Banditismi mediterranei. Secoli XVI-XVII 8843028170, 9788843028177

Storici provenienti da diversi paesi europei riprendono in questo volume un dibattito ormai classico ma sempre di grande

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Banditismi mediterranei. Secoli XVI-XVII
 8843028170, 9788843028177

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Storici provenienti da diversi paesi europei riprendono in questo volume un dibattito ormai classico ma sempre di grande interesse e vivacità su un fenomeno sociale comune a diverse realtà mediterranee come quello del banditismo e della violenza nobiliare. Si è voluto in questa sede cercare una conferma della tesi di Fernand Braudel sulla "ubiquità" del banditismo mediterraneo, visto non solo come fenomeno di delinquenza "comune" o di ribellismo popolare, bensì anche come fenomeno parapolitico di straordinaria dimensione che fra Cinque e Seicento coinvolge in maniera trasversale i diversi ceti sociali, s'innerva nei legami fra signori e banditi, tocca in molti casi le realtà urbane al pari di quelle rurali e muove valori morali e sentimenti che vanno molto al di là della semplice protesta "sociale".

Francesco Manconi è professore di Storia moderna presso la Facoltà di Lettere dell'Università di Sassari. Studioso della Monarchia ispanica nei secoli XVI e

XVII,

ha pubblicato fra l'altro Il grano del re. Uomini

e sussistenze nella Sardegna d'antico regime, Sassari 1992, e Castigos de Dios. La grande peste barocca nella Sardegna di Filippo

IV,

Roma 1994. Per i nostri tipi ha curato nel2001 con Bruno Anatra il volume collettaneo Sardegna, Spagna e Stati italiani nell'età di Carlo

v.

ISBN

88-430-2817-0

STUDI STORICI CAROCCI

/

46

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a:

Carocci editore via Sardegna 50, oo187 Roma, telefono o6 l 42 8r 84 17, fax o6

l 42 74 79

3T

Visitateci sul nostro sito Internet: http://www.carocci.it

Banditismi mediterranei (Secoli

XVI-XVII )

A cura di Francesco Manconi Comitato scientifico: Bruno Anatra, Francesco Manconi, Xavier Torres i Sans

Carocci editore

Questo volume, che contiene gli atti del Convegno internazionale di studi storici celebrato a Fordongianus e Samugheo (Oristano) nei giorni 4 e 5 ottobre 2002, è stato pubblicato con il contributo finanziario della xv Comunità Montana del Barigadu - Sardegna

edizione, novembre 2003 © copyright 2003 by Comunità Montana del Barigadu - Sardegna ra

xv

Finito di stampare nel novembre 2003 dalle Arti Grafiche Editoriali srl, Urbino

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 17 1 della legge 2 2 aprile 1 941, n. 6 3 3 ) Senza regolare autorizzazione è vietato riprodurre questo volume,

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Prefazione

di Raffaele Melette

II

Premessa di Francesco Mancont'

13

Introduzione

I5

di Rosario Vi/lari Banditismo, nobiltà e comunità rurali nello Stato Ecclesiastico fra Cinque e Seicento di Irene Fosi

23

Faide e banditismo nella Catalogna dei secoli XVI e XVII

35

Banditismo nobiliare e ribellismo contadino ai confini della Repubblica di Venezia tra Cinque e Seicento di Furio Bianco

53

di Xavier Torres i Sans

Magnifici malfattori. Note sulla criminalità patrizia a Genova tra Cinque e Seicento

67

di Carlo Bitosst' Bandoleros, rebeldes y marginados: Mateu Vicent Benet las hanJositats valencianas por Lluis ]. Gut'a Marin y

87

Don Agustin de Castelvi, "padre della patria" sarda o nobile-bandolero? di Francesco Manconi

107

Signori hanJolers e legislazione nella vita parlamentare catalana

I4 7

di Eva Serra i Puig

8

INDICE

Contrabbando e banditismo neli'Istria del Cinque-Seicento di Darko Darovec Bandos et banditisme au Royaume de Murcie (fin du XVIe siècle-début du xvmc) par Guy Lemeunier

171

1 81

Storia di un uomo che divenne bandito di Claudio Povolo

19 7

Banditi, fuoriusciti e ribelli. Repressione criminale e lotta politica a Firenze nella prima metà del Cinquecento di Enrico Stumpo

225

Malessere politico e sociale nella Sardegna tardoseicentesca di Bruno Anatra

El peso de la insularidad. El bandolerismo mallorquin de los siglos XVI y xvn por ]aume Serra i Barcel6

25 3

Banditisme et guerres de religion dans le Sud-Ouest de la France (vers 1_;6o-vers 1598) par Serge Brunet

Banditismo e baronaggio nella Sicilia di Carlo di Vittorio Sciuti Russi

v

Genes et la Corse à l'époque moderne: une justice à «caractère expérimental» par Antoine-Marie Graziani

Banditismo e amministrazione della giustizia nel Regno di Sardegna nella prima metà del Seicento di Giovanni Murgia

341

INDICE Delincuencia nobiliaria en un territorio de frontera: la Camiola en la segunda mitad del siglo XVI por Friedrich Edelmayer

9

35 9

La guerra di corsa nell'Adriatico

di Paolo Preto Il banditismo nel Regno di Napoli alla fine del XVII secolo tra istituzioni regie e protezioni baronali

di Daniela Ambron Il banditismo nella Sardegna settentrionale della prima metà del Settecento

di Stefano Pira Conclusioni

di Rosario Villari

3 79

401

Prefazione

Nel dare il sostegno organizzativo al convegno di studi storici "Banditismi mediterranei" , la Comunità Montana del Barigadu ha inteso promuovere il territorio che istituzionalmcntc rappresenta, indicando nella cultura c nella ricerca storica gli strumenti capaci di rappresentare all'esterno le potenzia­ lità c i valori di un territorio dell'interno della Sardegna. L'interesse susci­ tato dal convegno ha consentito di associare il valore culturale dell'iniziati­ va al territorio che l'iniziativa ospitava, realizzando così un ritorno econo­ mico importante per un'area che punta a sviluppare il turismo e l'ospitalità diffusa e che ha individuato in questo settore una concreta possibilità di attivare una nuova fase di sviluppo economico. D fatto che il luogo scelto fosse così diverso e lontano dagli ordinari luoghi della convegnistica inter­ nazionale ha reso esplicita e produttiva questa apparente anomalia: il con­ vegno è stato un momento certamente importante nella ricerca sul tema del banditismo del Cinquecento e del Seicento nei paesi che si affacciano nel Mediterraneo e, tramite il convegno, il territorio del Barigadu è stato ulteriormente conosciuto ed apprezzato nei suoi caratteri di ospitalità e di ricchezza ambientale c culturale. La Comunità Montana del Barigadu rappresenta un vasto territorio (ol­ tre 36.ooo ettari) cd una piccola comunità locale dell'interno della Sarde­ gna: nove paesi (Allai, Abbasanta, Ardauli, Busachi, Fordongianus, Neone­ li, Nughedu S. Vittoria, Samugheo c Ula Tirso) con una popolazione di circa 1 3 .ooo abitanti. La perdita di popolazione, la crisi della pastorizia tradizionale, il diminuire delle opportunità di scambio sociale e di lavoro sono insieme causa ed effetto di un processo di impoverimento che ha se­ gnato gli ultimi decenni di questo territorio. È così saltato l'equilibrio fra le risorse che questo territorio era capace di produrre e la popolazione che in esso viveva, un equilibrio che, seppure basato su una debole economia agropastorale, aveva garantito al Barigadu uno specifico ruolo nel sistema territoriale regionale ed una forte vitalità sociale e culturale. Insieme ai Comuni, la Comunità Montana del Barigadu è impegnata in una difficile e decisiva attività di rivitalizzazione e valorizzazione del terri­ torio, puntando a realizzare un nuovo equilibrio locale fra risorse, popola­ zione c sviluppo sociale cd economico cd un nuovo ruolo di questa arca nel più ampio sistema regionale. Siamo convinti che una nuova fase di svi­ luppo sia possibile c che essa non può che essere direttamente legata alla valorizzazionc di ciò che in questo territorio è ancora fortemente radicato: l'identità, l'ambiente, il sapere locale. L'occasione del convegno ci ha con­ sentito di conoscere numerosi studiosi di valore provenienti da diversi pac-

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RAPFAELE MELETTE

si europei e di entrare in contatto con una ricerca storica su un tema par­ ticolarmente affascinante: noi abbiamo promosso e fatto conoscere il no­ stro territorio, convinti che anche nel campo della promozione territoriale la cultura possa avere un ruolo importante. RAFFAELE MELETTE

Presidente della Comunità Montana del Barigadu

Premessa di Francesco Manconi

L'idea d'organizzare in Sardegna un convegno di studi storici sui fenomeni di banditismo nei paesi del Mediterraneo del Cinque c Seicento viene da lontano. Nacque cinque anni fa in occasione di un'altra riunione a Barcel­ lona fra storici accomunati da una continua frequentazione scientifica c da una solida amicizia. Nei convcrsari che seguono di solito i congressi costo­ ro pensarono ad una nuova occasione d'incontro per porre a confronto e verifica le loro esperienze di ricerca sulla storia mediterranea. n tema del banditismo parve particolarmente interessante perché, a di­ spetto delle numerose monografie a carattere regionale e locale uscite in tempi recenti, risultava inspiegabilmente poco dibattuto. Fare il punto, a molti anni di distanza da alcuni importanti incontri scientifici avvenuti in Italia, Francia e Spagna e dopo la sedimentazione di molti studi di più o meno ampio respiro e di differente diffusione su varie realtà del Mediter­ raneo, sembrò allora quanto mai opportuno al fine di raffrontare esperien­ ze di ricerca le più diverse. Si ritenne che il confronto dovesse aver luogo a tutto campo, che si dovesse cioè dibattere non solo sul banditismo come fenomeno di delin­ quenza "comune" o di ribellismo popolare, bensì anche come fenomeno parapolitico di straordinaria dimensione fra Cinque c Seicento: un fenome­ no che coinvolge in maniera trasversale i diversi ceti sociali, s'inncrva nei legami fra signori c banditi, tocca in molti casi realtà urbane al pari di quelle rurali e muove valori morali e sentimenti che vanno molto al di là della semplice protesta "sociale" . Per l a sua centralità geografica ma anche per raccogliere un'indicazione di ricerca sull'"ubiquità del banditismo", proposta da Fernand Braudel nella sua celebre opera sul Mediterraneo, la Sardegna è sembrata allora il luogo ideale per l'incontro. I propositi di qualche anno fa si sono concretizzati grazie alla disponi­ bilità ed all'impegno di molti studiosi provenienti da vari paesi europei ed al fondamentale apporto della Comunità Montana del Barigadu, un'istitu­ zione che ha colto intelligentemente l'occasione di proporsi come organiz­ zatrice del convegno offrendo agli studiosi convenuti da molte regioni eu­ ropee l'ospitalità inarrivabile dci villaggi di una bellissima regione interna della Sardegna. Al di là della qualità dei rapporti umani stabiliti in quell'occasione, sono parsi positivi anche i risultati scientifici perché il quadro storiografico che è emerso dalle relazioni (c quindi dai saggi contenuti in questo volu­ me) è molto ricco ed articolato, per quanto necessariamente frammentato

FRANCESCO MA�CONI

ed incompleto. Era proprio questo l'obiettivo che abbiamo inteso persegui­ re, coscienti come siamo che lo studio dei "banditismi mediterranei " è un terreno che lo storico dovrà ancora arare in profondità ed in estensione. Il libro pare dunque un punto fermo, ma anche un'indicazione di lavoro per gli storici di domani.

Introduzione di Rosario Villari"�:

Ringrazio il presidente Stumpo per l'amichevole c gentile presentazione. Ringrazio anche gli amici Manconi e Anatra che hanno voluto farmi parte­ cipare a questa iniziativa e darmi l'occasione di conoscere una parte della Sardegna che trovo bella, interessante e molto ospitale, anche se non sono facili i problemi che deve affrontare. Mi è stato affidato il compito di introdurre il convegno. Ma devo dire francamente che quello dei "banditismi" è un tema di cui mi sono occupa­ to sporadicamente, anche se riconosco che può suscitare molto interesse presso gli studiosi. In ogni caso, tutti i relatori che partecipano a questo convegno sono più esperti di mc in questo campo. Per parte mia, me ne sono occupato studiando il Seicento, un secolo in cui il fenomeno del banditismo fu particolarmente accentuato. Chi studia l'e­ tà moderna non può non occuparsi di questi problemi e dovrebbe farlo, in generale, con una certa prudenza; la quale è poi particolarmente necessaria quando ci si trova nella condizione di dover fare un discorso di apertura di un convegno che dovrà affrontare un ventaglio di argomenti come quelli che sono indicati nel nostro programma. Alcuni dei colleghi che sono qui presen­ ti hanno partecipato al convegno che sullo stesso tema si tenne a Venezia nel 1983 , presso la Fondazione Cini. Mauricc Aymard fece in quella occasione delle conclusioni dichiaratamente parziali c provvisorie, se non ricordo male, mentre l'incontro fu aperto da una breve relazione di Eric Hobsbawm. Aymard, appunto, invitava alla prudenza nel giudizio sul banditismo, motivando il suo invito con la convinzione che il banditismo non ha una sua propria collocazione nel contesto della storia dell'Europa medioevale c moderna. Credo che la sua osservazione si possa interpretare nel senso che non è possibile un giudizio generale unitario sul fenomeno del banditismo; perché la varietà e la diversità dei casi prevalgono sugli elementi comuni. La prudenza non è il mio forte, in genere, nella vita pratica, anche se ho dovuto molto praticarla come ricercatore e studioso; in questa occasio­ ne la lascerò da parte e farò anticipatamente qualche proposta e addirittu­ ra tenterò di dare qualche suggerimento, anche se corro seriamente il ri­ schio di essere smentito completamente dalle relazioni e dal corso della di­ scussione. Mi trovo in una posizione più difficile di quella di Aymard che parlava alla fine di un convegno, mentre a me spetta di dare inizio al no­ stro lavoro e magari mi darete tutti quanti torto. * Professore emerito dell'Università di Roma "La Sapienza".

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ROSARIO VILLARI

In realtà il nostro convegno sembra puntare decisamente ed esplicita­ mente sulla varietà c sulla diversità. Forse, anzi, è questo il primo caso in cui si parla di "banditismi mediterranei " : il fenomeno, che in genere viene indicato al singolare, qui viene specificato con un plurale che segnala una scelta ben precisa. Ritengo che questa sia stata una decisione giusta: e che sia molto significativa nel senso, appunto, di sottolineare la diversità e plu­ ralità delle esperienze c delle situazioni che si riferiscono al nostro argo­ mento. Comunque, qualche elemento comune si può cercare di individuare; c non soltanto il fatto, piuttosto ovvio, che perché si possa parlare di bandi­ tismo ci deve essere I'aspetto preliminare della separazione tra il bandito e la società, cioè l'azione criminale. Si può indicare anche, come elemento comune interessante, e meno ovvio, il carattere endemico del banditismo, la sua pcrsistenza nel corso dei secoli nell'ambito del Mediterraneo, dal Medioevo fino alla fine dell'età moderna. Questi due clementi comuni ci dicono però poco o nulla sul carattere e sulla natura propriamente storica del fenomeno. Più significativo mi sem­ bra invece un altro aspetto della questione che forse è un primo passo per uscire dalle definizioni generiche: in certi periodi della storia c in certe aree geografiche ci furono delle grandi ondate di banditismo, ondate che per l'intensità dell'azione, per la frequenza delle imprese, per il numero di partecipanti, per la creazione di una situazione generale di emergenza e per la reazione forte e impegnativa da parte dello Stato differiscono dalle manifestazioni "normali" o endemiche del banditismo. Per quanto riguarda il mondo mediterraneo, mi sembra di poter individuare un periodo tipico, da questo punto di vista, nell'arco di tempo che va dagli ultimi due o tre decenni del Cinquecento ai primi due o tre decenni del secolo successivo. Un periodo lungo, certamente, in cui ci sono alti e bassi, ma che nell 'in­ sieme può essere considerato un periodo caratterizzato da una grande in­ tensità del fenomeno. Si pone subito il problema del rapporto con la situazione complessiva. Che momento della società è questo? Che significa il fatto che ci sono sta­ te punte così forti, specialmente alla fine del Cinquecento? A cosa si può addebitare questa ondata? Le ipotesi che ritengo possibile fare si riferiscono ad un duplice ordine di problemi di carattere generale. Anzitutto, sul piano della trasformazione istituzionale, questo è un periodo in cui c'è una intensificazione del cam­ biamento della natura dello Stato in varie parti dell'Europa c nell'Europa mediterranea in particolare. C'è uno sforzo e un impegno al rafforzamento e alla centralizzazione del potere. D'altra parte, però, l'esistenza stessa di un banditismo diffuso, forte, duraturo rivela un fenomeno opposto, cioè la debolezza dello Stato, non ancora capace di affermare in misura adeguata l'autorità centrale. È probabile che le due cose non siano in contraddizio­ ne, come potrebbe apparire dalla mia osservazione necessariamente som­ maria. Un secondo aspetto riguarda la trasformazione del sistema economico o il

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mutamento della congiuntura economica. Questa è una fase, secondo i trends che gli storici-economisti hanno elaborato, di esaurimento della congiuntura favorevole e del periodo di sviluppo del XVI secolo. Verso la fine del secolo si apre una delle fasi ricorrenti, una delle più gravi in questo caso, di squili­ brio tra risorse (disponibilità di risorse alimentari) e incremento demografico. È un problema che gli studiosi dell'età preindustriale conoscono bene. È la fine di una linea di sviluppo, o meglio di una crescita equilibrata della pro­ duzione agricola e della popolazione e l'apertura di una crisi economica che dura fino agli anni Venti c Trenta del XVII secolo, con un forte aumento dci prezzi che sconvolge i rapporti economici e sociali. Quindi una fase di insta­ bilità e incertezza nei rapporti sociali, che in certe aree provoca lo smarri­ mento di alcuni clementi di ordine c di equilibrio della società stessa. C'è infine un altro fattore di instabilità e sconvolgimento dell'ordine che potrebbe essere preso in considerazione, ma dovrebbe essere conside­ rato aggiuntivo, non determinante, perché non è riferibile soltanto a questa fase. Nel periodo che stiamo considerando ci fu una particolare intensifica­ zione delle guerre; un'accentuazione fortissima dei conflitti religiosi e poli­ tici che a mano a mano, dopo avere investito diverse aree nel corso del Cinquecento, si allargò fino a coinvolgere tutta l'Europa tra il r 62o c il 1650. Si tratta, quindi, di una serie di precondizioni di carattere generale che non spiegano il fenomeno del banditismo, ma ne costituiscono il quadro: senza queste precondizioni, il banditismo non avrebbe potuto arrivare a quel­ le punte così intense che raggiunse allora. Tutto ciò non serve a caratterizza­ re i casi di banditismo nella loro specificità. Su questo, il convegno darà cer­ tamente il contributo che ci aspettiamo: ognuna delle relazioni ha un suo tema specifico e particolare e fornirà i dati concreti che vanno al di là del tentativo di indicazione di un quadro generale. Per quanto mi riguarda, penso di poter fare io stesso qualche osserva­ zione che entra un po' più nel merito dei problemi. Come ricordavo pri­ ma, anch'io mi sono occupato parecchi anni fa di alcuni casi di banditi­ smo ed ho quindi approfittato dell'occasione di questo convegno per ri­ pensare a quello che a suo tempo ho scritto ed alle analisi che ho cercato di fare. Me ne sono occupato in due occasioni: nella parte del libro La ri­ volta antispagnola a Napoli in cui si trattava del periodo che va dal 15 8 5 al 1 5 9 5 circa, un decennio in cui ci fu uno dci fenomeni più interessanti di banditismo dell'Italia meridionale, e poi in un convegno tenutosi nel 1974 (o 1 975 ) . Ho preso in esame, in particolare, il caso del bandito Marco Sciarra, uno dei più famosi della storia del Mezzogiorno continentale. Mi fermo su un aspetto della questione a cui attribuisco una certa importanza. Una particolare etichetta è stata appiccicata ad alcuni fenomeni di banditi­ smo (anche nel convegno tenutosi a Venezia nel 1983, per esempio nel di­ scorso introduttivo di Hobsbawm) : a mio avviso, c'è da rimettere critica­ mente e decisamente in discussione questa etichetta, che consiste nella considerazione del banditismo come una forma primitiva di protesta socia­ le. A mc sembra che questa formula sia una sorta di rudere concettuale.

ROSARIO VILLARI

Banditismo sociale, banditismo come forma di protesta sociale: Hob­ sbawm era molto cauto quando suggeriva questa defini:lione nell'83 e quando parlava di «forma estremamente primitiva di protesta sociale». Se­ condo me anche con questa limitazione, o accorgimento, la formula non regge; non regge neppure nel caso di quel famosissimo bandito che era il "mio" Marco Sciarra, il quale aveva fama di essere un sorta di giustiziere, un difensore della giusti:lia, tipo Robin Hood. Capisco che, forse, Hob­ sbawm pensava al suo Robin Hood, il classico bandito medioevale che to­ glieva ai ricchi per dare ai poveri (questa era la formula della giustizia banditesca), ma qui si parla di banditismi mediterranei; ed io non conosco abbastanza cosa è avvenuto nelle zone nordiche dell'Europa per poter az­ zardare ipotesi. Credo di conoscere un po' di più quel che è avvenuto nel mondo mediterraneo, e più conosco e meno mi convince la formula del banditismo sociale, anche nel caso di Marco Sciarra che si proclamava in­ viato da Dio contro gli usurai e i redditieri («usurarios et detinentes pecu­ nias otiosas»). Hobsbawm, oltre ad usare per certi casi la formula della protesta so­ ciale estremamente primitiva, aggiungeva anche che non c'è banditismo senza leggenda, fatto sen:la dubbio vero e interessante. Ora, a mio avviso, è successo che la leggenda, la creazione del mito del bandito sociale si è sovrapposta alla realtà. La leggenda, il mito sono nati indubbiamente da esigenze profonde, che però non hanno a che fare con la realtà dei banditi e delle loro imprese. Il mito ha un suo significato in se stesso, è senza dubbio, in casi come questo, la manifestazione di una particolare situazio­ ne di disagio, di esasperazione, di subalternità culturale e sociale; ma la realtà del banditismo è nettamente distinta dalla sua mitizzazione. TI mito del banditismo sociale nasceva dal senso di ingiustizia che ave­ va l'uomo dell'epoca che noi consideriamo, specialmente del XVI e del XVII secolo: senso di ingiustizia c di violenza, della estrema difficoltà di far va­ lere le ragioni dei più deboli. I nostri antenati del XVI secolo avevano qua­ si la certezza che la giustizia non prevalesse, quindi dal fondo del loro ani­ mo esacerbato dalle violenze quotidiane nasceva l'invenzione di un ruolo che, a un certo punto, veniva attribuito a un personaggio, a un bandito. Questo è un dato permanente, è successo frequentemente sino ad epoche recenti. La leggenda, con questa base psicologica e sociale, è emersa spesso contemporaneamente agli episodi di banditismo. Questo dimostra, da un lato, la profondità dei sentimenti di frustrazione che dominavano nella so­ cietà di quel tempo, ma, dall'altro, è piuttosto strano che siano stati gli stessi contremporanei, che avevano sotto gli occhi le azioni dei banditi, a creare o accettare la leggenda. Erano innumerevoli gli episodi di violenza che si esercitavano sulla popolazione in generale, sconvolgevano la vita del­ la società, andavano a danno della società nel suo insieme, quindi a danno anche della popolazione più povera: . Decine di paesi, per esempio, anche nel caso che io ho studiato, furono messi a ferro e a

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fuoco; paesi che erano abitati da gente comune, da contadini. Di solito i banditi operavano soprattutto nelle campagne e nelle zone montagnose. Quali sono gli elementi che hanno contribuito a dare una caratterizza­ zione "sociale" a certi casi di banditismo? A mio avviso, ci sono tre ordini di elementi. Il primo è la contemporanea presenza di un movimento autonomo e reale di protesta e di resistenza nelle campagne contro forme e istituzioni di potere e di dominio economico. Mentre era in corso l'ondata di bandi­ tismo, c'erano anche dei fenomeni collaterali e contigui di protesta sociale. Le Roy Ladurie, nel libro sui contadini del Languedoc, racconta che in questo periodo ci fu un forte movimento di rifiuto del pagamento delle rendite ecclesiastiche, collegato con la diffusione del protestantesimo. n ri­ fiuto investì anche le rendite feudali laiche. C'era quindi un movimento di carattere sociale con sue autonome caratteristiche, che si verificava, in quello stesso periodo, anche in altre aree del mondo cattolico non toccate direttamente dalla riforma protestante, contemporaneamente alla gran­ de ondata del banditismo. È possibile che ci sia stata una confusione tra i due momenti che sono e restano momenti fortemente diversi; che ci sia­ no state anche operazioni volutamente indirizzate a confondere i due momenti. n secondo punto che ha favorito l'attribuzione dell'etichetta "sociale" a certi fenomeni di banditismo, è la partecipazione di singoli elementi o di gruppi che non erano delinquenti comuni, che appartenevano a categorie professionali o religiose. Nei casi che ho esaminato, alla fine del Cinque­ cento in Italia molti preti e monaci si aggregarono alle bande dei briganti, in concomitanza con I' opera della Chiesa di realizzazione del programma della Controriforma. Una parte delle tensioni che si crearono all'interno della Chiesa stessa nell'adesione di religiosi, monaci, preti al banditismo. Tant'è vero che nelle commissioni che furono create per la repressione del banditismo, nel Lazio, nella Toscana e nell'Italia meridionale, spesso ci fu­ rono anche dei rappresentanti della Chiesa, preti e monaci, i quali, accanto ai magistrati laici, ai militari e ai funzionari dello Stato, avevano il compito di occuparsi specificamente dei preti o dei monaci che erano diventati banditi. Il terzo elemento che ha fatto pensare a un carattere sociale del bandi­ tismo è il preteso sostegno dato ai banditi dai contadini e anche, in certi casi, da settori del mondo cittadino. Secondo me, nessuno di questi tre elementi è tale da doverci indurre a confermare quella etichetta. Nel primo caso si tratta di movimenti di pro­ testa che sono per la loro natura sostanzialmente diversi. Gli imprenditori agricoli o i contadini che rifiutavano di pagare le decime ecclesiastiche, le rendite alla Chiesa o le rendite feudali non andavano contemporaneamente ad ammazzare la gente, facevano un'azione che si chiudeva dentro precisi confini e che differiva da quella degli assalitori di viandanti o dei saccheg­ giatori di comunità rurali o cittadine. Per quanto riguarda il secondo punto, la partecipazione alle bande di

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ROSARIO VILLARI

elementi che venivano da ceti intellettuali o religiosi non significava un ap­ porto di cultura al banditismo, anzi significava proprio l'opposto, cioè la perdita delle motivazioni politiche, culturali o religiose. Una volta arrivati dentro le bande, gli eventuali contenuti iniziali di carattere politico, cultu­ rale o religioso si esaurivano e si disperdevano. Molti religiosi fuggirono dai conventi, quando rischiavano di essere condannati perché era cambiata la situazione all'interno della Chiesa; però c'è una sostanziale differenza tra la continuazione della resistenza sul terreno religioso e la confluenza nelle bande dci briganti, che comportava proprio l'abbandono di quella resi­ stenza. Ci sono molti casi in cui i religiosi hanno resistito all'interno della Chiesa cattolica alla realizzazione della Controriforma, ma sono rimasti im­ pegnati nella loro lotta ideale e religiosa: ricordo, per esempio, i casi dei conventi di S. Domenico Maggiore c di S. Pietro Martire, a Napoli. Anche in altri casi i conventi hanno respinto gli ecclesiastici inviati da Roma per organizzare una riforma secondo le linee del concilio di Trento, ma i loro monaci non sono andati a finire tra i banditi. Alcuni sono rimasti in giro o sono fuggiti, come Giordano Bruno, e se ne sono andati a continuare la loro opera come esuli, altri sono andati a finire in prigione, altri ancora sono stati condannati al rogo; sono stati sconfitti tutti, ma non hanno per­ duto la loro identità: confluire nel banditismo significava invece perdere qualunque identità ideale e politica. Per quanto riguarda il terzo punto, quello del sostegno dato dai conta­ dini ed anche da settori del mondo cittadino, c'è una parte di verità nel senso che le relazioni familiari, di parentela, di vicinanza comportavano, in certi casi, atteggiamenti di omertà o di passività c di silenzio: ma una co­ sa è verificare certi casi con queste caratteristiche, altro è parlare di con­ senso del mondo contadino al brigantaggio. Questo consenso non poteva esserci perché, in molti casi, furono i piccoli centri contadini, i villaggi di campagna ad essere vittime della depredazione più brutale e violenta, men­ tre le città erano protette c fortificate e difficilmente i banditi potevano assaltarle. C'è stato qualche caso in cui il mito del bandito giustiziere c politico è penetrato anche in città. Di solito, esisteva una barriera tra città e campa­ gna: il banditismo aveva la sua sede nelle campagne e nelle montagne, ma nelle città non poteva soprawivere, se non in casi estremi. C'è comunque qualche testimonianza di simpatia "cittadina" nei confronti del banditismo. Uno scrittore della fine del Cinquecento, Tommaso Costo, dice: «lo mi ri­ cordo che il volgo (né dico questo senza rossore) troppo credulo e deside­ roso di novità soleva pazzamente dire che Marco [Sciarra] sarebbe venuto in breve tempo ad occupare Napoli c farsene anche Re. Né vi mancavano uomini, di non mediocre giudizio, che ardivano di paragonarlo a Viriato Lusitano, quel che cotanto tenne a bada gli eserciti romani. Impcrocché, dicevano costoro, con pochissimi, rispetto a quelli di Viriato, Sciarra si mantiene tuttavia contro i ministri del maggior Re d'Europa>>. Anche questo caso, secondo me, ha un carattere occasionale e non può

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assumere il significato di espressione di una tendenza ampia. È un caso che si può spiegare con quello che accadde a Napoli nel 1 5 85 : una violen­ ta rivolta seguita da una repressione feroce e da un clima di terrore creato con il pubblico spettacolo delle torture e delle esecuzioni capitali, per cui più di 1 o.ooo persone fuggirono dalla città. In un momento del genere è facile trovare delle persone che invocano anche il demonio pur di poter trovare un punto di opposizione alla repressione, alla violenza estrema del­ l' autorità ufficiale. Quindi fu la vicinanza con un episodio rilevante di scontro c di violenza, che portò alle esaltazioni ricordate dal Costo. Anziché il giudizio di Tommaso Costo, quello che mi ha colpito, nello studio del caso particolare di Marco Sci arra, è stato il giudizio di T omma­ so Campanella, che rappresenta la figura del ribelle intellettuale c politico per eccellenza (a parte i dubbi c le difficoltà d'interpretazione della cosid­ detta "congiura di Calabria" ) . C'è una frase di Campanella, scritta nel 1 599, che riguarda proprio quel bandito: «Chi segue la giusta causa non si deve curare di patire perché alla fine sarà esaltato come Davide, c l'ingiu­ sto rovinato come Marco Sciarra c simili». In che cosa consiste per Cam­ panella l'ingiustizia di Sciarra? Lo definiva ingiusto per la pratica della vio­ lenza criminale, per l'illegalità, owiamcntc; ma forse c'era anche qualche altro motivo. Campanella aveva fiducia nella possibilità del cambiamento, credeva nella necessità del cambiamento, concepito anche in termini astrologici e profetici; e perciò Sciarra gli appariva come colui che, operando in grande sul terreno del banditismo, contribuiva a deviare le forze dalla linea politica e ideale che egli stesso voleva imprimere, deviare il potenziale di riforme dal suo corso politico; e quindi tanto più ampia e più violenta era l'ondata di banditismo, tanto più ostacolava la giusta causa che Campanella sosteneva. Per Campa­ nella la giusta causa non poteva essere sostenuta se non sul terreno dell'azio­ ne politica, con le sue inevitabili difficoltà di impostazione e di organizzazio­ ne, con la sua impossibilità di conciliarsi con atti disperati, negativi e antiso­ ciali. I progetti di Campanella fallirono, però egli mantenne fino in fondo il suo impegno ideale e politico, e continuò a svolgere in condizioni difficilissi­ me il compito che si era assegnato, anche dopo la sconfitta e il riconosci­ mento della sconfitta. Accennerò, per concludere, ad un altro argomento. Dai titoli delle rela­ zioni risulta che altri aspetti, diversi da quelli che ho cercato di indicare, verranno presi in esame. Particolarmente importante mi sembra la questio­ ne della pirateria, che può essere associata alla categoria del banditismo, anche se viene dall'esterno e ha caratteristiche del tutto particolari. È pre­ vista, a questo proposito, la relazione del prof. Preto; ma credo che non sia inopportuno sottolineare la necessità di dare maggiore rilievo a questa vicenda plurisecolare ed alla grande influenza negativa che essa ha avuto nella storia del mondo mediterraneo e particolarmente dell'Italia meridio­ nale.

Banditismo, nobiltà e comunità rurali nello Stato Ecclesiastico fra Cinque e Seicento di !rene Posi *

Sono passati ormai venti anni da quando molti di noi ci trovammo a Vc­ nezia, nella splendida cornice della Fondazione Cini per parlare di «Bande armate, banditi, banditismo e repressione di giustizia» r: un titolo - del convegno c del volume - suggestivo c ricco di significati cd allusioni ncp­ pur troppo implicite non solo ad un tema di ricerca nuovo ed affascinan­ te, ma anche ad un presente inquieto ed inquietante. Qualche anno dopo concludevo le mie ricerche su una fase cruciale del banditismo cinquecen­ tesco nello Stato Ecclesiastico 2: fonte principale, anche se non unica, erano stati i processi, i bandi e le costituzioni, tutta la documentazione che gli storici del diritto definiscono "alta" , prodotta dagli organismi di governo, espressione insomma della «giustizia egemonica» 3• Questi materiali mette­ vano in luce, in modo straordinariamente ricco, lo sforzo, spesso disordi­ nato ed anche contraddittorio, deli 'autorità pontificia e dei suoi tribunali di reprimere un fenomeno dilagante che non investiva solo le campagnc, ma minacciava le città, vedeva coinvolti, pur in maniera differenziata, i suoi ceti privilegiati, disturbava l'economia già precaria per il susseguirsi di anni di carestia, metteva insomma in pericolo quella società ordinata che chi governava le realtà statuali italiane c, nel caso specifico, la monarchia pontificia, voleva costruire. Alla luce però di tale suggestiva documentazio­ ne, le interpretazioni del banditismo cinquecentesco come reazione nobilia­ re allo Stato accentratore, come generica rivolta della campagna contro la città o, ancora, come banditismo sociale non erano assolutamente compro­ vate in questo particolare contesto "geopolitico" . Riaffrontando, oggi, alcu­ ni aspetti di queste problcmatichc non è possibile non tener conto dci molteplici studi maturati in questo vcntcnnio che hanno cercato di supera­ re la dicotomia (troppo enfatizzata, a mio avviso! ) fra storia del diritto e storia sociale 4, e che permettono di riconsiderare aspetti e problemi della storia politica c sociale non solo degli antichi Stati italiani, ma anche di coeve formazioni monarchiche europee: il rapporto fra gli organismi di go­ verno centrali e le comunità soggette, le rivolte delle comunità come espressione di un «diritto di resistere» ' - c sarebbe opportuno precisare se si resisteva alle forze di uno Stato "accentratore" e "moderno" o piuttosto alla violenza signorile, antica e distruttiva e certamente più vicina alle co­ munità ed ai suoi abitanti - la morfologia della nobiltà e la reale consi* Università di Chieti-Pescara.

