante Filippo, il futuro Filippo III. Lucrecia rimase a servizio soltanto per un anno circa, ma

quel lavoro le procurò l’accesso all’interno del palazzo reale, l’A/cdzar, nonché alla stessa famiglia reale. Se i frequenti riferimenti al palazzo presenti nei suoi sogni costituiscono una prova sufficiente, l’esperienza fu, a quanto pare, formativa. Per esempio, ella si rese conto dell’impressionante contrasto esistente tra l’opulenza e lo sfarzo della corte e le condizioni relativamente modeste della sua casa. Inoltre, durante la sua permanenza a corte, pare che Lu-

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Lucrecia de Leòn, la profetessa

Ti

crecia avesse maturato una profonda e permanente sfiducia nei confronti del re Filippo in persona, in parte derivata dalla promessa fatta dal monarca di conferirle una dote, impegno di cui egli, ammesso che l’avesse davvero assunto, evidentemente si dimenticò. La promessa di una dote solleva la questione del matrimonio di Lucrecia. A differenza della maggior parte delle visionarie, che erano soprattutto monache o pie donne conosciute col nome spagnolo di beatas, Lucrecia era una laica decisamente interessata a trovarsi un compagno

adatto.

Data la tradizione spagnola di far sposare le donne molto giovani, il fatto che Lucrecia avesse raggiunto i vent’anni senza sposarsi rappresentava una fonte di preoccupazione sia per lei sia per la sua famiglia; non deve sorprenderci, dunque, che la questione affiorasse nei suoi sogni. In uno di questi, alla domanda se volesse diventare una profetessa, aveva risposto schiettamente: «No, voglio sposarmi». A parte alcuni riferimenti ai capelli scuri e agli occhi marrone scuro, si sa ben poco dell’aspetto fisico di Lucrecia. Non ci è rimasto alcun ritratto, sebbene, secondo sua madre, la sua figura ricordasse quella di Eva nella pala dell’altare di Gand, opera di Van Eyck, di cui avevano visto insieme una copia nella cappella del palazzo reale. «Santo cielo, Lucrecia — aveva esclamato Ana — assomigli proprio a quel ritratto di Eva, specialmente dal collo in giù!». Che rassomigliasse o meno ad Eva, Lucrecia si descrive, di solito, come un’innocente, riservata e un po’ timida don-

gella che attendeva scrupolosamente ai doveri e alle pratiche religiose. Tuttavia, da altre fonti apprendiamo che potrebbe esser stata presuntuosa e sfacciata, visto che si paragonava al «sole alla finestra», discuteva in maniera esplicita di argomenti sessuali con le proprie compagne di cella nelle prigioni dell’Inquisizione e, nel corso del processo, si | difese abilmente, con stratagemmi degni del più consumato avvocato. Sappiamo anche che, nel febbraio del 1590, «si impegnò iin segreto» con un certo Diego de Vitores, segretario di un importante gentiluomo di corte che era tra La

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Barocco al femminile

i suoi sostenitori a Madrid. Non si sa con certezza perché mantenessero segreta la loro relazione; forse per non mettere a repentaglio la carriera in ascesa di Lucrecia come profetessa, i cui sogni contenevano predizioni importanti

per il futuro della Spagna: dai veri profeti, infatti, ed in particolar modo dalle donne, ci si aspettava la castità. Il loro segreto non era destinato a rimanere tale a lungo, dal momento che Lucrecia era già incinta del Vitores quando i due si scambiarono in segreto le reciproche promesse. Il primo accenno alla sua condizione ricorre in un sogno del 18 aprile 1590, nel quale ella proietta le proprie ansie per la prospettiva di dare alla luce un figlio concepito al di fuori del vincolo matrimoniale. Vale la pena di riportare questo sogno insolito. Esso ha inizio con Lucrecia in un paesaggio vuoto; la ragazza vuole assistere ad una messa, ma ne è impedita dall’inizio del travaglio. Poi trova sua madre e le chiede di andare a cercare una levatrice. Appare anche suo padre, che le porta un bricco di latte; sembrerebbe un gesto di aiuto, ma Alonso Franco si oppone alla necessità di una levatrice, affermando sfacciatamente che Lucrecia non può essere incinta di più di sette mesi. La figlia lo corregge (e lo sorprende) dichiarando di essere ormai al nono mese avanzato, e poi si rallegra quando sua madre, accompagnata dal Vitores, appare con una donna che dice di essere una comadre. Per rendere la cosa ancor più sinistra, la donna viene portata al cospetto di Lucrecia coperta da un mantello, come a suggerire un bisogno di segretezza. Quando il momento del parto si avvicina, una voce dal ventre di Lucrecia protesta: «0 quiero yo salir ni nacer en tan ruines manos»

(«Non voglio uscire da qui né nascere in mani tanto abiette»). La levatrice, scossa e sul punto di svenire, confessa:

«Dovresti sapere che il mio mestiere non è quello che ti ho detto; la mia unica intenzione era di strangolare il neonato pet fare del male a te ed all’uomo che mi ha condotta qui». A questo punto, Alonso Franco, sebbene in collera di fronte alla prospettiva che sua figlia divenga madre senza essere sposata, s'intenerisce ed introduce miracolosamente una a

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Lucrecia de Le6n, la profetessa

si

seconda levatrice che porta con sé una corona. Costei assiste il parto, che è traumatico, avvolge il bimbo in un lenzuolo, depone la corona sul suo petto e lo cosparge di acqua santa, sperando di evitargli una morte prematura. Lucrecia dà al neonato il nome di Carlos ed annuncia che «la sua vita promette molto più della morte». Il sogno sembra voler esprimere il senso di colpa da parte di Lucrecia e la sua consapevolezza che un figlio illegittimo avrebbe messo a repentaglio il buon nome della sua famiglia, ma indica anche che Lucrecia riconobbe nella gravidanza la fine della propria carriera profetica. Nel sogno, però, alcune delle ambizioni frustrate della donna — e probabilmente anche di sua madre — vengono trasferite sul figlio (in realtà, ella diede alla luce una bambina) la cui co-

rona indica che un giorno diventerà re. Comunque sia, fu non molto tempo dopo la registrazione di questo sogno che la Corona cominciò ad indagare su Lucrecia e le sue visioni oniriche. Le indagini furono occasionate dalla sua crescente popolarità come profetessa | che sognava cose prodigiose riguardo al futuro della Spa| gna. A quel tempo, infatti, ella prendeva spesso parte alle | riunioni dell’alta società, dove narrava dettagliatamente quelli che affermava essere i suoi sogni a gruppi di corti| giani. Lucrecia aveva anche ispirato una piccola setta i cui membri, con l’aiuto di Juan de Herrera, l’architetto reale | noto soprattutto per il suo lavoro all’Escorial, avevano scavato alcune caverne in prossimità del fiume Tago, attrezzandole come roccaforti per proteggersi dalle invasioni che | i sogni avevano predetto imminenti. I suoi seguaci la consideravano ispirata da Dio ed esprimevano la loro convinzione nei suoi poteri profetici indossando uno scapolare si— mile a quello raffigurato nelle sue visioni. Erano convinti È: di poter così sopravvivere alle invasioni che quelle presa-. | givano e quindi, con Lucrecia quale loro condottiero, come

n posse d’Arco spagnola, di pci

il regno ed

Barocco al femminile

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che sarebbe stato votato alla carità, alla giustizia ed alla difesa della Chiesa.

In ultima analisi, comunque, la rovina di Lucrecia è da

collegarsi direttamente alla politica reale, in particolar modo alla tangibile vulnerabilità e debolezza della monarchia spagnola in seguito alla sconfitta della celebre Armada che Filippo II aveva inviato contro l'Inghilterra nell'agosto del 1588. Gli anni che seguirono quel disastro furono anni di disillusione e malcontento — desengazio fu la parola usata da un contemporaneo — e vi furono segni di crescente agitazione quando l’economia castigliana, una volta in buona salute, iniziò a perdere sempre più colpi e furono aumentate le tasse reali. Tuttavia, il catalizzatore immediato dell’arresto di Lucrecia fu la fuga di Antonio Pérez dalla prigione nell’aprile del 1590; questi era un segretario reale che, dopo aver perduto il favore del re, era stato imprigionato nel 1579. Successivamente, i suoi sostenitori avevano

fatto molte pressioni per il suo rilascio, ma nel 1590 Pérez, temendo di dover essere presto giustiziato, evase con l’aiuto di almeno uno dei seguaci di Lucrecia, Fray Lucas de Allende, che era a capo dell’importante convento francescano di Madrid. Nel timore che la fuga di Pérez potesse generare spaccature e dissensi interni, le attività di Lucrecia e dei suoi sostenitori divennero immediatamente sospette e, per ragioni di segretezza, l'inchiesta sul suo caso

fu affidata all’Inquisizione. Vennero fatte. delle indagini, furono confiscate le copie dei registri dei sogni e, sulla base di quanto vi fu trovato, il 24 maggio la Corona diede incarico all’Inquisizione di arrestare Lucrecia ed i suoi seguaci e di trasferirli a Toledo per il processo. I sogni

Sembra che i sogni profetici di Lucrecia abbiano avuto inizio quando lei aveva dodici anni. Riferendosi ad un sogno che, a quel che si dice, ella fece nella primavera del

R.L. Kagan

Lucrecia de Leòn, la profetessa

sal

1580, suo padre raccontò che esso prediceva la morte di Anna d’Austria, la regina consorte di Filippo. La reazione di Alonso Franco fu quella di punire Lucrecia e ordinarle di non fare più sogni del genere. Tuttavia, nonostante questi ammonimenti, Lucrecia, probabilmente per affermare una propria identità autonoma, continuò a sognare, oppure, co-

me disse ella stessa: «Da quando ero piccola e cominciavo a capire questi sogni, i miei genitori mi picchiavano perché ne parlavo». Man mano che Lucrecia cresceva, i sogni continuavano, così come persisteva la sua propensione a comunicarne il

|

contenuto ad altri. Amici e parenti che visitavano la sua casa l’ascoltavano narrare ciò che sosteneva di aver sognato, e fu proprio una di queste conversazioni casuali che portò all’inizio «ufficiale» della carriera profetica di Lucrecia. La fatidica discussione ebbe luogo agli inizi di settembre del 1587, quando la ragazza raccontò ad uno dei suoi parenti uno strano sogno in cui si vedeva un uomo — che assomigliava a Piedrola, un profeta di piazza («profeta de plaza») allora sotto inchiesta per le sue critiche alla monarchia — vomitare prima grano e poi latte. Si dà il caso che quel parente fosse al servizio di Alonso de Mendoza, un canonico della cattedrale di Toledo, membro di un’importante famiglia di grandi di Castiglia. Mendoza, un ecclesiastico noto per i suoi interessi nella preveggenza e nell’occulto, era uno dei più ardenti sostenitori di Piedrola, nonché implacabile nemico del re. Pertanto, quando venne a sapere di quel sogno, Mendoza convocò Lucrecia nel suo alloggio a Madrid e le domandò di raccontargli il sogno in questione, nonché tutti gli altri fatti in precedenza. Mendoza la presentò poi ad Allende. Durante questo incontro, si racconta che Lucrecia abbia detto al frate: «Sono la ragazza di cui vi ha parlato don Alonso, e ho talmente

| tanti sogni e visioni sulla sconfitta della Spagna che non so | cosa fare». . Sitrattava veramente di sogni, di fantasie ad occhi aperti, oppure, semplicemente, di storie che Lucrecia in qualPos

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Barocco al femminile

che modo inventava? Probabilmente, non lo sapremo mai. È certo, tuttavia, che Mendoza ordinò a Lucrecia di non

parlarne più. Poi, in rapida sequenza, fece in modo che Allende divenisse il confessore della ragazza, elargì delle offerte in denaro alla madre di lei e si adoperò affinché i suoi sogni venissero regolarmente trascritti, giustificando tale lavoro di trascrizione come un tentativo di determinare se tali sogni scaturissero da una fonte divina. Dall’inizio di ottobre, Mendoza fu visto entrare regolarmente in casa di Lucrecia. Le sorelle di Lucrecia affermarono che l’ecclesiastico arrivava abitualmente al mattino e quindi, in disparte in un angolo della stanza principale dell’appartamento ma pur sempre a portata di voce, procedeva alla trascrizione, mentre Lucrecia raccontava ciò che aveva sognato la

notte precedente. Il 5 dicembre del 1587, per esempio, scrisse: «Sono andato a farle visita alle dieci di mattina, per sapere se avesse sognato e per trascrivere il sogno». Occasionalmente, si udiva Mendoza fare domande e chiedere dei chiarimenti su punti specifici e, in certi giorni, il lavoro di trascrizione durava diverse ore. Secondo Lucrecia, questo rituale mattutino faceva par-

te della confessione, o almeno così ella giustificò, più tardi, il suo comportamento di fronte all’Inquisizione: «Raccontavo loro i sogni in confessione». Nondimeno, diceva a Mendoza e ad Allende di temere che le trascrizioni dei sogni potessero provocare dei guai col Sant'Uffizio. Entrambi gli ecclesiastici la rassicuravano dicendole the non c’era

niente di male, e dello stesso parere erano tre uomini misteriosi che apparivano nei sogni di Lucrecia con regolarità tale che ella prese a chiamarli «compagni abituali». Essi le dicevano che i suoi sogni erano di vitale importanza per il futuro della Spagna e dovevano venir comunicati al re. La consigliavano anche di fidarsi di Mendoza e Allende, che erano entrambi teologi esperti di diritto canonico. Da allora in poi, Lucrecia cominciò ad attendere con

ansia che giungesse la notte «in modo da poter vedere i suoi abituali compagni». Secondo Mendoza, ella desiderava vi-

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Lucrecia de Le6n, la profetessa

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vamente che i suoi sogni venissero trascritti. «Una cosa che

considero misteriosa e degna di notevole riflessione e d’attenzione — egli scrisse — è che, dopo aver avuto un sogno,

se questo non viene trascritto entro un giorno circa, ella diventa molto nervosa a causa del suo forte desiderio di raccontarlo e di farselo trascrivere». Mendoza era impressionato anche dalla straordinaria capacità di Lucrecia di ricordare i propri sogni. Ella ricorda non solo gli argomenti in generale — scrisse una volta — ma anche le parole precise che loro [i Tre Uomini] le rivolgono, i particolari delle persone che vede — i loro volti, il loro abbigliamento, il colore dei loro abiti — gli animali e gli uccelli, la struttura degli edifici, l'ubicazione di fiumi, montagne, valli, alberi, [parola illeggibile], città, castelli, chiese, strade, litorali, isole e altri luoghi dove essi la portano nell’immaginazione, nonché i nomi di tali luoghi, anche se non ha mai visto la maggior parte di queste cose, né mai ne ha sentito parlare prima, dal momento che la sua condizione sociale, la sua professione e le conversazioni da lei fatte con le persone tra le quali è cresciuta non le hanno dato l’opportunità di conoscere tali cose. Eppure, ne parla come se stesse leggendo uno scritto e fosse un’ottima lettrice, mentre invece la verità è che, quando cominciò ad avere queste visioni, ella sapeva leggere appena e non sapeva scrivere con l’abilità e la facilità notate in precedenza. In ogni caso, una volta che il sogno è stato dettato e trascritto, viene cancellato dalla sua memoria, come se non l’avesse mai sognato né immaginato. Di questo, sono un ottimo testimone.

POR PI ETA RE RP i

L’alta opinione che Mendoza aveva di Lucrecia era ovviamente condizionata dalla sua convinzione che i suoi sogni fossero ispirati da una fonte divina, ma anche se Lucrecia non avesse in realtà sognato tutto ciò che le veniva attribuito, i registri dei sogni indicherebbero comunque che ella possedeva una capacità unica di inventare quel che gli altri prendevano per sogni. Nel dicembre del 1587, il

primo mese completo per il quale abbiamo un registro di

| sogni, ella fece almeno trentaquattro sogni, a un ritmo che

| pare trovasse piuttosto spossante, dal momento che, in uno Pai

Val

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Barocco al femminile

di questi, implorò i suoi visitatori notturni di «non venire più; non voglio fare più sogni». Nonostante la sua protesta, i registri dimostrano che il gennaio del 1588 portò altri trentacinque sogni; il mese di marzo non meno di trentuno. In seguito, pare a causa di una malattia, il loro ritmo diminuì rapidamente (nel mese di maggio 1588, ne vennero registrati soltanto sei) e, nei

diciotto mesi successivi, la produzione onirica di Lucrecia rimase ben al di sotto dei livelli raggiunti all’inizio delle trascrizioni; tuttavia, dalla primavera del 1590, Lucrecia

stava di nuovo bene e sognava ad un ritmo quasi da record. E difficile riassumere nello spazio di questo saggio tutta la complessità dei sogni di Lucrecia. Come accennato in precedenza, molti contengono interessanti dettagli autobiografici. Tuttavia, nel complesso, essi non sembrano fornire ciò che Freud descrisse come la «strada maestra verso l'inconscio». Piuttosto, sono per la maggior parte profetici e si concentrano, in maniera quasi monotona, sul futuro

della monarchia spagnola. La sceneggiatura di base è la seguente: un uomo, chiamato l'Uomo Comune, sveglia Lucrecia e la porta fuori della sua casa per assistere a scene di ciò che egli definisce l'imminente futuro della Spagna. Svolgendo al contempo i ruoli di empresario e di guida, l’Uomo Comune porta miracolosamente Lucrecia in varie parti d'Europa per mostrarle scene in cui le armate spagnole vengono sconfitte. Più vicino a casa, ella assiste a visioni spaventose, quasi

surrealistiche del futuro della Spagna: enormi amazzoni che decapitano bambini; grandi carri rotolanti, trainati da bufali, che investono passanti innocenti; armate di turchi che profanano le chiese di Madrid e fanno a pezzi l’effigie di sant’Isidoro, il santo patrono della città, per ridurla, strano a dirsi, in un’insalata.

