Avanguardie
 888033266X, 9788880332664

Citation preview

Francois Albera Avanguardie

Negli studi di storio ed estetica del cinema la questione dell^avanguardia" è abbondantemente trattata ma allo stesso tempo trascurato. Molto presto ci si è resi conto che esisteva un cinema d'avanguardia e che i problemi da risolvere erano quelli della periodizzazione e della caratterizzazione in termini di correnti e tendenze. Sono stati disegnati panorami sempre più vasti dell’"ovanguardia nel mondo", facendo dell'avanguardia una scuola, un genere, perfino uno stile. Questo studio ripropone la questione “avanguardia/cinema" partendo da altre esigenze, senza dare un giudizio a priori sulla natura del legame che unisce o contrappone i due termini, al fine di riconsiderare i concetti in questione, ciò che essi comprendono e ciò che implicano. Il libro è completato da una messa a punto delle teorie elaborate sulla questione e dalla pubblicazione di alcuni testi poco conosciuti.

Francois Albera Avanguardie

Primi edizione: gennaio 2004 le dighe Collana diretta da Leonardo Quaresima Redazione: Editrice II Castoro viale Abruzzi 72,20131 Milano

infotocastOffHxviine.it wwwxastoroon4lne.it La colane è promossa da «Comma * Cie»

Editorial board Richard Atei, Francois Albera, Rkk Altman, Sandro Bernardi. Francesco Casotti, Lorenzo Cuccu, Thomas tlsaesser, André Gaedreaidt Tbm Germing. Francois

lost. Michèle Lagny, Leonardo Quaresima, laureo Rabinowitz, Vicente StacherBiosca. Irmbert Schenk.

Traduzione di Rosa Pavone

Progetto grafico di copertina: Studio Tapiro, Venezia © 2004 Editrice II Castoro sri

ISBN «M033 266-X

le dighe

Francois Albera

• Avanguardie

Editrice

li. Castoro

INTRODUZIONE

Negli studi di storia ed estetica del cinema la questione delr“avanguardia” è abbondantemente trattata ma allo stesso tempo trascurata. Molto presto ci si è resi conto che esisteva un cinema d'avanguardia e che i problemi da risolvere erano quelli della periodizzazione e della caratterizzazione» in termini di cor­ renti e tendenze. Poi sono stati disegnati panorami sempre più vasti dcirMavanguardia nel mondo" (Giappone, Stati Uniti» Catalogna...)» facendo dell'avanguardia una scuola^ un genere., perfino uno stile. A partire dagli anni Venti si fa largo uso del concetto, sia in senso elogiativo sia peggiorativo. Tuttavia ci piacerebbe riproporre in questa sede la questione “Avanguardia/Cinema” senza dare - partendo da altre esigenze un giudizio a priori sulla natura del legame che unisce o con­ trappone i due termini» sulla copula (inclusione, esclusione, intersezione), al fine di riconsiderare i concetti in questione, ciò che essi comprendono e ciò che implicano. La nostra premessa è che non si possono, senza le dovute pre­ cauzioni» applicare al cinema i termini» le suddivisioni, ecc. della questione così come sono stati elaborati nelle “altre arti”. Le ragioni di questa impossibilità, sulle quali ritorneremo» si basano essenzialmente, in primo luogo» sulle differenze strutturali carat­ teristiche del campo cinematografico - che si costituisce pro­ gressivamente molti anni dopo l'apparizione del cinematografo rispetto ai campi intellettuale, letterario e artistico già costituiti al momento della sua apparizione; in secondo luogo, sulla natu­ ra del medium e del medium ‘cinema’ D’altronde, la questione dell'avanguardia “in generale” è essa stessa soggetta a controversie c definizioni contraddittorie.

5

Ci si dovrà quindi domandare cosa sia un avanguardia prima di interrogarsi sul senso che può avere questa parola nel campo del cinema. E bisognerà chiederselo, in particolare, dopo aver convenuto di distinguere avanguardia da modernità, moderno, modernismo, innovazione o sperimentazione, termini con i quali questa nozione è spesso confusa, nella storia c nella critica, tanto dell’arte in genere quanto di quella cinematografica. Questo interrogativo ci porterà a definire l’avanguardia come una posizione nel campo artistico. Se è vero che il concetto di avanguardia ha conosciuto, dalla sua apparizione alla fine del XIX secolo fino ai giorni nostri, considerevoli riformulazioni in campo intellettuale, letterario e artistico, soprattutto neU’ultima parte del XX secolo, oggi esso non conserva più una reale efficacia ncU’ambito delle arti plasti­ che, della letteratura o delia musica. Si è in parte esaurito - o l’abbiamo esaurito — a causa di un uso ripetuto e sempre meno pregnante, prima che il discorso pubblicitario se ne impadronis­ se rendendolo del tutto innocuo. Beninteso, questa evoluzione non è “interna” al concetto, non si tratta affatto di un’avventura puramente discorsiva, ma rimanda a un’assegnazione sociale, come viene giustamente dimostrato dal suo esito pubblicitario. Dicendo ciò, non individuiamo affatto la causa della sua degradazione/sval ut azione nell’“appropriazionew (il traviamento) del 1’“idea d’avanguardia” da parte dei mass media. Infatti il lega­ me avanguardia/mass media/pubblicità è costitutivo - e su que­ sto punto dovremo tornare. Dobbiamo interrogarci su questa evoluzione, anche se non riguarda direttamente l’oggetto del nostro interesse, - limitato di proposito al cosiddetto periodo “storico” delfavanguardia al cinema - nella misura in cui non può non influire sul modo di comprendere il fenomeno storico stesso e sul nostro modo di percepirlo oggi. Il discorso della “fine” delle avanguardie o dell’^Avanguardia” ha accompagnato sia il declino del valore di esposizione del con­ cetto (si veda f accelerazione parodistica dei movimenti negli anni Sessanta, in particolare in Italia: transavanguardiay ecc.), sia la fioritura di studi storici su numerosi movimenti di queste

6

avanguardie "storiche”, in particolare russe, che erano rimasti sconosciuti. Il confronto fra la documentazione e gli studi di storia dell’arte esistenti negli anni Cinquanta-Sessanta su questo argomento e quelli disponibili oggi è illuminante: la nostra conoscenza è aumentata a dismisura, sia per quel che riguarda il futurismo italiano e il costruttivismo russo, sia per il dadaismo e molti altri movimenti. La separazione dei movimenti artistici dai progetti politici di natura sovversiva (nel XX secolo gli ultimi esempi di questo legame sono Cobra e poi il Situazionismo; in ambito cinemato­ grafico, il cinema “militante” del 1968) gioca un ruolo fonda­ mentale in questa caduta deU*“avanguardia” nella parodia1. Separazione che ha evidentemente a che fare prima di tutto con la scomparsa di questi progetti politici. Occorrerà, infatti, stabilire la natura politica dei vari movi­ menti d’avanguardia - a condizione d’intendersi sul termine “politico”. Il fenomeno di devalorizzazione della posizione d’avanguardia e della sua natura politica ha avuto indirettamente come effetto lo sviluppo di una corrente universitaria e critica - in particolare americana — che ha scelto di chiamarsi “revisionista” e che tende a stravolgere quella che definisce una 'versione standard” dell’a­ vanguardia europea2. Ora questa corrente, che critica a buon diritto alcune concezioni globalizzanti e semplificatrici elaborate precedentemente nel nome della "complessità” della realtà stori­ ca, sembra ritenere impossibile e inconcepibile una teorizzazione della posizione d’avanguardia5. A dire il vero vuole "sciogliere” il concetto in una corrente inglobante, quella della “modernità”, che presenta in realtà caratteristiche contraddittorie, in partico­ lare sul piano ideologico: infatti si può parlare di un moderni­ smo "classico”, di un classicismo moderno, perfino di un modernismo reazionario. Questa confusione tra "moderno” e "avanguardia”, che da parte nostra rifiutiamo, dipende indubbiamente dalle diverse accezioni attribuite al termine nelle varie aree culturali e lingui­ stiche. Negli Stati Uniti l’espressione arte d’"avanguardia” cono­ sce un uso estensivo e, per questo, banalizzato4. In Francia, in

7

Germania c in Italia ha una sorte diversa: il termine è controver­ so e la sua definizione una continua scommessa. Nelle diverse sfaccettature di questa evoluzione» si può ipotiz­ zare che il cinema abbia assunto un ruolo importante, non tanto perche al centro di questo movimento di ricerca e di riflessione, quanto in ragione delle trasformazioni che ha introdotto, spesso in modo "sotterraneo’', in questo ambito, per i cambiamenti che ha provocato. Si deve riconoscere una volta di più che questi cambiamenti non sono mai stati trattati sistematicamente - a eccezione di Walter Benjamin negli anni Trenta —♦ ma. al con­ trario. se ne troveranno tracce, approcci frammentari, oppure descrittivi, come in La Grande Encyclopedic franfaise. diretta da Lucien Febvre tra il 1935 e il 1939. in particolare per le questio­ ni della meccanizzazione, del macchinismo nelle ani e per i pro­ blemi riguardanti i bisogni collettivi con i quali la posizione avanguardista si misurerà durante la sua trasformazione. Di conseguenza proporremo in questa sede di partire da un'a­ nalisi del concetto di “avanguardia” precedente l'apparizione del cinema, in modo da definire le condizioni di possibilità dei movimenti che rivendicano questa posizione-, autonomia e politi­ cizzazione del campo artistico. Boi. per formulate questo concet­ to nel campo del cinema - dal momento in cui esso si è costitui­ to - prenderemo in esame la questione a doppio binario delPavanguardia al cinema" e di un “cinema d'avanguardia* che occuperà il centro di questo saggio. Infine tratteremo - anche se solo parzialmente - la realtà empirica di ciò che si à chiamato “avanguardia” in ambito cinematografico negli anni Venti e seguenti, proponendo di riservarle le denominazioni di moderno e avanguardista. In conclusione, verificheremo la pertinenza delia categoria “cinema d'avanguardia* a partire dalle differenti denominazioni che sono attribuite talvolta allo stesso corpus di film, talvolta a film vicini o comparabili (sperimentale, puro, moderno, indipendente, ccc.). c verificheremo la pertinenza delle suddivisioni cronologiche tradizionali. forse al lettore sembrerà che si sia privilegiato il “caso france­ se* dd cinema d'avanguardia e la questione dell'avanguardia in Francia. E questo per due motivi. Il primo si basa sul fatto che è

senza dubbio in Francia che il dibattito c le modalità del proble­ ma dell'avanguardia si sono posti in modo più acceso e per un lasso di tempo più lungo — anche se è in Italia che. con il futuri­ smo, viene dato alla luce il prototipo del movimento d’avan­ guardia. cd e in Unione Sovietica che questi movimenti si avvi­ cinano di più alla realizzazione dd loro progetto. In secondo luogo molta importanza ha senza dubbio la posi­ zione che occuparono in Francia i movimenti artistici d’avan­ guardia. in particolare grazie al clima sociale c alle tradizioni politiche. Il cinema francese e le sue componenti d'"avanguardia” occupano una posizione particolare in tutti gli studi sull'ar­ gomento, a partire dagli anni Venti, indipendentemente dalla loro provenienza. Esaminando le «ragioni di una carenza» di un fenomeno simile in Spagna, Romdn Gubern associa lo sviluppo delle avanguardie cinematografiche in Francia e in Germania all'esistenza di una potente industria cinematografica. Da una parte perché esse rappresentano una «replica estetica radicale c una negazione del cinema commerciale stereotipato e conven­ zionale generato da simili industrie»; dall'altra perché la prospe­ rità industriale, l'esistenza di infrastrutture e di competenze tec­ niche permette l’emergere di imprese sperimentali*. I-a nostra prospettiva non vuol essere, peraltro, né enciclopedica, né antro­ pologica, né sindetica: il caso francese ha quindi qui un valore paradigmatico, nonostante le differenze - numerose - che esi­ stono tra la sua situazione e quella di altri Paesi. in particolare la Germania. In seguito resterà da interrogarsi sulla "fine** o il “superamen­ to" dell’avanguardia. Il passaggio al cinema documentario - su commissione o mili­ tante -, cioè il rifiuto del carattere artùtico del cinema d’avan­ guardia e la scelta del “documento" (nel senso che Georges Bataille attribuisce al termine) o del "fatto" (come lo rivendica una corrente sovietica, sia letteraria e fotografica sia cinemato­ grafica. di cui il Lcf è la punta di diamante, ma che esercita la sua influenza anche in Germania) ne è un aspetto. L’altro ha a che fare con quella che si può chiamare la ifcoLtriaazùme dell’a­ vanguardismo: l'innesto, in seno a film commerciali tradizionali.

di brani o d'immagini che conservavano il marchio “avanguardi­ sta”; oppure» alfinterno di film costruivi su una logica narrativa e rappresentativa “classica” o postclassica, l’inserimento di proce­ dimenti o di figure plastiche, ritmiche, discorsive ccc. che erano state “sperimentate” nei film d’avanguardia. Il fenomeno è dibattuto già dagli anni Venti ed è legato a que­ sto concetto d’* avanguardismo” o di “stile avanguardia”. Ma nei tardi anni Quaranta, dopo la “fine” dell’avanguardia (o dell’Avanguardia), dopo la cesura della Seconda guerra mondia­ le, la caduta di alcuni dei fascismi europei e l’avvento dell’Urss come potenza mondiale» la questione viene a porsi in modo dif­ ferente. Se un certo numero di protagonisti dell’avanguardia degli anni Venti intende prolungarla e rinnovarla dandole un nuovo statuto d’autonomia e d’indipendenza, come prefigurato dal Congresso del cinema indipendente di La Sarraz (Hans Richter, negli Stati Uniti» associato in seguito ad alcuni movi­ menti di cinema sperimentale, cooperative» riviste, sale)» altri si sforzano di chiudere questo capitolo e di ridefinire la posizione avanguardista nell’ambito del cinema industriale. Si trovano allora affermazioni del tipo «l’Avanguardia oggi è Welles, Roquier» Rossellini» (Auriol-Astruc-Bazin), è il cinema di «criti­ ca sociale» (Boussinot), perfino il «realismo socialista» (Langlois a proposito di Jutkcvi/ quanto tale (come medium), né da parte dei futu­ risti, né da parte degli altri (in particolare Apollinaire). Come potrebbe essere altrimenti quando il cinematografo si presenta al pubblico come tecnica di registrazione, mezzo di comunicazio­ ne, o macchina fabbrica illusioni i cui prodotti sono proposti assieme ad altre attrazioni? Bisogna necessariamente includere questa tecnica, questa macchina, in un dispositivo di scrittura o di messa in scena esterno a essa. Se Marinetti immagina molto presto di inserire proiezioni cinematografiche in spettacoli di music-hall e a teatro» lo fa per un'amplificazione della pratica ormai corrente al tempo degli spettacoli da caffè-concerto e da music-hall. È quindi più illuminante prendere in esame gli scrittori che “importano” procedimenti tecnici del cinematografo nella loro scrittura (frammentazione e assemblaggio, accelerazione, sinco­ pe), nella poesia, nella narrazione e nel teatro. Troviamo tra que­ sti Marinetti con il suo teatro sintetico89» ma forse anche con le sue ««parole in libertà», Apollinaire o» in Russia, Majakovskij. Questo fenomeno è tanto più importante se si pensa che il rico­ noscimento del cinema» che introduce il Film d’Art nel 1908 (formula che produrrà effetti in diversi Paesi), avviene nella dire-

44

zionc opposta, con il film che riprende testi letterari o teatrali precedenti (adattamento e messa in scena)90. La curiosità induce Guillaume Apollinaire a parlare di cinema già nel 1907 («Un beau film» in L'Hérésiaqué}, a introdurlo in Les Soirée* de Paris che dirige nel 1913 (cronaca di Maurice Raynal), ma solo come attrazione; il poeta scrive una sceneggia­ tura parodistica che gioca sui nuovi sviluppi bruschi e inverosi­ mili introdotti dal film (La Bréhatine), non distante dai racconti faceti di Carni o di Alphonse Allais, ed elabora una finzione '‘prospettivista** a partire dal macchinario del cinema e del fono­ grafo in Le Roi lune (1914) - come hanno potuto fare prima di lui Villiers de Elsie Adam con L'Èva futura^ Jules Verne con // castello dei Carpazi o Giuseppe Lipparini con II signore del tempo. Fino alla sua morte, Apollinaire guarderà al cinema come a un fenomeno eccitante, nuovo, perturbante — in particolare dal punto di vista del pubblico che attira - senza vedere in esso uno spazio di creazione confò per la poesia o la pittura. Nella sua intervista a «SIC» o nel suo testo su L'Esprit nouveau et les poète?n, il cinema gli sembra «l’arte popolare per eccellenza», perfino il «teatro delfavvenire», per il fatto che riunisce le folle e le «mette in comunione spirituale»92, oppure vede il cinema «al servizio della pittura» nel progetto del “ritmo colorato” di Leopold Survage93. Allo stesso modo ci si può domandare quale effetto abbia potuto provocare il cinema, al suo apparire, nell’arte pittorica prima che i pittori esprimessero il loro interesse per questo mezzo — cioè durante la guerra del 1914-1918 c soprattutto a partire dal 1919. John Frazer aveva immaginato Apollinaire, Picasso c Braque che uscivano da uno spettacolo della Star-Films di Méliès com­ mentandolo con entusiasmo. Escludeva che potesse essere altri­ menti e ne deduceva questa ipotesi: «[Poiché] la proiezione animata emerse come una vera forma d’arte nel momento in cui venivano enunciati i principi del modernismo, ne consegue che un buon numero dei germi del modernismo sareb­ bero potuti derivare dal cinema»; ed essendo il cinema di Mélics «la

45

prima espressione coerente e pienamente articolata di quello che pro­ metteva Tane cinematografica, [i suoi film] [possono] essere conside­

rarli] fanti primarie degne di essere studiate come antenati del modern ismo*94.