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stenza delle permanenze feudali, la mobilità sociale e i processi di integra­ zione c, soprattutto, le posizioni cd i risultati dell'antropologia giuridica 6• La conclusione formulata a chiusura del convegno veneziano che il banditismo fu la manifestazione della debolezza dell'affermazione statale, delle sue esitazioni c dci suoi insuccessi 7 può essere dunque ripresa criti­ camente come punto di partenza per riconsiderare il fenomeno proprio alla luce di studi che hanno dimostrato che la forza - maggiore o minore - degli apparati statali della prima età moderna non si può indicare nella "centralizzazione" e nell"' assolutismo" , ma nel controllo del territorio e nell'erosione, progressiva, patteggiata, compromissoria, di poteri preceden­ ti 8• Un processo, questo, seguito con differenti modulazioni geografiche c cronologiche, anche nello Stato Ecclesiastico che, nel Cinquecento, trovò una nuova forza politica nel contesto europeo sostenuta, all'interno, da una più ordinata c compatta struttura amministrativa c dal vigore impresso dal Tridentino. Nobiltà e banditismo nel Cinquecento

Consideriamo allora i caratteri dominanti del banditismo cinquecentesco per seguirne poi la trasformazione - ma non certo l'estinzione - in rappor­ to all'evolversi degli apparati di governo costruiti dalla monarchia pontifi­ cia fra tardo Cinquecento c Seicento. Dalla metà del Cinquecento, nello Stato Ecclesiastico il susseguirsi di turbolenze e disordini aveva avuto come protagonisti comunità, feudatari, esponenti dell'antico baronaggio e della nobiltà minore ed i loro vassalli. I molteplici processi per "eccessi" denominazione assai generica per un reato complesso che, a seconda dei casi, violava non solo l'ordine, ma la sovranità, i rapporti sociali, la pro­ prietà, i diritti comunitativi - testimoniano lo sforzo dci tribunali centrali, in particolare del tribunale romano del Governatore, di intervenire per controllare un disordine non nuovo, acuito ora dai postumi delle guerre d'Italia, ma anche nella progressiva sottomissione di entità cittadine che mal rinunciavano alla propria identità politica 9• Non erano nuovi, gli "eccessi " perpetrati da feudatari nei confronti di comunità soggette: nuova era invece l'ottica con la quale le magistrature romane, espressione di una sovranità più forte, guardavano a questi crimi­ ni ed ai loro attori, che assumevano ora la più netta fisionomia di antago­ nisti del potere papale. Se decisivo era sempre stato il ruolo della nobiltà nell'alimentare la violenza delle compagini banditesche, nel corso del Cin­ quecento questa pratica assunse forme più pericolose per un'autorità che voleva riorganizzare i suoi domini, togliendo poteri ad entità c forze ben ancora radicate sul territorio. Editti, costituzioni apostoliche e bandi richia­ mavano, inutilmente, a memoria tutte le pene comminate fin dal tardo Quattrocento contro i nobili fautori c generosi ospiti di banditi. Clamorosi processi furono celebrati nella seconda metà del Cinquecento contro alcuni esponenti dell'antico baronaggio e della nobiltà minore apertamente coin­ volti in azioni criminose, ospiti di fuorilegge nei loro territori, nei castelli

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arroccatt tn zone montuose, spesso ai confini con il Regno ed anche nei loro palazzi romani, garantiti dall'immunità. Azioni esemplari, iniziate sotto Pio v, proseguirono con incertezza e difficoltà sotto Gregorio xrn, che aveva cercato di adottare una politica fondata sull'aequitas, anche nei con­ fronti di rei di lesa maestà 10• Divennero sicuramente più frequenti sotto Sisto v e Clemente VIII: il crimen laesae maiestatis, la lesa maestà, era infat­ ti ascritto - insieme con il banditismo, l'omicidio plurimo, la fabbricazione di monete false - ai crimina atrociora punibili con procedure veloci ed esemplari (iura speciali'a) 11• Fu, questa, l'accusa prevalente mossa contro la nobiltà ribelle, violenta, più o meno direttamente implicata nelle azioni banditesche. Un'accusa grave, che non di rado si saldava con quella di eresia: spesso i vassalli, gli abitanti delle comunità vessate dalla prepotenza signorile tentarono di avvalersi, in molti casi, anche di questo strumento per debellare la violenza nobiliare, attivando sia il tribunale del Governato­ re che il Sant'Uffizio per colpire nobili macchiatisi di azioni empie, di tra­ cotanti affermazioni che suonavano come pericolosa sfida ali' autorità papa­ le, sospettati anche di aver manifestato simpatie neppur troppo nascoste alle dottrine riformate giunte, nella loro pericolosa essenza, fino ai più lon­ tani feudi dei domini papali. Clamoroso, fra gli altri, fu il caso di Onorio Savelli, turbolento barone romano, accusato di «pratica di banditi» e di di­ versi "eccessi " nel 1 5 60 e nel 1 5 66, privato dei suoi beni da Pio v, che addirittura mosse contro di lui un corpo di uomini armati per procedere alla confisca dei beni ed alla conseguente esautorazione del ribelle signore. Ma i suoi vassalli, angariati da tempo dal violento comportamento, si rivol­ sero anche al Sant'Uffizio per liberarsi di lui, accusandolo di aver disputa­ to «publicamente con preti e predicatori». Testimoniavano inoltre che «te­ neva che non si trovava paradiso né purgatorio»; che condivideva «le opi­ nioni di Martin Luthero», negando «la potestà del Papa et i sacramenti et ordini della S.ta Chiesa, tenendo in specie che il peccato della lussuria non fosse peccato et che una donna senz' altra dispensa della Sede Apostolica maritata ad uno si potesse maritar ad un altro ... » 12• Ma il tribunale del Sant'Uffizio, sul quale certamente furono esercitate pressioni da parte di baroni, come Paolo Giordano Orsini, e di cardinali a favore del nobile ro­ mano, impose solo salutari penitenze e anche il Governatore restituì poco dopo al Savelli i beni confiscati, reintegrandolo nei suoi diritti feudali 13• La geografia del banditismo cinquecentesco, segnato da una forte pre­ senza nobiliare, indica chiaramente come punti caldi le zone di confine con il Regno, con la presenza di famiglie baronali, come i Caetani, i Co­ lonna, i Conti, ma anche le legazioni a nord dello Stato Ecclesiastico, ter­ reno sul quale, pur in maniera differente, l'autorità di Roma combatteva per una sua affermazione definitiva c stabile contro la nobiltà locale che cercava di domare ed integrare. Alcuni fra i più famosi processi, come quelli contro la famiglia Vitelli, detentrice di sovranità su Città di Castello ed un'ampia fetta di territorio al confine con la Toscana e contro i Della Cornia, signori del Chiugi o quelli, più tardi, contro Ramberto Malatesta, inquieto signorotto di Romagna accusato, fra l'altro, di complottare con gli

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Ugonotti, o di G.B. Pepoli, esponente della più antica nobiltà bolognese, la stessa lunga lotta condotta contro Alfonso Piccolomini che vide coinvol­ ti il papa, il granduca e Venezia, si connotano come processi politici con­ tro un ceto che minacciava, non solo con le armi, una autorità che non poteva più tollerare comportamenti anarchici. Ma l'attenzione non può soffermarsi solo sui grandi processi, sui casi clamorosi perché una più sottile, difficile repressione nei confronti della violenza nobiliare, dei suoi legami con il banditismo, ma anche di compor­ tamenti cd attitudini non più tollcrabili da un'autorità politica più forte che avvertiva l'esigenza di presentare anche i costumi nobiliari come esem­ pio di una moralità rinnovata, fu condotta nei confronti della nobiltà mi­ nore, protagonista nelle province di manifestazioni di violenta anarchia. Ri­ saltano, in questo panorama cinquecentesco, la nobiltà di Umbria, Roma­ gna c della Marca, zone da secoli riserva di militari, ora soggette a Roma che, con difficoltà, cercava di reprimere la violenza, controllare il territorio con una rete di "giusdiccnti" più idonei sotto la guida di organismi centra­ li da poco istituiti o rimodellati. Ma la monarchia pontificia cercava, so­ prattutto, di creare consenso fra le popolazioni e fra i ceti dirigenti cittadi­ ni: c, per questo, il governo della giustizia, la lotta al banditismo divennero elementi decisivi della politica romana l4 . La posizione dei pontefici del tar­ do Cinquecento nei confronti della nobiltà, ed in particolare del baronag­ gio, fu tuttavia complessa c spesso contraddittoria. Da un lato, infatti, si volevano offrire punizioni esemplari; dall'altro, non mancarono le pressioni di esponenti del Sacro Collegio, legati alla famiglia del nobile criminale, sul pontefice e sugli organismi giudiziari romani per mettere a tacere le ac­ cuse, cassare denunzia, far scomparire gli atti del processo, cancellare la condanna e la sentenza 1 5 • In realtà, processi famosi, esecuzioni spettacolari di nobili accusati di complicità con banditi ed imputati di essere essi stessi autori di crimini efferati, di avere praticato ogni genere di eccessi nei con­ fronti delle popolazioni soggette, sono la spia dello sforzo compiuto, pur con incertezze e contraddizioni, dall'autorità pontificia per disciplinare il comportamento nobiliare, ridurne l'irrequieta insubordinazione, moralizzare attitudini e stili di vita non più tollerabili in un clima fortemente segnato dalla Controriforma. Sono anche la spia di una non più univoca percezio­ ne della violenza e del suo progressivo differenziarsi fra città e campagna, fra governanti c sudditi. La realizzazione di un ordine ispirato da una decisa ed intransigente vo­ lontà moralizzatrice era stata al centro della politica di Sisto v (1585-1590), fin dall 'inizio del pontificato c fu subito celebrata con solenni accenti propagandi­ stici. Le immagini del Salone Sistino della Biblioteca Vaticana, gli affreschi del Palazzo Latcrancnsc, monete c medaglie c, infine, lo stesso monumento fune­ bre di Sisto v in Santa Maria Maggiore, esaltavano infatti i successi ottenuti da papa Peretti nel restituire allo Stato Ecclesiastico, e a Roma in particolare, sicurezza c ordine, grazie alla repressione del banditismo, all a sconfitta dell'ere­ sia e dei suoi fautori, alla moralizzazione della vita cittadina, segnata, da sem­ prc, da violenze di ogni specie. n binomio banditi-eretici appare ripctutamcntc

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nelle immagini, negli Avvisi, nella copiosa pamphlettistica, così come nelle nu­ merose biografie di Sisto v, inquisitore prima della sua elezione al pontificato. Se la severità di Sisto v era destinata a rimanere esemplare e a passare così alla storia e alla leggenda, la realtà si presentava invece più complessa e polie­ drica: la legislazione sistina pose infatti solo le premesse per reprimere le for­ me più esasperate di violenza, il banditismo e la diff usa insubordinazione nobi­ liare. Fu solo più tardi, a partire dal pontificato di Clemente vm ( 1592-1605), grazie anche al mutato clima politico europeo, che la situazione interna nello Stato Ecclesiastico sembrò tornare sotto controllo e il governo della giustizia voluto da Sisto v si avviò a segnare il nuovo secolo. Durante il pontificato di Clemente VIII il banditismo fu represso militanncntc con un esercito guidato da Giovan Francesco Aldobrandini , nipote del papa. Ma soprattutto, fu sgomi­ nato dall'interno con l'applicazione sistematica di una giustizia retributiva, vale a dire con la politica delle taglie: la delazione alimentata dalla promessa di denaro riuscì a spezzare la compattezza delle bande ed a circoscriverne la vio­ lenza. Inoltre, molti banditi furono arruolati fra i «soldati di Santa Chiesa» destinati a combattere gli uscocchi c nelle , allettati dalla promessa della remissione della pena, di una pur magra paga e di veder can­ cellato il disonore passato con un «h onorato>> servizio per la cristianità 16• Anche grazie a recenti studi che hanno esaminato altri aspetti della politi­ ca clementina, solo apparentemente distanti dal problema del banditismo mi riferisco alla censura, alla lotta all'eresia, al tentativo di codificare compor­ tamenti attraverso una severa disciplina che poco ha a che fare con la conso­ latoria categoria di disciplinamento e piuttosto assomiglia ad una sistematica repressione 17 - si può senz' altro indicare nel pontificato clementina il vero tournant nel quale maturò cd iniziò ad affermarsi un concetto nuovo di ordi­ ne, di ordine pubblico in particolare, che non poteva più tollerare il disordi­ ne, la minaccia costante alla sovranità portata sia da turbolenti feudatari, da comunità mal governate c riottosc, da una giustizia incapace di assolvere quei compiti fondamentali che regolavano il quotidiano governo della giustizia. Non è infatti casuale che alle congregazioni istituite da Sisto v se ne aggiun­ gano alcune con poteri nuovi cd assai ampi, come il Buon Governo ( r592), o che altre, come la Sacra Consulta, comincino veramente ad assumere, de facto, la funzione di grande e supremo tribunale per tutto lo Stato Eccle­ siastico. Verso il Seicento

Al quesito sul perché scompaia o, almeno, si attenui la presenza della no­ biltà tra le file di fuorilegge, si è risposto genericamente, indicando nell'ad­ domesticamento nobiliare, nell'inserimento nel "sistema" della corte i fatto­ ri decisivi che avrebbero corretto il comportamento aristocratico e spostato su altri piani la violenza prima espressa nella partecipazione al banditi­ smo 18• Spiegazione che può essere ritenuta valida anche per lo Stato Ec­ clesiastico, purché supportata da verifiche specifiche che mostrino non solo la differenziazione geografica del banditismo nel corso dci secoli, ma

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anche della morfologia di un ceto - quello nobiliare, appunto - dai carat­ teri polimorfi e spesso sfuggenti, rilevati anche da recenti studi 19• Cambia, inoltre, nello Stato Ecclesiastico, tra fine Cinquecento e, soprattutto Sei­ cento, la geografia della feudalità: molte famiglie dell'antico baronaggio vendettero abbondanti porzioni dei loro territori a famiglie in ascesa nella corte romana ed alla stessa famiglia papale. I nuovi signori, come i Bor­ ghese, ma anche i vecchi, come i Caetani di Sermoneta, risiedevano a Roma, controllavano da lontano i propri feudi e l'ordine tramite vicari, ma erano controllati e costantemente sotto gli occhi della corte, delle magistra­ ture romane: nella loro condotta erano in gioco l'onore familiare, la fortu­ na economica, le possibilità di crescita, valori altri, sempre più lontani da quelli difesi dalla violenta anarchia del secolo precedente. L'accusa di con­ nivenza con banditi, di «pratica di banditi» così frequente nel Cinquecento non compare quasi mai nei rari processi intentati direttamente contro esponenti della nobiltà per crimini di sangue o quando la loro presenza si staglia solo sullo sfondo: era dunque scomparso il banditismo? Se guardiamo le fonti di alta giustizia, soprattutto i processi celebrati contro banditi e complici davanti al tribunale del Governatore, colpisce il progressivo rarefarsi di tali atti a partire dagli anni Venti del XVII secolo. La legislazione premiale, adottata in maniera sporadica e solo eccezional­ mente da Pio v, perfezionata ed applicata invece sistematicamente da Sisto v, fu ancora seguita per tutto il Seicento, corretta spesso per cercare di li­ mitare gli inevitabili abusi, come mostrano le norme emanate durante i pontificati Barberini ( 1 62 3 - 1 644) e Pamphili ( 1 644- 1655) 20• Contro intere compagini o, più spesso, contro singoli fuorilegge furono diretti bandi ed editti che invitavano alla loro cattura, garantendo il pagamento di taglie e la «nominatione» - cioè la remissione della pena - di un bandito. Fin dai primi decenni del Seicento anche le taglie sono formalmente diverse: per­ sonalizzate, si potrebbero definire, indirizzate alla cattura di un particolare bandito della cui identità si fornivano, come di consueto, elementi assai generici. Sono, anche questi, indizi che fanno affiorare un mutamento del fenomeno e della sua percezione da parte delle autorità: sembra infatti che il pericolo individuato nella associazione di malfattori, elemento caratteri­ stico, temuto sebbene non ancora definito giuridicamente, sia avvertito in modo meno pressante, sebbene fosse emanato ancora qualche bando «con­ tro le conventicole di persone di malaffare» 21• Di conseguenza, la repres­ sione, legittimata nella sua drasticità proprio per fronteggiare la violenza collettiva dei banditi, si sfuma e perde progressivamente i caratteri che ne avevano marcato l'indirizzo politico di pontefici come Sisto v e Clemente VIII, fino a mitizzarne i risultati. Nel Seicento non mancarono elaborazioni teoriche per definire e cor­ reggere la pratica delle taglie, la possibilità di remissione del bando, la confisca di beni 22 , con uno sforzo costante di investire gli organismi cen­ trali, in particolare la Sacra Consulta, tribunale supremo per tutto lo Stato Ecclesiastico anche in criminalibus, di cui era prefetto, quasi sempre, il cardinal nepote, per decidere, in ultima istanza, sull'applicazione di taglie,

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sulle procedure contra contumaces. Non mancavano le occasioni di conten­ �dosi che si protraevano nel tempo 23; in altri casi, la consegna della testa di un bandito era solo il primo passo verso la "redenzione" di un altro crimi­ naie cd il suo reintegro nella famiglia c nella comunità 24; talvolta si pro­ metteva la «nominatione» di banditi per uscire dalle carceri 25• I carteggi fra giusdicenti periferici ed il prefetto della Sacra Consulta, la continua emissione di bandi c costituzioni che richiamavano a mente norme già sta­ bilite, adattandole ed integrandole in un continuo modularsi rispetto alle necessità presenti, denunziavano la sostanziale difficoltà dell'apparato am­ ministrativo periferico nell'esercitare un controllo efficace sull'applicazione delle molteplici e spesso confuse normative romane. Ma da queste come da altre fonti, quali le suppliche, emerge con evidenza che anche per i giu­ sdicenti periferici la causa fondamentale dell'impossibilità di garantire il controllo sul territorio consisteva proprio nella pena del bando c dell'esi­ lio, comminata troppo generosamente, secondo il principio, dominante in antico regime, di assoluta sproporzione fra colpa e pena. Alla capacità di mediare di chi governava in provincia, alla capacità degli organi centrali di comprendere le ragioni di questa mediazione era legato il successo della politica di ordine pubblico. Nel corso del Seicento il problema della permanenza del banditismo, ormai endemico soprattutto in alcune zone di confine, fu affrontato mante­ nendo apparentemente le stesse forme di repressione usate alla fine del se­ colo precedente. In realtà, qualcosa andava profondamente mutando, sia nella tipologia del fenomeno sia nel rapporto fra autorità centrali c sudditi nel governo della giustizia. Se infatti nel Cinquecento la presenza di bandi­ ti nelle zone di confine si configurava con caratteri ben diversi da zona a zona, ma poteva quasi sempre contare non solo sulla connivenza, ma sul­ l' attiva partecipazione di esponenti della nobiltà, nel Seicento sembra forte­ mente attenuata o quasi scomparsa la presenza nobiliare, sia quella di ba­ roni romani alla frontiera con il Regno, sia a nord, dove la nobiltà ferrare­ se c bolognese era impegnata in altre cavalleresche occupazioni. Tuttavia ai brevi di investitura dei cardinali legati di Bologna e Ferrara si aggiungeva, di solito, un breve specifico con ampie facultates contra bannitos. Figure divenute ormai stabili nell'organizzazione politico-amministrativa dello Sta­ to Ecclesiastico, i legati rappresentavano l'autorità pontificia in territori che, come Bologna c Ferrara, avevano una peculiare specificità all'interno dello Stato Ecclesiastico: l'esercizio della suprema giustizia contra bannitos assumeva le forme di un rituale di investitura che, conferendo poteri straordinari al legato, mirava a rafforzare l'autorità romana sul territorio. In pratica però, l'azione di legati contro i banditi in questi territori nel Seicento non si configurò mai come una lotta contro nobili irrequieti c ri­ voltosi, ma assunse i caratteri di polizia contro chi, colpito dal bando e costretto a vivere alla campagna, praticava contrabbando, assaliva contadi­ ni, rubava bestiami, sequestrava e uccideva viandanti. Si trattava di un banditismo di confine endemico che, come dimostra la corrispondenza dei legati con Roma, ricmcrgcva con maggiore violenza nei momenti di crisi,

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come ad esempio durante la guerra per la successione di Mantova e del Monferrato: le consuete liti per il confine sul Po fra il cardinale Giulio Sacchetti, legato di Ferrara dal 1 627 al 1 6 3 1 , e Venezia trovarono un ulte­ riore elemento di conflittualità nell'audace presenza dci formigotti che, ol­ tre al saccheggio di villaggi di contadini ferraresi, rischiavano di veicolare nemici ancor più temibili come la peste che stava imperversando nel Mila­ nese o di allearsi con i soldati imperiali, eretici, minaccia per la cattolicità e la sua capitale che, agli occhi preoccupati del Legato, avrebbe rischiato di subire un'altra volta la drammatica sorte del 1 5 2 7 26 • La sistematica applicazione della pena del bando e dell'esilio, l' allonta­ namento del reo dalla sua famiglia e dalla comunità, se continuarono ad essere usati sen:la parsimonia dalla giusti:lia pontificia, non assunsero tutta­ via più le forme drammatiche di draconiana e sistematica violenza cono­ sciute alla fine del Cinquecento. Espressione di forza della giustizia stessa e causa prima della permanenza del banditismo, la pena del bando e del­ l' esilio veniva costantemente contrattata fra sudditi ed autorità centrale. Se si analizzano infatti le suppliche rivolte da familiari ai giusdicenti, soprat­ tutto alle autorità romane ed al pontefice stesso, fonte riconosciuta di una giusti:lia superiore ed impar:liale, emerge costante la richiesta di remissione del bando, di moderazione della pena, di reintegrazione del reo nella sua comunità e nella famiglia 27• La stipula della pace con la parte lesa, il per­ dono ufficiali:l:lato davanti al notaio ma sempre più spesso, nel corso del Seicento, davanti ad esponenti di ordini religiosi che, come Cappuccini e Gesuiti, compivano missioni nel territorio per riportare anche la pace, ri­ componendo lacerazioni del tessuto familiare e comunitativo, conferiva le­ gittimità alla richiesta che, di solito, veniva accolta 2 8• Il bando poteva esse­ re definitivamente rimesso, commutato nella pena al remo per tre anni o, sempre più frequentemente, in una pena pecuniaria che, se metteva in dif­ ficoltà le spesso già precarie sostanze della famiglia del reo, garantiva un gettito alle casse del fisco, ottenuto con fideiussioni o con l'aiuto di con­ fraternite e luoghi pii. La discrezionalità degli organismi giudicanti rendeva necessaria una continua pressione: ecco quindi che le suppliche si succede­ vano a breve distanza, inoltrate talvolta contemporaneamente ad organismi o a persone diverse, sostenute, quando possibile, da una lettera di racco­ mandazione e, sempre, da generose descrizioni di miseria e precarietà, tan­ to colorite quanto stereotipe. Al di là della griglia retorica, la supplica era lo strumento di un dialogo fra potere e sudditi che scrivendo potevano ve­ dere accolte le loro richieste, ma riconoscevano e legittimavano, rafforzan­ dolo, il potere al quale si rivolgevano. Era dunque proprio attraverso que­ sto scambio epistolare fra governati e governanti che la giustizia si modula­ va, si piegava c permetteva di controllare la periferia: rimaneva intatta la forma di rigida severità e, in pratica, si adattava per creare consenso e mantenere l'ordine. Se, da un lato, numerose sono le suppliche di familiari che invocavano la grazia a favore di chi era stato colpito dal bando, dal­ l' altro non mancano nei memoriali inoltrati a Roma vivaci descrizioni dei mali e disordini causati dalla presen:la di banditi sul territorio, dalla conni-

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venza di giusdicenti locali con i loro capi, dai loschi affari di birri e no­ tai 29• Si tratta, di solito, di memoriali di intere comunità che si rivolgono a Roma per denunziare la giustizia locale, corrotta ed inefficiente, per atten­ dersi, quando ogni risoluzione di pacificazione infragiudiziale locale era sfumata, invece un risolutivo intervento di un'autorità lontana c superiore. Erano denunzie che celavano lotte fazionarie, che facevano risuonare echi di faide e vendette interpersonali; denunzie che rivelavano la inestirpabile connivenza fra chi era stato messo al bando e la propria famiglia, gli «ami­ ci» 30, ma che rivelavano anche una diversa percezione dell'idea - c della realtà - di ordine più vicina a quella che la giustizia pontificia aveva cerca­ to di imporre fin dal secolo precedente. Dunque, sebbene il banditismo non scompaia, debellato dalla draconia­ na politica repressiva e dagli interventi militari condotti a fine Cinquecen­ to, certo si attenua e si trasforma anche per il massiccio reclutamento che ancora una volta fu offerto per combattere le guerre della prima metà del Seicento - dalla Valtcllina alla guerra dci Trent'anni, dalla difesa dci confi­ ni dello Stato Ecclesiastico minacciati dalla guerra di Mantova - attività belliche che videro tutte una sostenuta partecipazione di nobili romani e di diverse parti dello Stato Ecclesiatico, seguiti da masnade di gente al sol­ do. Ma soprattutto si trasforma, perdendo il carattere aggressivo e minac­ cioso di «banda armata», forte per il numero di uomini, pronta a colpire con azioni pericolosamente incontrollabili. All'interno dello Stato Ecclesia­ stico, la tolleranza verso questo endemico fenomeno di violenza collettiva appare più che mai legata al rispetto di un ordine determinato ed imposto alle comunità da un contatto più intenso con le autorità centrali grazie al­ l'azione di congregazioni come la S. Consulta ed il Buon Governo ed al­ l' attribuzione di facoltà più ampie ai giusdicenti locali per coinvolgerli nel controllo del territorio ed accorciare le distanze fra centro e periferia. Era una politica messa in atto, nello stesso periodo, anche da altri Stati italiani, sebbene gli esiti siano stati differenti, condizionati da fattori geografici, dalla presenza di vie di comunicazione, dalla preparazione e dagli stipendi di chi era chiamato a governare 3 1 • Cambia, nel corso del Seicento, il con­ cetto di ordine e di ordine pubblico, di bene comune, di giustizia: alla re­ alizzazione di questo ordine, accortamente propagandato per rafforzare la sovranità pontificia, celebrare i Saturnia regna} ma fondato in pratica piut­ tosto sul compromesso, sulla prudenza, sul consenso determinato dalla me­ diazione di conflitti e che aveva nel principio dell'aequitas - principio del diritto canonico - la sua base, era preparato chi doveva andare a governa­ re la periferia dello Stato Ecclesiastico. Se guardiamo con criteri "illumi­ nistici" la prassi del governo della giustizia, del controllo del territorio e dei suoi fattori di conflitto e di disordine, non potremo, quindi, che concludere con un giudizio negativo c ribadire, ancora una volta, l 'inca­ pacità dei governi " centrali" di controllare la periferia. Ma il controllo del territorio, per motivi certamente diversi e, talvolta, addirittura opposti, re­ sta un fattore di debolezza anche per gli Stati postmoderni, come ha di re-

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cente rilevato Eric Hobsbawm in un'intervista pubblicata dai maggiori quotidiani europei 32. Note 1 . Bande armate, bandit; banditismo e repressione di giustizia negli stati europei di antico regime, a cura di G. Ortalli (Atti del convegno, Venezia 3-' novembre I983), Roma I986. 2. La società violenta. Il banditismo nello Stato Pontificio nella seconda metà del Cinque­ cento, Roma I985. 3. M. Sbriccoli, Giustizia negoziata, giustizia egemonica. Riflessioni su una nuova fase de­ gli studi di storia della giustizia criminale, in Criminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridici tra Medioevo ed età moderna, a cura di M. Bellabarba, G. Schwerhoff, A. Zorzi, Bologna-Berlin 1 999, pp. 345 -64. 4 · Si rinvia, a tal proposito, a M. Sbriccoli, Fonti giudiziarie e fonti giuridiche. Riflessioni sulla fase attuale degli studi di storia del crimine e della giustizia criminale, in "Studi Storici" , 2 ( r 988), pp. 49 1-,oi; E . Grendi, Sulla «storia criminale»: risposta a Mario Sbriccoli, in "Qua­ derni Storici" , 73 ( 1 990), pp. 269-75. 5 · Su queste problematiche, dr. Resistance, Representation, and Community, ed. by P. Blickle, Oxford I 997; Le Droit de résistance x1t-xxxt siècle, dir. J. C. Zancarini, Fontenay-St. Cloud 1999. 6. Come, ad esempio, A. E. Hespanha, Introduzione alla storia del diritto europeo, Bolo ­ gna 1 999. 7 · M. Aymard, Proposte per una conclusione, in Bande armate, banditi cit., pp. ,o, - n . 8. Per una riflessione sul rapporto centro/periferia nella più recente storiografia dr. E . Fasano Guarini, Centro e periferia, accentramento e particolarismi: dicotomia o sostanza degli Stati in età moderna?, in Origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra medioe­ vo ed età moderna, a cura di G. Chittolini, A. Molho, P. Schiera, Bologna I994, pp. 147-76. 9· Su questi temi rinvio al mio studio Signori e tribunali. Criminalità nobiliare e giustizia pontt/icia nella Roma del Cinquecento, in Signori, patrizi e cavalieri nell'età moderna, a cura di M. A. Visceglia, Roma-Bari I992, pp. 2 r4-3o. ro. P. Blastcnbrei, Clemenza und Equità. Zur Justizpolitik Papst Gregors Xlii. (rJ72-r585), in "Quellen und Forschungen aus ltalienischen Archiven und Bibliotheken", 8o (2ooo), pp. 3 6o-452. I I . M. Sbriccoli, Crimen laesae maiestatis. Il problema del reato politico alle soglie della scienza penalistica moderna, Milano I 974· 12. Archivio della Congregazione per la Dottrina della I'ede (Acor), St. St. R. 2. m. I 3· Fosi, Signori e tribunali cit., pp. 2 I 9-2 I . 1 4 . I lo trattato questo tema in Giustizia, giudici e tribunali fra centro e periferia nello Stato ecclesiastico (secoli XVI-XVII) , in "Dimensioni e problemi della ricerca storica", 2oo i , pp. 1 9 3 ·206. I ' . Esemplare la vicenda giudiziaria di Scipione e Antonio Caetani, pluriomicidi, con­ dannati e poi assolti e reintegrati nei propri diritti da Clemente vm: cfr. l. Fosi, Il banditismo e i Caetani nel territorio di Sermoneta, in Sermoneta e i Caetani. Dinamiche politiche, sociali e culturali di un territorio tra medioevo ed età moderna, Roma I999, pp. 2 I 3-25. r6. Su questo tema dr. G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Sta­ to della Chiesa (I J6o-1 644), Roma 2003. 17. Questo aspetto repressivo, non limitato all'ambito culturale, troppo spesso sfumato in ricerche che hanno adoperato le categorie di disciplinamento e confessionalizzazione, è sta­ to particolarmente sottolineato da G. Fragnito, La Bibbia al rogo. La censura ecclesiastica e i volgarizzamenti della Scrittura (I47I·I 6o5), Bologna I997· 18. Così, ad esempio, X. Torres i Sans, El bandolerismo mediterraneo: una visi6n compa­ rativa (siglos XVI-XVII) , in Felipe II y el Mediterraneo, coord. E. Belanguer Cebrià, n, Madrid 200 I , pp. 397•42 3 . 19. Cfr. La nobiltà romana in età moderna. Profili istituzionali e pratiche sociali, a cura di M. A. Visceglia, Roma 2oo i , in particolare le osservazioni della curatrice a p. xvm. 20. Archivio Segreto Vaticano (ASv), Miscellanea Arm. Iv-v, t. 57: contiene bandi e co­ stituzioni sul banditismo emanati fino al I 7 r 8 . 2 1 . lvi, p. 98.

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22. Cfr. P. Farinacci, Consilia, in Opera omnia, vu, Antvcrpiac r6r8, ad indicem; T. Cima, Forma procedendi contra contumaces iuxta Constitutionem Barberinam, Viterbo I652. 23. Rivolgendosi con una supplica al Governatore di Roma, nel 1655, Pietro de Amici e Cola Romito da Gorga dichiaravano come «dell'anno I655 diedero in mano delle Corti Eleute­ rio Fiori, Giovanni Merangelo publici crasatori facinorosi e homicidiali che infetavano le campa­ gnie di Legni e Gorga, comettendo furti alla strada e robbamenti di bestiame, come aparisse dal processo fabricato dal signore commissario Bonaventura et Carlo Felice e non havendo otte­ nuto le solite nominationi suplica V. S. lli.ma degnarsi ordinare le sia concesso conforme il soli­ to . ..» (Archivio di Stato di Roma (ASR), Tribunale del Governatore, atti vari di cancelleria, vol. 1 3 1 , n. 95 , 1658). 24. «Gioseppe Monsignorini da Roccha Contrada sin dal I653 fu gratiato e rimesso per ordine della Sacra Consulta delli bandi c pregiuditii che havcva in diversi tribunali per la presentata della testa di Marcone famoso Bandito et perché nella rimessione li fu riservato l'esilio dalli luoghi de delitti commessi a beneplacito di V. S. Ill.ma et havendo quasi da tutte le parti offese ottenuto la pace et anco venute risposte dell'Ordinarii che non può esservi scandalo e pregiuditio il repatriar dell'Oratore, supplica V. S. Ill.ma a farli gratia ordinare che li sia rimesso l'esilio da tutti i luoghi delle parti offese, dalli quali ne ha ottenuto la pace, prodotte dal Tribunale»: la supplica era diretta, come moltissime altre, al Governatore di Roma che, in questo caso, chiese un'ulteriore verifica degli atti al notaio prima di deliberare favorevolmente: ASR, Tribunale del Governatore, atti vari di cancelleria vol. I 3 I, n. I 36 ( I658). 25. «Vollo da Sezza carcerato e condannato espone alla benignità di V. S. Ill.ma si de­ gni d'ottenere a N. S. la gratia della sua libertà, che lui vuole darli in mano rrancesco Ciarlo che have assassinato un certo Vescovo il mese d'ottobre ... mentre andava a Napoli et altri as­ sassinamenti e delitti commessi nel Stato della Chiesa et anchora have armato et arma con banditi di vita ... Sopraggiungendovi anche, quando che il detto oratore sarà in libertà, gli darà in mano ancora gli altri compagni del suddetto Francesco Ciarla ... »: uno zelo, quello espresso nella supplica inoltrata al Governatore di Roma, che trovava la sua prima motivazio­ ne nella volontà di vendetta, ora adeguatamente sfruttata per ottenere la remissione della pena (ASR, Tribunale del Governatore, Atti vari di cancelleria, b. I J I , n. 17a, 1658). 26. ASV, Segreteria di Stato, Fe"ara, voll. 3 - ro; I. Fosi, All'ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Roma I 997, pp. 95-I I4. 27. Sulle suppliche e la loro diffusione nell'Europa moderna cfr. A. Wiirgler, Voices from Among the uSilent Masses»: Humble Petitions and Soda! Con/licts in Early Modern Cen­ tra! Europe, in "International Review of Social History", 200 1 (46), pp. 1 r-34; C. Nubola, La «via supplicationis» negli stati italiani della prima età moderna (secoli xv-xvm), in Suppliche e «gravamina». Politica, amministrazione, giustizia in Europa (secoli XIX-XVIII) , a cura di C. Nu­ bola c A. Wiirglcr, Bologna 2002, pp. 2 1 -63; I. Fosi, (,(Beatissimo Padre. . . ": suppliche e memo­ riali nella Roma barocca, ivi, pp. 343-65 . 28. Cfr., a proposito di questa pratica, A. Niccoli, Rinuncia, pace, perdono. Rituali di pa­ d/icazione della prima età moderna, in "Studi Storici", 40 ( I 999), pp. 2 I 9 - 61.

29. In un lungo memoriale indirizzato al papa, ad esempio, Francesco di Baldo insieme ad altri della comunità di Palazzo d'Assisi denunziava nel I 624 come un tal Evangelista di Tomaso, pur querelato davanti al governatore di Perugia, non fosse mai stato processato. Ed elencava con precisione tutti gli «eccessi» commessi «tra gli altri per un homicidio commesso in persona di Bernardo di Morellino; item per haver tenuto di continuo banditi capitali et servitori d'essi in homicidii, assassinamenti et ladronecci; ... item per haver robbato una zitella alla madre et defloratola per fora la quale di n a pochi giorni morì; item per haver rotto et rubbato il molino della comunità di Assisi... et ancorché tutti li predetti capi siino provati, tuttavia il detto Evangelista querelato non è mai stato prigione et questo non per altro che per i gran favori et per essere ricchissimo et finalmente, credendo scamparla in tutto, ha otte­ nuto una prohibitione da questa corte diretta a Mons. Governatore di Perugia che non pro­ ceda più oltre in questa causa»: per ottenere giustizia, si chiedeva l'intervento diretto del pontefice che avocasse il procedimento al Tribunale del Governatore di Roma (ASR, Tribunale del Governatore, atti vari di cancelleria, vol. 84, n. ? I ) . 3 0 . Preoccupato pe r la possibilità d i essere accusato d i negligenza, il bargello d i Campa­ gna esponeva in un memoriale al Governatore che un tale bandito «praticava liberamente in questa terra et hora anco viene accompagnato da molti in palazzo et perché mi trovavo senza ajuto di corte, non ci essendo altro che tre sbirri qui dependenti dal vicepodestà che è prossi­ mo parente di detto bandito». Questi, inoltre, aveva da poco ottenuta la remissione della pena

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con una «nominatione» di un compagno c aggiungeva - «non mi meraviglio della temerità di detto bandito poiché raffidato nel molto parentado che tiene in questo loco, nella parentela con detto vicepodestà e nell'assicuratione che tiene da sbirri ... »: ASR, Tribunale del Governato­ re, atti vari di cancelleria, vol. 84, n. r 8 (30 agosto 1 62 3 ) . Se, ovviamente, l'excusatio preventi­ va era essa stessa un'anunissione di colpa o, quanto meno, di non troppo zelo nella cattura di banditi, la lettera del bargello di campagna si aggiunge agli innumerevoli memoriali e suppli­ che che denunziavano l'impossibilità di rompere legami di solidarietà familiare e comunitaria. 3 r . M. Bellabarba, Informazioni e fatti. Casi di storia del processo penale nell'Italia centro-settentrionale, in "Storica", 20-2 1 (2001), pp. 155-75. 32. E. Hobsbawm, La naci6n-estado pierde contro!, y eso crea inseguridad y violencia, in "El Pais" , 1 5 settembre 2002 . -

Faide e banditismo nella Catalogna dei secoli XVI e XVII di Xavier Torres i Sans ·k

Introduzione

In un convegno come questo, il cui scopo principale è l'analisi comparati­ va dei banditismi mediterranei nei secoli XVI e xvn, fare riferimento a Fer­ nand Braudel ed al suo celebre lavoro sul Mediterraneo di Filippo n risul­ ta probabilmente tanto inevitabile quanto pertinente. Come è noto, Brau­ del fece del banditismo - o brigandage - e delle sue molteplici manifesta­ zioni - grassazione da strada, razzie di montagna, lotte tra fazioni artisto­ cratiche o feudali - uno dei protagonisti del suo magnifico studio su quel­ l' ambito geopolitico nella prima età moderna. Così, il banditismo mediterraneo del Cinquecento (> con insolenza da bargelli e famigli arroganti e occasionalmente ubriachi 73• Non mancano mai i testimoni a discarico, cioè altri patri:li solidali col fermato 74• n governo puni­ sce gli eccessi delle forze dell'ordine: l'uccisione accidentale di alcuni marinai incolpevoli provoca il momentaneo arresto del bargello Orso, nel 1583 75• Ma ben presto egli riprende a mantenere legge e ordine nelle strade di Genova: salvo essere nuovamente arrestato, due anni dopo, assieme a tre altri bargelli per ragioni che Pallavicino non chiarisce 76• Peggio va, negli stessi anni, a un birro reo di un omicidio e dell'evirazione del marito di una donna con la quale intrattiene rapporti: lascia la testa sul patibolo 77 • Per contro, nel 1 655 Gio. Giacomo Brignole, parentela dogale e famiglia doviziosa, convinto dell'o­ micidio di un bargello, compra la pace dai parenti della vittima, ottiene la grazia dal Senato e torna liberamente in città 7 8 • Ma i documenti segnalano, almeno per gli anni Quaranta-Cinquanta, un rapporto tra nobili delinquenti e apparato di polizia più complesso c ambiguo della semplice contrapposizione. A più riprese viene denunciata la complicità di alcuni bargelli, se non di tutti, con patrizi detentori di armi proibite. n circuito è questo: il patrizio paga il bargello perché lo lasci immune dalle perquisizioni assieme al suo seguito; lo stesso patrizio fa pagare a plebei che lo accompagnano, o a terzi che gliene facciano richiesta, la copertura presso le forze dell'ordine: così Lorenzo C atta­ neo nel 1646 79; così un gruppo di magnifici (Barnaba Centurione, Paolo Basa­ donne, un Adorno c un Garbarino) nel 1 648 80• A riprova, ma dal versante opposto, nel luglio 1 654 quattro bargelli e un luogotenente si rifugiano all'im­ provviso in luogo sacro per scampare all'arresto; poi due di loro prendono l'impunità e denunciano un giro di tangenti e di protezioni che chiama in causa anche dei nobili 8 1 • Un anonimo, scrivendo nel r 649, all'indomani per l'appunto dell'attentato a un bargello 82 , ripercorre la storia della criminalità nobiliare fra Cinque e Seicento. È un documento che val la pena di leggere per esteso. S [ignori] Ser[enissi]mi, E gran cosa veramente che non si trovi rimedio alla guerra civile fra la nobilta giovane et i birri; al certo è male molto invechiato. Mi racordo sin dal tempo di Ferisino, et l'Orso bargelli che ci era questo disordine, e fu fatta la cansone va in Gallera Ferisin, che Giromo de Marin etc. pare che dica burla ma ha senso. Voglio dire che si doverebbe procurare rimedio a questo disordine tanto anti­ co e che tuttavia cresce. In quel tempo pochi portavano armi, vi erano certi capo­ rioni come Orrigo Salvago, Giulio Spinola, li Nantes Raffael Garba[rino] ottimo cit­ tadino Gio. Filippo Raggio, et simili, che si prevalevano, ma che? di portare spada manopola giacchi et simili; poi si è andato introducendo con l' essempio delli m[a­ gnifi]ci Gio. Antonio Sp lino]la, Ottavio Saluzzo Claudio Marini, la felice memoria di Gio. Batta Airolo che divento buono, et di altri licentia maggiore et hora non vi è alcuno che non voglia portare armi. Questa aversione alli birri si porta dal latte delle madri, e l'abuso introdotto non è possibile levare a fatto. Che conviene don-

MAGNIFICI MALFATTORI

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que? lasciar correre il disordine? non certo. lo loderei S[ignori] Scr[cnissi]mi mitiga­ re quel male che non si può estirpare. La forma direi che fosse far elett[ion]e de bargelli, di persone di piu portata che birri semplici che ben spesso arrivano al Gra­ do con qualche presenti che fanno alli ser[ vito]ri di V [ostre] S[ignorie] Ser[enissi­ ]me, che non s'inghetesse [?] tanto da S [igno]ri di casa o altro ad inquirire pugna­ lctti; Che finalm[en]tc da che la gioventù porti simili arma, non ne puo venire tanto male, come forsi altri crede. Che si procurassi che la nobilta non fosse strapassata da bargelli et forsi che il permettere la licenza mediante un tanto pagam[cn]to non sarebbe desacertato. Conosco che vi sono molte considerat[iolne in contrario. Ma si potrebbe provare per qualche tempo: si potrebbe escludere da detta licenza li licen­ tiosi di cattura netta [?] sicarij c simile, con che chi vuoi licenza andasse sotto apro­ vatt[io]ne, o in altra forma che paresse piu acertata mentre fusse stimato bene apli­ care l'animo al concetto che forse non è del tutto sprcsabilc massime se fusse ripol­ lito, ch'io lo dico cosi di grosso. In somma S [igno]ri S [erenissi] mi qualche rimedio ci vuole perche la giustitia avillita puo aportare danno estremi; il perseguitare di continuo la gioventu per pugnaletti, o altre cose frivole non è di uttile; l'aversione al birro per detta causa e Generale di S. Pietro, di S. Paolo, et di tutti i santi. Nelle altre città forsi pcrchc non vi e simili occasione non c tal peste. Dio inspiri V [ostrc] S [ignorie] Ser [enissi] me al rimedio oportuno secondo il bisogno 8 � .