Esiste, inoltre, una cronologia approssimativa dei sogni di Lucrecia sul futuro della Spagna. Dapprincipio essi pongono l’accento sulla sconfitta dell’Arzzada che Filippo II aveva in programma d’inviare contro l'Inghilterra, un even-

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Lucrecia de Leòn, la profetessa

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to che Lucrecia predisse nel tardo 1587, quasi un anno prima che la grande flotta salpasse effettivamente. Poi i sogni trattano, in maniera quasi ossessiva, dell’invasione e della distruzione della Spagna ad opera dei suoi avversari, sia musulmani sia protestanti. Lucrecia immagina questi ne-

17 er O

mici più grandi del normale. C’è il «Grande Turco» che trama per fare di sua moglie la «sovrana di Castiglia e regina di Spagna». Sir Francis Drake, il famoso capitano inglese che aveva invaso il porto di Cadice nel 1587 e, in seguito, aveva svolto un ruolo decisivo nella sconfitta dell Armada, appare come una forza senza volto, invincibile, totalmente maligna. Anche la regina Elisabetta d’Inghilterra, la rivale di Filippo II, viene presentata come una sovrana che trova diletto nel sangue. Nel sogno del 18 dicembre 1587 l'Uomo Comune porta Lucrecia in un palazzo di Londra, dove ella vede una donna di cinquant’anni, cui si fa riferimento come alla regina, seduta su una lunga panca. Nel suo grembo c’è un agnello morto sventrato, con le viscere di fuori. La regina è intenta a ficcare le mani nella cavità dello stomaco e a raccogliere il sangue dell’animale. Vicino a lei siede una donna in gramaglie vedovili. Quando la regina le chiede di bere un po’ del sangue dell’agnello, costei si rifiuta. Improvvisamente, in uno scoppio d’ira, la regina sguaina la spada e, con un solo colpo, decapita la donna. L'Uomo Comune non spiega il significato di questa scena raccapricciante, ma l'agnello morto sembra riferirsi alla persecuzione dei cattolici da parte della regina Elisabetta, mentre la decapitazione della donna ricorda l’esecudel 1587. zione di Maria Stuarda, avvenuta 1’8 febbraio Per i contemporanei di Lucrecia, questo sogno era una rappresentazione in forma drammatica della crudeltà del

nemico che l’Arzada spagnola avrebbe dovuto presto affrontare. E fu dopo aver studiato questo particolare sogno

che Mendoza riconobbe che le visioni oniriche di Lucrecia

«non procedono da uno spirito maligno né sembrano essere fantasie create da invenzione umana o diabolica; piuttosto, e;

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esse sono verità che ci avvertono della severa giustizia celeste, che noi meritiamo per i nostri peccati». La parola «nostri», in questo contesto, si riferisce, in

realtà, al re Filippo e, nei sogni, questi è l’unico responsabile di aver provocato la collera divina. Egli appare come

un tiranno avido di denaro che riscuote tasse ingiuste, non

si occupa di provvedere-alla carità e alla giustizia e costruisce il suo amato Escorial con ciò che un sogno definisce come il «sangue dei poveri». Inoltre, contrariamente all’immagine storica di Filippo come uomo tutto dedito alla famiglia, il sogno lo raffigura come un padre che non si cura

del benessere dei propri figli, in particolare del futuro della sua figlia prediletta, l’Infanta Isabella. Lucrecia immagina la nubile Infanta che si preoccupa perché suo padre morirà presto, lasciandola orfana e senza un regno. Si assiste anche ad un rimprovero da parte di Isabella nei confronti di Filippo per non aver dato retta agli avvertimenti di Lucrecia sul destino dell’ Arzzada. La critica più tagliente di Isabella si registra nel sogno del 12 marzo 1590, in cui l’Infanta, in lacrime, ricorda al re che, a differenza di suo

padre, l’imperatore Carlo V, egli non meriterà mai un posto glorioso nella storia, ma verrà ricordato soltanto per aver depauperato il suo regno. Dal momento che Lucrecia condivideva con Isabella la condizione di nubile, un osservatore moderno sarebbe tentato a identificare quest’ultima con una proiezione immaginaria di Lucrecia, e Filippo con Alonso Ftanco. Ma la teoria onirica del XVI secolo non teneva conto della proiezione. Per Lucrecia e i suoi contemporanei, questi sogni

erano visioni la cui verità o falsità storica si sarebbe conosciuta una volta determinata la loro origine. Nel Cinquecento, si sapeva che i sogni potevano avere cause naturali,

che fossero provocati, ad esempio, dal fatto di aver mangiato o bevuto troppo. Alcuni teorici descrivevano addirittura quelli che Freud, in seguito, avrebbe classificato come «residui diurni», ossia dei sogni che lasciano trasparire barlumi di attività diurne quotidiane. Tuttavia, si accettava

AVe

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Lucrecia de Ledn, la profetessa

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anche che dei sogni insoliti o profetici, riguardanti ciò che un autore definì il «bene comune», potessero avere cause soprannaturali, specialmente se a farli erano individui comuni altrimenti non coinvolti nelle importanti questioni della Chiesa e dello Stato. Vi erano, naturalmente, gli scettici, quelli che mettevano in dubbio il fatto che i sogni avessero valore di predizione, insieme ad altri che pensavano che le visioni oniriche di Lucrecia non avessero nulla a che fare con Dio. Ciononostante, rimaneva la possibilità di un intervento divino e l’opinione dotta su questo punto non sarebbe cambiata fino al XVIII secolo inoltrato. Pertanto,

turbava particolarmente il fatto che l’immagine che Lucrecia dava di Filippo fosse quella di un monarca che aveva mancato nei confronti di Dio, del suo regno e della sua famiglia. I ritratti ufficiali di Filippo mostrano un monarca orgoglioso, distaccato e altero, votato al servizio della Chiesa. Un'immagine piuttosto diversa appare nel sogno di Lucrecia del 2 marzo 1588: Filippo, addormentato su una sedia, tiene nella mano destra un cartello con l’iscrizione

«E! Descuido» (Il Negligente). Dalla sua bocca, entrano ed escono insetti. Sulla fronte reca scritto: «Corto ha quedado en el fe» (Non ha fatto abbastanza per la fede). La sua mano sinistra tiene un altro cartello: «Cobdicia» (Cupidigia). Sul

| .

suo piede ce n’è un altro: «Largo en seguir pasos de bestia» (Seguela strada dell’idiozia). E sulla testa, un altro ancora:

i «Variedad te lleva a lo bondo» (La mancanza di fermezza ti

|

porterà all'inferno). In un altro sogno, Filippo appare come un nuovo Rodrigo, il corrotto e licenzioso re visigoto che |. peri suoi peccati era ritenuto responsabile della prima sconfitta della Spagna contro i Mori nel 711 d.C. Il sogno avverte che la prossima sconfitta è imminente, a meno che Filippo non riconosca i propri peccati, si penta pubblicamente e plachi così la collera divina. | , erano simili messaggi Nella Spagna del XVI secolo,

equivalenti alla sedizione. La legge castigliana definiva 4/e| voso, sedizioso, «chiunque parli male del re e della sua faDee

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miglia». Nella sua testimonianza di fronte all’Inquisizione, Lucrecia sostenne di essere un suddito fedele che non aveva mai voluto fare alcun male al re. Ella giurò che, se c’era qualcosa di sedizioso nei suoi sogni, era colpa dei due ecclesiastici che li avevano registrati e resi pubblici. Gli inquisitori ritennero altrimenti e l'imputazione finale contro di lei comprendeva accuse di atti sediziosi. L'accusa del Sant'Uffizio era che i sogni fossero crimini sovversivi appositamente creati per fomentare l'opposizione al re. In altre parole, la sedicente profetessa doveva essere processata per tradimento. Davanti all’Inquisizione

Il processo a Lucrecia ebbe inizio il 4 giugno 1590, con la breve annotazione, da parte del giudice, del fatto che ella era «incinta di sei o sette mesi». Nel corso di quell’estate, infatti, Lucrecia, presumibilmente nella sua cella,

diede alla luce una bambina che era ancora viva quando il suo proceso ebbe termine, cinque anni dopo, nel luglio del do9s;

Il processo, assai tumultuoso, fu caratterizzato inizial-

mente da una serie di scandali che includevano una notevole mancanza di segretezza nelle procedure, festini fino a tarda notte che sconvolgevano la vita in quelle che si supponeva fossero le «celle di isolamento» del tribunale, nonché un’aperta fraternizzazione tra Lucrecia ed i suoi giudici e carcerieri. Un inquisitore, Lope de Mendoza, le dimostrò una speciale predilezione, invitandola perfino nella sua dimora dove, tra le altre cose, discutevano i dettagli del suo caso. In conseguenza di questa e di altre irregolarità, il processo fece pochi progressi fino all’ottobre del 1591, quando, dopo la destituzione di Lope de Mendoza, furono nominati per presiedere al giudizio nuovi inquisi-

tori, meno favorevolmente disposti nei confronti di Lucrecia.

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Lucrecia de Leòn, la profetessa

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Fu a questo punto, diciotto mesi dopo il suo arresto,

che il processo a Lucrecia cominciò davvero. I nuovi giudici cercarono ripetutamente di farle confessare che aveva scientemente inventato i sogni per fini politici, ma il suo rifiuto fu risoluto, perfino nella camera della tortura. I suoi,

dichiarò Lucrecia, erano sogni di cui lei, da ignorante doncella qual era, non capiva il significato. E mentre ne confessò alcuni tra quelli che le venivano attribuiti, affermò che tutti gli altri erano stati alterati dai due ecclesiastici, nei quali ella aveva riposto la sua fiducia. Questa testimonianza, tuttavia, fu contraddetta da quella di Allende e Mendoza, che asserirono entrambi di non aver fatto altro che trascrivere ciò che Lucrecia dettava loro, nel tentativo di accertare se vi fosse una fonte divina. A causa di queste incoerenze, gli inquisitori, in definitiva, non furono in grado di decidere se Lucrecia fosse davvero responsabile dei sogni che Allende e Mendoza avevano registrato. Di conseguenza, essi emisero un verdetto er diferencias, l'equivalente inquisitoriale del «verdetto non unanime». D'altro canto, però, furono d’accordo sulla necessità di punirla, tenendo conto del fatto che i sogni a lei attribuiti contenevano idee false ed eretiche, come pure affermazioni critiche nei confronti della monarchia. In teoria, la pena minima per la sedizione nella Spagna del XVI

secolo era la confisca della metà dei beni del colpevole. Ma se veniva appurato che l’accusato aveva suggerito o consi-

gliato a qualcuno di ribellarsi o di rifiutare di obbedire alla legge regia, la pena era la morte. In questo caso, comunque, Lucrecia se la cavò piuttosto bene: l’Inquisizione la condannò soltanto, come ella stessa aveva predetto, ad una abjuracién ad levi, una sentenza relativamente mite che comportava cento frustate (leggere), due anni di reclusione

in un convento e il bando a vita da Madrid. Non sappiamo cosa accadde a Lucrecia dopo la prigio-

nia. Forse un giorno verrà fuori un documento rivelatore, ima per il momento possiamo solo fare delle supposizioni.

| Potrebbe aver fatto ciò che altre donne esiliate fecero: «uscì PEA

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dalla città da una porta e vi rientrò immediatamente da un’altra». Ma è chiaro che non tornò dalla propria famiglia a Madrid, e una lettera di Vitores, suo ex amante, indica

ch’ella non riuscì a raggiungerlo a Zamora, la città dove egli risiedeva dopo il suo rilascio dalla prigione, avvenuto nel novembre del 1595. Senza conoscere un mestiere ben definito e con una bambina; è difficile che Lucrecia abbia trovato un lavoro diverso da quello di serva, magari in casa di uno dei ricchi parenti di Alonso de Mendoza. O forse, potrebbe essersi messa a mendicare o a prostituirsi. Un’altra possibilità per Lucrecia poteva essere quella di abbandonare il distretto controllato dall’Inquisizione di Toledo. Il Sud della Spagna, l’Andalusia e le città in espansione di Granada e Siviglia, erano la destinazione preferita dai poveri emigranti spagnoli del Centro e del Nord, soprattutto per l’esercito di picaros e picaras che sbarcava il lunario grazie a vari espedienti. Si può anche immaginare Lucrecia come una delle tante indovine e oniromanti agli angoli delle strade di Siviglia, mentre si guadagnava da vivere con quelle capacità che, qualche anno prima, l’avevano condotta all’arresto. Comprendere Lucrecia

La vicenda di Lucrecia può essere interpretata come un affascinante episodio nella storia di quei ruoli socialmente definiti che determinano il corso della vita di womini e donne. L’argomentazione ripetuta da Lucrecia durante tutto il processo, ossia quella di non essere altro che una debole donna manipolata da uomini forti, mostra quanto ella fosse pronta a servirsi della concezione della donna tipica del

XVI secolo come mezzo per rafforzare la propria difesa. Da questo punto di vista, la carriera profetica di Lucrecia può essere considerata essenzialmente quella di una donna che cercò di entrare nel mondo della politica, un campo riservato quasi esclusivamente agli uomini. Ai suoi tempi, ad eccezione delle aristocratiche, le donne che par-—

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tecipavano alla vita politica lo facevano solo in virtù delle loro facoltà spirituali. Si riteneva che le «forze naturali» delle donne fossero più deboli di quelle degli uomini ma, tra i due sessi, quello femminile era spesso considerato il più forte spiritualmente. A causa della loro natura «malinconica», comunque, si supponeva che le donne avessero una maggior propensione per visioni, estasi e altre forme di esperienze mistiche. Gli ecclesiastici, infatti, ammonivano continuamente di diffidare dell’«entusiasmo» delle donne e della loro predilezione per visioni e sogni profetici. Il manuale dell’Inquisizione spagnola su sogni e profezie, redatto nel XVII secolo, ribadisce questo concetto ed avverte anche che l’immaginazione più attiva delle donne le rende soggette più degli uomini all’inganno da parte del diavolo. Il Sant'Uffizio riteneva, inoltre, che le donne fossero meno «avvedute» degli uomini e che mancassero della forza fisica e mentale per resistere alle tentazioni. Qualunque donna dichiarasse di aver avuto una visione profetica era dunque oggetto di immediati sospetti. Non è un caso che la mag-

gior parte degli i/usos e degli altri visionari arrestati dal Sant'Uffizio durante quel periodo fossero donne. A dire il vero, sogni profetici e visioni non erano esclusiva pertinenza delle donne. I sogni di Lucrecia, per esempio, ricordano molto da vicino quelli di Piedrola, soldatoprofeta madrileno; nel XVII secolo, inoltre, diversi visionari, che affermavano di essere profeti, frequentarono assiduamente la corte di Filippo IV. Tuttavia, questa par-

ticolare forma di comunicazione costituiva uno dei pochi canali attraverso cui le donne potevano effettivamente acquistare autorità e riconoscimenti pubblici e, in definitiva, voce in capitolo negli affari della Chiesa e delle Stato. Di conseguenza, le donne sembrano aver fatto ricorso a simili mezzi molto più spesso degli uomini; alcune ‘addirittura trassero vantaggio dalla fama derivata loro dalle visioni per diventare confidenti di re e duchi. È difficile valutare l’influenza di queste «madri spirituali», ma in Italia monache e terziarie come Lucia Narni, una consigliera di Ercole I 23.

