Audigier. Il cavaliere sul letamaio 8843024450, 9788843024452

Audigier è il giovane protagonista di una chanson de geste che ebbe grande successo in epoca medievale. Le imprese dell&

377 120 9MB

Italian Pages 208 Year 2003

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD FILE

Polecaj historie

Audigier. Il cavaliere sul letamaio
 8843024450, 9788843024452

Table of contents :
Pagina vuota

Citation preview

BIBLIOTECA MEDIEVALE/ 84 Collana directa da Mario Mancini, Luigi Milone e Francesco Zambon

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 / 42 81 84 17 fax 06 / 42 74 79 31

Siamo su: http://www.carocci.it http://www.facebook.com/caroccieditore http://www.twitter.com/caroccieditore

Audigier. Il cavaliere sul letamaio A cura di Lucia Lazzerini

@, Carocci editore

Volume pubblicato con il contributo del Dipartimento di Lingue e Letterature neolatine dell'Università di Firenze

r a ristampa, settembre 2019 1' edizione, febbraio 2003 © copyright 2003 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN 978-88-430-2445-2 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico

Indice

Introduzione

1. I limiti della parodia 2. Il sosia parodico 3. L'adoubement-iniziazione 4. Grinberge e varianti 5. Ancora su Grinberge (e affini) 6. Il nucleo folclorico 7. Il riso e il letame 8. Cocuce come Cocagne? 9. Audigier, sistema mitologico

9 9 18 26 30 40 45 49 54 79

De Audigier I Audigier

109

Note

151

La lingua di Audigier

171

Bibliografia

189

Glossario

199

Indice dei nomi di luogo e di persona contenuti nel testo

206

Introduzione I limiti della parodia 1. Chiedendo venia per aver osato riproporre un testo sempre trattato dai filologi con palese imbarazzo (e di conseguenza con frettolosa adesione ai paradigmi vul­ gati), Omer Jodogne invocava a sua discolpa «qu'il n'est pas inutile de s'intéresser à une parodie de chanson de geste» 1• Naturalmente lo scandalo di Audigier non avrebbe alcun bisogno di censure o giustificazioni presso un pubblico in cui è più logico supporre una maggio­ ranza di scaltri letterati che una folta presenza di timide educande; ma intanto il topos (già bédieriano)' dello scrupolo prude permette, con l'espediente antico della preterizione, di segnalare il motivo dominante senza ulteriori scavi. Ecco allora le giuste esigenze del buon gusto e del rispetto per il lettore, che vietano d'insistere sui particolari più scabrosi e repellenti, trasformarsi insi­ diosamente in alibi dell'inerzia critica; la "scusa" chiude a priori la ricerca negli angusti confini di quella parodia che, come etichetta specifica da apporre ali'oggetto Audigier, sembra raccogliere l'universale consenso, da Gaston Paris a Paul Zumthor'. Ma si converrà che la categoria è troppo approssimati­ va, oltre che consunta, per offrire chiavi di lettura stimo­ lanti. Parodia è l'irriverenza ai limiti del blasfemo delle fin­ te preghiere, o lo sberleffo perpetrato dalle sottes chansons ai danni del canto cortese; o ancora, per rimanere nel!'am­ bito del genere ispiratore di Audigier (la chanson de geste), la dissacrazione che nel Voyage de Charlemagne spoglia l'imperatore della ieratica solennità rolandiana e riduce i paladini a una banda di rodomonti da bettola'; ma è anche il sottile e raffinato gioco di allusioni e d'inversioni che per­ corre la chantefable di Aucassin et Nicoletté'. In realtà, co9

Introduzione

me ogni cesto pulsa d'una propria individualità ben defi­ nita, così il "concrocesco" raramente si esaurisce nella di­ storsione satirica del modello, nella trasgressione dei pa­ linsesti canonici (d'alcronde limitata, nei suoi effetti ever­ sivi, dall'ossequio alla regola che impone di ribaltare il contenuto del genere contraffatto mantenendone certe ca­ ratteristiche formali'; sicché modello e ancimodello ven­ gono a costituire quasi il recto e il verso di un codice lette­ rario, sono insomma prodotti intercambiabili della stessa culcura)7• Accade spesso però che il livello di lettura più ap­ pariscente veli agli occhi degli interpreti una complessa struttura profonda: abili testure di reminiscenze letterarie, contaminazioni insospettate e rivelatrici, motivi remoti cui il sommovimento alto/basso, implicito nella manipo­ lazione burlesca del codice, consente di riaffiorare in su­ perficie. Non a caso il tratto più vistoso diAudigier, lo scra­ volgimenco grottesco dei clichés epici, è anche l'aspetto meglio indagato. René Louis' aveva additato in Girart de Roussillon la pièce maitresse del breve poema, sia per analo­ gie tematiche - gli amori e le nozze di Turgibus e Rainberge sarebbero una caricatura di quelli di Fouque e Aupais; alla descrizione delle ricche armi di Pierre de Moncrabei corrisponderebbe in negativo lo scalcinato equipaggiamento di Audigier; mentre Fouque regala mil­ le soldi ai giullari, Audigier elargisce trenta cacche di capra, «allusion au mauvais gout des Lombards» -, sia per l'iden­ tità del metro, il raro décasyllabe a maiore. Omer Jodogne ha indicato un'altra possibile fonte di Audigier, per quan­ to concerne l'impianto narrativo (tre combattimenti e il ri­ torno a casa dopo la seconda sconfitta), nella Chanson de Guillaume, segnalando inoltre i numerosi punti di contat­ to conAiol (che ci forniranno più avanti ampia materia di discussione}; e giustamente non gli è parsa verosimile la te­ si che vorrebbe Audigier contraffazione d'una chanson de geste particolare, forse perduta. In effetti la tattica dell'i­ gnoto autore sembra piuttosto quella di attingere libera­ mente all'incero repertorio di tecniche e topoi epici per sprofondarli in una gigantesca palude stercoraria. 10

Introduzione

Il procedimento segue il consuero doppio binario: da un !aro l'osservanza delle regole compositive e l'inser­ zione nel tesro delle formule tradizionali' (= scarto mi­ nimo nell'ambito delle forme dell'espressione); dall'al­ tro, il capovolgimento burlesco degli elementi tràditi (= divaricazione massima a livello delle forme del conte­ nuto)". Tra i due piani non esiste soltanto un rapporto di continuità: ne risulta invece una costante dialettica di antitesi/collaborazione. Si prenda ad esempio il v. 210: qui l'impiego d'un sintagma epico usitato come La poi"s­ siez vi!oir11 accresce l'effetto straniante del secondo emi­ stichio e del verso successivo; dove il "codice" prevede un suggestivo pubblico di ricche dame e baldi cavalieri, ecco profilarsi uno squallido assembramento di vec­ chiacce, carrettieri e carbonai. E dietro quel letamaio (jùmier) che rappresenta l'innovazione più dirompente, nella lassa xvi, rispetto al contesto formalizzaro, l'iden­ tità della rima lascia intravedere l'elegante camera (soler) ove awiene la consegna delle armi nel probabile model­ lo, Girart de Roussillon (v. 3925), potenziando il contra­ sto tra il luogo dell'investitura nobiliare e il luogo della sua parodia villanesca (Gravdal, Vilain and Courtois, p. 55). Gli esempi potrebbero moltiplicarsi ben al di là della serie elencata da Jodogne, anche se non sempre è agevo­ le tracciare uno spartiacque tra allusività ironica (o addi­ rittura citazione irriverente di testi illustri) e normale riuso del formulario epico. Si vedano i w. 378-380: Lors chevauche li quans, lance levee, et erra mole farmene la macinee; et garda desus destre, en la valee, [Cavalcò dunque il conte con la lancia alzata, I ed errò molto a lungo quella marrinata; I e guardò sulla destra, nella vallata].

dove, a parte il prevedibile recupero di un incipit ricorrente (in particolare nelle lasse di Aio!), spunta un'eco della Chanson de Roland: 11

Introduzione

1 O 17

Oliver [muntet) desur un pui [halçur). guardet su[r) destre par mi un val herbus.

[Oliviero sall su un alto poggio, valle erbosa).

I

e guardò a destra verso una

Si tratta, in entrambi i casi, del momento cruciale in cui l'eroe awista il nemico": Olivier 1 O 19

Si veit venir cele gent paienur;

[Vede venire la pagana gente].

Audigier, che vive un'esperienza epica tutta all'inse­ gna del grottesco, vede Grinberge, la vecchia sua nemi­ ca, che estrae le budella da una capra: «si a vei.i Grinberge ou a levee I !es boieaus d'une chievre et la couree» (v. 382) 1 3• Il pathos rolandiano precipita in una scena di bassa macelleria: in luogo della gent paienur, una vecchia megera; al posto di «Tanz blancs osbercs, tanz elmes flambius» (Chanson de Roland, v. 1022: «tanti usberghi rilucenti, tanti elmi scintillanti»), le frat­ taglie destinate a diventare il bottino di guerra di Audigier. Qui il richiamo è discreto, quasi dissimulato (e perciò particolarmente sapido); altrove invece l'autore bistratta scopertamente gli stereotipi più diffusi. All'ejfìctio dell'eroe, il cui paradigma epico compare proprio nel passo del Roland che descrive Baligant, 3157

La forceiire ad asez grant li ber, graisles (])es flancs e larges !es costez; gros ad le piz, belement est mollét, lees espalles e le vis ad mult cler, fier le visage, le chef recercelét,

[Il prode ha ampia l'inforcatura, I i fianchi stretti e il costato largo; I robusto il torace e ben modellato, I larghe le spalle e il viso luminoso, I fiero lo sguardo, il capo ricciuto)

si oppone il ritratto dell'antieroe Audigier: 12

Introduzione

257

Il ot pale le vis et teste noire et oc grosses espaules et ventre maire.

[aveva il viso pallido, la tesra nera, J grosse le spalle, più grossa la pancia).

Come Audigier è un eroe alla rovescia, così il suo ca­ vallo (e quasi omonimo, salvo il suffisso che richiama invece l'Alion di Guillaume) è l'antidestriero, per aspet­ to e prestazioni. Nella Chanson de Roland, l'emiro del Cairo 3165

Le cheval brochet, li sancs en ist tuz clers, fair sun eslais, si rressalr un fosséc, cinquante pez i poet hom mesurer.

[Sprona il cavallo, il sangue n'esce chiaro, prende lo slancio, salta un fossato, I cinquanta piedi si posson misurare]. J

Audigier invece sale baldanzoso in groppa al suo Au­ digon e per tre volte dà di sprone con foga («Trois cous fier le cheval», v. 200), ma poi, dato che l'imperizia del ca­ valiere si somma alla fiacchezza della cavalcatura, l'attesa del gran balw è frustrata («au quare s'arreste»), mentre i portentosi salti del destriero di Baligant, o anche quelli più modesti del cavallo di Aio! («Dont broche Marchegai son boin destrier, I et Marchegai li saut .xii. piés», "Sprona Marchegai, il suo buon destriero, I e Marchegai salta do­ dici piedi", Aio!, w. 581-582), traspaiono in filigrana a dar tutta la misura della dappocaggine del ronzino audi­ geriano, macilento e refrattario al pungolo. Considerazio­ ni analoghe valgono per la spada: la citazione epica (si con­ fronti ancora una volta Audigier che sguaina la sua spada malconcia - «a traite l'espee du fuerre nue», v. 290 - con Roland che «trait Durendal, sa bone espee, nue», v. 1324) è subito rivisitata in chiave escrementizia, visto che il fer­ rovecchio di Cocuce, «qui plus ombroie I que jus de viez fumier quant il nerçoie», più scuro del liquame che scola da un vecchio letamaio (w. 293-294), è una caricatura delle nobili omologhe brunito-lucenti, Durendal «clere e 13

Introduzione

bianche» (Chanson de Roland, w. 2316-2317) o Halre­ clere «dune li acer fut bruns» (ibid., v. 1953). Ma torniamo agli eroi. Le doti fisiche si accompa­ gnano in Baligant a qualità morali di tutto rispetto: 3 I 63

De vasselage est suvent esprovét. Deus! quel baron, s' oilsc chresciencéc!

[Del suo valore sovente ha dato prova. I Dio! che barone, se fosse cristiano!]

Analoga corrispondenza (seppur di segno opposto) tra corpo e animo troviamo nel nostro Audigier, la cui scarsa prestanza rispecchia un cuore non propriamente leonino: 172

"Seignor, - ce dit Rainberge - vez de mon fìlz: il vaincra encor mole de poignei'z, qu'il a le cuer plus gros d'une souriz".

["Signori, - dice Rainberge - ecco mio figlio: I vincerà cerco tante battaglie, I perché ha il cuore più grosso d'un topo"]. 255

Onques plus coarz hom, ce dit l'estoire, n'entra en abate n'en chapicoire.

[Mai uomo più codardo, così dice la storia, I entrò in un'abbazia o in un capitolo].

Si noti che di tal valentia a prova di chiostro (la polemica è anche della Chanson de Roland, e per giunta messa in bocca all'arcivescovo Turpino, w. 1877-1882: «Ice! valor deit aveir chevaler I ki armes portet e en bon cheval set: I en (la) bataille deit estre forz e fiers, I u altrement ne valt .iiii. deners, einz deit monie estre en un de cez mustiers, si pr'ierat tuz jurz por noz peccew, "Tale dev'essere il valore del cavaliere che porta armi e monta un buon cavallo: I in battaglia dev' esser forte e fiero, altrimenti non vale quattro soldi, e dovrebbe piuttosto farsi monaco in un convento e pregare ogni giorno per i nostri peccaci") sembra ben edotto Tirarz, che, facendo cavaliere il figliastro, sa bene di acquistarsi il peggior valvassore su piazza:

I

I

I

I

I

14

I

Introduzione

193

plus mauvais vavassor de lui ne quier:

ed è ancora una formula rolandiana perfettamente riconoscibile, se solo si sostituisca a plus mauvais I'anto­ nimo meillor e si promuova d'un grado il vavassor: I 857

Meillors vassals de vos unkes ne vi

[Vassalli migliori di voi non vidi mai].

2. Il carattere formulare di questo verso era già stato segnalato in un'acuta analisi di Aurelio Roncaglia" volta a dimostrare la presenza di analogie sostanziali era il Roman d'Alexandre (con particolare attenzione al rap­ presentante più arcaico del ciclo, il frammento di Alberico) e la chanson de geste; analogie soprattutto tec­ niche («!es memes qui relient !es premières chansons de gesce aux pecics poèmes religieux des origines»} 15, che mettono in luce qualche crepa nella tradizionale classifi­ cazione per generi, rivelandola anacronistica e inapplica­ bile all'epoca di Alberico. Le osservazioni di Roncaglia schiudono prospettive interessanti anche per l'indagine su Audigier. li pregiudizio della separazione dei generi ha infatti circoscritto preventivamente la ricerca sulla cultura dello sconosciuto autore: dato per acquisito che il nostro testo sia una parodia di chanson de geste, non restava che scandagliare tra i membri di quella vasta famiglia. Ma è proprio da escludere, giacché Audigier e suo padre Turgibus rappresentano l'antitesi del perfetto cavaliere, che nell'immagine sul recto convergano anche i tratti del personaggio più amato e mitizzato del medioevo, Alessandro? La descrizione dell'eroe è, come abbiamo visto, un luogo comune dell'epica16; ma uno specimen esauriente ci è offerto da Alberico: Clar ab lo vulr, beyn figurad; saur lo cabeyl recercelad, plen lo coller et colorad, ampie lo peyz et aformad, lo bu subril, non trob delcad"; 15

Introduzione

[Chiaro ebbe il volto, ben modellato; I bionda la chioma ricciuta, pieno il collo e colorito, ampio il petto e ben facto, il busto sottile, non troppo delicato)

I

I

dove troviamo, in omaggio al canone estetico più ac­ creditato, un particolare taciuto nel ritratto di Baliganc (e del resto poco verosimile in un saraceno), quello del crine saur" - oltre che recercelad -, capostipite d'una lunga serie di bionde chiome d'ambo i sessi che affolla­ no i testi medievali". In relazione a questo stereotipo, la «teste noire» (v. 257) di Audigier, apparentemente det­ taglio neutro, si specifica anch'essa come topos rovescia­ to: dietro s'intravede il blond poi! quasi obbligatorio per l'eroe, al pari del fisico asciutto (lo bu subtil) e atletico: Audigier ha sì un paio di robuste spalle contadinesche, ma anche una pancia debordante; cosi come al volto clar richiesto dal physique du role si contrappone la sua faccia pallida, presumibilmente ereditata dal padre che ne sfoggiava una «jaune, pale et boffìe" su un collo, an­ ziché bello plen, «graile» ("sottile", "magro") e «Ione com ostruce» ("lungo come quello d'uno srruzw"). Te­ sta nera e ventre maire (v. 258) evocano il tipo di Aimer, l'eroe «antiurbain», «l'hòte de la nature non domesti­ quée et des territoires dangereux [ ...] lié à la sauvagerie sous routes ses formes, à la zone non civilisée du mon­ de»'°; quella zona oscura e "notturna" che il giovane eroe è destinato ad abbandonare per farsi, al momento giusto, promotore di civiltà? Un altro tema, l'enumerazione dei prodigi che accompagnano la nascita del protagonista, documenta gli stretti rapporti intercorrenti tra Roman d'Alexandre e chanson de geste: Reys Alexander, quand fud naz, per granz ensignes fud mostraz. Crollet la terra de coz laz, toneyres fud e tempescaz; lo sol perdec sas claricaz": 16

Introduzione

[Re Alessandro, quando nacque, I da grandi prodigi fu segnalaro. I La terra cremò da cucci i lati, I ci fu tuono e tempesta; I il sole perse i suoi fulgori] .

Analoghi cataclismi - tempesta di tuono e vento, ter­ remoto, tenebre a mezzogiorno - preannunciano invece nella Chanson de Roland, vv. 1423- 1437, la morte del pa­ ladino, secondo una tradizione che risale (attraverso i poe­ metti agiografici, come la Passion di Clermont-Ferrand) alla descrizione evangelica degli sconvolgimenti naturali simultanei alla morte di Cristo22 • Neppure stavolta Audigier manca all'appuntamento: l'inventario dei "segni" - che si applica, esattamente come nell'Alexandre'', alla nascita dell'eroe - è qui coniugato con una sorta di focus am(Enus alla rovescia: 135

Quanc Audigier nasqui, grane joie i oc. Par le pa[s leva un cel herboc rousignous ne oiseaus pas n'i chantoc.

[Quando nacque Audigier ci fu grande esultanza.I Una ca! care­ stia montò per quella landa, J che usignolo o altro uccello più non ci cantava] .

Anche la polemica esordiale contro le versioni con­ correnti", solidalmente recepita dall'Alexandre di Alberico («Dicunt alquant estrobadour I qu'el rey fud filz d'encantatour: I mentent, fellon losengetour», "Dicono certi cantori I che il re era figlio d'un mago: I mentono, traditori menzogneri"), dalla Chanson des Saisnes, da Doon de Maience, da Aio!, serpeggia come un fil rouge tra roman arcaico e chanson de geste. Non sor­ prende allora, nell'incipit di Audigier, l'inequivocabile (seppur laconica) adesione allo stesso morivo: Tel conce d'Audigier qui en set pou, mais ge vos en dirai crusqu'a harou. [C'è chi conca d'Audigier e ne sa poco, I ma io ve ne dirò la scoria fino in fondo] . 17

Introduzione

2 Il sosia parodico 1. Per verificare la fondatezza dei sospetti emersi dal­ l'indagine sui topoi, converrà esaminare l'organizzazione del racconto. La struttura di Audigier è percepibile a gran­ di linee, nonostante le incongruenze, le interpolazioni o decurtazioni (in alcuni punti il testo sembra ridotto a ca­ novaccio) ipotizzabili, se non documentabili, nell'unica e tarda redazione superstite. Lo schema narrativo è il se­ guente: lasse I-X: vita e imprese di Turgibus, padre dell'eroe; suo fidanza­ mento e matrimonio con Rainberge; morte di Turgibus e con­ comitante nascira di Audigier; lasse X-XIV: enfances di Audigier; lasse XVI-XVII: adoubement di Audigier (l'autentico nocciolo della vicenda), preceduto da una lassa interlocutoria (xv) ove si ac­ cenna al nuovo marrimonio di Rainberge e ai fratellastri del­ l'eroe; lasse XVIII-XIX: entra in scena la terribile vecchia Grinberge, irridu­ cibile awersaria cieli'eroe; lasse XX-XXVIII: alcune lasse di raccordo (risibili imprese audigeria­ ne; famiglia di Grinberge) preparano un nuovo punto focale, gli scontri Audigier-Grinberge, in cui il primo ha regolarmen­ te la peggio e che si concludono, dopo umilianti capitolazioni, col rientro in famiglia del giovane; lasse XXXIX-XLIV: su proposta della madre, Audigier si fidanza; indi, col fastoso matrimonio allietato dai soliti nauseabondi ban­ chetti, l'epilogo della storia.