Il testo è interessante come documento della forte sensibilità per il proble­ ma della violenza nobiliare. Ma l'anonimo cede alla tentazione di proporre una sorta di escalation delle infrazioni, dai tempi di Arrigo Salvago, degli Spinola Nantes, di Gio. Filippo Raggio (personaggi citati da Pallavicino negli anni Ottanta del Cinquecento) a quelli di Claudio De Marini (lo ab­ biamo visto "discolo" nel T 6o7) sino all'attualità. n diario di Giulio Palla­ vicino non conferma però l'immagine di un passato pacifico. L'indisciplina patrizia viene imputata a una classe di età: un fenomeno giovanile; e que­ sto sembra confermato dalla cronaca degli anni Ottanta del Cinquecento, ma assai meno da quella degli anni Trenta-Quaranta del Seicento. Un altro anonimo intervenuto sullo stesso episodio insiste piuttosto sul­ l'intento sopraffattorio di «alcuni della nobilta che inquietano li altri, quali ogn'uno li conosce, volendo star sopra il compagno»; ma aggiunge all'elenco delle categorie da tenere sotto osservazione i capitani degli scelti (cioè delle milizie: plebei dunque, ma con porto d'armi) c alcuni religiosi indegni. n ri­ medio secondo questo secondo anonimo sta nell'esiliare i nobili con i bigliet­ ti, nell'allontanare i preti indegni, e nel disarmare i capitani degli scelti 84. La pars construens dell'altro breve scritto che abbiamo citato punta invece a mi­ gliorare la qualità delle forze dell'ordine c nel contempo a depenalizzare il reato più diffuso c più spesso fomite di conflitto, il porto d'armi proibite. Un paio d'anni più tardi una relazione degli Inquisitori di Stato raccomanda anch'essa di riformare le forze dell'ordine arruolando 25 birri forestieri, ro­ mani per l'esattezza, e una dozzina di spie (3 per quartiere) da porre agli or­ dini degli Inquisitori di Stato; tra le altre proposte la costruzione di un car­ cere apposito, la modifica della legge sulla pubblica voce e fama e dello sta­ tuto (J. Aierdi, Dietari. Noticies de Valènda i son regne, de r66r a r 664 i de r667 a 1 679, ed. V. J. Escarti, Barcclona 1999, pp. 1 80-2). 28. Adcmas bacia unos mcscs, cn abril, que los miembros del clan Valiterra habian in­ tentado poner dificultades para que el estamento militar concediese finalmente un servicio voluntario de 6oo bombres por 6 meses, después de varios aiios de baberse resistido a las de­ mandas reales. Don Carles Valltcrra, hcnnano dc Joscp Vallterra y futuro regentc de la Au­ diencia valenciana, junto con sus cufiados don Lluis Milà i Francese Vallterra, seiior de Ca­ net, habtan utilizado maniobras dilatorias para evitar la deliberacion del servicio (ACA, CA, leg. 5 6 3 , exp. 1 2/7, consulta del Consejo de 4 de mayo de 1659). Los dos ultimos acababan dc dejar la prision por cl desafio que babian mantenido con Don Francisco de los Cobos, que, a su vez, era cuiiado de los Barrionuevo de Villena, enemigos de Josep Valiterra (ACA, CA, leg. 5 86, exp. 25h, consulta del Consejo de 28 de marzo de 1659). Sobre el cursus bono­ rum de Carles Vallterra, vid. T. Canet Aparisi La magistratura valenciana (s. XVI-XVII) , Valen­ cia 1 990, espccialmcnte pp. 5 0- 1 . 2 9 . ACA, CA, leg. 5 84, exp. 38/2 3 , 1 6 d e diciembre d e 1 65 9 . 3 0 . La }unta d e Contrafueros seria convocada urgentemente a ultima bora del dia 28 de dicicmbrc dc 1659, y estuvo reunida basta la madrugada del dia 29. Don Juan Crespi, ber­ mano del vicecanciller y representante de la orden de Montesa, se ausento antes de que se decidiese el envio de una comision al virrey para denunciar contrafuero. El resto de la }unta, de la que faltaban también otras voces autorizadas, decidiria poner en marcba el mecanismo previsto desdc las cortes dc 1645 . La comision de seis miembros, dos por estamento, nom­ brados al efecto, visitaria al virrey entre las dos y las tres de la madrugada («la causa de baver-se executat aço a bora tan tarda fonc per tenir-se noticia certa de que estava resolta per lo virrey y real audiència la cxccucio de la scntència»), y volveria a la casa de la Diputa­ cion. Alli no tomarian ninguna otra resolucion «y per baver-sc cntés que havicn baixat dc la

bandoler valendà del segle

BANDOLEROS, REBELDES

Y

MARGINADOS

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Torre a don Joscph Valltcrra per a cxccutar en cll la scntència dc mort se n'ixqucrcn ... y se n' anaren a ses cases y ab tot efecte la dita sentència fon c executada lo dit dia entre les tres y quatre hores aprés migjom» (Archivo del Reino de Valencia (ARV) , Real 541, 28-29 de di­ cicmbrc de r66o, ff. 152v a r. 5 6v). Por su parte el estamcnto cclesi.astico se rcunio y nombro electos para que visitasen al arzobispo a fin de que este intercediese para evitar la ejecucion (Archivo de la Catedral de Valencia, registro 25, 29 de diciembre de r 66o). En realidad la fecha ( r . 66o en vez de r .659) que aparece en la datacion de ambos archivos es erronea, y producto qui.zas del inmincntc cambio dc afio. El resto dc noticias coincidcn cn fijar la muerte de Vallterra en 1 659; es mas la secuencia de documentos del volumen del Archivo del Reino continua con otras reuniones de enero de r66o, entre las que destaca otra sesion dc la Junta dc Contrafueros del dia r2, en la que se vuelvc a hablar del tema. Ahora, con la prcscncia dc Crespi, la Junta dc Contrafucros marcaba distancias rcspccto a su protesta antc­ rior. «En esta sitiada nos feu delliberacio alguna sino que los dits elets de paraula donaren als sfndichs un recado per a sa excellència dient-li que lo que contenta la embaixada que se li donà en respcctc del ncgoci dc don Joscph Valltcrra solamcnt fonc cn raho dc havcr-sc fct la transmissio del procés al Supremo de Arag6 ans de estar pres lo dit don J oseph Vallterra y sobre no haver-se fet les ralles de les yntimes en lo propri domicili del dit don Joseph Vali­ terra» (ARV, ibid., f. r6ov, 12 de enero de r66o). 3 1 . Es evidente quc cl dictarista Bcnavcnt tenia cicrta simpatia por csta faccion; hablan­ do de Benet afirmaba, frente a la actitud seguida por los bandidos comisarios contratados por Camarasa contra el bandolero, «que obrava como hombre de bien». Asi mismo al narrar la ejccucion dc Vallterra dice: «En 29 del mcs de dczicmbrc r6.59, le cortaron la cabcça a don Josep Vallterra; hizo una accion muy digna de su alabança, pues assi que entro en la plaça fue de rodillas hasta el cadahalso y sin mostrar ningun temor ni flaque7� murio con mucho exemplo y resignacion» (l. Benavent, Cosas mas notables sucedidas en Valencia, escritas por Ignacio Benavent, 1 6.57-1704 , titulo facticio, f. r vuclto, manuscrito 41 del Archivo del Real Convento de Predicadores, citado por Garcia Martfnez, Valencia bajo cit., p. 1 77). 32. Los Vallterras (Carles, Felip, Geroni, hijos de don Vicent, y Josep, su nieto) estaban en Guadalajara y solicitaron volver. Realmente adcmas dc don Vicent, que alegaba cstar en­ fcrmo, sus ycmos, don Lluis Milà, cscondido, y don Francese Valltcrra, rcfugiado en la ln­ quisicion, tampoco llegaron a ser deportados. A pesar del temor a que la situacion pudiese empeorar se autorizo el regreso a uno de ellos don Geroni, «respecto de ser eclesiastico y dignidad dc aquella Santa lglesia por cuia atencion se debc usar con él de mayor benigni­ daci>> (ACA, CA, leg. 586, exp. 3 1 h , consulta del Consejo de 27 de octubre de I 66o). 33· A primeros de octubre de I66o, Benet ya habia partido hacia Napoles, sin esperar a un acuerdo con el virrey (ibid.). Aun regresara a principios de r662 y presentara un memo­ ria! solicitando servir cn los cjccitos del rcy a cambio del pcrdon (ACA, CA, lcg. 910, cxp. 65, febrero de r662). 34· El enfrentamiento de los Vallterra con el Almirante de Arag6n incluia también a los adhcrentes de este, Don Francisco dc los Cobos y sus cuiiados los Barrionuevo (vid. nota 49). Este cnfrentamiento tcrminaria al mcnos oficialmcntc con la firma dc paces cntrc finales de I 66o y principios de r 66 I , entre todos los afectados, incluso aquellos que vivian en zonas proximas como Villena. (ACA, CA, leg. 586, exp. 3 1 , r66o- r66r). 3 5 . Su prestigio se cxtendia a cualquicr esfcra de la vida politica. Apartc de su protago­ nismo en Ios enfrentamientos de la nobleza valenciana con el Duque de Montalto, afios mas tarde durante la revuelta de los labradores de la Huerta de Valencia, en r663, el Almirante seria el interlocutor de los estamentos ante la corte de Madrid, y a través de él se mandarian divcrsos mcmorialcs sobrc cl enfrcntamicnto cntrc la ciudad y los labradorcs por cl cobro dc determinados impuestos (vid. nota I8). 36. En la consulta del Consejo se lleg6 a proponer su salida obligada de Valencia. Ape­ nas cinco afios antes, en pieno enfrentamiento de los estamentos con Montalto, ya habia sido llamado a la corte. Salida que fue denunciada por el embajador del reino, el sefior de Gilet, como una clara actitud antiforal del virrey y del Consejo de Aragon (ACA, CA, leg. 5 82, exp. 25/ro y 15, 19 de octubre de r655). Posiblemente entre los motivos de aquel destierro no solo estaba la tension cntre los nobles y cl virrey, sino el recuerdo del asesinato de Vicent Ayerbe, adherente de Don Vicente de Aragon, e imputada al Almirante; La causa esgrimida habia sido una vez mas > 8• Ma c'è un'ultima copertura giuridica che i Ca­ stclvi non trascurano: appena fuggito da Laconi, don Salvador sfrutta il di­ ritto d'asilo rifugiandosi in un convento nei pressi di Cagliari. Le rimostranze dei Castelvf trovano facile accoglimento a Madrid. In forza di un vecchio capitolo di corte sardo, che impone l'obbligo di ratifi­ care in Consiglio d'Aragona le sentenze pronunciate dalla Reale Udienza contro i nobili, la causa giudiziaria finisce a Madrid dove è possibile riven­ dicare un nuovo processo davanti al compiacente Consejo de Ordenes. Non bastano il parere contrario del vicecancelliere d'Aragona né la fermezza del viceré Gandia nel riaffermare la competenza esclusiva della giurisdizione reale per neutralizzare le pressioni esercitate dagli imputati negli ambienti di corte 9• Poco tempo dopo, una funta mista di membri dci Consigli d'A­ ragona e degli Ordini militari delibera la competenza giurisdizionale del Consejo de O rdenes, che a sua volta delega un suo giudice per celebrare il processo in Sardegna È così che poco dopo l'azione penale viene prati­ camente neutralizzata. Don Pablo, che vuole recuperare al più presto la pienezza dci suoi poteri di procuratore reale, ottiene a corte un ridimen­ sionamento dell'imputazione di correità per sé e per il padre I I . Anche l'u­ xoricida don Salvador, su cui pende sempre la condanna al garrote, finisce per trovare le scappatoie per conquistarsi l'impunità. Fugge dall'isola, si arruola prima nei tercios delle Fiandre e poi presta servizio militare in Lombardia c in Sicilia. Alla fine i meriti acquisiti al servizio del re legitti­ mano la commutazione della pena capitale nel destierro, nell'esilio in uno dci regni della Corona. A favore del supplicante giuocano la precaria con­ dizione economica, gli encomiabili servizi resi alla Monarchia, il perdono dei parenti delle sue vittime e, naturalmente, la «calidad de su casa». La supplica di don Salvador al Consiglio d'Aragona è del 22 aprile r 62 r: è il primo passo di un rapido procedimento di revisione giudiziaria che si con­ clude l'anno dopo. Su parere favorevole del viccré sardo conte dc Erill , il perdono viene accordato da Madrid «por ser esta causa de honor>> 1 2 • L'impunità, dunque, è assicurata r3• La reintegrazione sociale del signore sardo sarebbe completa se egli non dovesse affrontare le difficoltà economi­ che che affliggono i cadetti di nobile famiglia che non dispongono di una propria casa solariega c che non trovano compensazioni materiali nella milizia. w.

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Per di più il fratello Francisco, divenuto secondo marchese di Laconi, gli nega quella modesta quota del patrimonio familiare che gli era stata donata dal padre. Cadono nel vuoto anche le reiterate richieste a Madrid di una ca­ rica pubblica (si tratta di modeste plazas di governo nelle città di Cagliari e Sassari o del comando della cavalleria del Capo di Sassari) . Soltanto nel 1625, quando ormai questo cavaliere versa in «estrema necessidad», il Consi­ glio d'Aragona gli accorda una modesta pensione sulle rendite della Tesorcria reale di Sardegna r•. Ci siamo dilungati sul caso di Salvador de Castelvi per­ ché rappresenta bene i comportamenti violenti di una certa nobiltà di pro­ vincia, favoriti dalla crisi dell'autorità reale nella periferia e sempre coperti da una giustizia oltremodo tollerante 15• La sua tormentata vicenda personale dà anche la misura del peso determinante che le questioni patrimoniali finiscono per assumere nella vita della nobiltà di secondo rango. Nel r629 muore il secondo marchese di Laconi, don Francisco. Lascia la vedova Francisca Lanza di Trabia e sei figli in minore età, fra cui il nostro don Agustfn. Le risorse economiche della casa parrebbero di modesta entità se, come sostiene dofia Francisca, «cl estado es muy cargado de dcudas, y no hay bienes libres siendo el marqués pobre» 16• Tuttavia i fratelli del mar­ chese defunto, don Salvador c don Pablo, pongono gli occhi sopra quell'esi­ guo patrimonio. Si adoperano per sottrarre alla madre la tutela dell'erede del titolo (il figlio minore Luxorio, destinato a morire di lì a poco) e concertano il matrimonio del giovane terzo marchese di Laconi con la figlia di don Pa­ blo. La scoperta intenzione di controllare il mayorazgo dei Castelvf mira non solo all'accorpamento del patrimonio nelle mani dei segundones della casa, ma anche a migliorare la condizione economica di don Pablo per consolidar­ ne la posizione sociale e il possesso di cariche pubbliche. La causa giudiziaria tra i fratelli Castelvi e Francisca Lanza, donna di forte carattere, «briosissi­ ma>> nel giudizio del viceré Vaiona, ha risvolti d'inaudita violenza verbale nel­ le sale del palazzo viccrcalc di Cagliari anche nei confronti dei giudici dell'U­ dienza e dello stesso viceré 17• Nel 1 634, dopo la morte di don Luxorio, la titolarità del marchesato di Laconi è oggetto di una nuova contesa fra don Salvador e il nuovo ere­ de del titolo, Juan de Castelvf, fratello di Agustfn. Mentre è in corso la causa davanti al Consiglio d'Aragona, Juan, in compagnia di bando/eros in armi, dà l'assalto alla casa dello zio per sottrargli una considerevole somma di denaro offerta dai vassalli per sostenere la causa a Madrid r s . Ma la soluzione dei problemi finanziari in cui si dibattono don Salvador e don Pablo non può venire solo dal controllo del mayorazgo della casa. Una memoria presentata davanti al Consiglio d'Aragona evidenzia i forti in­ debitamenti personali del procuratore reale di Sardegna che sono la causa di una discutibile gestione del patrimonio reale 19• È in forti ambasce economi­ che, don Pablo, ha una famiglia numerosa da sfamare e la carica pubblica e il possesso delle encontradas di Siligo e del Meilogu 20 non possono assicurar­ gli un'esistenza adeguata al suo rango di alto funzionario del regno. Fare ri­ corso al re è per lui ineluttabile: chiede per sé il titolo di marchese (otterrà quello di marchese di Cca) 21 c indirizza i figli alle carriere militare cd cede-

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siastica nella prospettiva di un futuro inserimento nella burocrazia reale. Ma non sono le sole istanze che don Pablo avanza a corte: chiede ancora merce­ des di varia natura, fra cui la concessione di terre demaniali nei pressi di Ca­ gliari (il salt di Soleminis) «para p oder tener en cllas algun poco de ganado para la provisi6n de su Casa» 22, «la primera resulta de canonicato que vaca­ re en el Reyno de Cerdefia para su hijo Jusepe» 2 3 ed infine, fra il 1 62 6 e il I 629, la plaza di «coadjunto con la futura sucesi6n cn el oficio de procura­ dar real» per il primogenito Jaime Artal 24. n saldissimo legame di patronazgo assicura a questo ramo collaterale dei Castelvf molti favori, ma obbliga talvolta il vecchio procuratore reale a qual­ che contropartita assai onerosa. Nel 1 639 don Pablo finirà per indebitarsi fino al collo quando sarà obbligato ad assumere la carica di maestre de campo del tercio di fanteria che si leva in Sardegna nel quadro della uni6n de armas e che viene destinato nelle Fiandre sotto il comando del figlio don Jorgc 2'. Per ricompensare i molti naturales sardi di sangue nobile che partecipano alla spe­ dizione, don Pablo chiederà una ayuda de costa adeguata o, in alternativa, cin­ que cavalierati, cinque noblezas e un titolo di marchese 26• n sostegno fmanzia­ rio al tercio di Sardegna tarderà a venire, ma le ricadute positive comunque non mancheranno per la casa Castelvi. È da quel momento che don Jorge, paggio di Filippo IV fintanto che «se cifi6 espada», viene destinato ad una carriera militare prestigiosa nei campi di battaglia di Fiandre e d'Italia come sargento mayor prima e come maestre de campo dopo. Finirà per conquistare la fiducia personale del sovrano, il quale gli attribuirà diversi incarichi di grande delicatezza 27• È tanto il credito a corte di don Jorgc che nel 1 647 vie­ ne ventilata nel Consiglio d'Aragona la possibilità di concedergli la patente di governador de las armas del regno di Sardegna, col compito di coordinare la difesa militare in caso d'invasioni nemiche. La candidatura viene subito osteg­ giata dal vicecancelliere Cristobal Crespi de Valldaura (è il primo segnale del­ l' ostilità dell'aristocratico di Valencia verso i sardo-valcnziani Castelvi con i quali era imparentato 2R) e dal regente conte di Albatera, i quali ravvisano nel­ la nuova carica una diminuzione delle funzioni istituzionali del viceré di Sar­ degna e un motivo «de encuentros y [. .. ] disensiones civiles entre los natura­ les» 29. Poco dopo, nel 1 648, quando muore Francisco Vico, don Jorge viene gratificato con la plaza di regente de capa y espada nel Consiglio d'Aragona 30• La nomina solleva forti perplessità in Consiglio perché >. Racconta il cronista ]orge Alco che don Blasco «sirvi6 cn aqucllas gucrras con la puntualidad y valor que semejantes cavalleros y sefiores atendiendo a la noblesa de su sangre y cali dad de su persona suelen» 33• La partecipazione all ' uni6n de armas dci nobili sardi, le straordinarie

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contribuzioni in denaro, in grano, in vettovagliamenti garantite dal regno di Sardegna alla Corona nella guerra di Catalogna accrescono il credito di alcune case aristocratiche a Madrid e di conseguenza assicurano importanti mercedes personali 34• La promozione sociale assicurata dal patronazgo real vede i Castelvi beneficiari di prima fila fra la nobiltà sarda. Negli anni Quaranta del Seicento la casa ha ormai assunto un ruolo preminente e for­ ma assieme agli Aymerich, legati ai Castelvi da vincoli di parentela e da af­ finità politiche, un formidabile gruppo di pressione. I conflitti armati fra le case di Alag6n e di Castelvi

È da quel momento che la casa può confrontarsi ad armi pari con la più prestigiosa casa rivale degli Alag6n e può persino permettersi di uscire allo scoperto nel contrastare l'azione di governo dei viceré. Sulle prime la con­ trapposizione al potere monarchico è del tutto occasionale, ma consente di verificare quanto sia accresciuta l'influenza politica della casata. L' autorita­ rismo del viceré Moncada duca di Montalto, che nega a don Juan de Ca­ stelvi l'autorizzazione ad usufruire d'una merced reale d'esportazione in franchigia di grano e di legumi, determina un conflitto assai aspro che coinvolge vari nobili del regno e lo stesso Consiglio d'Aragona. La verten­ za è destinata a concludersi con uno smacco politico per il viceré 35• Non v'è dubbio che l'episodio segna una significativa vittoria per il no­ bile Castelvi e una pubblica legittimazione della sua posizione sociale pre­ minente. Certo le difficoltà di rapporti del viceré Montalto con tutta la nobiltà sarda hanno anche altre cause più sostanziali, che vanno dalle que­ stioni di preminenza del ruolo vicereale spesso denegate dalle grandi casa­ te 36 ; passano per i tentativi messi in atto dalla nobiltà cagliaritana d'impor­ re fuori del parlamento, in riunioni irrituali dello stamento militare, l'esclu­ sività ai natura/es degli o/icios e dei benefici ecclesiastici 37; giungono ad un'ostilità sorda ma palpabile di molti nobili quando la repressione del banditismo, voluta con molta energia dal viceré, tocca da vicino interessi signorili 3H. Il duca di Montalto non si limita a perseguire i malfattori e i ladri che commettono una quantità enorme di delitti, di omicidi e di furti nelle campagne, ma tenta di spezzare il perverso legame fra i banditi c co­ loro i quali nei villaggi accordano protezione c mantengono al loro servizio uomini armati pronti ad essere impiegati negli scontri tra fazioni rivali 39• Una pagina nel memoria! che il duca invia al re Filippo IV sulle cose di Sardegna rappresenta bene la situazione che egli trova nel Regno di Sarde­ gna quando vi giunge come viccré: Ardfa Zerdeiia entonces - scrive Moncada al sovrano - en llamas de discordia, de ira, y dc vcngança, hallé los campos, las callcs, todo cl Rcyno, Scfior, hallé cubicrto de sangre, los tribunales sin uso, corrida la Justicia, radicada la atrocidad con em­ bejecida costumbre [ l a los primeros pasos de mi ingreso reconoci6 serenidad en su tormcntosa inquictud aquclla fatigada rcpublica. [. ] Los Magistrados abatidos ocuparon su dosel, las armas de fuego que es la pernicie de aquel Reyno tan del todo se extinguieron quc no scguros con retirarlas en las clausuras, se supo que ...

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pusicron infinidad dellas por todo cl ticmpo dc mi asistencia basta en las mismas scpulturas. En este grado rcsplandcci6 la Justicia assi se immut6 cn brcvcs dias aquel lastimoso ultrage en que miseramente estaba constituida por la desorden de los tiempos, y malicia de los delinquentes, temiéronme de solo pareçerles, que me podfan temer, y es assi que ningun Virrey ha vertido menos sangre que yo [. . .] -.o.

C'è del vero nella rappresentazione della realtà sarda tracciata forse con eccessiva enfasi da Montalto. Ma è una verità parziale perché egli tace sul sostanziale fallimento del suo governo. L'effettivo potere che egli esercita sul territorio è quasi nullo per via dell'ostilità della classe dirigente "natu­ rale" del regno. Per governare con successo non basta il sostegno della Audiencia e della burocrazia reale, ma occorre l'appoggio della nobiltà, delle oligarchie municipali e, prima di tutto, del regente provinciale nel Consiglio d'Aragona. Invece questa formidabile coalizione di forze, sicura­ mente orchestrata da Francisco Vico in questa fase storica, è profonda­ mente ostile a Moncada. Le frizioni di questo viceré impolitico ed autori­ tario con i sudditi sardi sono quanto mai inopportune nella fase cruciale della uni6n de armas quando la Monarchia ha un estremo bisogno di col­ laboratori fedeli fra le rappresentanze provinciali del regno. In un passo significativo della sua cronaca, Jorge Alco lamenta come i grandi meriti acquisiti in quegli anni dai principales sardi nel sostenere le guerre e le altre grandi necessità della Monarchia non abbiano trovato la giu­ sta eco politica fuori dal regno sardo e siano stati trascurati dagli scrittori del tcmpo 4 1 • Vuole, Alco, che l'adesione dci sardi alla causa politica della Mo­ narchia sia ufficialmente riconosciuta e propagandata. La partecipazione dei sardi è corale e piena in occasione della guerra di Catalogna; e si rinnova poco dopo quando all'armada di don J uan de Austria impegnata nella repres­ sione dci moti di Masaniello vengono assicurati consistenti aiuti alimentari, c quando partecipa - protagonisti alcuni nobili sardi, fra cui don Agustfn de Castelvi - alla repressione della rivolta di Palermo nel r 648 42 • Per alcune casate signorili sarde fedeltà e servizio al re sono valori as­ soluti, da praticare orgogliosamente in ogni circostanza. In realtà non è sempre così. Quando il rapporto di patronazgo fra il sovrano c le élites provinciali si incrina, specialmente quando si riducono i favori e le pre­ bende e quando vengono lesi privilegi e prerogative nobiliari, sono gli stes­ si protagonisti dell'ausilio militare a mutare repentinamente il loro atteggia­ mento. Come vedremo, molti si faranno protagonisti della fronda parla­ mentare e della ribellione signorile che si identificherà proprio nella perso­ na di don Agustfn de Castelvf. È giunto il momento di disegnare la biografia del giovane rampollo della casa di Castelvi. Nel r 64 9 , quando torna a Cagliari reduce dalle guerre di Catalogna, Agustfn ha ventiquattro anni c su di lui sono riposte le speranze di continuità della casa nobiliare perché suo fratello, il marchese don Juan, non ha eredi diretti. Per il giovane cavaliere di Calatrava il diritto a succede­ re nel titolo di marchese di Laconi è motivo di comportamenti orgogliosi ma anche fuori delle regole. I regentes del Consiglio d'Aragona, costretti a pro-

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nunciarsi in diverse consultas sulle sue malefatte, lo definiscono come «bulli­ doso y inquieto», tanto sedizioso e irrequieto da provocare il riaccendersi de­ gli antichi contrasti fra le case di Castelvi e di Villasor. Negli ambienti dell'aristocrazia cagliaritana si vocifcra che il pretesto per il rinfocolarsi della faida nobiliare sia un galanteo, una contesa galante per i favori di una nobildonna. La notte del venerdì santo del I 65 I a Cagliari, mentre rincasa con la scorta, nella plazuela davanti alla cattedrale don Agu­ stfn è fatto oggetto di pistolettate e archibugiate esplose da pochi passi. Voci di piazza attribuiscono l'imboscata a sicari armati di don Blasco dc Alag6n, marchese di Villasor. I legami di parentela esistenti fra le due casate nobiliari per il matrimonio del marchese di Laconi don Juan con la sorella di don Blasco non bastano per sopire le antiche animosità prontamente riaccese. Il tentato omicidio di don Agustfn, unico possibile erede del titolo marchionale, viene interpretato dai Castelvi come un malevolo tentativo di determinare l'e­ stinzione della casa. L'affronto, dunque, va ben oltre l'offesa alla persona e si configura come una minaccia all'intera casata da parte degli Alag6n. La faida cade in un momento politico assai delicato. Il principe Teodo­ ro Trivulzio è in procinto di lasciare la carica di viceré di Sardegna e per consuetudine l 'interinato del viceregno spetterebbe al governatore di Ca­ gliari Bernardino Matias de Cervell6n, cognato del marchese di Cea e ade­ rente di primo piano alla fazione dci Castclvf. In quei difficili frangenti è quanto mai pericoloso lasciare uno spazio politico così importante ai Ca­ stelvf, rinunciando di fatto la Monarchia a tenere una posizione d'equidi­ stan�a fra i due bandos nobiliari. Con accenti di forte preoccupazione il principe cardinal Trivulzio in­ forma il Consiglio d'Aragona del montare dell'inimicizia fra le due fazioni: «no dandose por entendidas las partes, continuaron en lo exterior, como antes, pero empeçaron a caminar con gente, en particular Villasor, y con tanta publicidad quc ya todo el lugar se alborotava, y era infaliblc que su­ cederfa mayor mal por abraçar estas dos familias lo mas del Reyno>> 43• Nei giorni seguenti il marchese di Villasor, presunto mandante dell'attentato, era uscito sulla piazza cagliaritana scortato da oltre trenta crt'ados ostentan­ do l'intenzione di resistere con le armi ad eventuali rappresaglie dei Ca­ stclvi 44• Come se non bastasse, il conflitto pare destinato ad assumere im­ plicazioni politiche quando viene ventilata la possibilità che il nuovo viceré di Sardegna sia il conte di Oropesa. Il marchese di Laconi si affretta a mandare precisi segnali politici al Consiglio d'Aragona e ricusa di fatto la designazione, ritenuta inopportuna perché Oropesa, cugino del marchese di Vill asor, è sgradito alla casa di Castelvi 4'. La soluzione che pare più acconcia ad un uomo d'armi più che di chiesa qual'è Teodoro Trivulzio, abituato ad andare per le spiccc con i banditi ma anche con i signori e gli ecclesiastici 46, è quella di confinare i due nobili nei rispettivi feudi di famiglia. L'allontanamento da Cagliari ri­ solve i problemi dell'ordine pubblico nella capitale, ma aggrava la ribollen­ te situazione nelle campagne. Nei suoi feudi don Blasco de Alag6n raduna cd arma prontamente i suoi vassalli, fortifica la sua casa nel villaggio di

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Villasor. Dal suo canto don Agustin, d'intesa col fratello Juan e col cugino marchese di Cea, si dispone a fare altrettanto - ed anche di più - nelle terre del marchesato di Laconi e nella viscontea di Sanluri. Raduna più di cinquecento archibugieri, circonda Villasor c sfida Blasco de Alag6n a duello o a scendere in battaglia campale 47• In pari tempo i principali espo­ nenti della nobiltà contigui ai Castelvf (il governatore di Cagliari don Ber­ nardino dc Cervell6n, i conti di Sedilo, di Montalvo, di Montcleon, Villa­ mar, Mores, più altri nobili) mobilitano i loro vassalli contro la casa d'Ala­ g6n. Con la promessa d'esenzione dai tributi feudali per tre anni, viene messo assieme un piccolo esercito di contadini e di pastori (sono, al prin­ cipio, circa mille e cinquecento) che, armati e indisciplinati, convergono da ogni parte dell'isola su Villasor, «atravesando el Rcyno y exccutando varias insolencias en los panes y ganado>> 48• I seguaci armati dei due bandos no­ biliari si aggregano in diversi contingenti, si mettono in marcia c prendono possesso, in nome dei Villasor e dei Laconi, dei luoghi che attraversano devastando i campi coltivati e decimando gli allevamenti 49• Alla fine la fa­ zione dei Castelvi conterà circa tremila cavalieri, quella di Alag6n un nu­ mero imprecisato, ma inferiore. Sono, in ogni caso, > 146, costoro compiono vari tentati­ vi di conciliazione. Addirittura Jorge de Castelvi tenta di proporre un'impro­ babile sanatoria presentando i due delitti come il risultato di una faida perso­ nale fra i due marchesi •47• In una serie di "memoriali " al re, che sarebbe troppo lungo illustrare qui, personaggi di primo e secondo piano della manca­ ta "rcvoluci6n" cercano di recuperare ruolo politico, posizione sociale, favore reale riproponendo in pieno l'antico rapporto di patronazgo che li lega alla Monarchia. Ma di fronte ad un delitto capitale di lesa maestà, la Monarchia (nella persona di un severo militare come il duca di San Gcnnan) non rinuncia ad usare il pugno di ferro con i nobili felloni. Le istruzioni ricevute, d'altronde, parlano chiaro: «tan gran maldad D'assassinio del viccré] no ha dc ballar clc­ mencia ni en mi piedad, todavfa se considera que no haviéndose perpetrado este delito con tumulto popular, sino con prevenci6n de cierto numero de gente y que el pueblo ahunque fue provocado no se mescl6 en tan enorme y detestable resoluci6n, parece que ahora se podra esperar que no obrara cosa que pueda turbar la obediencia que por su naturaleza deven profe­ sarme» r48• Il rapporto di patronazgo c la /idelidad dci sardi sono salvi. Il Consiglio d'Aragona ritiene che finalmente si possa ricucire il rapporto con la periferia sarda. Ma il rude viccré napoletano non dimostra un'analoga sensibilità politi­ ca e auspica, per colpire le élltes nobiliari e burocratiche, una cancellazione dell'antico patto fra la Monarchia c le periferie politiche. Nel momento culmi­ nante della repressione Tutavila manifesterà con estrema risolutezza la sua vi­ sione assolutistica che non tiene conto delle " libertà" costituzionali:

La consetvaci6n del Reyno - scrive a Madrid nel settembre del 1 670 - es lo primero a quc se deve mirar, porquc a no quitar dc rayz csta gente qucdani este Rcyno siem­ pre expuesto a un buelco de dado, y estas zenizas jamas se apaganin sino es quitan­ dolas de todo punto, y por haverse tenido piedad y contemporizandose en estas cosas han succedido gravfsimos dafios en todos los Reynos, y en esta Monarchia de Su Ma­ gestad (que Dios guarde) se han experimentado tan grandes desdichas y ynfortunios como se padccen, y buena expcriencia se tiene con Portugal, y por todas raçoncs se deven proveer en propriedad todos los puestos que ocupan los delinquentes porque el no haverlo hecho assf les ha ynfundido mayor animo esparciendo que por haver sido justificadas sus acciones y tener tanta mano en el Reyno no se han resuelto a proveer los Puestos, y en todo caso combiene que se les quite toda esperança a ellos, y a sus parientcs que no dcvcn levantar cabcza en este Reyno por no haversc contcntado con lo q ue han hecho por lo passado l49.

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La distinzione fra la nobiltà turbolenta ed infida - una minoranza - e gli altri sardi, sudditi leali della Monarchia, è ricorrente nelle carte degli archivi del Consiglio d'Aragona. In una lettera del 28 marzo 1 669 al viceré di Napoli, il duca di San German sostiene che > 1-'0• La distinzione fra sudditi fedeli e minoranze ribelli («gente bandolera», per il viccré) è politicamente strumentale, ma è certamente più vicina al vero della versione storiografica liberai-nazionale data nell'Ottocento dal poligrafo sardo Vittorio Angius. Costui amplifica in chiave antispagnola c fùosabauda il ruolo politico di don Agustin, suscitatorc della partecipazione corale dci sardi alle rivcndicazioni dci ceti parlamentari dell'isola. Scrive Angius: ; ma il capito! aggiunge­ va pure «quc estrangcr sia cntès lo qui no és vassall dc sa magcstat» c non includeva , che ritiene giusto il sistema della vendetta, non esistono altre disposizioni fmo alla constituci6 C, n, 9-8- 1 a 3 ( I 5 1 1/caps. 2, 3 e 4). Era inconstituzionale legiferare per la Cata­ logna fuori del suo territorio. Sappiamo che la compilazione del 1.588-89 fu molto controversa, ma non conosciamo le discrepanze che potevano esserci tra i giuristi nominati dai bracci e quelli no­ minati dal re (M. Pércz Latrc, Diputaci6 i monarquia. El poder politic a Catalunya. r56J-r599, tesi di dottorato inedita, Universitat Pompeu Fabra, JUIJ]W, Barcelona 200 1 ; M. Bajet, La compila­ cio de 1588/89: Notes sobre la seva sistemàtica, in El tem'tori i /es seves institucions. Actes (Asc6, 2 8, 29 i 30 de novembre de 1997), Fund.aci6 Nogucra, Barcelona 1999, vol. II, pp. 657-685; Id., La compilaci6 de r 588/89 i la seva relaci6 amb els a/tres codis europeus del segle XVI, in "Pcdral­ bes", 18-rr ( 1998) pp. r 2 3 -34. 40. CYADC, I, 9-1 1-2 a 4.(1542/const. 6 e 7 e cap. de cort 4). 41. CYADC, I, 9-13-1 a 5 (1413/ const. 15; 1 5 ro/const. 26; 1537/const. ro; 1553 cap. de cort IO). 42. CYADC, T, 9-2 1 -5 ( 1 5 6�cap. de COrt 3), 43 · CYADC, I, 9-14-1 a 7 ( 1 503/const. 4o; 1 5 ro/const. 58; 15 12/ const. r6; 1 5 2o/const. 3; 15 34/ const. 12; 1542/ const. 51 c 156� const. 15). 44· Cfr. al riguardo le valutazioni di Nuria Sales sull' opera di R Verdier e t al. ( La ven ­ geance. Études d'ethnologie, d'histoire et de philosophie, 4 vols., Paris 1 98o- r984), in " L ' A­ venç", VII ( 1987), pp. 68-9. 4 5. Si tratta del capitol 5 di questa prammatica che si trova in CYADC, II, 9-6- 3. 46. CYADC, m, 9-.5 - 1 ( 1 .5 37/ const. n) sembra che sia stato spostato al volume delle con­ stitucions superflue per evitare reiterazioni. 47· La dichiarazione del re Giacomo delle calende di dicembre del 1335 citata nella con­ stituci6 5 8 del r .5 1 o non appare nella compilazione. 48. C:YAOC, I, 4-2-3 ( 1.542/const. 50). 49· Ciò forse spiega che ci siano già dal r 321 delle disposizioni per controllare i «falsos sons» (CYADC, m, 9-u-r ( 1 3 2 rlconst. 6).

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EVA SERRA I PUIG

50. CYADC, "Dc somctent, sacramentai y hosts" , I, 9-22-3 a 5 (1413/const. 29, I432/const. 3, I542/const. 8); "De somatent y sagramental", n, 9-I4-2 a 4 ( I48I/cap. 4, I5 I Il cap. r, 1 ' 39). 5 I . La legislazione anteriore su questo argomento è costituita dalla prammatica di Llcida di Pietro m del 4 marzo 1 36 1 ( CYAT>C, n, 9 - 1 o - r ) . 52. Christian Bourret osserva che i Pirenei centrali sono una zona di "pariatge", cioè di co-signorie, il che rappresenta un'idea di frontiera molto diversa da quella che appare con l'affermazione degli Stati monarchici c che ci permette di comprendere la singolarità di An­ dorra (Bourret, Un royaume cit., pp. 1 1 r -5). 5 3 · Bourret, Un royaume cit., pp. ro7-9· Questo rapporto tra pastorizia, patzeries e nuo­ va frontiera forse spiegherebbe il grido "a cam a cam" che spesso accompagnava l'attacco dci briganti o banditi del XVI c XVll secolo. Per le firme delle patzeries dr. anche C. Dcsplat, I..a guerre oubliée. Guerres paysannes dans les Pyrénées (xrt'-xrxe siècles) , ]. et D. Editions, Biarritz 1993; C. Bourret, Les Pyrénées centra/es du I� au XI� siècle. La /ormation progressive d'une /rontière, PyréGraph, Aspct 1995 ; S. Brunct, Les pretres des montagnes. La vie, la mort, la foi dans les Pyrénées centra/es sous l'Ancien Régime, PyréGraph, Aspet 200 1 ; C. Femandez de Casadevante Romani, La /rontera hispano-/rancesa y las relaciones de vecindad. Especial re­ /erencia al sector /ronterizo del Pais Vasco, Universidad del Pafs Vasco, Bilbao [r98,]; P. Pou­ jadc, Une vallée /rontière dans le Grand Siècle. Le Val d'Aran entre deux monarchies, Pyré­ Graph, Aspet I998; Id., Identité et solidarités dans les Pyrénées. Essai sur les relations humai­ nes (xW-xixe siècle) , PyréGraph, Aspet 2ooo; Pays Pyrénéens. Pouvoirs Centraux (xV-xxe s.) Actes du Colloque International (Foix-Octobre 1993), dir. M. Brunct, S. Brunet, C. Pailhcs, Association des Amis des Archives de l'Ariège, 2 voll., Foix 1 993. 54· CYAT>C, "De furs y latrocinis" I , 9-9 - I a 3 ( 1 542/const. 19, I547/const. 42, I ' 64/const. 14); "De crim de fals" cioè le false testimonianze I , 9-7-3 ( 1 ,42/const. 13); sui procedimenti nelle liti I, 8-6-2 ( I 547/const. 39); "scqiicstres" di beni fatti secondo il diritto I, 4-2-3 ( r542/const. 50); "De violentia y restituci6 de despullats" sull' occupazione di benefici I, 8-9 e Io ( I542/const. ,2, I564J'cap. de cort 4). 55. G. Colas Latorre, J. A. Salas Ausens, Aragon en el siglo XVI: alteraciones sociales y conflictos politicos, Università di Zaragoza, Zaragoza 1982, pp. 126-5 3 ; Torres i Sans, Nye"os i cadells cit., pp. 63-103. G. Colas Latorre, Felipe TT y el Constitucionalismo aragonés, in "Ma­ nuscrits" , r6 ( 1998), pp. I 3 I -54· 56. Torres i Sans, Nye"os i cadells cit., p. ro2. 57· J. Foms i Bardaji, Economia, politica, con/lictivitat i elits locals a la Catalunya occi­ dental: A/menar (Segrià) i la seva àrea, segles xv-xrx, tesi di dottorato inedita, Universitat de Lleida, I997, vol. I, pp. 3 I4-44· Per la criminalizzazione del commercio storicamente legale in Aragona per mano della monarchia cfr. Pilar Sanchcz, La Inquisici6n y el contro/ de la /ronte­ ra pirenaica en el Arag6n de la segunda mitad del siglo xvr, in "Historia Social", 1 r ( 1 99 I ) , pp. 3-22. 58. Nuria Sales ha già dimostrato l'esistenza di interessi dci signori di Nyer nel xvi e xvu secolo su fucine, greggi, foreste c pascoli in un territorio vicino alla frontiera tra i re catalano-aragonesi, il re di Francia e il conte di Foix re di Navarra, con percorsi commerciali che lo attraversavano (N. Sales, El senyor de Nyer sense els nye"os (senyors bandolers, senyors /e"aters, senyors alt-justiciers), in Senyors bandolers, miquelets i boti/lers. Estudis sobre la Cata­ lunya dels segles xvr al xvm, Empuries, Barcelona r984, pp. 1 1 - 1 0 1 e specialmente la mappa alle pp. 14-5). 59· E. Serra i Puig, Els senyors bandolers i la lliga catòlica, in "Pedralbes", I 8-II ( I 998) pp. 29-52. 6o. CYADC, T, 9-9-4 ( 1 5 85/const. n o). 6r. CYADC, I , 9-23-2 a 4 ( I 5 r o/const. '2; I542/const. 9; 1 547/const. 40). 62 . CYADC, I, r-2 1 -5 c 6 ( r 5 85/cap. de cort I e 2I); I, 9 - 1 1 -4 ( 1 5 85/cap. de cort 4); I, 9-14-8 ( 1 5 85/const. 8). 63. CYAT>C, T, 9-2 I -6 e 9 ( 1585/const. 1 1 e cap. de cort Ioo). 64. CYADC, I, 9-19-3 a 9 (I585/const. ro4-I09 e cap. de cort 25). Si aggiungevano alle leggi del I542/caps. de cort r e 2 che la compilazione del I588-I589 colloca nel volume del­ le leggi superflue CYADC, 111, 9-9-1 e 2. 65 . La Constituci6 Io del I599 contempla l'obbligo di rispondere al richiamo dei some­ tents ( cYADC, 1, 9-22-6). Per la politica delle unioni, cfr. Torres, Els bandolers cit., pp. 162-80.