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d’Este duca di Ferrara, Osanna Andreassi e Stefania Quinzani, entrambe legate alla corte di Mantova, raggiunsero una considerevole notorietà all’inizio del XVI secolo. An-

che in Spagna apparvero madri spirituali, la più influente delle quali fu Sor Marfa de Agreda (1602-1655), la visionaria francescana che divenne una stretta confidente di Filippo IV nel quarto e nel quinto decennio del XVII secolo. Tuttavia, ciò che appare come una predilezione delle donne per i sogni e le visioni non ci aiuta a capire perché Lucrecia intraprese la carriera profetica. Quali erano le sue aspirazioni personali? Quali le sue intime speranze? E difficile inquadrarla bene come individuo. Da un lato, c’è in lei qualcosa di fragile, persino di ingenuo, tanto da farla apparire vittima innocente degli astuti disegni di Mendoza. Delusa prima dal suo vero padre, poi dal re-padre, può aver trovato in Mendoza una figura autorevole che meritava il suo rispetto. E mentre Alonso Franco la puniva per i suoi sogni e Filippo ignorava le sue profezie, Mendoza la incoraggiava a raccontarli. Fu per compiacere Mendoza che continuò a sognare? In effetti, la quantità e le analogie tematiche del materiale registrato da Mendoza fanno supporre che Lucrecia continuasse a sognare, o affermasse di continuare a farlo, per compiacerlo o per evitare di incorrere nella sua collera. Se questa interpretazione del comportamento di Lucrecia è esatta, la sua carriera profetica può essere stata solo un esercizio protratto nel tempo per adempiere alle aspettative di Mendoza. Forse registri dei sogni sono in gran parte testimonianze dello sforzo compiuto da una giovane donna per conformarsi al concetto che un ecclesiastico scontento aveva delle profezie politiche. Ma questa spiegazione monocromatica non tiene conto di tutte le prove che attestano aspetti di minor tendenza alla sottomissione, persino di ribellione, nella personalità di Lucrecia. Sebbene fosse timida — o si fingesse tale — davanti alle figure dell’autorità, in altre occasioni aveva un atteggiamento quasi sbruffonesco, da cui traspariva fiducia

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in se stessa e un pizzico di presunzione. Inoltre, anche ammettendo che agisse sotto l’influenza di Mendoza, non bisogna dimenticare che aveva sognato la morte di monarchi e la rovina della Spagna ben prima che questi entrasse nella sua vita. Perché allora, ci chiediamo, ella accondiscese a collaborare con lui in quella che sapeva essere un’impresa pericolosa? La risposta semplice, quella che Lucrecia volle far credere come vera all’Inquisizione, è che ella fosse una dongella ignorante, ingannata dagli ecclesiastici in cui aveva riposto fiducia. Le sue accuse a Mendoza di aver falsificato i testi di almeno alcuni sogni sono plausibili, ma anche-se ella non era consapevole di queste alterazioni, capì perfettamente gli scopi politici per cui le sue visioni oniriche venivano utilizzate. Forse, allora, era la forza delle sue convinzioni politiche a stimolarla a continuare a svolgere il proprio ruolo di profetessa nella confraternita che si sviluppò intorno a lei. Tuttavia, si può immaginare che la diciannovenne Lucrecia non capisse completamente le conseguenze delle sue azioni quando si presentò a Mendoza come una chiaroveggente che faceva dei sogni riguardanti

la rovina della Spagna. Quali che fossero le sue motivazioni iniziali, una volta che i sogni furono resi noti, l’umile, anonima Lucrecia raggiunse velocemente una posizione di spicco. Come veggente ispirata da Dio, detenne quella che i sociologi definisco-

no una «posizione deviante particolare». Posizioni limite di questo tipo comportano sempre certi pericoli, ma anche dei benefici. I rischi erano tutti fin troppo ovvi in un periodo in cui né cattolici né protestanti erano disposti a trattare con indulgenza i devianti. Tuttavia, Lucrecia e sua madre | gradivano chiaramente l’attenzione che i sogni destavano, | per non parlare delle elargizioni di Mendoza e di altri simpatizzanti. Nel ruolo di profetessa, Lucrecia si guadagnò | accesso ad un sistema sociale composto da potenti eccle-

‘ siastici, ricchi nobili e letterati, un mondo che ella aveva

soltanto intravisto quando eta a servizio 2presso la corte rea#

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Barocco al femminile

le, ma che una donna delle sue modeste condizioni non

poteva sperare di raggiungere. Senza dubbio, alcuni dei suoi seguaci e sostenitori la consideravano una semplice attrazione, un’esponente di quella categoria di «ignoranti e campagnoli che sognano cose meravigliose, persino predizioni sugli eventi futuri». Di contro, Lucrecia sembra essersi considerata una donna do-

tata di particolari doti spirituali; precisò una volta: «Mi sveglio nel momento in cui i miei occhi si chiudono». Sin da giovanissima, inoltre, apprese che i sogni richiamavano l’attenzione della gente e che determinavano le punizioni da parte di suo padre, ma anche una certa considerazione da parte dei vicini. Si potevano ottenere gratificazioni e riconoscimenti semplicemente sognando, almeno fino a quando ella avesse continuato a fare sogni che attirassero l’interesse della famiglia, dei vicini e, infine, di Mendoza e dei suoi amici. Fino a che punto Lucrecia fu in grado di disciplinare la propria mente per questo compito? Non lo sappiamo; forse gli Esercizi spirituali di Ignazio di Loyola le fornirono un metodo che apprese da sola o le fu insegnato. Inoltre, i sogni offrirono a Lucrecia l’opportunità di crearsi una nuova famiglia; innanzitutto, di scegliere Mendoza come sostituto del padre e poi di trovare un buon marito. Ella probabilmente presupponeva che i sogni avrebbero portato alla soglia della sua casa, se non altro, almeno qualche corteggiatore. Non sappiamo come incontrò Diego de Vitores, sebbene, in seguito, egli informasse l’Inquisizione che, prima d’incontrarla, aveva sentito parlare di

lei come di «una donna graziosa, virtuosa e di buoni costumi». Nella sua testimonianza non fece alcuna menzione dei sogni, ma è difficile immaginare che non ne avesse avuto notizia. Il desiderio di potere costituisce un’altra motivazione

che potrebbe aver spinto Lucrecia ad assecondare Mendoza: quale incolta figlia di un procuratore, poteva osservare gli affari di corte, venire a contatto con essi e persino conoscerli direttamente, ma senza mai avere alcuna influenza

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su di essi. In molti dei suoi sogni, invece, Lucrecia appare nel ruolo di confidente spirituale del re, e dà a Filippo suggerimenti tanto sulla necessità d’istituire riforme fiscali quanto su faccende personali come il matrimonio dell’Infanta. Che comprendesse le prerogative che autorità ed influenza comportavano risulta chiaro da un fugace commento rivolto ad una delle sue compagne di cella. Affermò di avere il potere di rovinare sia Allende sia Mendoza: «Se dicessi [al tribunale] la verità, la cosa li distruggerebbe». Profetessa divina, confidente di re, guerriera, redentrice nazionale, persino regina, nei paesaggi immaginari della sua fantasia Lucrecia poteva raccogliere intorno a sé e co-

mandare gli uomini. Gloria e celebrità possono forse costituire la sostanza della maggior parte dei sogni, ma Lucrecia sembra essere andata oltre, trasformandosi in quella specie di portabandiera che sognava di essere. Oggigiorno, Lucrecia potrebbe essere etichettata come una psiconevrotica i cui sogni sono percorsi da risposte edipiche quali, ad esempio, gli sforzi per compiacere il desiderio di un avanzamento sociale della madre e un’ostilità verso Alonso Franco, | successivamente sostituito dal re. Tuttavia, nella Spagna del XVI secolo, i suoi sogni furono interpretati come una minaccia ai fondamenti dell’autorità secolare conferita al

monarca, dell’autorità spirituale attribuita alla Chiesa, del potere e delle prerogative sociali posti nelle mani di uomini di alto lignaggio e di cultura. I suoi sostenitori asserivano chei suoi sogni erano ispirati da Dio, ma il capovolgimento dell’ordine morale e legale che vi era raffigurato spinse altri a crederla una donna di scarsa intelligenza o addirittura

| una pazza. Per questo, Lucrecia figurò tra quelle che uno scrittore del primo Seicento criticò come «donne malvage e volubili, che vanno di casa in casa, raccontando visioni e spacciando ogni mattina per rivelazioni le assurdità che A hanno sognato la notte». Dopo il processo, questi sogni fufono riposti sotto chia: ve e rimasero nascosti negli atchivi dell’ Inquisizione per | centinaia di anni. Oggi, la loro testimonianza sulle ingiu27 i

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stizie della Spagna di Filippo II rimane di vitale importanza: a modo suo, Lucrecia rappresenta la coscienza sociale e politica della Spagna del XVI secolo, e i suoi attacchi a Filippo, le sue critiche al «malgoverno» ed i suoi sogni di una nuova, più equa monarchia, costituiscono un cri de

coeur, la voce di quegli spagnoli per cui le avventure militari di Filippo all’estero rappresentavano soltanto tasse più alte ed un più basso tenore di vita in patria. Un messaggio simile a quello di Lucrecia si poté ascoltare a Saragozza nel 1591, quando i cittadini, provocati dall’arresto di Antonio Pérez ad opera dell’Inquisizione, protestarono contro la perdita dei loro diritti provinciali al grido di Viva la Libertad! Lo stesso messaggio fu ripetuto in seguito, nello stesso anno, quando ad Avila apparvero per strada dei manifesti che denunciavano una nuova tassa reale: «E tu, Filippo, sii felice di ciò che hai, e non prendere agli altri». Inoltre, i sogni di Lucrecia anticiparono di più di un decennio la pungente denuncia del regime di Filippo ad opera di Ifiigo Ibafiez de Santa Cruz, l’arbitrista secondo cui il re lasciava al suo erede una Spagna «consumata da un cieco governo». Se Filippo fosse vissuto altri quattro anni, scriveva Santa Cruz con una schiettezza raramente riscontrabile tra gli scrittori politici del suo tempo, «avrebbe distrutto ogni cosa». Le critiche di Lucrecia furono anche sostenute da altri scrittori del tardo Cinquecento e del primo Seicento, che ritenevano Filippo ed i suoi successori, Filippo III e Filippo IV, incapaci di assolvere ai principali doveridi un monarca: amministrare la giustizia con equità, rispettare i privi-

legi ed i diritti tradizionali dei propri vassalli e regnare in virtù di un patto che limitasse il potere della Corona di governare senza il consenso del regno. Una trentina d’anni dopo il processo a Lucrecia, Francisco de Quevedo y Villegas pubblicò i suoi Suerios y discursos. In questo capolavoro della letteratura del siglo de oro, i sogni vengono utilizzati per dipingere un ritratto satirico della società spagnola. In opposizione a questo concetto prettamente letterario, ci fu la definizione più popo-

R.L. Kagan

Lucrecia de Ledn, la profetessa

2%,

lare dei sogni data dal contemporaneo di Quevedo, Calderén de la Barca: «I sogni sono soltanto sogni», un effimero spettro che si dilegua insieme alla notte. Non dissimile sembra essere il destino dei sognatori: Lucrecia è oggi completamente dimenticata, non viene mai citata in alcuna delle tante storie del regno di re Filippo. Ciononostante, ella rappresenta un eccellente esempio di donna la cui immaginazione minacciò i fondamenti dello Stato assolutista.

NOTA BIBLIOGRAFICA

Questo saggio è adattato da R.L. Kagan, Lucrecia’s Dreams: Politics and Prophecy in Sixteentb-Century Spain, Berkeley 1990. Tra gli altri titoli attinenti, si segnalano: J. de Imirizaldu, Morjas y beatas embaucadoras, Madrid 1977, che offre una trascrizione completa

della sentencia dell’Inquisizione nei confronti di Lucrecia, e M. Zambrano, E. Simons, J. Blisquez Miguel, Sueîos y procesos de Lucrecia de Leòn, Madrid 1987, che comprende le trascrizioni di alcuni dei suoi sogni. I documenti originali del processo di Lucrecia sono conservati nell’ Archivo Histérico Nacional (Madrid), Seccién de Inquisicién, /egajos 3712-3713, mentre quelli dei cospiratori suoi complici si trovano in legajos 115, n° 23, 2105, e 3703. Vedi anche /egajos 114, n° 10, 2085, SISI

Per ulteriori esempi di donne spirituali dei secoli XVI e XVII che ebbero a che fare con la politica, si rimanda a T.D. Kendrick, Mary of Agreda: The Life and Legend of a Spanish Nun, London 1967; A. Neame, The Holy Maid of Kent: The Life of Elizabeth Barton, 1506-1534, London 1971; E. Schulte Von Kessel (a cura di), Worzen and Men in Spiritual Culture, The Hague 1986; K. Thomas, Women and the Civil War Sects, in «Past and Present», 13, 1958, pp. 42-62; G. Zarri, Pietà e profezia alle corti padane: Le pie consigliere del principe, in Il Rinascimento nelle corti padane, Bari 1977; O. Niccoli, Profeti e popolo nell'Italia del Cinquecento, Roma-Bari 1987; G. Zarri, Les prophètes de cour dans l’Italie de la Renaissance, «Mélanges de l’Ecole Francaise de Rome, Moyen Age», CII, 1990, n° 2, pp. 649-675.

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Non esiste alcuno studio generale sulla storia e sull’uso dei sogni nel XVI e XVII secolo, ma si può accedere all'argomento mediante Kagan, op. cit., A. Browne, Descartes’ Dreams, in «Journal of the Warburg & Courtauld Institutes», 40, 1977, pp. 256-273 e, dello stesso autore, Girolamo Cardano’s «Somniorum Synesiorum Libri INI», in «Bibliothèque d’Humanisme et Renaissance», 41, 1979, pp. 123-135. Riguardo alle visioni delle donne, si rimanda a W.A. Christian Jr., Apparitions in Late — Medieval and Renaissance Spain, Princeton 1981. La storia delle donne nella Spagna del XVI-XVII secolo è ancora rn

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Barocco al femminile

relativamente poco approfondita. Tra gli studi più recenti, si segnalano: M. Vigil, La vida de las mujeres en los siglos XVI y XVII, Madrid 1986; J.L. Sanchez Lora, Mujeres, conventos y forma de la religiosidad barroca, Madrid 1988; J.S. Amelang, Los usos de la autobiografia: monjas y beatas en la Catalutia moderna, in J.S. Amelang, M. Nash (a cura di), Historia y género. Las mujeres en Europa moderna y contempordnea, Valencia 1990; M. E. Perry, Gender and Disorder in Early Modern Seville, Princeton 1990, e A. Saint-Saens (a cura di), Religion, Body and Gender in. Early Modern Spain, San Francisco 1991. L'argomento donne ed Inquisizione può essere studiato attraverso J.-P. Dedieu, L’administration de la foi: l’Inquisition de Tolède (XVI°-XVII°), Toledo 1989, e W. Monter Jr., The Frontiers of Heresy: The Spanish Inquisition from the Basque Lands to Sicily, Cambridge 1990. Per una visione letteraria delle donne nella Spagna del XVII secolo, si rimanda a M. McKendrick, Wozzen and Society in the Spanish Drama of the Golden Age: A Study of the Mujer Varonil, Cambridge 1974.

LADY ELEANOR DAVIES, LA PAZZA di Roy S. Porter

Alcuni studi recenti sull’Inghilterra del XVII secolo, in particolare quelli di Lucinda Beier, Patricia Crawford e Sara Mendelson, hanno notevolmente ampliato la nostra comprensione dell’esperienza femminile, che include il rapporto con la salute e la malattia. Tuttavia, anche nel caso di indi-

vidui di una certa importanza, la scarsezza delle fonti e la loro natura problematica rendono spesso difficile ricostruire la concezione che le donne avevano del proprio corpo, della sua forza e dei pericoli che lo assediavano. In questo saggio, desidero esaminare brevemente la vita e le idee (per quanto sia possibile ricostruirle dai suoi scritti) di un’aristocratica, Lady Eleanor Davies. Non si sa nulla dei suoi ricorrenti attacchi di malattia, né delle terapie da lei prescelte, ma era una persona la cui condotta e le cui idee vennero etichettate come «folli». Perciò, nell’esposizione sostanzialmente analitica di questo scritto, esaminerò le implicazioni — mediche, religiose, politiche — inerenti all’attribuzione di «pazzia» ad una donna nell’Inghil-

terra della prima età moderna. Infine, nell’ultima parte, esaminerò ciò che si può desumere dell’atteggiamento di Lady Eleanor verso il proprio corpo, i suoi processi interni, i suoi punti di forza e le sue debolezze, attraverso i simboli e le metafore dei suoi scritti, di natura essenzialmente re-. ligiosa e profetica. Ritengo che la sensibilità al linguaggio

sia la chiave per recuperare la verità a partire da prove frammentarie. 2°

pd

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È importante approfondire il tema della pazzia femmi-

nile, dal momento che esso ha attratto di recente un’attenzione notevole, anche se non tutta basata sull’accuratezza storica. Riguardo al XIX secolo, in particolare, gli studiosi hanno dimostrato che le donne che deviavano in modo significativo dai modelli autorizzati di comportamento fem-

minile — subordinazione, pudicizia e condotta sessuale appropriata — correvano il rischio di essere affidate a cure psichiatriche. Elaine Showalter e altri studiosi hanno dimostrato che un comportamento accettabile o addirittura desiderabile in un uomo — fiducia in se stessi, esperienza in campo sessuale o aspirazioni intellettuali — poteva, al contrario, essere considerato sintomo di disturbo mentale in una donna. Nel XIX secolo, le donne costituivano la maggior parte dei ricoverati in manicomio. Michael MacDonald ha saggiamente ammonito di non supporre automaticamente che si possano applicare gli stessi schemi alla società della prima età moderna, malgrado stereotipi quali l’Ofelia di Shakespeare. Infatti gli autori di trattati medici concernenti la pazzia erano interessati soprattutto all’infermità mentale negli uomini. In questo senso, è significativo il fatto che, a Londra, le due imponenti statue dei pazzi, bene in vista all’esterno del Bethlem Hospital, un edificio ricostruito risalente al tardo Seicento, fossero entrambe figure maschili e rappresentassero una la

«Mania» e l’altra la «Depressione». Perciò, bisogna usare una certa cautela prima di avanzare delle ipotesi di carattere generale sull’azione dei pregiudizi culturali volti a stigmatizzare la condotta femminile con accuse di pazzia. Ciononostante, il caso di Lady Eleanor Davies sembra esemplificare in maniera particolarmente efficace il potere di simili stereotipi. La vita di Lady Eleanor Davies Nel 1609, all’età di vent'anni, Eleanor Touchet, figlia | di Lord Audeley (più tardi conte di Castlehaven), sposò Sir DE

sett n

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Lady Eleanor Davies, la pazz