Al di là di un’indagine fattuale, l’esame delle opere in sé con­ ferma questa ipotesi senza tuttavia accordare un ‘'privilegio” a Méliès95. Ad attirare gli artisti è il cinema come fenomeno complessivo, lo spettacolo, il programma nel quale si succedo­ no documenti e numeri tra i più eterogenei, l’ambiente della sala frequentata dalla gente del luogo senza distinzioni sociali. Così alla fine del 1913 a Sorgues, Georges Braque utilizza pro­ grammi cinematografici nei due collage ai quali dà un titolo e un sottotitolo tratti dai programmi stessi, Tivoli cinéma (Statue d'épouvante) e Le Damier. Nei due casi, il riferimento al cinema si distingue dai motivi classici utilizzati nei suoi lavori: scritte, chitarre, bicchieri, bottiglie, siano essi disegnati o ritagliati nel collage. Il programma cinematografico è il solo elemento grezzo e la composizione verte su di esso96. lx> stesso vale ovviamente per alcuni articoli o frammenti di giornale, pubblicità o titoli in particolare nei collage di Picasso - che strutturano la compo­ sizione e che si possono decifrare come fossero testi97. La pagi­ na di giornale, che Picasso usa spesso come supporto, l’interesse per la fotografia (da cui derivano in modo evidente i suoi primi paesaggi, tanto per il formato quanto per il taglio dell’inqua­ dratura) e il cinema sono riferimenti determinanti quando si tratta della frammentazione della superficie pittorica, dei con­ trasti di dimensione degli oggetti raffigurati, dei giochi sulla trasparenza e sul colore uniforme, della mescolanza dei sistemi simbolici (scrittura, fotografia, disegno)98. L'intrusione degli apparecchi

Affrontando questo problema, Walter Benjamin, scrive che «cubismo e futurismo sembrano tentativi mal riusciti dell’arte di tener conto a modo loro dell’intrusione degli apparecchi nella realtà»99. Affermazione importante, che indica, al di là della rap­

46

presentazione o della ripresa di meccanismi e di macchine in pittura (Léger, Duchamp, Picabia), la novità degli «apparecchi», della tecnica, della meccanica come «modelli»100, con i loro cor­ relati d’esattezza (nella riproduzione, il ritmo dello svolgimento per esempio101) che non si limitano agli “effetti”. Alfred Jarry, evocando una «Macchina per dipingere» che «si mise a girare in azimut nell’atrio di ferro del Palazzo delle macchine [...] sof­ fiando a suo piacere sulla tela dei muri la successione dei colori fondamentali scaglionati secondo i tubi del suo ventre»102, intro­ duceva già il riferimento a un apparecchio che proietta la pittura e congeda allo stesso tempo l’artista e la sua «mano»103, un appa­ recchio che polverizza il dispositivo (dei pittori accademici). Ebbene, questa macchina immaginaria è contemporanea della nascita del cinema (1896). Ugualmente troviamo in uno scritto di Félix Fénéon l’idea secondo la quale «il quadro è per Seurat un apparecchio perfezionato [corsivo mio] che deve attivare la partecipazione dello spettatore [idem] agendo sugli elementi irre­ sistibili e subconsci: linee e colori colti nelle loro proprietà psi­ cofisiologiche e nella loro immediatezza simbolica»104. Qui terzo livello - il concetto di apparecchio non riguarda solo la fabbricazione del quadro o il procedimento del pittore, ma anche la ricezione da parte dello spettatore, considerata come attività percettiva, partecipazione al funzionamento del quadro. I neoimpressionisti studiano i fenomeni della luce su basi “scien­ tifiche” — utilizzano la fisiologia, la fìsica, la chimica — e ne deducono il procedimento del divisionismo che condivide alcu­ ne caratteristiche con la proiezione intermittente della pellicola, in particolare lo sfarfallio. Per Seurat, infatti, lo spettatore colle­ ga gli elementi giustapposti sulla tela a partire dalla persistenza di un’impressione ricevuta sulla retina e dal mescolarsi di un colore puro con il suo complementare105. Quando scrive che «il dadaismo cercava di produrre attraverso gli strumenti della pittura (o della letteratura) gli stessi effetti che il pubblico richiede oggi al cinema», Benjamin attenua quindi un poco la riserva espressa prima a proposito del cubi­ smo. Sembra che la questione degli apparecchi ignorata dai cubi­ sti — che le loro nature morte (chitarre, bicchieri, pipe e botti­

47

glie) escludono, sebbene i loro quadri o collage vi si ricollegano - e riconosciuta dai futuristi, da Léger e Delaunay, sia stata siste­ matizzata dai dadaisti sul piano dei procedimenti: Picabia e Duchamp, in particolare, fanno entrare gli apparecchi nell’arte a vario titolo. È noto il dialogo tra Brancusi e Duchamp davanti a un’elica d’aereo all’Esposizione universale... Al di là di questa “meccanizzazione” dello spazio rappresentativo e dell'abbando­ no delle pratiche mimetiche a benefìcio di una cena “letteralità” degli oggetti, si può pensare che per i dadaisti gli apparecchi fotografici e cinematografici soppiantassero definitivamente il pennello. Wieland Herzfcide si pronuncia in questo senso in occasione della Fiera internazionale Dada di Berlino e racco­ manda di non tentare di far concorrenza alla macchina da presa, né di volerle infondere un’anima... Dichiara che la sola cosa da fare è allora «prendere un paio di forbici e ritagliare quello di cui abbiamo bisogno nei quadri, nelle riproduzioni fotografiche degli oggetti», ovvero «prendere gli oggetti stessi»106. Delaunay, che non viene automaticamente associato a queste problematiche, è un buon esempio di questa pratica del conside­ rare gli “apparecchi”. Egli raffigura la Tour Eiffel elaborando, nella sua pittura, la logica costruttiva dcH’cdificio (montaggio, assemblaggio), affronta la questione dei punti di vista e dello sguardo mobile che autorizza la liberazione del l’apparecchio di ripresa - fotografico e cinematografico — dal suo ancoraggio a terra (veduta da un pallone aerostatico, da un aereo), sperimenta infine il “cinetismo” in pittura attraverso il colore e i fenomeni percettivi. Ma facendo ciò, rifiuta ogni legame con il cinema. In una lettera a Franz Marc dell'll novembre 1913, dice che «questa dimensione “successiva” del cinema è votata alla morte. La folla che si precipita al cinema ne esce senza convinzione, in fondo». E nel 1924 in Art du Mouvement scrive che «l’arte cine­ matica è stata fino ad allora un gioco di fotografie tagliate in suc­ cessione che danno un simulacro di vita reale»; infine, nel 1939, che «non si può creare la mobilità con cose disegnate, non si può creare la mobilità cinematica perché il cinema non è mobilità. Si tratta di immagini che si producono in un tempo molto rapido. Questa non è mobilità [...]. La mobilità non si può ottenere che

48

attraverso l’elemento colorato [...] il quale esige una costruzione generale che, in questi quadri, non esisteva ancora»107. Pierre Francastel ha scritto che la posizione di Delaunay rap­ presenta uri alternativa al cinema108. La convinzione del pittore è che la mobilità non potrebbe essere «rappresentata» (tramite la scomposizione del movimento, l effetto “mosso”, tremolante, la ripetizione, praticata in particolare dai futuristi) poiché allora sarebbe immobilità moltiplicata: essa deve essere prodotta dal­ l’apparecchio psichico dello spettatore il cui sguardo, di fronte a un dispositivo colorato (i contrasti), non trova riposo, resta con­ tinuamente in presenza di un movimento che risponde ai mec­ canismi stessi di percezione e d’intellezione visive. Vedendo nel cinema un apparecchio meccanico che produce discontinuità immobile, l’artista si situa al livello “ontologico” della macchina e non al suo livello fenomenico, non fa riferimento alLimmagine percepita che è contemporaneamente data come «immaginemovimento», per riprendere la terminologia deleuziana109, e recepita come una serie di discontinuità successive. Il termine cinematica, preso in prestito da Marey dalla fisiologia sperimen­ tale, non giunge per caso nel suo discorso. La teoria del colore che egli mutua da Chcvreul e dall’eredità goethiana ruota tuttavia intorno a questo stesso concetto: l’im­ magine successiva. La percezione si svolge nel tempo e immagini successive si formano sulla retina, combinandosi tra loro in base al grado di persistenza che vi mantengono110. Ma Delaunay vuole la compresenza di clementi per produrre il movimento e, per fare ciò, allargherà la tela fino a confezionare opere da 780 metri quadrati in occasione deirEsposizionc del 1937. Egli pra­ tica così un cinema percettivo spazializzato, espone l’intero svol­ gimento del film, ritrovando i rotoli, i nastri, i muri dei vari Richter, Eggeling e altri.

La pittura animata Questo “rifiuto” del cinema ci offre in un ceno senso la pro­ spettiva di un “altro” cinema. collaborazione tra Delaunay e Abel Gance ne delinea il progetto.

49

Nel 1913, nel momento in cui il pittore s'interroga su questi problemi del movimento dellimmagine tramite i suoi dischi cromatici, Gance gli parla della sua nuova invenzione, “gli organi di luce”, simile alla “tastiera a colori” di Skrjabin e al piano “ortofonico” di BaranofF-Rossiné (amico di Delaunay). Vorrebbe tanto che Delaunay ne facesse una realizzazione pitto­ rica. Resta, di questo scambio, il guazzo di una donna il cui viso è composto da lampadine rosse, blu e bianche. Se realizza­ ta, la composizione avrebbe dovuto creare un movimento grazie a contrasti simultanei di colori e disegnare figure diverse frutto delle note eseguite sulla tastiera111. Questo tentativo è ovvia­ mente strettamente legato alle ricerche sul disco cromatico di Delaunay, il cui movimento circolare doveva creare vibrazioni rapidissime percepibili a occhio nudo, fisicamente. Un disposi­ tivo che ricorda i dischi dei giocattoli ottici che vengono ridotti troppo spesso solo ai loro motivi figurativi o narrativi (cavallo al galoppo, salto con la corda) e che comportavano di frequente numerose serie di effetti, tanto nell’ordine del movimento (al movimento del personaggio che compie un gesto o una figura­ zione si aggiungevano movimenti laterali, periferici o dal centro verso l’esterno) quanto in quello del colore (motivi astratti mischiati tra loro dalla rotazione)112. La questione della «pittura animata» deve quindi essere preci­ sata per non creare confusione. È innegabile che essa prende avvio da quel processo di presa di coscienza deH’«intrusionc degli apparecchi» nella realtà che riguarda l’insieme dei mezzi d’espressione e di comunicazione. La tipografìa libera le parole sulla pagina, ma il fenomeno che concerne la musica è indub­ biamente ancora più profondo: questa è registrabile, duplicabi­ le, riproducibile» difFondibile, amplificarle» aperta alla possibi­ lità di produrre suoni nuovi grazie all’apparecchio stesso che serve per captarli. La pittura entra anch’essa nell’ambito della ripetizione c delle variazioni automatiche, della serialità, del montaggio: i covoni di Monet partecipano del paradigma foto­ grafico (luce, istante» moltiplicazione delle riprese). Ma pur avendo bisogno dei mezzi cinematografici (pellicola» apparec­ chio, proiezione) così come della sua stessa materia (luce,

so

movimento), questa pittura animata è comunque figlia della pittura, e non del cinema. I tentativi di Leopold Survage a Parigi e le realizzazioni dei fratelli Ginanni-Corradini (o Ginna e Corra) appartengono alle utopie dell’opera totale, dei dram­ mi del colore, delle forme e delle linee, delle corrispondenze sinestetiche che furoreggiano alla fine del XIX secolo e all’ini­ zio del XXn\ La dottrina “musicalista ” al cinema (Canudo, Ramain) ne raccoglierà l’eredità, I due fratelli italiani costrui­ scono in questa prospettiva un “piano cromatico” che permette di trasporre la musica in colori, poi utilizzano il cinema per proseguire la loro ricerca: i quattro film astratti che realizzano nel 1911, Accordo di colore, Studi d’effetti tra quattro colori, Canto di primavera, Les Fleurs, e l’anno seguente L’arcobaleno e La danza, dipinti direttamente sulla pellicola, sono andati per­ duti ed è quindi arduo parlarne basandosi soltanto sulla descri­ zione che ne fece Bruno Ginanni-Corradini114. Queste espe­ rienze di cine-pittura saranno rifiutate da Boccioni e dal grup­ po futurista - come il fotodinamismo dei Bragaglia - e quindi non li si può considerare “il” cinema futurista, benché abbiano avuto un certo seguito fino ai giorni nostri (Brakhage dopo Mac Laren c Len Lye). In Germania le prime sperimentazioni di Walter Ruttmann da una parte, Hans Richter e Viking Eggeling dall’altra, nel 1919, partono chiaramente da una ricerca simile. In particolare Richter e Eggelin lavorano per sviluppare la temporalità in pit­ tura tramite il ricorso a “rotoli”. Ma con il “passaggio” al cinema i loro obiettivi cambieranno completamente. Rigadin, pelntre cubista Oltre agli effetti indiretti del cinema sulla pittura - ripresa di procedimenti, condivisione di caratteristiche comuni - si trova­ no anche esempi di apporti più espliciti, seppur non ricono­ sciuti dai pittori. È. il caso di Rtgadin ppintr? subiste (Rigadin, pittore cubista, 1910). Questo film appartiene al genere comi­ co, che disprezza l’argomento trattato, se ne fa gioco, lo mette in caricatura nella tradizione dei disegnatori satirici (tra cui

51

Daumier) che dopo la metà del XIX secolo prendono in giro i nuovi stili pittorici. Vi si mostra come corrente 'alla moda” il cubismo della seconda generazione, dei Le Fauconnier, Meitzinger, Gleizes, che sistematizzano Picasso e Braque e ten­ tano di “fare scuola”. Rigadin, pittore squattrinato, desideroso di piacere alla fidanzata, figlia di un artista accademico, dopo una visita a una mostra di pittura cubista adotta quello stile che rappresenta ogni cosa in forma di quadrati, cilindri e cubi: dalle pere ai ritratti... Fin qui non si esce dalla caricatura, ma quan­ do Rigadin, trasportato dalla frenesia cubista - e adottando la logica caratteristica del cinema comico francese d’allora (che i burlesque* americani riprenderanno) - si mette a “cubizzare” la sua vita quotidiana, il suo appartamento, i suoi mobili. la sua portinaia, sviluppa allora un’applicazione del cubismo che que­ st’ultimo non ha ancora esplorato. Ix> fa, se vogliamo, “inno­ centemente”, ma a partire dai mezzi del film, i quali prendono qui un’ampiezza che la pittura non può dare loro. Prima di vedere questi mezzi utilizzati sulla scena artistica, però, biso­ gnerà attendere che alcuni pittori li facciano propri, perché per il momento questa dimensione cinematografica rimane invisi­ bile, nascosta nella farsa e nella parodia... Si tratta niente meno delfestensione della “rivoluzione cubista” allo spazio, ai costu­ mi, alle scenografìe teatrali e, potenzialmente, alfarredo urba­ no, rivoluzione che realizzeranno Aleksandra Exter in Russia, Picasso con Parade (1917), Léger nelle sue collaborazioni con i Ballers Suédois e con lo spettacolo in generale. Dando forma di cubo, cono e cilindro a tutto lo spazio della rappresentazione, Rigadin crea, dieci anni prima di loro, i costumi avanguardistici del Bauhaus, di Dada, dei Ballets Suédois, dei Ballets Nègres115. Il film non è valutato sotto questo aspetto perché appartiene a uno spazio extra-artistico. L’“uscita dalfarte” di Fernand Léger, per esempio, avverrà per esacerbazione dei pro­ cedimenti artistici, portando il pittore ad abbandonare il qua­ dro per il muro, la rappresentazione per foggetto, il salone per la strada, e non tramite questa via apertasi alfimprowiso al di fuori del campo artistico. L’espressione di Madame de Noailles (riferita da Cocteau)

52

davanti ai bozzetti di Picasso per Parade — «sembra di veder ride­ re un albero^» - non riecheggia forse l’episodio di Chariot soldato (Shoulder Arms, 1918) nel quale l’attore si traveste da albero e dove, in qualche maniera, la scenografìa “recita'* come in Panzde?" Potremmo dire che Rigadin e Chariot sono “condi­ zioni di possibilità*’ di una serie di sconvolgimenti all’interno detl’arte che però restano taciuti, non visti, proprio per la posi­ zione del cinema nella società n Picasso, che crea i costumi e le scenografìe di Parade per Djagilev nel 1917 sconvolse, a prestar fede a Cocteau, i «cubisti assoluti», per il fatto che «prostituiva» la sua arre, la screditava. Picasso agisce in questo caso come Rigadin. Tuttavia, il successo della messa in scena è presto riconosciuto (1920) e si sostituisce allo scandalo (1917), e il lavoro di Picasso è lodato e poi imitato da Braque e Juan Gris e da tanti altri, sebbene, secondo Cocteau, ci fosse indubbiamente in quel lavoro anche una parte di parodia, di farsa: «Sembrano uomini-sandwich che indossano un magnifico abito li­

gneo ciascuno. Resta comunque che le loro carcasse, realizzate male da un futurista sui modelli a scala ridotta, hanno scatenato il tumulto e sono diventati le cariatidi di quclff^r/r Nouveau che serviva da titolo alla prefazione del nostro lavoro, pubblicata da Apollinaire nel programma*1 ,H.