2. Non v'è dubbio che il perno attorno al quale ruota la scoria di Audigier sia la cerimonia della consegna delle armi. Qui scoppia l'oscena provocazione di Grinberge (w. 216-218: «ec, por lui faire honte et corroucier I se de­ scouvri la dame sans atargier, I tres enmi !es quaroles ala ch'ier», "per svergognarlo e farlo arrabbiare I s'alzò la sot­ tana senza esitare: I proprio in mezzo alle danze andò a ca­ care"), seguita dai comprensibili, ancorché fallimentari, 18

Introduzione

tentativi di vendetta del neocavaliere. Dunque, se proprio si vuol andare a caccia dell'odorosa pantera - il modello che Audigier avrebbe parodiato e travolto nei suoi feto­ ri -, si dovrà soprattutto tener conto di questo tema cen­ trale. Quale chanson de geste ha, come nucleo da cui si di­ partono le avventure dell'eroe, un rito d'investitura ca­ valleresca? Ancora una volta, è piuttosto il ciclo di Ales­ sandro che soccorre, e in particolare l'Alexandre décasylla­ bique, dove un ragguardevole numero di lasse (XX-XLII) è dedicato ali'adoubement del protagonista, e dove i festeg­ giamenti per l'occasione sono turbati dall'arrivo di un'ambasceria che reca la dichiarazione di guerra del re Nicola, testé alleatosi con Dario, l'acerrimo nemico dei sovrani macedoni. Di tute'altro stile l'indictio belli di Grinberge, ma in certo senso analogo lo svolgersi degli eventi, che in entrambi i casi fornisce ali'eroe, appena creato cavaliere, l'occasione per iniziare di fatto la carrie­ ra d'uomo d'armi. Il raffronto consente anche un'ulte­ riore verifica delle tecniche di rovesciamento ben padro­ neggiate dal disinibito autore di Audigier, a cominciare dallo stesso episodio dell'adoubement, eh'egli colloca nel­ l'inconsueta cornice d'un letamaio, attribuendo poi ai fra­ tellastri e al patrigno del ragazzo l'incarico dell'investitu­ ra. Al momento della paumee , che il neofita doveva subi­ re impassibile, il prevedibile crollo («d'un genoil le fait agenoillier», "su un ginocchio lo fa piegare"). Le armi stanno tutte in un cesto, neanche fossero uova o mele o altra mercanzia rurale; l'auberc è sì «blanc et legier», co­ me gli «osbercs blancs et forz et legers» della Chanson de Roland (v. 3864: cfr. anche il «blanc osberc leger» di Tur­ pino, v. 2171), ma a scanso d'equivoci - non si pensi a un articolo di lusso! - si precisa che era costato appena quindici soldi (v. 189). Se allo splendido auberc di Ales­ sandro si aggiunge un elmo altrettanto prezioso, cimelio leggendario («Pois li presente l'elme de Cornualle, I li reis Artus l'otman jor en batalle», "Poi gli porge l'elmo di Cor­ novaglia, I che spesso re Artù portò in battaglia"}", l'o­ mologo che completa il corredo di Audigier era stato in 19

Introduzione

pegno ere anni per un soldo («.iii. anz fuz en gaiges por un denier», v. 191); e se Bucefalo, l'iperbole del perfetto destriero, ha il muso ben modellato, orecchie e petto per­ fetti, groppa rotonda e buona insellatura («chere ot bien faite, orelles e costez, I cropa reonde e fu bien enselez»)", Audigon non poteva che avere il collo secco, la testa gros­ sa e la groppa ossuta (vv. 201-202). Il pubblico, beninte­ so, è consono all'ambiente: Si la fusez el pré sor la marine, soz les degrez de la salle perrine, lai velssez tanta pellice hetmine,

cane bel bl'iauc e canea pel marcrine, tant jovencel, tanta bele meschine! 27 [Se foste scaci Il sul prato in riva al mare, I socro la scalinata della sa­ la di pietra, I avreste visco canee pellicce d'ermellino, I rance splen­ dide vesti di sera e pelli di martora, I canti giovinetti, canee belle fan­ ciulle!]

Per contro, sappiamo già chi assisteva, su quel famo­ so letamaio, all'adoubement di Audigier (vv. 210-211): La poissiez veoir maint charretier,

maince vielle hideuse, mainc charbonnier.

Un passo indietro, e torniamo alla genealogia del no­ stro eroe e alle vicende del conte Turgibus: «à ma con­ naissance - osservaJodogne - une seule chanson de geste du XII' siècle a suscité la biographie épique du père du hé­ ros: c'est Aio!, qu'on a fait précéder d'Elie de Saint Gille». Ma l'antico Alexandre in octosyllabes poneva già l'accento sulla stirpe imperiale («ling d'emperatour») del protago­ nista, in opposizione ai «fellon losengetour» sostenitori della nascita illegittima («fìlz d'encantatour»). Audigier dilata quello spunto con la consueta attrazione per il "bas­ so" corporeo:

20

Introduzione

Akxandre d'Albéric

Audigier

33 Philippus ab, ses pare, non;

meyllor vasal non vid ainz hom.

3

Echel cen Creda, la region, e-1s porz de mar en aveyron28 . 39 Et prisc moylier, dun vos say

Ses peres cinc Cocuce, un pcllS mou ou les genz sonc en merde jusques [au cou.

72 Or oc quans Turgibus mole bele [paire qual poc, sub cel, genzor iauzir29; 61 Mole fu dame Rainberge saige ec [dir:

[voiseuse onques de bien ch"ier ne fu oiseuse

44 Olimpias, donna gentil, dun Alexandre genUi/0•

l 04

La nuic fu Audigiers engenu'iz

Sempre nelle enfances, un'altra convergenza: evocano infatti i gusti aristocratici del piccolo Alessandro (Alexan­ dre décasyl!abique, w. 34-38: «Li petiz enfes aveit lo cur si fer que lait de fenne ne voleit alaiter ne la vianda de­ sur son dei coster. Une pucele, fìlla d'un chivaler, l'e­ stoveit paistra a un orin coller», "Il bambino aveva animo così altero che non voleva succhiare il latte della balia né assaggiare il cibo dal suo dito. Una fanciulla, figlia d'un cavaliere, I doveva nutrirlo con un cucchiaio d'oro") le raffinatezze gastronomiche pretese dall'appena svezza­ to Audigier, come la brodaglia a base d'uova covate e le cipolle marce fritte in sugna di pecora o di capra" .

I

I

I

I

I

I

I

3. La proverbialità di Audigier, attestata dalle nume­ rose citazioni del XII e XIII secolo, dimostra che questo grottesco antieroe era non meno popolare del perfetto ca­ valiere Alessandro. Ciascuno dei due, in direzioni oppo­ ste, portava al limite estremo la propria natura: quanto più l'uno rifulgeva per nobiltà, splendore atletico e patri­ moniale, tanto più sgangherato e repellente si presentava l'altro; mentre alle awenture sempre più strabilianti del primo facevano riscontro le ridicole e stercorarie imprese del secondo. Come ci fu un ciclo di Alessandro, così si­ curamente dové esistere un ciclo di Audigier (anche se è improbabile che l'unica lassa in alessandrini - conclusa 21

Introduzione

però da un décasyllabe - provenga da una branche perdu­ ta, come ipotizza Jodogne): a un episodio irrelato, gli amori di Audigier e Poitron Bernous, figlia di Grinberge, sembrano alludere i w. 277-279. La conferma tuttavia è nel frammento, estraneo alla redazione del ms. 19 152, ri­ portato dalle Règles de la seconde rhétorique: quelle «laisses douzainnes, qui sont nommees audengieres» non sono forse testimonianza d'una fortuna meno duratura, ma per qualche tempo paragonabile a quella che fece del dodéca­ syllabe l'alessandrino per antonomasia? Au temps que li frileux Audengier se vivoit, fu yver ou esté, rousjours rronchoit de froit, et emre ses gambes un viés terin portoit. Raimbergue le sievoic, de charbon l'emplissoit. Tam n'en povoit bou[te]r ne tam n'en alumoit qu'il ne l'estaindesisc, pour ce qu'il lui cheoic roupies par son nés: son menron s'em peloic, et robes et drapeaux trestous en pourrissoit. On en veoit le flos par tout ou il passoic. A ces esbarlestrie[r]s bel exemple moustroit de traire aux roupies. Qui de ce ne m'en croit, sy le voit demander ou pays ou c'estoit". [Al tempo in cui viveva, il freddoloso Audengier, I fosse inverno o estate, sempre tremava dal freddo I e portava tra le gambe un vec­ chio scaldino. I Rainberge, dietro dietro, glielo riempiva di carbo­ ne. I Ma non riparava a metcerlo dentro e ad accenderlo, I che lui subito lo faceva spegnere, perché dal naso gli colava I il moccio; co­ sl aveva il memo spelacchiato, I e vesti e panni tutti marciti. I Se ne vedevano i fiotti dovunque passava, I Ai balesrrieri mosrrava un bel­ i' esempio I di tiro col moccio. Chi non crede a quel che dico, I va­ da a chiederlo nel paese dove accadeva].

Alessandro da una parte, Audigier dall'altra, indipen­ dentemente dai loro rapporti diretti, ipostatizzano i due aspetti antitetici e complementari della cultura medieva­ le: l'ideale elitario di perfezione e cortesia (emblematico il prologo del Roman de Thèbes: «Or s'en voisent de tot mestier, I se ne sont clerc o chevalier, I car aussi puent escouter comme li asnes al harper. Ne parlerai de pele-

I

I

22

Introduzione

tiers, I ne de vilains, ne de berchiers»33 ; "Se ne vadano or quelli, d'ogni mestiere, I che non son chierici o cavalieri, I giacché possono gustarne l'ascolco I come l'asino il suo­ no dell'arpa. I Non parlerò di conciapelli, né di villani o di pastori"), ben presto trasferito negli spazi onirici del meraviglioso34 , e l'attrazione per la comicità di grana gros­ sa, dominata dal tema delle funzioni corporee e dalla spin­ ta irresistibile alla trasgressione burlesca - "carnevalesca" in senso bachtiniano - non solcanto degli stereotipi lette­ rari, ma anche delle regole sociali. Era in fondo inevitabile che accanto al polo positivo s'installasse un polo negativo. Il medioevo sembra per­ corso da una vorticosa dialettica capace di ribaltare in lu­ dicra cucci i possibili seria, tanto che neppure la liturgia riuscì a somarsi all'invadenza di sberleffi e parodie d'i­ naudita trivialità. «Gli uomini del Medioevo partecipa­ vano così a due vite, la vita ufficiale e quella carnevalesca, a due aspetti del mondo, [ ... ] uno serio e l'altro comico»", instaurando col reale un rapporto bivalente, articolato se­ condo la stessa ottica binaria che, estranea ormai alle no­ stre strutture cognitive, rappresenta invece la norma ne­ gli stadi primitivi della civilcà: Nel folclore dei popoli primitivi, accanto ai culti seri (per la lo­

ro organizzazione e il loro tono) sravano dei culti comici che deridevano e besremmiavano la divinità ("riso rituale"); accan­ to ai miti seri esistevano dei miti comici e ingiuriosi, e accanto agli eroi i loro sosia parodici36•

L'elemento buffonesco, dapprima integrato non solo col serio e con l'eroico, ma addirittura col sacro e col di­ vino (esempio eccellente di questa non-separazione è la fi­ gura folclorica del trickster, il "buffone divino" della mi­ tologia Winnebago)", viene più tardi avvertito come sconveniente e relegato al di fuori dell'ufficialità, in un territorio eslege di tradizioni popolari; cui tuttavia la cul­ tura "alca" non disdegnerà d'ispirarsi, quando si tratterà di reagire alle ricorrenti sclerosi da conformismo accade­ mico. Le Goff, sulle orme di Erich Kiihler, ritiene che «la 23

Introduzione

nuova culrura feudale, laica, abbia largamente attinto al­ la cultura folclorica soggiacente, perché questa era la sola cultura alternativa che i signori potevano se non oppor­ re, almeno imporre accanto alla cultura clericale»"; ma potremmo anche osservare che spesso è stata proprio la cultura clericale ad appropriarsi di spunti folclorici (si pensi ai predicatori popolari), e che l'effetto deflagrante dell'uso letterario di elementi "bassi", osceni o scatologi­ ci, sembra sia stato intuito soprattutto da dotti seppur in­ disciplinati fratacchioni come Folengo e Rabelais. Forse proprio di testi in apparenza "laici" e dissacratori sul tipo diAudigiersi nutrirono gli umori sanguigni di Merlin Co­ cai e di maitre François", cui certamente non sarebbero dispiaciute né la profusione di «belle matière fécale» né certe trovare irriverenti quali il ritrattino di prestre Her­ bout, laido pretonzolo ignaro di galateo, o il battesimo in acque luride del neonato Audigier. Del resto simile ga­ mineries - come le chiamerebbe Lucien Febvre - appar­ tengono a una vitalissima tradizione clericale di satira cen­ tripeta (cioè diretta contro il soggetto stesso o contro qual­ cuno che gli sia molto vicino; è il tipo che rappresenta, se­ condo la nota tesi freudiana, l'occasione più favorevole per il Witz), e l'impressione di cinismo è, probabilmente, tutta e solo moderna: non a caso troviamo una citazione del nostro eroe in un testo insospettabile come il miracle D 'un clerc cui Nostre Dame delivra de se fame". Ai clercs medievali Audigier non appariva certo più sconveniente degli omini e degli scimmiotti defecanti, degli animali ri­ vestiti di paramenti sacri (ispiraci al Roman de Renart), di tutte le bizzarre e spesso blasfeme figurine che potevano impunemente invadere i margini di austeri libri liturgi­ ci" ; oppure, per restare in ambito letterario, dei misteri parodistici. Qui ritroviamo le stesse tecniche di abbassa­ mento stilistico perseguite da Audigier, in particolare il trasferimento costante di cerimoniali, riti e personaggi se­ ri sul piano materiale-corporeo. Emblematico è il caso (egregiamente studiato da Ro­ man Jakobson)42 , dell' Unguentarius ceco, sacra rappre24

Introduzione

sentazione trecentesca farcita di lazzi triviali e di battute grossolane. Qualche esempio: Isacco (figura del Cristo ri­ sorto) subito dopo la resurrezione esclama: «Quanto tem­ po, maestro, ho dormito! Ma mi sono rialzato come dai morti, e inoltre ho quasi defecato»; nel frammento Drkoln:i l'apprendista unguentarius, Rubin, affetto da di­ sturbi intestinali, risponde involontariamente ali'esorta­ zione degli angeli («Silenzio, ascoltate!») con un obscenus sonus, ossia con la «diversa cennamella» di Barbariccia43• Altrove lo stesso Rubin esalta il suo maestro senza rispar­ mio di ornamentazione retorica (allitterazione, rima omonimica), salvo precipitare subito dopo nella scatolo­ gia con l'accenno all'unico difetto del sullodato guarito­ re, la sovrabbondante emissione di gas anali; mentre nel dialogo crude espressioni popolari si alternano «con i bra­ ni più raffinati tratti dalla poesia ceca contemporanea»44 • Jakobson ha impostato benissimo il problema, ribadendo come sia assurdo sospettare, in testi consimili, un atteg­ giamento eversivo: «Per lo scrittore di teatro e lo spetta­ tore medievali non c'era nulla di blasfemo nel mistero pa­ rodistico [ ... ] . Troppo forte era la fede nell'Eucarestia, nel­ la Natività e nella Resurrezione, per essere scossa da una parodia»45 • Ma è altrettanto inaccettabile fermarsi in su­ perficie, ridurre la buffoneria farsesca a espediente teatra­ le di bassa lega («il fungo maleodorante dell'umorismo del giullare»)". Bisogna invece partire dal tema centrale del­ la vicenda e scoprire a poco a poco la costante interazio­ ne fra dramma liturgico e folclore, la contaminatio fra la Pasqua dei testi sacri e le resurrezioni simboliche della tra­ dizione popolare, «incese a raffigurare e assicurare il rin­ novo e la conservazione della vita, in particolare a favori­ re la fertilità umana, animale e vegetale», e immancabil­ mente caratterizzate da «una pesante ribalderia scatologi­ ca»" in funzione di magico fertilizzante. Il discorso è in gran parte simile per Audigier, che non esita a contornare di miasmi stercorari funzioni religiose, sacramenti e riti di profonda sacertà, come lo stesso adou­ bement. S'impone allora un interrogativo: questo conci25

Introduzione

nuo movimento verso il basso, verso il grottesco scatolo­ gico, è soltanto un atteggiamento sciliscico (una sorca di sberleffo rivolto ai topoi della chanson de geste e alla figu­ ra emergente del cavaliere in cerca di aventures), oppure sottende, come il mistero parodistico, una particolare vi­ sione del mondo? La comicità, nel secondo caso, è dato primario, "riso rituale" (per riprendere l'azzeccata formula proppiana) che diviene parodia quando, raccolto dal vivo della tradi­ zione, viene immesso in una struttura letteraria modella­ ta su una forma canonica. Intreccio, personaggi, allusio­ ni colte mascherano allora una rete di significati che pa­ lesemente rinvia ali'esterno del testo, alle radici folclori­ che; spesso affiora soltanto per frammenti dispersi, trac­ ce più o meno labili, ma talvolta rivela invece un sistema di nessi simbolici impressionante per coerenza e saldezza logica. È questo il caso di Audigier? Partiamo, per rispon­ dere, dall'analisi dell'episodio centrale, l'investitura ca­ valleresca del protagonista, che scatena le ire di Grinber­ ge e segna l'inizio dell'epica lotta tra il giovane e la vec­ chia «de grane dangier». 3

L'adoubement-iniziazione I . Il rito dell'adoubement «si ricollegava visibilmente a quelle cerimonie d'iniziazione di cui le società primiti­ ve, al pari di quelle del mondo antico, offrono tanti esem­ pi: pratiche aventi, socco forma diversa, come fine comu­ ne di far passare il giovane alla condizione di membro per­ fetto del gruppo, da cui sino ad allora la sua età lo aveva escluso»". Diverse descrizioni di adoubements collettivi (ancora immuni dai più recenti superstrati liturgici) sem­ brano rievocare i riti di passaggio da una classe d'età a un'altra che, nell'antica usanza germanica, coinvolgevano tutti i giovani liberi. In questa direzione conducono an­ che cerci motivi ricorrenti, come il bagno che precede la 26

Introduzione

cerimonia (oltre che nell'Alexandre décasyllabique, lo tro­ viamo in Erec et Enide, Cligés e Perceva[); l'opinione con­ traria recentemente espressa al riguardo da uno studioso di costumi cavallereschi, che lo riduce a mera precauzio­ ne igienica motivata dalla scarsa confidenza dell'uomo medievale con le abluzioni («le bain [ ... ] n'a aucunemenc le caractère symbolico-religieux qu'on lui donnera plus tard»; «on baigne les futurs chevaliers pour les !aver en vue de la cérémonie, et non pour les purifier en vue d'une mis­ sion»)", sembra in verità un po' ingenua, canto più che l'acqua ha notoriamente un ruolo di primo piano nelle iniziazioni, ivi comprese le guerriere'°, come in tutti i riti connessi alla rinascita e all'acquisizione dell'immortalità. L'interpretazione cristiana - il bagno come nuovo batte­ simo - si è dunque sovrapposta a una ben più amica (ma altrettanto sacrale) valenza simbolica. In Audigier la consegna delle armi, descritta con ab­ bondanza di particolari, si svolge nell'insolito scenario ru­ rale cui abbiamo accennato: al centro, l'emblematico le­ tamaio, luogo di festa e luogo di morte (si pensi alla tra­ gicomica fine di Turgibus), dove al termine dell' adoube­ ment si aprono le danze in onore del neocavaliere, che la malvagia Grinberge s'incarica di turbare oscenamente. I propositi di vendetta di Audigier sono anch'essi impron­ tati a interessi rusticani: il ragazw progetta un furto di uo­ va nel pollaio della nemica, rinviandolo però a quando sarà in grado di falciare i prati; poi comincia la sua car­ riera di cavaliere errante seguendo, come c'era da atten­ dersi, un itinerario campestre (Audigon trotterella «un mez et un seillon» prima di finire in panne). Perso il pri­ mo scontro con Grinberge, Audigier è costretto a baciar­ le il deretano: è solo il primo d'una serie d'ignominiosi omaggi cui lo costringerà la terribile vecchia. Però, da buon cavaliere, non s'arrende, anzi rinnova la sua sfida al­ i' awersaria e riesce quasi a raggiungere il pollaio, secon­ do il piano prefissato; ma più svelta di lui Grinberge lo af­ ferra e lo malmena. Ed ecco l'episodio cruciale: 27

Introduzione

343

Du cheval l' abati enmi la pree, ausi le tranglouti com une oublee. Et quant ele senti qu'el fu enflee, a terre s' acroupi, li cus li bee. Audigier s'en oissi crianr: "Ourree!"

[Lo buttò giù da cavallo in mezw al praco,1 e poi se lo inghioccl co­ me una cialda.I E quando si senrl cosi rigonfia, ! s'accovacciò per terra: il cui le si spalanca. I Audigier se n'uscl, gridando: "Avanti!"]

Il misfatto di Grinberge, qui nell'inopinata veste di "orca" inghiottitrice, esula naturalmente dalla tradizione epica, mentre è notissimo alla fiaba e al folclore. Il signi­ ficato occulto dell'atto è stato ben individuato da Propp (che seguiremo anche in ceree ardite comparazioni di stampo frazeriano) sulla scorra di un cospicuo materiale etnografico: l'episodio dell'avalement è sempre parte in­ tegrante dell'iniziazione, anzi rappresenta il momento cruciale dell'esperienza dei neofiti: Nell'ex Nuova Guinea tedesca si costruiva una casa speciale per la circoncisione. "Doveva rappresentare il mostro Barlum, che inghiottisce i giovinetti". Dai materiali di Nevermann sappia­ mo che questo mostro, chiamato Barlum, ha forma di serpen­ te [... ]. L'inghiottimento è simboleggiato dall'introduzione dei neofiti nel "ventre" mentre risuona la voce di Barlum [ ... ]. L'a­ nimale li inghiottisce e quindi li vomica".