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John Davies, un politico ambizioso e opportunista che sarebbe presto divenuto procuratore generale per l'Irlanda. Erano entrambi personalità forti e il loro fu un matrimonio burrascoso. La loro figlia Lucy fu data in sposa dal padre all’età di dieci anni (senza licenza ecclesiastica) a Ferdinando, il quale, nel 1643, succedette a suo padre come sesto conte di Huntingdon; anche Lady Lucy sarebbe diventata un’intellettuale piuttosto eccentrica, fortemente legata a sua madre. Il 28 luglio 1625, mentre se ne stava sdraiata sul letto, Lady Eleanor ebbe una visione: «Mi trovavo nella mia casa ad Englesfield», ricordò, «quando udii al mattino presto una Voce dal Cielo, che pronunciava queste parole come attraverso una Tromba: mancano diciannove anni e mezzo al Giorno del Giudizio e tu sii come la mite Vergine». La voce divina la invitò a render nota la sua missione profetica, in parte grazie a un anagramma miracolosamente ri-

velatole: per mezzo della magia celeste della Parola, le lettere di Eleanor Audeley divennero Reveale O Daniel (Rivela o Daniele). In seguito, ella s'immaginò avvolta nel mantello del biblico Daniele e firmò diversi suoi scritti: ELEANOR AUDLIE — REVEALE O DANIEL. Ella mise su carta le proprie divinazioni, ma questo «libro», come ricordò in seguito, «fu sacrificato per mano del mio primo marito, che lo gettò nel fuoco». Per vendetta, il

suo dono divino tradusse il nome del suo sposo in altri due anagrammi: JOHN DOVES = JOVES HAND (la zano di Giove), e DAVIS = IUDAS (Giuda), e profetizzò, inoltre, la sua morte («entro tre anni si attenda il colpo mortale»). Per sottolineare la gravità della predizione, Lady Eleanor «da quel momento, indossò l’abito da lutto». Suo marito morì l’anno seguente. Nel giro di tre mesi, Lady Eleanor si risposò con Sir Archibald Douglas verso la fine del 1626; questo matrimo-.

nio non fu più felice del primo. Lady Eleanor ricominciò a scrivere; Sir Archibald emulò Sir John nel bruciare gli scrit-

ti di sua moglie e lei, in maniera ormai prevedibile, lo mai

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ledì con una profezia di morte. E infatti, nel giro di un anno, «al momento della comunione nella Martin’s Church,

Sir Archibald Douglas fu privato di colpo dei suoi sensi». Presumibilmente vittima di un colpo apoplettico, Douglas, da allora in poi, parlò «come una creatura bruta» e, così aggiungeva sua moglie esultante, «senza dubbio, anche il suo cuore divenne quello di una bestia, poiché era insaziabile e infilava la testa in un piatto di brodo, di lattuga o di erbe e beveva olio e aceto e talvolta birra tutt’insieme». Benché rimase in vita fino al 1644, Sir Archibald divenne evidentemente sempre più eccentrico: credeva di vedere gli angeli e, come sua moglie, si diede agli anagrammi. Lady Eleanor si fece sempre più sicura della sua missione di profetessa vendicatrice; questo sedicente Daniele avrebbe pubblicato ventotto trattati di natura profetica. Dalla predizione del destino degli odiati mariti, ella passò alla sfera pubblica. Nel giugno del 1628, predisse che il duca di Buckingham, il famigerato prediletto di Carlo I, sarebbe stato assassinato, ma «non prima di agosto». Con arcana precisione, Buckingham fu puntualmente colpito a morte da John Felton il 23 agosto. La fama di Lady Eleanor crebbe vertiginosamente, poiché la sua predizione aveva ricevuto ampia diffusione. «Questa profezia — ricordava Peter Heylin nella sua vita dell’arcivescovo Laud — la innalzò alla reputazione di Donna Ingegnosa tra le persone ignoranti».

La fama di Lady Eleanor come indovina venne ulteriormente incrementata dalle sue predizioni riguardanti la moglie di Carlo I, Enrichetta Maria. La regina francese era arrivata in Inghilterra nel 1625 e due anni più tardi non c’era ancora alcun segno di gravidanza. A corte e negli ambienti politici cominciarono a circolare voci su una possibile sterilità. Pare che, nel giorno d’Ognissanti del 1627, mentre stava uscendo dalla messa serale, la regina si sia fermata a chiedere a Lady Eleanor quando sarebbe rimasta incinta. Il primo figlio della regina, rispose sinistramente Lady Eleanor, sarebbe stato battezzato e seppellito nello

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Lady Eleanor Davies, la pazza

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stesso giorno. E così accadde: nel maggio del 1629, il primogenito reale (Carlo Giacomo) morì come Lady Eleanor aveva predetto. Qualche tempo dopo, dalla corte fu inviato un messaggero a Lady Eleanor, la quale predisse che il prossimo figlio della regina sarebbe stato un altro maschio, ma eccezionalmente forte, proprio come il futuro Carlo II, nato nel maggio del 1630, diede prova di essere. Tra gli altri, anche il re diffuse la fama di Lady Eleanor. Tuttavia questa celebrazione dei suoi poteri finì per ritorcersi contro di lei; tre anni più tardi, infatti, Lady Eleanor fece stampare ad Amsterdam, dove non c’era bisogno di una licenza, le sue «profezie» nell’opera Giver to the Ele: ctor Prince Charls of the Rbyne, uscita con lo pseudonimo «Reveale O Daniel». Stavolta, la morte annunciata non era quella di un marito né di un cortigiano, bensì del re in pertsona. Lady Eleanor definì il sovrano «Baldassarre» ed evocò la visione di una Bestia che risaliva in superficie dal Pozzo senza Fondo, munita di sette teste che rappresentavano i sette anni del malgoverno del re. La profetessa divina predisse che, alla fine, il re sarebbe stato giustiziato. Come ha dimostrato Bernard Capp, nell'atmosfera millenaristica della guerra dei Trent'anni non era insolito che dei testi escatologici ed astrologici profetizzassero la morte dei monarchi, ma tali predizioni costituivano naturalmente dei crimini: era tradimento persino calcolare l'oroscopo del monarca senza autorizzazione. Perciò, non sorprende il fatto che Lady Eleanor sia stata convocata alla Court of High Commission 1’8 ottobre del 1633, con l’accusa di aver «redatto e pubblicato alcuni libelli fanatici e diffamatori». In particolare, le venne chiesto di rispondere a domande riguardo al suo oltraggioso trattato Giver to the Elector Prince Charls of the Rbyne. L'accusa contro di lei faceva speci-

fico riferimento al suo sesso: Che ella ha ultimamente scritto e compilato, fatto stampare e pubblicato... Brani... del Profeta Daniele e di altri argomenti scandalosi per mezzo d’anagrammi o d’altro, contro persone di E I e

#

a

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Chiesa ed eminenti giudici... Giacché si è assunta il compito (assai sconveniente per il suo sesso) non soltanto di interpretare le scritture... ma anche di essere una profetessa... e ha compilato certi libri di tali sue invenzioni... che ella ha personalmente portato con sé oltremare e lì ha fatto in modo che venissero stampati senza licenza, per poi riportarli qui in Inghilterra dove, senza permesso, li ha diffusi....trasgredendo il decreto della Star Chamber, emesso nel ventottesimo anno del regno della Regina Elisabetta, per frenare la stampa e la pubblicazione illegali di libri... con grande scandalo della nostra Chiesa e del nostro Stato.

La Corte la condannò per aver finto di essere stata designata da Dio. Come doveva essere punita? Due dei giudici ritenevano che Lady Eleanor dovesse ammettere pubblicamente il proprio reato davanti alla Saint Paul’s Cross di Londra, mentre il vescovo di Rochester suggerì di mandarla a Bethlem, l’unico manicomio pubblico del regno, si-

tuato allora a Spitalfields, alla periferia orientale di Londra. Alla fine, Lady Eleanor fu multata per 3000 sterline e condannata alla reclusione nella Gatehouse di Westminster, dove fu detenuta dal 1633 al 1635. I suoi scritti avrebbero dovuto essere dati alle fiamme, cosa che l'arcivescovo Laud, da lei descritto come la Bestia dell’ Apocalisse di San Giovanni («dalle corna di agnello e dal cuore di lupo»), fece personalmente. Durante la prigionia, non le si sarebbe dovuto fornire alcun materiale per scrivere, poiché aveva «già talmente abusato della propria libertà in quel genere di cose». «I loro corpi morti [ovvero quelli dei ‘suoi libri] vennero gettati in fogli sparsi sulle strade della grande città», si sarebbe lamentata in seguito Lady Eleanor. L’enorme multa non venne mai pagata, ma Lady Eleanor trascorse due anni sotto detenzione prima che le istanze presentate da sua figlia, Lucy, contessa di Huntingdon,

ottenessero il suo rilascio. Più avveduta di sua madre, Lucy ammise che Lady Eleanor era stata imprigionata «solo per giusta censura».

Al suo rilascio nel 1635, Lady Eleanor andò via da Londra per trasferirsi nella città di Lichfield nello Stafford-

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Lady Eleanor Davies, la pazza

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shire, sede di una importante cattedrale. Spinta da indignazione patrizia, scontento religioso e desiderio di vendetta contro Laud, cominciò a commettere oltraggi contro il decoro della cattedrale. Per puntiglio aristocratico, occupava posti riservati alle mogli del vescovo e dei canonici; peggio ancora, si sedeva sul trono episcopale e compiva atti di profanazione. Come disse lei stessa in seguito, con la sua prosa a malapena intellegibile e col suo strano modo di scrivere le parole, il suo era un dramma di divina iconoclastia. Dal momento che le autorità ecclesiastiche laudiane avevano macchinato nascondendosi dietro i paramenti sacri affissi al muro di grezza stoffa purpurea, perfino di eclissare quella Luce delle Luci, così da celare i Dieci Comandamenti, come se non fosse accaduto nulla di oscuro. Avevano portato nella Cattedrale di Lichfield, dove si trovava l’Enorme Tavolo [1°Altare Maggiore] decorato con il Certurione, armato di tutto punto, in groppa al suo Corsiero, anche la Bestia idolatrata. [...] Al che, o maledetti, sentendosi costretto a risvegliare la stessa

Corte e la Città per portare la luce, il loro Lord Mayor quell’anno

un uomo di Lichfield, decise di lasciare un segno sul loro rivestimento purpureo, su cui ella sparse una mistura fatta di catrame mescolato con amido di fruzzento e limpida acqua calda...

In altre parole, ella si era seduta al posto del vescovo, tenendo in una mano un pennello e, nell’altra, una pentola

con della pece e del catrame, definendosi «Primate e Metropolita» (i titoli dell'arcivescovo Laud), e aveva poi spruzzato gli arredi dell’altare con la sua parodistica o carnevalesca «acqua santa». a Lady Eleanor fu arrestata e l'arcivescovo, ormai esàspe-

rato, chiese al re che fosse rinchiusa, per metter fine alle sue «orribili profanazioni». Stavolta si seguì il suo consign nica 101Ò glio, e la nobildonna fu mandata in quella che sarebbe stata da lei definita in seguito «l’odiosa prigione di Bedlam», dove, secondo le sue affermazioni, sarebbe stata esposta agli sguardi ottusi dei curiosi. Anche quando fu confinata nel | più importante manicomio di Londra, non si riuscì a metpe

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terla a tacere, poiché predisse che l'ospedale avrebbe preso fuoco (l’incendio puntualmente si verificò). Rimase a Beth-

lem per sedici mesi, quindi fu trasferita alla Torre di Londra, fino al settembre del 1640, quando sua figlia e suo genero, Lord e Lady Hastings, riuscirono ad ottenere il suo Kilasciono

Questa sequela di predizioni e repressioni continuò. Ebbe inizio la guerra civile e l’intera nazione, non soltanto il mondo dell’agitata Lady Eleanor, si stava sfaldando. Sullo sfondo della guerra, ella intensificò la sua carriera profetica: degli undici anni compresi tra il suo rilascio da Bethlem e la sua morte, avvenuta nel 1652, ci sono rimaste cinquan-

ta pubblicazioni, alcune delle quali, per ammissione della stessa autrice, diverse l’una dall’altra soltanto nel titolo e

in altri particolari insignificanti, e tutte stampate a proprie spese tranne una. Nel 1646, Lady Eleanor venne mandata di nuovo in un’altra prigione di Londra, il Compter, stavolta per ordine del Parlamento. Ella diede una vivida descrizione delle sue tribolazioni: Non molto tempo dopo, stretta fra due di loro, fu condotta laggiù e venne immediatamente chiusa e sprangata nella segreta, epitome dell’inferno, nel buio, da dove nessuno poteva udire richiami o urla; prima di tutto, le frugarono nelle tasche della giacca e dopo averla umiliata così, insieme alla chiave portarono via la candela e la lasciarono lì nel loro lazzaretto, sul pavimento bagnato, a prendere possesso del suo alloggio.

Come manifestazione dell’ira divina per l'offesa commessa contro di lei, «il Cielo fece dardeggiare fulmini senza sosta, ed il bagliore era tale da sembrare mezzogiorno». L’ascesa di Oliver Cromwell — che non era un Baldassarre — diede un po’ di tregua a Lady Eleanor, poiché egli univa una prudente accettazione della tolleranza religiosa con un genuino interesse verso coloro che sostenevano di essere strumenti della volontà divina. Nel 1648, ella andò a trovare Cromwell al quartier generale dell’esercito a St. Albans, formulando come sempre un anagramma appro=

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priato, ma stavolta amichevole: 0. CROMWELL divenne HOwL ROME (Salve Roma). Ella riteneva che la «O» di Oliver fosse un sole splendente in tutta la sua gloria, a differenza della debole luna crescente indicata dalla «C» di Carlo I. Lady Eleanor regalò a Cromwell il suo libro di rivelazioni stampato per la prima volta nel 1633, scrivendoci sopra The Armies Commission e aggiungendovi il verso lusinghiero: «Guardalo giungere con diecimila dei suoi Santi per compiere giustizia». La cortesia di Cromwell conquistò l'ammirazione da parte della nobildonna. Nel 1651, in The Benediction lo acclamò «famoso», sperando che continuasse «vincitore» e vedendone così il futuro: Per il Generale degli Eserciti, Sua Eccellenza. Mio Signore, Il Vostro interesse si compie nei tempi incomparabilmente

difficili della Nazione: nelle vostre mani si trova la Spada Fiammeggiante per scacciare l'Uomo, e ciò colma di pari onore il Vostro Nome. [...] Mentre Sole e Luna stavano come in ammira-

zione, rivelavano i loro caratteri d’oro, occhi immobili e Corna dell’ Agnello [...] La voce dei vostri nemici si è spenta in tutte le terre [...] O. Cromwell, che il tuo nuovo nome sia il Vittorioso

finché Sole e Luna continuano ad esistere.

Si suppone che Cromwell abbia risposto: «Purtroppo non siamo tutti santi».

Grazie alla nuova situazione favorevole ai fanatici religiosi, Lady Eleanor poté trascorrere i suoi ultimi anni di vita in una condizione di relativa sicurezza, dopo aver avuto andea è pa che il piacere di vedere realizzate le sue profezie contro Laud e Carlo I (l’arcivescovo fu giustiziato nel 1645, Carlo I nel 1649). Poco prima dell’esecuzione di quest’ultimo, Lady Eleanor indirizzò un trattatello all’«uomo di sangue» in persona. Rammentandogli le sofferenze che ella aveva subito per ordine suo, gli consigliò di confessare pubblicamente la sua «grave colpa» e, cosa non meno importante,

— .d’implorare il di lei perdono, «se vi aspettate di trovare mi| sericordia in questo mondo o nell’altro». Lady Eleanor o

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avrebbe presto ridato alle stampe l’oltraggioso trattato ori-

ginale, Given to the Elector Prince Charls of the Rbyne, con tutte le sue profezie e, nel 1651, apparve The Restitution of

Profesy, una specie di surzzza di tutte le sue rivelazioni originali; per ironia della sorte, alla sua morte, avvenuta nel 1652, il pastore anglicano Peter Du Moulin sostenne che le era stato davvero «concesso un raggio di divina conoscenza delle cose future». Il linguaggio profetico femminile: religione, genere e potere

È necessario comprendere la strana vita di Lady Eleanor Davies alla luce delle tensioni socio-culturali che giunsero al culmine nel periodo della guerra civile e dell’interregno. Da un lato, i valori civili della società sancivano l’ordine politico, sociale, familiare e patriarcale; dall’altro, quelli religiosi davano la priorità allo spirituale rispetto al

temporale e l’elemento calvinista del puritanesimo ammetteva che l’Onnipotente potesse parlare per bocca dei Suoi figli, i Santi, e ispirarne l’azione, anche se tali Santi non coincidevano necessariamente con figure gradite alle autorità civili ed ecclesiastiche. In generale, si riteneva che le persone povere, umili, analfabete e di sesso femminile dovessero essere subordinate, o addirittura tacere; ma se era-

no loro gli eletti, avevano il dovere predestinato di parlare e di guidare gli altri. Chi poteva, però, distinguere i «profeti autorizzati» dai falsi oracoli? Era in circostanze del genere che le pretese dei devoti, soprattutto delle donne, di abbattere la Meretrice di Babilonia e di creare la Nuova Gerusalemme risultavano particolarmente attraenti, ma anche pericolose. Come hanno dimostrato studi recenti, le donne godevano di un’importanza inconsueta nelle sette religiose radicali che spuntarono come funghi immediatamente dopo

la guerra civile. Le loro rivendicazioni del diritto di parola provocarono un’accesa disputa, poiché l’irruzione della pa-

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rola femminile nel campo da sempre vietato dell’attività pubblica, sia nella sfera religiosa che in quella politica, rappresentava un’anatema per i valori tradizionali di una società in cui il termine Silence (Silenzio) poteva essere usato

come nome di battesimo per una figlia, e il modo di parlare delle donne veniva comunemente stigmatizzato come «semplice» pettegolezzo o chiacchiera oziosa. Sarebbe allettante proporre una netta divisione dualistica tra un diritto «maschile» a parlare e un dovere «femminile» di rimanere in silenzio o di ascoltare; queste convenzioni sarebbero state infrante solo da occasionali scoppi profetici («isterici») da parte di alcune donne. Ma suggerire un semplice dualismo maschile-femminile costituirebbe un eccesso di semplificazione, poiché le donne stesse si esprimevano attraverso molte voci diverse. Come hanno sottolineato Christine Berg e Philippa Berry, all’epoca della guerra civile esistevano una voce uniforme e una causa co-

mune tra le «profetesse». Della dozzina circa di donne che risulta svolgessero attività profetica durante il periodo rivoluzionario, ve ne sono soltanto tre delle cui asserzioni

profetiche rimangano prove significative. A parte Lady Eleanor, le altre due donne che divennero ricettacoli dello

Spirito Santo furono Mary Cary e Anna Trapuel. Se Lady Eleanor si distingueva per le sue profezie politiche, le altre due erano entrambe caratterizzate, per contro, da un’esperienza religiosa intensamente personale, di cui si ha testimonianza nelle loro opere; Anna Trapuel, in particolare,

era nota per la condotta estatica e l’indole mistica che ac-

compagnavano le effusioni dello spirito profetico. Lady Eleanor può essere paragonata alle altre profetesse del suo tempo, ma la si deve anche distinguere da esse. Incarnava è n AP ve n e

soprattutto un paradosso: in quanto donna, il far sentire la propria voce rappresentava una trasgressione; in quanto ari-

stocratica, ella riteneva di avere l’autorità per comandare.