Modernità del cinematografo

In letteratura, abbiamo già visto come Apollinaire s’interessi al film sia nella categoria del romanzo d’appendice sia in quella della storia rocambolesca o fantasiosa (da questo punto di vista, come abbiamo già detto, i racconti e gli sketch faceti di Caini sono molto vicini alle parodie di film di Apollinaire). Esistono altri tipi di connivenze, quali quella di Giuseppe Lipparini in II signore del tempo, Questo romanzo fantascientifico nello stile di Wells è stato presentato in Francia da Canudo, fatto che giustifica qualche breve considerazione suirargomenro119. Nel rac­ conto, il professore Antonio Schwarz presenta all’Accademia

53

delle scienze di Oppendorf una sua invenzione che chiama «la fotografia del tempo»: «Carte della fotografia fino a oggi era stata rivolta solo allo studio e

aH’imitazionc dello spazio. Per mezzo di uno strumento che successivi miglioramenti hanno condotto a tale perfezione, che la fotografia

rivaleggia ora con la pittura, noi possiamo fermare su una lastra, e

quindi riprodurre su la carta innumerevoli volte, tutti i più rari e frig­ gevo! i aspetti dell’uomo e della natura. Ira venti secoli i nostri posteri

potranno avere un’immagine esatta della civiltà odierna e dei grandi avvenimenti che la illustrarono. Noi abbiamo fotografato perfino la notte, c abbiamo rivolto verso gli astri la lente delle nostre camere

oscure.

J Perché dunque, - continuava l’oratore, - se è lecito fer­

mare con la fotografìa le apparenze delle cose nello spazio, non deve esser permesso di fermarle nel tempo? Perché non possiamo noi foto­

grafare, oltre le cose presenti, anche le passate?»

Puntando i suoi apparecchi verso le stelle, Schwarz si accorge che le lastre hanno registrato immagini sovrapposte di figure del passato (Roma, la preistoria). E scopre così che: «'lutto nel mondo è collegato da una relazione reciproca, se io alzo un

braccio o muovo un passo, compio un atto che è passeggero, ma che non è destinato a perire. Nulla va perduto nel mondo: dunque l’ener­

gia che io sviluppo movendomi deve rimanere. In altre parole, a ogni

ano dell’uomo corrisponde una proiezione di questo atto nello spa­ zio: questa proiezione, rimanendo nello spazio, si conserva: e un istru-

menco speciale, ricevendola, può ricostruire l’atto che la produsse a distanza di secoli. Questo istrumenro deve nel suo principio avvici­

narsi all’occhio umano; deve cioè aver facoltà di vedere (...]. La came­

ra oscura era dunque l’istrumento più adatto; e per mezzo di quella io ho potuto giungere alla mia scoperta, c alla enunciazione di una legge

scientifica e metafìsica per la quale nessuno dei nostri atti va perduto,

ma successivamente si proietta nello spazio e si conserva nel tempo. Questa legge trova conferma anche nell’istrumcnto chiamato cinema­

tografo: il quale, cogliendo di seguito i successivi movimenti delle cose, li conserva c li può riprodurre. Così, l’aria che ci avvolge è come

54

un cinematografo» dove però le successive proiezioni si intrecciano e si

confondono in modi infiniti»*.

In Le Roì lune Apollinaire generalizza nello stesso modo, ma in maniera grottesca» le possibilità del cinematografo e del fonografo, impegnandosi in una speculazione sull’immagine virtuale, e inventando coiti immaginari con cortigiane di tutte le epoche che coloro che usano le macchine possono chiamare a sé quando vogliono. Non bisogna credere che questi esempi siano così frequenti. Negli anni Venti non mancano certo speculazioni fantascienti­ fiche simili (Léon Daudet per esempio, Maurice Renart, Aldous Huxley» ecc.), ma alla fine del XIX secolo si può tran­ quillamente escludere la novità deirimmagine in movimento fra le utopie. Così nel suo romanzo a puntate avveniristico lettre de Malaisie, per esempio, Paul Adam pensa solo ai suoni e alla musica» e non all’immagine120.

Riconoscere il cinema: paradosso Abbiamo visto che sotto diverse forme il riconoscimento delle possibilità del cinema da parte degli artisti moderni si scontra con una difficoltà derivante dal suo essere esterno all’ambito che essi vogliono rinnovare o trasformare senza per questo uscirne. Questa difficoltà appare molto chiaramente in Pierre AlbertBirot. In «SIC» - che durante la Prima guerra mondiale riunisce tutte le tendenze avanzate nel campo dell’arte e della poesia, prima che si separino nuovamente e diventino rivali, in partico­ lare il futurismo c il dadaismo — Albert-Birot affronta il proble­ ma dell’immagine meccanica in un Dialogue nunique proseguito per diversi numeri. Partito dalla differenza tra l’occhio della macchina fotografica e l’occhio dell’artista e fra le immagini degli oggetti che «entrambi proiettano fisicamente all’interno del corpo che servono». AlberrBirot stabilisce una differenza abbastanza classica fra questi corpi, l’uno «strumento», l’altro «essere vivente» senziente e pensante. Le «immagini trasmesse» differiscono quindi nel fatto che per

55

l’una, immagine semplice, è «l’oggetto che reagisce sul soggetto*, mentre per l’altra, complessa, è «il soggetto [che] reagisce sull’og­ getto» producendo una «deformazione», «Il soggetto è più importante dell’oggetto, ed è onnipotente, al punto di trattenere dell’oggetto solo ciò che vuole (cubismo, futurismo), quando non è addirittura capace di liberarsene». Non c’è quindi arte in un’immagine meccanica, per mancanza di «creazione del sogget­ to sensibile e pensante» (questo è, tra gli altri, l'argomento di Maupassant nella sua prefazione a Pierre e Jean, dove contrappo­ ne l’appropriazione fotografica alla visione artistica; o quello di Jules de Gaultier contro il teatro e la sua « bassezza »’21 ; ma è anche questa la base della distinzione tra «realismo visivo» e «rea­ lismo concettuale» di cui parla Léger nel 1913 in «Montjoie!»122). Il modello di creazione che Albert-Birot mutua dal cubismo e dal futurismo gli vieta quindi il riconoscimento di una qualsiasi qualità artistica al cinematografo, che gioca addirittura il ruolo di elemento di contrasto in uno dei dialoghi, quando uno degli interlocutori progetta di moltiplicare gli aspetti di una cosa o di una persona al fine di produrne una conoscenza più completa, non limitata all’apparenza: «Il vostro modo di comprendere un ritratto non è altro che il principio del cinematografo. Ora noi l’abbiamo visto, l’arte antica non è mai stata fotografìa, l’arte moderna non può più essere cinema [...]. Un quadro non è un film perché gli stati non sono successivi ma simultanei»123. Questa argomentazione, del tutto in linea con l’ostilità di Delaunay e dei futuristi nei confronti della cronofotografia e dei propositi dei fratelli Bragaglia e del loro «fotodinamismo» — cosa che non impedisce agli avversari del futurismo di tacciarlo di «cinematografico» per squalificarlo rispetto al cubismo - viene espressa nello stesso numero in cui Guillaume Apollinaire, inter­ vistato, annuncia la «drammaturgia totale» del cinema. Il fatto è che Albert-Birot vuole promuovere un «teatro nunique* che sia simultaneista e che s’ispiri all’evidenza dei manifesti futuristi: «Un grande tutto simultaneo, con tutti i contrasti e le diversità possibili — acrobazia, pagliacciata, canto, proiezioni cinemato­ grafiche». Il cinema vi ha un posto - come ce l’ha nel musichall, assieme ad altre forme di spettacolo - non è fclcmento

56

unificatore o il luogo di raccolta delle diversità evocate. Evitando di tornare sulla questione del simultaneismo che agita fambiente artistico dal 1914, anno in cui Apollinaire polemizza con Barzun sulla paternità della parola e della cosa, bisogna insi­ stere sulla sua importanza perché, lo si è visto, la posizione dei Delaunay sul cinema rimarrà circoscritta aH’inrerno di quest’op­ posizione tra simultaneo e successivo. È per il momento impor­ rante notare che qualche numero dopo, nel 1918, Albert-Birot pubblica una prima Note sur le cinéma che ne consacra l’ingresso nella sua rivista. Facendo ciò, il poeta introduce un concetto destinato a essere ripreso spesso in seguito, quello alienazio­ ne del cinema, il suo traviamento e la necessità di liberarlo. Apollinaire riprende quest’idea, sia pure in tono minore, nel suo LEsprit nouveau et les poètes, raccomandando che i poeti * [cer­ chino] di comporre immagini per quegli spiriti meditativi c più raffinati che non si accontentano affatto dell’immaginazione rozza dei fabbricanti di film»124. Dieci anni più tardi, il Congresso di La Sarraz, in Svizzera, adotterà questa stessa termi­ nologia, in particolare nel piccolo film satirico considerato la sintesi delle idee del congresso c realizzato dai congressisti stessi. Majakovskij o Vertov useranno la stessa argomentazione: «Paché portò un giorno a qualche curioso un cinematografo inventato

dai fratelli Lumiere. Coloro che da quel momento si occuparono di questa straordinaria

invenzione si sbagliarono di grosso: fecero del cinema lo specchio

incolore e l'eco muta del teatro.

Nessuno ancora ha posto fine a questo malinteso. La sua potenza è formidabile, perché esso sovverte tutte le leggi natu­

rali: ignora lo spazio» il tempo, sconvolge la gravità, la balistica, la bio­ logia, ecc. Il suo occhio è più paziente, più penetrante, più preciso. Tocca allora al creatore, al poeta servirsi di questa potenza e di questa

ricchezza fino a quel momento trascurate, poiché un nuovo servitore

è a disposizione della sua immaginazione,-125.

Questo riconoscimento del cinema "occhio meccanico”, che era stato in un primo tempo rifiutato, va di pari passo con il di­

57

scorso sulla macchina che ha appena soppiantato il «soggetto creatore» precedente. «Un’opera d’arte — si dice — deve essere composta come un meccanismo di precisione»126, «l’artista costruirà un’opera come un architetto fabbrica una casa: con pietre, ferro, legno...»127. I campi lessicali della meccanica, della precisione, della costruzione fanno uscire di scena il soggetto creatore, i suoi sensi e la sua immaginazione. A essi subentrano effetti di ordine diverso» effetti di materie, di oggetti, effetti di reale che frantumano l’universo artistico. Queste questioni ali­ mentano la discussione artistica per tutto il decennio» e il cine­ ma non vi gioca affatto un ruolo subalterno, al contrario. Pierre Reverdy, dopo aver pubblicato un «Poème cinématografique» di Philippe Soupault (Indifference) che ricorre al sogno e ai “trucchi”, afferma senza esitazione la novità del cinema senza nominarlo: «La sorpresa che una nuova arte suscitò improvvisamente tra coloro

che non si aspettavano più altro c quelli che non avevano mai potuto camminare senza voltarsi indietro provocò sempre moti di simpatia c

antipatia molto violenti [...]. Non sapremmo infatti agire contro questa superfìcie piatta nella quale tuttavia alcuni parassiti trovano abbastanza asperità per mettersi al

riparo - Tincomprensione [...]. Un’opera d’arte non può accontentarsi di essere una rappresentazione, deve essere una presentazione. Si presenta un bambino che nasce» lui

non rappresenta niente...»12^.

«È indispensabile^.» Nel 1917, nella rivista di Picabia «391», Gabriele Buffet pub­ blica una pagina intitolata Cinématographe che esprime chiara­ mente la posizione degli artisti d’avanguardia nei confronti del cinema» il riconoscimento della sua posizione, «li cinema — scri­ ve Buffer — è diventato un elemento essenziale della vita moder­ na»: semplicità di mezzi, azione immediata su tutti, espressione diretta, espressione dello «stato psichico generale di un popolo — il suo genio - i suoi istinti profondi»» al di là degli intrighi indi-

58

vidua!i. Tra i film di diversi Paesi, l’autore mette in evidenza il cinema americano, «il solo di cui si possa dire che è una creazio­ ne», dove il «genio» nazionale americano può «trovare libero corso», «grazie all’entità dei mezzi meccanici». Le caratteristiche del cinema ricordate sono: la sua capacità di accogliere «gli elementi più disparati della vita moderna», il suo carattere «attivo», la «successione di fatti dal significato diretto (pugni, baci, cadute, corse)», una successione che «si imprime nella memoria in forma vibrante», uno «sviluppo simultaneo di tutti i personaggi» che va oltre le complicazioni dell’in treccio129. Ma, sotto l’influenza nefasta dell’Europa (soprattutto dell’Italia), il cinema americano corre il pericolo di scivolare nella «decaden­ za e [nell’]impurità»130. «Oh purezza, purezza!», è proprio con questa invocazione, riecheggiarne le ultime parole di Gabriele Buffet, che Aragon conclude il suo articolo sul cinema pubblicato l’anno seguente. Questo riconoscimento e questa inquietudine, che abbiamo visto espressi da parte di poeti e pittori, si troveranno compietamente sostituiti e modificati dalla parola d’ordine che suona: «È indispensabile che il cinema trovi posto nelle preoccupazioni delle avanguardie artistiche»131.

Nei due testi che fa pubblicare nel 1918 sulla rivista allora diretta da Delluc, Du décor e Du sujet. Aragon adotta una posi­ zione che da un lato si lega all’ipotesi 'annessionista” e di “riap­ propriazione*’, già annunciata da Albert-Birot; ma dall’altro introduce un riconoscimento d’altro tipo, come Reverdy: quello di una novità del cinema in quanto tale, anche se questa «bellez­ za moderna» sarebbe accessibile solo a tratti. Questa posizione differisce da quella di Albert-Birot quando, nel 1919, Aragon pubblica un altro testo sul cinema - Du cinéma — e parla nuovamente di una «nuova possibilità di espressio­ ne che non è stata realizzata», respingendo l’esempio di Chaplin (al quale Aragon ha consacrato due poesie e che molti celebra­ no, da Cendrars a Léger o Ivan Goll). Chaplin, dice Aragon:

59

«Ha trasferito sullo schermo le clowneries del circo; ora la clownerie è un’arte» c un'arte della vista, come il cinema», ma questo non significa

ancora realizzare le potenzialità nuove del cinema. *11 circo è il circo,

il cinema deve essere il cinema, è questo il motivo per cui dico che il

cinema-arte non esiste ancora; con la pittura si possono pitturare delle persiane, un bancone in finto legno, con la pittura i pittori hanno dipinto dei quadri; nel caso del cinema, penso che siamo ancora alle

persiane, al massimo al finto legno (...1. Sembra che il cinema sia un'arte della vista, deve quindi esprimere

pienamente attraverso il movimento, la forma, il colore*152.

La proposta di Albert-Birot si situa in un quadro che egli ha già tracciato per il suo “teatro nunique” nel quale sono utilizzate «proiezioni colorate* - come Louise Lara e Eduard Autant faran­ no per il loro teatro “Arte e Azione” (con l’aiuto di André Girard e di Man Ray)-; essa si fonda su un’espressività del colore e della luce puri e si collega alla cine-pittura futurista, ai progetti di Leopold Survage e al film astratto di cui abbiamo parlato prima. Se Aragon fa appello alla purezza e alla verginità dello «scher­ mo nudo di proiezione sotto la sola luce della lanterna» e lancia un grido alla Mallarmé - «la bianca preoccupazione della nostra cela» - se fa appello alla provocazione del pubblico («la bellezza di un film fischiato dal pubblico!*), ciò non gli impedisce di cogliere il «valore poetico» oggettivo del cinema che soppianta la pittura. «La porta di un bar che sbatte e sulla sua vetrina le lette­ re maiuscole di parole illeggibili e meravigliose, o la vertiginosa facciata dai mille occhi delfimmobile a trenta piani, o questa esposizione entusiasmante di scatole di conserve (quale grande pittore l’ha dipinta?), o questo bancone con il ripiano di botti­ glie che ubriaca a vederlo...». Le evocazioni di immagini di film che abbiamo appena letto sono citate a dimostrazione del fatto che i collage cubisti - che peraltro traggono una parte del loro procedimento dal cinema, come abbiamo già detto - i ready made e le pitture d’oggetti poi creati da Léger sono presenti nel cinema155. «Nel momento in cui i pittori cercavano di rappre­ sentare il movimento sulla tela, uomini d’ingegno immaginaro­ no il cinema», scrive in Du sujei.