Analogo il rituale iniziatico nell'isola di Ceram, dove «il neofita viene gettato nella casa durante la notte, attra­ verso un'apertura avente la forma delle fauci d'un cocco­ drillo o del becco del casoaro. Del giovinetto si dice che il diavolo l'ha inghiottito»". Certamente la motivazione profonda del rito e dei miti ad esso collegati va ricercata nella credenza che la sconvolgente discesa nelle viscere del mostro conferisse all'iniziando prerogative magiche, e so­ prattutto (nelle società di cacciatori) il potere sugli ani­ mali selvatici. Lo stesso mito del dio-padre Cronos divo­ ratore dei propri figli adombra forse la trasmissione di fa­ coltà divine attraverso l'inghiottimento; ed emblematico 28

Introduzione

è il caso di Giona che acquista il dono della profezia, se­ condo il racconto biblico, dopo il soggiorno nel venere della balena (ma non si dimentichi il minuscolo epigono Pinocchio, che dopo l'awentura "in corpo al pescecane" muore come burattino e rinasce come ragazzo). Il significato simbolico del mostro divoratore traspa­ re con particolare evidenza nel culto segreto australiano chiamato Kunapipi ("la vecchia", "la nonna")". Qui il ri­ to iniziatico si polarizza attorno a due temi complemen­ tari: da una parte il regressus ad uterum degli adolescenti («entrando nel terreno sacro, essi tornano simbolicamen­ te all'utero della Madre»)"', dall'altra la loro permanenza nel venere del serpente da cui sono ingoiaci. Ma in fondo il tema dominante è unico, sia perché il serpente è spesso descritto come femmina, sia perché «la penetrazione nel ventre d'un mostro comporta pure un simbolismo di re­ gresso allo stato embrionale»". L'iniziando corna simbo­ licamente nel ventre materno come individuo, mentre torna come parte del creato alla Terra Madre, depositaria dei segreti della vita e della morte, sorgente della fecon­ dità universale: ne uscirà "morto" all'antica condizione (infantile), ma in realtà ri-generato, come il seme che de­ ve morire nel grembo della terra per fiorire a pienezza di vita. L'esperienza individuale si plasma sul modello della vicenda cosmica, nel segno della legge che domina il pen­ siero micologico: «la somiglianza di tutto col tutto»56 • Anche nelle fiabe, dove più viva è la memoria degli an­ tichi traumi iniziatici, la funzione d'ingoiare l'eroe, dopo un combaccimenco di cui Propp ha messo in luce la na­ tura strumentale (si tratta di una giustificazione raziona­ listica dell'atto, escogitata in seguito allo smarrimento dei significaci del rito)", è spesso demandata al serpente fem­ mina. Ma simili tendenze antropofaghe sono condivise, nella fiaba russa, dal personaggio della baba-jaga, la "ma­ ga della foresta" inequivocabilmente legata al regno dei morti («la maga [ ... ] è una divoratrice di uomini. "Accanto a quella casa c'era una foresta vergine, e nella foresta, in mezzo a una radura, c'era una capannuccia, e nella ca29

Introduzione

pannuccia viveva la maga; essa non lasciava entrare nes­ suno e mangiava la gente come se fossero polli"»)", e tra le due figure cui il narratore amibuisce prestazioni ana­ loghe non è difficile sospettare un nesso. La questione me­ rita tuttavia un'analisi più approfondita, visto che inte­ ressa direttamente il nostro testo, ove coinvolge l'enig­ matica figura di Grinberge "divoratrice". Perché la tru­ culenta megera inghiotte e poi smalcisce attraverso un par­ to anale" l'antieroe Audigier? Chi è veramente la vecchia che al suo ingresso in scena "scaricò la soma" (direbbe il Sacchetti) nel bel mezzo delle danze, al cospetto dell'ap­ pena adoubé erede di Cocuce? 4

Grinberge e varianti

I . Il serpente è notoriamente animale ctonio, legato a miei di fertilità. Senza ricorrere alla remota immagine di Lu'ningu, il mostro divoratore dei neofiti nel culco Ku­ napipi, che s'identifica in sostanza con la Madre Terra, è possibile reperire un'analoga, evidente simbologia anche in leggende più familiari alla nostra culcura. Basti pensa­ re ali'eroe civilizzatore Cecrope, la cui duplice natura umana e ofidica è spia della particolare condizione di fi­ glio della terra'° (non a caso il serpente è "figura" ben co­ nosciuta della grande dea mediterranea)". Ma ancora in pieno medioevo la donna-serpente Melusina (sposa e dra­ co, «materna e dissodatrice», per riprendere il titolo del bel saggio di Le Goff) è portatrice di valori affini: Così si rivela la natura di Melusina arrraverso la sua fanzione nella leggenda. Melusina parra la prosperirà. Che si ricolleghi concrerameme e sroricameme [ ... l a una dea di fecondirà cel­ tica e autoctona, a uno spirito fercilizzatore, a una eroina cul­ turale di origine indiana (o più verosimilmente e più vagamente indoeuropea), che sia di origine cronia, acquarica o uranica [... ], in ogni caso appare come la trasformazione medievale di una dea-madre, come fara della fecondirà". 30

Introduzione

Agli albori dell'età moderna, nel 1504, una fata-ser­ pente («la donna Venus se transforma ere dì de la septi­ mana de la zentura in zoso in uno serpente»)63 si rivela, nelle ingenue fantasie dell'inquisito Giovanni delle Piat­ te (che si descrive protagonista della vicenda di Tannhauser), perfetto equivalente delle ben note Hera, Diana, Perchta, Satia, Frau Holle della mitologia popo­ lare. Di un'altra creatura omologa, Erodiade (o Erodia­ na), la memoria folclorica ha invece tramandato, anzi­ ché la doppia natura umana/ofidica, la funzione in­ ghiottitrice: è la Redodesa che ingiotisse chi disturba il suo passaggio di mezzanotte sul Cordevole e sul Mis64 • Al pari della baba-jaga "orca" e donatrice delle fiabe rus­ se, tutte queste entità femminili sono al tempo stesso benefiche e temute, dispensatrici di prosperità - talvolta il nome stesso è parlante, come nel caso di Satia o della dame Habunde ricordata nel Roman de la Rose (w. 18425-18427: «Dont maintes gens, par lor folies, I cui­ dent estre par nuit estries, I errans aveques dame Ha­ bunde», "Cosl molte persone, per loro follia, I credono d'essere di notte streghe, I e di andare in giro con dame Habunde"), Signora delle streghe nella credenza popola­ re, improbabile fantasma creato dalle farneticazioni di menti deboli nella lucida, razionalissima analisi di Jean de Meung - ma passibili di trasformazioni perverse; Erodiade, per esempio, può assumere le sembianze della perfida Gillò divoratrice d'infanti65• E tutte hanno un le­ game evidente col mondo dei morti: Diana reca in sé anche l'immagine terrificante di Ecate, la dea preposta all'unione e alla separazione dell'anima e del corpo (dunque alla nascita e alla morte), la Signora dei culti segreti che nelle notti di luna appariva nei crocicchi col suo seguito di anime e di cani latranti. Le altre fatae di vario nome (ma di natura sostanzialmente identica) ri­ cordate da testi e documenti medievali condividono queste prerogative misteriose, magico-lunari, tanto profondamente radicate nell'immaginazione del volgo quanto preoccupanti per i custodi dell'ortodossia. Dal 31

Introduzione

disprezzo per le "sciocche superstizioni" (già espresso con vigore nel discusso Canon Episcopi, ben noto a par­ tire dall'XI secolo: «quaedam sceleracae mulieres, retro post Satanam conversae, daemonum illusionibus et phantasmatibus seductae, credunt se ac profìtentur noc­ turnis horis cum Diana paganorum dea ve! cum Hero­ diade et innumera moltitudine mulierum equitare super quasdam bescias»; e si ricordi altresì il v. 18449 di Jean de Meung, «Mes trop a ci folie orrible»}, dall'irrisione di Burcardo di Worms, che commentando il Canon e bia­ simando la credulitas di quanti prestano fede ai racconti di donnaccole a diabolo deceptae assimila a Diana ed Erodiade la figura femminile «quam vulgaris sculticia Holdam vocac» (la Frau Holle o Perchta del folclore germanico, che appare in cerci periodi dell'anno alla ce­ sta d'una schiera di revenants)", si arriverà alla persecu­ zione cruenta delle vaneggianti mulierculae: conseguen­ za fatale della progressiva identificazione della cavalcata aerea col sabba e la stregoneria diabolica, dovuta all'as­ soluta incapacità, da parte degli inquisitori, d'interpre­ tare il diverso senza coartarlo entro i propri schemi mentali. L'aggregazione (onirica} di "benandanti" o streghe alle scorribande notturne della dea appartiene infatti a una sfera concettuale totalmente estranea alla logica razionalista: è puro pensiero mitologico, che av­ verte il simbolico e l'immaginario come reale, ignoran­ do il principio di non contraddizione ed esaltando il pa­ radosso". Anche Grinberge ha forse un nome parlante, che suggerisce, per la prima parte, oscure connessioni con spiriti e pratiche di magia (cfr. grimaut, "stregone", "diavolo"; grimoire, "libro di stregoneria"; grimon in dialetto vallone è uno spirito malefico), non disgiunte da una connotazione grottesca già attestata, prima che in grimace, smorfia, nel grimuche, "effigie ridicola" (rife­ rito a un idolo pagano) di Jean Bodel". Per la sua auro­ ricà sulle temibili vielles ultracentenarie - larvae o ma­ scae, spettri o streghe? - pronte ad accorrere, presumi32

Introduzione

bilmente in volo, al suo grido d'aiuto, la vecchia si ap­ parenta in qualche modo alle divinità pagane preposte alle incursioni notturne, tutte varianti adiafore di quella multiforme Diana da sempre coinvolta, con i suoi allo­ tipi Ecate e Selene, in foschi culti esoterici da alcuni correlati a un particolare status sessuale («Ce sont tantòt des Déesses vierges, tantòt des Déesses de l'amour my­ stérieux, mais jamais des Déesses mères pout lesquelles l'amour est avant tout fécondité»)69• In realtà gli avatars medievali, come la Diana dei "benandanti", la Domina - tante volte citata dagli inquisiti nei processi per stre­ goneria - che insegna ai suoi adepti «potentiam herba­ rum et naturam animalium»70, rivelano piuttosto un'ap­ partenenza al clan delle matres, le potenti divinità fem­ minili con giurisdizione sulla fecondità, sulla prosperità e sulla morte venerate fin dalla preistoria (il culto è te­ stimoniato dalle statuine con attributi sessuali accentua­ ti reperite in tombe del tardo paleolitico, ossia in epoca anteriore all'awento dell'agricoltura). La Signora della terra e delle messi è cronologicamente preceduta dalla Signora delle fiere, qual è per esempio la Gran Madre anatolica - da cui si svilupperà la figura di Cibele - rap­ presentata tra due leoni, o la stessa Afrodite cretese cir­ condata da animali selvaggi, o Artemide cacciatrice, la potnia thf.rQn [signora degli animali] dell'Iliade (XXI, v. 470), che nelle sue origini lidie non è affatto la vergine irriducibile della micologia greca, come dimostra l'ico­ nografia efesina, che la rappresenta plurimammata e, prima ancora, in funzione di kourotrophos [nutrice] . 2. Propp ha colto con grande perspicacia il legame tra queste dee arcaiche e la baba-jaga". Le analogie co­ minciano dall'aspetto fisico: «una peculiarità dell'imma­ gine della maga è il suo carattere fisiologico femminile fortemente sottolineato. I contrassegni del sesso sono esagerati», come nelle Veneri steatopigie; «la maga, quindi, è fornita di tutti i contrassegni della maternità. Ma, con tutto ciò, essa non conosce la vita coniugale. È 33

Introduzione

sempre una vecchia, e una vecchia senza marito. La ma­ ga non è madre di uomini, essa è madre e signora di animali; [ ... ] esercita sopra di essi un potere illimicaco»72 • Il suo ruolo d'iniziatrice è dunque collegato alla trasmis­ sione di cale potere: «il rito iniziatico si svolge socco il segno del principio femminile. Spesso coloro che devo­ no essere iniziaci hanno una misteriosa madre comune, che nessuno vede, ma di cui si parla. La maschera, che compie il rito, ha il sembiante di una belva e può essere pensata come una femmina d'animale»". E Grinberge? Se, al pari della mitica Melusina, la vecchia di Valgrifier rivela la sua natura attraverso la fanzione assegnatale dal cesto, si dovrà riconoscere la centralità della pur aberrante funzione materna legata all'episodio di Audigier deglutito incero, alla maniera dei serpenti (o dei draghi, nel mondo leccerario-fancasci­ co popolato da mostri immaginari che peralcro, com'è stato osservato, sono spesso di sesso femminile)", e ri­ partorito semivivo, con la cesta enflee, come un neonato. Questa maternità sui generis prescinde owiamence dal­ l'apporto di un coniuge, difacci inesistente. Ma Grinber­ ge, a differenza della baba-jaga madre di animali (con la quale peralcro condivide la propensione ad esibire le proprie nudità)", è fornica di cospicua figliolanza, ere ragazze descricce con dovizia di particolari raccapriccian­ ti dal punto di vista estetico e igienico: la sovrapposizio­ ne dei due personaggi resta dunque imperfetta. E cucca­ via, a un esame meno superficiale emergono dati inte­ ressanti. Incanto le figlie di Grinberge hanno contrasse­ gni zoomorfi (la seconda «vis de cornille oc», v. 270; la terza «!es denz avoic pecices si comme loux», v. 275), quindi sono anch'esse, in qualche modo, figlie-animali. Per di più l'accoppiata cornacchia-lupo evoca una ben radicata associazione micologica: corvi e lupi sono gli animali prediletti da Odino-Wocan; socco forma di cor­ nacchia o di lupa appare sovente la bieca Morrigan, la celcica regina degli elfi76• Infine, un altro particolare si­ gnificativo: queste poco awenenci creature hanno per34

Introduzione

sonalità e caratteristiche scarsamente autonome, e sem­ brano piuttosto proiezioni della figura materna. Bougi­ se, per esempio, è fronciee, " grinzosa", coperta di solchi come la superficie della terra, incartapecorita come le vie!!es agli ordini della madre, o i gérontes [ vecchi] che, dice Plutarco pseudoetimologizzando77, si chiamano co­ sl «non perché sono inclinati verso terra, ma perché so­ no diventati costituzionalmente simili alla terra», con la loro pelle rugosa e indurica; come gli a!ibantes, i " rinsec­ chici" (termine con cui si indicavano i morti)". Per la terza figlia, Poitron Bernous, parla il nome, allusivo a note peculiarità grinbergiane. D'altro canto l'identifica­ zione con la parte anatomica preponderante - descritta in termini quasi identici a quelli poi usati nel ritratto di Troncecrevace - è, in certo senso, un richiamo al «carat­ tere fisiologico femminile forcemence sottolineato» mes­ so in evidenza da Propp nella baba-jaga, ma reperibile anche in curiose figure assai remote dalla fiaba russa. 3. Lo stesso carattere, a conferma dell'universalità del motivo, compare infatti in un personaggio dell'epica amico-francese che ha numerose analogie con l'avversa­ ria di Audigier: si trarta di Hersenc, la macellaia d'Orléans motteggiatrice di Aio!: 2656

Arane evos Hersem al ventre grane; eh'ere une pauroniere [molr] mesdisam.

[Intanto ecco Hersent col suo pancione; I era una briccona dalla lingua mordace].

Quest'ultimo attributo, che accomuna Hersent a Grinberge «molt [ ... ] mauvaise vielle et mesdisanc», ri­ torna al v. 2679: «Ele ere si felenese et mesdisant, I cui­ verte et orgellouse et mal parlane», "era tanto perfida e maldicente, I abietta e tracotante e calunniatrice". Ma l'attenzione dell'autore si appunta più sulle doti fisiche che su quelle morali: al v. 2689 troviamo un nuovo ac­ cenno alle forme opulente della stramba giullaressa: 35

Introduzione

2689

Ele ot la panche grose et le cui gram.

[Aveva la pancia grossa e un gran culo].

Hersent al ventre lé, dall'ampio ventre (v. 2588), è una mesdisant professionista, quasi addetta a un'invetti­ va ritualizzata, una sorta di gephurism6s": 2589

Toutes gens set lait dire et reprover; chele ne voit nul home par chi passer que maincenant ne sache un gab doner

[Per tutti sa trovare ingiuria e scherno; I basta veda qualcuno pas­ sare di qui, I subiro ha promo un gabbo per lui]. 2681

Li borgois de la vile [s'] en vom gabam, de chou que ele dist font joie grant. Quam le [Aio� virent venir, si vont criant: "fa car laisiés aler dame Hersam dessi al chevalier a son talant: ele li dira ja de son romant".

[Gli abitami della città ne sghignazzano, I ai suoi discorsi si diver­ tono un sacco. I Quando videro arrivare Aiol, cominciarono a gridare: I "Su, lasciate andare donna Hersent, I come le pare e piace, da quel cavaliere: I gliene dirà qualcuna delle sue"].

Ma la sua provocazione, al contrario di quella ben più imbarazzante di Grinberge, resta esclusivamente verbale: 2691

Ele dist a Aio! en ranpronam: "Vasai chevaliers sire, car faites cane, soiés de ma maisnie d'ore en avant, domai vous une offrande mole avenant: eh' ere une longe andoile grose et pendant, fermee ere en vo !anche al fer crenchant: adone saront crestout, perir et grane, qu'estrés de ma maisnie d'ore en avanc".

[Disse ad Aio! con cono di scherno: I "Nobile signor cavaliere, suv­ via, I mettetevi al mio séguito da questo momento; ] vi farò un omag­ gio davvero carino, I una lunga e grossa salsiccia da portar penwlo­ ni, J accaccaca alla vostra lancia dalla lama tagliente: I cosl sapranno tutti, grandi e piccini, I che d'ora innanzi sarete al mio servizio"]. 36

Introduzione

Di fronte all'offerta di quell'insegna da beccheria (e al tempo stesso emblema fallico-carnevalesco)", Aio! non può che rispondere per le rime, sottolineando senza pietà le magagne della gabbacrice: 2704

"Dame", disc li valés, "laisié me arane: vous m' avés bien gabé, s' en sui dolam; mais [i]che me va auques reconforranr que vous avés cel cors mal avenam: hideuse esces et laide et mal puanr, et le vostre serviche pas ne demanc. Molr vous aimem ches mousques par Dé le granr, car vos estes lor mere, mien ensiant: enter vos trevent merde, j' en sai itant, que a molt grans tropiaus vos vont sivant".

["Signora", disse il ragazzo, "lasciaremi in pace: I m'avere ben gab­ bato, e me ne dispiace; I ma questo un poco mi consola, I che avete quell'aspetto sgraziato: I siete schifosa, brutta e puzzolente, I e di ser­ viivi non m'importa niente. I Le mosche vi aman tanto, per Dio, I perché siete loro madre, a parer mio: I intorno a voi trovano merda, ne son cerro, I perciò a grandi sciami vi vengono dietro"].

Dunque anche Hersent risulca, a suo modo, madre di animali, una specie di p6tnia thç_rg_n comicamente degra­ data, col seguito di fiere ridotto a sciarne d'insetti sozzi e fastidiosi (in lor mere c'è forse un'allusione alla credenza nella generazione spontanea degli insetti ex putri, dal pu­ tridume). Tuttavia l'episodio rimane, in Aiol, abbastanza marginale. La macellaia orleanese, anche se poi svela il suo volto di baba-jaga galloromanza trasformandosi, "per am­ menda", in donatrice (di buon vino d'Auxerre e di ben 1 4 bacons, vv. 3622-3633), non regge i l confronto con l a più complessa e inquietante virago di Valgrifier, il suo "mo­ dello forte". In effetti la filiazione Grinberge -> Hersent (propaggine colorita ma un po' gratuita) non è improba­ bile; in Aiol croviamo un esplicito riferimento ad Audigier nell'episodio dell'accoglienza ostile riservata al giovane protagonista, che è straniero (il gab rivolto ai forestieri è un topos epico) e per di più talmente scalcinato da sembrare «del parage dant Audengier»: 37

Introduzione

989

Trestout le porsievem par la chité.

"Vasai, chevalier, sire, a nous parlés! Furent ces armes faites en vo resné?

Fu Audengiers vos peres, qui tam fu ber, et Rainberghe vo mere o le vis cler? Ireus armes soloir roudis porrer".

[Tutti lo seguono per la città. J "Su, diteci, signore, nobile cava­ liere! Quelle armi furon fatte nel vostro regno? Vostro padre fu Audengier, che fu sl valoroso, I e vostra madre Rainberge, dal viso luminoso? I Ché tali armi portava di solito"]. J

J

Si noterà come il v. 992 riprenda quasi testualmente il v. 438 di Audigier (ove Rainberge, contemplando orgo­ gliosa il suo rampollo, ne rileva la spiccata somiglianza col padre defunto: « ... bien resarnblez I voz peres Turgibus qui tam fu ber»), a parte lo scambio Audigier/Turgibus - giu­ stificato dalla fungibilità dei personaggi -, che ritorna nel Pet au vilain di Rutebeuf. Ricordiamo le conclusioni di Orner Jodogne, al termine della sua analisi linguistica del breve poema (ascritto, «tout au plus tòt», alla fine del XII secolo): «la référence à Audengier que nous lisons dans Aio! antérieur à 1 173 reste sans appui textuel connu; certes, nous ne pouvons rajeunir Aio! pour les besoins de la cau­ se». Non è dunque di secondaria importanza la scoperta d'una precedenza logica di Audigier, quale risulta attraver­ so l'analisi dei terni narrativi e dei personaggi (nella fatti­ specie Hersent e Grinberge): qualunque fosse il testo co­ nosciuto dall'aurore di Aio!, è verosimile che non avesse, in sostanza, fisionomia molto diversa da quello pervenutoci. Il caso di Hersent non è isolato. Influssi grinbergia­ ni (con una predilezione per le attitudini guerresche della vecchia, rispetto a quelle istrionico-esibizioniste recepite da Hersent) trapelano nella figura della sarace­ na Flohart, protagonista in Aliscans di un feroce duello con Rainouart: 65 1 8

A chescun cop l'orde viele dervee ocir de genr une granr chareree.