Lady Eleanor, in effetti, si distingue notevolmente dalreligiose della sua epoca. A differenza di altre pie altre — Je

gentildonne (per esempio, la neoplatonica e simpatizzante \

a

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quacchera Anne Conway), ella non si sottomise alla protezione di un patrono di sesso maschile. Non risulta in alcun modo che avesse stretti rapporti di reciproco sostegno con altre donne, tranne che con sua figlia, la quale può aver agito per prudenza e per paura. A differenza di quanto accadeva con le donne battiste o quacchere, non esistono prove di una sua ricerca di solidarietà con il proprio sesso. Il suo principio di solidarietà era la famiglia nobile. Come vedremo, anche nel processo a suo fratello ella lo sostenne fino in fondo contro sua moglie. In effetti, gli scritti di Lady Eleanor non presentano alcun accento peculiarmente «femminile» di spiritualità individuale. Sono in massima parte opere di profezia pubblica, che si basavano sulle Scritture e si supponeva comunicassero il volere divino. I bersagli di tali profezie erano uomini (Carlo I, Laud, i suoi mariti), ma erano di sesso maschile anche gli alleati della nobildonna (Dio, Cromwell, l'Esercito). In termini attuali, Lady Eleanor infrangeva le regole perché non c’era nulla di «femminile» nel suo comportamento né nelle sue affermazioni. La spiritualità e la devozione erano permesse alle donne; ma la profezia era compito dell’uomo. Divenendo Daniele, Lady Eleanor indossò i pantaloni. Il suo comportamento venne considerato inadeguato al suo sesso. Dopola sua morte, l’epitaffio di famiglia fece di necessità virtù, lodandola per aver avuto, come si diceva della regina Elisabetta, «lo spirito di un uo-

mo in un corpo di donna». A Eppure, se Lady Eleanor non si conformava agli ideali della devozione femminile, non ricordava neppure da vicino i profeti puritani inglesi dell’età barocca. A differenza di predicatori quali William Prynne, Henry Burton e gli altri martiri laudiani, ma anche di settari come i Levellers o i Diggers, o di George Fox, il primo leader quacchero, Lady Eleanor non era una riformatrice sistematica, che avanzava critiche allo status quo e progetti per il Millennio, sostenuti da ragioni, precedenti e teorie. I suoi brevi e ardenti trattati

non intraprendevano alcuna analisi dettagliata dell’ordine =



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politico né dei cataclismi coi quali avrebbe avuto fine. Privi di una struttura formale e di un argomentare logico, senza riferimenti classici o storici, i suoi scritti sono essenzialmen-

te autobiografici, annunciano segni, prodigi e l'imminente vendetta divina. Ella aveva una profonda dimestichezza con certi testi, immagini e profezie della Bibbia. Era in grado di collegare la Bibbia alla realtà quotidiana, e perciò tutta la verità contenuta in quel sacro testo stava alla base del suo amore per gli anagrammi e i giochi di parole. La verità sacra risiedeva nelle parole. Pertanto, coloro che sapevano giocare con le parole sacre erano strumenti di Dio. La pazzia

Con l'avanzare degli anni, Lady Eleanor Davies divenne assai strana, anche se, considerato il trattamento che ricevette dai suoi mariti e dalle autorità civili ed ecclesiastiche, aveva ben diritto di esserlo. Di certo, altri fattori

contribuirono ai traumi che caratterizzarono la sua esistenza. Il suo figlio maggiore, Jack, era idiota e morì accidentalmente per annegamento. Suo fratello Mervyn, conte di Castlehaven, fu il protagonista del più torbido scandalo sessuale nell’Inghilterra dei primi Stuart. Bisessuale, si macchiò di molti crimini, fra cui quello di aver costretto ripetutamente i suoi servi a violentare sua moglie. Per questo suo ruolo nello scandalo, venne giustiziato. Quale che ne fosse la ragione, Lady Eleanor divenne aggressiva, stizzosa ed estremamente imperiosa. Anche prima delle sue maggiori sventure, fu coinvolta in veementi contese. Nel 1622, un uomo chiamato Brooke la rimproverò per aver insultato sua moglie e suo figlio, sostenendo che Lady Eleanor aveva, col suo comportamento, abbandonato tutta «la bontà e la modestia», accecata dall’orgoglio del suo rango. La figlia di Lord Audley era sicuramente | ‘altera, visto che possedeva un fortissimo senso della pro| pria dignità e dell’onore della propria famiglia, a proposito i La

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della quale così scriveva nel suo stile elevato, verso la fine di Bethlehem, probabilmente l’ultimo dei suoi trattatelli: Per quanto riguarda, inoltre, la summenzionata regione o intera contea di Stafford, fino a non molto tempo fa apparteneva all’illustre casato degli Aud/ey con i suoi antenati: gli Aud/ey d’Inghilterra, donde a lady Eleanor derivano le antiche origini, e i Touchet di Francia, il nome paterno. Castlehaven in Irlanda, da cui deriva la sua superiorità in ognuno di questi paesi in ugual misura. Dalla provincia del Galles le deriva il nome di Davis: e Douglas dalla valorosa Scozia. Con nessuna delle diverse nazioni esiste un legame meno profondo che con le altre: Il Signore Dio vostro susciterà tra i vostri fratelli un profeta quale io sono, ascolta-

telo in tutto quanto vi dirà. Ogni anima poi che non presterà fede a questo profeta sarà sterminata dal popolo (Atti degli Apostoli, 3): perciò ci troviamo in un Tempo di liberazione, la cui parola è legge: non piegate il capo di fronte ad alcuna Bolla né ad altri simili

messinscene. I profeti vengono comunque seppelliti nella Terra dell'Oblio, le cui razioni la vendicheranno del suo Avversario sostenendola così: La mia mano lo manterrà saldo e il mio braccio

lo rafforzerà, né le porte dell’inferno prevarranno contro di lei: O Inferno o evanescente prigione, facci sapere dove si trovi adesso la tua vittoria.

Da questa citazione, risulta chiaro che i legami divini e familiari si univano nella mente di Lady Eleanor per conferirle autorità in quanto persona consacrata dal Signore per castigare i Suoi nemici (e quelli di lei). ‘* Inoltre, il semplice fatto che Lady Eleanor divenne nemica dei realisti e dei laudiani non significa che andasse maggiormente d’accordo e cooperasse con i nemici degli Stuart. Si è conservata una storia significativa di come, dopo la guerra civile, Lady Eleanor assunse il radicale Gerrard Winstanley e alcuni dei suoi sostenitori Diggers per compiere dei lavori di fatica per suo conto. Quando ella mancò di pagare loro i salari, Winstanley protestò contro la sua aristocratica alterigia, dicendole: «Per la vostra testardaggine, v’inquietate con gelosie, il che è peccato, una con"=

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Lady Eleanor Davies, la pazza

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dizione troppo meschina e bassa perché un vero profeta possa viverci». E aggiunse: Avete detto di essere la profetessa Melchisedec, il che costituisce un'affermazione molto impegnativa. Se incarnaste quel divino potere, allora dico: cosa significano il muggito dei buoi e il belato delle pecore? Guardate la scrittura, troverete che i veri profeti non tardavano a mantenere accordi e promesse. Uno spirito orgoglioso e superbo che si pone al di sopra di tutto è Satana il diavolo, che sarebbe lieto di sentirsi chiamare profeta, ma non avrà mai questo piacere. I fanciulli smaschereranno i suoi inganni e i suoi consigli. Ma voi sentirete il potere di un’intima inquietudine regnare in voi. Quel potere interiore v’incatenerà nel buio finché la ragione che avete calpestato non verrà a liberarvi.

La situazione è davvero paradossale. Rifiutandosi di pagare i salari a questi operai, la profetessa radicale si lascia cogliere nell’esercizio di quella prerogativa aristocratica che consiste nel godere di un credito finanziario illimitato e viene criticata aspramente per questo proprio da un fautore del comunismo che considerava la proprietà e il denaro come degli abomini! Ma se le circostanze la lasciarono squilibrata, Lady Eleanor divenne davvero pazza? Era proprio un caso da manicomio? Non è, questa, una domanda a cui uno storico possa rispondere; forse, posta in questi termini, non è nep-

«pure una domanda molto interessante dal punto di vista | storico. Senza dubbio, chi intenda fare una diagnosi retro| —spettiva può trovare frammenti di indizi rivelatori di uno | — squilibrio mentale. Agli inizi della sua vita adulta, ella aveva attratto l’attenzione della gente per aver accolto nella sua casa il muto indovino George Carr, un adolescente accusato di essere un «vagabondo, un impostore, uno stregone»; ella sembrava avere un’attrazione per ciò che era strano. Poco tempo dopo, ebbero inizio le sue esperienze soprannaturali. Le sue visioni e le voci che udiva verrebbero ' interpretate oggi come segni di manie patologiche, e gli psi-

chiatri potrebbero ben giudicare il suo comportamento PA

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estremamente distruttivo (per esempio, nella cattedrale di Lichfield) come sintomo di un disturbo della personalità. La stessa Lady Eleanor non asserì mai che la «pazzia divina» fosse un privilegio. Di storicamente interessante, nel suo caso, c’è l’uso (o l'abuso), nei suoi confronti, del-

l'etichetta della pazzia. Dapprima multata e imprigionata per il suo comportamento oltraggioso e sovversivo, quando si dimostrò che questi mezzi non funzionavano venne dichiarata pazza e rinchiusa in un manicomio. Se fosse stata trattata come una criminale, avrebbe potuto acquisire lo status di nobile, coraggiosa contestatrice e difenditrice della libertà spirituale e intellettuale, poiché il reato di sedizione ammetteva la possibilità che le cose dette da chi lo commetteva fossero vere. Affidarla come pazza ad un manicomio significava, invece, negare qualsiasi validità alla sua protesta: era semplicemente folle. Sembra che questa intelligente tattica sia stata discussa per la prima volta di fronte alla Court of High Commission nel 1633. Lo storico realista contemporaneo Peter Heylin scrisse che, portata davanti alla corte, Lady Eleanor fu dileggiata da un certo Lamb, un alto funzionario ecclesiastico. Dopo averla udita rivendicare la propria missione divina attraverso degli anagrammi (ELEANOR AUDLIE — REVEALE O DANIEL), Lamb prese in mano una penna e, alla fine, trovò questo eccellente anagramma, vale a dire DAME ELEANOR DAVIES, NEVER‘SO MAD A LADIE (Mai una donna così pazza) ed essendosi conformato alle regole dell’arte, «Madam», disse egli, «vedo che vi basate molto sugli anagrammi e io ne ho trovato uno che spero vi vada bene». Detto questo, leggendolo a voce alta, glielo consegnò per iscritto, il che fece talmente ridere l’austera corte e confuse a tal punto la po-

vera donna che, da allora in poi, o ella si fece più assennata o fu meno considerata.

Ridicolizzata da una risata evidentemente misogina, la profetessa venne più facilmente sopraffatta. Era «diventalo ta così pazza», sosteneva Heylin, da immaginare «che


Anche l’unica descrizione (indiretta) di Mary Astell che sia giunta sino a noi testimonia di un analogo atteggiamento di insofferenza nei confronti dei giochi del corteggiamento. Lady Louisa Stuart — la nipote di Mary Wortley Montagu — si rifaceva alla tradizione di famiglia quando celebrava le lodi di Mary Astell parlando di una donna piissima ed esemplare, una profonda studiosa, ma ben lontana dall’essere bella e elegante, come tutte le vecchie maestre di scuola dei suoi tempi. Nell’aspetto esterno, per la verità, non era molto favorita e aveva un’aria scostante. Il suo umore era tale, poi, che le avrebbe fatto respingere tuvidamente qualsiasi complimento, se gliene avessero fatti mentre era in vita: considerava infatti quelle espressioni stereotipate dei veri e propri insulti mascherati, che gli uomini proferiscono con impertinenza nell’intima convinzione che tutte le donne siano stupide.

Alcuni biografi si sono chiesti se la diffidenza di Mary Astell nei confronti degli uomini e il suo appassionato attaccamento verso altre donne non siano indizio di quella che oggi definiremmo una personalità lesbica. In alcune lettere a John Norris, Mary Astell parla esplicitamente della 3 1. While pretty, powd’red Beaux prefer’d/ To sigh & whine, & versify,/ What Mortal does not know their end?/ Tis for their own dear selves they Die. 2. Ah! who, think they, can see the Face,/ This jaunty Air, this Shape, This Mien,/ And not be Charm’d with such a Grace?/ She must be mine, were she a

Queen! [...] “ 5.If we th’improbable suppose,/ That wanton hearts can e’er be True,/ Who

- wou'd her Fame & Vertue lose,/ Ruin herself to pleasure you? [...] 9. To some fond Girl display your Art,/ My heart is vow’d away & gone/ Nor shall from Honor”s Laws depart,/ Nor be the purchase of a Song.

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Pe

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sua lotta contro una «fortissima propensione all’amore amichevole» che riusciva a controllare solo con grandi sforzi nonostante la salda convinzione intellettuale che «solo Dio è il vero oggetto del mio amore». Mary Astell confessava anche di avvertire «un gradevole moto dell’anima nei confronti delle persone che amo» e ammetteva che «è molto difficile per me amare senza sentire anche una punta di desiderio». Ma quando Mary Astell parla di desiderio, non si riferisce a qualche forma di attrazione fisica quanto piuttosto a un desiderio di reciprocità, al bisogno di essere corrisposta negli affetti con la stessa devozione, cosa che — lamenta Mary — non accade praticamente mai: Sono riluttante ad abbandonare qualsiasi pensiero di amicizia, sia perché l’amicizia è una delle virtù più luminose, sia perché io mi propongo attraverso di essa i più nobili disegni. Volentieri vorrei liberare il mio sesso, o almeno quelle donne che entrano nella mia piccola cerchia, da quella grettezza spirituale in cui generalmente vivono immerse, e convincerle ad aspirare a cose più alte che non siano un corsetto indovinato o un’accon-

ciatura all’ultima moda; a non sprecare tutto il loro tempo nella cura e nell’ornamento del corpo, ma a dedicarne almeno una parte all’abbellimento della mente, perché la bellezza interna durerà anche quando quella esteriore sarà venuta meno. Eppure, benché possa dire, senza vantarmi, che nessuno ha mai amato con generosità superiore della mia, forse nessuno, come me, ha ricevuto in cambio altrettanta ingratitudine: e ciò io a nient'altro attribuisco che alla gentilezza di Dio, il mio miglior amico,îlquale ben sapeva come i miei desideri fossero atti a distogliermi da Lui.