SIGNORI BANDOLERç E LEGISLAZIONE NELLA VITA PARLAME:t\TARE CATALA�A

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66. CYADC, 1, 2-3-9 c ro ( 1 5 99/caps. dc cort 17 c r8) CYADC, 1, 4-22-16 (1599/cap. de cort I I ). 67. N. Sales, (Torbacions' populars (xVI-XVII): alguns plantejaments, in Revoltes populars contra el poder de l'estat, Generalitat de Catalunya, Barcelona r 992, pp. 58-63; M. Pérez La­ tre, Les torbacions de Catalunya (rJ8J- l593). De les Corts a la suspensi6 del nou Redreç de la Diputaci6 del Genera!, in "Mers" , 23-24 ( I 996), pp. 59-98; E. Belenguer, Pròleg: la Generali­ fa! en la cruitla dels con/lictes jurisdiccionals (I J78- I 6 l l), in Dietaris de la Generalitat de Cata­ lunya. Anys 1578 a r 6 r r , Barcelona, 1 996, vol rn , pp. IX-XLVI. Cfr. anche P. Vilar, Catalunya dins l'Espanya moderna, Barcelona 1964, vol. n, p. 355· 68. P. Latre, Les torbacions de Catalunya cit. 69. J. M. Torras i Ribé, Poders i relacions clientelars a la Catalunya dels A ustria, Eumo, Vie 1998. 70. J. Serra i Vilaro, Persecuci6 de bandolers en 1616, in "Estudis Universitaris Catalans", xvm (Barcelon a 1933) pp. 273-99. 7 1 . E. Belenguer, Un ba/ance de las relaciones entre la corte y el pais: los (greuges' de r599 en Cataluna, in "Estudis", 1 3 (1988), pp. 99-1 30; Id., En torno a algunos de los greuges catalanes de 1701-02: i Un paso mds bacia la revisi6n del neo/oralismo?, in Homenatge al doc­ tor Sebastià Garda Martinez, Generalitat Valenciana-Universitat de València, València I988, vol. n, pp. 253 -68. 72. Anònim del scglc xvn, Cas raro d'un home anomenat Pere Por/es, de la vila de Tor­ dera, que vivint entrà i eixi de l'in/ern, in Novel.les amoroses i morals, a cura de A. Pacheco e A. Bover i Font, Les Millors Obres de la Literatura catalana (MoLe) 73, Edicions 62-"La Cai­ xa", Barcelona r982, pp. 307-30. 73· J. Ll. Palos, Els juristes i la de/ensa de les Constitucions. ]oan Pere Fontanella (1 575-1 649), Eumo, Vie 1997, pp. 122-8. 74· Cort Genera/ de Monts6 (IJ 8J). Mons6-Binè/ar. Procés Familiar del Braç Reial, Gene­ ralitat de Catalunya, Departament de Justkia, Barcelona 200 1 , pp. 6o8-768. I greuges del 1585 sono indicativi del grado d'arbitrarietà della politica reale sulla popolazione civile catala­ na indipendentemente dalla sua identità sociale. 75· AGA, Generalitat, N- ro48, fol. 978v-979r (Jaume Cristofol de Guimerà), fol. 984v986r (don Gispcrt dc Guimcrà i Papiol), fol. 996r-999r (Pere dc Tamarit), fol. 1079r- 1o8ov (Antoni de Vilaplana i Copons) ; ACA, Generalitat, N-1053, fol. 1062r-1o63v {Jeroni d'Argen­ sola e don Felip baro d'Erill), fol. 1 I46 (Antoni de Granollacs), fol. 1 148v (don Gispert de Guimerà), fol. n65 (Joan Granollacs), fol. n 87v (Jeroni d'Alentom); ACA, Generalitat, N1099, fol. 308 (Bcrnat Albancll calcctcr), fol. 7 32v-734r (Francese Cosmc Fivallcr), fol. 739V74If (don Francese Dalmau de Rocabert.i vcscomte de Rocabert.i), fol. 742v (misser Pere Ali­ là), fol. 743v (mlsser Jaume Massaguer), fol. 87ov (talis Jomet, sabater). E non avevano anco­ ra trovato soluzione alcuni greuges del 1 5 85, come quello della famiglia Forner N - 1 099 fol. 229r (Miquel Forncr, nipote carnale di Mare Antoni Forncr, accusato di contrabbando di ca­ valli e giustiziato, senza giudizio, mediante garrota o strangolamento da un suo domestico per ordine del luogotenente del capitano generale don Hemando de Toledo nel I'72). 76. Constitucions /etes per la SCR magestat del rey don Phelip segon rey de Castella, de

Arag6 etc en la primera cori celebrada als cathalans en la ciutat de Barcelona en lo monastir de S. Francesch en lo any 1599, Gabriel Graells y Giraldo Dotil, Barcelona 1 6o3 , Acte de concert /et entre lo excellentissim loctinent genera! y los Deputats del Genera! de Cathalunya cerca de la impressi6 dels sinch capitols de Cort ço és 1., rxxvrr, rxxvm, rxxxvrm, r.xxxx, fol. 66-67. I cinque capitols sulle armi, oltre al numero 50 e il numero 78, contemplavano il contributo

del braccio militare alle imposte municipali (cap. 77), i diritti degli uomini della città di Gi­ rona e del borgo di Perpinyà (cap. 8o) e i rimedi sugli eccessi della conservatòria del sant Esperii c altre (cap. 79). C'erano state comunque altre proteste che la concòrdia non incluse perché erano contemplate nei dissensi del hraç reial in favore della giurisdizione reale e con­ tro la giurisdizione baronale (cap 37, 5 1 , 52 e 53) e a favore della rendita della terra contro le rendite decimali della baronia (cap. 7 1 ). Però i capitols 37, 5 1 , 52, 5 3 e 7 1 erano stati ap­ provati dal re per dimostrare la sua volontà d'integrazione del ceto baronale alla sua politica.

Contrabbando e banditismo nell'Istria del Cinque- Seicento di Darko Darovec ·k

«La Provintia d'Istria, che era una volta l'Asilo della pace, hora è fatta il Retacolo de malviventi. Non è Città, Terra, e Castelli, che in ogn'uno de questi non vi sia quantità de' Banditi, quali non havendo il modo di vivere si dano alla Strada, et insidiano li poveri Viandanti, a segno tale, che po­ chi osano trasferirsi dà un luoco all'altro senza sospetto di non essere in­ quietati» 1• Ben descrive la situa�ionc in !stria il capitano di Paren�o Anto­ nio Gavardo nella sua lettera del 1 698 al podestà e capitano di Capodi­ stria Marco Michiel Salamon. Questa e numerose altre simili dichiarazioni dei funzionari istriani nel periodo compreso fra il Cinquecento cd il Settecento, piene di testimo­ nian�e terribili su di una regione diventata «ricetto de' ladri, et pcmiciosis­ sima gente» 2, « . . . che andarono svalleggiando, assassinando, et commetten­ do homicidij ... » 3, «che non solo svaleggiano li vi andanti per le strade, ma vengano ancora sino nelli borghi. ..>> 4, che commettono >. Et la stigmatisation du caractèrc bclliqucux (Lorca I 62 3 ) , farouche (Alguazas 1722), intrépide et grossicr (Fortuna 1737) dcs autochtoncs an-

BANDOS

ET BANDI'IlSME AU ROYAUME DE MURCIE

nonce le passage du récit de Laborde: 13• De toute façon, le temps qu'un juge opiniatre se saisissc d'une affairc, Ics principaux suspects ont pris du champ. Si dans la résolution des conflits oligarchiques la justice reste en retrait, c'est aussi pour dcux autrcs raisons. D'une part, à la différcncc dcs bandos aristocratiques du bas Moyen Àge, les bandos modernes s'inscrivent dans un cadre local et ne mettent aucunement en cause le pouvoir centrai. Tant que Ics désordrcs ne dépasscnt pas un ccrtain scuil dc gravité, la Monar­ chie s'en préoccupe peu. Au-delà, surtout à la fin du siècle et dans certai­ ncs villcs particulièrcmcnt agitécs commc Cicza et Cchcgin, elle intcrvicnt avec plus de vigueur. Mais en général on s'en remet plutot aux mécanis­ mes locaux de régulation sociale. D' autre part, meme si elle parvenait à saisir les coupables et à faire exécuter ses sentences, la justice ne suffirait pas à rétablir l'ordre: à la guerre privée il ne peut etre mis fin que par une paix privéc, sculc capable d' assurcr aux deux partics une issuc hono­ rable 14• La préférence pour cette solution paralt si évidente que dans sa lettre dc condoléanccs à }osé Navarro de Campillo, commissairc ccclésiastiquc à Villena, pour la mort de ses frères, le Chapitre cathédral de Carthagène omct toutc allusion à une procédurc mais le presse dc promouvoir un ac­ cord. Navarro, qui fait montre d'une rare mansuétude, répond qu' «il n'é­ tait pas nécessaire que Vos Seigneuries me l'ordonnent car outre que mon état m'y oblige, mon nature! est pieux et mon inclination éloignée des agi­ tations>> 15• Le rccours dcs victimcs à la justicc corrcspond plutot au désir d'acca­ bler de frais l'autre partie et par la menace de sanctions lourdes de prépa­ rer le terrain à une transaction. C'est alors que pourront entrer en scène les médiateurs. Mais il ne s'en trouve pas toujours aisément. Encore à Vii­ lena en 1 645 , alors que «chaque jour on s'attend à quelque malheur pour ccux qui ont commis une si mauvaisc action, il n'y a pcrsonnc qui puissc ménager un accommodement». Le ròle d'arbitre requiert un prestige soci al ou moral. Or la hautc noblcssc est quasimcnt abscntc dc la région. Lcs Fajardo, devenus marquis de los Vélez, à la fois juges et parties dans leurs seigneuries murciennes, n'interviennent dans un processus d'apaisement qu'à Cicza cn r 673 1 6• Et lorsqu'cn 1 7 1 8 l'évcquc, le futur cardinal Belluga, tente de s'interposer entre la petite oligarchie de Sax - les Torreblanca, Gil et autrcs - et la puissantc parcntèlc dcs Mcrgclina et dcs Selva, origi­ naires de Villena, il se fait dire, entre autres délicatesses: «qu'il se mette dans son église et cesse de faire le matamore>> 17• D'autres ont plus de chance ou dc savoir-fairc. C'est d'aillcurs à toutcs époqucs une dcs princi­ pales qualités réclamées des administrateurs royaux et seigneuriaux que d' ctrc capablc dc présidcr à dcs transactions amiablcs. Et si ccrtains cedé-

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siastiques figurent dans les bandos et parfois meme les dirigent, pour d' au­ trcs, la réputation dc faiscurs dc paix qu'ils se sont gagnéc cn lcur vie, ac­ célère les procès de héatification et de canonisation. L' on trouve, en effe t, de nombreux religieux, séculiers et réguliers, à coté de quelques officiers royaux, parmi Ics arbitrcs qu'acccptcnt Ics partics. Enfin l'accord une fois scellé, la réconciliation fait l'objet d'une cérémonie généralement organisée dans un lieu de culte en présence du clergé. A la différcncc dcs pactcs d'alliancc, Ics écriturcs dc «paix, concorde et amitiés» sont dument passées devant notaire et constituent une source de première qualité pour la connaissance du phénomène. Signées par les prin­ cipaux mcmbrcs dcs dcux bandos, cllcs sont cnsuitc soumises à la justice à laquelle il est respectueusement demandé d'en prendre acte et de modérer en conséquence ses sanctions. L' appareil judiciaire officialise en somme la sentencc arbitrale. Si le convivium entre les parties est immédiatement réta­ bli, on n'est cependant assuré du retour au calme que par la reprise du connubium. C'est l'argument qu'emploie l'assemblée municipale de Fortuna en 1 7 3 8 pour demander la restitution de ses prérogatives juridictionnellcs suspendues lors des troubles de r 694, puisque «ceux qui l'avaient pertur­ bée [la ville] étaient morts depuis longtemps et que par les mariages les familles se trouvaient très unics et toutes réduites à une scule volonté». BanJos et banditisme: une interpénétration

Le banditisme murcien a suscité un certain nombre de recherches pour les époqucs médiévale, moderne et contemporainc, mais nous ne disposons pas encore, sur ce thème, d' études aussi approfondies que celles qui con­ cernent la Catalogne, le Pays valencien et l' Andalousie. Malgré l'absence de monographie, des sondagcs dans les archives des conseils de la Monar­ chie et dans les fonds municipaux et notariaux ne laissent aucun doute sur l'importance régionale du phénomène. Ils permettent meme d'en dessiner la conjoncture et d'esquisser des comparaisons avec les autrcs secteurs de l'Espagne méditerranéenne: il semhle bien que la Murcie retarde en ce do­ maine sur l' Aragon et la Catalogne où l'apogée du phénomène correspond au règne de Philippe 11, quclquc pcu sur Valcncc et pcut-ctrc mcmc sur l' Andalousie. Le banditisme affecte surtout la région murcienne au cours de la seconde moitié du XVI� siècle, à un moment où, il est intéressant de le rcmarqucr, Ics luttcs dc bandos qui paraisscnt s'apaiscr dans Ics cités (Murcie, Lorca, Carthagène) enflamment les agglomérations moyennes (M ula, Cieza, Cehegfn, Yecla) et atteignent les plus petites (Ricote, Bianca, Fortuna, Sax). Le déclcnchcmcnt dc la crisc économiquc a ccrtcs frappé l'ensemble du corps social, mais les modalités de la reprise qui exacerbent les rivalités patriciennes poussent aussi les autres classes vers la criminalité. Dcs bandos au banditismc, il n'cxistc pas sculcmcnt une simultanéité due à une identité de causes économiques. Tous deux se confondent partielle­ ment. A tout le moins, ils s'épaulent. L'augmentation de la conflictualité oli­ garchiquc favorisc le dévcloppcmcnt du crimc organisé et s'cn nourrit.

BANDOS

ET BANDI'IlSME AU ROYAUME DE MURCIE

L'entraide Dans Ics écriturcs dc paix, le nombrc dc signataircs est généralcmcnt com­ pris entre quinze et trente. Très exceptionnellement, dans le cas de Mula, la conservation de listes de membres des bandos témoigne d'une forte im­ plication dc la population locale du xvr= au XVIIt= sièclc: eneore 1 6 % dc l'cnscmblc des chcfs dc famillc lors d es luttcs cntrc Molina et Campos dans les années 1 780 et 87% pour la seule noblesse rs. Cependant des ac­ tions de masse telles que l'attaque et le siège de Yecla en r 658 19 par deux ccnts hommcs et l'assaut dc l'églisc dc Cicza cn 1 66o par trois ccnts au­ tres supposent l'enrolement de contingents extérieurs aux vilies concer­ nées: des troupes de bandits valenciens et murciens disponibles pour de scmblablcs coups dc main. Les hors-la-loi sont appelés pour soutenir l'un des bandos durant un temps ou pour un objectif déterminés et il est à supposer qu'en plus d'u­ ne promesse dc butin ils rcçoivcnt un salairc. L'appoint du banditismc renforce les bandos et aggrave les désordres qu 'ils provoquent. Pour y échapper, les villes restaurent leurs enceintes tombées en ruine. En retour, les bandos entretiennent le banditisme: ils lui ouvrent des terrains d' action, lui offrcnt dcs rcssourccs et cntravcnt sa réprcssion. Le banditismc commc cxutoirc dcs bandos Les factions qui fortifient le banditisme en l'utilisant à leur service lui fournissent aussi des recrues. La victoire d'un parti contraint à l'exil les mcmbrcs lcs plus cxposés du parti vaincu. Dc son rcfugc l' cxilé lancc des incursions en direction de sa ville d'origine: il s' attaque aux prisons pour délivrer ses partisans moins chanceux; il briìle les propriétés de ses enne­ mis; il cn vicnt à voler lcurs bicns. Et dc l'cxcrcicc dc la vcngcancc, on passe aisément au brigandage. D' ailleurs, qui a monté ces expéditions sous la direction du banni sinon les bandits qui se trouvent en quete d' emploi dans Ics paragcs? Dcs patricicns cxpatriés se transformcnt naturcllcmcnt ainsi en chefs de bande (cabecillas ) opérant sur les confins de la Castille et du Royaume de Valence, sur la raya del reino. C'est, grosso modo, le cas dc José Escamcz dit El Pintao (le tachcté) ou El Zambo Oc cagncux) pour scs marqucs dc variolc et scs jambcs tor­ ses. Né en 1 6 1 6 d'une famille hidalga de Mula, connue depuis le début du xve siècle, son caractère lui attire trop d'inimitiés et il doit passer au Pays valcncicn. Rcvcnu à Mula avcc dcs compagnons il y commct toutcs sortcs dc méfaits, tue l'alcalde ordinario venu l'arreter et rcpasse la frontière. On parvient à s'en saisir à Orihuela, mais il tue aussi le gouverneur de la pri­ son, s'échappe en compagnie d'autres détenus et fonde avec eux sa propre bande qui désole l'altipiano et lcs vallées du Ségura et du Mula. Amnistié à condition de s 'enroler dans l'armée, il se livre en chemin à de nouvelles voies de fait et le pardon royal est annulé: le voilà hors-la-loi. C'est alors qu'il rcntrc imprudcmmcnt à Mula et tombe dans le traqucnard monté par

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ses ennemis. Son cadavre sera décapité et dépecé par le bourreau de Mur­ cie 20. La liaison avec les bandos est encore plus nette à Y ecla. Après avoir utilisé les services de tueurs à gages, le régidor Francisco Martfnez de la Torre se réfugie au Royaume de Valence où il se fait lui-mcmc chef de bande. C'est aussi le cas d'un membre de la faction oligarchique contraire, le régidor Alonso Cerezo Ortufio, familier du Saint-Office et gouverneur de Montealegre, et dc ses trois beaux-frères, «Los Tiesos» (Ics inflexiblcs) . L e banditisme social Bien qu'on les définisse comme des conflits de factions patriciennes, les ri­ valités de bandos présentent la plupart du temps un certain aspect de lutte sociale: ce sont rarement des parentèles de statut social équivalent qui s'af­ frontent mais plutot un lignage jusque-là prééminent et un lignage en as­ cension (ainsi Ics Carrefio et Ics L6pez Garcfa à Cehegin en 1 7 1 8) ou bien un groupe oligarchique et une famille, parfois venue de l'extérieur, qui tente d'imposer son hégémonie comme les Melgarejo, issus de Cieza, mais en passc de s'ériger en «caciques» de Calasparra. Dans des circonstanccs particulières, tenant à une crise politique nationale (les Comunt'dades de Castille au début du "XW) ou à la mise en cause du régime seigneurial (ainsi à Mula aux � et xvlf) , ces luttcs peuvcnt laisscr filtrer dcs revcn­ dications populaires. Mais ce sont des exceptions. A la fin du xvue cepen­ dant, les bandos prennent quelque temps une nette coloration sociale. Quand l' écart se creuse cntre Ics deux camps cn préscnce, le bando de statut inférieur, incapable d'accéder durablement à la direction des affaires locales, est rejeté en bloc vers le banditisme. Dans la plupart des circonscriptions, un petit nombre de lignagcs s'est assuré par achat à la Monarchie la possession héréditaire des charges mu­ nicipales. J adis grands éleveurs, ces poderosos ont pris la tete du mouve­ mcnt dc défrichemcnt. Le jcu dcs majorats cntraine au bénéfice de quelques-uns d'entre eux une concentration du pouvoir local et de la pro­ priété de la terre et des eaux (là où celles-ci, comme à Lorca, Mula ou Yccla, font l'objet d'une appropriation privée) . Cependant le boom agricole, l a croissance démographique et l'appari­ tion d'un habitat secondaire ont donné naissance à une classe de labrado­ res, paysans aisés qui supportcnt mal ce monopolc politiquc et fonder et ses conséquences: la corruption généralisée, une répartition injuste des charges fiscales, l'imposition de clauses léonines dans les baux et les vexa­ tions répétécs dans la vie quotidiennc. Exilés à la suite des premières es­ carmouches, les plus décidés d'entre eux reviennent périodiquement en force mais doivent se replier sur la campagne qu'ils rançonnent. Les con­ temporains et Ics générations suivantcs idcntifient ces affrontcmcnts à dcs luttes de bandos. L'historiographie récente y voit plutot du banditisme et met en valeur la géographie du mouvement: la zone affectée se situe au nord-est de la région (altt'plano de Jumilla-Yecla, corridor dc Villena) , à la

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fois plus tard et plus massivement atteint par la vague d'extension des cui­ tures et prochc du Pays valcncicn qui réscrvc un abri et d' où se propagcnt des mots d'ordre. L'apogée du banditisme dans ce secteur ne correspond­ il pas à l' éclatcmcnt dc la Seconde Germani c dans Ics montagncs d' Alican­ te? Tel cabecilla repéré de ce coté de la frontière avait antérieurement par­ ticipé au soulèvement. Lcs activités dc Francisco Martinc:l dc la Torre, dirigécs contrc l'oligar­ chie d'Yecla Oes Ortufio et autres) , présentaient déjà un caractère de ban­ ditismc social. Ccttc oricntation est cncorc plus nette chcz Martin Mufioz Salcedo. Celui-ci nait vers 1 647 dans une famille d'artisans aisés qui a déjà eu maille à partir avec le patriciat local. Lui-meme victime d'un attentat qui manquc dc lui coiìtcr la vie cn 1 667, il quittc la ville et se joint à la bande d' Alonso Cerezo avec l' aide de laquelle il délivre son père de pri­ son cn r 669. A partir dc 1 67 1 , il scmblc prcndrc une ccrtainc autonomie mais sa troupe collabore de temps à autre avec des bandits fameux dans la région, Pcdro Ponce et Pcdro Angulo. Durant dcux déccnnics Ycela va préfigurer les villes du Far West. Mufioz l'envahit périodiquement: à deux reprises en 1 67 1 , puis en 1 678 (?), 1 68o, 1 68 1 , 1682, 1 684. Il y impose tcmporaircmcnt sa loi, cxécutc scs advcrsaircs, libèrc Ics prisonnicrs et cn­ gage le combat contre les suppòts de l' autorité royale qui le forcent finale­ mcnt à la fuitc. Commc le révèlc l'idcntité dc scs partisans arrctés, sa bande est surtout composée de petits et moyens agriculteurs et elle semble jouir d'un large appui dans les classes populaires lorsqu'elle s'attaque aux pcrsonncs et aux bicns ruraux des grands propriétaircs O osé Quilcz Ruano et Francisco Ortufio Serra à Yecla, Martin de Villanueva Munera, régidor dc Chinchilla) et aux pcrccptcurs dc dtmcs et d'autrcs rcntcs. Dans lcs an­ nées 1682 - 1 683, qui marquent l'apogée des activités de Martin Mufioz, la correspondance des agents locaux du Chapitre cathédral nous apprend qu'il est dcvcnu hasardcux dc convoycr d'Almansa, d'Yccla ou dc Cic:la à Murcie l' argent de la dirne devenu la proie favorite des bandits. La tradi­ tion dc contcstation dcs pouvoirs oligarchiquc et ccclésiastiquc et dc lcurs exigences économiques à Yecla trouve son origine au temps de Martin Mufioz. Comme le laissait présager la coincidence de leur paroxysme, les ban­ dos et le banditisme apparaissent intimement liés dans la Murcie du xvne siècle. Les causes de leur formation sont largement communes et eux­ memes se dynamisent mutuellement. n devient délicat de les distinguer dans les années 1 65o- 1 68o: ils s'interpénètrent et en viennent pratiquement à s'idcntificr dans le cas du banditismc oligarchique dont l'cxistcnce dans la région correspond à celle du banditisme seigneurial et nobiliaire de la couronnc d' Aragon, eu égard aux différcnccs régionalcs dc structuration du pouvoir local et de la société d'ordres. L' évidence de leur liaison éclate encore dans la simultanéité de leur éclipse. Avec le XVIif sièclc, la récupération économiquc, déjà sensible au temps de Charles n sur le littoral méditerranéen, s'étend à l'ensemble de la péninsulc. Elle se doublc d'une rcprisc cn main politiquc du pays par la

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nouvelle dynastie à l'issue de la guerre de Succession. Le changement de cli­ mat s'observe sur piace dans la signature des grandes paix privées : à Lorca en 1 7 1 2 , à Cehegfn en 1 7 1 8 et à Moratalla en 1 729. La restitution de sa ju­ ridiction à la ville de Fortuna ( 1738) témoigne dans le meme sens. Les lut­ tes intra-oligarchiques ne disparaissent pas mais elles se font plus feutrées et des historiens comme La Cavalleria pour Villarrohledo ( 17 5 1) et Salmer6n pour Cieza ( 1777) croient pouvoir parler des bandos au passé 21• Le handitisme semble, de meme, s' essouffler. La protestation sociale qu'il avait exprimée à certaines occasions emprunte d' autres voies. A Y ecla, l'op­ position au prélèvcment ccclésiastiquc prcnd la forme d'une grève dcs dimcs pour les nouvelles cultures, en particulier pour celle des oliviers dont les plantations se sont rapidement développées entre 1 66o et 1740, et le «procès des olives» durera presque autant que l' Ancien Régime. Il en est de meme pour la contestation de l' oligarchie locale. Profitant de la disparition fort sus­ pcctc d'une partic dcs archivcs lors de la guerre, vingt-six famillcs se sont autoproclamées hidalgas. La délibération municipale du 24 juin 1707 qui en dresse la liste déclenche un demi-siècle de litiges ( 1 72 1 - 1 770). Trois généra­ tions de la famille Dfaz relancent périodiquement la procédure devant les conseils royaux. Or le régidor Diaz est le petit-neveu de Martin Mufioz. Et scs advcrsaircs ne manqucnt pas dc souligncr cettc filiation avcc l'individu qui «suscita ici, lui et ses acolytes, des bandos aussi scandaleux que notoi­ rcs». Le régidor ne fait quc poursuivre, par d'autrcs moycns, Ics memcs oh­ jectifs que son prédécesseur. Avec, notons-le, aussi peu de succès 22 • La généralisation du recours aux tribunaux constitue bien une nou­ veauté. La justice cesse alors d'etre un mécanisme secondaire ou complé­ mentaire de résolution des conflits et le recours au juge une simple alter­ native à la guerre privéc. Pour un tcmps, car l' assombrisscmcnt dc l'hori­ zon économique et politique à partir de la décennie 1 770 provoque une résurrection des bandos et du banditisme et ouvre une autre ère d'agita­ tion qui n'aura rien à envier au XVI:f siècle quant à l'ampleur des manifes­ tations de violence collective. Notes 1. Parmi une bibliographie foisonnante, je renvoie à trois ouvrages: Le handit et son image au Siècle d'Or, éd. J. A. Martinez Comeche, Madrid 1991, et E. Balancy, Violencia dvii en la Andalucia moderna (ss. XVI-xvu). Familiares de la Inquisid6n y banderias locales, Séville r 999, et, sur la Murcie du XVTc siècle, J. Contreras , Sotos contra Riquelmes, Madrid r992. 2. Voir notamment pour la Catalogne les travaux de X. Torres.

3· Les références d'archives et la bibliographie sont ici réduites au minimum. Pour les compléter je renvoie le lecteur à mes différentes publications sur le sujet , en particulier: For­ mes du pouvoir !oca/ dans l'Espagne moderne et contemporaine: des bandos au cadquisme au royaume de Murcie (xV-XiX' siècles), cn collab. avec M. T. Pérez Picazo, in Klientelsysteme im Europa der Friihen Neuzeit, éd. A. Maczak, Mun ich 1 988, pp. 3 1 5 -4 1 ; Economia, sodedad y politica en Murda y Albacete (s. XVT-xvu) , Murcie 1990; Centralisme et autonomie locale: la guerre privée dans l'Espagne moderne. Un exemp!e murden, in Les élites locales dans l'Espagne moderne, xv�-x1x' siècles, Paris 1 993 , pp. 3 1 3 -25 et Los bandos de Ciez.a (I 66o-1674). Palabras y gestos de la gue"a privada, in Cultura y sociedad en Murda, Murcie, 1993, pp. 175-95. 4· Outrc Ics travaux de R. Villari sur le Royaume de Naples, plusieurs ouvrages sur l'I-

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talic et Ics llcs adjaccntcs ont alimcnté ma réflcxion dont: E. Muir, Mad blood stirring. Ven­ detta and /actions in Friuli during the Renaissance, New York I993 , et en dehors de cet es­ pace: D. M. Hart, R Raha Ahmed (éds.), La sociedad bereber del Rz/ ma"oqui, Grenade r999 et F. Ploux, Guerres paysannes en Quercy. Violences, conciliations et répression pénale dans les campagnes du Lot ( r 8 r o - r 86o), Paris 2002. 5· A. de Laborde, ltinéraire descriptzf de l'Espagne, 4 vol., Paris I 8o8. 6. H. Kamen, Spain in the later seventeenth century, I 665- I 7 oo, Londres 1980, cité d'a­ près la traduction espagnole, Barcelone r98 1 , p. 3 1 6 Oes pp. 3 1 3-23 concement le bandi­ tisme). 7· Archivo Mun icipal de Lorca (AML), p.v. des délibérations m unicipales du I9 juin 1.586 qui transcrit une sentence du Conseil de Castille en date du 26 avril 1.5 66. 8. Antiguedades de la villa de Cehegin, Cehegm 1 99.5. Prologue de J. Moya Cuenca à l 'é­ dition du manuscrit. 9· Archivo del Conde del Valle de San Juan (déposé à l'Archivo Municipal de Calaspar­ ra), Secci6n Caravaca, L8 n. 23. Io. Actc du 24 juin I6.5.5 devant le notairc Alonso dc Guevara, Archivcs privées, Mula. I I . Pour Villena, Archivo Catedralicio de Murcia (AcM), Cartas dc Colcctores (cc), Vii­ lena, 4 avril I 676, et pour Calasparra, voir note 9· 1 2 . ACM, cc, Cieza, 12 décembre 1644. I 3· F. Cascalcs, Discursos hist6n'cos de Murcia y su reyno, 1621 et P. Sahner6n, Historia de la antigua Carteia, hoy Cieza, I777. I4· Sur ces paix, voir J. Busquet, Le droit de la vendetta et les paci corses, s.I., I92o (rééd., s.I., 1 994); O. Christin, La paix de religion, Paris r 997; Ploux, Guerres paysannes cit., pp. 227-94. J'ai pu réunir douzc écriturcs de paix conccmant huit villcs distinctcs cntre 1.5 3 8 e t I778, dont neuf entre I629 e t I729, e t publié celle qui fut signée à Cehegm en I 7 I 8 : Les actes de paix en Espagne: un exemple du XVTif siècle, in "Le Gnomon. Revue intemationale d'Histoire du Notariat", .5 3, r 986, pp. 2 3 -6. 1.5. ACM, cc, Villena, I.5 mai 1 645. I6. Voir Salmer6n, Historia cit., chap. xx. 17. J. A. Sempere-Mergelina Pastor, Accidentada visita del Cardenal Belluga a Sax, in "Re­ vista de Fiestas dc Moros y Cristianos" , Sax 1 997, pp. 1 64-70. 18. Archivo Hist6rico Nacional dc Madrid (AHN), Consejos, leg. 1.563. I9. Sur le banditisme à Yecla je renvoie au dossier présenté par J. Blazquez Miguel, Ye­ cla en el siglo xvu, Yecla 1988, pp. 428-.5 7. 20. Communication personncllc dc J. Gonzalez Castano, ancicn archiviste municipal dc Mula. 2 I . F. de la Cavalleria y Portillo, Historia de Villa-Robledo, I7.5 I et Salmer6n, Historia cit. 22. Alli':, Consejos, lcg. 500 n. r .

Storia di un uomo che divenne bandito di Claudio Povolo ·k

Percorrendo la statale che da Salò costeggia tortuosamente la riva occiden­ tale del lago di Garda, poco dopo Gargnano, improvvisamente, compare sulla sinistra una strada che s'inerpica per alcuni, pochi, chilometri sino a Gardola, uno dei sei centri che costituiscono il comune di Tignale. Poco discosto dal villaggio, sovrastante il lago, domina l'antico santuario della Madonna di Montecastello. Salendo le ampie scalinate che lo incorniciano si accede al suo interno. Sulla parete destra dell'ampia navata, poco più che ad altezza d'uomo, campeggia un dipinto dalle ampie proporzioni. La successione e il significato delle immagini, nonostante alcune brevi scritte apposte dall'autore al di sotto delle varie scene, non appaiono chia­ re all'osservatore. L'autore del quadro, evidentemente, rinviava, implicita­ mente, ad un fatto conosciuto da tutti coloro che, in seguito, ne sarebbero stati, per così dire, i fruitori. Un cartiglio, posto sotto il grande stemma della comunità ricorda infatti una data, 17 agosto 1 6 1 7 , e una scritta: ex voto communis Tignali. Un'opera di carattere devozionale, dunque, che venne commissionata dalla comunità di Tignale per ricordare un giorno che ebbe un'importanza straordinaria nella sua storia. Si tratta di un ex­ voto, uno dei più grandi esistenti in Italia, si dice; certamente tra i non molti eseguiti su committenza di una comunità. Il dipinto, ad una pur breve e non superficiale lettura, non nasconde la drammaticità di un evento: qualcosa di terribile e di inquietante che si svolse, quasi quattro secoli fa, tra quei monti, a ridosso di quel santuario e di quei villaggi, che sembrano oggi sorridere al lago sottostante e ai visita­ tori che salgono sin lassù per devozione o in vacanza. Questo saggio, questa storia, e, probabilmente, quanto ancora di essa occuperà il mio tempo e il mio interesse, sono idealmente nati da quel di­ pinto e dal dramma che esso nasconde. Da quell'evento lontano e miste­ rioso è difatti sorto il mio interesse per la storia di un uomo, di certo non comune, ma la cui singolarità fu inesorabilmente dettata, come si suoi dire, ai posteri, da una serie di rappresentazioni non inclini a ricorrere ai chia­ roscuri e alle sfumature. Questa, infatti, che qui si inizia a descrivere, è la storia di un uomo che divenne bandito: una storia, dura e crudele, che fagocitò l'uomo e mise in luce il bandito 1 • * Università d i Vcnczia.