38

Introduzione

[Ad ogni colpo la folle vecchiaccia I ammazza una gran carretcata di gente]. «Quel beste est ce que je voi la armee?», "Che bestia è quella che vedo laggiù armata?", si domanda atterrito Guillaume. Non più odorosa di Grinberge (o di Hersent), 6526

Es vos Floharc coranc de randonee.

De sa bouche ist une si grane fumee,

trestote l'osc en fu empullencee.

[Ecco Floharc che corre a perdifiato. I Dalla sua bocca escon cali zaffate I che tutto l'esercito ne fu ammorbato]. 6561

Mais Rainouarc a la ceste guenchie, car la puors de Floharc le cuivrie, qui plus puoic que charoigne porrie.

[Ma Rainouarc ha voltato la cesta, I sopraffatto dal puzzo di Floharc, I ch'era più fetida d'una carogna marcia]. Rainouart, davanti a sì orrenda creatura, si sente au­ torizzato a bandire ogni scrupolo cavalleresco: 65 30

[... ] Pure vielle desvee, quel vis diable vous onc d'enfer gicee?

[Lurida vecchia pazza, I quali diavoli v'han buttato fuori d'infer­ no?] 6536

Por plaine mine de bons besans comblee ne vous voudroie avoir despucelee.

[Per uno staio colmo di buoni bisanti I non vorrei avervi spulzella­ ca]. Grinbergiano è anche l'appetito di questa orde vie/e: non arriva a inghiottire un Audigier intero come un' ou­ blie, ma i bocconi indigesti non lo spaventano: 6563

Ec Floharc a la venraille saisie, as dens li a del hauberc esrachie; ausi l'angloc, que ce fuse formagie. 39

Introduzione

[Floharr la gorgiera ha afferrato, I coi demi gliel'ha dall'usbergo strappata I e se la inghiotte come fosse un pezw di formaggio).

Un particolare, questo del pasco anomalo, che fa riflettere sul modello remoto del personaggio, soprattut­ to se lo si abbina alla famee mefitica: il soujfle pestilentiel è tipico dei draghi", e dunque anche Flohart si configu­ ra come una specie di dragonessa. La somiglianza con le altre vecchie terribili del!'epopea resta però epidermica, mentre fra Gringerbe e Hersent esiste un'affinità più sottile, al di là dell'aspetto esteriore («hideuse ... et laide et mal puant», "schifosa... , brutta e puzzolente" [v. 2708] la grassa tripiere orleanese, «laide, vielle et hideuse», "brutta, vecchia e schifosa" [v. 214] l'antago­ nista di Audigier; ambedue prowiste di connotazione diabolica)" e del comune atteggiamento provocatorio.

5

Ancora su Grinberge (e affini) 1 . Un primo dato interessante riguarda il momento di apparizione dei due personaggi. L'ingresso in scena di Hersent, come quello di Grinberge, coincide infatti con una situazione critica. Nel caso di Aio/ la tensione emoti­ va scaturisce dall'arrivo dello straniero (sempre ritenuto portatore d'influssi bivalenti, suscettibili di evoluzione in senso benefico o nefasto), in Audigier c'è invece l'eccita­ zione della festa, che segue il rito solenne dell'adoubement. Che significato può avere il comportamento aggressivo di Grinberge e Hersent? L'offerta di una longe andoile grose et pendant da parte della laida macellaia implica, più che un omaggio promozionale della ditta (l'attività è cessata da tempo: «mais je ne vendi car bien a .xv. ans», «non ho più veduto carne da 1 5 anni», v. 2701 ), un'allusione sessuale, quasi il surrogato verbale di un'esibizione oscena destina­ ta a esplicare effetti apotropaici o profilattici nei confron­ ti delle forze ambigue che gravitano attorno al forestiero. 40

Introduzione

Invece Grinberge, come sappiamo, non parla, ma preferi­ sce le vie di facto («se descouvri la dame sanz atargier: I tres enmi !es quaroles ala chi'er»), compiendo un gesto che ri­ corda il cinico gab di Renarc alla coree, quando, ormai si­ curo dell'impunità, l'astuto furfante può gettare la ma­ schera del finto pentimento e farsi atroci beffe dei suoi giu­ dici (1, vv. 1572-1578 ed. M. Roques): "Danz roi, cenez vostre drapel: que Diex maudie le musei qui m'encombra de ceste chape et clou bordon et de l' escharpe". Son cui en cert voienc les besces, puis lor gita desor les testes". ["Signor re, riprendetevi il vostro straccio di mantello: I Dio maledica quel lebbroso I che mi gravò di questa cappa, I del bor­ done e della bisaccia". I Ci si pulisce il culo sotto gli occhi delle bestie, I e poi glielo butrò sopra le teste).

Sempre all'insegna della scatologia volutamente pro­ vocatoria, si ricorderà il tiro mancino di Truberc alla coree del duca Garnier: durante un fastoso banchetto, molla un peto fragoroso per addossarne poi la colpa alla malcapitata damigella che gli siede accanto". L'affronto di Grinberge comporta una duplice viola­ zione di tabù: 1) ostensione di parti anatomiche inter­ dette; 2) espletamento di funzioni fisiologiche in pub­ blico. Ora, la ricerca etnologica ci rivela che «la rottura rituale della norma si verifica imponentemente in occa­ sioni cerimoniali, quando vi è una tensione di senti­ menti sociali [...] »; oppure «in forme non ritualizzate per provocare un nemico a combattimento. E, mentre nella violazione ritualmente legittima, emerge uno stato di euforia [...] , nella violazione provocatoria si manifesta unicamente un'impulsione di carattere aggressivo»". La reazione sdegnata di Audigier, i suoi immediati proposi­ ti di vendetta dimostrano che l'elemento aggressivo è qui semico come dominante: il testo, anzi, razionalizza 41

Introduzione

l'ateo sconcio e strampalato motivandolo con un'imper­ scrurabile invidia di Grinberge («Mole li desplot la joie du chevalier», v. 215) e spiegandolo come deliberata quanto gratuita provocazione: «por lui faire honte et cor­ roucier» (del resto la risposta pepata di Aio! suggerisce analoga interpretazione per la sortita-gab di Hersent) . Ma, guarda caso, l'infrazione non-rituale della norma (cui peniene la valenza di "sfida") è attuata da Grinberge proprio all'interno di un contesto cerimoniale altamente formalizzato. La coincidenza è singolare; troppo, perché si possa lasciar cadere il sospetto di un senso più riposto, ma non meno importante, senza esplorare anche l'altra faccia della rottura, quella che si carica di significati simbolico-rituali. 2. Sotto questo profilo, Hersent e Grinberge trovano un singolare riscontro comportamentale in due ben più antichi personaggi femminili, Iambe e Baubo, legati al mito misterico di Demetra. Nell'inno omerico Iambe, serva nella reggia di Eleusi, col suo motteggio (verosi­ milmente osceno) riesce a riportare il sorriso sulle labbra della dea angosciata per la scomparsa della figlia Kore; la sua variante Baubo (secondo la versione di Clemente Alessandrino) ottiene lo stesso effetto con metodo diverso: si alza la veste e mostra alla dea tà aidoia, "le vergogne". Naturalmente si potrà obiettare che fra que­ sti atti e quelli formalmente analoghi delle due diaboli­ che dames esiste una differenza radicale, giacché i primi appaiono motivati da un intento umanitario, mentre i secondi hanno connotazione manifestamente ostile. Ma la questione non è così semplice. In realtà Baubo non agisce per rasserenare o divertire: il suo gesto è presenta­ to come una risposta irritata e insultante alla dea che aveva rifiutato la bevanda offertale. L'effetto distensivo che ne consegue (Demetra infatti non interpreta l'and­ sunna come gesto aggressivo, ma se ne mostra divertita) è dunque preterintenzionale. Risulta già percepibile, in quest'apparizione arcaica del motivo, un'ambiguità di 42

Introduzione

fondo destinata a perpetuarsi, un'oscillazione pendolare fra aggressività e sumpdtheia: provocatoria nelle imen­ zioni, la mossa di Baubo si rivela di fatto benefica, come il gesto - perfettameme idemico - della vecchia che, schernita da un paggio, venne 'n canea zirria che perdenno la vusciola de la fremma e scapolanno da la stalla de la pacienza auzato la tela de l'appa­ rato fece vedere la scena voscareccia86,

con imprevisto effetto sbloccante sulla figlia del re di Vallepelosa, quella Zoza (allotipo favolistico di Demetra agélastos [senza sorriso] , di Nesmejana" ecc.) che «come 'n'autro Zoroastro o 'n'autro Eracleto non se vedeva maie ridere» e che a siffatto spettacolo esplode in un'ila­ rità incontenibile, fino allo svenimento: «le venne raie riso, c'appe ad ashevolire». Qui è chiarissima la polivalenza dell'energia sessuale li­ berata dall'esibizione o dal linguaggio osceni: l'iniziale componente aggressiva, proprio in quanto concentrato di energie vitali, sprigiona anche facoltà di segno positivo, con azione taumaturgica sulla vegetazione o sulla comu­ nità umana o (come in questo caso) sull'individuo". Nell'ambito del pensiero micologico i diversi aspetti coe­ sistono e si sovrappongono senza alcuna preoccupazione di coerenza: solo successivamente, col subentrare di esi­ genze razionalizzanti, cresce la spinta alla riduzione unidi­ mensionale, che di volta in volta privilegia, del gesto biva­ lente, la carica distruttiva o quella vitale. Le trasformazio­ ni del personaggio Baubo (che diventa nella rielaborazione orfica una figura ctonia o addirittura un demone nottur­ no femminile, Bab6 - si ricordi la strega Baubo della fau­ stiana notte di Valpurga -, mentre il folclore slavo ne re­ cupera i tratti fondamentali nella popolare baba ostile e be­ nefica) affondano le radici proprio in questa ambiguità congenita, di cui le incongruenze riscontrabili nelle diffe­ renti versioni del miro demetrico non sono che il naturale riflesso. La discussa variante tramandata da Gregorio 43

Introduzione

Nazianzeno, che attribuisce l'andsurma a Demetra stessa, rappresenta in certo senso, indipendentemente dalla sua autorevolezza per la ricostruzione del mitema originario, lo smascheramento delle contraddizioni. Non a torto è sta­ to osservato che «Se al centro del mistero di Eleusi, quale è documentato nella tradizione alessandrina, è rappresenta­ ta una generazione e parturizione del miste, un suo rina­ scere dal sesso divino, la figura partoriente dovrebbe esse­ re la dea affiliante e cioè Demetra, non Baubo»"; e in tal caso Baubo (poi assimilata alla pornolalica !ambe) sareb­ be una mera " duplicazione epifanica" di Demetra, l'ipo­ stasi di una sua funzione. 3. Ma allora, una volta di più, lafunzione apre uno spi­ raglio sull'identità di Grinberge. I suoi ripetuti anasurma­ ta («Grinberge a descouvert et cui et con», v. 4 10; «Grainberge est descouverte jusqu'au nombriz», v. 4 18) ne rivelano l'affinità non solo con la madre di Audigier (Rainberge, appena awistato il conte Turgibus, non si fa pregare: incurante di pudicizia e di bon ton, «si li a tot mon­ stré, et cui et con»), ma anche con la Madre archetipica e figure vicarie. Il parto anale con cui espelle Audigier, do­ po averlo tranglouti, diviene il momento culminante di un rito d'iniziazione, al tempo stesso regressus ad uterum e de­ scensus ad inferos; (come nei misteri eleusini, se è vero che l'esperienza cruciale del neofita consisteva nella ri-genera­ zione vissuta come una sorta di rivelazione escatologica, probabilmente imperniata sullo choc emotivo di drd_mena, "mimi liturgici" rappresentanti la discesa all'Ade'°. L'in­ tercambiabilità delle due immagini è evidente: basti pen­ sare a tutta la ricchissima iconografia che raffigura l'in­ gresso nel mondo infero come passaggio attraverso le vi­ scere di un mostro divoratore, simbolo, al di là della pre­ vedibile identificazione con Satana, dell'oscuro principio distruttivo annidato nel grembo della terra, di quella stes­ sa Madre che pure è creatrice e dispensatrice di vita: «hd­ panta tiktei chthim pdlin te lambdnei», secondo il celebre verso di Euripide: "tutto genera la terra e tutto si riprende". 44

Introduzione

Anche il reiterato bacio del deretano imposto da Grinberge acquista un significato più chiaro: capovolgi­ mento insieme della pax cristiana e dell'hommage feuda­ le, questo gesto destinato a divenire l'emblema dell'affi­ liazione diabolica nella liturgia rovesciata del sabba rac­ chiude in sé, al pari del Fier baiser cui devono assogget­ tarsi tanti protagonisti di testi letterari o di fiabe'1 , espli­ citi contrassegni iniziatici. Al carattere di "prova" (l'eroe deve dimostrate di saper vincere il disgusto) si unisce infatti il rinvio al "basso" corporeo: una penitenza, è vero (autentico topos anche letterario)", come il bacio al posteriore della Fanny inflitto al giocatore di pétanque che perda per cappotto; anzi, secondo Bachcin, una forma di distruzione, quasi una tomba: Ma nmi i gesti ed espressioni di tal tipo sono ambivalenti. Il fatto è che la romba che essi scavano è una tomba corporea. La pane bassa del corpo, la zona degli organi genitali, è la parte bassa chefeconda e che genera".

O che rigenera; come nel caso di Audigier, che dopo gli osceni baci vediamo risalire in groppa a Audigon più vispo di prima, quasi che il contatto col fand de la vieille ("umiliazione" in senso etimologico, una sorca di recu­ pero delle radici di homo nel!'humus) gli conferisse l'e­ nergia per superare i traumi delle lotte e delle sconfitte, in una grottesca riedizione del mito di Anteo.

6

Il nucleo folclorico I . Per quanto la sequenza logica del rito mmanco appaia in Audigier frantumata e sconvolta, tutti gli ele­ menti essenziali resistono impavidi. È il caso del motivo "segregazione", ben riconoscibile ancorché dislocato in posizione anomala (ossia dopo l'avalement, che dovreb­ be invece costituire l'esperienza conclusiva): 45

Introduzione

393

[Grinberge] en sa prison l'enmaine sanz plus d'arrec si l' a mis en prison soz un buffec.

[ (Grinberge) dencro la sua prigion lo porca difilaco I e l'ha messo segregaco sollo un cavolo]. 397

ec jure Damedieu ec son sainc non que il n'isrra jamais de sa prison

se il ne li done grane raençon.

[e giura a Domineddio e sul suo sanco nome I ch'egli non uscirà mai di prigione I se non le paga un cospicuo risca110].

Qui compaiono inoltre due sub-motivi: I) "soz un buffet"; 2) il riscatto in natura (fave, un quarto di maia­ le e un bel cappone grasso) chiesto da Grinberge. Il primo è spesso presente nella fiaba («Il momento "lo mandò a finire sotto la panca" porrebbe corrispondere al deliquio, al precipitare nell'oscurità, alla sensazione della morte e delle tenebre»)"; per il secondo punto è l'indagine etnologica a fornire qualche lume: Dopo la partenza dei fanciulli non circoncisi, si diceva che

"Marsaba" li aveva inghio11i1i e li rescicuirebbe solcanco dopo che gli uomini avessero porcaio abbondanci cributi di maiali e di tarò95 .

Anche le pene inflitte a Audigier e il sadismo gastro­ nomico di Grinberge («de .iii. mes estrons et un demi I vous dejeuneroiz demain matin») trovano adeguato riscontro: nei fanciulli si provocava il disgusto, si costringevano a bere l'orina del loro maestro, ecc. Venivano rinchiusi in una fossa con acqua e letame e coperri con escrementi di animali96•

Si osserverà poi che Audigier, appena uscito dal cui di Grinberge, viene accolto da un'immonda irrorazione del­ la controfigura grinbergiana Bougise. Ma in questo caso non si tratta certo di penitenza, né di un ennesimo tiro mancino perpetrato ai danni del ragazzo (benché il testo ci 46

Introduzione

presenti l'innaffiaca come un dispetto, una sorca di gavet­ tone malignamente premeditato dalla perfida garce: «Se ge le puis ateindre n'as poinz tenir, I ge li pisserai ja enmi le vis»): il getto d'urina è infatti una ben collaudata tecnica di rianimazione. Narra Merlin Cocai che, durante la spedi­ zione infernale di Baldo e compagni, Cingar, costretto da impellente necessità fisiologica a cercarsi un posticino adatto alla bisogna, s'imbatte in un giovinetto apparente­ mente morto (ma in realtà soltanto stramortitus): Praesriter amotis sbarrattat pecrora pannis, cercar et un pocum tastar sub corde calorem, unde darur sciri nondum spudasse fiarum, nec Requiem aecernam fuerac cantare bisognus. Ac pensare nequic foggiam, guae suscicec illum. Non ibi credac aquis vulcum sbrofare rosacis, non ibi odorifero venas fregare cirotto, non ibi sperec aquam de fiumine collere frescam, namque venenosis Acheron ibi fluccibus ardee. Per mancum ergo malum caldam spinavir orinam, et iuvenis venas, polsos et tempia bagnac. Ille pudicino pissamine Cingaris unccus, paularim forzas revocare per ossa comenzat97 ; [Gli scosta i panni e in un istante gli sbarazza il petto: prova a cascarlo e sente un po' di caldo socco il cuore, sicché capisce che non ha ancora sputato il fiato e non c'è bisogno di cantargli la Requiem aeternam. Ma non riesce a escogitare il modo per farlo risuscitare. Lì non può pensare di spruzzargli il viso con acqua di rose né di strofinargli le vene con un unguento profumato né di accingere acqua fresca da un fiume, perché l'Acheronte ribolle di onde velenose. Allora, in mancanza di meglio, gli spilla addosso l'orina calda, bagnando le vene, i polsi e le tempie del giovane. Questi, unto con la pisciata pudichetca di Cingar, a poco a poco comincia a riprender le forze su per le ossa).

e per prima cosa il redivivo (si scoprirà che è Grillo, figlio di Baldo) ringrazia l'arcefice di quella cura miraco­ losa: «Non hoc fecisset medicinae invencor, Apollo», "Questo non avrebbe saputo farlo neanche Apollo, inventore della medicina" (v. 539). 47

Introduzione

Lo stesso «sconcio sistema di richiamare gli spiriti» si propone di usare Tacìo nella Betìa: Com per puo' le è strangolè! Se Die m'al, che el m'è in pè de pissarghe into 'l viso" [Come per poco sono svenute! Dio m'aiuci, che dovrò pisciargli sul viso]

imitato da Vezzo nella Vaccaria: A' cherzo che l'è strangossà. Chassl ch'a'ghe cogneremo pissar in lo volto, zà che n'aòn alcra aqua ruosa". [Credo che sia svenuta. Ci toccherà pisciarle in faccia, ché non abbiamo alcra acqua di rose].

2. Di nuovo l'atto aggressivo si rivela bifronte. Dietro l'apparenza ostile, che scatena i consueti propositi di ven­ detta del protagonista (vv. 375-377: «Mole menace la viel­ le qu'ele ere tliee, et sa fille Bougise la boceree, por ce qu'ele li fist tele brouee», "Minaccia la vecchia, grida che sarà ammazzata, e così sua figlia Bougise, la gobbaccia, perché gli fece l'immonda innaffiata"), si cela in realtà la trasmissione di una forza vivificante, se non addirittura la remota memoria, obnubilata ma non sepolca dallo stra­ volgimento grottesco, di un rito misterico: quello dell'an­ tica Magna Mater che concede agli iniziaci la catarsi me­ diante l'acqua della fonte infera, e, come nell'epigramma di Fescòs, viene rappresentata nell'atto di versarla: kinkrg_­ ti '00. Non a caso Rainberge, irrorando de son pissat- la sua offerta nuziale - il buon prete incaricato di celebrare il ma­ trimonio con T urgi bus, esclama: «Ce vos vale, sire prestre, une venteuse», "è salutare come un salasso". Così Audigier o Grillo escono dalla loro condizione di morte apparente rivitalizzaci e quasi fertilizzati da quell"'acqua di vita", co­ me i campi irrigati dai montoni di Dindenaulc («le bled y provenc comme si Dieu y eusc pissé», Rabelais, Quart Livre, vn). E, naturalmente, l'interpretazione "in positivo" del gesto di Bougise getta luce retrospettiva anche sulla chierie di Grinberge.

I

I

I

I

48

Introduzione

7 Il riso e il letame

1. All"'iniziazione" cavalleresca di Audigier si sovrap­ pone dunque un vero e proprio rito iniziatico dai con­ notati singolarmente arcaici: una drammatica esperienza di morte e rinascita, una discesa agi'inferi seguita da rituale dnodos [risalita] , con ritorno alla vita propiziato dall'aspersione di Bougise. Se è vero che il neofita può aprirsi alla conoscenza solo entrando in comunicazione col mondo dei morti101 (benché la catabasi di Audigier sia molto più rozza e sbrigativa del viaggio nell'oltre­ tomba del suo quasi omonimo Al(d)ighieri), un partico­ lare apparirà estremamente significativo: nel momento culminante della vicenda, quando la reazione del giova­ ne all'ennesima angheria della sua awersaria provoca, all'improwiso, la rottura della tensione e il riso di Grinberge, le vielles sono presenti in veste di spiriti degli antenati, anime dei defunti: 424

Grinberge se leva, si en a ris enrre lui et ses filles ec vielles . vi.

[Grinberge si rialzò e scoppiò a ridere J con le sue figlie e sei delle sue vecchie] .