60

Questo argomento, che sarà ripreso in Les Collages dieci anni più tardi, sigla la stessa idea di una “fine” della pittura, come la fotografia, introdotta nei racconti surrealisti, fa cadere in pre­ scrizione e congeda la descrizione e l’arte letteraria. L’incontrarsi di questi testi con quello di Albert-Birot, che sembrerebbe così arretrato, è casuale? E si pensi ai poemi di Feu de jote e di Mouvement perpètue^ pubblicati in «Nord-Sud», la rivista di Reverdy: non solo Chariot mistique, ma Soifde louest, che appartiene al genere western e presenta le stesse frasi che abbiamo appena citato in Du décor. «in questo bar la cui porta sbatte incessantemente al vento

un manifesto scarlatto pubblicizza un altro sapone [...] Al trentatreesimo piano

sotto Tocchio fisso delle finestre

o questo stupefacente Persiennes*. ««Persiana Persiana Persiana Persiana persiana persiana

Persiana persiana persiana persiana Persiana persiana persiana persiana Persiana persiana

Persiana Persiana Persiana Persiana?»»,

che sembra rispondere al discredito gettato da Albert-Birot sulla pittura di persiane e finto legno, e si compiace di riprodurre un’immagine poetica con questa sola parola, immagine bruta ripetuta come si ripete, a scatti, la pellicola cinematografica154. In «SIC», a proposito di Le mammelle di Tiresia di Apollinaire, Aragon fa già più volte riferimento al cinema: «Le Mammelle infine ci hanno liberato dal teatro dei boulevard; inutilmente

61

Tamante abbandonerà il letto per l’armadio, ci serve un altro tipo di divertimento. Già il cinema ci aveva dato Charlie Chaplin (che non interpretò le Mammelle!), Apollinaire ci dà Tiresia»135. Quando raccomanda l’ingresso dell’avanguardia artistica nel cinema, Aragon non raccomanda quindi l’annessione di un nuovo medium a un’estetica precedente, perché parte dalla con­ statazione della forza dell’evidenza del cinema come registrazio­ ne meccanica di fatti reali e giustapposizione di questi fatti, come esclusione della psicologia, dello stile. I rapporti successivi dei surrealisti con il cinema, e anche il rapporto dei dadaisti fino alla serata del “Coeur à barbe” con la proposta di Man Ray, sono regolate dal rifiuto dì “rendere arte” il cinema, di farne, secondo l’espressione corrente, “la settima arte”. A partire da «Littérature», tra il 1919 e il 1920, il ricorso al cinema incarna uno sconfinamento dell’arte nella vita: ll mondo sta sulla tela: la cosa non ha ancora cessato di commuover

ci. [...] ... abbiamo inventato il cinema*13*.

«Se amiamo tanto il cinema, è nella speranza di ricominciarvi la vita [...]. Il cinematografo, agli occhi di una generazione, rimarrà la migliore ipotesi per la spiegazione del mondo*137.

Nel dialogo di Anicet ou le panorama* nel quale si mette in scena con Breton, Aragon prende in considerazione numerose proposte che definiscono questo atteggiamento: «Capisco esattamente quello che chiedi al cinema. Tu vi cerchi gli ele­ menti di questo lirismo casuale, lo spettacolo di umazione intensa che ti dia l’illusione di portare a termine...*, e mette in bocca al tale

Baptiste Ajamais questo avvertimento sull'avvenire del film: *11 giorno

in cui persone di buona volontà vi introdurranno i mezzi artistici, il

poco fascino che il cinema eserciva su di noi sparirà*138.

Questa posizione si spiega con la campagna di nobilitazione tentata nei confronti del cinema a partire dalla Film d’Art e poi tramite il ricorso ai grandi soggetti storici e religiosi. Ecco come

62

il corrisponderne da Roma di «Le Temps», nel 1916, esprime questo passaggio legato al riconoscimento del cinema: «Il cinema, che lo si voglia o no, è una delle potenze mondiali... Può abbrutire le folle o istruirle ed elevarle.

Che fare di fronte a una simile forza di divulgazione? Che cosa deve

quindi fare, soprattutto il filosofo, il pensatore, e colui che crede nella missione superiore del poeta? Non e che io non mi spieghi o non giustifichi anche l’orrore di fondo

dei poeti e degli spiriti eletti nei confronti del cinema. Ho provato questo sentimento, come tutti. Quelle pagliacciate, quei contorci­ menti, quelle banalità da melodramma, quelle volgarità plebee e da

teppaglia, tutto questo mi esasperava fino alla sofferenza e vi vedevo uno «degli clementi di decadenza intellettuale e d’avvilimento morale.

Ma un giorno, davanti a un film più stupido del solito, ho capito, sentito, che non era più sufficiente protestare o arricciare il naso. Ho dunque voluto conoscere e approfondire i segreti del cinema...».

In una riunione di intellettuali italiani, qualcuno espone due formule: - il cinema deve essere, come la stampa, il grande educatore del popolo; - il cinema comincia dove finisce il teatro. Teatro e cinema sono infatti due arti indipendenti Tuna dal­ l’altra. Entrambi devono creare bellezza e suscitare emozione, ma attraverso procedimenti del tutto diversi. «E dunque perfettamente chiaro che in uno spettacolo come CArwrw150, dove si impone il rispetto di una verità immutabile, ogni arrangiamento scenico, ogni espediente drammatico sarebbe un

errore, ovvero un sacrilegio. 11 punto è quindi che l’arte del cinema

abbraccia un campo molto vasto e in un certo senso senza confini. Ma la cosa più importante è che sia nobile e di affiato elevato, c che

ci liberi ormai da tutti gli immondi furti con scasso, da tutti i bam­ bini perduti e ritrovati, da tutte le bassezze da caffè-concerto e da tutte le banalità del vecchio Ambigui (N.d.T.: un teatro di varietà parigino!»1^0.

63

Questo atteggiamento spiega anche il rifiuto, se non addirittu­ ra il disgusto nei confronti dei cineasti francesi e tedeschi con ambizioni artistiche (i L’Herbier, Gance, Dulac, Epstein, Wiene, Grune...), e il ruolo di “cineasti surrealisti”, svolto con ritardo da Bunuel e Dall, deve prima di tutto essere collegato alle con­ vinzioni dottrinarie del movimento: rifiuto della finzione, del romanzo, degli effetti artistici; volontà, insomma, di superare l’arte a favore di una verità documentaria - potendo essere il documento di natura psichica141. L’esasperazione in questo campo specifico porterà a sfaldamenti alfinterno del movimen­ to o nei suo legami con altri gruppi: conflitto con i membri del Lef sovietico sulla fattografia, scissione di Bataille e Leiris che creano, con Cari Einstein, la rivista «Documents» sulla base del rifiuto dell’arte. A livello meno radicale, la contraddizione tra finzione e docu­ mento sarà giocata nell’ambito dello stesso campo cinematogra­ fico, dove registi come Cavalcanti ed Epstein, autori di opere sofisticate, addirittuia manieristiche (En Rade* [In rada), 1927; La Giace à trois faces* [Lo specchio a tre facce], 1927), gireranno le spalle alla messa in scena a vantaggio del documentario o del confronto con il reale.

3.2. UN CINEMA D'AVANGUARDIA 3.2.1. Il ruolo delle avanguardie

Quale cinema deriva da questa posizione avanguardista nei confronti del medium? Oltre alfintervento di artisti e poeti in campo cinematografico, come raccomandava Aragon, dove si vedranno più i moderni che gli avanguardisti (Léger, Delaunay, Mallet-Stevens, Autant-Lara scenografi in produzioni commer­ ciali; Cendrars), aspirazione riformulata da Delluc e Moussinac a benefìcio di stilisti, arredatori, disegnatori di moda, architetti d’interni, si possono distinguere diversi aspetti e tipologie di cinema: 1. Un cinema di spettatore. Gabriele Buffet evocava in «391 »

64

fazione di «andare al cinema»: sala, rumorista» orchestra rudi­ mentale, ritmo continuo del ragtime, un «ambiente leggermente intorpidente nel quale lo spirito si libera con più facilità dalle impressioni esterne e si adatta più completamente allo schermo luminoso, fonte del suo piacere»142. Breton» più radicale, prose­ guendo la prassi della casualità oggettiva che aveva inaugurato con Vaché, raccomanda di entrare nelle sale e di uscirne appena compare sullo schermo un'immagine» una parola, un gesto che non tiene alcun conto dell’impalcatura narrativa o drammatur­ gica. Desnos raccomanda e pratica il sonno in sala. Qualche film, come i serial di Feuillade, sono presi in considerazione (ma la scelta risale ad Apollinaire e alle sue Soirees de Paris). Benjamin Péret» critico cinematografico di «L’Humanité», difen­ de qualsiasi film contenga elementi degni di nota, s’impegna a ritrascrivere gli sviluppi narrativi dei film commerciali per il loro carattere di sorpresa e per la loro violenza e rifiuta il gesto artisti­ co alla René Clair (dopo Entracte, [Intermezzo!» 1924). Georges Bataille evoca «l’allucinante e sordida perversione» dei «corpi svelti di qualche ragazza americana»145, Michel Leiris accoglie favorevolmente i talkies*. «Possiamo dunque infine abbandonarci anima c corpo a scene di una sensualità ardente, portati alla deriva sulla zattera delle voci, mentre

rutto crolla intorno a noi tranne quel movimento sconvolgente di un labbro o di un seno, quel fremito della punta delle dita, o quella paro­ la d'oracolo uscita dalla bocca di una donna innamorata, con l'accen­

to straziante delle montagne, del mare» dei bar mal illuminati e delle sbarre di prigione a mezzanotte...»144.

L’automatismo, la meccanica, l'impressionabilità passiva della lastra o della pellicola, rifiutati - ricordiamolo — da Albert-Birot. diventano il modello della ricettività che Breton coltiva e racco­ manda: «Noi non abbiamo talento... noi che ci siamo trasfor­ mati nelle nostre opere nei sordi ricettacoli di tante eco, nei modesti apparecchi di registrazione che non restano ipnotizzati dal disegno che tracciano»145. Questo modello di spettatore — non senza legami con quello

65

del flaneur baudelariano che Le Paysan e Nadja avevano riattiva­ to - rifiuta la condizione di artista, di creatore, attraverso questa valorizzazione dell’incontro fortuito, del caso oggettivo, dell’effrazione, e raccomanda uno stato di passività o di ricettività che fa del poeta un apparecchio registratore, un ricettacolo, una lastra sensibile, «Ponetevi nello stato più passivo, o ricettivo, possibile»146. Lo spettatore che si accosta ai film in questo modo adotta una passività che non è inattiva, si fa macchina da cine­ ma, sguardo sensibile agli azzardi del caso e non uomo-macchi­ na sul modello del pirandelliano Serafino Gubbio... Nel momento in cui vengono enunciate questa dottrina e questa prassi, s’indovina quale sorte possa essere riservata a colo­ ro che, come Gance, hanno ambizioni artistiche... Nel momen­ to in cui Pierre Naville e Benjamin Péret vogliono far somigliare La Revolution surrealiste a La Nature (obiettivo conseguito da «Documents»), è facile immaginare quale destino attenda le sofisticazioni estetiche di L’Herbier... 2. Un cinema di sceneggiature «non destinate a essere messe in scena», secondo la giudiziosa espressione di Benjamin Fondane147. In un certo senso un cinema scritto. una scrittura influenzata dal cinema, esso stesso colto nelle sua potenzialità di contrasti, salti, collage. Dopo La Brehatine di Apollinaire, Donogoo-Tonka di Jules Romains, Jai tué di Cendrars, La Chaplinade di Ivan Goll, i primi testi di Soupault, Reverdy, Aragon, Tzara, Desnos, Péret in «Nord/Sud», «SIC», ecc., ricor­ rono letteralmente alle tecniche del cinema nella loro scrittura (montaggio, contrasto di dimensioni, rapidità, ecc.), creando un “genere” letterario nuovo che si sviluppa nel corso di tutto il decennio, fino agli equivoci dei tentativi di messa in scena {La Coquille et le clergyman. [La conchiglia e il sacerdote], di Germaine Dulac, 1928). Queste tecniche di scrittura trovano qualche legame con alcuni tentativi di scrittura “cinematografi­ ca” della sceneggiatura, nei quali il linguaggio anticipa l’efFettoim magi ne perseguito nella messa in scena. E il caso, in partico­ lare, di Delluc in Francia, Carl Mayer in Germania e Recevskij in Unione Sovietica. Quest’ultima tecnica contrasta fortemente con altre forme di letterarizzazione del cinema quali i “film nar­

rati** che» ai contrario, collocano la novità del cinema in una prospettiva di volgarizzazione. Diventa così paradossale vedere Canudo che scrive il “romanzo** del film La rosa sulle rotaie di Abel Gance (La Roue, 1923, a sua volta tratto dal romanzo Le Rail di Pierre Hamp). Ma le sceneggiature emozionali o imma­ gini fiche non mirano a mettere in crisi o a fare a pezzi il cinema attraverso l'esasperazione dei suoi procedimenti: soluzioni “limi­ te’, come le sceneggiature “non destinate a essere girate” dei poeti d’avanguardia o come i propositi del Manifesto della cine­ matografia futurista, esse appartengono, per eccellenza, allo spa­ zio modernista. 3. Un cinema di sperimentazione materiale, un cinema che vuole distruggere il cinema come istituzione» sia sociale sia sim­ bolica, che comincia a fare film non conformi ai modello abitua­ le delle produzioni: film non destinati a sale di proiezione, senza unità d’insieme, che presentano stati provvisori, in progress. In Francia svolgono un ruolo di punta in questo settore Man Ray, Fernand Léger, Duchamp, Picabia, Dall; in Germania Eggeling-Richter e Moholy-Nagy... Definire le loro opere “film di pittori”, come spesso è accadu­ to, è fuorviarne, porta a privarle del loro impatto sul cinema e a privare il cinema della loro capacità di rimettere tutto in dis­ cussione. Man Rayf la frammentazione del film Tre film condensano, concentrano l’impresa dell’avanguardia cinematografica: Retour à la raison (Ritorno alla ragione, 1923) di Man Ray, Entracte di René Clair e Picabia e Ballet mécanique (Balletto meccanico» 1924) di Fernand Léger. Tutti e tre oltre­ passano la categoria “film” a tutti i livelli: non sono concepiti né proiettati nella cornice istituzionale del cinema (sala, biglietto, spettacolo, ecc.); non rispettano l*oggetto-film (pellicola sogget­ ta a procedimenti regolati di esposizione e di stampa, montag­ gio, ecc.) né l’istituzione della rappresentazione cinematografica (impressione di realtà, effetto di movimento) e le sue modalità testuali (frammentazione assorbita nell’unità-continuità dell’in­

67

sieme); non hanno durata, formato, velocità e montaggio fissi. Tutti questi parametri prendono in contropiede la definizione del cinema che gli zelatori e gli zeloti del cinema come “arte” accettano, perpetuando, in parte, caratteristiche del cinema delle origini legate alla dimensione di «attrazione», se vogliamo148, ma ancora di più alla dimensione «orale» del cinema149. Nel 1912 «L’Echo du cinéma» scrive che: «Il cinematografo è stato considerato a lungo come una “attrazione”. Era uno dei numeri del programma nei café-concerts c nei rnusic-hatls,

come un cantante o un acrobata. Nessuno immaginava allora che un giorno avrebbe costituito uno spettacolo completo, che avrebbe diver­

tito, commosso e istruito un pubblico venuto esclusivamente per vedere il film. Era un errore; è bastaci qualche anno per dimostrarlo.

Le prime sale consacrate al cinema davano spettacoli molto brevi, e in una serata il programma veniva ripetuto diverse volte. Oggi non è più

così: gli spettacoli cinematografici durano in genere tutta una serata, c

il pubblico non si stanca. Il cinema non è più un’attrazione ma uno spettacolo ben classificato*150.