CLAUDIO POVOLO In un giorno d'estate, lungo il lago

Quel giorno, - il I 7 agosto I 6 I 7 - a Gardola di Tignale avrebbe potuto essere come qualsiasi altro giorno d'estate lungo il lago, se non fosse stato per l'interminabile siccità, che durava da mesi, c lo stato di allerta dovuto alla guerra che la Serenissima aveva ingaggiato con i confinanti arciducali. Proprio il giorno prima il provveditore della Magnifica Patria, Giustiniano Badoer, si era fermato in paese e, nella notte tra il I 5 e il I 6, aveva allog­ giato nella casa di uno dei maggiorenti locali. Già da tempo ad ogni capo­ famiglia erano state distribuite le armi necessarie atte ad affrontare i nemi­ ci che avrebbero potuto sbucare dalle alture sovrastanti il villaggio. La tensione tra la popolazione doveva quindi essere elevata, ma nessu­ no avrebbe potuto prevedere che, quel giorno, sarebbe stato memorabile c ricordato, ancora, per anni e anni, ma per ben altri motivi. Qualcuno avrebbe di certo rimpianto quanto sarebbe accaduto cd il fatto di essere stato coinvolto in una siffatta impresa. Ma le cose erano accadute in ma­ niera così imprevista (e forse imprevedibile) e la tensione accumulata in quei giorni era esplosa improvvisa c violenta, in assoluto contrasto con la calma scintillante che la superficie del lago, più giù, rifletteva sino ai monti sovrastanti. Alle prime luci di quel 17 agosto 1 6 1 7 , dai monti incombenti, sci uo­ mini che avevano nulla o poco da perdere, armati di tutto punto, scesero sino al villaggio di Gardola. Colui che li guidava, un uomo di circa qua­ rant'anni, era conosciuto in tutta la zona, da anni, con il nome di Zanza­ nù. Della sua fisionomia e della sua struttura fisica non ci sono rimasti che alcuni scarni se non vaghi tratti. Possiamo però presumere che fossero tratti duri e severi. Di quella stessa durezza e severità che avevano attra­ versato, segnandola profondamente, gran parte della sua vita. Scendendo verso Gardola, in quel giorno d'estate, lungo il lago, quel­ l' uomo, Zanzanù, segnava definitivamente il suo destino, entrando prepo­ tentemente, e in maniera definitiva, nel mito. Autobiografia e storia di un famoso bandito

Il padre di me Giovanni Zannoni della Riviera di Salò, qual faceva ostaria in quel­ la terra, passo ordinario di Alemagna per quelli che discendono per il lago e dalla quale traeva il vitto di tutta la sua povera famiglia, mentre egli viveva quieto, fon­ dato su una solenne pace con giuramento, firmata sopra il sacramento dell'altare, fu empiamente trucidato da alcun della Riviera 2•

Con questo passo, drammatico e incisivo, Giovanni Beatrice detto Zanon, ma conosciuto in tutta la Riviera del Garda con l'appellativo di Zanzanù, introduceva nel giugno del r 6 r 6 la sua supplica diretta ai capi del Consi­ glio dei dieci 3. Da alcuni mesi si era aperto il contenzioso bellico tra la Repubblica c

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gli arciducali. Venezia aveva deliberato di incrementare le proprie forze militari, offrendo la possibilità a coloro che erano stati banditi negli anni precedenti di potcrsi liberare dal proprio bando se si fossero arruolati nel­ l'esercito marciano, con un seguito e per un periodo di tempo stabiliti dal­ le magistrature competenti 4• Feudatari riottosi, giovani aristocratici intolle­ ranti, uomini appartenenti a famiglie socialmente rilevanti, che avevano un conto aperto con la giusti�ia vcnc�iana, avevano subito colto l'occasione prospettata dal conflitto bellico per rientrare nei territori da cui erano stati interdetti a causa dei bandi che li avevano colpiti '. Anche Giovanni Beatrice aveva ritenuto fosse il momento di chiudere i conti con la giusti�ia vcnc�iana. Ma si trattava di conti lunghi c pesanti, che andavano quantomeno spiegati e giustificati 6• Con un seguito di sei uomini, per sei mesi, e anche più, egli si offriva di recarsi al campo, al se­ guito dell'esercito veneziano. Si trattava di una «picciola offerta», che mo­ tivava non tanto c non solo con il desiderio di ritornare nei luoghi in cui era nato e cresciuto, tra amici e parenti, quanto piuttosto con la volontà di rimediare ai numerosi errori commessi negli anni precedenti 7• Di errori, non v'è dubbio, Zanzanù ne aveva commessi molti nella sua lunga carriera di fuorilegge. Alcuni fatali, altri dettati da un istintivo desi­ derio di vendetta; altri, ancora, dovuti all'insopprimibile attaccamento alla sua terra, al suo lago, all'ambiente che, pure a distanza di molti anni, gli aveva garantito, attraverso il fitto reticolo delle parentele e delle amicizie, il riconoscimento di un'identità che neppure il pesante ostracismo imposto contro di lui dalla Repubblica, dalle sue leggi c dalle sue scntcn�c era riu­ scito a cancellare del tutto 8• E c'è, dunque, da credergli, a Zanzanù, quando sosteneva, nella sua supplica, di voler in primo luogo porre rimedio ai suoi errori c di riacqui­ stare «l'honorc della buona gratia del suo Principe naturale». Ma, forse, l'uomo che probabilmente era divenuto il più famoso fuori­ legge della Repubblica veneta, non era del tutto consapevole di come il suo errore più grave, quello fatale, fosse stato di esser vissuto in un perio­ do in cui gli antagonismi e i conflitti, che ovunque e da sempre avevano regolamentato la gestione del potere locale, erano divenuti più difficilmen­ te componibili, in un contesto politico e sociale, quale quello che si era venuto a creare nei territori dello Stato veneziano sul finire del Cinquecen­ to. Di fronte all'emergere di una criminalità feudale e aristocratica dai toni decisamente eversivi, le leggi bannitorie avevano infatti assunto un linguag­ gio assai più severo, le cui modalità e cadenze erano ormai determinate dalle regole prescritte nel centro dominante 9• I numerosi centri disposti lungo la riva occidentale del Garda c che costituivano la cosiddetta Magnifica Patria erano retti da un provveditore inviato periodicamente da Venezia e residente a Salò. L'ampia autonomia politica goduta dalla Magnifica Patria si configurava eminentemente nel consiglio generale in cui erano rappresentate le diverse unità amministrati-

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ve, definite quadre. Al provveditore generale e al suo giudice del maleficio, competeva però l'amministrazione della giustizia penale Un complesso equilibrio politico e sociale animava dunque la regola­ mentazione dei conflitti e la competizione tra i gruppi sociali. La rete delle parentele locali e le sue connessioni clientelari si annodavano inestricabil­ mente in un centro come Salò, che, però, più che costituire un capoluogo in grado di estendere il suo controllo sul rimanente del territorio, rappre­ sentava tendenzialmente il punto di raccordo di numerose variabili sociali c politiche È molto probabile che nei numerosi e vivaci centri che costellavano la riva occidentale del Garda le dinamiche conflittuali della faida si svolgesse­ ro abitualmente ncll 'ambito dci contesti locali, solo parzialmente sottoposti all'interferenza del tribunale del provveditore veneziano, che pure estende­ va la sua giurisdizione su tutta la Patria r2 • n nuovo clima politico c l'imposizione di leggi assai più severe c meno disposte ad essere strumentalmente utilizzate dagli antagonismi tra le pa­ rentele, avevano però probabilmente accentuato sia l'influenza del tribuna­ le salodiano che il ruolo di mediazione c di collegamento svolto dal consi­ glio generale della Patria l J . Giovanni Beatrice apparteneva a una delle famiglie più in vista di Gar­ gnano, florido centro della riva occidentale del Garda, posto in un punto nevralgico di traffici c di scambi commerciali tra il Bresciano c la Germa­ nia 14 • Come egli ricordava nella sua supplica, il prestigio c la stabilità della sua famiglia erano stati definitivamente scossi dall'uccisione del padre ad opera di una famiglia rivale 1 '. Non soddisfatta dell'esito giudiziario della vicenda, la sua parentela aveva deciso di condurre la faida locale nei termini tradizionali c consueti. La lunga catena di omicidi, in una spirale senza fine, aveva infine determi­ nato la dura reazione delle magistrature veneziane 16 • Sbalzato dal contesto locale in uno scenario politico c sociale dai toni non meno duri e aggressivi, ma la cui trama era di certo assai più com­ plessa e inestricabile, il giovane Giovanni Beatrice avrebbe assunto, nel giro di alcuni anni, la fama di fuorilegge astuto e imprendibile. Lo ricorda­ va egli stesso, con una descrizione dai tratti accorati ma fieri, nel prosie­ guo della sua supplica: ro.

u.

Per questa sì inumana e barbara attione, dubitando io Giovanni sudetto di non es­ ser sicuro della fellonia di uomini sì crudeli, indotto dalla disperationc, risolsi di vendicare sì gravi offese e d'assicurare la propria vita; presa la via delle armi, ven­ dicai con morti d'inimici la perdita del padre e la privatione del modo di sostener la famiglia mia. Per le quali operazioni restai bandito, c continuandosi da nostri inimid le percecutioni, anch'io rispondendo con nuove vendette, tirando uno die­ tro all'altro, hebbi gran numero di bandP7•

L'uccisione del padre era avvenuta nel lontano r 6o5 r s ma, ricordava l'uo­ mo ormai conosciuto come Zanzanù, muovendosi efficacemente sul filo della memoria, la faida in Gargnano era divenuta una vendetta spietata c

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senza ritorno r 9 • Nelle sue parole è possibile cogliere l'orgoglio di un uomo che aveva saputo ribattere colpo su colpo agli avversari c non si era arreso alla loro fellonia. Colpito ripetutamente dalle sentenze di numerosi tribunali, che aveva­ no cercato pure di creare il vuoto intorno a lui, inseguito da truppe dell'e­ sercito, da avidi sbirri c da spietati cacciatori di taglie, la sua vita era stata costellata da eventi tragici c incontrollabili. La sua "fama" aveva infine su­ perato i confini del territorio in cui aveva operato nei primi anni di attivi­ tà, nonostante i bandi che l'avevano ripetutamente colpito 20• Bandi per omicidio, dovuti evidentemente al suo tentativo di portare a termine la vendetta innescata dalla morte del padre; ma anche bandi per sequestri di persone facoltose su cui aveva baldanzosamente posto una taglia. Si trattava di reati assai gravi, che si spiegavano essenzialmente con la durezza dello scontro in atto, che attraversava ormai le parentele di gran parte dei centri che costeggiavano la riva occidentale del lago. Come la clamorosa vicenda che nel 1 6 1 o portò all'uccisione del podestà Ganassoni. Una vicenda torbida, che lo vide coinvolto, seppur in una parte di secon­ do piano, ma che nel prosieguo degli anni sarebbe stata esclusivamente at­ tribuita a lui c alla sua banda come impresa efferata, che esprimeva al massimo grado la pericolosità della sua fisionomia di bandito. Nel maggio del 1 6 1 o il podestà bresciano di Salò, Bernardino Ganasso­ ni era stato ucciso in pieno giorno nel duomo di Salò, mentre assisteva ad una funzione religiosa pubblica. Alcuni esponenti del notabilato locale era­ no stati accusati di esserne i mandanti, mentre tra i sette esecutori del de­ litto veniva chiaramente indicato lo stesso Zanzanù l T. In realtà, come si è detto, egli aveva avuto una parte di secondo piano, se non irrilevante, in una vicenda torbida, le cui implicazioni sociali lasciavano intravedere la fit­ ta ragnatela delle clientele c delle relazioni di patronato che attraversavano le istituzioni locali. n grave fatto criminoso aveva infine indotto le autorità veneziane ad inviare Leonardo Mocenigo con la qualifica di provveditore straordinario dotato di notevoli poteri repressivi. Quel delitto l'avrebbe però inseguito sino alla fine dei suoi giorni. Ed avrebbe probabilmente contribuito, in maniera determinante, a costruire la nuova immagine di Zanzanù, sino a collocarla in quella dimensione del mito che si sarebbe inesorabilmente sovrapposta all'uomo e, in un certo senso, allo stesso bandito. Assunta dopo la morte dello zio la guida della "famiglia'' , la banda de­ finita degli Zanoni, e colpito da altri bandi comminatigli dai tribunali loca­ li, Zanzanù era infatti divenuto il protagonista di una serie di operazioni violente, caratterizzate in particolare dal sequestro di persone facoltose, c volte a ripristinare il potere della sua parentela nell'ambito delle comunità che costeggiavano il lago a settentrione di Salò. Lo ricordava lui stesso nel prosieguo della supplica rivolta ai Capi del Consiglio dci dicci:

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CLAUDIO POVOLO

Confesso esser reo di molti bandi, tutti però per delitti privati et niuno per mini­ ma attinentia di cose publiche, né con conditione escluso dalla presente parte, né meno con carico di risarcir alcuno; ma siami ben anco lecito il dire che essendo stati commessi molti eccessi da altri sotto il nome mio, di quelli essendo fuori di speranza di potermi liberare, già mai non ho curato di scolparmi 22•

Zanzanù confessava, dunque, di non essersi mai macchiato di delitti pub­ blici e, soprattutto, aggiungeva che, di molti di quelli che gli erano stati attribuiti, non aveva alcuna responsabilità. Come si è già notato, non erano certo mancati omicidi e sequestri nell'intensa attività di Zanzanù, ma se­ condo la sua logica e soprattutto la cultura cui apparteneva, si era trattato di reati che non avevano alcuna dimensione pubblica, in quanto compiuti contro la parentela avversaria e i suoi nemici , ritenuti responsabili di una lesione gravissima: quella di aver infranto quel codice d'onore che regola­ mentava nel profondo i rapporti sociali 23. In alcune sentenze lo si era accusato di reati considerati gravissimi dal­ la mentalità e dalla cultura che informavano le relazioni sociali dell'epoca. Reati come il furto e la rapina 24• Quasi sommessamente, Zanzanù osserva­ va come quei delitti gli fossero stati ingiustamente attribuiti. E un'analisi delle sentenze e dell'attività del Consiglio dei dieci sembra confermare come egli si fosse mosso sempre nell'alveo di quella mentalità e di quella cultura 25• La lunga "carriera" di Zanzanù fu probabilmente resa possibile, oltre che dalla specifica natura del territorio in cui egli operò (impervio, delimi­ tato dal grande bacino del Garda e posto ai confini dello Stato) 26, anche da un'ampia rete di sostegno e di collaborazione costituita da una fitta pa­ rentela naturale c acquisita. I provvedimenti e le sentenze emanati contro Zanzanù esprimono, in fondo, come la figura di un bandito dedito a crimini efferati e crudeli, ri­ pctutamcntc proclamata c sancita dalle autorità politiche c giudiziarie, fa­ cesse fatica ad imporsi, lasciando trapelare all'incontrario l'ampio sostegno sociale su cui egli poteva indubbiamente contare. Nel 1 6 1 o, il provveditore straordinario Leonardo Moccnigo, impossibilitato a catturare Zanzanù, op­ pure ad ucciderlo ricorrendo all'opera di delatori e sicari, emise una lunga serie di sentenze contro i suoi fautori e i sostenitori. Inoltre costrinse le numerose comunità del lago a depositare ciascuna la somma di seicento ducati presso la camera fiscale di Salò, perché fossero immediatamente concessi a chi avesse catturato od ucciso il bandito 27 • n sostegno c l'aiuto su cui Zanzanù poteva contare, quantomcno da parte di un certo settore della popolazione della Riviera occidentale del Garda, è chiaramente attestato nel 1 6 1 5 , quando, dopo un lungo periodo di assenza 28, egli era ritornato nei luoghi natii. n provveditore Marco Bar­ barigo, impotente a fronteggiarlo 29, aveva allora proceduto contro coloro che si erano apertamente schierati dalla sua parte. Nelle sentenze da lui pronunciate nell'estate del I 6 I 5 è nettamente percettibile non solo la rete

STORIA DI

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203

di sostegno su cui il bandito poteva indubbiamente contare, ma anche la simpatia di cui godeva tra la popolazione locale. In particolare, come reci­ tava una delle sentenze, due donne di Gargnano venivano bandite per esser state così ardite et temerarie di partirsi dalle proprie case et andar a ral­ legrarsi con detto Zanone dcla sua venuta dentro li confini, nel luoco di San Mar­ tin, territorio di Gargnan, toccandoli la mano e facendogli diverse accoglienze, non ostante che sappiano lui esser bandito et infestar questa Riviera con diverse scelle­ ratezze 30•

n ritorno di Zanzanù era stato dunque accolto favorevolmente da molti c

questo appare tanto più significativo se si osserva che, giunto in Riviera, egli aveva sequestrato due persone facoltose, imponendo sulla loro testa una grossa taglia in denaro : P . L'attività di Zanzanù, dunque, rivela molto probabilmente il tentativo di ripristinare o mantenere determinati equilibri locali e un proseguimento della faida che attraversava buona parte della riva occidentale del Garda, coinvolgendo pure istituzioni e autorità locali 32• Con queste premesse era assai difficile che la sua proposta potesse essere accolta dai capi del Consi­ glio dei dieci: la cancellazione delle sentenze e il possibile ritorno di Zan­ zanù sullo scenario che l'aveva visto protagonista temuto e inafferrabile, avrebbero dovuto essere contrattati con gli esponenti del notabilato locale, che pure, come si è visto, avevano manifestato l'intenzione di porre tenni­ ne al lungo conflitto. Un a contrattazione difficile e dagli esiti incerti nella tesa situazione che si era venuta a creare ai confini dello Stato a causa del conflitto bellico in corso. Di certo, nell'ottobre stesso del 1 6 1 6 , una lettera del provveditore di Salò, diretta ai capi del Consiglio dei dicci, segnalava la ripresa dell'attività di Zanzanù, il quale si faceva z

Fonte:

I

Ferdinando

Miscellanea Medicea,

f. ,so; Regie Possessioni,

Confiscate a

Un podere donato dal Francesco Fredi [di Fede?] grand. Francesco ( T 5 lug. 15 7 5 ) . Estensione della donazione a Eufemia Buontalenti (figlia) come fondo dotale ( I ) Un podere del valore ( I ) Antonio Altoviti (cav. di di se. r .2oo; (2) una casa Malta) ; (2) Antonio Capponi con pezzi di terra del valore di se. 700 Un podere Achille del Bello di Castrocaro

Proprietà

ff. 82 1 -2 .

Camillo Finali (medico di S. A.)

Pier Matteo dc' Rossi (del­ l' Aquila, medico del princ. Cosimo)

1

Ferdinando

Buontalenti

Bernardo (architetto)

1

Beneficiato

Ferdinando

Granduca

(seguito)

1 2 - 3 - 1599

I 6- I 2 - I 5 9 5

1 6 - 1 2 - 1 592

Data

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I .900,00

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Scudi

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Malessere politico e sociale nella Sardegna tardoseicentesca di Bruno Anatra ·k

Le tensioni politiche e sociali, che con varia intensità si sono manifestate in Sardegna durante la seconda metà degli anni 1 66o e si sono prolungate quanto meno fino agli inizi degli anni 1 670, rappresentano un buon punto di osservazione per provare ad approssimarsi al terreno di coltura dei fe­ nomeni di natura banditesca nelle campagne dell'isola sul finire della pri­ ma età moderna. Nella fattispecie l'antefatto è costituito dal parlamento Camarasa, cele­ bratosi nell'isola tra il 1 666 e il 1 668, primo ed unico parlamento che nel­ la Sardegna spagnola sia stato chiuso d'autorità, senza attenderne la con­ clusione e senza che venisse concesso il donativo, in presenza dell 'insanabi­ le contrasto esploso tra una maggioranza parlamentarista, raccolta attorno al marchese di Laconi, don Agostino Castelvi, prima voce dello stamento militare, ed una minoranza regalista, che si identificava in don Artale Ala­ g6n, marchese di Villasor, subentrato al Castclvf nella carica stamcntaria nella fase conclusiva del parlamento. Le due famiglie, da lungo tempo, ca­ peggiavano bandos nobiliari ferocemente contrapposti. Con la chiusura del parlamento, la crisi politica in atto è aggravata da una catena di delitti. Un mese dopo la chiusura viene ucciso il Castel­ vi, evento che i suoi partigiani attribuiscono alla cerchia del viceré; a di­ stanza di un altro mese viene ucciso il viceré da una congiura nobiliare, capeggiata dal marchese di Cea, Giacomo Artale di Castclvi, detentore di una delle più alte cariche del regno, la procurazione reale, e cugino di don Agostino. Tra la metà c la fine del 1 668, quando giunse il nuovo viccré duca di San Germano, il governo provvisorio dell'isola fu retto dal governatore di Cagliari, al quale competeva la carica rispetto all'altro governatore, quello di Sassari. Il viceré interinale, don Bernardino Cervell6n, era parente di Laconi c Cea e di altri aristocratici dello stesso schieramento. Poteva essere l'occasione per separare il regno di Sardegna dalla Coro­ na d'Aragona. Invece, durante i sei mesi del suo governo, principale obiet­ tivo di Ccrvcll6n c dei suoi collaboratori, maneggiando i processi per i due delitti, fu di provare che il primo era opera degli uomini del viceré, lasciando nell'ombra, benché evidenti, gli autori del secondo, i quali co­ munque vigilavano in armi.

* Università di Cagliari.

BRUNO ANATRA

L'arrivo del nuovo viceré non pose fine alla situazione di guerra civile la­ tente, dallo scatenare la quale il marchese di Cea fu trattenuto dai consigli temporeggiatori del fratello Giorgio, reggente sardo nel Supremo Consiglio d'Aragona, a Madrid. Costui reputava che bastasse mantenere alta la ten­ sione politica in Sardegna ed esercitare pressione, con discrezione, sulla corte, come fece, per ottenere che il delitto Camarasa venisse considerato un semplice atto di vendetta privata e che si risolvesse la crisi con un in­ dulto in favore del fratello e degli altri cospiratori eccellenti. L'abilità del viceré San Germano, che stette vari mesi a rischio di soc­ combere nel caso di una grande sollevazione, dato che non aveva quasi né uomini né armi, l'inflessibilità della regina madre, reggente per il figlio Carlo n, e soprattutto la disunione che produsse nella nobiltà partigiana dei Castelvf l'inopinato e intempestivo matrimonio di donna Francesca Za­ trillas, marchesa di Sietefuentes, vedova e nipote di don Agostino, con uno dei congiurati, il giovane don Silvestro Aymerich, con il quale aveva da tempo una relazione segreta (secondo i collaboratori del nuovo viceré i due amanti, temendo che il marchese scoprisse la natura della loro amici­ zia, lo avevano fatto assassinare) , fecero sì che loro due, il marchese di Cea e gli altri principali implicati (don Francesco Cao, figlio di un giudice della Reale Udienza, e don Francesco Portugués) lasciassero, in tempi di­ versi, l'isola per esiliarsi a Nizza, territorio del duca di Savoia. Lo fecero tra l'estate del r669 e l'estate del r67o a seguito della con­ danna dell' Aymerich e della Zatrillas, dopo la revisione del relativo proces­ so, per il delitto Laconi e di tutti loro per quello Camarasa. L'Aymerich e la Zatrillas giunsero nell'estate del r 669, subito dopo la sentenza che li condannava per il delitto Laconi. Un mese prima era stato revisionato il processo per il delitto Camarasa, che li condannava tutti alla pena capitale per lesa maestà. A novembre giungevano Cao e Portugués; a giugno del r 670 li raggiungeva il Ce a. Ma un anno più tardi altri due nobili, Alivesi e Delitala, che si erano posti al servizio del viccré in cambio della cancellazione di alcune loro gravi colpe, li convincevano a rientrare nell'isola, per capeggiarvi una rivol­ ta indipendentista. Appena messovi piede, uccisero i tre giovani e, attra­ versando a piedi l'isola da un capo all'altro, portarono il Cea ad essere giustiziato pochi giorni dopo in piazzetta San Francesco nel cuore del Ca­ stello di Cagliari. TI clima di guerra civile, fin qui evocato, in alcune regioni della Sarde­ gna fu ben più che latente; sebbene non sia mai esploso in modo aperto e soprattutto generalizzato, si espresse in forma di intensificazione dei con­ flitti tra fazioni locali, in una cresciuta attività banditesca, il cui principale epicentro pare si debba collocare nell'estremo nord dell'isola, tra le incon­ trade di Monteacuto e Anglona, appartenenti ai conti di Oliva, e la vicina Gallura, feudo dci marchesi di Orani, entrambi signori assenti dall'isola. Quelle terre erano prossime agli Stati del marchese di Cea, con il qua­ le, con gli altri Castelvf e con i loro partigiani la piccola nobiltà locale, in larga parte, aveva strette relazioni clientelari.

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Su questo clima una testimonianza importante proviene dalle lettere, che scrisse al duca di Gandia, nella sua qualità di conte di Oliva, il valen­ zano don Domenico Gonzales, a partire dal giugno 1 670, quando giunse nell'isola per prendere possesso della carica di reggitore di quello Stato. Sbarcato a Cagliari, il suo primo contatto col viceré San Germano non fu per niente facile, poiché costui riteneva, e glielo disse brutalmente, che la congiuntura politica non fosse favorevole ad un cambio di reggitore in un territorio così turbolento come lo Stato di Oliva. Poiché egli non aveva confidenza con la gente del luogo, come invece il reggitore uscente, poteva risultarne un grave danno per il servizio di S. M. Occorreva, prima, che si calmassero. Le materie, di cui si parla nell'epistolario, riguardavano il fatto che il marchese di Cea, sin dalla nomina del nuovo viceré, si era trasferito a Sas­ sari, da dove era poi andato a trincerarsi negli Stati del duca, in particola­ re ad Ozieri, capoluogo del Monteacuto, il centro più popolato di tutta la contea. Scrive Gonzales che Ozieri era stata sul punto di perdersi, a causa di alcuni suoi abitanti, che si erano posti al servizio del marchese assieme a molti altri vassalli dello Stato di Oliva, Stato che, oltre il Monteacuto, comprendeva le vicine Anglona (Nulvi) , Osilo e Coghinas e più a sud il Marghine (Macomer) . Cca, passando di monastero in monastero (in forza della familiarità del suo casato con i francescani) , armato e col suo seguito, nell'autunno 1 668 si era sistemato presso i cappuccini di Ozieri, dove se ne stette quasi un anno, fino all'estate 1669, quando, pronunciata nei suoi confronti la con­ danna per lesa maestà, ritenne più opportuno nascondersi in Sassari. Da lì a fine anno, con una nutrita compagnia, in gran parte fatta di vassalli del duca di Gandfa, si era trincerato sui monti di Gallura, mentre, come det­ to, gli altri principali congiurati si trasferivano a Nizza sotto la protezione del duca di Savoia. Benché già da un anno avesse lasciato il Monteacuto, ma solo da po­ che settimane la vicina Gallura, quando Gonzales, nell'estate del 1 670, scrive la prima lettera al proprio signore, del marchese di Cea, che vi era passato sconvolgendo, lacerando, dividendo la società locale fino a farle correre il rischio di «perderse», permaneva in quei luoghi una traccia pro­ fonda. Superata l'ostilità del viceré, quando, dopo poche settimane, nonostante "cl impedimicnto" , la terribile calura estiva che sconsigliava ai forestieri di attraversare l'isola, il nuovo reggitore prende contatto con gli Stati del duca, deve constatare che non vi si rendicontavano le entrate fiscali da cinque anni, cioè da quando si era aperto il parlamento Camarasa, al quale il precedente reggitore aveva partecipato come procuratore del duca. Tutto ciò, fa intendere Gonzalcs, a causa delle tensioni, che erano venute svilup­ pandosi dentro, attorno e dopo quel parlamento. Nel visitare i villaggi, il nuovo reggitore si rende conto del grave ma­ lessere sociale nel quale versano. Saccheggiati dalle bande armate dell'uno

BRUNO ANATRA

e dell'altro schieramento, che battevano la campagna al tempo del marche­ se di Cca, i villaggi hanno subìto molti danni, soprattutto quelli del Mon­ teacuto, dove permangono «algunas desenemistades» tra i villaggi di Ozie­ ri, Pattada, Buddusò, Nughedu e Nule, cioè tra i principali centri dello Stato, che inviativi dal vi­ ceré, i quali provocavano gravi molestie a tutto il Monteacuto. Ciò è quanto gli sembra di poter dire, dopo che nel maggio I 67 I è ve­ nuto a sapere che sulle coste della Gallura è stato catturato il marchese di Cea e sono stati uccisi i tre che si trovavano con lui e che con lui avevano partecipato all'assassinio del marchese di Camarasa. Grazie a queste operazioni, promosse dal duca di San Germano, secon­ do il nostro reggitore, si può ora sperare di «godere di maggiore tranquil­ lità». Insiste su questa speranza di quiete, perché «el dedo malo» del re­ gno ancora una volta è risultato essere lo Stato del duca, in quanto alla «funci6n», così la chiama, della cattura del marchese c dell 'uccisione dci suoi tre compagni di sventura hanno avuto il ruolo principale due uomini di Sassari, uno quei quali è un cavaliere, che si chiama Giacomo Alivesi, colui che ha teso loro la trappola mortale nella quale sono caduti; ma, a parte costoro, tutti gli altri partecipanti alla «funci6n», sono vassalli del duca, questa volta tutti del villaggio di Nulvi, capoluogo dell' Anglona, re­ gione prossima alla Gallura, dove si è consumato il fatto. Uno di essi era anch'egli cavaliere, don Gavino Delitala Solar, principa­ le collaboratore dell'Alivesi nel concertare e portare a compimento la ; gli altri, in numero di dieci, che «con industria y debajo de la ami­ stad» concorsero a sopprimere i tre sventurati, erano invece tutti «gente ordinaria». Nel raccontare questi fatti il nostro esclama, rivolto al suo corrispondente valenzano, «mi creda vostra grazia», «no tengo ningunos divertimientos». Non è solo per la natura sporca della «funci6n», eseguita con l'inganno, fingendo amicizia, che Gonzales indugia, disgustato, sul tragico episodio e fa rimarcare la partecipazione ad esso di un gruppo costituito quasi solo di vassalli del duca, suo signore. Vuole anche sottolineare come il fatto di sangue abbia richiamato altro sangue. Di lì a poco, a seguito dell'uccisione di uno degli uomini di Nulvi, che avevano partecipato alla cattura del marchese di Cea, tutto il vill aggio aveva preso le armi e si trovava «a pi­ que de perderse>>. Di fronte ad una situazione così pericolosa per la tran quillità del capo­ luogo dell' Anglona e di tutta quella in contrada, il reggitore, ricordandosi che quelli erano uomini che ascoltavano solo persone di seguito c autore­ voli, una volta di più sfidando il rischio della malaria, accorre in tempo, a suo dire, per evitare che si dessero battaglia tra loro c che la faida si estendesse a tutta l'incontrada, «por estar todas agregadas unas y otras parcialidades>>. Qui sta la radice e la sostanza dei fenomeni banditeschi dell'epoca, nel­ le persistenti e contrapposte "parcialidades " , le quali, confrontandosi, si schieravano, le une contrapponendosi, le altre appoggiandosi al potere co­ stituito, locale o centrale, a seconda della portata e della dimensione dei problemi del momento. Nella fattispecie, ancora una volta il parlamento Camarasa e la catena

BRUNO ANATRA

di lutti che seguirono la sua traumatica chiusura sono all'origine dello sca­ tenarsi e divampare di tensioni sociali, le quali, se non sfociarono in aperta guerra civile - forse le stesse natura e portata di tali conflitti non lo per­ mettevano - servirono comunque ad alimentare lo scontro violento tra op­ poste fazioni all'interno di singoli villaggi e di intere incontrade, special­ mente, come si è visto, tra le popolazioni del nord dell'isola. L'epicentro di queste tensioni e della loro esplosione si localizza sem­ pre nel cuore dello Stato di Oliva. Tra il 1 669 e il 1 670 sui monti di Gal­ lura, attorno al marchese di Cea, si erano raccolti soprattutto uomini del Monteacuto. Un anno dopo, nell'estate del 1 67 1 , alla sua feroce cattura partecipano uomini dell' Anglona. Nell'una come nell'altra occasione a quelli che si schierano, ora con, ora contro il marchese, altri si oppongo­ no, che appartengono agli stessi villaggi, gli uni e gli altri espressione di fa:lioni contrapposte. Queste fazioni, come appena accennato, pur prendendo alimento dalla crisi parlamentare e dai suoi postumi, radicando i dissidi dentro la società rurale, li particellizzano, vanificando la possibilità che si inneschi una rivol­ ta generalizzata, meno che mai una rivoluzione.

In questa stessa epoca in Monteacuto e in Anglona si registra un elevato indice di pastoralità assieme ad un notevole indice di criminalità. Quest'ul­ timo cresce molto tra il decennio r66r -7o e quello successivo r 67 r - 8o, più di quanto non avvenga in un altro feudo dello Stato di Oliva, il Marghine, senza comunque raggiungere il suo livello, che resta più alto. Potrebbe stupire che, nonostante una tale predisposizione, il Marghine non pare abbia partecipato agli eventi che sconvolsero gli altri due feudi dello Stato. Può darsi che ciò debba semplicemente relazionarsi non tanto con la sua discontinuità territoriale rispetto agli altri due, quanto piuttosto col non essere stato direttamente implicato in quei terribili fatti, che ebbe­ ro come epicentro la Gallura, propinqua agli altri due feudi, e per essere tutti questi territori prossimi alla Corsica, punto obbligato di transito per una fuga verso l'esterno e all'inverso per ogni tentativo di rientro, come d'altronde costituiva lo snodo obbligato delle attività di contrabbando. Comunque vale la pena sottolineare il fatto che, essendo gli Stati di Oliva, fra i territori settentrionali dell'isola, quelli in cui più radicato appa­ re il banditismo ed insieme più forti si presentano le tensioni sociali, ciò li faceva particolarmente ricettivi in presenza di una crisi politica, soprattutto se in essa era immediatamente implicata la piccola nobiltà locale, la sua classe dirigente. La piccola nobiltà, se non è ali' origine di questi fenomeni di devianza sociale, costituisce comunque un fattore decisivo per il loro radicamento, per la loro persistenza. Esponenti della nobiltà locale, come espressione di un aggregato familiare o di una aggregazione di famiglie, si ritrovano co­ stantemente a capeggiare una fazione pro o contro il potere feudale, men­ tre, quando non si mettono espressamente al servizio del potere centrale, non appaiono necessariamente contrapporsi ad esso.

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25 I

Accade anzi che una famiglia emergente e il suo sistema di alleanze tenda a porsi come focalizzatore delle resistenze ai rappresentanti del pote­ re feudale e nel contempo a cercare di aprire canali di comunicazione clientelare con esponenti dell'amministrazione centrale, con la consueta prassi del fornire servigi e del far pervenire o recare frequenti, appetibili omaggi. Proprio per rompere questa catena virtuosa, come ricordava il nostro reggitore, nel recente passato il padre del suo signore aveva dovuto espel­ lere dai suoi feudi un intero ceppo nobiliare, i Delarca, il cui inurbamento a Sassari dovette essere quindi una scelta forzosa, senza per questo porre fine alle loro fortune. Lo ricordava nel momento in cui si trovava a cimen­ tarsi con un problema simile, anche se di dimensioni e di natura decisa­ mente più modeste, in quanto riferentesi ad un personaggio appena emer­ gente, che comunque esprimeva le stesse tendenze comportamentali, volte a capeggiare i malumori emergenti all'interno di un villaggio e contestual­ mente a cercare il patrocinio e la protezione di esponenti dell'alta burocra­ zia cagliaritana. Al punto che poteva accadere che una persona, macchiatasi nel recente passato dell'assassinio di un funzionario di quei feudi, venisse segnalata al reggitore per una carica, sia pure minore, in quegli stessi feudi nientemeno che dal viceré in persona. D'altra parte, l'esigenza di evitare che malessere politico e malessere sociale si saldassero, dando luogo ad una miscela esplosiva, imponeva alle autorità, anche per la reviviscenza di un banditismo dalle evidenti radici nobiliar-feudali, pesanti misure di salvaguardia dell'ordine pubblico, per far fronte alle quali si aggravava la pressione fiscale. La denuncia di questa spirale perversa, che concorreva a mettere a dura prova la sopravvivenza fisica delle piccole comunità rurali, da parte del reggitore dello Stato di Oliva è il segno di una certa sua sensibilità per i drammi umani, ma anche effetto di una reazione interessata, della dichia­ rata percezione del fatto che l'espandersi della fiscalità regia, in un conte­ sto socio-economico così fragile, metteva immediatamente a rischio l'agibi­ lità della fiscalità feudale, la sua riscuotibilità. Tanto più che il viceré non di esimeva dallo sperimentare la via breve di farsi anticipare le tasse regie dai feudatari residenti e dai rappresentanti nell'isola di quelli non residenti, scaricando su di loro gli incerti della ri­ scossione di queste oltre che delle proprie tasse, in modo che si esponesse­ ro direttamente ed esclusivamente loro dinanzi alle comunità. Né di diversa natura, tanto meno di diverso risultato, era la tendenza complementare, sempre da parte dell'autorità centrale, ad incrementare le proprie entrate, in momenti di particolare necessità o urgenza finanziaria, promuovendo l'indulto per delitti, anche se di una patente gravità, anche, se non soprattutto, come in una tale occasione ebbe a far notare il nostro reggitore, quando il loro esame competeva alla giustizia baronale, della quale così, assieme alla giurisdizione, si intaccavano ulteriormente le entra­ te, sminuendone complessivamente l'autorità e il prestigio in sede locale.

BRUNO ANATRA

Sono questi tutti aspetti dei comportamenti sociali e istituzionali che concorrono in questo scorcio particolarmente critico del Seicento sardo a fornire linfa vitale e ragione di esistere e di continuamente risorgere dalle proprie ceneri, dalle ceneri delle «parcialidades» ovvero delle «desenemi­ stades» ( Gonzales usa una terminologia che diventerà corrente nei secoli successivi), al banditismo sardo. Per le ragioni che si sono dette e ripetute, mentre la loro maggiore ri­ cettività in presenza di una crisi politica, amplificandola, come nel caso del parlamento Camarasa c dci suoi postumi, le conferiva maggiore durata, al tempo stesso, però, assumevano più forza le fazioni, nelle quali si avvilup­ pava la società locale, c per essa la sua classe dirigente. Con ciò stesso, ribadiamo, la crisi politica veniva sottratta alla possibile esplosione di una rivolta c, ancor più, di una rivoluzione, per l'una come per l'altra essendo imprescindibile una più profonda coscienza politica e una più ampia partecipazione sociale, rispetto a quel che si riscontra in questi avvenimenti, che tendono a frantumare invece che ad aggregare lo spazio politico, senza che per questo perdano la loro carica, altamente drammatica, di dolore e di sangue. Bibliografia

Il registro che ospita le Cartas dirigidas al excellentissimo seiior duque de Candia, conde de Oliva, por don Domingo Gonzales, desde Cerdeiia è reperibile nell' archi­ vio della parrocchia di San Ginés in Madrid, una trascrizione del quale ci è stata

trasmessa dal prof. Josep Juan Vidal, cattedratico della Universidad de las Islas Ba­ leares, che qui si ringrazia sentitamente. Il copialettere di don Domingo Gonzales ora si può trovare tradotto in B. Ana­ tra, Banditi e ribelli nella Sardegna di fine Seicento, Cagliari 2002. Per questa breve messa a punto, che in larga misura riprende l'introduzione al libro suddetto, si sono tenuti particolarmente presenti i saggi contenuti in Rebeli6n y resistencia en el mundo hispdnico en el siglo XVII, Leuven 1992, ai quali si riman­ da per una più ampia bibliografia sugli aspetti generali della crisi del Seicento nei domini spagnoli. Per più specifici riferimenti al tema affrontato in questa sede è di rilevante im­ portanza la cronaca di Jorge Aleo, Storia cronologica del regno di Sardegna (dal c 637 al c 672), a cura di F. Manconi, Nuoro 1998. A Manconi si deve anche la tra­ slazione di questo testo in italiano. Sempre su questo tema continua ad essere som­ mamente utile la consultazione di A. Llorente, Cortes y sublevaci6n en Cerdeiia ba­ jo la dominaci6n espaiiola, in "Revista de Espafia" , r 868, pp. 290 ss.; e di D. Sca­ no, Donna Francesca Zatrillas, marchesa di Laconi e di Siete/uentes, Cagliari 1 9 42 .

El peso de la insularidad. El bandolerismo mallorquin de los siglos XVI y XVII por Jaume Serra i Barce/6 *

En el conjunto del llamado "bandolerismo espafiol del Barroco" se cono­ clan los casos chisicos de Catalufia, Valencia y Arag6n. Las diversas apor­ taciones, realizadas en diferentes épocas y mediante diferentes metodolo­ gfas, habfan conducido a un cierto consenso que permitfa establecer unos marcos de referencia e, incluso, un esquema comun. Todo ello ha permiti­ do el poder hablar, con mayor o menor acierto, de un mode!o del bando­ lerismo en la Corona de Arag6n durante los siglos XVI y XVII. Este mode­ lo, ya sugerido por los estudios del profesor Regia 1, y a pesar de las modi­ ficaciones que se han producido a partir de las ultimas aportaciones 2 nos ' habla de unos esqucmas comunes dc cstructuraci6n y formaci6n c incluso de conceptualizaci6n y represi6n por parte de las autoridades. En este sen­ tido el profesor E. Belenguer public6 una serie de documentos en los que se daban instrucciones a diferentes virreyes en el momento de tornar pose­ si6n de sus cargos, en los que, a parte del nombre del reino, los conteni­ dos y la politica de actuaci6n y represi6n eran practicamente los mismos 3• Demostraci6n de que, a pesar de la inercia burocratica, la Corona era conscicntc del csqucma paralclo quc prcscntaba cl bandolcrismo dc los di­ ferentes reinos. En este panorama faltaba el Reino de Mallorca, y en esta isla, si bien alguna historiografia habfa incidido en lo que se llamaba "el segle dcls bandejats " 4, o siglo de los bandoleros (refiriéndose al s. xvn) , la politica oficial era la dc negar cualquicr movimicnto social quc pudicra pervertir un panorama idilico de paz y equilibrio social '. Ciertamente algunos auto­ res habfan tratado el tema del bandolerismo siempre desde un punto de vista marginai y especialmente anecdotico 6 , siendo lo contrario honrosas excepciones. En principio, y a no ser en casos muy especiales, se negaba que fu era una estructura de la época y, en todo caso, siempre se obviaban sus relaciones con el bandolerismo de otros lugares (especialmente el cata­ lan). Para ello, invariablcmcntc se acudfa al tema dc la insularidad como fenomeno que permitia afirmar las supuestas peculiaridades y justificar su desconexi6n con otros movimientos paralelos. Las recientes aportaciones y estudios presentan un contexto sensible­ mente diferente. El objetivo de este estudio es, por lo tanto, planear un

* Arxiu c Muscu dc l'Educaci6 dc Ics Illcs Balcars.

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JAUME SERRA I BARCELO

modelo que permita ver como el caso mallorqufn se inscribi6 perfectamen­ te en el generai de la Corona de Arag6n y hasta que punto la insularidad influy6 en dibujar o desdibujar peculiaridades para potenciar la singulari­ dad insular. El espacio

La isla de Mallorca se halla situada cn cl llamado "Mar Vacio " , la zona del Mediterraneo occidentai con menos islas. Se encuentra en el centro de dos grandes rutas comerciales: la de Levante, que une Italia y el Medite­ rraneo orientai con la Pcninsula ibérica, y la Africana, quc une las costas del Sur de Francia con Berberia. Los puertos comerciaies de Francia (Marsella, Toulon, Tres Marfas) , los italianos (Génova, Livorno, Napoles, Palermo), norteafricanos (Argel, Bugia, Bona) y espaiioles (Barcelona, Ta­ rragona, Valencia, Alicante) , pese a estar relativamente alejados, no se ha­ llan a mas de tres dfas de navegaci6n aun con pequefias em barcaciones. Por ello buena parte dc la economia mallorquina durante la Edad Media se fomento en el comercio de reexportaci6n.