L'ilarità indotta dall'espressione volgare e ingiuriosa di Audigier, una vera e propria aischrologia («Quar ostes, pute vielle, ton aupatriz!» , "Leva di qui, vecchia schifosa, il tuo buco nero!") ha un'evidente funzione magica e rigenerante, come il riso di Demetra suscitato dal motteggio di !ambe o dal gesto di Baubo. Il riso di Grinberge, che restituisce Audigier alla vita dopo il periodo delle durissime prove (così come il riso demetri­ co rende alla terra la vegetazione) , segna visibilmente il passaggio di quella che un mito iakuto chiama " soglia ridente" 102 : la soglia che separa la vita dalla morte. Audigier torna a casa con le stimmate dell'iniziato, del "morto" (v. 430: «ge vos voi or molt pale», "vi vedo 49

Introduzione

molto pallido", osserva Rainberge), come si addice a un reduce dalla morre simbolica: «.i. perir sui malades, trop ai geuné», "mi sento maluccio, ho troppo digiunato" (v. 433). Il suo primo bisogno è il cibo, come accade a tutti i resuscitati: l'accorto Pantagruel, memore della resurrezione della figlia di Giairo («Et reversus est spiri­ tus eius [ ...] , et iussit illi dari manducare») «bailla à boire un voirre d'un grand vilain vin blanc, avecques une roustie succrée» a Epistemon appena richiamato in vita. Ben si spiega perciò l'appetito del nostro eroe, sod­ disfatto all'istante da una ricca imbandigione di rapaci sotto sale e cipolle marce. E quel riso " demecrico", libe­ ratorio, acquista un significato speciale, perché docu­ menta ancora una volta l'affiorare di un'immagine materna dietro il ghigno beffardo della terribile vecchia, a conferma della perenne bivalenza benefico/malefica che caratterizza personaggi consimili (verificabile fino alle estreme propaggini folcloriche, come la Befana) . È nota la spiegazione della psicoanalisi junghiana, che interpreta la compresenza o alternanza di tratti "buoni" e "terribili" nella figura della Grande Madre in rapporto al prevalere, di volca in volca, del "carattere elementare" o del "carattere trasformatore" insiti nell'archetipo del Femminile'". Noi ci limiteremo a constatare che l'am­ biguità affonda sempre le sue radici in una concezione primordiale di «continuo divenire contraddittorio»'°' del cosmo, ove vita e morte sono percepite come inter­ cambiabili, strette in un rapporto di reciproca eterna dipendenza; e che la non-separazione si estende owia­ mente alle relative personificazioni nel pensiero mitolo­ gico. Dello stesso bifrontismo partecipano sia il copioso chier di Grinberge sia la brouee di B ougise: per Audigier sono affronti infami da vendicare al più presto (alla Weltanschauung mitologica si sovrappone l'interpreta­ zione raziocinante, «dove il polo positivo e negativo del divenire [ ...] divisi e posti in contraddizione l'uno con l'alcro in diverse metafore non unificate, si trasformano 50

Introduzione

effettivamente in volgare cinismo, perdono il loro rap­ porto diretto con il ciclo vita-morte-nascita e, di conse­ guenza, la loro ambivalenza»"'; ma nello strato più profondo che traspare dal palinsesto quegli atti rappre­ sentano invece un auspicio di vita e di fecondità, agrico­ la e umana insieme, in quanto sessualità e fertilità del suolo sono, nel pensiero "primitivo", indissolubilmente collegare da relazioni di magia simpatica. D'altronde la storia della dinastia di Cocuce si sviluppa secondo un ciclo che potremmo definire vegetale («omnis caro sicut faenum veterascet I et sicut folium fructificans in arbore viridi. I Alia generantur, et alia deiciuntur; sic generatio carnis et sanguinis alia finitur, et alia nascitur», Eccli. 14, 18- 19) . Audigier è figlio postumo di Turgibus, che spira su un letamaio - quasi craformandosi lui stesso in concime, come il seme che deve morire e marcire sotto­ terra per germogliare a nuova vita - ed esala l'anima dal deretano. L'anima che dovrà reincarnarsi nel figlio na­ scituro? Non è certamente agevole indicare con esattezza ciò che il contadino medievale intendeva con "anima", termine con­ nesso all'idea di "vento", di "fiato animato", principio vitale e lievito della carne; ma è più che probabile che il pensiero comune considerasse le anime non illimitate di numero (fos­ sero esse sia anime d'uomini sia d'animali). Questa limitazio­ ne spiega anche il rituale di ripristino o reintegrazione o riproduzione dell'animale ucciso e dell'uomo venuto a morte; riproduzione limitara che postula di necessirà un ritorno delle anime post mortem e una circolarità del viaggio, con la ricom­ parsa a scadenze fìsse106•

Si ricorderà il «vilan puzolento» di Matazone da Ca­ lig(n) ano, nato dal «malvaxio vento» di un somaro'", e la liturgia carnevalesca dei sujflacu!s incaricati di rimpin­ guare a colpi di mantice, con una sorta di clistere vento­ so, la riserva d'anime depauperata dai peti"'. Ben cono­ scendo la via d'uscita dell'anima villanesca al momento del trapasso (dalla "bocca di sotto" - il macaronico 51

Introduzione

altro... ore di Merlin Cocai, Baldus, VJ, v. 332, anziché dall'orifizio canonico'°', in armonia con una vira vissuta all'insegna del basso corporeo) , il diavolo conta d'im­ possessarsene, nel Pet au vilain di Rutebeuf, predispo­ nendo un contenitore ad hoc: Un sac de cuir au cui li penr, quar li maufez cuide sanz faille que l'ame par le cui s'en aille'". [Un sacco di pelle gli appende al culo (al villano infermo), I per­ ché il Maligno crede senza fallo I che l'anima se ne vada dal culo.)

2. Muore nel letame il conte di Cocuce, sfiatando il suo dnemos [anima/vento] maleolente, psuch!!."" ammor­ bata dagli stessi miasmi che gravano abitualmente sul­ ]'habitat rurale («Del resto la morte, evacuazione dell'a­ nima da parte del corpo, o deiezione delle spoglie mor­ tali da parte dello spirito - scrive Italo Calvino"' potrebbe ben essere assimilata alla defecazione. Ma qui il lettore dirà che mi sto lasciando pericolosamente con­ tagiare dai procedimenti mentali dell'analogia barocca, da questo continuo scivolamento dei segni e dei signifi­ cati in una dinamica di vasi comunicanti che tende all'universale equivalenza di tutto con tutto»; equivalen­ za che non è certo peculiarità dell'analogia barocca, ma caratteristica precipua del pensiero mitologico)"'; nasce nel calore delfiens [letame] il nuovo virgulto Audigier, e anche la nascita è evacuazione. Audigier è un anomalo ingombro nelle viscere di Rainberge, una sorta di tappo, tanto che, dopo l'espulsione dell'aversier, lo sfintere anale si rilascia in una copiosa e liberatoria chierie: «dons [= clone] commença la dame a tresfoirier» . Un analogo rapporto feto-feci si ritrova in Rabelais, nell'e­ pisodio della nascita di Gargantua, ove un troppo effica­ ce astringente somministrato a Gargamelle costringe il piccolo a uscire per via anomala. Lo sterco, metafora unificante dell'initium (]'agostiniano «inter faeces et uri­ nam nascimur») e dell'exitus (come ineluttabile destino 52

Introduzione

di putrefazione), diventa il simbolo della vicenda umana: il letamaio è il centro dell'universo di Audigier, il teatro degli eventi cruciali della scoria: non solo la morte di Turgibus, ma anche l' adoubement del rampollo e quello strano rapporto incubo (Grinberge)/succubo (Audigier) in cui par di scoprire, dietro la consueta coa­ zione al bacio del deretano, la pantomima di un amples­ so, quasi una larvata iniziazione sessuale ad opera di Grinberge (lassa xxxv). Con la nuova coppia Audigier-Troncecrevace (creva­ ce è il solco, donde il diffuso traslato osceno) il ciclo ricomincia: ecco un nuovo fidanzamento a croupeton, com'era stato quello di Turgibus e Rainberge, con cor­ redo di generose defecazioni di buon auspicio (v. 493: «nos fumerons bien nostre p[r] ael», afferma soddisfatto Audigier) per l'abbondanza delle future messi e della futura prole audigeriana. Le nozze, com'era prevedibile, ripropongono motivi agricoli ben noti alla fiaba e al mito: «[Audigier] !es fìst en un champ de viez aré I ou truies et porceaus orent esté», "le fece in un campo da tempo arato I ove troie e porcelli erano stati" (w. 496497). Analoga predilezione per i luoghi frequentati da suini aveva manifestato dame Rainberge al momento del parco, e la coincidenza rivela un preciso significato alla luce dell'indagine condotta da Propp sulla fiaba di Nesmejana: Il maiale aveva una funzione importante nel culto di Deme­ tra in quanto animale che arreca fertilità. Nel mondo greco antico il maiale aveva un legame anche con la vira matrimo­ niale. Nel burrone, in cui si credeva abitasse Demetra, si but­ tavano porcellini. [ ... ] il maiale ha un legame con il solco e l'aratura [ ... ]. D'altro lato, il maiale non è legato soltanto al solco. Come rileva Bogaevskij, la parola "porca" aveva un altro significato specificamente sessuale. Di qui il legame del maiale col gesto di Baube, col gesto della principessa che mostra i contrassegni e col riso, in quanto atto agricolo-ritua­ le. Tutti questi materiali non lasciano dubbio sulla ragione per cui il procagonista, accompagnato dal maiale, susciti il 53

Introduzione

riso della principessa. Il protagonisra porca con sé la fecon­ dità, e la principessa per lui compie il gesto di !ambe'".

Non un frammento del puzzle manca in Audigier: l'identificazione di solco d'aratro e "solco" femminile, la presenza (almeno virtuale) dei maiali nei momenti chia­ ve della vira sessuale (matrimonio, parto) - relitto, forse, di una remora mythologie du porc celtica e germanica' " confermano l'attenzione dell'autore per la tradizione folclorica, oltre che per quella letteraria. 8 Cocuce come Cocagne?

I . Adam de la Halle, citando il v. 321 di Audigier nel jeu de Robin et Marion'", incorre in un lapsus curioso:

«Audigier, dist Raimberge, bouse vous di»; ma ad apostro­ fare in tal modo il cavaliere è invece Grinberge. Spiegabi­ lissimo a norma d'una collaudata tipologia dell'errore (lo scambio è propiziato dall'identica terminazione in-berge), il lapsus acquista tuttavia un sapore, più che freudiano, junghiano, dopo quanto ci ha rivelato la personalità della vecchia, che a dispetto della sua scarsa tenerezza nei con­ fronti del!'eroe riflette un archetipo materno, ed è dunque parzialmente assimilabile a Rainberge. Ma non meno si­ gnificativo è il lapsus di Rurebeuf nel finale del Pet au vi­ lain. Stabilito che né inferno né paradiso vorranno più ac­ coglierla per il suo fetore insopportabile, resta da decidere dove mai potrà andare l'anima in pena del villano. Vediamo che cosa propone Rurebeuf: Or voisr chanter avec les raines, que c'est li mieudres qu'il i vaie; ou el tiegne droite la vaie, por sa penitance alegier, en la terre au pere Audegier: c'esr en la terre de Cocuce ou Audegiers chie en s' aumuce1 1 7 • 54

Introduzione

[Vada a cancare insieme alle rane, I ch'è il meglio che esista; I oppure vada dritta I a sconcar la penitenza I nella terra del padre d'Audigier, I ossia nel paese di Cocuzza, I dove Audigier caca nel cappuccio).

In realtà, come sappiamo, protagonista di quell'ex­ ploit scatologico è Turgibus; ma il nome è irrilevante,

giacché i due sono perfettamente intercambiabili, mere epifanie del genotipo discinte soltanto dai diversi tempi d'inserimento nel ciclo vitale. Del paese di Cocuce, assurto a limbo o purgatorio del­ le anime rusticane, le coordinate geografiche sono assai vaghe: tuttavia le indicazioni reperibili in Audigier sono sufficienti, se non a tracciare una mappa, almeno a dare un'idea del luogo. Incanto Cocuce si definisce in negati­ vo, scherzosamente ma non troppo, come meta d'un viag­ gio senza ritorno: «onques n'en poi oissir par aucre trou» (v. 6: come nessuno tornerà mai da Narragonia, meta uto­ pica della nave dei folli - Narrenschiff - di Sebastian Branc); e forse, al pari della fancornaticaJachie, «ce est une concree ou Dieus n'est mie» (v. 26). Il nome dice poco, in apparenza: difficilmente si tratterà della terra dei cocus "cornuti", perché l'argomento è del tutto estraneo alla vi­ cenda narrata (e ci sarebbe da discutere sull'applicabilità di tale significato al lemma amico-francese) "'. Ma anche la tesi dell'irrilevanza semantica ha il suo punto debole. Audigier non è testo cosl sproweduto da lasciarsi sfuggi­ re l'occasione d'inserire una chiave di lettura in un topo­ nimo che campeggia due volte all'inizio del poema come luogo d'origine della nobile schiatta; tanto più che la mag­ gior parte dei personaggi è prowista di nomi parlanti (il prete Herbout, Poitruce, Coquelorde, Troncecrevace), e su uno di questi l'autore si sbizzarrisce coniando una se­ rie di varianti: oltre a Poitrul-uce, ecco infatti la figlia di Grinberge, Poitron Bernous, sempre all'insegna del dere­ tano (poitron, v. 23). C'è da chiedersi allora se Cocuce non sia da interpretare in maniera analoga, ossia come una va­ riazione sul nome e sul terna di Cocagne, luogo altrettanto 55

Introduzione

fantastico (e che, non a caso, si definisce anch'esso in ne­ gativo, come il paese di cui nessuno ha mai sentito parla­ re, la terra inesistente): Mais mult om de ce gram merveiles, et sonc esbai" com oeles, qu'a sez serjanc onc oi" dire que de Cocagne estoit lor sire, si ne poent ome rrover que unques mais oisr parler de Cocagne en nul semblant, qu'enqui fu dit primieremem"'. [Ma molto si meravigliano, I e restano attoniti come pecorelle, I perché dai servirori han sentito dire I che di Cuccagna era il loro signore, I e non riescono a trovar nessuno [ che abbia mai sentito parlare I in qualche modo di Cuccagna, I che qui fu menzionata la prima volta).

L'accostamento potrà stupire. Immerso nelle nebbie dell'immaginario, il paese di Cocagne è la terra dell'ab­ bondanza, il paradiso dei ghiottoni; Cocuce, a mollo in sostanza ben più consistente della nebbia (lì, «!es genz sont en merde jusques au cou», v. 4), si presenta come una squallida landa travagliata da carestie (una scoppia proprio in coincidenza con la nascita di Audigier), dove al posto delle tradizionali leccornie non si trovano che cibi guasti o repellenti. Audigier è dunque una parodia del mito di Cuccagna? Il quesito è interessante, ma ne suscita altri a catena: dato che la prima apparizione del motivo è nel fabliau del XIII secolo'", si deve presuppor­ re una tradizione anteriore di cui Audigier sarebbe, per antifrasi, testimone? In realtà non è probabilmente cor­ retto parlare di parodia, anche perché si ha l'impressio­ ne che tra Cocagne e Cocuce le affinità sostanziali siano più importanti delle differenze, viscose ma epidermiche, e che entrambe queste rappresentazioni del mundus inversus scaturiscano da una comune frequentazione dell'immaginario medievale. Cocagne, si sa, è l'unico 56

Introduzione

luogo dove «qui plus i dort, plus dorme, più guadagna»; dove

gaaigne», «chi più

de bars, de saumons et d'aloses sont routes les mesons endoses; li chevron i sont d'esrurgons, les couvertures de bacons et les lates sont de saussices 121 • [con spigole, salmoni e cheppie I son recintate tutte le case; I Il le capriate son fatte di storioni, I le coperture di pezzi di lardo I e i corremi di salsicce].

Ma di paradosso in paradosso è facile arrivare ali'as­ surdo, come in quella favola dei fratelli Grimm dove le focacce che crescono sul tiglio e il miele che cola nelle vallare (tipico e un po' consunto repertorio cuccagnesco) a poco a poco lasciano il posto a cornacchie che falciano prati, a zanzare edificatrici di ponti, a colombe che stri­ tolano un lupo; e c'è anche un vescovo consacrato da due topi, nonché una chiocciola che ammazza due leo­ ni'". Non stupisce allora, vista la continuità territoriale, che l'epilogo del cinquecentesco Capitolo di Cuccagna mostri uno sconfinamento nella jàtrasie (il poeta messo k.o. da un gallo e catturato da una ranocchia) casual­ mente prowisto di singolari connotazioni audigeriane, con quel batrace nelle cannibaliche vesti di Grinberge: Cadendo una ranocchia mi pigliò e intero m'inghiottì in un boccone e in manco di mezz'ora mi cacò 123 .

Del resto, come si arriva alla terra promessa della gastronomia, al paese senza fame, ai fiumi di latte e miele dove si mangia e si beve senza pensieri? Ce lo dice un cesto irlandese del XIV secolo, The Land of Cokaygne: Whose wl com that lond to, fui grete penance he mot do. Seve yere in swineis dritte 57

Introduzione

he mote wade, wol ye iwitte, al anon up to che chynne. So he schal the lond winne'". [Chiunque vuol venire a tal paese, I deve fare grande penitenza: I per sette anni rimarrà I - non v'è altro modo - I immerso fino al mento nel liquame di maiale: I cosl raggiungerà il paese.]

Ma questo purgatorio che dovrebbe consentire l'ac­ cesso al regno di bengodi non è forse la nostra Cocuce, il «pa"is mou I ou !es genz sont en merde jusques au cow, (v. 4)? 2. Spunti fatrasici, a conferma che la contree di Cocuce non appartiene alla realtà ordinaria, sono ben riconoscibili in Audigier. Le awenture di Turgibus, che, abbatcuto da un estron (v. 3 1 ) 125 , si riscatta con un magi­ strale exploit d'arciere centrando l'ala di una farfalla, implicano il sowertimento delle proporzioni e l'irrisio­ ne del verosimile. Quanto a elasticità di dimensioni, Audigier rivaleggia col padre: la corporatura robusta descritta nella lassa XXI (dove figura prowisto di grosses espaules e abbondantemente panciuto) non gli impedi­ sce di penzolare a lungo da un cespuglio, appeso per lo sperone, finché un colpo di vento non lo scaraventa a terra come una pera matura (o una foglia secca) . Si aggiunga il capovolgimento dei rapporti familiari e gerarchici: sono i fratelli minori a far cavaliere il ram­ pollo di Cocuce, giacché Tirart non è il «premier mari de Rainberge,, Oodogne), bensì il successore del povero Turgibus - che aveva incomrato Rainberge quando lei ancora «n'avoit point de baron,,, ed era anzi la più bella touse [fanciulla] del paese: si noti che il termine touse è tipico del lessico della pastorella -, oltre che il "signore", in senso feudale, del figliastro Audigier (cui consegna la spada, v. 1 92) . È chiaro che questo ribaltamento integrale, al pari della leggenda di Cuccagna, traslitterazione in chiave 58

Introduzione

popolare del mito paradisiaco, ha un suo significato irri­ ducibile alle ragioni dell'umorismo triviale e della paro­ dia letteraria. L'universo audigeriano è rappresentazione di un mondo che fruisce d'un particolare rapporto di non-separazione con l'aldilà. La befana di Valgrifier è anche una Seelenmutter, condottiera d'un wutendes Heer (vv. 236-239), intermediaria tra Audigier e il mondo dei morti, che sotto forma di jìlles e di vielles condivido­ no l'ilarità della loro signora, a iniziazione conclusa. Gli aspetti tricksterici del personaggio sono inseparabili dalla sua funzione mediatrice'", anzi appaiono conse­ guenza inevitabile di questa continua oscillazione tra i due poli contrapposti vita/morte, come insegnano i pre­ cedenti illustri di Dioniso (il dio della vegetazione e dei morti, vagante nella notte alla testa di una schiera di mènadi), che diviene il dio-maschera per eccellenza, e di Wotan, l'ambiguo dio-mago, anch'egli signore dei morti, che sotto l'allonimo di Herjan "capo dell'armata (furiosa)" si trasforma, secondo una delle tante ipotesi etimologiche avanzate per il nome di Herle-, Helle-, Hennequin, in Arlecchino, maschera e demone'". Non a caso, quello stesso Herlechinus che la testimonianza di Orderico Vitale ci mostra alla testa di una terrificante caccia selvaggia nella visione di Gualchelmo (1091) riappare nella più antica descrizione di charivari perve­ nutaci (vv. 682-767 dell'interpolazione, opera di Raoul Chaillou de Pesstain, consegnata al ms. E del Roman de Fauve[) "' come condottiero d'una mesnie più grottesca che spaventosa: 733

Puis fesoient une crierie, onques tele ne fu oye: li un moutret son cul au vent, li autre rompet un auvent, l'un cassoit fenestres et huis, l'aucre gecoit le sei ou puis, l'un gecoic le bren aus visages.

[Poi facevano un baccano ] che cosl forte non s'era mai udito: I 59

Introduzione

uno mostra il culo al vento, I un alrro rompe una rettoia, I uno

spaccava finesrre e porte, I un alrro buttava il sale nel pozzo, I uno gettava sozzure in faccia].

747

Il y ravoir un grane jaianc qui aloic crop formenc braianc; vescu ere de bon broissequin; je eroi que c'escoic Hellequin, er tuit li aurre sa mesnie,

qui le suivenc couce enragie. [C'era poi un gran gigante I che gridava a squarciagola; I era vesti­ to di panno fino; I credo fosse Arlecchino, I e curti gli altri la sua schiera I che lo segue tutta infuriata] .