Questa lettera è stata spesso citata a sproposito per av-

valorare la tesi — erronea — che Mary Astell lottasse in realtà contro una forma di attrazione fisica per il suo sesso. E indubbiamente vero, invece, che, in un clima culturale in cuiledonne e gli uomini della sua classe sociale occupavano sfere ben distinte e conducevano un tipo di esistenza profondamente diverso, Mary fosse profondamente legata al proprio sesso a livello personale e spirituale. In effetti,

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rigorosamente separati prima del matrimonio, uomini e donne ritrovavano questa separazione anche nel vincolo coniugale, dove ambiti sociali e doveri domestici restavano nettamente distinti. Le forme di intensa amicizia femminile non erano pertanto affatto insolite e garantivano alle donne quel sostegno e quel nutrimento emotivo che troppo spesso il matrimonio negava loro. Indubbiamente era così anche per Mary Astell. Per tutta la sua vita visse, scrisse e lavorò essenzialmente per donne, e le sue amiche rappresentarono in fondo l’unica famiglia che ebbe. Senza il loro affetto, il loro aiuto e la loro compagnia la sua vita sarebbe stata difficilmente sopportabile, oltre che materialmente impossibile. Successivamente, quando la fama di Mary Astell cominciò progressivamente a calare, il piccolo circolo di amiche di Chelsea che aveva sempre seguito con favore i suoi successi continuò ad aiutarla, anche quando smise di scrivere per dirigere una scuola gratuita per ragazze, una piccola impresa locale alla quale tutte contribuirono e che indubbiamente diede a Mary l'opportunità di condurre uno stile di vita adeguato e rispettabile. Con l’età, tuttavia, il suo stato di salute andò peggiorando, mentre dovette anche subire l'umiliazione di venir sottoposta a misure speciali di sorveglianza politica, dato che nell’Inghilterra parlamentare di Walpole le sue posizioni radicalmente conservatrici non erano ben accette. Ancora una volta, le amiche si strinsero attorno a lei e, all’età di 60 anni, Mary venne convinta a ritirarsi presso la dimora della sua diletta sostenitrice, Lady Catherine Jones. Qui, alleviata per la prima volta nella sua vita di adulta da ogni preoccupazione finanziaria,

Mary Astell fu finalmente in grado di dedicarsi liberamente ai propri interessi, alle amicizie, alla religione, e lavorò

serenamente fino al giorno della sua morte, nel 1731.

eri

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Un’autrice di successo

Nella sua vita, Mary Astell pubblicò non meno di sei libri, due lunghi opuscoli e lo scambio epistolare col reverendo John Norris. I suoi primi tre libri vennero espressamente concepiti per un pubblico femminile. Nel primo, A Serious Proposal to the Ladies... By a Lover of Her Sex (1694), l’autrice parla della necessità di una maggiore istruzione per le donne e propone l’istituzione di un collegio femminile. Nel secondo — A Serious Proposal to the Ladies Part II Wberein a Method is offer'd for the Improvement of Their Minds (1697) — delinea i tratti fondamentali dell’educazione delle donne e propone un piano di studi inteso a guidare le loro menti verso forme di pensiero filosofico più rigoroso. Nel terzo libro — Sozze Reflections Upon Marriage (1700) — critica infine lo squilibrio di poteri che caratterizza il matrimonio. Dopo queste prime tre opere femmi-

niste — che insieme al carteggio con Norris, le Letters concerning the Love of God (1695) costituirono le sue credenziali di scrittrice e pensatrice — Mary Astell passò ad occuparsi di tematiche-politiche e religiose come portavoce della Chiesa Alta e del partito Tory. A parte le richieste esplicite di maggiore libertà istruzione e eguaglianza per le donne, che continuano a tornare, qua e là, in tutti i suoi scritti politici e religiosi, i libri e gli opuscoli pubblicati da Mary Astell dopo ih.1700 sono indistinguibili dalle opere degli altri scrittori (maschi) del tempo. Nel trattato e nei parzphlets pubblicati nel 1704 — A Fair Way with the Dissenters, Moderation truly Stated e An Impartial Enquiry into the Causes of Rebellion and Civil War

— scorgiamo un amore per l’ordine e per la stabilità politica, un senso di assoluta fedeltà alla dinastia Stuart, una

fede nel razionalismo cartesiano e una devozione verso la Chiesa anglicana del tutto tradizionali, nonché tipici (insieme alle sue critiche alle tesi di filosofi della politica come Locke e Defoe, e alle sue analisi sui diritti dei governati e

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sulle prerogative dell'autorità) di diverse altre opere a cavallo tra i due secoli. Proprio queste opere, tuttavia, erano destinate a gua-

dagnarle le attenzioni del grosso pubblico e ad assicurarle un clamoroso successo. Nei tre anni tra il 1702 e il 1704 la fama di Mary raggiunse il suo culmine e la Astell divenne un personaggio molto ricercato nella buona società londinese. Alcuni polemisti parlavano di lei come di una vera e propria «eroina», mentre frotte di ammiratori si recavano a Chelsea per vederla. Per sottrarsi alla loro curiosità, talvolta abbastanza importuna, Mary fingeva di essere una domestica (cosa del resto non difficile, data la modestia con cui usava abbigliarsi), e affacciandosi da una finestrella di

servizio diceva che «Mrs. Astell non è in casa». Se la sua fama tra i contemporanei era dovuta più alle pubblicazioni religiose e politiche che non agli scritti femministi, in generale il suo contributo più durevole alla storia delle idee è legato proprio al suo femminismo. Maty si sarebbe molto stupita di questo giudizio dei posteri (si considerava indubbiamente più una metafisica, una filosofa, che non un’attivista o una crociata), ma è proprio al mo-

vimento delle donne nei paesi di lingua inglese che, in ultima analisi, dobbiamo volgerci per ritrovare le tracce più significative della sua influenza. Persino il suo necrologio; del resto, apparso il 29 maggio del 1731 sul «Daily Journal», testimonia del maggior interesse dei suoi lavori religiosi e femministi poiché trascura del tutto i suoi scritti politici, più effimeri e già piuttosto démodé: Alcuni giorni fa è morta a Chelsea, in età avanzata, una gentildonna molto ammirata per un buon numero di ingegnosi scritti in materia di religione e di virtù dei quali ha fatto dono al pubblico. La sua corrispondenza con il famoso Mr. Norris di Bemerton sull’importantissimo tema dell’amor di Dio le guadagnò non -. piccolo plauso. E chiunque legga le sue Riflessioni sul Matrimonio ‘(una nuova edizione, con modifiche e aggiunte, è stata pubbli

‘cata di recente), o il suo libro intitolato, Proposta alle signore, o

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l’altro, La religione cristiana quale è professata da una figlia della Chiesa d'Inghilterra, e inoltre le altre opere sue, riconoscerà in questi scritti l’espressione di una mente elevata, e un'ispirazione geniale, superiore a quanto appare nel suo sesso, e non indegna dei più grandi scrittori appartenenti al sesso maschile.

Dichiaratamente «ignara dell’inferiorità naturale del nostro sesso», Mary Astell non si sarebbe sentita affatto lusingata da queste lodi piuttosto ambigue. Molti suoi scritti denunciano inflessibilmente le fallacie dei precetti di stampo patriarcale dei suoi tempi e, servendosi della sua inattaccabile reputazione personale e intellettuale, offrono alle donne tutta una serie di argomenti per mettere in discussione la gerarchia dominante tra i sessi. Mary Astell mise la sua logica rigorosa, ravvivata dalla brillantezza dell’ingegno, al servizio della causa delle donne, e propose dei programmi concreti finalizzati alla riforma in senso egualitario dell’istruzione e dello stesso istituto del matrimonio. In The Christian Religion, As Profess'd by a Daughter of the Church of England (1705), Mary denuncia così con sarcasmo «l’assenza delle donne dalla storia»: Dato che gli storici appartengono al sesso maschile, raramente si degnano di registrare le grandi e nobili azioni compiute dalle donne; e quando ne danno notizia, lo fanno aggiungendo questa saggia osservazione: che quelle donne hanno agito ponendosi al di sopra del loro sesso. E con ciò possiamo intuire quel che vogliono far capire ai loro lettori: che quelle grandà azioni non furono delle donne a compierle, bensì degli uomini in gonnella!

L'istruzione e l’indipendenza delle donne

I primi scritti di Mary Astell sull’educazione non affrontavano soltanto i temi dell’istruzione femminile e del-l'eguaglianza intellettuale tra uomini e donne. In questi la-

vori la Astell si occupava anche di un problema che cominciava a toccare un sempre crescente numero di donne nell'Inghilterra del XVII secolo e che lei stessa conosceva mol-

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to bene personalmente: la situazione della donna sola, di buona famiglia ma con modesti mezzi finanziari, che non poteva o non voleva sposarsi, che non poteva scegliere di lavorare senza rinunciare alla sua reputazione ma riluttava tuttavia ad abbracciare l’unica alternativa che le restava, vale a dire quella di rassegnarsi a diventare un peso economico e un membro di seconda classe della sua famiglia. E stato calcolato che il numero di figlie della getry che raggiungeva senza sposarsi i cinquant'anni crebbe dal 10% del XIV secolo a circa il 25% della fine del XVII e del XVIII secolo. Questa elevata percentuale dipendeva, da una parte dalla sopravvenuta impossibilità, per le donne che non pensavano che il matrimonio fosse la loro unica opportunità, di scegliere di dedicarsi alla vita monastica. Dall’altra era legata invece ad una modificazione nella distribuzione quantitativa dei due sessi, causata dalla scarsità di uomini delle classi medie e superiori sia in città che nelle zone rurali. Uccisi in gran numero nelle guerre succedutesi dalla metà del XVII agli inizi del XVIII secolo, falcidiati da una minor resistenza alle epidemie, attirati lontano dall'Inghilterra dalle nuove occasioni che li aspettavano nel Nuovo Mondo, gli uomini erano ormai nettamente la minoranza della popolazione. Nel 1694, la proporzione tra i sessi, a Londra, era di 77 maschi per ogni 100 donne; il che implica, come nel 1722 Daniel Defoe farà dire alla sua eroina Moll Flanders, che «il mercato è contro il nostro sesso». D'altro canto, in una società in cui trovare marito diven-

tava sempre più difficile — e sempre più costoso —, le fortunate che avevano una buona dote o un’eredità erano invece più esposte che mai al rischio di matrimoni mercenari, di puro interesse. La proposta di Mary Astell di istituire una comunità di sole donne, riunite insieme in un «religioso isolamento»,

muoveva perciò dalla constatazione della particolare situa-

zione in cui versava un numero sempre crescente di donne

in una società in cui il matrimonio continuava a rappresentare per loro l’unico destino socialmente approvato e rico2

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nosciuto. Fortemente pressate a darsi da fare per accalappiare un marito, le ragazze che restavano nubili venivano considerate praticamente delle fallite. Come osserva Mary Astell in Soze Reflections Upon Marriage, alle giovani si insegna, fin dalla giovinezza «a pensare soltanto al matrimonio», mentre non si considera mai che una ragazza «possa

avere anche dei progetti più elevati di quello di trovar marito». Molte ragazze sono così «terrorizzate dalla spaventosa qualifica di zitella», che col passar del tempo cadono nel panico, e pur di non rinunciare al matrimonio preferiscono rassegnarsi ad un’unione miserabile e disonorevole: La povera signora... ha approntato tutte le reti e fatto uso di tutte le sue arti per giungere alla conquista. Scopre ora che la lusinga non ha fatto presa come invece essa sperava. Nel frattempo si è presa una cura tanto straordinaria del suo corpo che non ha trovato il tempo per migliorare il suo spirito, il quale così non le offre alcuna sicura via di ritirata. Deve affrontare adesso la delusione che le viene dall’esterno, e rendersi conto ogni giorno di più che il riguardo con cui era abituata a sentirsi trattare svanisce tanto rapidamente quanto la sua bellezza. E atterrita dalla spaventosa qualifica di zitella, anche se nessuno, oltre gli sciocchi, gliene farà rimprovero, e se nessuna donna sensata se ne spaventerà. Per evitare questa terribile etichetta e le beffe che colpiscono le vergini troppo mature, essa si precipita in un matrimonio disonorevole che considera, erroneamente, come il suo ultimo rifugio, procurando con ciò la vergogna della sua famiglia e la propria irreparabile rovina. °

Comprensibilmente, considerata la sua esperienza personale e quella di tante sue contemporanee, Mary Astell rifiutava così la convinzione universale che le donne avessero bisogno di un marito per tutta una serie di motivi fisiologici, sociali ed economici. Oltre al suo aristocratico circolo di amiche di Chelsea, che dimostravano eloquentemente come le donne potessero condurre un'esistenza pia, caritatevole e intellettualmente gratificante anche se nubili

o vedove, anche molte altre delle donne più notevoli del

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periodo (tra cui alcune che Mary conobbe e di cui divenne amica) restarono nubili e al tempo stesso intellettualmente produttive e finanziariamente indipendenti. Bathsua Makin, ad esempio, istitutrice dei figli di Carlo I, scrisse Ax Essay to revive the Ancient Education of Gentlewomen, in Religion, Manners, Arts & Tongues, with an Answer to the

Objections against this way of Education (1673) e a un certo punto della sua vita fondò anche una scuola per gentildonne. Un altro caso interessante è quello di Elizabeth Elstob, una studiosa «pura» che, esclusa per via del suo sesso dalla rinascita di studi sulla tradizione anglosassone che si sviluppava all’Università di Oxford, pubblicò nondimeno un'importante grammatica anglosassone (punteggiata di osservazioni e commenti femministi) e molte ammiratissime traduzioni. Indipendentemente da questi precedenti e a parte l’esempio che la stessa Astell e altre sue contemporanee die-

dero della possibilità di vivere senza sposarsi in modo rispettabile e dignitoso, Mary Astell era sostanzialmente convinta che per le donne fosse comunque meglio vivere da sole o con altre donne, e che il matrimonio — considerati i pericoli del parto, le preoccupazioni della maternità, i doveri domestici — minasse alle radici la salute, lo sviluppo intellettuale e persino la devozione religiosa delle donne. Il suo pronunciarsi a favore della castità, in questo senso, era sostanzialmente una scelta di tipo strumentale. Secondo Mary Astell tutte le donne, proprio come lei, erano esseri sostanzialmente razionali e indipendenti, e da questo punto di vista uno stile di vita quasi monastico avrebbe contribuito a liberarle non soltanto dagli imperativi di tipo biologico che altrimenti ne condizionavano l’esistenza, ma anche dalla tirannia egoista, insensibile, esigentissima di un marito cui, secondo i dettami del XVII secolo, la moglie avrebbe dovuto tributare una cieca obbedienza. L’istruzione era lo strumento necessario per raggiunge-

‘re questa liberazione. Per mezzo di essa, le donne sareb-

bero state in grado di comprendere «il bene e il male della ?

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condizione matrimoniale», o imparare a scegliere un marito con saggezza, o decidere di non sposarsi affatto oppure imparare come fare per mantenersi autonomamente. Mary Astell non si limitò a cercare di rendere desiderabile e concretamente praticabile un’ideale di vita solitaria istruita e devota, ma si batté anche per ritagliare all’interno della società inglese del tardo XVII secolo e del Settecento uno spazio e un ruolo per le donne colte. Bathsua Makin aveva osservato, con amarezza, che generalmente si pensa che una donna colta sia una «specie di Cometa del malaugurio, che causa malanni ogni volta che appare». Una donna che sceglieva di non sposarsi andava in un certo senso contro natura, e veniva considerata una fallita o addirittura una

sorta di mostro. Analogamente, anche la donna colta e istruita era a suo modo un mostro, un essere privo di femminilità e quasi mascolino. Su queste basi, molte donne di grande intelligenza preferivano non uscire allo scoperto, e sceglievano di pubblicare i loro scritti sotto pseudonimo oppure di non pubblicare affatto. Lady Mary Wortley Montagu, per esempio, le cui Embassy Letters; The Travels of an English Lady in Europe, Asia and Africa (1724-25) vennero pubblicate soltanto postume (la sua famiglia infatti pensava che per una donna fosse poco modesto e déclassé figurare come autrice) venne nondimeno incoraggiata dal suo entourage, e in particolar modo da Mary Astell, che scrisse una prefazione alle Letters in cui metteva in risalto i pregevoli risultati letterari raggiunti dalla Montagu: «Confesso con una certa malizia di essere impaziente che il mondo apprezzi quali migliori effetti diano i viaggi delle SIGNORE rispetto a quelli dei siGNoRI». I pregiudizi contro l'educazione delle donne erano del resto così acuti che il

duca di Newcastle, nella prefazione al libro di sua moglie Philosophical and Physical Opinions (1663) si era trovato costretto a difendere la duchessa da coloro che mettevano in dubbio il fatto che fosse davvero lei l’autrice del libro e sostenevano che «nessuna donna è in grado di capire parole così ostiche». Il duca coglieva così il nodo vero del proble-

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ma, il monopolio maschile del sapere. «Qui sta il delitto — fa rilevare — è una Signora a scrivere, e una tale violazione delle prerogative maschili è imperdonabile». Ma per tornare alla difesa dell’intelligenza delle donne e del loro diritto ad una buona educazione, la tesi fondamentale di Mary Astell è che Dio ha dato alle donne una mente e un’anima eguali a quelle degli uomini e che perciò è un loro preciso dovere religioso coltivarle piuttosto che perdere il loro tempo e le loro capacità in occupazioni frivole quali la danza, il disegno, i bei vestiti, anche se gene-

ralmente si pensa che queste siano le attività più adatte alla mente debole e incostante delle donne: Poiché Dio ha concesso alle donne tanto quanto agli uomini un'anima intelligente, perché alle donne dovrebbe essere vietato di perfezionarla? Poiché Egli non ci ha negato la facoltà del pensiero, perché, almeno per gratitudine verso di Lui, non dovremmo noi esercitare i nostri pensieri sul loro più nobile oggetto, che è Dio stesso, invece di sprecarli indegnamente in sciocchezze frivole, divertimenti e affari del secolo?... E quanto a quelli [gli uomini] che hanno un’opinione così sprezzante di una tanto considerevole parte della creazione di Dio da supporre che noialtre siamo fatte unicamente per ammirarli e per rendergli servizio e provvedere alle basse cure di una vita animale, noi abbiamo compassione del loro errore, e possiamo sopportare con calma il loro scherno: essi infatti non disprezzano tanto noi, quanto il loro Creatore.

Secondo la Astell, anche quelle donne che dichiarano di sentirsi pienamente appagate dal loro ruolo di padrone di casa, ignoranti ma alla moda, e che tendono a schernire e a ridicolizzare le donne colte, dimostrano comunque la loro innata propensione alla conoscenza nel desiderio di eccellere nel proprio campo: Si può solo far finta di accontentarsi dell'ignoranza, perché la

struttura della nostra natura è tale che è impossibile esserne con-

tenti... Anche colei che più si prende beffe di una donna di retto giudizio, e che si dà più da fare per cercar di gettare il ridicolo sul Vai

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sapere e sull’ingegno, è poi assai desiderosa di esser riconosciuta

un’intenditrice in fatto di vestiti, una che sa come condurre un

intrigo, un’esperta nel campo della civetteria o in quello dell’arte della padrona di casa. Ora, se, o la nobiltà della nostra natura o una sua necessità, fanno sorgere inevitabilmente in noi un desiderio di essere migliori, potrà giudicarsi sbagliato assecondarlo?