I film d'avanguardia “resistono” a quest’evoluzione “di cate­ goria”, perpetuano l’impurità dello spettacolo, il suo carattere aleatorio, eterogeneo. Il film di Man Ray, assemblato in quat­ tro e quattr’otto per la serata dadaista del "Cceur à barbe” organizzata da Tzara a Parigi al Théàtre Michel il 6 luglio 1923, provoca uno scontro violento tra il pubblico e gli orga­ nizzatori dello spettacolo e tra gruppi d’avanguardia rivali. André Breton e i suoi amici scatenarono una rissa che dilagò poi in strada151. Al di là di questa dimensione sociale immediata, il film pro­ duce uno scompaginamento del cinema in tutti i suoi aspetti. Da un laro Man Ray attribuisce dignità al frammento, alla serie di frammenti, rifiutando Punita di un tutto (indipenden­ temente dal principio di unità: racconto, tema, forma). E spie­ ga queste sue scelte in un testo pubblicato nel 1927 su «Close Up»: «Come la bellezza astratta di un’opera classica si può apprezzare molto di più in un frammentò che nella sua inte­

se

rezza, così questo film tenta di rivelare gli clementi essenziali del cinema con temporaneo»152. D’altra parte, il supporto, la luce, le componenti stesse del fenomeno cinematografico sono negate (niente riprese, ma impronte/impressioni dirette sulla pellicola negativa: “rayogram”; niente divisioni in fotogrammi, ma una trasgressione degli intervalli invisibili alla proiezione; niente rispetto per la natura chimica del supporto), il movi­ mento non è registrato ma costruito appositamente, i parame­ tri tradizionali della rappresentazione dello spazio e degli oggetti sono capovolti (alto/basso, nitidezza del campo, pro­ porzioni, ortogonalità della ripresa, prisma moltiplicarono che ripete la stessa ripresa in una sola immagine), e così anche quelli del tempo (ripetizione), e sono rifiutati i principi di legame e di accettabilità fra gli elementi (eterogeneità delle immagini successive). In L’Etoile de mer [Stella marina, 1928], da una sceneggiaturapoema di Desnos, Man Ray intraprende una decostruzione della rappresentazione filmica: rifiuto della nitidezza di rigore nella fotografia, montaggio dei frammenti filmati secondo una logica associativa e non narrativa o esplicativa o anche metaforica. Si fa uso di brani musicali secondo il procedimento del collage: la canzone Plaisir d amour, Il bel Danubio blu, La carmagnola, ’O sole mio, un’aria di Bach. Bunuel procederà allo stesso modo per accompagnare il suo Un chien andalou (1928), alternando un tango e Tristano e Isotta. Il ricorso alla canzone e alle arie popo­ lari» di cui Desnos era non soltanto estimatore ma alle quali ha dedicato un gran numero delle sue cronache giornalistiche, è una chiara testimonianza del fatto che per questa avanguardia non si tratta di rifiutare la cultura di massa alla quale appartiene il cinema, ma al contrario di farvi riferimento, di riprenderla, di citarla. La canzone da music-hall che coltiva l'assurdo, il buffo e il salace sul filo di scatenati giochi linguistici, mantiene d'altron­ de più di un legame con la poesia di contestazione. Pensiamo alfopera» oggi messa in ombra da cantanti la cui carriera non ha conosciuto interruzione (come Maurice Chevalier o Charles Trenet), di un Georgius, la cui inventiva verbale lasciava stupe­ fatti Fernand Léger o Desnos.

69

II Ballet mécanique di Fernand Leger

Léger ritrova nel cinema - con l’esperienza fatta pcr breve tempo sul set di La rosa sulle rotaie e soprattutto con le proie­ zioni di brani scelti di film presso il CASA [N.d.T.: “Club des Amis du Septième Art”) di Ricciotto Canudo — la valorizza­ zione dell’oggetto e del frammento. Nel cinema, come ha spiegato, vede una «mentalità nuova»: proiettori frugano e illuminano gli angoli più nascosti, la luce passa attraverso i corpi. «Ci si accorge che questi dettagli, questi frammenti, se li si isola, hanno una vita incera e particolare. Qualche anno fa si prendevano in considerazione solo una figura, un corpo, ora ci si interessa e si

esamina con curiosità l’occhio di questa figura. Gambe di donna,

piedi di donna, la punta della scarpa di una donna, il suo braccio, il suo dito, la punta del suo dito; l’unghia, il riflesso dell’unghia, tutto

è “messo in risalto”. Tutto ciò funziona come un orologio, come un revolver*15^.

L’unghia di cui parla più di una volta Leger, frammento della mano, del dito, che è nello stesso tempo specchio, si ritrova in Bataille («l’alluce») o in un testo di Leiris154, naturalmente cari­ cato di altre connotazioni. Uno dei riferimenti all’unghia s’inse­ risce d’altronde in una situazione dove Léger dice d’aver proiet­ tato l’immagine e poi rivelato al pubblico che quell’oggetto smi­ surato era l’unghia di una certa signora, provocando lo sconcer­ to degli spettatori155... Léger sperimenta peraltro in questo film qualcosa che non è minimamente possibile realizzare in pittura: la resistenza dello spettatore alla ripetizione, alla frammentazione, all’ingrandi­ mento. Il pittore-regista vuole «stupire», «inquietare», «esaspera­ re» lo spettatore, calcolando il numero di ripetizioni che que­ st’ultimo può sopportare e testando le reazioni degli operai e della gente del quartiere, studiando «l’effetto prodotto su di loro»156. A proposito della lavandaia che si inerpica instancabil­ mente sulle scalinate di Montmartre nel suo film, come un motivo per zootropio, Léger dice: «insistere», «fino a che l’oc­

70

chio e lo spirito dello spettatore “non lo accettano più”. Noi esauriamo il suo valore di spettacolo usandolo fino al momento in cui diventa insopportabile»157. Il titolo del film fa riferimento alla gestualità dei clown eccen­ trici del music-hall (uno dei legami con Chariot) ed è forse ripreso dai manifesti di Marinetti. In ogni caso troviamo nel 1921 un “ballet mécanique” presentato dai futuristi italiani, poi viene girato un L'uomo meccanico (André Deed, 1921); nel 1922 Paladini e Panaggi mettono in scena a Roma un Ballet mécanique futuriste, Ma Léger riprende, e al contempo parodizza, que­ sto riferimento giocando sull’omofonia in francese «ballet/balai» [N.d.T: baiai significa scopa] c sull’esistenza di un prototipo di «baiai mécanique», scopa meccanica, che gli aspirapolvere hanno oggi facto dimenticare (un collage del pittore rappresenta bene questo gioco di parole158). Ballet mécanique è indubbiamente, insieme con le prime opere di Man Ray, fra i film più radicali di decostruzione del cinema. Una sistematicità è all’opera fin dalle prime immagini, che interrogano le componenti del film (a cominciare dallo spazio prospettico messo in discussione dalla sfera in cui si riflette uno spazio curvo159, e capovolto con l’immagine della donna suH'altalena), reffetto-movimento stesso, l’inquadratura, il montaggio. I legami di questa pellicola con una serie di motivi dadaisti più che cubisti (stranamente, questo film viene collegato con il movimento cubista, cosa del tutto priva di senso) sono evidenti: i manichini nelle vetrine dei negozi avevano già interessato molto Duchamp e Picabia, in particolare i manichini femminili che pedalano in bicicletta, esempi di una macchina erotica celi­ be; in Léger c’è poi l’episodio di un manichino con un orologio a mo’ di organo sessuale o del principio motore che è perfetta­ mente in linea con le speculazioni di Picabia sull'automa, la donna e l'amore. È anche probabile che questi legami “a cose fatte” fossero di natura tale da esasperare i vecchi dadaisti, mai molto prodighi di elogi nei confronti di questo film (in particolare Man Ray, che lo giudica superficiale).

71

Entr'acte: offensiva e primitivismo

Il film che René Clair realizza per i Ballets Suédois su soggetto di Francis Picabia è un “classico” dell’avanguardia, le cui caratte­ ristiche - a ben vedere - riflettono la posizione di coloro che, nell’anìbito cinematografico, avevano le idee meno chiare su questa nozione* Infarti, se Entracte è un film, ovvero una deter­ minata metratura di pellicola impressionata, non è in nulla un film, nel senso dell’istituzione cinematografica* Non è destinato ad avere un’esistenza autonoma, né è destinato alle sale cinema­ tografiche o agli spettatori cinematografici, dal momento che nella prima parte presenta un prologo al balletto Relàche. e poi anima un intermezzo durante lo spettacolo. Se ha un “aurore”, nel senso che allora si comincia a dare al cineasta-regista, chi è? Il realizzatore si chiama René Clair, ed è un debuttante, l’autore del soggetto è l’artista polivalente Picabia, il musicista è Erik Satie: questi ultimi due sono gli autori di Relàche e appaiono di persona nel film per assumersene la responsabilità. Prima di arrivare alla successione di immagini organizzate sotto questo titolo, è necessario considerare l’impresa di questo balletto provocatorio, ospitato al Théàtre des Champs Elysées, che il pubblico era invitato a fischiare160, non essendo presentato sull’invito né come un balletto, né come un antiballetto. In un’intervista a un giornale, Picabia disse che non era destinato agli «eruditi, [...] a quelli che sono al corrente [...] a quelli che hanno capito! Non ai grandi pensatori, capiscuola che, simili ai capistazione, fanno partire i treni che portano alle grandi navi sempre pronte a prendere a bordo l’amante delfarte “intelligen­ te”»161. Questo attacco contro i protagonisti riconosciuti, istitu­ zionalizzati, dell’ambiente, del campo della cultura non si limita a fare appello alla sola «sensazione di nuovo, di piacere, la sensa­ zione di dimenticare che bisogna “riflettere” e “sapere” per amare qualcosa...», come dice anche Picabia. corrispondenza di Erik Satic lascia trasparire quanto questa impresa sia un’offen­ siva, un posizionamento, nel “mondo dell’arte” e all’interno dei continui rilanci avanguardisti, di natura militante se non addi­ rittura militare. Satie organizza questa offensiva come uno stra­ tega, c le collaborazioni sono per lui alleanze all’interno di un

72

cerco numero di conflitti che lo contrappongono, per esempio, al Groupe des Six o al surrealismo; così come Picabia, che si conferma dadaista, è in guerra con il gruppo surrealista. Coerente con questa strategia, il film è una delle armi usate, e la sua presentazione e la prima parte sono a questo proposito espli­ cite: Satie e Picabia in persona hanno sparato sul pubblico con un cannone caricato con una serie di scene cifrate; i rebus e i giochi di parole di Picabia proclamano slogan contro Parte ricorrendo alla derisione e alPautodenigrazione (messa in scena della propria morte da parte degli autori). Patrick de Haas ha risolto uno dei rebus che strutturano le immagini iniziali con la scena degli scacchi in cui Marchel Duchamp si fa annaffiare («Fran 6 Picabi arrose Sélavy»162). Si può citare anche La gag della prima ballerina ripresa sotto il tutu da un pavimento di vetro e che si rivela un uomo barbuto quando “lei” viene ripresa «ad altezza d'uomo». L'insistenza sull’inforcatura delle culotte della ballerina (“tutu” stesso significa in francese, per metoni­ mia, “chiappe”) c questa “scoperta” evocano per associazione il termine popolare “barbu”, che indica in dialetto il pelo pubico o il sesso femminile163. O Paccostamento delPespressione “grader une allumette”, sfregare un fiammifero e “se gratter le cràne”, grattarsi la testa, che giustifica la sovraimpressione di un cranio visto verticalmente e di fiammiferi che si accendono. Ci sono altre serie di assonanze o di trasformazioni nel film, in particola­ re riferite a opere di Picabia - come L’CEil cacodylate e La Femme aux allumetres - o con la tematica tipica di quest’autore164. A questo proposito, se è assolutamente necessario liberare questo film dalla dimensione di “testo” oltre che da quella di “perfor­ mance” - come ha giustamente fatto notare Thomas Elsaesser165 -, bisogna prendere in considerazione anche la sua dimensione testuale, criptaca. Su queste basi, l’apporto di René Clair si rivelerà importante perché tutta la seconda parte dei film è costruita secondo le regole del film a inseguimento del cinema “primitivo”166. Una volta partilo il corteo funebre, si assiste infatti a un’accelerazione dei movimenti: con l’insistenza sull’inseguimento senza fine del carro funebre» la composizione eterogenea del corteo (un vec­

73

chio» un dandy, un cassiere di banca, una persona senza gambe) e Io svolgimento di un paradigma della velocità che concilia tutti i mezzi di locomozione tipici del genere comico “primiti­ vo”, Il confronto di mezzi diversi di locomozione e delle loro perfermance è d’altro canto un topos contemporaneo al cinema delle origini. Nel supplemento mensile al Dictionnaire Larousse del 1907 si trovano tabelle comparative delle diverse velocità ottenute e delle distanze percorse in nn’nra da vari mezzi di locomozione: nuotatore, marciatore, corridore, cavallo montato, cavallo con carrozza, bicicletta, pattinatore, idrovolante, aeropla­ no, motoscafo, piroscafo, motocicletta, treno rapido, automobi­ le, treno elettrico167... In questo caso il genio di Clair consiste nello spingere questa logica comparativa al di là di ogni verosi­ miglianza, operando tramite collage di elementi prestabiliti che soltanto la velocità, la corsa e il trasporto permettono di legare tra loro: un toboga di luna park, un piroscafo, un aeroplano, ecc. E il genio di Satie, che ha composto la sua partitura lavo­ rando quasi sul singolo fotogramma, consiste nel creare una musica ripetitiva che procede in un crescendo del tutto organico con questo indiavolato processo visivo. Viene qui messa in pratica una logica associativa che in segui­ to farà faville nel cinema di montaggio, pensiamo per esempio a Richter (evidentemente molto impressionato da Entracte) o a Vertov e poi a Storck. Ma ribadiamo l’estraneità totale dei tre film ricordati (e di altri che seguiranno, come Anémic Cinéma [Cinema anemico, di M. Duchamp e Man Ray, 1926], Impatience [Impazienza, di C. Dekeukeleire, 1929], ecc.) nei confronti del cinema, il loro carattere negatore e la loro natura antiartistica, nella misura in cui vi si fa un cinema che è dello spettatore» e non dell’Autore, deirOpera o del Testo. 3«2«2. L'avanguardia, il film puro, assoluto

L'altra corrente è quella dei cineasti che, alfinterno del sistema di produzione, promuovono le loro idee estetiche nello spirito del modernismo, e che Richard Abel chiama «avanguardia narrativa».

74

In Francia, è annunciata da una serie di articoli di Henri Diamant-Berger che dirige «Le Film*. Vedendo Mater Dolorosa (Id., 1932) di Gance, grida: «Sangue fresco!», e introduce il motivo del confronto generazionale: «Vale di più per il cinema un uomo nuovo che un uomo che conosce troppo il vecchio cinema. [...] Il cinema deve attirare a sé forze giovani, nuove e realmente vivificanti»168. Diamant-Berger riprende questo argomento qualche mese dopo neU'editoriale intitolato Place aux jeunes. dove fa appello alla novità, al rinnovamento del cinema francese contro l’immobilismo dei veterani. «Il cinema è un'arte: esige artisti veramente completi, convinti e arditi. Esige la ricerca, il lavoro, la comprensione, l’invenzione, l’ab­ bandono di ogni routine e di ogni pregiudizio...»169. Henri Roussel, attore dal 1913 e poi regista, lo segue su questa strada invocando una «rigenerazione», necessaria dopo che «una vera e propria élite intellettuale, constatando i risultati ottenuti fino a ora dal cinematografo, ha pronunciato senz’ombra d’ironia le parole "quinta arte”»170. Ma queste rivendicazioni vogliono far riconoscere il cinema come un’arte al pari delle altre, come portano a concludere i capolavori americani di Griffith e di Ince. Il testo pubblicato da Gance in «Ciné-Journal» nel 1912, e battezzato «manifesto» da Sadoul, rispondeva alla domanda Quest~ce que le cinématographe?. «Una sesta arte», secondo la formula di Canudo, «una sesta arte che in questo momento, come la tragedia in Francia quando al tempo di Hardy attendeva un Corneille, chiede il suo classico... »171. Con questa rivendicazione di un «classico del cinematografo che lo orienterà verso una nuova era», siamo dunque lontani dalle preoccupazioni delle avanguardie, cosi come con l’episodio di Gance che realizza La Folie du docteur Tube (La Follia del dot­ tor Tube) nel 1915, fondato su deformazioni ottiche, che rimase allo stato di negativo per due anni e che, scrive Sadoul, era moire simile ai film di Emile CohI e Jean Durand. Il film «deri­ va dall’anteguerra molto più che dall’avanguardia Rimasto inedito, non potè però influire sulla nuova scuola francese»172. Sia gli incoraggiamenti di Delluc a Gance — che gli attribuisce il

75

merito di «essere stato il primo a cercare al cinema una formula artistica» — sia le dichiarazioni della Dulac («il cinematografo è un arte» un’arte francese, (...], che si offre [...] di diffondere e di affermare nel mondo la grande superiorità del nostro gusto, di difendere la nostra cultura...»,73)> si situano in questa prospettiva di legittimazione, di riconoscimento, René Le Somptier si felici­ ta che «gli scrittori e gli artisti comincino a scoprirlo [il cinema], a interessarsi alla sua evoluzione, a discuterlo, f.,.1 Sono titoli nobiliari di cui ci si deve inorgoglire, anche se il blasone è talvol­ ta pesante da portare»174. Certo, le proposte di Marcel L'Herbier contrastano con quelle dei suoi contemporanei, dal momento che l’autore di Hermes et le silence contrappone il cinema all’arte in uno schema verità-menzogna. Riprendendo un’argomentazio­ ne di Vuillermoz» che definisce il cinema «quinta arte», e per di più «arte plastica», L’Herbier nega che il cinema» «macchina da stampa della vita», possa essere messo sotto una giurisdizione e delle finalità che gli sono estranee. La natura fotografica del cinema Io rende interessato a una «verità fenomenica» c non astratta, irreale. Esso è quindi agli antipodi della «poesia pura»175. Tuttavia l’orientamento del cineasta fu ben diverso da quello del saggista, e L’Herbier realizzò le sue opere in una pro­ spettiva simbolista e manierata che le sue ambizioni letterarie avevano preannunciato. Il discorso che auspica l’avvento di una nuova generazione consapevole della natura artistica del cinema si fa combattivo c ruota intorno all’idea d’avanguardia. In Place aux Jeunes («Le film», n. 89, 26 novembre 1917), Diamant-Bcrger esige che: «coloro che innovano soltanto per il gusto della ricerca aprano la stra­

da c marcino in testa. Il terreno è sgombro e tutto è da creare,

La

nostra arte ha già i suoi pompiers. Attraverso lo studio e la passione, sbarazziamocene. Nessuna cricca ufficiale, nessuna Accademia vec­

chiotta vi sbarrerà la strada. Cercate, osate, noi siamo con voi...*.