L'ipotesi che la mesnie Hellequin «costituisse lo sfon­ do mitico della fase più antica dello charivari» è certa­ mente corretta: «gli attori dello charivari intendevano impersonare, in questo periodo, la schiera delle anime dei morri» 129 • Meno convincente è l'interpretazione del fracasso e della mascherata come mera azione di distur­ bo («Il frastuono, mescolato a oscenità e imprecazioni, dei morti del villaggio, impersonati dalle associazioni dei giovani, esprimeva nella maniera più aggressiva la disapprovazione sociale per un evento che danneggiava un equilibrio demografico già così precario») 130 • La teo­ ria sociologico-demografica sostenuta da Natalie Zemon Davis e condivisa da Carlo Ginzburg (lo charivari sa­ rebbe una manifestazione di rancore collettivo nei con­ fronti delle seconde nozze, viste dai giovani del villaggio come sottrazione di un coetaneo potenziale partner al gruppo già esiguo) mette a fuoco una motivazione im­ porrante per il perpetuarsi nei secoli di un rituale così scopertamente provocatorio, ma non cerro preposta alla sua nascita. Intanto un'abbondante documentazione ot­ tocentesca mostra lo charivari non esclusivo delle secon­ de nozze: «rous !es mariages suscitent, peu ou prou, le charivari. Dans ceux qui sont conformes à la norme so­ ciale, le charivari est faible-marqué, bien que ses traits distinctifs y soient présents. Dans ceux qui ne sont pas 60

Introduzione

conformes à cecte norme, il y a charivari catégorique» 131 • Evidentemente lo charivari serba memoria del matrimo­ nio come rito di passaggio, con partecipazione d'obbli­ go dei morti, degli antenati "fecondanti""', simboleg­ giati dalle maschere demoniache interdette ai chierici dal Concilio di Langres (1404): «ne incersinc, ne ludanc in ludo quod dicitur charivary in quo utuntur larvis in figura daemonum et horrenda ibidem commictun­ tur» 133. Ebbene, si noterà come la gestualità di Grinber­ ge (maschera grottesco-demoniaca che sembra incarnare l'archetipo di simili larvae) assuma forme non dissimili da quelle descritte nello charivari dello pseudo-Fauve! (ricordiamo in particolare il cale che «moutret son cui au vene» e l'altro che «getoit le bren aus visages»); del re­ sto l'investitura-iniziazione di Audigier è anch'essa un rito di passaggio, che, implicando l'ingresso nella comu­ nità adulta e il matrimonio a breve scadenza, si riallaccia chiaramente ali'occasione dello charivari. Sempre a proposito di Fauve!, c'è da osservare che Grinberge è contrassegnata dallo stesso colore (il colore della vanità, dell'inganno, e più in generale della malva­ gità)"': «ele estoit fauve et tondue», "era rossiccia e pela­ ta", c'informa il testo (v. 288). Sono due dettagli che si collocano entro la consueta logica binaria: vedremo in­ fatti più avanti come la testa pelata (tondue) sia un se­ gno di morte, mentre fauve, pur marcato negativamente nel senso sopra indicato, appartiene piuttosto al sistema simbolico legato al campo opposto. È stato acutamente rilevato che nei Narbonnais tutti gli episodi centrati sul­ le nozioni di cibo, alloggio, ricchezza (dunque pertinen­ ti alla terza funzione, secondo il noto schema di Dumé­ zil), si coagulano incorno al personaggio di Hernaut «le roux»; che, «engrès et felon», è anche il depositario del­ l'elemento comico-grottesco'". L'ambiguità del rosso, «il colore positivo della fertilità, ma anche il colore in­ fausto del male», è palesemente correlata alla duplice va­ lenza del sangue come principio virale e immagine di morte violenta"'. 61

Introduzione

3. Un po' baba-jaga, un po' magna mater (la sua pri­ micivicà si rivela proprio nell'assommare in sé tutte le funzioni che micologie meno arcaiche distribuiscono tra entità soprannaturali diverse: in ambito germanico, per esempio, Freyja, dea del sesso e dell'amore; Frigg, dea della maternità e della vita; Skadi, dea del combatti­ mento e della morte) 137, Grinberge ha un suo più tardo facsimile galloromanzo nella grand-mèrelmarraine del romanzo occitanico di Jean-Baptiste Castor Fabre jan­ l 'an-pres (1756), dei cui elementi folclorici ha fornito un'ottima e dettagliata analisi un bel saggio di Le Roy Ladurie 138• Educatrice amorevole dell'orfano Jean, ma aggressiva e violenta nei confronti del genero Truquette («se mes a traouquilla la coudena de Truquetta lou mens maou que li seguet poussible»), la grand-mère marraine non è che una personificazione della Morte (a ben guardare, anche la nonna-madrina di Audigier, Poi­ truce - che evoca nel nome Poitron Bernous, figlia e proiezione di Grinberge - è umbratile prefigurazione della vielle de grant dangier, 1'epifania più arcaica e sel­ vaggia della Mort-marraine). Una Morte che dà la ric­ chezza injan-l 'an-pres1"; una Morte che dà la vita nell'e­ pisodio di Audigier tranglouti, una Morte gravida come quella raffigurata nelle famose statuine di terracotta di Kerc:, vecchie incinte dall'espressione ridente «di cui è messa in evidenza in modo grottesco la vecchiaia e la grossezza del ventre», a rappresentare la vita «nel suo processo ambivalente, intrinsecamente contradditto­ rio» 14o. In realtà la posizione intermedia (o funzione media­ trice) tra aldiquà e aldilà che abbiamo evidenziato in Grinberge appartiene, in forme meno traumatizzanti, all'intero paese di Cocuce e alla sua popolazione, come alla quasi omonima (Nephelo)kokkugia aristofanea so­ spesa tra cielo e terra, o alla mitica Cocagne. Sta di fatto che il radicale ritorna ossessivamente a marcare luoghi, cose o persone del puro immaginario: Coquatris, coque­ cigrue, "animale immaginario", "fanfarone", "panzana", 62

Introduzione

mentre nella nostra Cocuce, terra di coquins, "straccio­ ni" e coquebers, " scolci" - «li fous vilains, li coquebers» (Gautier de Coincy) - fa la sua significativa apparizione, nel ruolo di madrina, una dame Coquelorde'". Allora, più che «mariti traditi», gli eventuali cocus di Cocuce sa­ ranno - come i cornards, i carnevaleschi abbates mitrati - fous dal caratteristico copricapo oblungo (coqueluque o cocusse). Turgibus può ben essere un coquibus'", uno "scolco", un uomo-follis; egli turget difatti come un frut­ to maturo pronto a spargere il suo seme, ma anche co­ me un soujflet gonfio di vento (o di anime): l'emblema dei folli, «médiateurs par excellence entre l'humain et le "non humain"»' 43 • Coquelorde "la folle" (cfr. coqu-ibus) "' funge da madrina dell eroe"; nel ruolo di queu ("cuo­ co", certo: ma perché non, ironicamente, "siniscalco", come il Keu della corte arturiana, regiae mensae praeposi­ tus?) troviamo il tignoso Hertaur, una sorca di mimus calvus, portatore d'un chiaro contrassegno di separatezza - allusivo insieme alla morte e alla follia, due àmbiti spesso contigui - nel suo nudo cranio da clown'". E in questo strano mondo dominato dall'inversione (delle proporzioni, del gusto, dei ruoli sociali), inversus è an­ che Audigier, sopraf fatto dall"'incubo" Grinberge nello sconcertante episodio sul letamaio cui già abbiamo ac­ cennato (cfr. sopra, vu.2): «Quans Audigier se siet sor un fumier envers, et Grinberge sor lui qui li froie !es ners» (vv. 4 1 3-4 1 4 : «Conte Audigier sta sopra un leta­ maio, riverso, e su di lui Grinberge, che gli stropiccia i tendini»). È un alcro tassello importante per la ricostru­ zione del sistema micologico audigeriano. La vecchia ha infatti tutte le caratteristiche del cauchemar (o, secondo la più trasparente denominazione occitanica, della chau­ cho-vièio); Audigier è costantemente oppresso, soffoca­ to: Grinberge

I

I

30 I

sor le vis li asisc son orde roie

[sul viso gli piazzò il lercio deretano] 63

Introduzione

4I I

et sor le vis li ert a estupon

[e sul viso gli starà accovacciata] 420

sor sa face li a son cui assis.

[sulla faccia il culo gli ha messo]. Per di più, lo scontro era il giovane e la vecchia assu­ me tratti sempre più ambigui, fino a configurarsi come una lotta erotica. La metafora è del resto ben nota: «des­ pués faremos la lucha», promette la serrana del Puerco de Malangosto nel Libro de buen amor dell'Arcipreste de Hita (scr. 969) 145 • Con inconsueta inversione dei ruoli, che assegnano di norma la ritrosia alla fanciulla e l'ag­ gressività al maschio, un'intraprendente tousete francese ingiunge al restio giovanotto: «a moi vous couvient lui­ cier I en ce biau pré verdoiant», "con me dovete far la locca in questo bel prato verdeggiante" 146; il match è poi descritto dal cavaliere "vittima", che afferrato dalla pa­ storella-virago le cade sotto - souz lui chei; v. 36 - , in termini non dissimili da quelli usati da Audigier (v. 365: «Bari l'a et laidi et defoulé») per descrivere i suoi duelli con Grinberge: Voirement

de mai fisr rout son talem et me descouvri

et me foula et ledi [Davvero I fece di me turto quel che le piacque: I mi spogliò, mi strapazzò e mi olcraggiò]. A dispetto del reiterato transfert anale, l'allusione erotica erapela dalle stesse scelte lessicali: froier, al pari di froter, è ben noto "euphémisme de foutre" 147, mentre ners (pudicamente al plurale, ma si dovrà tener conto dell'ostilità all'assonanza e dell'attrazione per la rima, nonché della debole opposizione a livello di débit tra nerf e ners) evoca l'occitanico nèrvi o nèrbi "membre viri!" (Misera!, TF; ma cfr. anche AFW s.v. nerf, in lati64

Introduzione

no, l'accezione è accescaca già in Orazio e in Giovenale, fino all'Hermaphroditus del Panormica, dove la mano di Nichina, officiosa, «cergebac nervos») 1 48• Si ricorderà che ai revenants viene attribuito un appetito sessuale non meno robusto della fame di cibo, e che anche nella fiaba la rappresentazione della morte assume spesso un colori­ to erocico1". Grinberge, signora delle streghe, partecipa della stessa natura? 4. La tradizione medievale assegna agli incubi, abi­ tuali partners delle streghe, sesso maschile, confinando le diavolesse tentatrici in un'esigua categoria di succubi. Mostruose femmine guerriere strapazzano gli eroi dell'e­ pos germanico, come la mara Grimhildr che nello scal­ dico ijoò olfr or hvini (Catalogo degli Ynglingar)150 schiac­ cia e calpesta a morte il re Vanlandi, o come la gigante­ sca madre di Grendel che riesce ad afferrare Beowulf e a sedersi su di lui prima d'esserne craficca151 : ma qui lo scontro è privo d'implicazioni erotiche. L'antichità, in­ vece, conosce bene l'incubo femminile: è la Sfinge, la terribile orca Qmositos [mangiatrice di carne cruda] ; e il mostro alato dalla coda di serpente è coinvolto al massi­ mo grado nell'ambiguità locca/abbraccio. Una vasca ico­ nografia lo raffigura accoccolato sulla giovane vittima in un atteggiamento che è sembrato di brucale aggressione, mentre è palese - sopraccucco nel sumplegma [amplesso] del vaso di Gela - che le due figure sono unite in un rapporto sessuale, forse un vero e proprio coitus in agro1 " . È significativo che la Sfinge ricompaia nella let­ teratura medievale socco forma di diavolo-vecchia: Ascaroc oc non li deables, d'enfern fu maiscre conescables. Illoec s' en esc venuz ester por la contré[e) deserter; la devinaille ot recovré que Spins aveic jadis crové, et par ycel enchantement 65

Introduzione

si ocieic coce la gene. Figuroc sei en lieu de vielle,

et ere tane vere camme d'ierre foille153•

[Il diavolo si chiamava Ascaro,, I ed era il più alco dignicario d'in­ ferno. I S'era piazzaco lì (a guardia di un passaggio obbligato) I per mandare in rovina la contrada; I aveva recuperato l'indovinello I un cempo invenraco dalla Sfinge, I e con quel sorrilegio I ammaz­

zava la gente. [ Aveva preso l'aspetto di una vecchia, ] ed era verde

come una foglia d'edera] .

Bellicosa come Grinberge, l'orrida vecchia/diavolo/ Sfinge minaccia l'armata dei Greci (vv. 2912-2914) prima di proporre il famoso enigma che sarà risolto da Tideo, novello Edipo: " Fuiez, faic elle, de cesce place!

Estez ariere, estez, barons! N'i passerez sanz grant cençon"

[ "Andace via - dice la vecchia -, via da quesco posto! I Tornate indietro, prodi cavalieri! [ Non passerete di qui senza una dura

lotta"] .

Il personaggio del Roman de Thèbes lascia intravede­ re un bizzarro sincretismo tra remote credenze folclori­ che (la vecchia-animale dalle enormi orecchie pelose e dagli artigli leonini, vestita d'una pelle d'orso bianco) 1 " , religione (il diavolo Astaroc sotto mentite spoglie) e mitologia classica (la Sfinge, l'indovinello sulle ere età dell'uomo). In Grinberge, invece, prevalgono nettamen­ te le connotazioni primitive, con una tenue contamina­ tio demoniaca. Trasformandosi in cauchemar, la megera di Valgrifier svolge un'altra funzione caratteristica degli esseri del suo tipo: unirsi a un mortale per colmarlo di ricchezze, come Melusina - anch'essa una Mahr nel fol­ clore tedesco 155 -, madre-serpente benefica e funesta, che porca la prosperità ai Lusignano e al tempo stesso, in vesce di "dama bianca", ne annuncia la morte (come osserva Lotman, il pensiero mitologico vede «nei diversi 66

Introduzione

fenomeni del mondo reale i segni di un unico fenome­ no e nella varietà degli oggetti di una classe un Unico Oggetto. Tutta la varietà dei contrasti umani si riduce alla scoria della coppia fondamentale Uomo-Donna. La donna grazie alla sua unicità risulta Madre e Moglie di quest'unico uomo. L'Uomo muore ciclicamente nell'at­ to del concepimento e risorge nell'atto della nascita, rivelandosi come figlio»)"'· Così, man mano che si svela l'identità micologica della vielle, il cavaliere di Cocuce appare sempre più una trasformazione comica del "con­ quistatore", o, se si vuole, l'estremo avatar di Edipo. In fondo, neppure Audigier conosce suo padre, morto più o meno in concomitanza con la nascita dell'erede e da questi soppiantato in tutto e per tutto, gusti barbari, inettitudine alle armi, inclinazioni coprofagiche, quindi simbolicamente ucciso dal figlio-replicante. Né la rusti­ citas contraddice quest'interpretazione, giacché molte dinastie medievali hanno avuto per leggendario caposti­ pite un re contadino, fornitore di cibo, in cui si ritrova il mito antico dei re e degli eroi dispensatori di nutri­ mento (con chiara sovrapposizione della terza funzione, quella dei laboratores, alla prima, quella dei bellatores): come Piast, arator, agricola e porcaro, fondatore della prima dinastia polacca, o il re porcaro dei Bretoni. Si legge infatti nella vita di san Germano: Germanus igitur dei mandato subulcum cum uxore uenire fecit er universis srupenribus regem constituit et ex cune re­ ges ex subulci genere prodeunres dominantur gemi Briro­ num 1s1 . [Germano, per ordine divino, mandò a chiamare il porcaro e sua moglie, e tra lo stupore generale lo proclamò re; e da allora la sovranità sulla nazione dei Bretoni appartiene a re provenienti dalla dinasria di un porcaro] .

Ma anche Tristano appare nelle triadi gallesi (anterio­ ri al XII secolo), oltre che come il primo dei tre più celebra­ ti amanti, fra i tre guerrieri più valorosi e fra i tre più po67

Introduzione

tenei guardiani di porci'". Pio Rajna cita inoltre un curio­ so dertaglio riferito da un cronista bizantino, Teofane Isaurico, che attribuisce ai re Merovingi il soprannome kristdtai «perché lungo la spina dorsale crescevano loro se­ tole come a porco». «Mitico e pagano di origine - com­ menta Rajna - il segno dei reali merovingi non poteva di certo avere primitivamence forma di croce» (il niello caro­ lingio); «Scemo tuttavia a credere che esso fosse quale ri­ sulterebbe» dalla testimonianza di Teofane 159 • Eppure è probabile che proprio quello fosse il mitico " contrasse­ gno" primigenio, riflesso di arcaiche credenze - se non proprio relitto totemico -, poi degradato a mera caccia di belluinità: la stessa caratteristica distingue nella Chanson de Roland i pagani Micenes (divenuti Meres nel Rolands­ lied): «E l'alcre [esche/e] aprés de Micenes as chefs gros; I sur !es eschines qu'il une en mi !es dos I cii sunc seiét ensemenc cume porc», "L'altra schiera è quella dei Micenes dalle grosse teste; sulla spina dorsale, in mezzo alla schiena, hanno setole proprio come i maiali". Non sarà un caso che di soie, "setola", si parli anche a proposito di Grinberge (v. 296), donna-animale che, a suo modo, elargisce la so­ vranità. Le profezie di Rainberge (v. 173: «il vaintra encor mole de poigne'iz», "'vincerà certo molte battaglie") e dei fratelli (v. 369: «conquerroiz terre par voz fierté», "conquisterete terre con le vostre prodezze"} , che suona­ no ridicolmente antifrastiche rispetto alla conclamata codardia del personaggio, racchiudono in fondo una buona porzione del significato più riposto del poema. Dopo la duplice iniziazione, cavalleresca e grinbergiana, !'"eroe" è pronto per il matrimonio (anche se in questo caso non si tratta della solita principessa, ma della squal­ lida Troncecrevace) e per entrare in possesso della terra, simboleggiata dal prael. Nel corso della lunga lotta con Grinberge, Audigier è passato attraverso tutte le espe­ rienze fondamentali della vita umana: la morte (simbo­ lica} , la rinascita, infine una vera e propria hiérogamie

I

I

du conquérant1".

68

Introduzione

L'amplesso mimato sul letamaio e l'aspetto ripu­ gnante della vecchia rinviano a un motivo centrale della mitologia celcica, quello del banai"s regi o matrimonio del re. La sposa, che rappresenta simbolicamente la terra degli antenati, la Madre Terra, è di norma una creatura d'aspetto raccapricciante: tale è, ad esempio, Mor Mu­ man161 , prima di giacere col re. Nel poema che narra le vicende dei figli del re D:iire Doimthech, una vecchia strega appare ai giovani che si stanno dividendo un bot­ tino di caccia accanto al fuoco e lancia la sua sfida: «Uno di voi dorma con me tutta la notte o vi divorerò». Si offre Luga"id; ma quando il fuoco si spegne la turpe megera si trasforma in una splendida fanciulla che porta a Luga"id la sovranità sull'Irlanda. Di un'avventura simi­ le è protagonista Niall Noigiallach, che, in viaggio coi fratellastri, incontra presso una fontana un'orribile stre­ ga; come pedaggio per consentire di attingere l'acqua, la vecchia pretende un bacio sulla bocca. Il solo N iall supera la non facile prova, e naturalmente avviene la metamorfosi'". Ancor più sconvolgente è il coito ferino imposto agli antichi sovrani celti e descritto con palese imbarazzo nella Topographia hibernica di Gerardo di Cambrai: in questo rito che sembra risalire alla preisto­ ria indoeuropea, argomenta De Vries, siamo di fronte alla rappresentazione di uno hieròs gdmos tra il re e la terra, con sostituzione di una giumenta alla donna soprannaturale (ma è significativo che dallo stesso ani­ male - celt. *epos - prenda il nome Epona, dea celtica dei cavalli e della prosperità; e che in Arcadia proprio Demetra, la dea Madre per eccellenza, fosse rappresen­ tata sotto forma equina)"'. Nel pensiero mitologico, il rapporto sessuale è insomma l'atto col quale il "conqui­ statore" prende possesso della Terra e acquisisce la conoscenza dei suoi segreti. Attraverso quest'esperienza è passato anche Wotan, come rivela la stessa Erda - la Madre Terra - nel Siegfried wagneriano (atto III, scena I), attribuendo al dio-sciamano la paternità della valchi­ ria Brlinnhild: «mich Wissende selbst I bezwang ein 69

Introduzione

Walcender einsc», "io, che possiedo la conoscenza, sono stata posseduta da un dominatore". La lassa xxxv di Audigier implica del resto una sim­ bologia onirica agevolmente decifrabile, se si considera il sembiante materno che s'intravede costantemente dietro i tracci demoniaci della chaucho-vièio: Avere commercio con la madre srando supino ed essere caval­ cato da lei, secondo alcuni preannuncia morte al sognante; infatti la madre corrisponde alla terra, in quanto la terra è nutrice e genitrice di tutti: e questa sta sopra i morti, e non sopra i vivi164 •

È dunque quesc' oscura minaccia di morte (perenne al­ legoria della vicenda umana: «l'un des deux parcenaires saisira l'aucre. L'homme régnera sur la terre, ou bien la terre ensevelisseuse le recouvrira pour toujours»)1 " che in­ combe, socco forma di Grinberge, vecchia strega e don­ na-animale, sul giovane Audigier. Ma questi, dapprima soccombente al cauchemar, riesce d'improvviso a ribalca­ re la situazione. «Ceci - osserva Marie Delcourc166 - nous ramène au problème de l'incube: suffiraic-il, pour domi­ ner celle-ci, de la remeccre à sa piace nacurelle?» Anche Audigier, come Edipo che vince d'astuzia la Sfinge risolvendo l'enigma, trova la parola (v. 423) che gli consente, neutralizzando il mostro infero e la sua potenza mortifera, di ritornare libero e adulto al suo paese; in alcri termini, il mot de passe della vitcoria167 • Così l'iniziato scampa, almeno una volta, al rischio capitale, dimostrando una superiorità sulle forze distrut­ tive che lo abilita al suo arduo compito di portatore di vita, di "eroe culcurale". Audigier appartiene di diritto a cale categoria, per aver sperimentato di persona la rever­ sibilità della successione vita->morce. Tra questi due poli drammaticamente opposti, egli può porsi come mediatore. Ma cucco il cesto, a ben guardare, è domina­ to dal senso di una contraddizione insormontabile, di un equilibrio eternamente precario. Nei personaggi 70