Una seria proposta alle signore Ma in che modo, concretamente, Mary Astell pensava

di istruire le giovani donne al riparo dalle influenze pericolose del mondo? La sua soluzione era quella di istituire un collegio femminile, un «monastero protestante», dove le donne potessero ritirarsi, per sempre o temporaneamente, dalla società e conseguire un duplice obiettivo. La religione era lo scopo primario: la religione avrebbe infatti permesso a queste donne buone e pie di rendere migliore il mondo, nel caso avessero dovuto farvi ritorno. Il secondo, e agli occhi dei contemporanei, più rivoluzionario scopo di questo «ritiro religioso» era invece l’istruzione. «Uno dei grandi fini di questa Istituzione — scriveva la Astell — sarebbe quello di diradare la gran nube di ignoranza in cui il costume ci avvolge, procurando alle nostre menti il possesso di una conoscenza solida e utile».

Questa sorta di convento avrebbe inoltre protetto le giovani «ereditiere o ricche» dalle «brutali lusinghe dei cacciatori di dote»: E quella che ha più denaro che capacità di discernimento, non dovrà maledire la sorte, che la espone ad esser la preda di baldanzosi importuni e di rapaci avvoltoi... Qui essa non sarà soggetta a lusinghe o a sopraffazioni, non sarà venduta né comprata, né la si forzerà a maritarsi per il suo bene, quando non ha inclinazione al matrimonio... O se invece è propensa a prendere marito, qui potrà restare al sicuro fino al momento in cui i suoi amici non le offriranno un partito conveniente, ed essere libera dal pericolo di contrarre un matrimonio disonorevole.

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Per di più, l'istruzione avrebbe messo in grado le donne di scegliere con maggior avvedutezza il proprio coniuge, e si sarebbe rivelata utile persino per lo stesso marito, rendendo la donna una compagna più adatta nonché una madre migliore per i figli. L'istruzione, poi, avrebbe potuto in un certo senso sostituire anche una parte della dote per le donne meno ricche, dato che gli uomini sensati dovrebbero «riconoscere che le capacità che le donne acquistano qui rappresentano una dote sufficiente, e che una discreta e virtuosa gentildonna sarà certamente una sposa migliore di una donna la cui mente sia vuota pur avendo la borsa piena». Quanto a quelle che non volevano sposarsi, la Astell pensava che i suoi corsi avrebbero potuto rappresentare una sorta di preparazione professionale, un modo per formare un certo numero di donne in grado di dedicarsi all’istruzione di giovani «persone di qualità». Finanze permettendo, i cotsi avrebbero potuto essere estesi anche alle «figlie di gentiluomini caduti in disgrazia.... tutelando così molte anime dai più grandi disonori e consentendo loro di vivere con una certa comodità».

I corsi si sarebbero dovuti svolgere in un’atmosfera di affetto sororale tra insegnanti e studentesse, una sorta di ingenua istituzionalizzazione del tipo di legami che Mary andava intanto intrecciando con le sue amiche di Chelsea. Il suo sogno, però, non si concretizzò per tutta una serie di ragioni, non ultima delle quali la retta annuale irrealisticamente alta (500 sterline) che le famiglie delle ragazze avrebbero dovuto versare alla scuola (per quanto Mary avesse stabilito di non far pagare la retta alle ragazze meno fortunate). In ultima analisi, comunque, la causa principale del fallimento di questo tentativo fu costituita dalle sfumature vagamente cattoliche del collegio ideato dalla Astell,

dalla sua somiglianza con i vecchi conventi aboliti dalla Riforma. George Ballard, il primo biografo della Astell, dice che a un certo momento una gran dama della nobiltà (probabilmente la principessa Anna di Danimarca) fu quasi sul punto di donare una somma di 10.000 sterline per l’isti#

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tuzione della scuola, ma venne dissuasa dall’intervento del

vescovo Burnet, deciso ad impedire l’avvio di un’iniziativa che ai suoi occhi presentava una sospetta apparenza filopapista. Anche se il collegio femminile di Mary Astell non avrebbe mai visto la luce, A Serious Proposal sarebbe comunque stato il più fortunato di tutti i suoi libri, il contributo più influente per quanto riguarda tutti i successivi lavori sull'educazione delle donne. Dal 1701 se ne pubblicarono non meno di cinque edizioni, e nessun altro suo libro avrebbe mai venduto tanto come questo. Uno dei motivi della popolarità di A Serious Proposal dipese dal fatto che l’argomento di cui il volume trattava fu per un certo tempo al centro dell’interesse pubblico per poi diventare l’oggetto di una polemica di ampio respiro. Dal XVI secolo in poi la qualità dell’istruzione delle donne era andata rapidamente peggiorando. Ai tempi di Mary Astell le donne istruite erano molto rare, e persino nelle famiglie più ricche e più illustri — che una volta avrebbero senz'altro impartito alle loro figlie un’educazione di stampo umanistico considerandola un requisito sociale indispensabile — ci si limitava ormai ad insegnare alle ragazze a ricamare, a danzare, a cantare e a suonare la mu-

sica, o a occuparsi di varie attività domestiche come preparare la gelatina o laccare delle scatole. Molte donne della seconda metà del XVII secolo deploravano. l'eccessiva frivolezza di questo tipo di educazione, anche se magari non erano consapevoli, come Bathsua Makin, che «una volta alle donne si insegnavano le arti e le regole dell’eloquenza, e con una tale educazione, molte di loro avevano potuto raggiungere un’elevata Me La duchessa di Newcastle, Margaret Cavendish, a sua volta lamentava apertamente che «le donne non vengono educate come sarebbe giusto» e osservava che la loro «educazioneè più una questione di apparenze esteriori che non di sostanza, e dà alle donne un corpo da cortigiana e un cervello da pagliaccio, e assai sovente le trasforma in una specie di prostitute».

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In questo dibattito sull'educazione delle donne, una delle ragioni del particolare successo del lavoro di Mary Astell dipese dalla particolare attenzione che essa diede a quello che oggi definiremmo il processo di «presa di coscienza». Con humour, ironia, graffiante sarcasmo Mary Astell ridicolizzava incessantemente le futili preoccupazioni della società in cui viveva, dimostrando che esse servi-

vano solo a continuare a sminuire le donne e a mantenerle in quella posizione subordinata da cui essa cercava di sollevarle. «Sin dall’infanzia alle donne si nega l’accesso a quei vantaggi e a quelle capacità della cui mancanza saranno poi rimproverate; esse vengono allevate in quei vizi per cui più

tardi verranno rabbuffate». E di quali vizi si parla? Della vanità, dei passatempi frivoli, delle forme superficiali di obbHigazione sociale: Una mattinata non sarebbe trascorsa più vantaggiosamente con un libro, che non con lo specchio e la serata, piuttosto in meditazione, che non al tavolo da gioco? Durante una visita, una conversazione concreta e intelligente non sarebbe più conveniente del cicaleccio vacuo, della poco caritatevole maldicenza? Non sarebbe preferibile alla tediosa ripetizione di una collana di parole in cui nessuno crede, che non importano a nessuno? E de-

dicarci a rendere dei veri servizi ai nostri vicini non è un modo di esprimere la nostra civile disposizione assai migliore di quello che consiste nello scambio di mille cerimonie ridicole, che tutti condannano ma nessuno ha il coraggio di lasciar perdere?

A Serious Proposal avrebbe sùbito colpito enormemente tutti i suoi lettori (uomini e donne), da Elizabeth Elstob e Lady Mary Wortley Montagu a Daniel Defoe, il cui progetto di un’Accademia delle Donne deve molto al collegio della Astell. Gratificata da questa accoglienza così calorosa, ma certamente delusa dalla mancata realizzazione del suo collegio, la Astell pubblicò dopo breve tempo un secondo volume — A Serious Proposal to the Ladies Part II Wbherein a Method is offer’ for the Improvement of Their

Minds (1697) — dove il fuoco dell’analisi si sposta dall’i-

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stituzione all’intelletto delle singole donne. Questo secondo volume è una specie di manuale per la donna che vuole sviluppare le proprie potenzialità naturali e definisce nei dettagli un modello di apprendimento appositamente finalizzato a rettificare i pregiudizi dominanti contro l’intelligenza femminile. Autentica campionessa del suo sesso, Mary Astell enuncia le regole fondamentali capaci di consentire alle donne di sviluppare le loro capacità razionali e comunicative e di permettere loro di guadagnarsi in questo modo il rispetto degli uomini: «Per troppo tempo si è pensato che le nostre idee fossero false mentre il difetto stava soltanto nel nostro linguaggio [...] Facciamo uso delle parole senza congiungervi alcuna idea, o sole idee vaghe e imprecise, comportandoci come pappagalli, che sanno solo emettere suoni e pronunciare sillabe». La Astell inoltre accusa le donne di fingere troppo spesso di essere più ignoranti di quanto non siano, e di parlare in modo semplice e banale per timore di esser considerate orgogliose, pedanti o poco femminili. Questo tipo di affettazione era ai suoi occhi una forma di acquiescenza al principio della superiorità maschile e un tradimento del sesso femminile. In A Serious Proposal Part II, Mary Astell propone un piano di studi generale elaborato appositamente per delle studentesse. Rifiutandosi di ricalcare i tipici modelli del-

l’istruzione maschile, il programma della Astell non prescrive la consueta serie di letture obbligatorie — filosofia, testi religiosi, classici — ma, servendosi piùttosto di una serie di letture scelte sulla base dei princìpi cartesiani, cetca di mettere in grado le allieve di svolgere riflessioni religiose informate, e intende familiarizzarle con la filosofia razionale e con gli studi più raffinati. Spiegate le linee di fondo del suo programma, comunque, la Astell torna nuovamente alle particolari esigenze delle donne nel campo dell’istruzione. Se le mogli e le madri hanno bisogno di una determinata preparazione per conquistarsi il rispetto degli uomini di famiglia e per governare le proprie case saggiamente, la donna nubile in quanto tale ha un obiettivo molPA

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to più vasto e impegnativo, perché «la famiglia della donna sola è il mondo intero», e perché «a te signora spetta la gloria di riformare quest’età profana e dissoluta». Naturalmente anche Mary Astell, come molte delle sue contemporanee, si interessava quasi esclusivamente dell’istruzione superiore per le donne della sua classe, mentre praticamente non si curava affatto dell’inadeguatezza dell'istruzione riservata alle ragazze povere, che venivano educate nelle scuole gratuite (Charity schools) in un modo che risentiva pesantemente di tutti i pregiudizi contro il sesso femminile. Qui alle ragazze si impartivano i rudimenti necessari a svolgere vari lavori umili come la serva o la sartina, mentre i ragazzi avevano accesso a scuole profes-

I i è ;

4

sionali in cui venivano preparati per dedicarsi al commercio e, se dimostravano particolari attitudini, potevano anche andare a una scuola secondaria e persino all’università. Le contraddizioni del suo femminismo si accentuano tuttavia quando la Astell passa ad occuparsi del ruolo subordinato della donna all’interno della famiglia. Le sue radicate convinzioni Tory, il suo ortodosso anglicanesimo portavano Mary ad accettare senza esitazioni l’autorità della Chiesa e del re, sino al punto di non scorgere (o di sottovalutare)ilconflitto tra il principio della subordinazione al trinomio praticamente inscindibile Chiesa/Stato/Marito e il dichiarato rifiuto della condizione di inferiorità in cui erano relegate le donne nell’Inghilterra del XVII secolo. Piuttosto che affrontare direttamente tali contraddizioni, Mary Astell, superando la concezione cristiana tradizionale che manteneva la moglie in una posizione subordinata, cerca di definire un modello di educazione grazie al quale le donne possano aggirare completamente il problema, raggiungendo una forma di indipendenza dagli uomini. Nella sua difesa del nubilato affiora anche la convinzione che questo tipo di scelta, rafforzata dall’istruzione, possa essere a livello personale e sociale gratificante quanto e forse

0 anche più del matrimonio, considerata l'estrema diffusione

1 di unioni e

coniugali senza amore e spesso umilianti. «Quane9

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Barocco al femminile

do la passione dell'amante si stempera nella freddezza del marito — scrive Mary — alla donna, nel migliore dei casi, non resta altro che quella forma di rispetto puramente formale richiesto dalla decenza e dalle buone maniere». Comunque, anche per le donne che abbiano la sventura di essere sposate, l'istruzione è una fonte di rispetto di sé e, per quanto possibile in tali circostanze, di felicità: «Il mio più ardente desiderio — scrive Mary Astell — è che voi, Signore, siate felici e stiate bene quanto potete pur in una condizione così imperfetta». Alcune riflessioni sul matrimonio

Nel 1700 vide la luce il terzo libro femminista di Mary Astell, Soze Reflections Upon Marriage, Occasion’d by the Duke & Duchess of Mazarin’s Case, which is also consider’d. In questo scritto Mary Astell va oltre il dibattito contemporaneo sull’istruzione delle donne per affrontare direttamente la questione più generale del ruolo subordinato della donna nella famiglia e le sue implicazioni filosofiche e politiche. Come diversi altri suoi pari, Mary Astell aveva capito che era del tutto inutile parlare di eguaglianza intellettuale tra i sessi senza mettere in discussione il problema alla radice, investendo cioè la natura stessa di un nucleo domestico strutturato in modo tale da impètlire alle donne di usare e coltivare la loro (eguale) intelligenza. L’occasione che sollecitò Mary Astell a scrivere questa vera e propria condanna della vita coniugale fu lo scandalo pubblico legato all’infelice matrimonio della duchessa di Mazzarino. Mary Astell si scagliava contro l’ipocrisia dell'opinione pubblica, che mentre condannava senza attenuanti i peccatucci della duchessa, passava invece del tutto sotto silenzio gli evidentissimi abusi dell’autorità maritale da parte del suo consorte. Tutti coloro che avevano scritto su questo caso non capivano affatto la vera e propria agonia

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a cui una donna era condannata in un matrimonio di que-

sto tipo:

Essere sottoposte tutta la vita ad una persona sgradevole e di cattivo temperamento; consentire che la follia e l'ignoranza tiranneggino il buon senso; venir contraddette in ogni cosa si dica o si faccia, e piegarsi non alla ragione ma all’autorità; vedersi negati i desideri più innocenti non per altra causa che % volontà e il piacere di un padrone e signore assoluto, le cui follie una donna, con tutta la sua prudenza, non può celare a se stessa, e i

cui comandi essa non può che disprezzare nel momento stesso in cui obbedisce: questa è una miseria di cui nessuno, se non l’ha provata, può formarsi una giusta idea.

A rendere poi il matrimonio anche più insopportabile è il fatto che gli uomini si sposano solo per interesse, e si prefiggono di sfruttare le loro spose: «Di grazia, cosa vogliono gli uomini dal matrimonio? Quali qualità cercano in una moglie? Cosa si preoccupano di scoprire per prima co-

sa? Quanti acri possiede. Quanti denari». Ma a parte questo atteggiamento mercenario nei confronti delle donne e dei loro averi, l’uomo generalmente prende moglie perché ha bisogno di una che regga la famiglia, una governante, una serva di categoria superiore il cui interesse non sia in contrasto con il suo e non lo

danneggi, e nella quale egli dunque possa riporre una fiducia più grande che non in chiunque altro ingaggiato per denaro. Una che possa allevare i suoi figli, assumendosi tutta la cura e tutte le pene della loro educazione, al fine di preservare il nome e la famiglia. Una che con la sua bellezza, il suo spirito, il suo buonumore, la sua gradevole conversazione sappia piacevolmente intrattenerlo a casa quando egli abbia avuto noie e dispiaceri fuori [...] una che plachi il suo orgoglio, lusinghi la sua vanità, e abbia tanto buonsenso da essere dalla sua parte e concludere ne egli èè nel giusto, quando glialtri sono tanto ignoranti o tanto rozzi da

sostenere il contrario. Una che non sarà cieca al suo merito, non

contrasterà il suo volere e piacere, ma di questi farà il proprio compito, e riporrà ogni sua ambizione nel contentarlo... Una, in due parole, che egli possa governare da cima a fondo e che di pr”,

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Barocco al femminile

conseguenza egli possa formare secondo il proprio gusto e la propria volontà, che sia sua per tutta la vita e che dunque non possa lasciare il suo servizio in qualsiasi maniera egli la tratti.

Data questa fosca visione della vita coniugale, Mary Astell giungeva alla conclusione che le donne sono di gran lunga il sesso più forte, per essere capaci di sopportare un compito così difficile come questa forma di sottomissione. In effetti, dal suo punto di vista, l’unico elemento di re-

denzione insito nel matrimonio è proprio questa opportunità di martirio terreno che esso offre alla donna devota e destinata ad una lunga sofferenza: Colei che si sposa... che può essere così radicalmente morti: ficata da dover rinunciare alla propria volontà e ai propri desideri... compie certamente un’azione più eroica di quelle di cui possono vantarsi i famosi eroi del sesso maschile: essa subisce un martirio continuo per dar gloria a Dio e beneficio all'umanità, e questa considerazione in verità è capace di farla passare attraverso tutte le difficoltà: e non so qual altra considerazione vi riuscirebbe.