TABJ.A I

Distancia media des del Puerto de Palma a otros puertos mediterraneos Puerto

Barcelona Port Vendrés Cette Marsclla Tol6n Niza Génova Ajaccio Alguer Cagliari Fuente: B . Barce16 Pons,

Millas

Kms.

Puerto

132 212 2 64 288 2 94 442 442 3 68 310 355

244 3 92 488 533 544 668 8!8 68r .5 7 3 657

Napolcs Palermo Tunez Argcl Onin Tanger Gibraltar Alicante Valencia Salou

Aspectos Geogrti/icos de Mallorca, p .

Millas

Kms.

57 3 518 441 168 284 47 .5 448 1 66 1 4 .5 129

r.o6o 959 818 311 526 97 9 829 3 07 268 239

1 08.

Sin embargo, cn los siglos XVI y XVII, la flota del reino cstaba cn franca decadencia. El mayor peso del comercio atlantico y la construcci6n de los buques transoceanicos habfan dejado paralizada la flota del mar Mediterra­ neo. Cabc rccordar, por cjcmplo, quc todavia cn la batalla dc Lcpanto 7,

EL PESO DE

LA

r:t\SULARIDAD

255

buena parte de los barcos espaiioles fueron galeras y tartanas que habfan dcmostrado scr muy cfcctivos cn este mar ccrrado, pero quc no podfan compctir con los nucvos modclos navalcs construidos por francescs, inglc­ ses u holandeses 11• Por otra parte, ni los particulares de las islas, que tanta importancia segufan dando al comercio y al corsarismo 9, ni las propias au­ toridadcs nunca pudicron construir barcos quc cntraran cn compctcncia con los dc otras potcncias navales. La insularidad, por lo tanto, se ha convertido en un paradigma explica­ tivo usado para hablar siempre del particularismo de la realidad mallorqui­ na ro, olvidando, como decfa Fernand Braudel, que en estos momentos el mar unfa mas que scparaba. lntimamcntc ligado con este hecho estaba otro de los paradigmas explicativos de la historia de la isla: el peligro cor­ sario r r . Este, que sin duda era muy real, ha servido para explicar desde el alejamiento de las poblaciones de la costa r 2 hasta el caracter cerrado de los isle.fios. En todo caso, se trata dc una dc las falacias hist6ricas que, muy manipuladas politicamente, pretenden mantener el status quo impe­ rante. Para el tema que nos interesa, cabe destacar el hecho que en la dé­ cada de r 5 Bo se completo el circuito de torres de vigfa situadas en la cos­ ta, hcchas para prevenir los ataqucs corsarios, pero quc tanta importancia tuvieron en las actuaciones y la persecuci6n de los bandoleros 13• Por ultimo, y por lo que se refiere al propio territorio insular, se ha de recordar que la isla de Mallorca no es muy extensa ( 3 .625 ,77 Km2). Geo­ logicamente, se ha formado a partir dc una cubcta dc scdimcntaci6n situa­ da cntrc dos zonas montafiosas: la sierra N. con siete cumbrcs quc rondan los 1 .000 ms., aunque ninguna supera los 1 .500 ms. de altura y las Sierras de Levante, discontinuas y poco elevadas. En el centro se halla el Pia o llanura centrai quc se abrc a dos bahfas: la dc Alcudia/Pollcnça por cl Nortc y la dc Palma por cl Sur. El hccho no es baladf ya quc, como se vera, en Mallorca también se rompe el mito de que el bandolerismo era un hecho exclusivamente de montafia. Esta pequefia superficie, muy accidentada y con una red viaria insufi­ cicntc 14, pcrmitira cxplicar adcmas otra dc las pcculiaridades de los ban­ doleros mallorquines del barroco. A no ser excepcionalmente, casi nunca usaron caballerfas r ' . Sus viajes y hechos de armas se dieron siempre a pie, sin que aparezcan los caballos, mulas u otros équidos como parte esencial dc cstas formacioncs 16 • Hist6ricamente la isla se dividia en tres comarcas, ademas de la ciudad (Ciutat de Mallorca) : las Montafias, el Pia y la Marina, aunque solo en de­ terminados momentos se individualizaba la Marina. En principio, no hubo ninguna dc ellas quc se librara dc bandolcros. Se ticncn abundantcs noti­ cias de las salidas de las autoridades en el periodo 1 5 6o- r 6oo para investi­ gar crfmenes y apaciguar rifias entre banderias 17• Tal como se puede ver en la siguiente tabla, no existe una comarca indemne ni una en la que prcdominen dc mancra notoria los conflictos dc ordcn publico:

JAUME SERRA I BARCEL6

TABLA

2

Salidas dc las autoridadcs para investigar ascsinatos 1'6o-1,70

1 , 70- 1,80

9

4 5 7

Montana Pla Marina

3

y

pacificar banderias 1 ' 8 o - 1 ,90

1,5)0-1 600

1

4 I3 II

32 23 3I

A partir de otras fuentes, se puede deducir una distribuci6n del lugar de nacimiento o de residencia de los bandoleros de la primera mitad del siglo XVI o principios del siglo XVII:

TABLA

3

Proccdencia dc los handolcros mallorquines de la primera mitad del siglo 1,!3

%

N. Ciutat Muntanya Pla Total

TABJ.A

IO

6 2 I8

55,56 33,33 1 1,11

1 00,00

Total

l Hl

!,29

t\.

%

N.

7 46 45 98

6,8o 44,66 43,69 95,2 1

12 45 75 132

%

9,09 34,09 5 6 ,82 r oo,oo

4

Proccdencia dc los handolcros mallorquines de principios del siglo 1 ' 94

Ciutat Muntanya Pla Total

N.

%

""

6 7 9 22

27,27 3 1 ,82 40,9 1

8 13 13 34

r oo,oo

N.

%

29 97 122 248

12,13 38,34 48,22 98,70

XVII

1604 · 1 607

I'9'

%

2 3 ,5 3 3 8,24 3 8,24 I OO,OO

N.

3 4 9 r6

XVI

%

r 8,75 2 5 ,00 56,25 r oo,oo

I607 - I 6 I 9

N.

%

IO

22 ,73 34,09 3 8 ,64 95 ,45

1

5 17 42

En conjunto, para cl periodo 1 594- 1622, quc marca una distribuci6n cqui­ ponderable, los bandoleros documentados se distribuyen de la siguiente m anera:

257

EL PESO DE LA r:t\SULARIDAD TABLA 5

Total

Ciutat Muntanya Pla Total

N.

%

39 119 1 34 2 92

r 3,22 40,33 4 5 , 42 98,97

Es cierto que algunas cuadrillas de bandoleros mallorquines, especialmente

la llamada "Colla de Selva " , nacieron en las montafias y sus principales centros de actuaci6n y refugio fueron los bosques, cuevas y grandes pro­ piedades de la Sierra Norte. De hecho, en una conversaci6n entre dos bandoleros de esta partida, uno dijo al otro:

- fadrins, jo seria de parer que ne tornassem devés Selva, que allà és la nostra fortaleza, i que lo dit Mulet digué. - jo ja tinch aquexa intendo, que aquest no és lo meu agre, perquè no m.agrada de lloch pla 18• -

Por otra parte, existe una red de caminos secundarios, independiente de la carretera Palma-Alcudia, que permite atravesar la isla de bahia a bahia. En esta red se han localizado buena parte de los delitos cometidos por las grandes partidas. Por este motivo se tiende a llamarla Ruta dels Bande­ jats 1 9• Como se ve, también en Mallorca se deduce que el bandolerismo era un fenomeno especialmente montaraz, pero no de forma exclusiva. Fueron las grandes cuadrillas las que tendieron a refugiarse en las montaiias: alli existian bosques, cuevas y, en especial, grandes propiedades (possessions) que les daban cobijo, alimento y noticias. Pero ni por el origen de las bandoleros, ni por su radio de acci6n, ni por sus intereses se pueden con­ siderar exclusivamente un fenomeno de montafia. Los hombres

Las ultimas aportacioncs cn cl cstudio del bandolcrismo han puntualizado mucho los conccptos dc bandolerismo social (scgun la dcfinici6n dc E. Hobsbawn) o dc las hi}os de la miseria (scgun cn plantcamicnto dc J. Re­ gia). Una utilizaci6n mccanicista sugcria como cxplicaci6n dc las cpidcmias dc bandolcrismo quc una serie dc coyunturas ccon6micas advcrsas ( cspc­ cialmcntc agrarias) provocaban un cmpobrccimicnto gcncralizado dc las sectores marginales dc la poblaci6n que se veian obligados a lanzarse al monte para poder sobrevivir. Dc csta manera, cl bandolerismo seria una soluci6n logica dc la sociedad del Antigua Régimen, una sangria que se

JAUME SERRA I BARCELO

producfa cuando coincidfa un exceso demografico con una crisis economi­ ca. De est a m an era, las sociedades agrarias eliminaban de rafz los exceden­ tes y, a su vez, canalizaban la violencia latente. Esta explicaci6n mecanicis­ ta también se ha aplicado en el caso mallorqufn. Asf, en un estudio realizado sobre la delincuencia en el periodo I 6 I 3- I 6 I 9 a partir de las listas de presos en la carcel real de Mallorca, una vez aplicados los diversos fndices sobre cosechas de trigo, precios y numero de presos, se podfa deducir la siguiente tabla: 6 La falacia de las cifras

TABLA

Cosccha dc trigo Quarteres

1612 1613 r614 1615 r6r6 1617 1618 1619

77,73 29,90 9 1 ,78 90,5 1 73,78 32,29

264.000

78,93

Cosecha d e trigo i

=

Presos

Sueldos

260.000 1 00.000 3 07.000 302 .747 246·770 108.ooo

1 00 cosecha d e 16oo

Dclincucncia

Prccio del trigo

64, 1 6 40,60 50,00 45 ,40 64,20 78,oo 68,50 54,00 =

1 1 6,65 73,82 90,9 1 82,55 1 1 6,73 141 ,82 124,55 98,r8

241 107 212 269 339 352 274

94, 14 4 1 ,80 82,81 105 ,08 1 3 2 ,42 137,50 107,03

334 · 478 quarteres

Precio del trigo i = 1 00 precio en r 6oo = 55 sueldos/quartera Delinquencia i = 100 = media = 256 presos

A partir de esta tabla se extrafa una grafica que permitfa establecer el parale­ lismo y unas relaciones de proporcionalidad entre el conjunto de la cosecha de trigo, su precio en el mercado y la mayor cantidad de presos. En pocas palabras se establecfa una relaci6n de causa efecto entre alcance de la cose­ cha, aumento del precio del trigo y mayor tasa de delincuencia ( bando­ lerismo) . Sin embargo, las falacias son evidentes: identificar delincuencia y bandole­ rismo, suponer que el precio del trigo depende especialmente de la cosecha, considerar que los tres parametros estan relacionados como causas y efectos cncadcnados, quc un periodo dc hambruna impulsa la poblaci6n marginai al bandolcrismo 20• De hecho, y solo considerando los precios del trigo, se cono­ ce de una manera bastante aproximada los sistemas de manipulaci6n del mer­ cado, tan intensa quc solo cl 2 5 % dc los afios dc un periodo dc dos siglos (XVI-xvn) cl precio se pucdc considerar una variablc dcpcndicntc dc otra apa­ rcntcmcntc indcpcndicntc como era la cosccha 2 1 • Por muchos motivos, por lo tanto, no se pucdc acudir a cxplicacioncs mccanicistas prcscindicndo dc otras quc, quizas, pucdan rcsolvcr mcjor cl problema. Por otra parte, cuando se ha profundizado cn las biograffas dc bandolcros =

259

EL PESO DE LA 11'\SULARIDAD GRAFICA

I

La falacia de las cifras 1 50 A.

! 20 I lO 1 00

8o 70 6o 50

/r-1" � / � \ / � '\ � \ /r... \ .....-/ ' A �� ,.,..\ v l \ l \ l \ , .....-v ��



""" ����o.







20 IO o

1612

D Presos

1613 - Cosecha

1618

- Prccio

y en sus movimientos cfclicos también se ha podido comprobar que esta ex­ plicaci6n mecanicista tenia abundantes lagunas. Para el profesor X. Torres un aumento demografico y una coyuntura agraria advcrsa pucdcn ayudar a cn­ tcndcr los proccsos dc formaci6n y dcsarrollo dc las partidas dc bandolcros, pero no las explican en sf mismas ni un cambio de coyuntura implica la des­ aparici6n de una epidemia de bandolerismo. Por otra parte, y en el caso cata­ lan, se ha planteado el hecho de que los bandoleros se hallaban muy alejados de ser mayoritariamente los hijos de la miseria que definfa J. Regia 22 • Este panorama se ha confirmado totalmente para cl bandolcrismo ma­ llorquin, cspccialmcntc para las grandcs cuadrillas. Es cicrto quc cxisticron bandoleros que se pueden calificar como hijos de la miseria, pero nunca llegaron a ser mas que meros comparsas. La corta biografia de uno de ellos puede servir de ejemplo 2-3• Antoni Gibert, Treufoc, fue el autor material de uno de los asesinatos po­ lfticos dc mayorcs consccucncias dc la historia mallorquina: la mucrtc del jucz dc la Rcal Audicncia don Jaimc Juan dc Bcrga cn r6r9 24• Trcufoc era un jo­ vcn hortclano, inculto c incluso algo bestiai. Trabajaba con su padre cn unos

260

JAUME SERRA I BARCEL6

huertos cercanos a la ciudad. En 1 6 1 3 la cosecha de trigo fue tan mala que la gente llcg6 a terminar con la cortcza dc los arbolcs. Fuc sorprcndido !O­ bando trigo y encarcelado por primera vez. Después de cumplir una senten­ cia relativamente benigna, se le balla dc nucvo trabajando cn otro bucrto bas­ ta r 6 r 8 . En este afio se dio otra cosecha terrible; en esta ocasi6n roba uva y ademas amenaza de muerte al alguacil que fue a detenerlo: acumula los car­ gos dc rcincidcncia y resistcncia a la autoridad. Fuc condcnado a galcras, pe­ ro estando encerrado en la prisi6n participa en una fuga que habfa preparado cl dirigente dc la partida dc bandolcros dc Selva 2'. Sera Ilevado a las monta­ fias e introducido en la cuadrilla por otro famoso bandolero. Allf, mediante vagas promesas, accedera a bajar a la ciudad para vengarse y cometer un ase­ sinato. Se convcrtira cn cl autor materia! del mismo y sera capturado mcnos de dos semanas después. En total, su vida como bandolero no supero los tres mescs. Al dirigente dc la cuadrilla jamas se le capturo. De becbo, la cuadrilla de Selva no tenia un solo dirigente, sino que lo era toda una familia: la Ferragut a. Boda 26 • Uno de los hermanos actuaba como jcfc operativo, micntras quc cl jcfc tactico era cl sacerdote llamado Mateu Ferragut, "lo Cape/là Boda}). Esta familia no era precisamente po­ brc. Dc bccbo, cn cl catastro dc 1 609, cl jcfc dc la casa tcnfa propicdadcs por valor de 1 .090 libras mallorquinas; es decir, se podfa considerar de la mà major. Sin embargo, mas que la cantidad era la categoria de los bienes: olivares, vifias, participaciones en almazaras y, especialmente, la mitad del tejar que existfa en aquella poblacion 27• Los Ferragut, Boda, por lo tanto, no cran precisamente "bijos dc la miseria" . En esta cuadrilla de bandoleros se integraban miembros y berederos de grandes propiedades agrarias, como las possesssions de Menut, B6quer y también familiares de la lnquisici6n, artesanos, miembros de la administra­ cion. Lo mismo ocurre con la segunda cuadrilla del siglo XVII, la de Llo­ rcnç Coli Barona, quc actuo cn la década dc T 640, aunquc cn este caso solo él parece directamente relacionado con el bandolerismo. Los bienes de este linaje en 1 668 (cuando ya se habfa producido el secuestro de las propiedades del bandolero) superaban las 2 .ooo Iibras mallorquinas 2 8• En este caso, también hallamos en la partida grandes propietarios, herederos y poblaci6n eminentemente urbana. Incluso se tiene un caso de un caballero empobrecido que se puso al frcntc dc una partida dc bandolcros, aunquc pucdc considcrarsc cxccpcio­ nal. Se trata de Mn. Francese Axel6 29 que presidio una cuadrill a dirigida de hecho por un antiguo soldado y que actu6 en la zona de las montafias en la década dc r 570. Ya cn cl siglo XVII se ballan caballcros quc pasan al monte para buir de la justicia o para vengarse. El caso mas famoso, que llego a ser conocido cn divcrsas cortcs curopcas, fuc cl dc don Joan dc Santacflia quien, para vengar la muerte de su bermano, llego a provocar mas de 400 muertes mientras él morirfa octogenario en su cama después de haber ocu­ pado los cargos mas rclcvantcs cn cl cjército y gobicrno del Reino 3 0 • En este sentido, por lo tanto, nos ballamos con un panorama practica­ mcntc idéntico a los casos catalan y valcnciano. En Mallorca, adcmas, se tic-

EL PESO DE

LA

r:t\SULARIDAD

ne constancia documentai de como los bandoleros cobraban un sueldo 3 1 • N o s e trataba solo que sus valedores Ics aportasen alimentos, vestidos, armas o medicinas, sino que cobraban un jornal como cualquier otro trabajador. Este hecho, ademas de su profunda vinculaci6n con las banderfas de Cana­ munt y Canavall 32, permite cxplicar la aparente contradicci6n de que casi ninguna partida de bandoleros de estos siglos perpetrara robos u otros actos simplemente por el afan lucrativo 33• Es cierto que robaron, asaltaron y extor­ sionaron, pero cuando se documenta a quicn, cn quc ocasi6n y bajo qué cir­ cunstancias, se deduce con daridad que los aspectos econ6micos eran secun­ darios. El bandolero mallorqufn del barroco, por lo tanto, no era un simple saltcador dc caminos. Las cuadrillas Ya se ha visto que, por lo menos en el caso mallorqufn, no se puede consi­ derar que cxistiera una zona, comarca o pucblo librc dc la epidemia de ban­ doleros durante los siglos XVI y XVII. En aquellos lugares en los que no se ha detectado es, simplemente, por falta de estudios, pero la publicaci6n de cada nucva historia local completa cl panorama ya conocido. Todos los puc­ blos tenian, en principio, sus propios bandoleros y algunas actas municipales asf los consideran. Estos grupos nunca rompieron con sus comunidades de origcn. Micntras podian, rcsidian cn sus casas con sus familias y huian al campo cuando recibian aviso de la llegada de las autoridades o de bandole­ ros enemigos. Si su situaci6n era delicada, acostumbraban a acudir a sus ca­ sas dc noche y disfrazados si era ncccsario 34• Con todo y cn generai, se Ics puede considerar integrados en la vida diaria de su localidad. Por ello, sus familiares, amigos directos y especialmente sus hijos menores era objetivos prcfcrcntcs dc sus cncmigos. Por regia generai las partidas locales no eran muy numerosas: pocas veces superaban los r o miembros por lo que en el siglo XVI 35 se reforzaban con unos pcrros dc ataquc tcrriblcs basta quc cn 1573 se ordcn6 su censo y cx­ tinci6n 36• Ademas, la parti da se formaba a partir de personas con vinculos previos, familiares o solidarios. Sin embargo y pese a que el espacio de ac­ tuaci6n preferente era cl cntorno inmcdiato, a mcnudo se trasladaban dc un lugar a otro. Es por este motivo que resulta tan importante el estudio de las redes logfsticas como el de los componentes reales de una partida. Familiares, amigos o micmbros dc una bandcrfa cran los cncargados dc aportar alimentos, vestidos, medicinas, armas y noticias a las diferentes partidas. De todo ello, dependfa su operatividad, pero también su supervi­ vcncia. Dc csta mancra, bucna parte del éxito dc la campana rcalizada cn 1 666 y que basta cierto punto acab6 con el bandolerismo mallorquin se debi6 al hecho de que se arbitraron medidas de denuncia an6nimas que pcrmiticron dcsmontar cstas rcdcs 37• Las cuadrillas, propias del siglo XVI, estaban integradas por lo tanto por pequefios grupos en los que no es extrafio encontrar esclavos fugiti­ vos 311; las hay formadas incluso por tan solo dos pcrsonas. Se rcforzaban

JAUME SERRA I BARCEL6

con perros de presa y sus actuaciones eran generalmente muy localizadas. Hacia la década de 1570, empie:lan a notarse variacioncs importantcs: au­ mento el numero de sus miembros; cada vez tomaron papeles mas deter­ minantcs los antiguos soldados y los habitantcs dc la ciudad; fucron dcs­ apareciendo los perros y, en particular, se fue substituyendo la ballesta por las annas de fuego 39• Todo ello preparaba el nuevo modelo de bandoleris­ mo que se dio cn cl siglo siguicnte. A lo largo del siglo XVII continuaron existiendo las pequefias cuadrillas lo­ calcs, pero sus rclacioncs dc dcpcndcncia con otras organizacioncs mayorcs se hacen notorias. Tendieron a agruparse en dos grandes formaciones que, de manera genérica, recibieron el nombre de Canamunt y Canavall. En 1666, se­ guramente cxagcrando la nota, algunos cronistas hablan de un triunvirato que gobemaba todos los bandoleros del Reino y que estos superaban los mil 40• Si se tiene cn cucnta quc la poblacion total dc la isla rondaba los Ioo.ooo habi­ tantes se puede comprender el alcance de la percepcion del problema 4 r . El bandolerismo del siglo XVII, por lo tanto, esta marcado por una serie dc modificaciones estructuralcs notables, pero quc se dicron cn divcrsos inten­ tos y ritmos. El primer capftulo, se documenta con la ya citada cuadrilla de Selva, crcada a iniciativa dc un noblc, don Amau dc Santacflia. Este llcgo a protagonizar un asalto a la prision para librar bandoleros y, seguramente, fue él quien encarg6 su direcci6n a la familia de Selva Ferragut a. Boda. Como ya se ha dicho, el jefe operativo era un hijo, seguramente bastardo, mientras que el tactico era un hijo sacerdote, ya que esta condicion le permitfa una li­ bertad de accion y movimicntos quc otra persona no hubicra podido tencr 42• La cuadrilla de Selva podfa llegar a reunir en un momento determina­ do medio centenar de bandoleros 43• Es, por lo tanto, equiparable a cual­ quier fonnacion continental. Por otra parte, su armamento ya es principal­ mente de fuego y en su estructura no se detectan esclavos ni perros de presa. Para podcrsc movcr con mayor libcrtad, la cuadrilla se fraccionaba en grupos mas pequefios, teniendo convenidos puntos de refugio, reunion o abastecimiento. Sin embargo esta primera gran cuadrilla no paso de intento, ya que tuvo una vida effmera. Determinante, pero effmera. Estaba adscrita a la bandcrfa de Canamunt y, cn r6r8, tuvo lugar cerca del Santuario de Lluc una gran batalla entre ellos, de una parte, y comisarios y bandoleros de Canavall dc la otra. La consccucncia inmcdiata fuc la mucrtc dc algunos de sus miembro y la captura de buena parte de ellos, incluido su jefe, co­ nocido como Lo Negret Boda. Su hermano, cl sacerdote Matcu Fcrragut a. Boda, se traslado inmcdiata­ mente a la Ciudad para interceder por él y los otros bandoleros capturados. Nada pudo haccrsc, ya quc se celebro un juicio sumarfsimo y al dia siguicntc se ejecuto a los maximos dirigentes. En consecuencia el sacerdote preparo la venganza: pianifico una hufda masiva de la carcel y la reorganizacion de la partida. Una vez consumado el plan, trajo uno de los bandoleros para come­ ter el asesinato que le vengara. SOlo la casualidad provoco que la vfctima fue­ ra cl juc:l dc la Real Audicncia don J aimc J uan dc Bcrga 44•

EL PESO DE

LA

r:t\SULARIDAD

El asesinato Berga fue considerado delito de lesa majestad. Los inculpa­ dos directamente fucron detenidos al cabo dc poco tiempo y ejccutados de manera ejemplar, excepto el Cape/là Boda que fue sa cado de la isla por sus protectorcs. La cuadrilla qued6 dcsecha y, pese a que algunos de sus intc­ grantes formaron pequefias partidas, cayeron uno tras otro. A finales de la década de I 62o aparece una nueva fonnaci6n de bandole­ ros, todavia incipiente. La preside un miembro dc una familia dc grandes propietarios, Joan Femenies a quien, por su aspecto, le llegarfan a apodar David Pro/eta. Esta nucva cuadrilla tiene un papcl relevantc: es el brazo ar­ mado del pueblo de Santa Margarita en su lucha contra del primer conde de Santa Maria de Formiguera que querfa ampliar su jurisdicci6n sobre la vi­ lla. Los conflictos antisefioriales de aquella poblaci6n se habian iniciado ya a principios del siglo xvi, pero sera a partir de la concesi6n del condado ( T 6 3 2) que adquiriran una mayor violcncia 4'. En 1 630 aparece en esta partida un joven natura! de una villa de las montafias: Llorenç Coli a. Barona. Poco a poco ira escalando en la jerarqufa dc la cuadrilla, de tal manera que, scguramente a partir dc 1 634, se produce una escisi6n. Llorenç Coli tendra su propia cuadrilla y llegara a atacar a su antiguo jcfc. Sera él quicn provocara su captura y ejecuci6n, asi como los de algunos destacados miembros de su antigua cuadrilla. Llorenç Coli Barona es lo que mas se parece en Mallorca al jefe de un estado bandolero ya que no solo lleg6 a integrar una cuadrilla que podia reunir en caso de peligro mas de un centenar de bandoleros, sino que ne­ goci6 como si tratara de otra potcncia con la corona. Dc hecho, en una batalla contra comisarios dejaron sobre el terreno cerca de un centenar de capas. En principio esta cuadrilla cstaba vinculada a la banderfa dc Cana­ munt, pero existen multitud de indicios de que esta vinculaci6n no era una subordinaci6n sino una relaci6n pretendidamente entre iguales ya que cuando le intercs6 se pas6 al bando de Canavall. Se trata, por lo tanto, de algo mas que un peligro para el orden publico. De hecho lleg6 a substi­ tuir a autoridades lcgftimamcntc constituidas y su ejército} cn dctcrminado momento, estuvo a punto de apoderarse de la capitai del reino. En I 644 se preparo en su contra la primera gran campana militar di ri­ gida a la captura dc los bandolcros dc Mallorca. Fracas6, ya quc sus vale­ dores le habfan avisado y practicamente se salvo por escasas horas. En un momento dctcrminado se le nombr6 comisario rcal para capturar algunos bandoleros enemigos suyos y ninguno de ellos lleg6 vivo a la ciudad. Tuvo que huir nuevamente y se refugi6 en el domicilio de una noble dama y la justicia orden6 la demolici6n de la casa como castigo. Su existencia supo­ nfa un problema tan real que un fraile se ofreci6 para negociar con él la rendici6n, aunque las condicioncs quc exigi6 fueron inaceptablcs. Se consi­ gui6, por lo menos en dos ocasiones, que él y sus bandoleros dejaran la is­ la para cnrolarsc cn los cjércitos rcalcs a cambio del pcrd6n. En una dc ellas no lleg6 ni a embarcar; en la otra regresaria clandestinamente al cabo de poco tiempo. Llorenç Coli Barona morirfa asesinado por personas des­ conocidas en 1655 mas dc 25 afios después de iniciar su carrcra 46•

JAUME SERRA I BARCEL6 Banderias

y

bandoleros

La mayor parte de las ultimas aportaciones han configurado un panorama generai que, para la Corona de Arag6n y pese a notorias excepciones, per­ mite vislumbrar quc las partidas dc bandolcros no cran si no los brazos armados de otras formaciones sociales mas complejas que reciben diversos nombres: bandos, partidos, banderfas, bandosidades. Des esta manera, una dcfinici6n bastante aproximada dc bandolcro es la quc trata a la persona como miembro armado de un bando 47• Por otra parte, la historiograffa tradicional ha tcndido a mcnosprcciar cl papel de las banderias. De hecho, y el caso de Mallorca es muy daro en es­ te sentido, las banderias aristocniticas cumplen perfectamente el modelo pre­ scntado por P .L. Lorenzo Cadarso: cn cl fondo dc cualquicr pugna se balla la lucha por el contro! del poder 48• Pese a que la comparaci6n de las bande­ rias de los siglos XVI y XVII con los modernos partidos polfticos es una exa­ gcraci6n 49, el panorama quc nos ha prcscntado cl profcsor E. Bclengucr para la década de 1 5 60 es suficientemente ilustrativa de la multitud de mecanis­ mos que usaban estas formaciones en sus luchas: panfletos, espiritualidad, contro! de cofradias, contro! del mercado, monopolio dc cargos publicos 'o. Este panorama puede extenderse desde el siglo XIV al siglo XVIII. El hecho curioso es que estas banderfas, habitualmente presididas por la aristocracia, tienen unas estructuras complejas que, sin embargo, a la larga tienden a la bipolarizaci6n. Por una parte, se organizan jerarquicamente de mancra vcrtical o intcrdasista: a partir dc una jcfatura conscnsuada y univer­ salmente reconocida, se van extendiendo bacia escalones inferiores de la so­ ciedad hasta llegar a la poblaci6n marginai F. Cada banderfa establecfa sus mccanismos de subordinaci6n que se parecian mucho al patronatus romano '2• En este sentido, las polfticas matrimoniales de los linajes superiores con los inferiores Oa llamada venta de mujeres), los vinculos econ6micos u otros ele­ mentos mas ctéreos cran muy tenidos en cuenta y controlados. De esta ma­ nera, grandes formaciones de la aristocracia urbana tenderan a agrupar otras bandcrias popularcs, ruralcs, localcs o familiarcs. Mediante cstas alianzas sur­ gen las grandes banderias, agrupando en torno a uno o varios linajes y una jefatura universalmente reconocida, otras agrupaciones menores que habitual­ mcntc cran prccxistcntcs. Es la difcrcncia quc denota la documcntaci6n legai mallorquina cuando distingue entre banderia y questi6 '3• Pero por otra existen unos mecanismos horizontales que aunan linajes, dancs o familias teoricamente igualcs H. En este caso también se utilizan mecanismos de estructuraci6n semejantes: endogamia, relaciones econ6mi­ cas y, especialmente, la herencia de los enfrentamientos y enemistades. Unas y otras estructuras ya se detectan a partir dc la conquista fcudal de 1229, pero no sera basta la segunda mitad del siglo xv y después de diver­ sas convulsioncs civilcs quc adquiriran su maximo csplcndor. Cada bandc­ ria aristocratica fue credendo y agrupando estructuras sociales semejantes o parcialidades locales a las que ofrecfa su ayuda y protecci6n ". En un principio, los bandolcros fucron los cjércitos particularcs dc cstas

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banderfas. Sin embargo, la legislaci6n del Reino de Mallorca prohibfa el dere­ cho feudal de host e cava/cada '6 y, por lo tanto, los ejércitos o guerras parti­ culares. En la practica, nunca se hizo caso a esta prohibici6n y en especial durante el siglo xv '7• En la practica estas banderfas ya rcunicron cjércitos de criados, artesanos y campesinos a los que pagaban un sueldo. En un princi­ pio, estos bandoleros se buscaron entre los que, por naturaleza, ya se halla­ ban vinculados a una dcterminada casa aristocratica. Por ello, uno de los si­ n6nimos mas antiguos del concepto banderizo era el de casolà '8, el cual origi­ nalmcntc se rcfcrfa al micmbro no familiar dc una dctcrminada casa aristo­ cratica. A partir del siglo XVI y con el refuerzo de los poderes de la corona, las banderfas aristocraticas tendieron a disimular la formaci6n de sus ejércitos particularcs, pero los proccsos conservados demucstran claramentc que la im­ punidad de los nobles no se debfa a este disimulo, sino a los privilegios de rango quc Ics dcjaban fucra del sistema rcprcsor '9• En el caso mallorquin las grandes banderias tendieron a agruparse en dos formaciones 6o que habitualmente tenfan una denominaci6n derivada de top6nimos: Aragoncsos - Brctons y Aragonesos - Mallorquins cn cl si­ glo XTV 6 1 ; Almudaina - Cali o Almudaina - Born en el xv, hasta que las Gcrmanfas, como pasara cn Valcncia, rcmodclan todo cl panorama social. Durante el siglo xvi aparecen las primeras banderias aristocraticas con de­ nominaci6n de linajes (hecho nada excepcional en las banderfas rurales), cuando todas las denominacioncs anteriores tcnfan su rafz en la toponimia. Son los llamados Torrelles y Puigdorfiles 62• Al principio estas banderfas se­ ran cnfrcntamicntos quc agruparan pcrsonas ligadas solo por vfnculos dc sangre. Sin embargo y después de un intento de pacificaci6n, los verdade­ ros dirigentes pasaran a ser miembros de otras familias, aunque por inercia y por mas de sesenta afios con la misma denominaci6n. Las modificaciones en la terminologia de las banderfas obedecen no a cambios cstructurales profundos ( que siemprc se dieron dc m anera muy paulatina a no ser como consecuencia de las Germanfas) sino a los meca­ nismos naturalcs dc substituci6n. Se ha podido comprobar quc cl cambio de denominaci6n obedece a causas muy simples: la muerte o vejez de uno de los jefes; su substituci6n por un nuevo jefe sin fuerza o carisma. En todo caso los ciclos dc substituci6n de los términos siemprc se acercan mucho a los cidos generacionales. Si un determinado jefe de banderia era cspccialmcntc longevo o su hcrcdcro natura! asumia sus funcioncs, la jcfa­ tura se transmitia por herencia y la denominaci6n se mantenia. Si el jefe era substituido, esta substituci6n conllevaba, aunque de manera incons­ cientc, un cambio en la denominaci6n. De esta manera los Torrellas y Puigorfiles, que habfan nacido en la dé­ cada dc r46o como un cnfrcntamicnto puntual cntrc dos linajcs, pasaron a ser las formaciones predominantes a partir de 1525. En este periodo los jefes de cada una de las banderfas eran, a su vez, elementos claves del li­ naje Torrella o del linaje Puigdorfila. En la década de 1570, sin embargo, estos linajes ya no ocupaban lugares dirigentes en las mismas y ya entre los bandoleros, surgiran los términos dc Canamunt y Canavall denomina-

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cton de las banderfas aristocniticas del siglo XVII 63• Pero estas nuevas for­ macioncs pnicticamcntc ocupaban toda la isla dc Mallorca y todos los gru­ pos sociales. Esto fue posible gracias al proceso de descomposici6n social de la isla. Sera una de las caracterfsticas de "modernidad" de estas nuevas formacioncs socialcs. En este sentido hay que tener en cuenta que después de las Germa­ nfas, lejos de pacificarse, las tensiones sociales se habfan agravado ya que no se habfan solucionado ninguno de los problemas que originaron la re­ vuelta y ademas se habfan superpuesto los derivados de los odios persona­ Ics crcados por las difcrcntcs actuacioncs dc grupo o por la rcprcsi6n. Hasta la década de 1 5 60, por lo tanto, las diferentes vill as estaban lejos de ser un remanso de paz como lo demuestran, por ejemplo, los presos en­ carcclados cn r 5 5 3 por motivos dc ri.fias (rixa): TABLA 7

Lugar de procedencia de los detenidos a causa de rifias en I 55 3 Lugar

F

Ciutat Pollença Porreres Campos Sancelles Muro Petra Inca Sineu Manacor Alaro Alcudia Lluchmajor Esporles Felanitx Santa Margalida Artà Santanyi Bunyola Valldemossa Puigpunyent Binissalcm Selva Calvià S a Pobla S6ller Montuiri Santa Maria Total

44

9 9 3 3 2

4 3 I

I 3 5 27 I3 2 I 6 6

2

3 2 156

% 1 1,56

% / 180

% / 6,50

2 8,20 5,76 5,76 1 ,92 T ,92 I,28 o,64 2,56 I ,92 o,64 o,64 o,64 I ,92 3,20 17,30 8,33 1,28 o, 64 o,64 3 ,84 3 ,84 o,64 I,28 o,64 o,64 T ,92 I,28 o,64 99,9

24,44 5 ,00 5 ,00 r ,66 r ,66 r,I I 0,5 5 2 ,22 I ,66 0,55 0,55 0,55 r ,66 2,77 15 ,00 7,22

6,76 I ,3 8 1,3 8 0,46 0,46 oa o 0,15 o,6r 0,46 0,15 0,15 o,I5 0,46 0,76 4,15 2 ,00 0, 3 0 0,15 o,I5 0,92 0,92 0,15 0,30 o, I 5 0,15 0,46 0,30 0,15 2 3 ,9

I,II

0,55 0,5 5 3,33 3 ,3 3 0,55 I,II

0,55 0,55 I ,66 r,I I 0,5 5 86,6

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La segunda mitad del siglo XVI fue, por lo tanto, un periodo de dura prueba. La isla lleg6 a extremos notorios de superpoblaci6n, los enfrenta­ mientos polfticos entre la oligarqufa urbana y el mundo rural (Part Forana) eran continuos, de tal manera que reaparecieron con fuerza los intentos de dividir el reino en dos universidades. Las diversas villas vefan como diaria­ mente se producfan grandes peleas y asesinatos, campando diversas cuadri­ llas a su aire e imponiendo la ley del mas fuerte. A falta de un ejército es­ table, un sistema represor practicamente inexistente, las autoridades tenfan pocas armas para combatir la violcncia. Una dc cllas era la dc nombrar como comisarios a los bandolcros dc una dctcrminada partida para perse­ guir y capturar a sus cncmigos, cosa quc, a la larga lo unico quc provoca­ ba era un aumento dc la violcncia. Dc csta mancra, como fuc cl caso dc Llorcnç Coli Barona, practicamcntc se autorizaba a los bandolcros a tornar vcnganza de sus encmigos dando a cstos asesinatos una patina de legali­ dad. Como se puedc suponer, la corona sicmpre estuvo en contra de estas practicas. Otro mecanismo consistia en obligar a banderias localcs o partes cn­ frentadas de una rifia a firmar treguas o concordias forL:adas (sagraments i homenatges) . El analisis de su dispersi6n en este periodo puede ser, tam­ bién, un buen elemento dc anilisis para entender el grado de descomposi­ ci6n social:

8 Sagraments i homenatges de Mallorca (1559-1567)

TABJ.A

Villa

N.

%

No consta

9 2 8 5 6 5 II 6 2 3 6 3 5 8 9 3 5

8,4 9 r,89 7,55 4 ,72 5 ,66 4 ,72 I 0,38 5 ,66 I,89 2,83 5 ,66 2,83 4 ,72 7,55 8,49 2,83 4 ,72 0,94 0,94 0,94 0,94

Valldemossa

Pollença Petra Llucmajor Muro Manacor Sineu Sencelles Porreres Selva Campanet S6ller Algàida Alcudia Felanitx Artà Montuiri Santa Margalida Sa Pobla Inca

268

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Campos Alar6 Santa Maria Bunyola Sant Joan T o tal

I

106

r ,89 0,94 0,94 0,94 0,94 T OO,OO

Los niveles de violencia que se alcanzaron a principios del siglo XVII en la mal llamada Isla dc la Calma fucron absolutos y cl grado dc implicaci6n dc pcrsonas y autoridadcs cn las bandcrfas alcanzaba toda la socicdad. El inquisidor Godoy bacia T 6 T 9 cscribfa: Son mas de cuatrocientas muertes las que se han cometido después que estoy aqui, que son tres afios (julio de I6T6-mayo de 1 6 1 9 ) con arcabuces y pistolas alevosa­ mcntc, y son tan ciertas las venganzas, aunquc scan dc causas lcves, quc no hay quien tenga segura la vida [. . ] No hay reservaci6n de unos estados ni sexos, que no esté tocado de este mal espfritu. Los principales de estos bandos son cepas y cabczas con tantos sarmicntos quc cualquier paso quc da la justicia cncucntra con ellos. La potencia suya es toda la que esta ciudad y reino tiene, asf para defenderse y conformarse a cohechar testigos con dadivas y matallos si son contrarios, cosa por aca muy facil y ordinaria, y la misma conformidad tienen en probar lo que quisieren contra quien los ofende y hace justicia, sin que se halle quien defienda a quien la administra, que es un infeliz estado [ . . ] Mientras S. M. no enviare aquf un hombre derecho por Virrey, no sera rey de Mallorca 64. .

.