L’anno seguente, Emile Vuillermoz, ancora più esplicito, parla della necessità di un’«avanguardia», di «caste, scuole» cenacoli, raggruppamenti rivali, di scismi estetici e di parroc-

76

chic ristrette». Occorre che «queste truppe d’assalto» general­ mente sacrificate, conquistino d’ìmpeto posizioni formidabili per essere sostituite il giorno dopo dalla fanteria regolare, che organizzerà e amplierà il terreno preso al nemico»176. Notiamo che questo vocabolario aggressivo, questo richiamo alle dottri­ ne che caratterizzano, in effetti, i movimenti d’avanguardia, sono qui proposte in una prospettiva strettamente “militare”. Sono insomma esploratori che vanno in avanscoperta e ritor­ nano verso il grosso delle truppe per incitarlo a riprendere l’a­ vanzata. Questa accezione della parola colloca il fenomeno all’interno del campo autonomo del cinema, individua in esso una produzione e un pubblico d’élite1 ?* che possono rendere possibile in seguito la necessaria secolarizzazione delle idee “d’avanguardia”, una volta che esse siano condivise dalla mag­ gioranza. È questa accezione, accolta in particolare da André Bazin, che prevarrà in Francia dopo la Seconda guerra mondiale, mentre un’altra corrente, il cui centro di gravità è negli Stati Uniti, inse­ rirà l’avanguardia nelle categorie di “genere”, di “stile”, ricorren­ do all’etichetta di film «sperimentale» (Richter). Come si vede, entrambe le accezioni sono prive dell’ambizione primigenia di un’“avanguardia” politica, come l’abbiamo definita all’inizio di questo libro. In Germania, nell’evoluzione delle tendenze cosiddette “espressioniste”, che come abbiamo visto per il movimento Dada rappresentavano il passato e non la modernità, questa 'avanguardia” trova, prima che in Francia, un’accoglienza favo­ revole da parte dell’industria cinematografica, che le accorda un suo posto. Sotto questo aspetto, abbiamo più di una volta contrapposto la Francia alla Germania di quel periodo. Benché oggi si sia potuto scrivere che l’industria francese era stata benevola nei confronti dell’avanguardia (Bordwell), l’opinione prevalente allora era che l’industria tedesca aveva incorporato i suoi “pre­ cursori” (Pabst, Murnau, Lang, Lupu Pick...) e anche i suoi sperimentalisti, come Ruttmann. I cineasti francesi, che si è soliti riunire sotto l'etichetta a geo-

mecria variabile di “Avanguardia”, sono al contempo legati tra di loro, in un certo senso solidali, ma hanno progetti molto diversi. Non si può parlare di “gruppo” o di “scuola*’ nonostan­ te l’apparente comodità che ha acquisito l’espressione “scuola impressionista”. Ix vicinanze sociologiche - condivise peraltro con cineasti che non vengono associati, o non vengono più associati, alla loro “tendenza” —, le convergenze d’interesse in materia di riconoscimenti istituzionali che passano attraverso riviste, cineclub, mostre, cicli di conferenze, e le collaborazioni occasionali che talvolta li riuniscono (Delluc sceneggiatore della Dulac, L’Herbier produttore di René Clair, di Delluc...) non bastano a farne un gruppo omogeneo. I discorsi teorici di cia­ scuno differiscono, come pure le teorie estetiche. Ciò che li avvicina è la lotta per far riconoscere il regista come autore del film — lotta iniziata negli anni Dieci - e il desiderio di assicu­ rarsi un’indipendenza, di essere i produttori di se stessi. Con Cinégraphic, creata dopo aver lasciato la Gaumont, L’Herbier è colui che è arrivato più lontano in questa direzione, ma Epstein crea anch’egli, per breve tempo, Les Films Jean Epstein, e Gance fa lo stesso. A questo riguardo, la posizione di questa “Avanguardia” si situa neU’ambito di uno dei dibattiti dominanti del decennio, in Francia e altrove: la contrapposizione tra il cinema e i mercanti che lo snaturano. Il Congresso del cinema indipendente di La Sarraz nel settembre 1929 consacrerà questa rivendicazione. Accanto a questa corrente che si sviluppa all’interno delle strutture di produzione vigenti, ai suoi margini, si colloca una corrente anch’essa abbastanza disomogenea, e che non crea né un gruppo né una dottrina ma produce essenzialmente corto­ metraggi “di ricerca”. I suoi esponenti sono ancora più giovani di quelli che aspirano, dalla fine della guerra, a soppiantare i loro fratelli maggiori. Saranno loro a illustrare meglio, e senza dubbio con più since­ rità dei registi e dei teorici dell’Avanguardia “narrativa”, le riven­ dicazioni estetiche proclamate. Essi tentano, insomma, di effet­ tuare un taglio netto tra i due regimi di appartenenza in cui abbiamo spesso visto divisi i film: il racconto, il melò (conces­

78

sione al grosso pubblico, al commercio) e farce. Sono Henri Chomette, fratello di Clair, con Jeux des reflets e de la vitesse [Gioco di riflesso e di velocità, 1925] e Cinq minutes de cinema pur [Cinque minuti di cinema puro, 1926], Cavalcanti {Rien que les heures, [Le ore e nient’altroj, 1925, En rade, La P’tite Lille, [La piccola Lilie], 1929) e Autanc-Lara {Fait divers, [Cronaca], 1923, Construire un feu, [Costruire un fuoco], 1929), entrambi utilizzati da L’Herbier alla Cinégraphic come scenografi; sono il Jean Renoir solitario di La ragazza dell'acqua {La Fitte de leau, 1925) e di La piccola fiammiferaia {La Petite marchande dallumette, 1928), Kirsanov {Ménilmontant, 1926, Brumes dautomne, [Nebbie d’autunno], 1928), Lucie Derain, ecc. Un po’ discosto, il tentativo ampolloso dell’attorestarMozzuchin con II braciere ardente {Le Brasier ardent, 1923) che ambisce a essere il Caligari francese. Questa corrente non è senza legame con la prima, non solo perché aspira a raggiungerla, la ammira e ascolta le sue teorie, ma perché se si guardano le cose un po’ più da vicino, si scorgo­ no scambi che mettono in discussione le categorie più rigide. Realizzando nel 1929 Sa Tète [La sua testa], Epstein tenta un’e­ sperienza di film senza sottotitoli dello stesso tipo di Fait divers. Renoir, girando Nana {Id., 1926) con l’eredità di suo padre, tenta di affermarsi nel grande cinema, con scenografie, attori famosi, soggetto importante. Su queste classificazioni che si perpetuano a partire dagli anni Trenta (le si trova nella prima edizione dell’Histoire du cinema di Bardèche e Brasillach), rilanciate da Langlois dopo la guerra, più o meno accreditate da Sadoul e da allora sclerotizzatesi, i nostri dubbi rimangono intatti: nascondono la realtà molto composita e complessa del cinema francese degli anni Venti, e hanno prima di tutto come effetto quello di ostracizzare tutta una parte dei suoi protagonisti. Se ci atteniamo al criterio da noi seguito nella definizione di un movimento d’avanguardia, cioè quello di un movimento organizzato che fa conoscere la propria posizione per mezzo di manifesti, articoli e manifestazioni pubbliche, non troviamo gruppi cinematografici che vi corrispondano. Certo, questo

79

modello “ideale** può conoscere modalità di realizzazione incomplete, approssimazioni, ecc. In parte infatti le nuove tendenze in campo cinematografico si organizzano in gruppi o in correnti di pensiero, talvolta antagoniste, più spesso con­ sensuali, ma tendenti tutte alla legittimazione c al riconosci­ mento; e l’ipotesi di una “distruzione” dei cinema come istitu­ zione - ipotesi che, nella teoria come nella pratica, fece più strada nell’ex Unione Sovietica - è rifiutata con veemenza da queste correnti. Tuttavia, la maggior parte dei protagonisti è divisa tra la presa di coscienza delle specificità del cinema come antiarte (dimen­ sione meccanica, riproduzione, duplicazione, collettivo, destina­ tario di massa, ecc.) c questa lotta per un riconoscimento equi­ valente a quello delle arti istituzionalizzate. Non si cessa di sot­ tolineare le differenze, e al tempo stesso si costruiscono affinità e analogie. Il fatto che la maggior parte dei cineasti e dei critici siano gio­ vani (uomini e donne) che avevano sperato di affermarsi in campo letterario - e meno spesso artistico - ci fa ritrovare la situazione della fine del XIX secolo che abbiamo evocato prece­ dentemente parlando di “proletarizzazione** delle fasce medie acculturate. Delluc nutre — come il suo compagno di collegio Moussinac - ambizioni letterarie (nel campo del romanzo, della poesia, del teatro) c “nell’attesa** pratica il giornalismo culturale. Il cinema, il cui spazio autonomo è in via di costituzione sotto i suoi occhi, rappresenterà per lui un’occasione per realizzare le sue ambizioni nella misura in cui - per dirla prosaicamente - ci sono posti da occupare. Attestano bene questo tipo di percorso la sua riuscita nella critica cinematografica (nella quale investe un’energia decuplicata e dove elabora un’immagine originalissi­ ma attraverso il suo stile di scrittura, la rapidità, l’insolenza, la prontezza a raccogliere in volume i suoi testi: la monografìa su Chariot, Phatogénie, Cinema & Cie, )y e il rapido progresso, meno indiscutibile ma reale, raggiunto nella sceneggiatura e nella messa in scena con i suoi quattro film. L’itinerario di Delluc, romanziere e poeta, cronista a «Comoedia illustrò» dal 1910, attesta modalità d’ingresso nel

80

campo cinematografico tipiche di alcuni intellettuali. Interessato ai teatro, aH’opera, alia musica, alla danza, Delluc disprczza il cinema171* e probabilmente ancora di più il suo pubblico ma, convertitosi all’interesse per il cinema durante la guerra 19141918, si premura di far riconoscere il suo carattere di arte, di farlo accettare dagli intellettuali, ovvero dall’élite, poiché la folla Io ha riconosciuto da un bel pezzo179. Troviamo un itinerario simile, o quasi, nella maggior parte dei suoi contemporanei più conosciuti (Dulac, L’Herbier, Gance, Epstein) o meno noti (Boudrioz, Baron celli, Choux). Il cinema è uno sbocco per i poeti minori, drammaturghi mancati, romanzieri velleitari. Marcel L’Herbier è un altro esempio canonico: dopo studi di giurisprudenza e lettere, scri­ ve poesie simboliste (Au jardin des jeux secrets, 1914), musica, una prima, fallimentare, opera teatrale, LEnfantement du mori (Il parto del morto, 1917) e si volge, come per dispetto — se dobbiamo credere alfattrice Georgette Leblanc che gli fu vici­ na — al cinema, scrivendo sceneggiature {Le Torrent, [Il torren­ te], L’Ange de minuit, [L’angelo di mezzanotte)). Del cinema il regista sottolinea contemporaneamente la posizione esterna, in confronto all’insieme delle arti consolidate {Le Cinéma cantre les arts), si fa provocatorio nei suoi scritti e nelle conferenze, proclamando la novità radicale del nuovo medium, e nello stesso tempo viene a patti con i generi convenzionali (melo­ dramma) per instillarvi un raffinamento artistico, una musica­ lità, una dimensione plastica che può svilupparsi solo sulla base teorica di una divisione tra forma e contenuto... Epstein, arrivato un po’ dopo, conosce un itinerario dello stesso tipo. Cuor doro e muscoli d'acciaio (Cceur fidele, 1923), il suo primo successo in termini di riconoscimento, è un racconto populi­ sta, assomiglia alle canzoni realiste, ai romanzi d'appendice meladrammatici: ambientato in un porto, racconta il dramma sentimentale di una cameriera e di uno scaricatore che non arrivano a realizzare il loro amore, un amore che trascende la mediocrità e la violenza dell’ambiente. Il riferimento plastico e musicale agli clementi naturali (scintillio delle onde, natura) e alle esplosioni collettive (fiera), la loro dinamizzazione nel film

81

tramite il montaggio (che si chiamava allora «ritmo») e la qua­ lità fotografica («fotogenia») sono i mezzi artistici che permet­ tono il superamento del triviale nel sublime. A un livello infe­ riore» Delluc riprenderà una tematica simile in Ftevre (Febbre» 1921), Cavalcanti in En Rade, e Dulac in Invitation au voyage (Invito al viaggio» 1927). Diverse invece le idiosincrasie dei registi (interesse per Tinteriorità psicologica in Delluc; atmo­ sfera malsana, melanconica in Cavalcanti; sentimento della perdita e del passato nella Dulac). Bisogna tuttavia soffermarsi su aspetti diversi da quelli chia­ mati in causa dai diretti protagonisti in questo incessante incon­ tro tra i generi popolari e le ambizioni estetiche raffinate. Infatti abbiamo decisamente esagerato nel definire questa alleanza contro natura, esagerato nel voler operare, all’interno di questi film, un raglio netto tra arte e luoghi comuni. Fu Emile Vuillermoz, critico musicale e cinematografico del gran­ de giornale borghese «Le Temps», e instancabile scrittore c teo­ rico di quel periodo, a dare la migliore e più concisa sintesi del problema. Vuillermoz non era un “estremista”, era un partigia­ no del riconoscimento del cinema come arte legittima, c la sua argomentazione tende con tutte le forze a sottrarre il film al suo nuovo ruolo di arte di massa per riservarlo all’élite e agli iniziati. Ogni forma di narrazione, le peripezie» le risse e gli inseguimenti sono per lui concessioni al mercato. Questo grande film» scrive a proposito di La rosa sulle rotaie, quest’«opcra magnifica» si scontra con due ostacoli: «La for­ mula commerciale attuale della programmazione» e «la sua for­ mula drammatica corrente», entrambe «assurde e pericolo­ se»1H.

4.1. AVANGUARDIA E CINEMA DOCUMENTARIO «La vivandiera del battaglione li accompagnava. Ix vivandiere si uniscono volentieri alle avanguardie perché si corrono dei pericoli, ma si vede qualcosa*197.

La questione del documento, del “fatto” che organizza tutta una parte del dibattito in Urss in seno al Lef e altrove (dopo Verrov) cristallizza, alla fine del decennio, una dimensione del cinema che non ha smesso di offrire una visione dell’arre e del­ l’estetica contraria a quella che regnava fino a quel momento. Abbiamo visto come la fotografia e il cinema abbiano sconvolto

93

il mondo artistico e letterario rifiutando tutta una serie di valori estetici legati alla forma come istanza di creazione» che trascende il referente o il modello, e come tutta una parte del cinema “innovatore” si sia impegnata a restaurare questi valori partendo dalla loro estromissione da parte degli apparecchi (e passando per la fotogenia, Taura, la fisionomia, lo spirito...). Alla presa in carico di questa mutazione, principalmente a opera dei dadaisti e dei costruttivisti russi, seguirà una polemica condotta contro l'artificio e l’illusione dell’arte con una dimen­ sione ideologica. Dopo Vertov, Gan e Sub in Urss, Richter, Ivens, Cavalcanti e Vigo si orientano in questa direzione, sia pure con modalità proprie. «d documentari e le attualità sono pieni di questi fatti obiettivi molto

belli che bisogna soltanto prendere c saper presentare. Viviamo {’affer­

mazione del l’oggetto che s’impone in questi negozi che adornano le strade.

Un gregge di pecore in cammino, filmato c ripreso dall'alto e proiet­

tato poi a schermo intero, è come un mare sconosciuto che travolge lo spettatore. È questa l’obiettività»198.