In termini di pensiero femminista il limite delle Reflections Upon Marriage sta nel fatto che Mary Astell non porta sino alla sua logica conclusione questa condanna degli abusi dell’autorità maritale. Da un lato, infatti, quando analizza il matrimonio come un'istituzione religiosa comandata da Dio, Mary Astell accetta e mette in risalto la funzione subordinata delle donne. La sposa — scrive — «sceglie un monarca per tutta la vita» e «gli concede una autorità che non può revocare nemmeno se egli ne fa un cattivo uso». Proprio per questo motivo le donne dovrebbero scegliere il loro sposo con estrema cautela, per quanto «in verità non è esatto dire che la donna scelga; ciò che le è concesso è semplicemente di rifiutare o accettare quel che le viene offerto». D'altra parte, quando descrive il concreto funzionamento dell’istituzione matrimoniale nell’Inghil-

terra del XVII secolo, Mary Astell ignora o tende a sotto-

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VSri

valutare la forza del principio della subordinazione a favore di una visione più egualitaria e contrattuale dei diritti delle donne. In definitiva, dunque, Mary Astell non riesce a riconciliare il principio di autorità con l’esigenza di una maggior giustizia nella vita domestica. Un marito che non esercita con giustizia la sua autorità è un «usurpatore», non un

«principe legittimo»:

Amo troppo la giustizia per augurare successo e durata ad usurpazioni che — benché ad esse ci si sottometta per prudenza e amor di quiete — lasciano tuttavia liberi di rivendicare i propri legittimi diritti ogni volta che se ne abbia il potere e l'opportunità.

Anche se riconosce che la tirannia farà sì che gli oppressi «si scrollino di dosso persino un giogo legittimo quando diventa troppo pesante», Mary Astell non si spinge però sino ad auspicare la ribellione domestica. Comunque, nonostante le molte brucianti osservazioni sui parallelismi tra il contratto matrimoniale e quello politico, Mary Astell in definitiva non giunge a mettere in discussione la natura gerarchica del vincolo coniugale perché ciò avrebbe implicato anche il rifiuto dell’autorità divina e monarchica, in cui invece credeva fermamente. L’unica soluzione, ancora

una volta, era perciò quella di scegliere di non sposarsi. Solo così sarebbe stato infatti possibile riconciliare il principio religioso e politico della subordinazione con i diritti naturali dell'individuo. Nonostante queste incertezze, la Astell è stata tra i primi a rilevare la palese discrepanza tra i diritti degli uomini

nell’ambito politico, nello Stato, e i diritti delle donne nel matrimonio: Non è contraddittorio, infine, che gli uomini pretendano e vogliano esercitare nelle loro famiglie quel dominio arbitrario che invece aborriscono, e contro cui protestano, nello Stato? Poiché,

se il potere arbitrario è un male in se stesso, e se è un metodo inaccettabile di governare individui razionali e liberi, non do-

vrebbe essere praticato in nessuna occasione: né esso è meno danrr siii

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258

noso, anzi piuttosto è maggiormente dannoso, nelle famiglie che non nei Regni, per la ragione che centomila tiranni sono necessariamente molto peggiori di uno.

In effetti, tra le diverse teorie politiche del tempo sul diritto degli individui ad agire secondo coscienza e a deporre i propri governanti, nessuna si applicava direttamente alle donne. Nessuna teoria, dunque, consentiva a donne

quali la duchessa di Mazzarino di liberarsi di mariti odiosi o immorali. Some Reflections Upon Marriage ebbe un notevole successo di pubblico; tra il 1700 e il 1730 il libro ebbe una buona diffusione e venne ripubblicato almeno cinque volte (accompagnato da nuove prefazioni, sempre più dure e risentite, dell’autrice). Giungono, inevitabili, le accuse di diffondere idee sovversive e di «dar fiato alle trombe della rivolta». I lettori, dal canto loro, giunsero a trarre dalle sue osservazioni quelle conclusioni più radicali che Mary Astell invece non aveva formulato esplicitamente. Il contributo della Astell alla critica femminista del matrimonio e al principio di cittadinanza sarebbe così riaffiorato circa un secolo dopo nella teoria politica di Mary Wollstonecraft. Un punto di riferimento e un nuovo modello Intellettuale, povera, nubile e donna, Mary Astell rap-

presentò una duplice anomalia, sia dal punto di vista esistenziale — fu una donna che «si era fatta da sé», una se/fmade woman — sia per quanto riguarda il suo pensiero, le sue tesi sul sesso femminile. Anche se non pensava di essere un’eccezione, Mary giudicava inaccettabile l’atteggiamento verso le donne della società in cui viveva, e cercò,

nella vita come negli scritti, di trovare una soluzione per superare i limiti che la società imponeva ai membri del suo sesso. Il fatto che si curasse quasi esclusivamente delle esigenze delle donne delle classi più elevate e trascurasse al-

meno apparentemente i problemi delle più povere era del >»

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resto abbastanza normale, considerato il contesto sociale

del periodo. In effetti solo le donne ricche e istruite avevano a quei tempi l’opportunità di percepire con qualche chiarezza i limiti che venivano loro imposti sulla base di una qualche forma di discriminazione sessuale, mentre per le loro sorelle meno fortunate i pregiudizi sessuali erano semplicemente un ulteriore elemento di degradazione in un'esistenza complessivamente già molto difficile e del tutto priva di qualsiasi privilegio. Mary Astell è stata entusiasticamente definita la «prima femminista», ma indubbiamente sarebbe più giusto parlare di lei come della creatrice di un nuovo modello sociale. Questo modello (che si sarebbe imposto diffusamente nel XVIII secolo) è quello della bluestockings, della donna rispettabile e istruita che, come la stessa Astell, desidera frequentare la parte migliore della società, che può esibire la sua cultura senza cadere nel ridicolo, le cui opinioni vengono rispettate, le cui arguzie sono citate nei salotti alla moda. Inoltre, la Astell propose un modello specificamente femminile di intellettuale, che rifiuta il matrimonio non perché rinnega il fatto di essere donna, ma perché pensa che l’istituzione coniugale limita la libertà e le possibilità delle donne di sviluppare la propria personalità. Mary Astell unì così due mondi, la sfera pubblica e la sfera privata, il maschile e il femminile: mentre scambiava libri, ricette di cucina e medicine con le amiche, pubblicava anche opuscoli e libelli politici invadendo un terreno che era stato, sino ad allora, di esclusivo appannaggio maschile. Al tempo stesso, Mary Astell non pensò mai di essere un caso straordinario o speciale, non credette mai di essere migliore delle altre donne, più simile agli uomini; piuttosto si servì del proprio esempio per mostrare di cosa possono es-

sere capaci tutte le donne e per dimostrare concretamente

Ja fondatezza delle proprie convinzioni sulla validità delle i

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Ù

intrinseche qualità del suo sesso. Più di una volta Mary Astell si trovò costretta a ripetere di non essere affatto un’eccezione e a ridicolizzare l'atteggiamento di diffuso

Barocco al femminile

260

stupore con cui le sue opere venivano accolte: «Una donna d’ingegno non è un prodigio dinanzi al quale rimanere a bocca aperta». Mary Astell fu anche la prima pensatrice a sviluppare una riflessione sistematica sull’oppressione delle donne nella società. La Astell analizzò i rapporti tra le diverse forme di questa oppressione — il potere dei mariti, il monopolio maschile delle istituzioni — sullo sfondo di un contesto sociale che chiedeva alle donne di essere remissive, docili e divertenti. Al tempo stessa essa si batté per lo sviluppo della solidarietà tra donne, per quella che oggi chiameremmo la «sorellanza», invitando le donne ad aiutarsi reciprocamente e ad avere fiducia l’una nell’altra. Più specificamente, la Astell propose un modello diverso: l'ideale di una società costituita da gruppi di donne solidali tra loro che, liberandosi da quelle forme di stupido orgoglio, di brutale competitività, di insensata aggressività che caratterizzano

la società maschile, dessero vita ad un mondo migliore e più spirituale per tutti.

NOTA BIBLIOGRAFICA

Opere edite di Mary Astell (la prima edizione di tutti questi libri e di questi opuscoli venne pubblicata a Londra da Richard Wilkin): 1694 A Serious Proposal to the Ladies For The Adsancement of their True and Greatest Interests. By a Lover of Her Sex. 1695

Letters Concerning the Love of God, Between the Author of the

Proposal to the Ladies and Mr. John Nortis. 1697 A Serious Proposal to the Ladies Part II Wherein a Method is offer'd for the Improvement of their Minds. 1700 Some Reflections Upon Marriage. Occasion’d by the Duke & Duchess of Mazarine’s Case; which is also Consider'd. 1706 Reflections Upon Marriage. The Third edition To Which is Added a Preface, in Answer to some Objections.

1704

Moderation Truly Stated: Or, a Review of a late Pamphlet Entitul’d

Moderation a Vertue. With a Prefatory Discourse to Dr D’Aveanant,

Concerning his late Essays on Peace and War.

1704 A Fair Way with the Dissenters and Their Patrons. Not Writ by. Mar. L---y, or any other Furious Jacobite wheter Clergyman or Layman; but by a very Moderate Person and Dutiful Subject to the Queen: — E ; ;

È;

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261

1704 An Impartial Enquiry into the Causes of Rebellion and Civil Warin this Kingdom: In an Examination of Dr. Kennet's Sermon Jan. 31 1703/4. And Vindication of the Royal Martyr. sn I n Religion, as Profess'd by a Daughter of the Church of

ngland.

1709 Bart'lemy Fair: Or, an Enquiry after Wit; In Which due Respect is had to a Letter Concerning Enthusiasm, to my Lord ***. By Mr. Wotton.

Per la Prefazione di Mary Astell alle Embassy Letters di Lady Mary Wortley Montagu, vedi The Complete Letters of Lady Mary Wortley Montagu, a cura di R. Halsband, Oxford 1985. Il manoscritto Rawlinson delle poesie di Mary Astell, A Collection of Poems humbly presented and Dedicated to the Most Reverend Father in GOD William By Divine Providence Lord Archbishop of Canterbury &c 1689, è interamente riprodotto nell’ultima e più completa biografia della Astell: R. Perry, The Celebrated Mary Astell. An Early English Feminist, Chicago-London 1986. Una biografia, più sintetica della precedente, introduce un’antologia di alcune pubblicazioni di Mary Astell; cfr. B. Hill (a cura di), The First English Feminist. Reflections Upon Marriage and other writings by Mary Astell, London 1986. Un'altra biografia, più vecchia e di taglio più accademico ma comunque utile, è quella di F. M. Smith, Mary Astell, New York 1916 (rist., New York 1966). La prima biografia conosciuta di Mary Astell si trova in G. Ballard, Merzoîrs of Several Ladies of Great Britain... Celebrated for their Writings or Skill in the Learned Languages, Oxford 1752. Per ulteriori informazioni sul femminismo del Seicento, sulle scrittrici e sulle donne di lettere, vedi: J.R. Brink (a cura di), Ferzale Scholars: A Tradition of Learned Women before 1800, Montreal 1980.

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G-A

INDICE

M

Introduzione

di Giulia Calvi

VII

Testi e relazioni, p. vi - Comunità e diritti, p. x - Scrittura e identità, p. XVII - Scrittura, integrazione sociale, comportamenti, p. XXI

Lucrecia de Léon, la profetessa

di Richard L. Kagan

Una carriera profetica, p. 4 - I sogni, p. 10 - Davanti all’Inquisizione, p. 18 - Comprendere Lucrecia, p. 20 - Nota bibliografica, p. 27

Lady Eleanor Davies, la pazza

di Roy S. Porter

23

La vita di Lady Eleanor Davies, p. 30 - Il linguaggio profetico femminile: religione, genere e potere, p. 38 - La pazzia, p. 41 - Il corpo, la salute e il linguaggio, p. 46 - Nota bibliografica, p. 48

Maria Spada Veralli, la buona moglie

di Renata Ago

sh

Sposa, p. 51 - Madre e padrona di casa, p. 56 - Affetti, p. 64 - Modelli, p. 66 - Nota bibliografica, p. 69

Angelica Baitelli, la storica

di Silvia Evangelisti

Monaca nel convento di Santa Giulia, p. 71 - L’«oracolo» della comunità, p. 77 - «Sono io la prima...», p. 82 - «... se non havesse contrariato alla religione», p. 89 - L'eredità di Angelica, p. 90 - Nota bibliografica, p. 93

71

Indice

266

Clara Staiger, la priora

di Gabi Jancke-Leutzsch

97

La fonte: il diario di Clara Staiger, 1632-1654, p. 98 - L’autrice: Clara Staiger e il suo convento, p. 102 - La scrittura come presentazione di sé, p. 116 - La scrittura come attività sociale, p. 118 - Nota bibliografica, p. 124

Elisabeth Strouven, la donna religiosa

di Florence 127

Koorn Una narratrice nata, p. 128 - La figlia di un ciabattino che fondò un convento, p. 134 - Guidata da ordini divini, p. 138 - Elemosina e cura degli infermi, p. 140 - Madre spi-. rituale, p. 144 - Afflitta dalla malattia, p. 147 - Nota bibliografica, p. 151

Jeanne de Chantal, la fondatrice

di Anna Scattigno

153

Un sogno, p. 153 - Uno spirito chiaro, pronto e netto, p.

154 - La casta amicizia, p. 157 - Una grandissima afflizione, p. 161 - La nascita del desiderio, p. 164 - L’incontro, p. 167 - Forte come la morte, p. 169 - Un cuore vigoroso che ama e che vuole potentemente, p. 172 - Una piccola congregazione di donne, p. 175 - La dolce società, p. 178 Come ad Eloisa, p. 183 - Nota bibliografica, p. 187

Artemisia

Gentileschi,

la «pittora»

di Elisabeth

Cropper

191

Una zitella nello studio, p. 191 - Una donna nell’ Accademia del granduca, p. 203 - Una gentildonna nek mondo degli affari, p. 209 - Nota bibliografica, p. 218

Mary Astell, l’educatrice femminista thews Grieco

di Sara F. Mat-

I primi anni a Newcastle on Tyne: i capricci della sorte, p. 220 - Una gentildonna in difficoltà a Chelsea, o l’azzardo dell’indipendenza, p. 226 - Un nuovo mentore e i primi successi, p. 230 - Un circolo di amiche, p. 233 - Un’autrice di successo, p. 240 - L'istruzione e l’indipendenza delle donne, p. 242 - Una seria proposta alle signore, p. 248 - Alcune riflessioni sul matrimonio, p. 254 - Un punto di riferimento e un nuovo modello, p. 258 - Nota bibliografica, p. 260

219

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vol. III. 1916-1922, 1972

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vol. III. Le rivoluzioni. 1730-1840, 2 tomi, 1980

vol. II. Difficoltà dello sviluppo. 1580-1730, 2 tomi, 1980

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i

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Sergio Turone |

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Storia del sindacato in Italia. Dal 1943 al crollo del co-

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Giovanni Filoramo L'attesa della fine. Storia della gnosi, 1983 Paolo Siniscalco I/ cammino di Cristo nell’Impero romano, 1983 Giorgio Petrocchi Vita di Dante, 1983 Bruno Gentili Poesia e pubblico nella Grecia antica, 1984 Domenico Musti Le origini dei greci. Dori e mondo egeo, 1985 Religione e ragione tra Ottocento e Novecento, 1985 Giovanni Filoramo Herbert Wilhelmy La civiltà dei Maya, 1985 Evelyne Patlagean Povertà ed emarginazione a Bisanzio, 1986 Andrea Giardina (a cura di) Società romana e impero tardoantico vol. I. Istituzioni, Ceti, Economia, 1986 vol. II. Rozza: politica, economia, paesaggio urbano, 1986 3 vol. III. Le merci, gli insediamenti, 1986 vol. IV. Tradizione dei classici, trasformazione della cultura, 1986

M. Sabattini - P. Santangelo Storia della Cina, 1986 Walter Burkert Mito e rituale in Grecia, 1987

Ugo Dotti

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Aldo Schiavone Mario Bretone

Giuristi e nobili nella Roma repubblicana, 1981 Storia del diritto romano, 1987

Paul M. Hohenberg - Lynn Hollen Lees

La città europea dal Medioevo

a oggi, 1987 Claudio Donati L’idea di nobiltà in Italia. Secoli XIV-XVIII, 1988

Christiane Klapisch-Zuber

La famiglia e le donne nel Rinascimento a

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Illuminato Peri

Restaurazione e pacifico stato in Sicilia, 1988

Mario Liverani

Antico Oriente. Storia, società, economia, 1988

Cristiano Grottanelli - Nicola Parise (a cura di) Sacrificio e società nel mondo antico, 1988 Frances A. Yates Giordano Bruno e la cultura europea del Rinascimen-

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Claude Nicolet L’inventario del mondo. Geografia e politica alle origini dell’Impero romano, 1989 Marcel Detienne (a cura di) Sapere e scrittura in Grecia, 1989 Walter Burkert Antichi culti misterici, 1989 Domenico Musti Storia greca, 1989 Vincenzo Ferrone I profeti dell'Illuminismo. La metamorfosi della ragione nel tardo settecento italiano, 1989 AA.VV. Storia sociale dell’antico Egitto, 1989 Heiko A. Oberman La riforma protestante da Lutero a Calvino, 1989 Michele Ciliberto Giordano Bruno, 1990 Aldo Schiavone (a cura di) Stato e cultura giuridica in Italia dall'Unità alla Repubblica, 1990 Paul Vignaux La Filosofia nel Medioevo, 1990 Roberto Osculati Vero cristianesimo. Teologia e società moderna nel pietismo luterano, 1990

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Cyril Mango La civiltà bizantina, 1991 Alessandro Pastore Crimzine e giustizia in tempo di peste nell'Europa moderna, 1991 Nicole Loraux I/ femminile e l’uomo greco, 1991 Karl Lowith Jacob Burckhardt, 1991 Paul F. Grendler La scuola nel Rinascimento italiano, 1991 Robin Lane Fox Pagani e cristiani, 1991 s) William V. Harris

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