Introduzione

convivono tratti positivi e segni funesti, ombre sinistre evocatrici di un ineluttabile destino di morte. La tensio­ ne bipolare si riverbera anche sugli oggetti, e corrispon­ de a una sempre irrisolta funzione mediatrice. Il leta­ maio, tomba di Turgibus e luogo di festa, di quero!es, è intermedio fra il paese (la casa, la famiglia, la sicurezza) e l' aree, il campo lavorato ma spoglio di messi (luogo di pericolo, di forze ostili, non a caso teatro della lotta con Grinberge); come variante dell'aree troviamo il marés, in occasione del matrimonio di Turgibus, a simboleggiare l'agguato degli influssi nefasti nei riti di passaggio. Il significato della nozione "campo" come equivalente di "spazio estraneo", in rapporto all'opposizione domi/foris, è stato analizzato in maniera eccellente da Benveniste'". Sinonimo di foris in !acino è l'avverbio peregri, peregre (donde peregrinus, 'straniero"), tracco da ager; mentre in armeno artalts, "fuori" (derivato da art, ''campo"), in lituano !aukè, "fuori" (da !aukas, "campo", cfr. lac. !ucus), in irlandese immach, "fuori" (da *in mag, ai "camp") atte­ stano un analogo slittamento semantico. «Da questi ter­ mini diversi, ma paralleli, risulta la stessa immagine di una relazione antica: il campo incolto, lo spazio deserto opposti al luogo abitato. Al di fuori di quella comunità materiale che costituisce l'habitat familiare o tribale, si estende la landa; lì inizia ciò che è estraneo, e ciò che è estraneo è necessariamente ostile. L'aggettivo greco deri­ vato da agròs "campo" è dgrios che significa selvaggio, e che ci dà in qualche modo il contrario di ciò che in lati­ no si indica con domesticus, e che ci riporta a domus» 169 • In questo senso, "forestieri" e "selvaggi" sono anche i charretier - uomini itineranti - e i charbonnier - uomini della foresta - che assistono ali' adoubement di Audigier insieme alle temibili vie!!es grinbergiane' 70 • 5. La catena delle mediazioni simboliche si estende ai cibi repellenti (ma cotti: i raz eschaudez, i corbeaus rost1) e all'abbigliamento miserabile, intermedi fra "cul­ tura" (alimentare o del vestire) e "natura" ostile (= fame 71

Introduzione

[herbot] , nudità). Nello stesso tempo è chiaro che i viez

sas inopinatamente assurti a dignità cerimoniale sono, come i pranzi nauseabondi, un simbolo d'inversio assai più che una descrizione realistica dell'indigenza medie­ vale 171 . Abbiamo visto che la perversio del gusto e dell'ol­ fatto entra anche nel rito iniziatico, contribuendo a delineare un'immagine dell'aldilà come luogo dove uomini e cose assumono uno status opposto a quello della vita quotidiana (secondo una concezione ampia­ mente documentata nella pensée sauvage) 172 ; e si ricordi la mesnie del chalivali, nello pseudo-Fauve!, dove «Li uns ont ce devant darriere vestuz et mis leur game­ menz; li aucre ont fait leur paremenz de gros saz et de froz a moinnes» (vv. 698-701 )173 • Il rovesciamento attri­ buito ai morti è recuperato nel rito, nella mascherata propiziatoria ancorché oscena e ribalda, come un modo privilegiato per entrare in contatto con "l'altro mondo", per farsi simili a coloro che si ritiene collaborino, nella loro dimora sotterranea, ali'oscuro travaglio della fucina inferica, perennemente intenta alla trasformazione della morte in vita. Digeriti nel ventre della terra, diventati concime, fertilizzante, anch'essi partecipano alla rico­ struzione di nuove vice: la loro ricomparsa nei momenti cruciali del ciclo annuale o dell'esistenza umana assume dunque il significato di un'autorevole assicurazione sulla continuità del processo vitale di cui si pongono come controllori e garanti: la morte non prevarrà, anzi Ploutg_n, il signore degli Inferi, si trasforma in Ploutos "Ricchezza", fanus itaque fenus fait.

I

I

I

6. D'altra parte, se l'unico patrimonio di Cocuce è, paradossalmente, lo sterco (persino la spada di Audigier sembra intrisa di jus de viez famier [v. 294] , di quel «buon sugo» che «è il cibo della terra»), si tratta pur sempre d'una ricchezza autentica, presupposto di tutte le altre. Come ricorda un informato cultore di linguag­ gio popolare e di usanze rurali toscane (Marchetti, Il Borzacchini, s.v. sugo), 72

Introduzione

l'elogio della merda è parte principale della Weltamchauung del conradino roscano di rurri i rempi, riassumendosi in essa gli esiti e i princlpi del grande ciclo della natura; il suo culto raggiunse riti paradossali culminami nel cosiddetto assaggio del "perugino" (escremenro umano raccolro e a lungo matu­ rato nei bottini), ancora praticato in questo dopoguerra in alcune pani della campagna lucchese; esso consisteva nella degustazione da parte di un esperto, assai stimato e corteggia­ to, di campioni diversi di questo impareggiabile fertilizzante onde stabilirne l'acidità.

Non siamo molto distanti dalle scorpacciate escre­ mentizie di Audigier. Il prezioso letame, dunque, è la garanzia della fertilità, l'antidoto contro le carestie; la vera cuccagna di Cocuce, in un medioevo ignaro di concimi artificiali: Restano i concimi naturali, che sono decisamente insufficienti [ ... ]. Fra gli animali, d'altronde, quelli che vivono nella e della foresta sono allevati più volentieri degli altri: suini e capre, il concime dei quali va perduto in gran parte. Quello degli altri viene raccolto con cura, nella misura consentita dalla mobilità dei greggi, che pascolano la maggior parte del tempo ali'aria aperta e sono raramente chiusi nelle stalle. Gli escrementi delle piccionaie sono preziosamenre urilizzati. Un "vaso di sterco" è una grossa obbligazione dovuta talvolta dal fittavolo al signore. Viceversa gli agenti privilegiati dei signori - è il caso ad esempio dei prebendari che amministrano cerri domini, come a Munchweier in Germania nel Xli secolo - ricevono come sala­ rio «il concime di una vacca e del suo vitello e le spazzature del­ la casa,) per la terra dei loro tenimentd74 •

La donazione nuziale di Rainberge («plain poig de beuse», v. 69) e il doaire di Turgibus («.xv. escrons de chien», v. 75), seppur esigui e grottescamente rusticani, non dovevano poi apparire cosl assurdi e inverosimili come risultano oggi alla nostra sensibilità urbana. Il medioevo sembra intrattenere un rapporto profonda­ mente diverso dal nostro con siffatte realtà fisiologiche. Basca leggere gli sconcertanti documenti riportati dal 73

Introduzione

Du Cange s.v. bombus (= crepitus, con l'opportuna glos­ sa «invenitur etiam pro sono culi»). Vi si parla di un tal Baldwinus «qui tenuit terras in Hemingston in Comi­ tacu Suffolciensi per serjanciam, pro qua debuic facere die Natali Domini singulis annis coram domino Rege unum saltum, unum suffietum, et unum bombulum» (ossia: «ut salcaret, buccas inflaret, et ventris crepitum ederet»)1 75 , nonché di una strana imposta sulle prostitute forestiere: lrem insuper qualibet fìlia communis sexus videlicet viriles

quoscunque cognoscente de novo in villa Moncis Lucii eve­

nience 4. den. semel aut unum Bombum, sive vulgariter Pet, super pontem de Castro Montis Lucii solvendum.

Se un pet si poteva so/vere, aveva dunque un suo valore oggettivo, ben proporzionato al doaire marita­ le, perfino il contre-augment de dot di Rainberge («.iiii. pez li a fec sor le viaire», v. 77); siamo insomma nei paraggi dello Schlarajfenland tedesco e del Luilekkerland neerlandese - equivalenti germanici del paese di Cucca­ gna -, dove «un peto vale un soldo di Bingen, ere rutti un tallero di Sankc Joachimsthal» 176 • Naturalmente l'ambientazione rurale di Audigier sol­ lecita interpretazionifaciliores, in chiave di satira antivil­ lanesca. Il topos del "vilan puzolento", del rusticus che merdat ubique, divulgato in termini paradossali dal fabliau del Vilain asnier (che crolla svenuto all'odore delle spezie di Montpellier e si rianima soltanto quando sente il familiare profumo del letame), si sovrappone agevolmente ai significaci simbolici. Ma si ricorderà che l'inversione degli odori caratterizza anche la liturgia bla­ sfema del Festum stu!torum (al posto dell'incenso, dal turibolo emanavano effluvi di vecchie suole), i cui pro­ tagonisti risultano essere «sacerdotes et clericos» 177• Inolcre Cocuce condivide con la terra ove Turgibus fu allevato, la Lombardia (v. 19), i gusci aberranti docu­ mentati da Aio!: 74

Introduzione

8860

" Va t' en de chi, Lonbart, li cors Dei mal te fache! Tane as mangier, con peus, de soris er de rares, et tant de le composte, de presure et de rapes, jument me sambles plain(s) u asne [u pare) u vache''.

["Vattene, Lombardo, che Dio ti maledica! I Hai mangiato topi e ratti a più non posso, I e canta composta, latte cagliato e graspi, I che mi sem?,ri una bestia da soma satolla, o un asino, o un porco, o una vacca ] .

Ora, la Lombardia è la terra della ricchezza: l'ecce­ zionale sviluppo economico dell'Italia settentrionale, a partire dall'inizio del XII secolo, «impose au monde occi­ dental l'image d'une Lombardie, royaume de l'argent et de la richesse»'". Logico quindi che gli abitanti di quella regione siano sempre «gros et pençu», " grossi e panciu­ ti" (Narbonnais, v. 1 579) ; anche Guinehot, il messagge­ ro «nés. . . de Lonbardie» di Aio!, «ot grose la panche», e per giunta era sempre ubriaco («bevoit cascun(s) jor tane qu'il estoit tous ivres». Si pensa alle propensioni potato­ rie di Turgibus, nonché al ventre maire esibito da Audigier: l'obesità è «signe non équivoque de leur goin­ frerie» 179 , di un'ingordigia che non guarda tanto per il sottile quando si tratta di rimpinzarsi). Naturalmente i Lombardi sono anche coart (Narbonnais, v. 1 582), per­ ché l'ideologia trifunzionale associa costantemente le due nozioni di ricchezza e codardia (il coraggio è privile­ gio dei guerrieri, cioè dei rappresentanti della seconda funzione): coart come Turgibus che «se muce», "si nasconde", non appena sente gridare all'armi, o come il suo degno erede Audigier, «de toz !es coarz li plus failliz» (v. 1 06; cfr. anche w. 255-256). La miglior peiformance del conte padre nelle arti marziali resta infatti la trafittu­ ra di un'ala di farfalla, impresa che ricorda da vicino un diffuso topos, «il Lombardo e la lumaca»'". Sono altre le imprese in cui i Lombardi (e la stirpe di Cocuce, a giu­ dicare dal fulmineo concepimento di Audigier, v. 1 04) non temono confronti; ampi ragguagli al riguardo ci fornisce l'inesauribile Aiol, w. 8845-8854: 75

Introduzione

"A la foi, enperere, pecié dires er mal des gens de Lonbardie que a rei rorr blamas: il sonr boin chevalier quanr viene as cos donar. Marrinobles mes peres ne fu mie buinars: s'il vie frane chevalier qui a sainc Piere alasc er il or bele dame que mes peres amasr, ainc ne vei'sces home qui plus cose les corbast: encore en a en France .c. chevalier[s] basrars. J'oi' dire mon pere, si sai qu'esc veritas, que vous estes mes freres: venés, si me baissas!". ["In fede mia, imperarore, voi dire pesce e corna J dei Lombardi, ma a rorro li biasimare: I sono cavalieri valorosi quando si rrarra di dar colpi. I Mio padre Marrinoble non fu cerro uno sciocco: I se vedeva un cavaliere francese diretto a San Pietro, I e questi aveva con sé una bella dama che piacesse a mio padre, I ebbene, mai nessuno fu più svelto a metterle distese: I ci sono ancora in Francia cento cavalieri bastardi. I Ho senriro dire da mio padre, e so ch'è vero, [ che siete mio fratello: venite, datemi un bacio!"]

7. Come diretta conseguenza della codardia (non della povertà!) è presentato, in Aio!, anche il pasto disgustoso: il re di Francia - rinfaccia l'enperere suo figlio a Guinehot -, a conclusione di una spedizione punitiva contro i Lombardi «lor fist mangier ras et grans cas surceor[s] ; I encore en onc li oir reproivier et li lour» (vv. 8842-8843), "fece mangiar loro ratei e gattoni acchiappatopi; I ancora ne hanno biasimo quelli della loro geme e i loro eredi". Audigier invece tiene discinti i due motivi; a livello superficiale, è piuttosto nella mise­ ria la giustificazione dei cibi raccapricciami (tant'è vero che i vv. 133- 134, «Assez orent a boivre, qu'il oc pleti, I que devant la maison coroic li ruz», evocano la cantina di Marcolfa, che come ognun sa era «un limpido ruscel­ lo d'acqua»). Ma ancora una volca c'è Jan-l'an-pres a confermare l'interpretazione simbolica che scorge in quegli strani menu un segno d'inversio, un indizio di presenze inferiche; e diciamo pure di morte. «Remarquons que d'aucres versions méridionales d'AT 332 [la fiaba intitolata, nella classificazione di Aarne76

Introduzione

Thompson, La Morte Madrina o Il figlioccio della Morte] insistem également, tout comme le fait Jean­ l 'ont-pris pour le repas nupcial, sur le misérabilisme du repas baptismal, dès lors que la More y est partie pre­ nante»'": è chiaro infatti che in ogni situazione liminare aleggiano gli ambigui influssi che promanano dalla Morte percepita nel duplice aspetto di spietata negatrice della vita e di evento necessario per la continuità della vita. Così non sorprende la comparsa di analoghe carat­ teristiche macabre nel banchetto nuziale di Turgibus e Rainberge, allietato da un'imbandigione di «corbeaus de viez rosei» (v. 95), e in quello di Truquette e Margot, ove il piatto forte è costituito da carne di volpe e da «mi egea dougena d'agassas» [ 17], una mezza dozzina di gazze: vi si aggiunge nella seconda versione [ 1 7a] «un bon parei de croupatasses», un bel paio di corvi arrostici allo spiedo («que viravoun a la brocha»}. Si tratta in entrambi i casi di uccelli del malaugurio, emblema di forze malefiche. Altro pranw "selvaggio" in onore del neonato Audigier, «un escoffle pris a la glu» (v. 1 3 1 }; e di nuovo escoufles, corneilles e corbeaus (v. 451) figurano tra i bons morseaus preparati dal sordido cuoco Hercaut. In jan-l 'an-pres anche le gazze sono un manicaretto gustato con soddisfazione dalla grand-mère!Mort e dal nipote, che per procurarsene il nido aveva rischiato l'os­ so del collo: «n'en fagueren un regobis embé ma grand», "ci facemmo un bel pranzetto, io e la nonna". Ecco però che l'uccello del malaugurio riappare al di fuori dell'àm­ bito gastronomico: Margot, madre di Jan e figlia della grand-mère/Mort, ha un nome parlante in lingua d'oc: «Faut-il rappeler que le moc Margot, en occican, n'est pas seulement le diminutif du prénom Marguerite. Margot [ ... ] veut dire aussi la pie (oiseau de malheur} et meme tout simplement la More»'". La grand (peraltro dispensatrice di prosperità)'" riflette dunque sulla figlia le sue funeste prerogative: un po' come Grinberge, che abbiamo visto espandersi nelle figure vicarie di Bougise, Poitron Bemous e dell'anonima figlia col «vis de comi!77

Introduzione

le» (v. 270: ancora un uccellaccio). Ma in Audigier tutti i personaggi femminili recano contrassegni di morte (ivi compresi gli animali infausti, mai di sesso maschile: l'a­ snesse, la vie/le fisse e la chate borgne lugubri protagoniste nel desolato scenario della carestia; mousches e chauves soriz assassine di Turgibus: cfr. n. ai vv. 109- 1 1 1 ) e reci­ tano ruoli intercambiabili. Grinberge e Bougise, appa­ rentemente ostili ali'" eroe", in realtà sono artefici della sua rigenerazione, gli trasmettono una carica fecondatri­ ce; d'altra parte i due poli positivi, Rainberge e Troncecrevace - che portano ricchezza col loro inesau­ sto chi'er1" - svelano tratti inquietanti, oscure premoni­ zioni di sventura. Intanto Rainberge è borgne: il testo non specifica quale sia l'occhio non funzionante, ma gioverà ricordare che «L' rei! gauche, quand il reste seul ouvert, c' est le mauvais rei!, celui du revenant, du more qui n'est pas vraiment more et qui viene tourner autour des vivams, comme un fantome, pout !es faire mou­ rir» 185 (come difatti succederà al buon Turgibus); «Le borgne de !'rei! droit évoque la More ... et aussi la grand­ mère» 186, che nasconde il suo occhio guercio 187 dietro tre scatole di fiammiferi e raccomanda al nipote di portare il cappello «sus l'io! drech». Non a caso la Mort­ Marraine condivide questo difetto fisico con l'ambiguo dio germanico della guerra e dei morti, così incline ai travestimenti femminili (tra i suoi tanti heiti - i "modi in cui vien chiamato" - figura appunto Grimnir, "il mascherato"): è lui, Odino «uno semper contentus ocel­ lo» [cui basta un occhio solo] , il vecchio orbo che si prende cura, quasi a far le veci della nutrice morta, del principe danese Hadingo, e che cela abitualmente il volto dietro un cappello («os pilleo obnuptum») 1". Per parte sua Troncecrevace, figlioccia di Rainberge, mostra caratteristiche non meno preoccupanti della madrina: «Plus a !es ongles granz que bec de pie, ainz ne lava ses mains jor de sa vie, si n'ot onques la roie du cui torchie» (vv. 46 1 -463). Naturalmente si pensa al motivo folclorico dello "sposo sudicio", ben noto alla

I

78

I

Introduzione

fiaba russa e tedesca (il divieto di lavarsi, cagliarsi le unghie ecc. vale anche per la fanciulla, e costituisce una specie di preparazione al matrimonio)'"; ma non è cerco un caso che nella descrizione della sposa di Audigier rispunti l'uccello-Morte caro ajan-l 'an pres, la pie.

9

Audigier, sistema mitologico 1 . Possiamo a questo punto trarre le conclusioni del nostro lungo excursus. Socco la crosta dell'irrisione ai dan­ ni del rusticus, dietro lo sberleffo ai luoghi comuni dell'e­ popea e il rabaissement comico-scatologico degli eroi del roman (che sembra strizzar l'occhio allo stile deifabliaux), c'è qualcosa di ben diverso in Audigier. Vi pulsa una co­ smologia primitiva, a suo modo coerente, corredaca di cuc­ ci i miti che le sono propri: miti sopravvissuti alla rimo­ zione perché esorcizzaci, quasi sterilizzati (come canee vol­ te nella fiaba) da un'astuta trasformazione comica. Ne consegue, e lo abbiamo verificato, che la maggior parte de­ gli episodi è leggibile a due livelli, uno leccerale-burlesco, l'altro simbolico-micologico. Prendiamo un caso dei più emblematici, quello di Audigier penzolante dal cespuglio «par l'esperon" (v. 247). Si nocerà come l'incidente oc­ corso al buffo eroe di Cocuce evochi, ovviamente in ver­ sione comica, l'avventura iniziatica di Odino-Wocan ap­ peso al frassino Yggdrasill, l'albero della vita e della mor­ te, prima di acquisire la conoscenza sciamanica rappre­ sentata dai segni magici, le rune: «Lo so che sono stato ap­ peso al tronco scosso dal vento I nove intere notti" "0 • A parte il risvolto grottesco dell'albero degradato a buisson (quasi una variante bonsai dell'Yggdrasill), l'analogia con la vicenda odinica è ancor più sorprendente in Audigier soprattutto per la mancanza di ogni riferimento cristia­ no'" - che nell'episodio della crocifissione di Ghibellino narrato da Andrea da Barberino nel Nerbonesi, dov'è in­ vece evidentissima l'influenza del racconto evangelico: 79

Introduzione

Ghibellino présence avec Odhinn clone il esc l'avatar loincain [ ... ] une curieuse ressemblance: l'un et l'aucre onc subi, jusqu'à une "presque mort", le meme supplice: la pendaison, le premier sur une croix, le second "à l'arbre battu des venrs" [si ricordi Audigier scaraventato a terra da un colpo di vento,

v. 248] ... La crucifìxion du Narbonnais ne seraic-elle pas la mé­ tamorphose médiévale ec chrétienne d'un mocif archa1que qui désignait le giovinetto comme une figure odinique, comme un procégé épique du "dieu des pendus"?'"