La valorizzazione del documentario e dell’attualità espressa qui da Léger contro la sceneggiatura, il romanzo, ecc. è una caratteri­ stica costante delTintcresse degli artisti d’avanguardia per il cine­ ma, come abbiamo già visto nei testi di Aragon, Breton, Péret e altri. Anche il fatto che numerosi cineasti “d'avanguardia” si inoltrino in questo campo per accentuare ulteriormente il loro rifiuto dell’arte è dei più significativi199. Per ritrovare quella che Cari Einstein chiama «la forza micidiale dell’opera d’arte» si vuole riannodare con violenza il legame con il reale, per quanto repellente e traumatico e si rifiuta l’immaginazione: «Picasso non è sottomesso alle tendenze retrograde dell’immaginazio­ ne»200. Tuttavia, nonostante il comune rifiuto, le posizioni di Léger c Bataille non coincidono: il primo rifiuta la sceneggiatu­ ra, il secondo valorizzerà Un chien andalou perché vi si «riduce». Inoltre bisogna intendersi su quello che questa parola significa

94

presso Puno e 1 alerò» Léger ha sempre paragonato la sceneggia­ tura al soggetto di un quadro, all’aneddoto; Barai Ile vi vede la logica concatenazione di fatti bruti e dissociati, insomma un principio di montaggio. II posto dell’oggetto e del fatto nell’uno e nell’altro non sono della stessa natura (l’oggetto in Léger è pura e semplice esteriorità, in Bataille è una finestra sull’orrore e sulla repulsione). Bisogna d’altro canto prendere in considerazione il ruolo dei documentari e delle attualità nei programmi cinematografici. È un ruolo che conosciamo per quanto riguarda il cinema delle origini, per il latto che gli spettacoli presentavano pellicole di breve durata e di generi diversi, tra cui figuravano sempre una o più vedute o documenti (paesaggi, avvenimenti, ecc.). L’interesse per il documentario a discapito del film artistico deve indubbia­ mente molto a questa situazione. Nel corso di uno spettacolo, lo spettatore vedeva confrontarsi le due tendenze, c a voler conside­ rare oggi la composizione di questi spettacoli o anche quella delle sole “attualità”, come per esempio quelle Padié, vi si mostra una pratica del collage e dell'accostamento incongruo che il cinema della messa in scena è del tutto incapace di uguagliare! D’altra parte il prezioso rapporto fatto da un poliziotto in borghese durante una proiezione di L’Age dor (Id., 1930) inseri­ sce nuovamente questo film in un contesto che spiega, forse non meno del suo contenuto intrinseco, la componente di scandalo che gli è propria. Ci torneremo. 11 cinema gioca quindi nuovamente il ruolo di modello o di stimolo per la tendenza letteraria fattualista, che in Urss è rap­ presentata dal Lef e poi dalla frazione della Rapp rifugio dei pro­ fughi del Lef, e che ha forte influenza in Germania e minore in Francia. Ciò non toglie che, su «L’Humanité», il filosofo Brice Parain riconosca al cinema il merito di rendersi meglio conto delle trasformazioni della società in ragione della sua natura obiettiva: *Le masse e le macchine vivono nei film, mentre gli croi da romanzo sono sempre individui che parlano. Intorno a loro, le folle, la natura, le fabbriche servono da déeor*20ì.

Il movimento fattografico sovietico privilegia la prosa docu­ mentaria fondata sull’inchiesta e la deprofessionalizzazione degli scrittori. Tret'jakov vedeva il prototipo di questa prosa docu­ mentaria e d’inchiesta nei romanzi di Pierre Hamp, ma alla fine del decennio quest’ultimo, più che approfondire la posizione assunta in Le Rail (che, ricordiamo» era servito da punto di par­ tenza per La rosa sulle rotaie di Gance) la attenuò» nelle sue evo­ cazioni dei mestieri e soprattutto nelle sue teorie sociali fondate su un'ideologia “meccanicistica”202. Fra le lezioni che il cinema dà alla letteratura, c’è il montaggio di documenti, l’eterogeneità dei materiali» la forza d’urto riven­ dicata in Germania da Brecht e Benjamin e in Francia da Pozner. Il quale scrive: “[.’autore di un “montaggio” si deve ispirare ai principi del cinema.

Esso procede per opposizioni c parallelismi. Ix citazioni che si susse­ guono, talvolta brevi, talvolta abbastanza Iungile, si sostengono e si

contraddicono completandosi reciprocamente c Fanno luce su una figura umana a trecentosessanta gradi. Poiché tutto risiede nella varie­ tà degli angoli di ripresa...»203.

Il cinema d’avanguardia, in un contesto simile» non torna al romanzo o alla poesia nel momento in cui viene preso ad esempio dai letterati! È questo il motivo per cui il cinema che potranno rivendicare i surrealisti, quello di Bunuel e Dall, appartiene a questa corrente: L'Age d'ory ancor più che Un chìen andaloUy presenta la letteralità del documentario scienti­ fico (gli scorpioni204), il documento sull’isola dei vescovi e l’i­ naugurazione di una città nuova, poi un documentario di attualità reinterpretato (su Roma) prima di proporre immagini discontinue, scene altrimenti senza legame» se non per il fatto di cozzare tra loro e sciorinare tutta la crudezza possibile» in maniera da eliminare ogni appiglio romantico, psicologico e narrativo, ritrovando in più di un’occasione la brutalità dell’e­ videnza “primitiva”205. Il legame del cinema d’avanguardia della fine degli anni Venti/inizio anni Trenta (essenzialmente Bunuel» Vigo c Kaufman, Ivens» Lods) con il documento è

96

palese, e lo si comprende ancora meglio quando si valuta la collocazione di questo tipo di film nei programmi delle sale, il carattere talvolta scioccante che può avere o i suoi bruschi salci da un discorso all’altro. La congiuntura vede Temergerc della rivista «Documents» di Bataille-Lciris-Einstein, i quali ‘superano” a sinistra Breton e i surrealisti che gli sono rimasti fedeli. Il ruolo assegnato alla foto­ grafìa in questa rivista cambia in modo considerevole 1’utilizzo che ne facevano Breton e Aragon in Le Paysan de Paris c in Nadja e nelle riviste surrealiste. Il riferimento al cinema vi sarà più frequente che in questi ultimi. Numerosi articoli presentano allusioni o rinvii al cinema, ma vi si trovano anche testi espliciti, e quelli di Bataille sono i più violenti. Nel suo contributo al Dietionnaire* al lemma «Occhio», sottotitolato «leccornia canni­ bale», dopo un primo articolo di Robert Desnos sulla parola e una fotografìa di Joan Crawford con gli occhi sporgenti, Bataille dedica parecchie righe a Un chien andalou a proposito, ovvia­ mente, dell’occhio tagliato con il rasoio della prima scena. Una nota precisa il carattere “straordinario” del film che: «si distingue dalle banali produzioni d'avanguardia, con le quali sì sarebbe tentati di confonderlo, per il predominio della sceneggiatura. Alcuni facci molto espliciti si susseguono senza successione logica, è

vero» ma penetrano cosi in profondità nell’orrore che gli spettatori sono coinvolti non meno direttamente che nei film d’avventura.

Coinvolti e anche proprio presi alla gola, e senza alcun artificio: sanno infatti, questi spettatori, dove si fermeranno, sia gli autori di questo

film, sia i loro simili? (...) Come non vedere a che punto l’orrore diventa affascinante - c anche che l’orrore è la sola cosa abbastanza brutale da spezzare ciò che opprime»206.

Si trova in queste righe la parola «facto», e abbiamo visto quale ruolo essa occupi nelle posizioni dell’avanguardia russa e tedesca del tempo. Seguendo la stessa impostazione, si confron­ tano foco di ballerine americane più o meno déshabillées (ripre­ se attorno a Bessie Love) con un cliché etnografico di bambini africani di Bacouya, nudi e inquadrati da un ufficiale francese

97

(p. 219), o le pelli di volpe a un’esposizione di pellicce messe a confronto con Betty Compson e il suo “boa” in un film qua­ lunque (p. 277). È inevitabile segnalare fimportanza che vi assumono le foto­ grafìe di BoifFard e quelle - di mattatoi - di Elie Lotar207 che, legate ai commenti di Bataille sulle scene di fucilazione in La corazzata Potemkin, (Bronenosec Potemkin, 1925) associate alle carogne, al suo cesto sull’alluce o a una riflessione su «una mosca sul naso di un oratore»208, fanno capire meglio l’acco­ glienza riservata a L’Age d'or, preceduto da un documentario sui mattatoi che sconvolgeva gli spettatori, come riferisce un rap­ porto di polizia: «Allo ^Studio 28”, via Tholozé 10, sono proiettati attualmente diversi

film. Il primo, intitolato Paris Bestiaux» dei signori D'Abéric e Sorel, è un documentario. Mostra l'interno dei mattatoi del quartiere di La

Villette c in particolare i dettagli dcH’abbattimento delle bestie: manzi, maiali, montoni. Si assiste all’agonia dei manzi, le cui contra'

zioni e le cui sofferenze impressionano gli spettatori. Poi gli uccisori estraggono gli intestini degli animali per ripulirli del contenuto e con­

servare solo il budello. Infine, in un ristorante, alcuni commensali

consumano con soddisfazione quella stessa carne di cui si è vista, qualche istante prima, la preparazione. Questo accostamento suscita il disgusto e, verso la fine, il film è vigorosamente fischiato. La pellicola seguente, intitolata Au village (film detto “di montaggio”

realizzato dal signor Léonid Moguy) è di origine sovietica e tratta dello sviluppo agrario in Urss. (...) Terminata la loro giornata, i lavoratori si lavano assieme nel fiume. Uno di essi, in primo piano, si spoglia completamente» ma la parte

bassa del suo corpo non è visibile [...]. Dopo l'intervallo viene proiettato L'Age dor, film sonoro surrealista, del signor Luis Bunuel»209.

In questo sintetico rapporto di polizia si possono trovare numerosi elementi ricordati prima: il documento bruto e bruta­ le (scioccante), il film di montaggio, la presenza di lavoratori

98

che in un film incarnano i rappresentanti di un'attività metodica di assassinio, e nell'altro un'impudicizia antitetica alla morale borghese. Questo prointervallo in qualche modo “programma” il film di Bunuel, che sarà incessantemente accolto da fischi e. commenti assortiti, secondo il resoconto fornito dal poliziotto. Si vede tra l'altro che il documentario Paris Bestiaux riprende un tropo che Cavalcanti aveva usato in Rien que les heures* con il commensale nel cui piatto si vede, come in una vignetta, rab­ battimeli to del manzo; solo che qui la situazione è spinta molto più in là e ricorda inevitabilmente il ricorso al macello dei bovi­ ni in Sciopero (Staékay 1925) di Ejzenstejn. Mentre Georges Sadoul afferma nel 1948 che l'avanguardia «ha virato» verso il documentario sotto la pressione del cinema sovietico210, contemporaneamente Cavalcanti mette a confronto i due movimenti che ha conosciuto in successione, ‘TAvanguardia francese” e “il Documentario inglese”. «Quando Marcel L'Herbier mi propose [...] di entrare negli studi

parigini (...) io potei, come dice lui, assistere alla nascita, allo svilup­ po c alla morte del movimento d’4 avanguardia”.

Per dei buoni motivi, la parola "avanguardia” sollevava le obiezioni della maggior parte di noi. Evocava angoli insoliti di ripresa, inserzio­

ne di negativi, montaggio rapido con un certo numero d’immagini

capovolte. E ancora (‘estetismo pretenzioso e, molto spesso, Fassenza

di soggetto, o se ce n‘era uno, un soggetto privo di significazione. Ma “favanguardia” - perché così venne chiamata - significava molto più di tutto questo. Fu una reazione profonda contro il sentimentali­

smo del cinema francese di quel perìodo. Ix persone» oggi, scoprono Fcuillade c i suoi contemporanei e li collocano tra i pionieri del cinema. AlTepoca noi non comprendevamo affatto il valore del suo

apporto (...),

Quando i suoi esponenti furono assorbiti dagli studi, che realizzavano

le grandi produzioni, sapevano di aver completamente cambiato la tecnica della produzione cinematografica alla fine del periodo del muto. [...)

Anni dopo fui testimone in Inghilterra di una esperienza della stessa

natura [...].

99

Quando vi vedemmo apparire i primi segni di un movimento die

aveva molti punti in comune con ^avanguardia” - il movimento documentario - sapevamo che questo poteva beneficiare del l ’espe­

rienza del suo predecessore francese [...].

Il movimento documentario inglese fu costruito su basi molto più anguste di quelle dell’"avanguardia francese. Innanzitutto, ebbe una dottrina ben definita. Ebbe i suoi leaders e una gerarchia molto elabo­

rata. E un brillante agente pubblicitario nella persona del regista scoz­ zese John Grierson.. ,»211.

4.2. SECOLARIZZAZIONE O CONTINUITÀ DELL’AVANGUARDIA «Si direbbe una specie di puzzle, pezzi staccati, posti uno di fianco all’altro, con la preghiera rivolta allo spettatore di ritrovarne l’ordine e il senso. Si pensa, talvolta, a Un chien andai™... Peccato!* Pierre Bost212.

Si manifesta una permanenza del l’avanguardia come elemen­ to di contrasto; la si evoca per dire che è passata, superara, dive­ nuta retroguardia, per dire che bisogna fondarne una nuova, su altre basi. Il 1929, che è caratterizzato dall’arrivo del cinema sonoro americano e dalla sua diffusione in Europa, è anche Tanno, in questa fine del decennio, di due avvenimenti memorabili per il cinema d’avanguardia, che ne istituzionalizzano in un certo senso l’esistenza. A Stoccarda, in aprile-maggio, durante Impo­ sizione del Werkbund, si svolge la Fifo (Film und Foco Ausstellung), un’esposizione di alto livello che per la prima volta mette insieme, programmaticamente, cinema e fotografia. Si espone il cinema sotto diverse forme (proiezione di estratti senza soluzione di continuità, ingrandimento di fotogrammi affissi da soli o in serie). Le proiezioni dei film sono curate da Hans Richter, così come Tedizione di un notevole volume dalla veste tipografica esemplare: Fibngegner von Heute - Filmfreunde von Morgen. Parallelamente ma in modo diverso, La Sarraz

100

accoglie il Primo congresso del cinema indipendente. 1 dibattiti che hanno luogo a La Sarraz danno un’idea della situazione e delle posizioni dei partecipanti in rapporto alle problematiche dell’avanguardia21 \ Auriol comincia significativamente con queste parole: «Attiro la vostra attenzione sulla parola “ indi pendente” (che] evita il ter­ mine ridicolo “^avanguardia”». I dibattiti riuniscono personalità come Ruttmann, Ejzenstejn» Richter. Cavalcanti» Montagu» Baldzs, Aron, Caballero» Moussinac» Franken, G. Schmidt, Trampolini c altri» ed esplora­ no le definizioni della parola «indipendente» e le sue conseguen­ ze: legame con il pubblico, opposizione popolare us elitario, for­ malismo. I convenuti proseguono i dibattiti avviati dal dopo­ guerra e propongono delle risposte. Il vero terreno di riflessione è la diffusione dei film (uno dei compiti dell’associazione) men­ tre la questione della forma cooperativa di produzione rimane molto più problematica. Benché in seguito recuperi nelle sue argomentazioni l’espres­ sione film d’avanguardia, Auriol, che accomuna sotto l’etichetta di ^indipendente” i film russi» le produzioni francesi e i corto­ metraggi d’avanguardia (Man Ray), mette l’accento sulla que­ stione della produzione e dell’esercizio: se quest’ultimo procede bene con la filiazione dei cine-club e delle sale specializzate, Auriol constata che la produzione al contrario è in una situazio­ ne di anarchia. Come ha scritto Richter a Vertov - che, inizialmente invitato a partecipare al Congresso, era dovuto rientrare a Kiev per effet­ tuare delle riprese — «il congresso è stato tutto tranne che rivolu­ zionario». Ed EjzenJtejn descrive più tardi nelle sue Memorie che le differenze fra i partecipanti si basavano su partiti presi di natura sia ideologica sia artistica. Richter e Baldzs si scontrarono vivacemente sulla questione del film d’avanguardia, ed Ejzenstejn sostenne Richter. Balàzs si rivelò, per Richter, «un adepto reazionario del film di finzione, del tutto ostile a un nuovo movimento cinematografico», qualunque cosa ne dicesse. Il seguito del movimento cosiddetto d’avanguardia conosce diverse manifestazioni: la prima deriva dagli anni Venti, ed è

101

il movimento del cinema indipendente. Alla fine del decen­ nio, La Sarraz formalizza in qualche modo la secolarizzazione di un cinema che si sottrae alle tutele del commercio propria­ mente detto (preoccupato soltanto della redditività di un investimento).

1

A. Daudet, Notes sur la vie. «La Revue de Paris» (cit in «La Nouvel le Revue

2

P. Albert-Birot, «SIC», n. 47-48, giugno 1919, p. 375.

3

Vedi H. Meschonnic, Modemité Modemité, Séguier, Paris, 1988 (ripubblica*

Internationale», n. 6.1 aprile 1899, p. 491).

to nella collezione tascabile «folio», Gallimard. Paris, 1993, pp. 83*96), il

quale passa in rassegna un gran numero di autori che perpetuano questa confusione, in particolare J.-F. Lyotard in Le Postmoderne expliqué aux enfants, Galilée, Paris, 1986 (tr. it // postmoderno spiegato ai bambini. Feltrinelli, Milano, 1987), che denuncia la liquidazione «dell'eredità delle

avanguardie» intese come luogo della «sperimentazione artistica» (p. 17), posizione che riprende quella di A. Malraux in La Métamorphose des dieux.

«Il mito dell'avanguardia, fondatosi sull’invenzione, non può accontentarsi

a lungo della sola contestazione, per quanto aggressiva essa sia. È obbliga* to alla ricerca del nuovo» (L'Intemporel, Gallimard, Paris, 1979, p. 287).

4

Si veda B. Edelman, L'Adieu aux arts. 1926: l'affaire Brancusi, Aubier,

5

Si veda R. Poggioli, Teoria dell'arte d'avanguardia. Il Mulino, Bologna,

Paris, 2001.