Como se ve, el clima de descomposicion estaba generalizado y por ello las banderfas del siglo XVII fueron especialmente violentas. Los caballeros de Canamunt y Canavall, por lo tanto, hallaron un terreno abonado para po­ der adscribir diferentes banderfas populares o locales, asf como las peque­ fias cuadrillas que cada una de ellas habfa creado. Entre los investigadores todavia esta en discusi6n el origen y verdadero sentido de estas denomina­ ciones que, por primera vez, eran paralelas y equivalentes. Las dos contie­ nen un principio fisico, pero también antropologico: la partfcula ca que se utiliza todavia en Mallorca como casa de, mas en sentido antropologico que fisico; el segundo término es puramente toponfmico y opuesto: amunt o arriba y avall o abajo 6'. Un historiador decimon6nico, J. Ma Quadrado, apunto la posibilidad de qué estas denominaciones obedecieran orfgenes diferentes, bien una oposici6n entre la montafia y el Ilano bien entra la parte alta y la parte baja de la ciudad 66• A. Le-Senne nego la primera po­ sibilidad estudiando las residencias y principales propiedades de los diri­ gentes de cada banderfa. Solo en la capitai (que todavia se divide en vila d'amunt y vila d}ava/l) la dispcrsi6n dc rcsidcncias pcnnitfa cntrcvcr este origcn 67• Sin embargo el analisis de A. Le-Senne no profundizaba en toda la isla y se ccntraba solamente cn las bandcrfas aristocniticas. Adcmas, pa­ ra csta autora fucron los bandolcros quicncs adoptaron la dcnominaci6n y los sfmbolos, sicmprc con postcrioridad a 1 609. Sin embargo se ha podido documentar quc cntrc las partidas dc bandolcros, aunquc dc mancra inci-

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piente, estas denominaciones ya se daban en 1 5 70 cuando las banderfas aristocraticas tod avia se denominaban Torrelles y Puigdor/iles 68• En este caso, por lo tanto, no fueron los bandoleros quienes adoptaron las deno­ minaciones de las banderias aristocraticas, si no los caballcros quicnes adoptaron unos términos ya usados por los bandoleros. Segun A. Le-Senne, el origen de Canamunt y Canavall aristocratico se tiene que buscar en un duelo ocurrido cn 1 5 9 8 entre miembros de la fa­ milia Anglada y de la familia Rossinyol a causa de un noviazgo. Para esta autora los valedorcs dc los Anglada rccibicron posteriormente la denomi­ naci6n de Canamunt mientras que los de la familia Rossinyol recibieron la de Canavall 69• Sin negar el valor de detonante de las tensiones que supuso este duelo, hemos presentado en diversas ocasiones una hip6tesis diferente. Esta adscripci6n fallaba por diversos motivos, entre los que hay que desta­ car quc ningun miembro de las familias Anglada o Rossinyol fucron diri­ gentes relevantes de las banderias. Sin embargo lo fueron, por ejemplo, los Santacflia. Estos habfan sido los ultimos jefes de la banderfa de los Puig­ dorfila. Lo que se dio por lo tanto (y asi se ha podido documentar en el estudio del bandolerismo del valle de S6ller entre 1 5 70 y 1 6o6) fue una substituci6n natural con un periodo dc supuesta tranquilidad a causa de una minoria en el seno del linaje Santacilia 70• Cuando el nuevo heredero del linaje, Arnau de Santacflia, lleg6 a cierta edad que le permiti6 hacerse cargo de los negocios de su padre, una de las primeras acciones fue la de crear una gran partida de bandoleros que actuase dc brazo armado de Canamunt. Ello se debia al papel predomi­ nante y la ayuda que, desde la Corte, tenian los de Canavall de tal manera que actuaban con total impunidad. Arnau de Santacflia, asf como familia­ res y amigos se interesaron por la suerte de algunos bandoleros capturados en la primera década del siglo XVII, intercedieron por ellos y consiguieron formar una incipiente cuadrilla. Para ello, el propio jcfe dc Canamunt llc­ g6 a asaltar personalmente la carcel real de Mallorca para liberar algunos de sus bandoleros 71• Sin embargo estos mecanismos no bastaban. Habfa que adscribir diversas banderias locales asi como linajes y clanes. Sin em­ bargo Arnau de Santacflia no lleg6 a ver coronada su obra ya que muri6 asesinado en su finca de Alfabia en r 6 r 5 por personas desconocidas, aun­ que seguramente bandoleros de Canavall 72• Su hermano Pere de Santacilia i Pax, que en aquellos momentos debfa tener entre 1 8 y 20 afios, asumi6 la jefatura de la banderia e incluso lleg6 a refugiarse entre sus bandoleros para vengarse. Se convirti6, por lo tanto, en jefe indiscutible de Cana­ munt. Fue de esta manera que surgi6 la ya citada cuadrilla de Selva. I Iasta principios dc 1 6 1 8 su funci6n era de cjército particular: provocar el terror, atacar sus enemigos , luchar contra bandoleros de Canavall o comisarios. Sin embargo tuvieron una funci6n especffica: el asesinato selectivo. Un ca­ ballero solo podia deshacerse de un rival, de manera honorable, mediante un duelo. Pero este sistema tenfa inconvenientes. En primer lugar estaba prohibido por la iglcsia y la corona, pero también suponfan el inicio de

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una nueva escalada de violencia. Para obviar estos problemas, la banderfa de Canamunt (que se hallaba a la defensiva basta aquellos momentos) acu­ di6 a una nueva ta(.1ica: hacer bajar bandoleros desde las montafias a la ciudad para que cometieran un asesinato. El inductor, por lo tanto, solfa quedar en el anonimato. Facilmente se pueden establecer paralelismos en­ tre esta forma de actuar y el moderno terrorismo. El bandolero residfa en pisos francos (incluso en iglesias y monasterios) hasta el momento de co­ meter su accion. Casi nunca existfa una victima unica. Se planteaban listas dc posiblcs pcrsonas y solo las factibilidad dc rcalizar una dctcrminada ac­ cion, es dccir la casualidad, dctcrminaba la vfctima. Dc csta mancra, se bajo a un conocido bandolcro Lo Bort Gater para ascsinar cl virrcy cn un intento frustrado 73; dc csta mancra se termino ascsinando al jucz dc la Re­ al Audicncia don J aumc J oan dc Bcrga. Dc cntrc una lista dc posiblcs vic­ timas fuc él quicn se puso a tiro. El ascsinato Bcrga implico, a la larga, la dcsaparicion dc la cuadrilla dc Selva, pero no la del Canamunt y Canavall popular, ni mucho mcnos cl aristocratico. Canamunt continuaba prcsidido por Pere dc Santacilia quicn tuvo quc abandonar Mallorca. Pese a su lcjania, scguia cstando pcrfccta­ mcntc informado y movia todos los rcsortcs posiblcs para controlar al ma­ ximo la socicdad y la politica del reino. Asi, cl sargcnto mayor del Reino y cronista Viccntc Mut, fue uno de sus corrcsponsalcs y cn una carta del 2 0 d c mayo d c r 643, l e cxplicaba: Por aquf hay guerras civiles: los de Canavall contra los de Canamunt. Ayer se en­ contraron las parcialidadcs junto a Binissalcm: los canavalls cran cerca dc 100, los otros cuarenta y tantos. De Canamunt han trafdo herido y preso a J ordi Grau: han muerto a un criado del Sr. D. J uan Miguel Santa Cilia y a un fulano Mas. De Ca­ navali han muerto a Sebastià Pa, otro Bial6 herido y muerto a Cipo Soler 74•

La desmembracion de la cuadrilla de Selva a raiz del asesinato Berga obli­ go a un replanteamiento de las tacticas. Este hecho coincidio con el cam­ bio de relaciones polfticas, ya que, segun parece el Conde-Duque de Oli­ vares favoreci6 mas a los de Canamunt desplazando de la administracion a los de Canavall 75• La falta de grandes partidas de bandoleros, sin embar­ go, oblig6 a los caballeros a a(.1 uar personalmente. Entre 1 620 y 1 632 la ciudad se desangraba por la violencia: asesinatos, duelos, grandes batallas entre partidarios de unos u otros. El deus ex machina de todo este clima segufa siendo don Pere de San­ tacflia al cual se le llegaron a atribuir, directa o indirectamente, mas de 400 mucrtcs. Sin embargo, don Pere dc Santacilia i Pax, se hallo practica­ mcnte todo cl ticmpo fucra de Mallorca, sirvicndo cn las campafias de los Pafscs Bajos, primcro y dc Catalufia, después. Pese a ello, se pucdc consi­ derar un ficl servidor dc la politica del Conde-Duquc dc Olivarcs 76• Su biografia es dcmostrativa de basta quc punto las bandcrfas se habian in­ crustado en toda la socicdad c, inclusive en las mas altas csfcras de la ad­ ministracion y judicatura. Dc hccho, el ascsinato dc don J aurne Joan dc Berga fuc comctido, cn muchos aspcctos, con la ayuda dc otro jucz dc la

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Real Audiencia: el dr. Albanell que habfa conseguido el cargo gracias a Canamunt 77• Este contro! de la Real Audiencia 78 por parte de las bande­ rfas se detecta incluso en un periodo tan tardfo como I 66o. Por un docu­ mento de este afio se sabe que don Pere de Santacflia y Pax se enfrentaba en los tribunales con el can6nigo don Geroni Ballester de Togores a causa de un pleito iniciado haeia I 640 para defender los derechos de sus hijos Joan Miquel y Nicolau 79• El motivo del pleito era la sucesi6n de Mi quel Ballester, llamado el Grande lk>. Los autos a favor de uno u otro llegaron a generar I I VOlumeneS de documentacion, Sin embargo, el aspeCtO mas in­ teresante, por ahora, es que el can6nigo hizo constar la gran amistad e in­ flucncia quc tenia don Pere con cl virrcy y las altas csfcras dc la corte y quc, también [. ] se valcn, la amistad que todos los oydores dc aquclla Audiència tienen con cl dicho don Pedro de Santacilia & Pax sin determinar actos algunos que denotan es­ trecheza mas de la ordinaria que admite la buena urhanidad y polftica, la qual esta tan agcna en estos términos dc scr causa para recusaci6n, ni tener cn nada visos de viciosa, que antes de suyo es virtud y que obliga a todos segun disposicion pre­ cisa de la naturaleza que quiso r l . ..

...

Don Pere de Santacflia y Pax s e h a convertido, por lo tanto, en paradigma del bandolero aristocratico cuando de hecho jamas lo fue. Un buen ejem­ plo del tratamiento que le dieron los historiadores de final del siglo XIX o principios del xx lo tenemos en el clasico estudio de J uan Segura sobre el bandolerismo catalan de los siglos xvi y xvn: Però ni en Pero t Rocaguinarda, n i en J oan de Serrallonga ni'l mallorqui Pere de Santa Cilia no professavcn enteramcnt aquest handolcrisme facincr6s: son bandolc­ risme era en part cavalleresch y noble, era ben vist y simpàtich a certa part al menys del pohle honrat y fins a persones constitufdes en autoritat religiosa; y fins moltcs vegades hi prcnicn part activa saccrdots o pcrsonas del for ecleshistich 111 •

A partir de I 63 o un nuevo problema se suma a las antiguas banderfas: los conflictos antisefioriales entre los que destacaron los de la villa de Santa Margarita con los condes de Santa Maria de Formiguera, pero que tam­ bién afectaban a Arta con los marqueses de Bellpuig, Lloseta con los con­ des de Ayamans. En estos momentos ya se nota una sustituci6n generacio­ nal en la jefatura de las banderfas. La lejanfa de don Pere de Santacflia cxigfa un jcfc presente y cuando su sobrino, c hijo del mucrto hubo crcci­ do lo suficicntc, fuc él quicn se hizo cargo dc la dirccci6n 112• Sin embargo su jefatura no fue tan indiscutible. Los acontecimientos de Santa Margali­ da y la postura cambiante dc Llorcnç Coli Barona y su cuadrilla asf lo dc­ mucstran. El problema era quc los grandcs linajcs aristocraticos se iban cmpobrccicndo con las luchas. Algunas fucntcs cxplican quc cl scgundo conde dc Santa Maria dc Formigucra, bacia 1 640 hacfa dc sus ingrcsos tres partcs: una para cl mantenimento dc la casa, otra para los plcitos y la tcrccra para sus bandolcros.

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La sangria de personas y haciendas era inaguantable. El primer intento dc conseguir una pacificacion se dio con la Paz Generai dc 1632. Esta paz conseguida a iniciativa del obispo de caballeros que actuaron de intermedia­ rios supuso el teorico final de las banderfas iniciadas por la primera genera­ cion dc Canamunt y Canavall, pero cl rclcvo gcncracional cstaba a punto de producirse. Pocos meses después de haberse firmado la paz ya era un re­ cuerdo, por lo que en I 64 5 se firmo otra que perduro mas no tanto por motivos intcrnos dc la socicdad mallorquina sino a causa dc los con.flictos bélicos 83 • Las diferentes campafias y especialmente la Guerra de Separacion de Cataluiia obligo a trasladar al continente a numerosos caballeros y hom­ brcs dc armas. Se conccdio una amplia amnistia y hacia alli particron. Las banderias aristocraticas poco a poco fueron perdiendo su virulencia 84. Haeia I 666 fueron los propios caballeros que exigieron una campana militar cn contra dc los bandolcros. Bandolcros quc, con cl ticmpo, ya no eran instrumentos d6ciles y que atacaban indiscriminadamente sin atender a los deseos de los dirigentes banderizos. Es cierto que las banderfas aris­ tocraticas, como cl bandolcrismo, no acabaron con la campana dc I 666. De hecho la Guerra de Sucesi6n supone un nuevo capitulo, aunque no tan virulento, pero ni las condiciones ni las estructuras ya eran las mis­ mas 8'. Los tiempos

Ya se ha mencionado como para los historiadores decimon6nicos el siglo fuc cl siglo dc los bandolcros. Su plantcamicnto ha llcgado al cxtrcmo de que se ha negado su existencia para otras épocas. Sin embargo, hoy se sabe que, de acuerdo con el panorama generai, el bandolerismo barroco h un dc sus rafccs cn la Ed ad Media 86• Sin embargo, y como cn cl resto dc la Corona de Arag6n, el bandolerismo mallorquin del Antiguo Régimen tiene dos perfodos algidos: la segunda mitad del siglo xv y el siglo aproxi­ mado quc va dcsdc I 5 6o a I 66o H7• Para la historiografia tradicional solo se podia hablar de epidemia de bandolerismo a partir de 1 6 1 9 88, coincidiendo con el asesinato de don Jai­ mc J uan dc Bcrga. A. Lc-Scnnc, por su parte, rctraso este inicio h asta 1 5 98 89 y nuestras aportaciones lo han retrasado todavia mas pudiéndose detectar un bandolerismo moderno a partir de I 5 6o, cuando ya se habfan acabado las consccucncias dircctas dc la rcpresi6n dc los agcrmanados 90• Fernand Braudel afirm6 metaforicamente que en el mundo meditern1neo del siglo XVI (y seguramente en otras épocas) la historia se hacfa en las pcnfnsulas y se rccibfa cn las islas. Esta disfunci6n dc ritmos cn nucs­ tro caso puede tener la explicacion en este hecho. Sin embargo, incluso desde un punto de vista absoluto, los ritmos del bandolerismo mallorqufn son totalmente cquiparablcs con cl contincntal. Fuc A. Lc-Scnnc quicn cs­ tablecio una primera periodizaci6n para el bandolerismo mallorquin, pero también la reducfa casi exclusivamente al siglo xvn 9'. Nuestras investiga­ doues han am pliado cl panorama: XVII

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1 . Fase inicial ( 1 5 2 5 - 1 5 70). Viene marcada, en primer lugar por la repre­ si6n de los agermanados. Las banderias aristocn1ticas, después de una tregua tactica con motivo del movimiento revolucionario, reinician sus luchas y se reestructuran. En las villas las difcrcntcs bandcrfas localcs cmpiczan a mono­ polizar la violencia aunque las banderias aristocniticas las van adscribiendo a su entomo y sometiéndolas a su control. Las cuadrillas todavfa son de corte medieval; pocos hombres, generalmente parientes, algunos esclavos fugitivos armados con herramientas, cuchillos o ballestas. Muchas de estas cuadrillas se rcforzaban con pcrros dc presa. En T 548 se dio un enigmatico concilio de bandoleros en el Puig de Randa del que se desconocen sus objetivos 92• El punto de inflexi6n de este periodo se da en I 566 93 cuando se invierte la coyuntura economica, aunque no la demografica 94• 2. Primer periodo: de las primeras actuaciones de la Parti da de S6ller ( T 5 70) al Duclo Anglada-Rossinyol ( T 59 8). Proceso dc modcmizaci6n dc las partidas con aumento del numero de bandoleros, vinculaciones directas a banderfas rurales o a una de las banderfas aristocraticas. Introducci6n de las armas de fuego. El hecho curioso es que ya en este periodo, los caballeros iniciaran una serie de pleitos que se pueden considerar los antecedentes de las cxplosioncs antiscfiorialcs quc se dicron cn la isla a partir dc T 6 30 9' . 3 · Segundo periodo: del Duelo Anglada-Rossinyol ( 1 5 98) a la Tregua de I 6o6. Periodo de inicio de las banderias aristocraticas de Canamunt y Ca­ navall. Se presentaba como un periodo de gran tranquilidad 96 y A. Le­ Senne considero que fue usado para reorganizar las banderfas aristocraticas mediante una fucrtc endogamia 97. Sin embargo se ha compro bado quc cs­ ta paz era mas aparente que real. Por otra parte es el momento de la substituci6n de las banderfas de los Torrellas y Puigdorfilas por los Cana­ munt y Canavall 98• 4· Tercer periodo: de la reconciliaci6n de r 6o6 al desmembramiento de la cuadrilla dc Selva. Viene marca do por la formaci6n dc esta parti da y, por lo tanto, con un nuevo modelo de bandolerismo: grandes cuadrillas sin pe­ rros y con armamento de fuego, estructura compleja de las banderias que induyen redes de solidaridades urbanas y rurales. El cenit de este periodo tuvo lugar en r 6 r 9 con el asesinato del oidor de la Real Audiencia don Jaume Juan de Berga. 5 · Cuarto periodo: del desmembramiento de la cuadrilla de Selva ( 1 62o) a la Paz Generai dc T 632 99. El asesinato Berga provoco una fuerte represi6n que acab6 con la cuadrill a de Selva. Los supervivientes poco a poco fue­ ron asesinados o capturados. Esta nueva situaci6n oblig6 a los caballeros a protagonizar personalmente la lucha armada. La corona contraatac6 orde­ nando el destierro de buena parte de ellos o su ingreso en las filas del cjército. El clima dc violcncia fuc tal quc a instancias del obispo se consi­ gui6 una paz generai en 1632 de efimera duraci6n. 6. Quinto perfodo: de la Paz Generai de 1 632 a la de I 645 · En el perio­ do anterior las necesidades bélicas de la corona ya se habfan hecho sentir. Buena parte de los bandoleros y banderizos fueron obligados a enrolarse cn las filas del cjército. Sin embargo, la paz firmada cn T 632 fuc momcn-

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tanea. La sublevacién de Catalufia y Portugal, asf como la guerra con Francia obligaron a una nucva paz. Hacia la campafia catalana particron numerosos caballeros y bandoleros. En este periodo coexisten las grandes luchas entre caballeros como las primeras actuaciones de la segunda gran cuadrilla del barroco: la dc Llorcnç Coli Barona. En su contra, y cn I 6 44 se desarroll6 la primera gran campafia militar en contra de los bandoleros de la isla. Buena parte de las luchas se inscriben en conflictos dc canictcr antiscfiorial. 7. Sexto periodo: de la Paz de I 645 al desmembramiento de la cuadrilla de Coli Baron a ( r 6 5 5 ) . Marcada por una primera fase caracterizada por los conflictos antiscfiorialcs, quc dc mancra incipiente se habian iniciado en el periodo anterior, y las actuaciones aut6nomas de las grandes cuadri­ Ilas. Tanto la guerra de Catalufia como la peste de r 65 2 ror o el propio cli­ ma dc violcncia indiscriminada 102 potcnciaron cl desco dc paz, cspccial­ mente entre los caballeros I 0 3 . 8 . Séptimo periodo: del desmembramiento de la cuadrilla de Coll Barona ( ! 65 5 ) a la pcrsccucién dc 1 666. El desmcmbramicnto dc la ultima cuadri­ lla de bandoleros asi como el fuerte sentimiento de una necesidad de paz potenciaron un cambio en la estructura de las cuadrillas y de sus tacticas. Ya no cran tan numcrosas, pero si igualmcntc violcntas. El problema fuc que en estos momentos ya atacaban de manera indiscriminada. Para acabar con ellos se pianifico una campana militar que, si bien no alcanzé todos sus objctivos, si vacié momentaneamente la isla dc los bandolcros mas pc­ ligrosos. 9· Octavo periodo: de la persecuci6n de r 666 al triunfo botifleur ( r 7 1 5 ) . El nucleo del rcinado d c Carlos n marca u n momento d c fucrtc inflcxién del bandolerismo: pequefias cuadrilla s, confusién entre bandolero y ladrén de caminos. Se trataria por Io tanto de un bandolerismo residua!. Sin em­ bargo a raiz dc la Guerra dc Succsién se intcntan rcproducir los csqucmas de principio del siglo anterior. El refuerzo del poder de la corona introdu­ cido por los Borbones, asf como la presencia estable de fuerzas militares no dcjé quc pasaran dc m eros intcntos ro4. Joo,

�Una isia aislada?

La tendencia a considerar las islas como mundos encerrados en sf mismos es generai. Pero este plantcamicnto muchas vcccs lo quc cscondc es un in­ terés de las oligarquias de estas propias islas para mantener su poder fren­ te a intromisiones extrafias. De esta manera, y de manera caustica, en Ma­ llorca se suclc dar por pasiva la dcfinici6n y se dice generalmente: isla vie­ ne de aislar. El tema es muy grave en el caso de la mal Ilamada Isla de la Calma. Mallorca es una dc las islas mas historiadas del Mediterraneo. Practica­ mente toda la produccién ha reforzado la idea del mundo encerrado en si mismo, elaborando peculiaridades y modelos soci ales que entran en con­ tradicci6n con todos los dc su cntorno. En este caso, aspcctos como cl pc-

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ligro catalanista y/o espaiiolista, la sociedad agraria patriarca! sin graves conflictos, una cstructura intcrclasista pacifica, la falta dc un fcudalismo, la concepci6n del bandolerismo provocado solo por la mala caheza de unos pocos han sido instrumentos ampliamente esgrimidos. En las lfncas antcriorcs se ha intcntado presentar quc cl modclo del bandolerismo mallorqufn del barroco no desdice en nada ni en sus estruc­ turas, ni en sus acciones, ni en sus tiempos a los de las tierras vecinas. Las supucstas pcculiaridadcs difcrcncialcs son formas dc respondcr a problc­ mas puntuales, pero no modifican su estructura: ni la profunda ni la su­ perficial. Para incidir mas en este aspecto se trataran las relaciones del bandolcrismo mallorqufn con otros tcrritorios y, finalmente, la vcrdadcra trascendencia de la insularidad. Bandoleros fuera de su tierra

En vista dc las cnormcs rclacioncs dc todo tipo quc cxisticron cntrc Ma­ llorca y otras tierras cercanas, seria impensable que los bandoleros no se hubieran intercambiado. Es decir, que bandoleros extranjeros no hubieran actuado cn Mallorca, y bandolcros mallorquincs no hubicran actuado fucra de ella. Sin embargo, en este punto cabe hacer una distinci6n. Si bien los bandoleros extranjeros actuando en Mallorca son excepcionales, los mallor­ quincs cn otras ticrras no son infrccucntcs. La explicaci6n de este desequilibrio es logica. Eran muy pocos los ban­ doleros que a iniciativa propia se trasladaban a una isla reducida en tierras y rccursos cuando, adcmas, se hallaba cnccndida dc bandcrias quc no co­ nocfan 10'. Los bandoleros catalanes y valencianos que se detectan en Ma­ llorca, por lo tanto, son personas que habian sido condenadas al destierro cn la isla o fugitivos quc intcntaban rchaccr sus vidas. Por este motivo cs­ pecialmente vigilados por las autoridades. De hecho, no se ha detectado ninguno de estos bandoleros ab origine que se incrustara en alguna de las partidas mallorquinas. No ocurre lo mismo con las banderias. Fundamentalmente Canamunt y Canavall eran end6genas de Mallorca, pero los inmigrantes, y especialmente los quc qucrian afincarsc cn la isla, a mcnudo cafan cn sus rcdcs. El caso del mercader italiano Cesare Facio, casado a finales del siglo XVI con una noble mallorquina, es representativo. A los pocos afios de haberse afincado cn la isla, ya se le balla totalmente inmcrso cn Canamunt, participando dc sus acciones. De hecho dos de sus hijos tendran un papel relevante en el asesinato Berga. Su caso, como era de esperar, no resulta excepcional ro6. Por otra parte no pocas autoridadcs nombradas por la corona lo cran a modo de destierro. Asi diversos virreyes designados durante los siglos XVI y XVII lo fueron para evitar que siguieran alimentando las banderias de sus lugarcs dc origcn. Este panorama lo hallamos tanto con cl virrcy Roca­ full en el siglo XVI 107 como con el virrey Cardona en el XVII 108 • No es de extrafiar, por lo tanto, que algunos de ellos vinieran a la isla con un ejérci­ to particular dc bandolcros.

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El caso mas notable es el del virrey Alonso de Cardona, personaje con­ flictivo per se quc, adcmas, fuc cl cncargado dc poncr cn la practica la Uni6n de Armas del Conde-Duque de Olivares en Mallorca. El rechazo quc tuvo su politica fuc tal quc incluso llcg6 a ordcnar la manipulaci6n de las actas del Gran t' Generai Consell del Reino y a hacer desaparecer docu­ mentaci6n 109• La tensi6n lleg6 a tal punto que el propio virrey escribi6 a la corte comunicando quc tcmia una sublcvaci6n popular 1 1 0 • Los jurados, como era de esperar, elevaron un pliego con abundantes quejas, entre las quc se dcstacaba quc a mcnudo pascaba por la ciudad disfrazado y acom­ pafiado de los bandoleros que, a modo de guardia personal, habfa trafdo desde Valencia T T T . Mas notablc es la prcscncia dc bandolcros mallorquincs cn otras tic­ rras. De todas ellas, la mas destacable era la isla de Menorca tanto por su proximidad como por la vigcncia dc un antiguo privilegio quc pcrmitia afincarse libremente en ella a los perseguidos por la justicia 1 1 2 • De hecho muchos bandoleros mallorquines se trasladaron allf ya en el siglo xv en un panorama quc ha pcrmitido ligar las bandcrias dc la Busca y la Biga dc Catalufia, las de Menorca y, a su vez, las de Mallorca T T J . Por este motivo han sido divcrsos los historiadorcs dc la isla vccina quc han culpabilizado a Mallorca de la epidemia de bandolerismo que sufrieron en el siglo xvn obviando sus propios problemas intemos u4. Dc csta mancra no es cxccpcional cncontrarsc bandolcros mallorquincs actuando fuera de la isla, bien al servicio de banderias peninsulares muy rclacionadas con las dc la isla, bicn a cargo dc mallorquincs quc cncarga­ ban sus venganzas. De esta manera uno de los asesinatos mas notables de Catalufia, del primer cuarto del siglo XVI, fue planeado en Mallorca y co­ metido por bandoleros mallorquines. Se trata de un capitulo mas de las luchas entre la Busca y la Biga. Entre todos las muertes, una de las mas notorias fuc la dc Pere Cardona, gobcrnador generai cn cl Pont- Major dc Gerona ( I 5 I 4 ) 1 1 ' . En el proceso que se sigui6 en Mallorca contra el regente Frederic de Guaibes se le acus6 directamente de esta muerte. Sin embargo de los I I 5 testimonios solo dos, el guarda de Mar J ordi Bod y el pelai re Bartomeu Pou, haccn rcfcrcncia a este ascsinato 1 16• Scgun cl primcro, miccr Gualbcs receptaba bandoleros, especialmente un tal Panadès inculpado de este ase­ sinato cometido juntamente con otro bandolero mallorqufn, un tal Moner. No era esta la unica relaci6n de bandoleros mallorquines con las banderias catalanas a principios del siglo XVI, ya que, segun sus enemigos, micer Gualbcs también favorccia un tal Rius quc habia comctido una mucrtc cn Gerona. Ademas, Bianca, esposa de Joanot Pastor, afiadia que receptaba al bandolcro Galccran Ccnon cn sus propios cstudios u7 • Por cstas mucrtcs todos estos bandoleros mallorquines estaban redamados por el arzobispo de Zaragoza. Este panorama, y mas con postcrioridad al periodo rcvolucionario dc las Germanias, se mantuvo. Los bandoleros mallorquines, muchos de ellos antiguos agcrmanados, se trasladaron a las otras islas o al continente don-

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de se integraban en otras partidas. Hacfa allf se dirigieron a menudo comi­ sarios mallorquincs o cncmigos para cazarlos us. Sera, sin embargo, a partir del siglo XVII y con el inicio de Canamunt y Canavall cuando se dispara­ ran cuantitativamcntc y cualitativamcntc los casos dc bandolcros mallorqui­ nes en otras tierras. Un buen ejemplo de ello lo tenemos de nuevo en el proceso Berga ' '9. El ascsinato Berga se pianifico, en un principio, en Barcelona, ciudad en la que se encontraron diversos caballeros mallorquines desterrados uo, algunos de los cualcs se incrustaron cn las bandcrias dc nyerros y cadclls. De esta manera, el afio 1 6 14, en el asesinato del heredero Sentmenat, par­ ticiparon diversos caballeros catalanes y valencianos, asf como un mallor­ quin de linaje Anglada 121• Scguramcntc este Anglada era Joanot Anglada, uno de los implicados en el duelo de 15 98 que precipito las banderias de Canamunt y Canavall •22• Dc la misma mancra este proccso nos sirvc para detectar las relaciones que tenia Camunt y Canavall con la corte y otras banderfas peninsulares. Citemos solo el ejemplo del canonigo Pau Duran. Pau Dunin habia sido vicario generai dc Mallorca durante 17 aiios, cs­ pecialmente durante el pontificado de fray Sim6 Bauçà. No se sabe por qué motivos, aunque scguramentc a causa dc las bandcrias y cl plcito quc se ha­ bfa originado entorno al pleito de los exentos, fue amenazado de muerte y abandono la isla. El asesinato Berga implico diversas jurisdicciones, en parti­ cular la eclesiastica. Por este motivo se nombro un juez apostolico q ue j uz­ gara los tonsurados o de fuero especial. Fue el momento que esperaba el canonigo para vcngarse. Dc todos los implicados solo cl cape/là Boda cscapo de sus manos, ya que valedores de peso le hicieron abandonar la isla en la flota dc San J uan dc Malta u3• Sus investigaciones llegaron a tal punto que la propia corona intervino para frenarlas ya que socavaban las mas altas es­ feras del reino. Su actuacion mcrccio un premio y fuc incluido cn la lista dc nucvos posibles obispos. La primera vacante fue la de Seu d'Urgell, donde se en­ frento al capftulo dirigido por Pau Claris, futuro presidente de la Genera­ litat, a lo largo de la Guerra de Separaci6n de Catalu.fia. En estos enfren­ tamientos entre el obispo y el capftulo catedralicio fueron abundantes las acciones dc bandolcros a favor dc unos y otros 124• Cuando se produjo cl Corpus de Sang y Pau Claris encabez6 la revuelta contraria al monarca, Pau Duran fue uno de los mas relevantes defensores de la corona. Su acti­ tud le valdria, con el tiempo, ser nombrado arzobispo de Tarragona 1 2 5 • Ademas de Catalufia fue Valencia la que recibi6 un mayor contingente dc bandolcros mallorquincs. Si bicn cl traslado a tierras valcncianas dc perseguidos o para acometer alguna venganza es habitual desde el siglo xv, es a partir dc la cxpulsi6n de los moriscos ( T 6o9- 1 6 I 3 ) quc se nota una mayor incidencia de bandoleros mallorquines en aquellas tierras. Estudios en curso 12 6 demuestran que buena parte de los pueblos y tie­ rras valencianas quc quedaron vacios a raiz de la cxpulsi6n morisca fueron reocupados por mallorquines. Al parecer, est a reocupaci6n se dio en blo­ qucs dc poblaci6n que provcnian de los mismos lugarcs y que formaban

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parte de las mismas solidaridades. Desde 1 6 1 3 , las noticias sobre bandole­ ros mallorquincs actuando cn Valcncia son frccucntcs. Asi cn 1 6 14 los rc­ pobladores genoveses establecidos en Miramar dirigfan una carta al procu­ rador del duque de Gandfa en la que exponfan: Que los genoveses de Miramar no nos quexamos de que ayamos padecido traba­ xos cn cl largo camino, ni dc quc a dalgunos dc nosotros se nos ayan muerto hijos por los caminos. Y puede estar V. P. sierto que lo tenemos todo a dicha, y muy grande ganancia, a trueque de aver llegado a ser vasallos y minimos criados de Sus Excelencias. De lo que nos quexamos, y pretendemos tener agravio, es de dos co­ sas: la primera, de estar faltos de tierra y sin ningun socorro; la otra, es cl avernos puesto entre quatro o sinco casa de majorquines, que ademas de ser dichas casas de continuo mesones de gente muy ruin, también majorquina, y ademas desto nos tratan muy mal de palabras (a quien amenazan de matar, a otros de dar de palos). Y puede V. P. muy bien creer que si no fuera por nucstro bayle (que nos da a n7 nosotros mucho la mano) ya no uviera quedado ningun genovés en Miramar •

AI parecer, estos repobladores trasladaron al continente su experiencia an­ tcrior y parte dc sus rcncill as. Si se tiene cn cucnta quc un dcstacado nu­ cleo de estos repobladores era luchadores avezados en las handerias y los conflictos antisefioriales de Mallorca, no puede sorprender que, cuando los nobles valencianos intentaron tratar a los cristianos como hahfan tratado a los moriscos, las acciones violentas a favor de unos y otros se desataran. En consccucncia, cn la llamada scgunda Germania valcnciana, los mallor­ quines o hijos de emigrantes mallorquines tuvieron un destacado papel I28 • Escapar de una isla

Pese a todo lo dicho anteriormente, no cabe la menor duda de la insulari­ daci de Mallorca. A partir de su centro y moviéndose en cualquier direc­ cion, a un maximo dc 50 km csta cl mar. Si al bandolcro valcnciano, ara­ gonés o catalan, en un momento de peligro, podfa cruzar la frontera del reino y salvarse por el mecanismo de cambiar de jurisdicci6n, para el insu­ lar csta huida era mucho mas complicada 1 2 9 • El handolero mallorqufn siempre tuvo en el mar la idea de frontera, tanto en sus aspectos positivos como negativos. La unica posibilidad mate­ ria! de abandonar la isla por parte de los handoleros y sus familias se con­ sidero siempre excepcional y como ultimo recurso. Para ello se debian dis­ poncr dc navcs, aunquc fucran solo barcas, y dc una tripulacion cxpcri­ mentada, condiciones muchas veces diffciles de cumplir. Por ello las auto­ ridades vigilaban especialmente las naves y los marinos creando una legis­ lacion muy rcstrictiva sobrc cl cmbarquc dc las pcrsonas. Dcsdc 1540 cl patr6n que sacara o entrara pasajeros en Mallorca sin salvoconducto podia ser condenado a pena de muerte, pero siempre la embarcaci6n era quema­ da. El caso dc la avcntura maritima dc un grupo dc bandolcros dc Artà que en 1 6o6 intentaron pasar a Menorca con sus familias y la persecucion dc quc fucron objcto es muy ilustrativa 1 3 0 •

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Un buen ejemplo de la relaci6n entre la frontera maritima y el bando­ lerismo se tiene en la persecuci6n de r 666. La campana, segun se despren­ de de la descripci6n que de ella realiza el cronista Jer6nimo Alemany y otros, se desarroll6 con una tactica de cerco. En primer lugar se puso en sobre aviso al conjunto de las atalayas costeras de la isla, para evitar que los bandoleros pudieran escapar por vfa marftima. Al mismo tiempo se di­ vidi6 la isla en sectores. Para cada uno de ellos se nombr6 como capitan un caballero, procurando que éste no tuviera propiedades ni intereses ban­ derizos en el mismo. La tactica consisti6 en empujar las diversas cuadrillas desde la costa bacia el interior. Paralelamente se habfan establecido siste­ mas para facilitar las denuncias an6nimas y se habfan ordenado medidas para dejar sin mecanismos de subsistencia a las cuadrilla s: se habfa ordena­ do trasladar todos los campesinos a las villas y cerrar pozos, cisternas, alji­ bes y hornos. Por ello la campana dio un cierto resultado aunque no se alcanzaran sus objetivos finales: acabar definitivamente con el bandoleris­ mo. Sin poder corner ni beber, en pieno verano, los bandoleros fueron hu­ yendo de las tropas que les persegufan. No se trataba ya de grandes parti­ das que pudieran presentar una batalla en regia. Por ello unos acabaron por entregarse y otro eran muertos (aplicando en no pocas ocasiones la traici6n y la ley de fugas) . Su desesperaci6n lleg6 a tal extremo que algu­ nos amcnazaron con suicidarsc antcs quc rendirse. De csta manera y como una tela que de deshace, una a una fueron cayendo las partidas que toda­ vfa se titulaban de Canamunt y Canavall. Sin embargo, a causa de la desi­ dia del virrey, no se acab6 con todos ellos. La ultima batalla tuvo lugar en la zona de las montaiias, en La Calobra, donde se hab.fan trasladado algu­ nos bandolcros con la esperanza de podersc embarcar cn algun navio quc pasara cerca de las costas •3•. Mientras podia, el bandolero mallorqufn no abandonaba nunca n i s u loca­ lidad dc origcn ni su isla. Incluso si le dcstcrraban, algunos dc cllos se lanza­ ban por la borda de los navfos para alcanzar a nado la costa. Por ello, en caso de peligro, la soluci6n mas in mediata era la de asilarse en sagrado r 3 2 • Esta era una hictica habitual en toda la Corona de Arag6n provocando tales problemas jurisdiccionales que se oblig6 a firmar una concordia sobre este punto ya en el siglo xrv. Sin embargo, cn cl caso dc Mallorca, se llcg6 a cx­ tremos de gran virtuosismo ya que buena parte de los asilados lo eran por la ayuda directa de los propios eclesiasticos. Por ello casi nunca se cumplfa la normativa canonica: no eran desarmados ni se les encadenaba. Se convirtieron en los nuevos amos de los espacios sagrados que los acogfan. A partir de r 570, aproximadamente, se puede afirmar que no habia es­ pacio religioso libre de asilados, de tal manera que en las cubiertas de la Catcdral llcgaron a construir una pcquciia ciudad con casas y habitacioncs que se alquilaban, compraban, vendfan y permutaban como cualquier otra propiedad r33• La presencia de bandoleros representaba una constante dis­ torsi6n del discurrir cotidiano de estos lugares: enccndian fuego en las iglesias, bebian, jugaban, cantaban e introducfan mujeres de dudosa mora­ lidad, salian dc nochc para comctcr sus vcnganzas o disparaban dcsdc las

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ventanas a sus enemigos y perseguidores. En fin impedfan el norma! ritmo de sus funciones. Los conflictos eran tan frecuentes que se llego a habilitar una prisi6n de jurisdiccionalidad compartida en el campanario de la parro­ quia de Sant Mi quel, mientras se dilucidaba si el asilo era valido TH. Cuando una persona se asilaba se debfa decidir si sus motivos eran los admitidos por el derecho canonico, es decir si el asilo era valido. Se inicia­ ba un periodo de investigaciones y discusiones jurisdiccionales que podia eternizarse. Mientras tanto era la jurisdiccion eclesiastica quien sufrfa di­ rectamente las consecuencias. Por ello, la curia llevaba el caso al tribuna! dc contcncioncs. Paralclamcntc a la discusi6n dc su validcz se iniciaban ncgociacioncs cntrc cl propio asilado y cl virrcy para pcrmutar las posiblcs condcnas por pcriodos dc dcsticrro, generalmente sirvicndo cn los cjércitos rcalcs. Dc csta mancra se buscaba una soluci6n facil y rapida quc contcn­ tara a todas las partcs. En los cstudios cfcctuados a partir dc los graffiti dc cstos rccintos sicmprc llam6 la atcnci6n la gran prcscncia dc todo tipo dc cmbarcacio­ ncs, incluso cn lugarcs dcsdc donde cl mar no era visiblc. Dos dc los ca­ sos cstudiados permitcn cstablcccr una hipotcsis sobrc cl significado dc su abundantc prcsencia cn prisioncs y lugares de asilo. En uno dc ellos, acompafiando la inscripcion dc un italiano, se cscribi6 cn cl casco dc una barca la palabra SALE. En la parte superior dc otra barca, se puede lcer la palabra BO. Uno y otro patentizan quc la salida dc la isla por via marf­ tima pod.fa ser el unico medio de salvar la vida para el asilado 1 3 ' . Antiguos privilcgios impedfan que los mallorquincs fucran sacados por la fuerza dc la isla. Sin embargo la conflucncia cn el siglo XVII dc las cam­ pafias bélicas dc la corona y la epidemia del bandolcrismo provocaron quc las salidas dc bandolcros por via dc ncgociaci6n fucran habituales y uni­ versalmente reconocidas como uno dc los mcjorcs sistcmas para deshacersc dc cllos. Solucion mucho mas apctcciblc cuando un jcfc dc partida se ofrccfa a salir él y toda su partida. Por ello, cuando se cjccutaron en I 6 I 8 los bandoleros de la Colla de Selva, hubo una sorpresa generalizada al no dejarles optar por esta solucion: y

of que digué al dit Capellà Boda que lo dit Barthomeu Ferragut Boda, son ger­ mà, lo embiava per.a dir.li que si bé eli estava molt content de morir, però que procuràs de negotiar ab lo sr. virrey y los sefiors del Consell que li commutàs la sentènda dc vida a galeres y offcris que tots los bandcjats se.n anirircn dc la terra, y dit Capellà Boda digué que.u faria r 36•

A Io largo de la centuria buena parte de las levas realizadas en Mallorca fueron de prisioneros, bandoleros o poblaci6n marginai . El punto de infle­ xion se dio con la Colla dc Llorcnç Coll Barona y el virrcy Cardona. El virrcy Alonso dc Cardona, obligado por las dcmandas dc la corona, rcalizo lcvas forzadas, vaciando incluso las carcclcs para completar las cuotas dc soldados, cosa quc origino numcrosas protcstas dc los jurados del Reino. El bandolcro fuc tantcado cn divcrsas ocasioncs para quc él y sus hombrcs se incorporascn a la campana dc Catalufia 137•

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Incluso la gran campana de 1 666 en contra de los bandoleros atendi6 teoricamente a los dos principios citados: el asilo y las levas voluntarias. El obispo concedi6 autorizaci6n para concentrar todos los asilados en el cas­ tillo de Bellver. En principio este asilo también valia para el traslado desde los diversos templos al castillo, aunque no fueron excepcionales los asesi­ natos de los bandoleros protegidos. En Bellver se reunieron mas de un centenar de bandoleros de Canamunt y Canavall. Como era de esperar, hubo alguna muerte. Desde allf y después de diffciles negociaciones la ma­ yoria partio para incorporarsc a los cjércitos rcalcs 1 311 • El problema era que muchos bandoleros juraban o firmaban su engan­ che sin intenci6n de cumplirlo solo para solucionar momentaneamente un grave problema. Algunos, cuando los barcos se habian hccho a la mar, sal­ taban por la borda para ganar la costa a nado; otros, como Llorcnç Coli Barona, rcgrcsaba a la isla dcsdc otros pucrtos tan pronto la situaci6n era propicia. Contra cstos patroncs también cxistia la pena dc qucmar sus cm­ barcacioncs 1 39 • Notas

Abreviaturas AH:

Arxiu Històric Archivo del Reino de Mallorca BBMR: Biblioteca Balear del Monestir de La Real "BIEB": Bolctin del Institut d'Estudis Balcàrics "BSAL": Bolctin dc la Socictat Arqucol6gica Lul·liana c.R: Criminal " " FRa : Fontes Rerum Balearium MP: Miscclancas Pascual P i E: Pregons i Edictes RA: Real Audiència AR.'-i:

I . J. Reglà, El bandolerisme català T, l..a Història, Barcelona 1 962; Id., El bandolerismo en la Cataluna del Ba"oco, cn "Saitabi" , 1 966 pp. 149-60; Id., El bandolerisme del ba"oc, Barcc­ lona 1966; Id., Bandolers, pirates i hugonots, Barcclona 1969. 2. Ver especialmente N. Sales, Senyors bandolers, miquelets i boti/lers. Estudis sobre la Catalunya dels segles XVT al xvm, Barcelona 1984; Id., "Bandoliers espaignols" i guerres de reli­ gi6 /ranceses, cn "L'Avcnç" , Il0 82 ( 1 98.5 ) pp. 46-.5.5 ; Id., c.Existi un "bandolerisme català del Ba"oc"?, en "L'Avenç" , n° 104 ( 1987), pp . .56-62; X. Torres i Sans, Les handositats de Nye­ "os i Cadells a la Reial Audiència de Catalunya (r 59o- r 6 3 o): Policia o alto gobierno, en «Pe­ dralbes. Revista d'Història Moderna» no, .5 ( r 985), pp. 1 47-7 1 ; Id., Senyors i bandolers a l'An­ tic Règim, cn "L'Avcnç", no 82 ( 1 98.5), pp. 36-4.5 ; Id., Guerra privada y bandolerismo en la Cataluiia del Barroco, en "Historia Social", n° r (1988), pp . .5-18; Id. , El handolerisme català del Barroc: iFt1l de la miséria o de la benestança?, en Actes de /es jornades celebrades a Girona els dies 1 7, 18 i 19 de desembre de 1987: El Barroc català, Girona 1 989, pp. 47-6o; Id., Alte­ racions aragoneses i bandolen'sme català. Nye"os i Cadells a les terres de Ponent (1579-99), cn "Recerques" n° 2 1 ( 1989), pp. 137-.54; Id., Els bandolers (s. XVI-XVII), Barcelona 1991; Id., Nyerros i cadells: Bàndols i bandolerisme a la Catalunya moderna (1 590-I 64o), Barcelona 1993; Id., La vall de Torello als segles XVI i XVll: una història de paraires i bandolers, Barcclona

199.5· 3 · E. Belenguer, Presentaci6, en J. Danti, Aixecaments populars als Pai'sos Catalans (I 68]-I 69J), Barcelona 1 990 pp. 23-4. 4· El primcr historiador mallorquin quc trat6 cl tema fuc V. Mut, Historia del Reyno de

JAUME SERRA I BARCELO Mallorca Tomo

11, Mallorca, 1650, pp. 488-90. Anteriormente se hab.ian citado indircctamcnte las banderfas en la obra poética: M. F. De la Càrcel, Vigilant Despertador. Barcelona, I988, versos r682 - 1 696. Quien definio el siglo XVII como segle dels bandejats fue J. M• Quadrado cn el capftulo dcdicado al siglo xvu dc P. Pifcrrer, J.M• Quadrado, Islas &leares, Palma de Mallorca 1 969. 5· Como ejemplo de esta manipulacion del fenomeno, es ilustrativa la de J. Rarnis de Ayreflor y Sureda, LA noblez.a mallorquina y el Conde Malo, Palma de Mallorca 1950; o la lcctura del capitulo del siglo xvu dc G. Alomar Estcvc , Historia de las &leares, Palma de Mallorca 1 979. 6. La (mica monografia publicada basta el momento es la de P. Xamena, El problema dels bandejats a Mallorca, Manacor (Mallorca) I990· Un punto de inflcxion, aunquc ccntrada cn las bandcr.ias aristocraticas, fuc la cxcclcntc memoria dc invcstigaci6n dc A. Lc-Scnnc, Los Con/lictos Sociales en Mallorca durante el s. XVTT. Canamunt y Canavall, Palma de Mallorca 1978 (publicada después A. Le-Senne, Canamunt i Canavall, Palma de Mallorca 1982). 7· P. L. Serrano, Espaiia en Lepanto, Madrid 1971. 8. F. F. Olesa Mufiido, La organizaci6n naval de los estados medite"aneos y en espedal de Espafia durante los siglos XVI y XVII, Madrid 1968. 9· G. L6pez Nadal, El corsarisme mallorqu{ a la Medite"ània occidental (1 652-1698): Un comerç /orçat, Palma dc Mallorca 1986. Io. Incluso entre los llamados "autores progresistas" . Ver, por ejemplo la obra que mar­ co época J. Melià, La naci6 dels mallorquins, Barcelona 1 979. r r . J. Pou Muntancr, La marina en las Baleares, Palma dc Mallorca I977· 1 2 . M. Bernat i Roca, J. Serra i Barcelo, Espados sagrados y comunidades rurales: algunas hip6tesis sobre coloniz.ad6n y sagreras en Mallorca (siglos xm-xw), en "Boletfn de Arqueologfa Medieval", n ( 1 997), pp. 1 57-206. 1 3 . F. Wewlcr, Historia Militar de Mallorca, Palma de Mallorca 1968; F. Estabén, De lo bélico mallorquin. Fuen.as militares de Mallorca. Arquitectura militar insular, en Historia de Mallorca /w, coord. Mascar6 Passarius, Palma 1972, pp. 5 2 1 -667; Gonzalez de Chaves Ale­ many, Fortt/icaciones costeras de Mallorca, Palma de Mallorca 1986. 14. M. Fortcza, Los antiguos caminos de Mallorca, Palma, s.a. I 5. J. Serra i Barcelo, El bandolerisme mallorqui del Ba"oc. Alguns punts de partida, en " BSAL " 50, ( 1984), pp. 2 19-52. r6. J. Serra i Barccl6, Els bandolers a Mallorca (ss. XVI-XVII), Palma de Mallorca I997· 17. Serra i Barcelo, El bandolerisme mallorqui del Ba"oc cit., passim. I 8 . ARM, Mi'scelaneas Pascual, tomo XIX, pp. 574-5. 19. Serra i Barcelo, El bandolerisme mallorqu{ del Ba"oc cit., passim.

2 0. El que suscribe cay6 en un principio en esta interpretaci6n mecanidsta. Los datos, aun­ que con algunas co"ecciones por errores tipogra/icos, fueron publicados en ]. Serra i Barcel6, Delinquència a Mallorca en el segle XVII (1 61 3-19), en " BSAL ", tomo XLIII ( 1987), pp. r o5-46. 2 r . J. Serra i Barcelo, lntervencionisme i contro! de mercat, en XIV ]ornades d'Estudis Hi'stòrics Locals. La Medite"ània, àrea de convergencia de sistemes alimentaris (segles v-xvm), Pal­ ma de Mallorca I995 , pp. 3 3 3 -48. 22. Torres i Sans El bandolerisme català del Ba"oc cit., passim. 2 3 . Serra i Barcelo, E/s bando/ers a Mallorca cit., pp. 70-2. 24. Serra i Barcelo El bandolerisme mallorqui del Ba"oc cit., pp. 248-5 2 . 25. ARM, AH, P i F. 3 , ff. 44 I -442 . 26. Serra i Barcelo, Els handolers a Mallorca cit., pp 68-9 y 72-3. 27. Archivo Municipal dc Selva, Caixa 448/2 , f. 62. 28. J. Capo Villalonga, Història de lloseta/II, Mallorca I 986, pp. I 77-8o. 29. Serra i Barcelo, Els bandolers a Mallorca cit., pp. 53-7. 30. F. M. Dc Melo, Gu�a de Catalufia, Barcclona, 1982, p. 5 r: 48• Deux ans plus tard, Philippe n intègre le comté de Ribagor:la au royaume. A l'issue de cette lutte, J uan de Bardaxf échoue à son tour dans Ics gcoles de Saragossc. Son fils, Antonio, le remplace commc agcnt au service de la Ligue. Durant l'année 1 5 94, 6' . Si d' autres fameux capitaines huguenots comme Lyzier, Sus ou encore Du Bourg peuvent étendre leurs raids jusqu 'aux picds des Pyrénécs, ils restent étrangers à la noblesse montagnarde 66• Mais cela ne les empeche pas de bénéficier, eux aussi, du trafic d'armes et de chevaux, notamment par l'intermédiairc dcs morisqucs d'Aragon, ou d'autrcs intermédiaircs peu regar­ dants 67• L'essentiel de ces flux restera en terres catholiques, par le Ribagorza, le Val d' Aran et le Comminges. Qu'cst-cc qui faisait donc agir ainsi ccs capitaincs? Qucls étaicnt Ics profits à attendre de la guerre et du brigandage? «Dieu veuille maintenir les troubles»

Ce vers, reprenant «un dicton qui court», scandent la seconde églogue de Pcy dc Garros, dans lcqucl s'cxprimc Maubcrdot («Mauvais Bcrdot») , ca­ pitaine qui, sorti de rien, s'enrichit grace aux troubles civils 68• Nous pour­ rions l' attribuer à nombre de soldats brigands. Contcstation de l 'Églisc, contcstation sociale Dès Ics prcmicrs troublcs, on constate l'attaquc d'égliscs et du clcrgé. En Agenais, avant l' arrivée de Monluc, les pretres sont traqués dans les cam­ pagnes, «et forcés com me lièvres en Beauce» 69• Mais ce qui inquiète parti­ culièrcmcnt le futur licutcnant général cn Guycnnc et la noblcssc locale

SERGE BRUt\ET

c'est que la contestation s'étend en bloc de l'Église à la taille royale et aux droits seigneuriaux. La révolte n'est pas seulement religicusc, elle est égalc­ ment sociale. Cela est particulièrement net en Agenais, Lectourois, Condo­ mois, Bazadais et Périgord. Certains travaux ont mis l' accent sur les violences spécifiques de ces temps de crise ainsi que sur l'iconoclasme huguenot 70• Jeanne d' Albret au­ rait préconisé une dcstruction du patrimoinc ccclésiastiquc avcc ordrc et méthode. Ce comportement est surtout révélé lors des raids dévastateurs des armécs protcstantes, quand, s' appuyant sur Ics cités gagnécs à la Ré­ forme, les soldats abattent églises et couvents, négligeant d'autres proies. Nous pensons particulièrement à l'année r 5 69 et à l'armée des Princes, aux ravagcs dcs troupcs dc l' amiral dc Coligny et du due dc Dcux-Ponts, en Périgord, Limousin, Agenais, ou de celles de Montgommery appelé au sccours du Béarn, dans toutc la Gascognc. Lcs dcstructions sont très im­ portantes, le traumatisme est profond. Non seulement les huguenots sacca­ gent les églises et massacrent les clercs, mais ils anéantissent ou emportent les titres qui attestent des prélèvements ecclésiaux. C'est le cas des archi­ ves des chapitres d' Agen, en 1 5 6 1 71• Montgommery détruit ainsi les char­ tricrs du chapitrc dc Saint-Gaudcns, cn Nébouzan. Le baron dc Sus cm­ mène, dix-sept ans plus tard, ceux du chapitre cathédral de Comminges 72• Les exemples pourraient etre multipliés. Doit -on pcnscr, commc cela a été dit, que, hormis ces flambées icono­ clastes, une violence calviniste se distingue d'une violence catholique? Le cas roucrguat ne va pas dans cc scns et la brutalité au quotidicn scmblc atrocc­ ment banale et indifférenciée. Dans une étude consacrée au Comminges, nous avions mis en garde contre certaines idées reçues 73• Le refus de s' ac­ quitter de la dirne ne permet pas de délimiter automatiquement des zones de résistance protestante. Des catholiques orthodoxes manifestent aussi de tels rcfus dans un contcxtc dc désorganisation du prélèvement ecclésial. lls ne rc­ mettent pas en cause pour cela l'institution, ni son prélèvement. De la meme manière, il n'y a pas que les capitaines huguenots pour s'emparer des dimes et autres biens et revenus d'Église. La noblesse catholique peut, elle aussi, etre amenée à vivre dessus. Cet accaparement est alors toléré, voire conseillé par Ics autorités civilcs et rcligieuses 74• Ainsi, sur Ics plaintcs dc l' Asscmbléc du clergé de France, le roi, comme le parlement de Toulouse, fulminent con­ tre ces nobles prédateurs. Mais, en I 57 5, un arret de cette meme cour oblige les propriétaires de biens situés dans les diocèses de Toulouse et de Com­ minges, à lever, avec leurs fruits, la part qui revient aux ecclésiastiques. La raison avancée pour justificr cct étonnant commandemcnt est quc le clcrgé n'est pas en mesure d' affermer ses fruits «en raison des troubles, incursions, violanccs et autrcs hostilités qui sont faictcs et commises par Ics rcbcllcs et séditieux estant és villes principales et chasteaux forts qui sont és dits dio­ cèses.» 75 En 1570, Honorat de Savoie, marquis de Villars, lieutenant-général cn Guyennc qui succèdc à Monluc, commandc à scs capitaines «dc rctcnir les dixmes pour leurs soldes» 76• Avec la Ligue, le clergé de Guyenne accep­ tera de contribuer dircctcmcnt à la défcnsc dc la foi. Ainsi, par cxcmple, cn

BANDI'IlSME ET GVERRES DE RELIGION DANS LE SUD-OUEST DE LA FRAt\CE

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juin 1590, les États de Comminges solliciteront de l'éveque et du chapitre de Couserans un prélèvement de dimes pour Ics soldats des compagnies de MM. De Savignan et de Montbérault 77• Les campagnes d'aliénation du tem­ porel de l'Église accentuent ces transferts, momentanés ou définitifs de biens et rcvcnus d'Églisc. Parfois, comme pour une partic dc la noblcssc du Haut­ Comminges, cette détention permet de revendiquer des droits qui étaient ja­ dis détenus par leurs ancetres, avant d'etre restitués dans la dynamique d'une réforme grégoricnne tardive. Dc longucs et tcrriblcs oppositions pcuvcnt nai­ tre de cette convoitise. Ainsi, si le clan des Coret tente d' assassiner l' éveque ligueur Urbain de Saint-Gelais, le différend qui les oppose à l'Église de Com­ mingcs pour la détention dcs dimes de Bize n'y est suremcnt pas pour rien 7R. Les capitaines les plus acharnés à la destruction du prélat sont les Larboust, catholiques mais royaux. En 1 5 7 3 , le nouvel éveque était parvenu à Ics envoyer cn prison afin de Ics contraindrc à rendrc des fruits décimaux. lls n'auront de cesse de lui nuire durant un demi-siècle 79• La guerre de course

A l'instar dcs «piratcs>> rochclais sur Ics cotes de l' Atlantique, on emploic l'expression «guerre de course» pour qualifier l'action prédatrice des capitai­ nes à partir de leurs retranchements. Le pillage est souvent la conséquence du rctard de paicmcnt dc la soldc. Dcs vcngcanccs, dcs vendettas nobiliaircs, peuvent s'y meler. Ainsi, en octobre 1 5 69, les capitaines Fontrailles (Monta­ mat) et Solan pretent main forte à Montgommery dans son raid dévastateur cn Gascognc. lls cn profitcnt pour réglcr dcs comptcs. Solan pille et inccn­ die le chateau de Tilladet, dit no fari querela di loro offisi, né donari loro testimonianza ctiam in casi multo notorii». Inoltre, >. Inutilmente, nonostante il parere favorevole dell'avvocato fiscale, i figli del dc Advcna avevano chiesto che fosse incarcerato il mandante dell'omicidio. Al Mon­ talto il viccré dichiarava che . Restarono impu­ niti anche i due esecutori materiali del delitto, sfuggiti alla cattura disposta dal capitano di Palermo, il famoso Giovan Luca Barberi. Nei loro con­ fronti l'avvocato fiscale aveva fatto promulgare un bando; tuttavia il conte di Caltabellotta ottenne dalla Magna Regia Curia la remissione dci rei al suo foro in quanto suoi servitori, e questo nonostante la «continentia di causa>> c nonostante egli fosse «principalitcr inculpato dc codcm crimine». Lo scandalo era ulteriormente amplificato e aggravato dal fatto che il con­ te di Caltabellotta, fatti venire a Palermo i due "creati" , «tcniali publica­ menti in fachi [ faccia] del vicerré» nelle cavalcate ufficiali, e si faceva accompagnare da essi persino al palazzo viceregio. «Li ministri - commen­ tava rasscgnatamcnte Montalto - non ponno fari bona guerra con cui lo vicerré voli pachi [ pace]», e perciò aveva preferito lasciar «dormiri» il caso, piuttosto che avere una sentenza di assoluzione, a cui poi non poter­ si appellare se non per dispensa sovrana, cosa questa che «Sua Maestà non ha costumato may fare». Gli episodi denunziati da Montalto all'imperatore contrappongono in modo speculare - all'ombra della complice pavidità dei ministri della Gran Corte c della "politica" acquiescenza viccrcgia - alti rappresentanti del ba­ ronaggio agli ultimi esponenti del vecchio fronte ministeriale, quali il giu­ dice de Advena, il segretario Giovan Luca Barberi e lo stesso Montalto, che dei tre nel 1 5 3 r era poi l'unico sopravvissuto. L'avvocato fiscale di=

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BANDI'IlSMO E BARONAGGIO NELLA SICILIA DI CARLO V

chiarava a Carlo v che, a causa della sua mancanza di riguardi nei con­ fronti dci potenti, era il solo fra tanti ministri c ufficiali ad essere «odiato et reputato per tiranno in Sicilia». Era inoltre notorio che il viceré gli vo­ lesse «mali dc morti>>. L'ostilità del baronaggio c del conte di Monteleone gli aveva già procurato («nullo comparente actore nec legitimo denunciato­ re», ossia d'ufficio) una con le caratteristiche proccssuali che di n a qualche anno avrebbe assunto l'istituto della visita ( «fachendo rechipiri et examinari [i testimoni] secretamente per m anera di processo di Camara scu processo informativo, senza farmi citari, né lassari interveniri nixuno per mi a vidiri iurari li testimoni») . Montalto riteneva di essere stato trattato «peyo que se [. .. ] fussi stato uno heretico, un rebelli dc Vostra Maestà o vero un homicidiario et latro publico». Tuttavia, dopo averlo trattenuto in Spagna due anni, il Gran Cancelliere Gattinara ne ave­ va riconosciuto l'innocenza c gli aveva concesso mille ducati di «aiuto di costa>> per il ritorno in Sicilia. Adesso, in più occasioni, egli esprimeva a Carlo v timore per la vita e I' onore suo e della sua famiglia, riferiva di do­ ver circolare armato c di tenere sotto scorta la sua casa. Chiedeva perciò all'imperatore «licentia di potiri substituiri in Io officio [. .. ] accui voli Io viccrré>> c di essere chiamato a servire a Madrid. Sebbene la reiterata domanda baronale di concessione generalizzata del mero e misto impero non fosse stata accolta da Carlo v, in numerosi casi l'esercizio della giurisdizione negli Stati feudali era stato venduto «per po­ cho dinari, con clausuli multo abdicativi et favorabli>>. Ne era conseguito che, «con lo scuto di loro privilcgii di mero imperio», i baroni proteggeva­ no e offrivano impunità ai delinquenti provenienti dalle terre e città dema­ niali. Inoltre, poiché le composizioni entravano nelle casse della corte feu­ dale, i baroni commettevano innumerevoli «extorsioni et concussioni, vexa­ cioni et maltractamenti a li poviri vassalli>>, a cui >. n che arrecava pesanti per­ dite alle entrate del Real Patrimonio. Nel 1 6 39 , ad esempio, il danno all'e­ rario regio veniva quantificato in ben «sinquenta mil ducados» 1 7 • Altro approdo dove intenso si svolgeva il traffico di contrabbando era

BA�DI'I1SMO E AMMI�ISTRAZIONE DELLA GIUS'I1ZIA �EL REGNO DI SARDEG�A

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quello di Orosei e Galtellì. Qui, indisturbato, operava un certo capitano Pisina il quale, «como hombrc poderoso», d'intesa con i commissari regi, esportava impunemente ogni genere di merce vietata. Tale attività, sempre nello stesso periodo, costava, veniva denunciato, all'erario regio in mancate entrate fiscali ben centomila ducati. A tirar le file del contrabbando del grano prodotto nella Planargia era­ no invece quatro clerigos, i quali in qualità di collettori delle decime, dal porto di Bosa, d'intesa con i commissari regi, vendevano a mercanti fran­ cesi notevoli quantità di tale prodotto, il che annualmente, in media, com­ portava per l'erario perdite per circa trentamila ducati. Sempre negli stessi anni «muchos bandeados», dal porto della città di Alghero, riuscivano ad imbarcare clandestinamente numeroso bestiame ver­ so la Corsica, senza incorrere in alcuna punizione r s . Contestualmente, inoltre, il fenomeno del contrabbando tendeva ad estendersi in maniera preoccupante anche a quelle aree della Sardegna sud-occidentale, dove il fenomeno fino ad allora era stato sporadico. Dalle marine di Sarroch c Pula, ad esempio, nonostante la relativa vicinanza alla capitale del regno, veniva clandestinamente imbarcato bestiame e pellame frutto dell'attività degli abigeatari che operavano nei monti di Capoterra. n furto di bestiame era alimentato dalla forte richiesta sul mercato mediterra­ neo soprattutto di cuoiami e di pellami. n bestiame, anche di piccola taglia come ovini e caprini, veniva rubato e macellato, non tanto per l'utilizzo delle carni, quanto per le pelli, il cui valore risultava ben più rcmuncrativo. Ciononostante, l'adozione di drastiche misure per frenarne l' esportazio­ ne clandestina, che oltrctutto privava il mercato interno di una risorsa rite­ nuta fondamentale per l'economia dell'Isola, e l'inasprimento delle pene pecuniarie e corporali, non valsero a stemperarne l'intensità. Nel luglio del 1 63 1 , ad esempio, vittima degli abigeatari cadeva il be­ stiame posseduto dal notaio Monserrato V acca, segretario della Luogote­ ncnza generale, della Reale Udienza c delle Cortes del Regno di Sardegna. Questi allevava oltre 700 capi di bestiame ovi -caprino nelle montagne di Capoterra, in località Gutturu de Olla. La custodia delle greggi, che comprendevano anche capi appartenenti alla chiesa di Santa Barbara dello stesso villaggio, era affidata ai fratelli Pascalis. Gli abigeatari, potendo contare sulla temporanea, c forse connivente assenza degli stessi servi pastori responsabili della custodia del bestiame, in un solo colpo si impadronivano di ben r 53 capi. Venivano comunque colti in flagranza di reato quando avevano già macellato 2 r capi per ricavarne le pelli da immettere sul fiorente mercato. La precipitosa e immediata fuga, oltre alla perfetta conoscenza dei luoghi, evitava loro la cattura da parte dei barracheles che pattugliavano la zona. n caso, considerato il prestigio istituzionale della persona colpita, suscitò immediatamente grande scalpore, tanto che l'autorità di governo si attivò prontamente per assicurare alla giustizia i responsabili di simile affronto. A seguito di lunghe indagini c di prezzolatc testimonianze gli esecutori

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GIOVAN:;.JI MURGIA

materiali del furto venivano individuati nelle persone di Nicola e Pietro Pisanu, fratelli, c di Antioco Ariu , tutti pastori c «tots dclinqucntcs y lla­ dres» 19• Per questi, accusati del «robatori», su istanza e pressione dello stesso notaio Vacca, venivano sollecitate pene esemplari, in maniera tale che fossero «pugnits y castigats en la pena que semblant atros y enorme delicte requirex y a la satisfassio axi de Ies cinquenta y tres cabras com dcls fruits y cntrada dc aqucllcs» L'area più marcatamente a specifica vocazione banditesca, per ampiez­ za c incidenza, restava comunque quella a dominante economia armcntizia del Capo di Sassari e del Logudoro. Qui, infatti, le quadri/las di bandeados y ladrones ruotavano attorno a forti interessi di potenti gruppi familiari i quali, nel controllo delle attività illecite, si confrontavano aspramente e spesso, sanguinosamente, per affer­ mare la propria egemonia cetuale all'interno c tra le comunità. TI territorio dell' Anglona e della Gallura costituiva il llmes criminis per eccellenza, quasi invalicabile per le stesse istituzioni regie ed ecclesiastiche, per cui l'esercizio dell'amministrazione della giustizia risultava oltre che precario, decisamente contrastato dalle stesse popolazioni. La recrudescenza del banditismo preoccupava notevolmente l'autorità viceregia, tanto da costringerla ad adottare strumenti di polizia repressiva particolarmente pesanti . Il suo intervento si muove su diversi piani, pre­ miando la delazione con sostanziose taglie per la cattura dei malviventi più pericolosi; ora con l'adozione del destierro nei confronti di familiari, loro complici e protettori; ora con la distruzione delle stesse loro abitazioni 2 1 • Per la cattura di banditi ritenuti particolarmente pericolosi per il bene pubblico e per la presenza stessa delle istituzioni del regno, si ricorreva anche al rilascio di salvacondotti che riconoscevano l'indulto per coloro che, sebbene malviventi, contribuissero alla loro assicurazione alla giustizia. Per controllare c reprimere le manifestazioni criminose le autorità regie ricorreranno anche ad altri mezzi di polizia meno tradizionali, o forse meno conosciuti. Fatti, senza dubbio impressionanti, sono rappresentati dall'immediata e rapida mobilitazione di centinaia di uomini a cavallo, ar­ mati di archibugio, che vengono spostati nei territori più caldi. Così per riportare l'ordine a Chiaramonti, il rcggidorc dei feudi d'Oliva, don Fran­ cisco Joan Navarro, nel 1 6 3 5 , nel visitarne i territori di pertinenza, recluta­ va cento cavalieri a Osilo. Ugualmente per dare l'assalto a quest'ultimo centro mobilitava centotrenta cavalieri, ottanta dei quali arruolati nel Mon­ tacuto e cinquanta addirittura nel Marghine. Naturalmente il costo della mobilitazione era abbastanza alto in quanto tali milizie venivano retribuite in base alla durata del servizio prestato. TI loro impiego risulta spesso spettacolare. Talvolta, come a Osilo, si dà l'assalto, all'alba, alle case dei malviventi più pericolosi, al suono delle trompetas; uno dei ricercati viene ucciso mentre si sposta sul tetto imbrac­ ciando lo schioppo. Altre volte queste milizie si muovono sul territorio portando avanti azioni di rastrellamento e dando I' assalto alle postazioni delle bande di fuorusciti. 20•

BA�DI'I1SMO E AMMI�ISTRAZIONE DELLA GIUS'I1ZIA �EL REGNO DI SARDEG�A

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Talvolta si ricorre ali' arruolamento di assoldados, affidati ad un capo, ai quali veniva assegnato un compito non occasionale, ma stabile, di presidio delle campagne per prevenire i furti, catturare i ricercati, sorvegliare i buoi domiti c il bestiame. Le spese del servizio erano a carico naturalmente del­ le diverse comunità Il più delle volte, però, processi sommari si concludevano con la condan­ na a morte di coloro che in qualche misura venivano accusati di aver com­ messo reati e delitti verificatisi nel territorio. In questi casi il ricorso alla spet­ tacolarità delle esecuzioni - che oltre all'impiccagione, alla mozzatura del capo che, impalato veniva portato in corteo per le vie dell'abitato, e talvolta al macabro rituale dello squartamento del cadavere, le cui parti , ugualmente impalate venivano poi esposte ai quattro punti cardinali del paese - aveva una funzione "educativa", di ammonimento per coloro i quali intendessero ribellarsi c muoversi al di fuori dell'ordine costituito. Emblematico è, ad esempio, l'atteggiamento mentale con il quale il reg­ gidore dei feudi d'Oliva affrontava il fenomeno del banditismo ivi assai ra­ dicato e diffuso. Nel definire gli abitanti di Chiaramonti > 63• Contro queste prove evidenti il duca di Lauriano sostenne che era stato . Tale situazione mutò dall'ottobre del 1 692 allorché Oronzio Pinclli ritornò a Galatone: Gaballone e compagni, infatti, uscirono «dalla Chiesa benché inquisiti di altri delitti camminando armati pubblicamente>> e, sicuri della propria incolumità, «si videro pratticarc con maggiore libertà», dicendo pubblicamente «che hoggi ch'hanno l'affitto li Pinelli loro protettori non temono più niente e andavano facendo per questa terra mille insolenze e mille bravure alli poveri cittadini>>. Se, tuttavia, Gaballonc c Marino, in se­ guito all'omicidio commesso, si erano rifugiati in chiesa protetti dall'immu­ nità del luogo, un loro compagno Domenico di Salvatore detto il «Lac­ cheo l'abruzzese», che li aveva aiutati a trasportare c nascondere il bottino,

IL BANDITISMO NEL REGNO DI NAPOLI ALLA FINE DEL XVII SECOLO

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era riuscito a rifugiarsi nella terra del duca e a sottrarsi alla giurisdizione del preside. Questi dispose due squadre di campagna «una a la direccion del go­ vernador de Nardò y otra a la direccion del duque de la Acerenza»; il duca Pinclli, nel tentativo di dimostrare la sua estraneità al delitto c alla ricettazione dei banditi, aveva offerto il suo aiuto al preside consegnando­ gli Gaballone, dopo aver istruito il bandito sulle dichiarazioni che avrebbe dovuto rendere. Ma il preside procedette contro il bandito ad modum belli «con el regor que pide la justizia en materia de tan exemplar castigo», e la sua testa fu esposta nel luogo in cui era avvenuto il delitto. Né si lasciò ingannare dal gesto del duca, tanto più che dai suoi informatori era venu­ to a conoscenza che lo stesso Pinelli aveva aiutato Noè Marino e Domeni­ co di Salvatore a fuggire dalla provincia. Convinto dunque che il duca avesse trasportato i banditi nella terra di Belmonte o in altre dei suoi possedimenti in Calabria, il preside sollecitò il viceré a scrivere al preside di Catanzaro e a quello di Cosenza affinché procedessero alla piena cattura dci banditi «para que con todo cuydado haya la diligenzia de encontrar estos hombres a fin de que quede intera­ mente castigada y desecha esta comitiva>>. Le risposte non tardarono ad arrivare. Sia il duca di Laurito, allora preside della Calabria Ultra, sia il preside di Catanzaro, Don Luis Parisani, dichiararono d'impegnarsi nella cattura «con singolarissima attenzione e con incessante applicazione». Purtroppo non ci è dato conoscere, almeno dai fondi delle Segreterie dei Viceré, la conclusione della vicenda degli altri due banditi, ma con molta probabilità essi riuscirono a sfuggire alla cattu­ ra, poiché in un memoriale dei sacerdoti di Galatone inviato al viceré, contenente 44 capi d'accusa contro Oronzio Pinelli si desume che i fuoriu­ sciti fossero ritornati nelle terre dei duchi dove «li tengono detti Pinelli per guardiani del feudo dell'Acerenza». Alcune conclusioni

Quelli presentati sono solo alcuni dei casi più significativi tra quelli incon­ trati nella documentazione raccolta, di piena connivenza tra baroni c han­ diti, che permettono comunque di avanzare alcune ipotesi di lavoro e di porre alcune domande le cui risposte aiuterebbero a completare l'ancor debole quadro del fenomeno a nostra disposizione. Una delle questioni di maggiore rilievo, e delle quali si conosce ancora poco, è il ruolo che in queste vicende ricoprono gli strati più bassi del ceto ecclesiastico, preti e monaci locali. Nei tre casi presentati, ma anche in altre vicende, essi sembrano essere un importante anello di congiunzio­ ne tra i baroni e i banditi , e appaiono in funzioni di mediatori, per incon­ tri, patteggiamcnti, rifornimento di cibo c altro 67: il monaco del convento di S. Bernardino che assicura al Perrella e compagni la protezione del marchese di Isernia, grazie al quale le istanze dei banditi e le protezioni del nobile riescono a trovare un sicuro canale di comunicazione; il frate

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DANIELA AMBRON

Giovanni Guardiano, che aveva ricevuto dal duca di Lauriano il delicato compito, poi fallito, di consegnare la missiva al bandito Santuccio, senza parlare dei tanti sacerdoti e pretuncoli locali che proteggevano i banditi ri­ fugiati nelle chiese c conventi del duca; la singolare figura del sacerdote Oronzio Basile, che dimostra una inconsueta abilità nell'entrare da prota­ gonista nelle vicende che coinvolsero Oronzio Gaballone e i duchi dell 'A­ cerenza. Altro elemento da approfondire è la reazione delle magistrature. Le prammatichc, soprattutto nella seconda metà del Seicento, delineano una politica molto dura nei confronti dei reati di connivenza, ma non sempre venivano applicate. I processi che abbiamo a disposizione mostrano una realtà ben diversa da quella che potrebbe cvinccrsi dalle leggi. Effettiva­ mente alla fine del secolo, particolarmente negli anni Ottanta, i processi contro i baroni furono numerosi, c così le accuse c le indagini contro di loro. Ma il carattere di esemplarità evidentemente assegnato ai processi non si spingeva fino a comminare punizioni altrettanto esemplari. Nel caso del Perrella, il Marchese d'Isernia suo protettore riceve una sanzione pecuniaria di tremila ducati, che non lede minimamente la sua posizione né sociale né economica. L'accusa al duca di Lauriano sollevò certamente più scalpore, anche per la fama dei banditi da lui protetti, con­ siderati dalle prammatichc tra i più pericolosi in circolazione. Tuttavia an­ che il duca, come il marchese d'Isernia, sembra uscime quasi indenne: la carcerazione fu presto commutata nella reclusione in casa e in un'ammen­ da di diecimila ducati. Dicci anni più tardi, la documentazione riguardante il duca dell'Acerenza non presenta alcuna conseguenza penale contro il ba­ rone, nonostante la durezza delle accuse presentate nel memoriale dci sa­ cerdoti di Galatone. Anzi la famiglia Pinelli, grazie anche a ben combinate strategie matrimoniali, migliora la sua posizione sociale, finché la casata non si estinguerà nel ramo Pignatclli. Nel loro caso, inoltre, non risulta al­ cun procedimento a loro carico e solo grazie alla documentazione prodotta nel corso del processo contro il preside Vcntura Gomcz conosciamo i loro rapporti con i banditi. Sicuramente, come ha più volte ribadito Galasso, c come testimoniano cronache e documenti del tempo, gli anni Ottanta furono caratterizzati da una massiccia recrudescenza del banditismo e da un'altrettanto massiccia reazione monarchica nei suoi confronti. La politica rcpressiva, tuttavia, fu forse legata più alla particolare congiuntura politica, alla personale azione del viccré marchese del Carpio c a una maggiore consapevolezza del pro­ blema, che non alle effettive dimensioni di un banditismo che presentava già caratteri endemici. Va inoltre ricordato che la politica repressiva scate­ nava una reazione a catena, per cui il moltiplicarsi di bandi c forgiudichc non faceva che aumentare a sua volta il numero dei banditi. TI Consiglio d'Italia, del resto, espresse non poche riserve nei confronti dell'azione del marchese del Carpio, in quanto temeva spese eccessive, considerava (A. Scirocco, Banditismo e repres­ sione in Europa nell'età moderna, in Tra storia e storiogra/ia, scritti in onore di Pasquale Villa­ ni, a cura di P. Macry e A. Massafra, Il Mulino, Bologna 1994, p. 418). Nel 1683 il governa­ tore di Altamura (città regia in Provincia di Bari) richiedeva alla capitale rinforzi di soldatc­ sche in occasione della fiera che si sarebbe tenuta in quella città (Confuorto, Giornali di Napoli cit., I, p. 253). 46. Galasso ha visto nell'aumento in questo periodo dei matrimoni tra nobili e togati (che in questo modo in cambio di un anoblissement fornivano ingenti capitali) un chiaro sin­ torno della condizione di forte indebitamente e difficoltà finanziaria della nobiltà napoletana. 47· Galasso, Napoli spagnola cit., p. 273. 48. Galasso, Unificazione italiana e tradizione meridionale cit., p. 8. La difficoltà maggio­ re incontrata nella documentazione archivistica risiede proprio in questa mancata distinzione. Negli incartamenti riguardanti processi o informazioni contro baroni protettori di criminali non sempre viene specificata la loro condizione di banditi o forgiudicati, sembra questo esse­ re un dato di seconda importanza nella vicenda, a meno che non si tratti di banditi partico­ larmente famosi. Emblematico è il processo al duca di Martina e al principe di Mesagne, ac­ cusati di aver annata e protetto Francesco Borrazzo e altri delinquenti, imputati di aver as­ sassinato Giovanni Maria Manetta. Gli uomini, in tutti gli atti del processo, sono indicati con appellativi quali «smargiassi, uomini di mala vita, delinquenti», ma mai come fuorgiudicati o banditi. Tuttavia in una carta presentata come prova del processo, conservata nell'Archivio del Tribunale Provinciale di Lecce, sono elencate tutte le condanne imputate al Borrazzo dal 1667 al 1678, data del processo. Tra di essi risulta chiaro che nel r669 era stato reputato