1962; D.D. Egbert, The Idea of “Avant-Carde* in Art and Politics, «The

American Historical Rewiew», n. 2 (1967) e Social Radicalism and the Arts: Western Europe, Knopf, New York, 1970; M. Le Bot, Peinture e Machinisme,

III parte, «Ideologies de l’avantgarde», Klincksieck, Paris, 1973; P. Bìirger, Teoria dell'avanguardia (1974), Bollati Boringhieri, Torino, 1990; M. Calinescu, "Avant-Garde*. Some Terminological Considerations, «Yearbook

of Comparative and General Literature», n. 23 (1974) e Faces of Modernity: Avantgarde, Decadence, Kitsch, Indiana University Press, Bloomington, 1977; N. Hadjinicolau, Sur Tidéologie de l’avant-gardisme, «Histoire et

Critique des Arts», n. 6, luglio 1978.

6

In particolare J. Weisgerber (a cura di), Les Avant-gardes Uttéraires au XXe

siede, Akadémiai*Kiado, Budapest, 1984, 2 voli.

102

7

L Nochlin, The Invention of the Avant-Garde: France 1830-80, «Art News Annual», n. 34 (1968), ripreso in The Politics of Vision, Harper & Row, 1989; TJ, Clark, The Absolute Bourgeois: Artists and Politics in France

1848-1851, University of California Press, Berkeley, 1999 e Images of the

People: Gustave Courbet and the 1848 Revolution, Thames & Hudson, 1973, come anche i suoi studi su Manet). 8

R. Krauss, The Originality of the Avant-Garde and Others Myths of Modem Art Mit Press, 1985; T. de Duve, Nominalismo pictural, Marcel Duchamp, la peinture et la modemité, Minuit, Paris, 1984; Au nom de Part Pour une

archéologie de la modemité, Minuit, Paris, 1989; N. Carroll, Avantgarde Art

and the Problem of Theory, «The Journal of Aesthetic Education», autunno

1995 e Theorizing the Moving Image, Cambridge University Press, Cambridge,

MaN 1996 (parte III). Nell’indice del suo Art de Page moderne, J.-M. Schaeffer alla parola «avanguardia» rimanda a «modernismo» (Gallimard, Paris, 1992).

9

A. Monsseigne Réte et place de la photographic dans les revues d'avant-

garde artistique en France, «Le Retour à l’ordre», Università de SaintEtienne, Vili, Cierec, 1986, p. 317.

10

Les Avant-gardes, «Actes de la recherche en sciences sociales», n. 88, giu­ gno 1991, dove il termine, usato continuamente, non è mai oggetto di una

definizione. Sì veda anche P. Bourdieu, Les Règles de Part, Seuil, Paris, 1992 (dove non figura tra i "concetti" indicizzati a fine volume contraria­ mente a «bohème» o «cabaret») e C. Charles, Paris fin de siècie. Culture et

politique, Seuil, Paris, 1998.

11

T Crow, Modernismo et culture de masse dans les arts visuels, «Cahiers du

12

A. Huyssen, After the Great Divide. Modernism, Mass Culture,

Musée national d'art moderne», n. 19-20, giugno 1987, pp. 20-50.

Postmodernism, Indiana Universty Press, Bloomington e Indianapolis,

1986. Si veda in particolare: «The Hidden Dialectc: Avantgarde Technology - Mass Culture» e «The Search of Tradition».

13

«L'amore, la predilezione delle metafore militari nei francesi.

Ogni metafora qui ha i mustacchi.

Letteratura militante Rimanere sulla breccia Tenere alta la bandiera L..1 Aggiungere alle metafore militari:

Poeti d’assalto

Scrittori d'avanguardia

103

Questo vezzo delle metafore militari rivela una mentalità non già militan­

te, ma fatta per la disciplina, e cioè per il conformismo, una mentalità naturalmente servile, una mentalità belga, per cui è impossibile pensare al di fuori di una associazione^. (Ch. Baudelaire, Il mio cuore nudo, XXIII

[1864], Bur, Milano, 1998, tr. it Nicola Muschitiello).

14

A. Compagnon, Les Cinq paradoxes de la modernità, Seuil, Paris, 1990, p.

15

Si veda F. Engels, Il socialismo utopico e il socialismo scientifico. La Cava e

16

In Antidiihring, Engels nota d'altronde che in Saint-Simon «le tendenze

48. Steeger, Napoli, 1884. borghesi conservano ancora una certa validità accanto alla tendenza

proletaria» {Antidùhring, Editori Riuniti, Roma, 1968, p. 21) e Karl Marx in II capitale vede nella sua dottrina «la glorificazione della società bor­

ghese moderna opposta a quella feudale, o degli industriali o dei ban­ chieri contro i marescialli e i legulei dell'epoca napoleonica» {Il capitale,

Edizioni Rinascita, Roma, 1955, libro III, cap. XXXVI, p. 315; tr. it M.L.

Boggeri). 17

In La Parabola e l'organizzatore parla dei mezzi che permettono di instau­

rare un «regime industriale». Il suo «sistema politico» nuovo distingue una

«camera d'invenzione» composta da ingegneri, letterati e artisti, una «camera di esame» composta da fisiologi, fisici e matematici e una «came­

ra d'esecuzione» composta da industriali facoltosi (in Opere di ClaudeHenri de Saint-Simon, Unione Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1975, pp. 446-452).

18

Nel 1833, in «La Revue encyclopédique», giornale di Pierre Leroux, il sansi-

moniano Hippolyte Fortoul critica «l'arte per l'arte» come dottrina.

D'altronde i sansimoniani vedono il futuro dell'arte nei panorami e nei dio­ rami (L'Art nouveau de la peinture, «Le Globe», 12 maggio 1831 ).

19

P. Bénichou, Il tempo dei profeti: dottrine dell'età romantica, (1977), Il Mulino, Bologna, 1997; L'Ecole du désenchantement Sainte-8euve, Nodier, Musset, Nerval, Gautier, Gallimard, Paris, 1992; La consacrazione dello scrittore: l'avvento dello spirito laico nella Francia moderna (1750-1830), Il Mulino, Bologna, 1993.

20

P. Bénichou, Il tempo..., cit, p. 322

21

Buchez, Recueil de prédications, tomo II, p. 282 (citato da P. Bénichou, op.

cit., p. 323). Nel Passagen-Werk di Walter Benjamin si trovano numerose citazioni relative ai sansimoniani, in particolare un brano dedicato alla

104

«Poesia del sansi monismo» (Parigi, capitale del XIX secolo, Einaudi, Torino, 1986, p. 738).

22

«Feuilleton des Journaux Politiques», 28 aprile 1830 (ibidem).

23

P. Bénichou, op. cit, p. 323

24

Aux Artistes. Du passò et de Pavenir des beaux-arts, Paris, 1830, p. 74

(citato da P. Bénichou, op. cit., p. 323). Brochure anonima attribuita a Emile Barrault.

25

L. Tolstoj, Questue que Part?, «la Revue bianche», 15 gennaio 1898, p. 126 e Les Decadents, ibidem, 15 febbraio 1898, p. 251. Il suo testo Le Ròte

de Part è discusso anche da «La Nouvelle Revue Intemazionale», n. 6, 1 aprile 1899, p. 492.

26

L'autore di Guerra e pace trascorre gli ultimi anni della sua vita a riscrivere

i Vangeli nella lingua di tutti i giorni, "'sparisce* quindi come autore nel momento stesso in cui è maggiormente famoso.

27

R. de Gourmont, *Sur le rdle de l'art* [risposta a Tolstoj] (1899) in Le

28

«La Revue bianche», n. 82,1Q novembre 1896, p. 416. È strano che W. Benjamin non lo abbia notato, ignorando il rapporto di

Chemin de velours, Mercure de France, Paris» s.d., sesta ed., pp. 305-306.

29

amicizia tra Baudelaire e il pittore Costantin Guys.

30

P. Burger, Teoria dell'avanguardia, cit., p. 28.

31

Ibidem, pp. 31-33.

32

Si veda Benjamin H.D. Buchloh, Formalismo et historicité. Autoritarismo et

regression. Deux essais sur la production artistique dans PEurope content* poraine, Editions Territoires, Angers, 1982 [1977, 1981].

33

A. de Vigny, J.-A. Barbey, Gobineau, C.-M. Leconte de Lisle, H.-A. Taine, E.

Renan, G. Flaubert, ecc. sono degli aristocratici o dei possidenti; i fratelli

Goncourt parlano della Bohème nei termini con cui i borghesi si esprimono

nei confronti degli operai. 34

Si veda in particolare J. Seigel, Bohemien Paris. Culture, Polites and the Boundaries of Bourgeois Life 1B30-1930, Elisabeth Sifton Books, Viking

Penguin Inc, New York, 1986. 35

Gisèle Freund, citata da Benjamin, sottolinea il contrasto tra «la prima

generazione della Bohème - Gautier, Nerval, Nanteuil - che era in gran parte di solida origine borghese, e la seconda: “Murger era figlio di un

sarto-portinaio; Champfleury era figlio di un segretario comunale di Laon; Barbara, figlio di un piccolo mercante di musica; Bouvin, figlio di una guar­ dia campestre; Detvau figlio di un conciatore del Fauburg Saint-Marcel; e

105

Courbet era figlio di un mezzo contadino". A questa seconda generazione

appartiene Nadar - figlio di un editore impoverito». (W. Benjamin. Parigi, capitale de!XX secolo, cìt, p. 751 ).

36

L Muhlfeld, Sur la clarté, (risposta a Contre i'obscurité di Proust], «La

Revue bianche», n. 75,15 luglio 1896, pp. 79-80. 37

Si trovano allora frequentemente brevi annunci di questo genere:

«Pubblicità. Uomo di lettere si offre come segretario. Parla francese, ingle­ se e spagnolo. Disposto a viaggiare». («La Revue bianche», n. 82. 1 novem­

bre 1896). 38

C.A. de Sainte-Beuve, De la Httérature industrielfe, «Revue des Deux

Mondes», IXX, n. 4,1839, pp. 682-683, citato da W. Benjamin, Parigi, capi tale^r cit, p. 751. 39

C. Mendès, La Légende du Parnasse contemporain, Auguste Brancart,

40

Si appellano a Victor Hugo, poiché, dice Mendès: «In verità (...) tutto

Bruxelles, 1884, pp. 5-7. discende dal Padre» (ibidem, p. 25).

41

Ibidem, pp. 19-20.

42

Mendès insiste sull'origine modesta di molti di questi nuovi arrivati (figli di contadini, di gendarmi...).

43

Si veda J. Lethève, Impressionistes et simbolistes devant la presse, Amand Colin, Paris, 1959 e J.-P. Bouillon e altri, La Promenade du critique influent

Anthologie de la critique d'art en France, 1850-1900, Hazan, Paris, 1990.

44

T. Duret, Critique d'avant-garde. Ecole nationale supérieure des Beaux-Arts,

45

C. Mendès, op. cìt, pp. 26, 10, 111.

Paris, 1998.

46

Ibidem, p. 139.

47

Citato in J. Lethève, Impressionistes et simbolistes devant la presse, eie, p.

48

Félix Fénéon, segretario di redazione di «La Revue bianche», è accusato di

192. «terrorismo» nel 1894, Octave Mirbeau e Ibsen sono citati in giudizio da Vaillant al suo processo nel 1893. Auguste Vaillant (1861-1894) anarchico condannato a morte e ghigliottinato per aver lanciato una bomba nell'emi­

ciclo della Camera dei deputati il 9 dicembre 1893. 49

Segnaliamo, da Catulle Mendès a Cézanne, il riferimento al cocchiere come rappresentante del popolo (al contempo, figura di conduttore, di pilota, di

colui che procede in testa a tutti. I bolscevichi per esempio adotteranno la tenuta dell'automobilista, giacca e berretto di cuoio).

106

50

A. Jarry, Question de théàtre, «La Revue blanche» n. 86, 1 gennaio 1896,

pp. 16-18. 51

R. de Gourmont, Le Symbolisme, «La Revue bianche», n. 9, giugno 1892.

52

P. Adam, Entretiens poiitiques et littéraires, ibidem, 21 dicembre 1891.

53

Nella rivista liberale «Le Censeur» dal gennaio-febbraio 1815.

54

G. Lista, Introduzione a Futurismo. Manifestos, documents, proclamations,

55

J. Weisgerber. "Le Saut dans I'avenir du temps des avant-gardes: la concep*

L'Age d'Homme, Lausanne, 1973, p. 13. tion de Marinetti et la discontinuité", in Présence de Marinetti (Convegno

dell’Unesco, 1976), L'Age d’Homme, Lausanne, 1986, p. 115.

56

T Gautier, Mademoiselle de Maupin, cap. VIII.

57

Sappiamo che c'è in Marx una separazione, che ritorna e si cristallizza in

Lenin e nei suoi discepoli, tra «classe» d'avanguardia (il proletariato) e «partito» d'avanguardia (alla testa del proletariato), e che i principi di

organizzazione del secondo - avanguardia dell’avanguardia (élite) - non potrebbero applicarsi al primo (massa). Si trova in Radek, alla vigilia del*

l'insurrezione di Kronstadt del 1921, la distinzione tra la classe d’avanguar­

dia (livello oggettivo) e il partito come «avanguardia cosciente della classe operaia» (livello soggettivo), che autorizza quest’ultimo a «imporre la sua

volontà» alla prima quand’essa è preda della stanchezza e dello scora men*

to (cit. da P. Broué, Remarques sur l'histoire du parti bofchévik, «Arguments», n. 25-26, 1963). La concezione marxista e poi leninista -

almeno in teoria - implica ugualmente la dissoluzione dell'agente rivolu*

zio narro nel risultato della sua attività: il proletariato abolisce se stesso abolendo la borghesia, lo Stato diventato operaio entra nella fase del suo declino fin dal primo giorno del suo avvento. Il partito...

58

G. Lista, Le Futurismo, création et avant-garde, Les Editions de L'Amateur,

Paris, 2001, pp. 24-25 e 46. Nella copiosa bibliografia dell'autore, questo volume è sicuramente il più sintetico e il più argomentato riguardo alla posizione del futurismo italiano nel movimento delle idee e delle arti del XX secolo. 59

Michel Hoog insiste sulla contiguità dei testi futuristi con «la lettera tua russa rivoluzionaria contemporanea, e in particolare con i numerosi e cele­ bri opuscoli di Lenin» (Introduzione a M. Larionov, Une Avant-garde esplo­ sive, L'Age d'Homme, Lausanne, 1978, p. 12).

60

Così la rivista di Tolosa «Poésie» dell'estate 1909 vuole lottare contro il futu­ rismo in nome del primitivismo. Si scusa con i lettori, cui aveva risparmiato

107

fino « quel momento qualunque discussione o esposizione wy, R. Sayre, Rivolte et mélanco-

Parisian Avant-Garde and the First World

War, Princeton University Press, Princeton, 1989.

M. Tafuri. “Formalismo c avanguardia

lie. lx romantisme it contre-courant de la

fra la Nep e il primo piano quinquennale*

modernità Edirons Payot, Paris, 1992.

in J.-l.. Cohen, M. de Michelis. M. Tafuri

L. MefFre, Carl Einstein et la probldmati-

(a cura di). URSS1917-1978; la Città,

quf de< oiwnt-gardet dons les arts plastiqucs,

(Architettura, Officina Edizioni, Roma,

Peter tang. Berne, 1989.

1979.

A. Monsseigne, Eble et place de la photo­ graphic dans les revues ddvant-garde artistique en France, *lx Rccour à l’ordre».

Università de Saint-Etienne. Vili, Cierec,

E. Wind, Art and Anarchy, 1965. tr. it.

Arte e anarchia, Adelphi, Milano, 1968. R Wollen. Manet: Modernism and

Avant Garde, «Screen-, n. 2, 1980. M. Zeraffa, *Prc avant-garde ct avant-

1986,

J.-P. Morel. Le Roman insupportable.

garde: Ie toumant fnan^ais du XXc stècic”,

L'Internationaleliifiraìrt et la France (1920-

in Les Confidences Vanier, Editions universi-

1932), Gallimard, Paris, 1985.

taires, Ottawa, 1981.

L. Nochlin, The Invention ofthe AvantGarde: France 1830-80, -Art News Annual»,

n. 54 [1968], ripreso in The Politics of

Vision, Harper 8c Row, New York, 1989. R. Poggioli, Teoria deli arte d'avanguar­

Les Avant-gardes, «Acres de la recherche*

en sciences sociales», n. 88. giugno 1991. Cubo-fitturisme, «Ugcia. Dossiers sur Tart», nn. 21-22-23-24, ottobre 1997-giugno 1998.

dia, li Mulino, Bologna, 1962. J.-M. Schaeffer, L'Art de Tàge moderne,

AVANGUARDIA E CINEMA

Gallimard, Paris. 1992; tr. it. Lane dell'età

moderna: estetica efilosofia dellàrte dal 18°

secolo a oggi, Il Mulino, Bologna» 1996.

Con esclusione degli scritti o dei lavori

monografici su singoli film.

J. Scigd, Bohemian Paris. Culture, Politics and the Boundaries ofBourgeois Life 1830-] 934), Elisabeth Sifton Books. Viking

Scritti