Audigier, in assenza del superstrato neotestamentario ispirato alla Passione, sembra invece fondere due tradizioni distinte e distanti, legate però da una singolare affinità forse riferibile al «motif archa"ique» ipotizzato da Grisward: da un lato l ' esperienza odinica tràdita dal mi­ to germanico, dall'altro il racconto della tragica fine di As­ salonne che si legge nell'Antico Testamento (II Sam., 1 8 , 9- 1 0) 193 • Nonostante l a postura capovolta rispetto a l pro­ babile archetipo biblico (quella di Audigier è la posizione a testa in giù caratteristica dell'Arcano Maggiore XII dei tarocchi, l'Appeso), la responsabilità del brocco Audigon nell'infortunio è un richiamo esplicito alla storia del principe ribelle: accidit autem uc occurreret Absalom servis David sedens mu­ lo; cumque ingressus fuisset mulus subter condensam quercum

et magnam, adhesic capuc eius quercui et ilio suspenso incer caelum et cerram mulus cui sederac pertransivic. Vidic aucem hoc quispiam et nunciavit loab dicens: "Vidi Absalom pendere de quercu". [Accadde che Assalonne, in groppa a un mulo, s'imbatté nei sol­ dati di David. Entrato il mulo socco una quercia grande e fronzu­ ta, la testa di Assalonne rimase impigliata nei rami; e mencre egli rimaneva cosi sospeso tra cielo e cerra, il mulo da lui moncaco passò oltre. Un tale vide questa scena e ne riferi a Gioab dicendo: "Ho visco Assalonne appeso a una quercia".] Non sarà una postrema reviviscenza del motivo, nel romanw dell'abate Fabre (così attento ai dati folclorici), 80

Introduzione

l'incidente di Jan che, nel tentativo di arraffare il nido di gazze, precipita dall'albero e rimane appeso a un ramo per i capelli (fortunatamente folti e robusti come un cespu­ glio di rosmarino), a mo' di lanterna, «penjat couma una lanterna»?'" Ma le "agnizioni di lettura" arrivano fino a Pinocchio impiccato a un ramo della Quercia grande, mentre «un vento impetuoso di tramontana [ ... ] , soffian­ do e mugghiando con rabbia», lo sbatacchiava «come il battaglio d'una campana che suona a festa» (cap. xv). Neppure un episodio in apparenza banale come la morte di Turgi bus si sottrae alla regola della polivalenza, della stratificazione di motivi. Il poverino, si sa, cade vit­ tima dell'assalto congiunto di lugubri o disgustosi ani­ maletti (pipistrelli, scarabei stercorari, mosche): e fin qui nulla di strano, trattandosi d'incidente tipicamente villa­ nesco. Ma più interessante è un'altra constatazione: l'a­ neddoto dello sciame infuriato è, come causa scatenante d'improwise manifestazioni di follia/eresia (l'equipara­ zione domina tutta la cultura medievale), un autentico to­ pos storiografico: Quidam enim ex Biturigo, ut ipse poscmodum est professus, dum saltus silvarum ingressus ligna caederet explendam operis cuiusdam necessitatem, muscarum ei circumdedit examen, qua de causa per biennium amens est habitus; unde intellegi datur, diabolici emissioni, fuisse nequitiam"'. [Un tale di Bourges, infatti, com'egli stesso confessò più tardi, en­ trato nel folto dei boschi per tagliare la legna che gli serviva per un suo lavoro, fu circondato da uno sciame di mosche, e in seguito a questo episodio per due anni si comportò da pazzo; donde si può capire che nell'accaduto c'era stato il malvagio influsso di un in­ tervento del diavolo].

L'amens comincia infatti a predicare, a far proseliti, spacciandosi per profeta e addirittura per Cristo; inter­ rotto alfine, in questa sua estemporanea attività, dalla morte owiamente violenta. Un caso analogo (fin troppo!) è raccontato da Rodolfo Glabro: 81

Introduzione

Excicic circa finem millesimi anni homo plebeius in Galliis apud vicum Virrucis vocabulo, in pago Cacalonico, Leucardus nomine, qui, uc finis rei probavic, Sacane legacus credi pocuic; cuius eciam vesaniae pervicacia hoc exordium habuic. Moraba­ cur enim aliquando solus in agro quippiam rurali, operis pe­ raccurus. Qui ex labore somno depressus, visum est ei uc gran­ de examen apum in eius corpus per secreta ingrederetur natu­ re; quod etiam per illius os nimio cum strepitu erumpens cre­ bris illum punccionibus agicabac [ ... ] "'· [Verso la fine dell'anno Mille ci fu in Gallia, presso il villaggio di Verrus nella regione di Chilons, un plebeo di nome Leucardo, che, come dimoscrò l'esico della vicenda, poceva esser ricenuco un emis­ sario di Sacana. La sua inguaribile follia si manifescò cosl. Un gior­ no si crovava da solo nei campi per fare qualche lavoro agricolo; col­ co dal sonno per la facica, gli sembrò che un enorme sciame d'api gli encrasse in corpo passando per un orifizio nascosco e uscendogli dal­ la bocca con grande fracasso lo cormentasse con fine puncure].

Lo sciarne d'insetti dà corpo e risalto visivo a una realtà mentale, l'aggressione di forze diaboliche che ingenerano follia; l'eretico come ossesso, assillato (in senso etimolo­ gico: asilus è il tafano) dai pungiglioni demoniaci. Anco­ ra una voltaAudigier si distingue per la trascurabile entità del superstrato cristiano: come la «pédagogie par la Mort» 197 non è un rapporto madrina-figlioccio ma un'i­ niziazione violenta, " selvaggia", come la pendaison sem­ bra riflettere un arcaico e, in origine, cruento mitologe­ ma (l'appeso Odino è "da una lancia ferito"; Assalonne muore trafitto dalle tre lance di Gioab), così le bestiole as­ sassine (implacabili si rivelano soprattutto le mosche, che seppelliscono il malcapitato sotto i loro escrementi adot­ tando la stessa tecnica degli Yaboo swifriani) non hanno implicazioni eretico-demoniache: sono soltanto la mani­ festazione tangibile, l'uscita allo scoperto delle forze mor­ tifere in agguato da sempre. L'esito dell'attacco non può essere che letale: rilasciato lo sfintere, Turgibus ilfollis dà via libera alla sua anima, dando pratica dimostrazione del­ le parole pronunciate dal suo illustre predecessore sul le­ tamaio: «Ventus est vita rnea» (Job 7, 7). 82

Introduzione

2. Ma cerco il destino di Audigier fu di «faire !es che­ valiers rire», "di far ridere i cavalieri", come c'informa il TornoiemenzAntecrist'". E agli aspetti più coloriti ma an­ che più superficiali (l'accumulo di pez, estrons, poitrons, i ritratti grotteschi) s'ispirarono abbondantemente gli epi­ goni. Le Fatrasies d'Arras esibiscono tracce audigeriane nel «plain poing de neste ordure», "pugno pieno di linda soz­ zura" (1, 1 O: cfr. Audigier, v. 69), in un «pec ec demi», "un peto e mezzo" (2, 6: cfr. Audigier, v. 322) e in varia og­ gettistica non estranea a Cocuce (come i sacchi bucaci, «deus saz croez», di 26, 4: cfr. Audigier , v. 500). C'è an­ che un'eco dell'incidente che costò la vita a Turgibus: «Uns escharbos l'asailli», "l'assalì uno scarafaggio" (45, 7). Nel Fatras di Wacriquec riecheggiano invettive proferite da Audigier contro Grinberge: «Orde vielle, puans rufi­ ne», "Sporca vecchia, ruffiana puzzolente" ( I 7, 12); «Oscés vo cui, qu'il ne poie», "Spostate il culo, che non faccia peci" (18, 12); né potevano mancare gli osceni ba­ ci al fondement, con ricco contorno di particolari disgu­ stosi (5; 1O; 23) e di sconfinamenti coprofagici (5; 12; 19). Quanto alle sottes chansons, l'importanza di Audigier co­ me fonte ispiratrice era già stata soccolineaca da Ll.ngfors: «!es socces chansons du ms. I révèlent couc au moins une de leurs sources d'inspiracion en nommant, par deux fois meme, un personnage liccéraire d'une célébricé facheuse: "Adengier le marcir" (i 4), "le vaillant Adengier" (iii 23)» 199. E cerco non è un caso che proprio la chanson dov'è citato il nostro eroe (ancora una volca confuso col padre Turgibus: «Ce j'escoie d'ausi pouxanc renon I con ja dis fuc li corcois Adangiés I ke par armes ocisc .j. pawillon», "Se fossi famoso I come fu un tempo il cortese Audigier I che con le armi uccise una farfalla") riveli un evidente in­ flusso del ritratto di Rainberge (peralcro variazione sul te­ ma dell'ejfìctio ad vituperium, genere ben noto alle artes medievali)''° in quella dama che «Borgne est des eus et bianche con cherbon», "è guercia e bianca come il carbo­ ne" (iii 7); «Douce est an chair: poc point plus ke char­ dom1, "Morbida ha la carnagione; punge appena un po' 83

Introduzione

più d'un cardo", ibid. 14; cfr. anche xvii 29-30: «Ec cam je sane son vaillam cors velu, I blanc et soeif, escaillam co­ me roche», "E quando semo il suo bel corpo peloso, I bianco e soffice, abrasivo come la roccia": il v. 74 di Au­ digier «si soefla trouva com une haire», "morbida la trovò come un cilicio", ha fatto scuola. Ma nelle sottes chansons, come nel fatras o nelle fatra­ sies, ogni elemento è subordinato al mero divertissement, al puro gioco verbale; come se un'immane esplosione, un apocalittico big bang avesse disintegrato la galassia Audigier, che era pur sempre un cosmo, funzionante secondo gli schemi - totalmente estranei all'etica e all'e­ scatologia cristiana - del pensiero mitologico. Di questo pensiero, che protetto dal suo rassicurante guscio comi­ co affiora con evidenza sconvolgente nell'anonimo poema, non c'è quasi più traccia nei prodotti fatrasici: ne restano soltamo i frantumi verbali, un nugolo di parole in libertà e di motivi disarticolati, spaesati bran­ delli «carnevaleschi» di un universo mentale ormai sepolto e confinato nell'inquietante oscurità delle me­ morie ancestrali.

Note 1 Jodogne, Audigier, p. 495. Per un regesto di scandalizzati giu­

dizi si veda Borghi Cedrini, Cosmologia, p. 7, e Braet, Audigier, p. 83. È significativa l'aggertivazione inflitta al bistrattato poema da S. Debenedetti, Flamenca, Torino 1921 , p. 21, a proposito del v. 191 1 del romanw occiranico in cui è menzionata la madre di Audigier ( «S'osta non semblet ges Ramberga, I ans fon bella dom­ na de ceira, I eissirnida e presenceira>) [l' oscessa non sembrava certo Raimberge, ] anzi era una bella donna d' aspecco curaro, [ accorta e di bella presenza]): «alla visra di una brava ostessa il poeta, con con­ trasto tagliente, la paragona a quella tal Raimberge del cinico, grot­ tesco e ripugnante Audigien,. A Ramberga dovrà riferirsi anche la citazione di Guilhem de Berguedan (menzionato come defunto nel I 196), «e•m cuidet dar l'ostai de Na Zamberga» [e pensò di darmi l'ospitalità di donna Rambergal, che non solo è ulteriore testimo84

Introduzione

nianza della diffusione occitanica del poema, ma già rivela, alla lu­ ce del verso di Flam enca, la precoce proverbialità dell'abbinamen­ to Raimberge-osta/ (che genera uno scherw osceno in Guilhem; su tale accezione di ostai cfr. la nota di N. Pasero a Guglielmo IX d'A­ quirania, Poesie, Modena 1973, p. 107). L'elenco delle occorrenze, che rettifica in parte l'approssimaciva cronologia di Conlon (Audi­ gier, pp. 24-6) comprende dunque: I) 1 173: Aio!; 2) ante l i 96: Guilhem de Berguedan, Trop ai estat sotz coa de mouton; 3) sec. Xlii in.: Huon de Villeneuve, Doon de Nanteuil (rimaneggiamento di una versione oggi perdura, circolante dopo la metà del Xli sec.; 4) 1227-29, Gerbere de Montreuil, Le Roman de la Violette ou de Gérard de Nevers; 5) 1236-70: Rucebeuf, Le pet au vilain; 6) terw quarto XIII sec. (?): Flamenca; 7) ante 1282? Adam de la Halle, L e jeu d e Robin e t Marion; 8) fine Xlii sec.: sottes chansons; 9) miracle D 'un e/ere cui nostre Dame delivra de se fame (interpolato era quelli di Gaucier de Coinci nel ms. Paris, Bibliothèque Narionale, fr. 2 1 62, c. 99v); 10) circa 1296: lettera di Edoardo I; 1 1) circa 1356: Florent et Octavien; 12) 141 1-32: Règles de la seconde rhétorique. ' ]. Bédier, Les fabliaux. Études de littérature populaire et d'hi­ stoire littéraire du Moyen Age, Paris 1893 (rise. anast. Genève-Paris 1 982), pp. 325-6 (a proposito dei fabliaux obscènes) . 3 Bibliografia in Jodogne, Audigier, p. 495, noce 2-5. Di P. Zumchor si veda anche Semiologia e poetica medievale, trad. ic. di M. Liborio, Milano 1973, p. I 07: «La sressa canwne di gesta pos­ siede la sua parodia in Audigier, che ne traspone sisremacicamente, in un contenuto scatologico, i procedimenti formali meglio rico­ noscibili». Sulla stessa linea, ma con interessanti aperture antropo­ logiche, Ch. Lee, I 'fabliaux' e le convenzioni della parodia, in Ch. Lee, A. Riccadonna, A. Limentani, A. Miotto, Prospettive sui 'fa­ bliaux'. Contesto, sistema, realizzazione, Padova 1976, pp. 3-41: «Tutti questi testi [ossia i fabliaux scatologici e «l'epico Audigier, un'opera che non è tradizionalmente compresa tra i fabliaux, ma che realizza una perfetta parodia della chanson de geste in termini grotteschi e fecali»] [ ... ] non sono affacco il prodocco di menti roz­ ze o perverse, ma sono piuttosto manifestazioni tipiche del carne­

valesco [ ... ] . In nessun caso, del resro, l'oscenità e la scatologia ac­ quistano connotazioni morbose, ma risultano sempre giocose e bef­

farde, mentre la tendenza verso l'infimo, e verso tutto quanto è le­ gato alla terra e alle parei basse del corpo è un ingrediente necessa­ rio nella rappresentazione del mondo alla rovescia» (pp. 28-9). ' M. Bonafin, Il viaggio di Carlomagno in Oriente, Parma 1987; Id., La tradizione del "Voyage de Charlemagne" e il ''gabbo ", Ales85

Introduzione

sandria 1990. La rilettura in chiave folclorica conferma e precisa l'interpretazione comico-parodistica del resto: la struttura da fiaba di magia rintracciabile nel Voyage appare perfettamente funziona­ le alla messa in burla degli eroi dell'epopea (da cui trapela forse ,. 90

Introduzione

49 Fiori, Pour une histoire, pp. 32-3. " Cfr. F. Cardini, Alle radici, p. 57, n. 98 (ivi bibliografia). L'A­ lexandre déca,yllabique aggiunge al rema dell'adoubement alrri mo­ tivi interessanti, come la "prova iniziatica" consistente nel domare il cavallo-belva Bucefalo (lasse 10-15), o la riluttanza del re Filip­ po a far cavaliere il giovane Alessandro, che ricorda il rifiuto del­ l'invesritura lamemato in Perceval, vv. 7544 sgg. (in proposito Fio­ ri, Pour une histoire, p. 29, n. 2, osserva: «On peut y voir à la fois un écho de la tendance qui se manifeste à recarder l'adoubemem des jeunes et la valorisation de l' aventure camme moyen de réta­ blir un ordre compromis»). Ma nell'Alexandre c'è qualcosa di più: vi serpeggia una sotterranea, inquietante rivalità tra padre e figlio che si esprime per bocca della folla nella lassa 35: «Dreiz empere­ res, per quei demores tane? I Dona a ton fìlz armes ... >> [Giusto im­ peratore, perché attendi tanto ? I Arma cavaliere tuo figlio... ). In prospettiva antropologica, parrebbe quasi una traccia dell'amico si­ stema di successione al trono studiato da Frazer (e recuperato da Propp, amaverso la fiaba, come suggestiva chiave di lettura per il mito di Edipo (cfr. Propp, Edipo, pp. 83-137) che comportava, an­ ziché una pacifica trasmissione del potere di padre in figlio, l'ucci­ sione del vecchio re da parte del nuovo (il genero, un non-consan­ guineo: significativa al riguardo la tradizione - si ricordi la pole­ mica di Alberico contro i fellon losengetour, v. 29 - che voleva Ales­ sandro figlio d'un encantatour e non del re Filippo). " Propp, Le radici storiche, pp. 359-60. " Ibid., p. 360. " Eliade, La na,cita mistica, pp. 75-9. Di Nola, Antropologia re­ ligiosa, p. 168, ricorda che nella Nuova Guinea la capanna costruita nella foresta a rappresentare il mostro che ingoia il novizio è chia­ mata ngosa, ovvero antenato, nonno. " Eliade, La na,cita mistica, p. 77. " Jbid., p. 79. " Acute intuizioni in J. M. Lotman, Fenomen kul'tury (Ilfeno­ meno della cultura, in Lotman, Testo, pp. 45-60): «La coscienza mi­ tologica è caratterizzata da un rapporto ciclico temporale chiuso. Il ciclo annuale è simile a quello delle 24 ore, la vita umana a quella vegetale [... ]; il rapporto organizzativo fondamentale è un rappor­ to di omeomorfismo» (p. 48). " Propp, Le radici storiche, p. 384: «Il motivo del duello col ser­ pente è derivato dal motivo dell'inghiottimento». " Jbid. , p. 1 O I. Sulla baba-jaga

91

Introduzione

" Su questo motivo cfr. S. Thompson, Motiflndex ofFolk-Li­ terature. A C!aJsification o/Narrative Elements in Folktales, Ballades, Myths, Fables, Mediaeval Romances, Exempla, Fabliaux, fest-Books, and Loca! Legends, 6 voli., Copenhagen 1955-1958 (F 9 1 1 : «Per­ son [animai] swallowed without killing»). "' Lecoureux, Mélusine, p. 56. 61 Cfr. M. Untersteiner, Le origini della tragedia e del tragico, Milano 1984 (ristampa riveduta e corretra della 2' ed. [ 1 955]), p. 385 e relativa bibliografia. 62 Le Golf, Tempo della Chiesa, p. 306. " L. Muraro, La Signora delgioco. Episodi della caccia alle stre­ ghe, Milano 1976, p. 54. 64 A. Wesselofsky, Alichino e Aredodesa, "Giornale storico della letteratura italiana", 1 1 (1 888), pp. 325-43 (il riferimento alla Re­ dodesa a p. 338). " Ibid., p. 342. 66 Su tale complesso di credenze si veda, in sintesi, il cap. Lafi­ ne delpemiero selvaggio in Storia del Medioevo, a cura di R. Fossier, 3 voll., 11, Ilrisveglio dell'Europa (950-1250), trad. ira!. di E. De An­ geli, Torino 1985; un'ampia analisi in Ginzburg, Storia notturna (Al seguito della dea, pp. 65-98). 67 Eccellenti osservazioni sulla struttura del pensiero micologi­ co in A. A. Potebnja, Mito eparola (trad. it. nel vol. La cultura nel­ la tradizione russa delXIX e XX secolo, a cura di D'A. S. Avalle, Tori­ no 1982, pp. 146-63): «nel mito [ ... ] il valore metaforico dell'im­ magine esiste, ma non viene avvertito dal soggetto, e l'immagine nella sua interezza, senza articolarsi in parti, si trasferisce comple­

tamente nel significato»; «la comparsa della metafora, che comporta la consapevolezza della differenza fra l'immagine e il significato, im­ plica la distruzione del miro» (pp. 149-51). " Jean Bodel,]eu, v. 505. Grima designa originariamente (G. Schramm, Namemchatz und Dichtersprache. Studien zu den zwei­ gliedrigen Personennamen der Germanen, Gi:ittingen 1957, p. 77) la maschera di ferro, dai tratti demoniaci o ferini, porcara dai guer­ rieri germanici per acquisire in bacraglia la ferocia e la forza del­ l'animale raffigurato. Cfr., a proposito della seconda parte del no­ me del lupo lsengrin, M. Bonafin, Zoonimi, trickster e totemismo. Stratificazioni etniche nel Roman de Renart, "Quaderni di seman­ tica", s. 17, I (1 996), pp. 53-72. Sulla connessione semantica tra "maschera" e "strega", a proposito dei derivati del germanico *grima, cfr. R. Caprini, La strega mascherata, in Masca, maschera,

pp. 59-73.

92

Introduzione

69 J. Caro Baroja, Les sorcières et leur monde, trad. fr. di M.-A. Sarrailh, Paris 1 972, p. 45. 70 C. Ginzburg, I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento, Torino 1972', p. 78. 7 1 Propp, Le radici storiche, pp. 125-6. n Jbid., pp. 120-1 . 73 Propp, Edipo, pp. 1 1 1-2. 74 Nell'ambito della letteratura agiografica la disavventura di Audigier capita a santa Margherita, ingoiata da un demonio-drago dal cui venere riesce tuttavia a uscire sana e salva, usando la croce

come un bisturi. Quanto al drago-femmina, già nello pseudo-ome­ rico Inno ad Apollo troviamo la drdkaina, "sanguinario flagello" (pfma daphoinon) di uomini e animali, uccisa dallo stesso Apollo,

mitico precursore dei santi sauroctoni (Inni omerici, a cura di

F. Càssola, Milano 1975, vv. 300-375); per i resri medievali cfr. Ph. Ménard, Le dragon, animai fantastique de la littérature fançaise, "Revue des langues romanes", 98 (1 994), pp. 247-86. 75 Propp, Le radici storiche, p. 120: «Dalla capannuccia schizzò fuori la maga, col piede osseo, col culo fibroso, con ... insaponata». 76 Mercens-Fonck, Morgan, p. 1073: «Le noir rever ici une si­ gnification parciculière. C'est, en effet, la couleur du corbeau, dont

de nombreuses études nous révèlent que Macha, alias la Morrlgu qui offre de multiple, ressemblances avec Morgan - prenait parfois la forme er la couleur». 77 Sumposiakg_n, 650 C. Ma cfr. la descrizione della fara Mor­ gana in Sir Gawain and the Green Knight: «ronkled chekez, "joues ridées"; sellylly blered, "terriblement flétries"» (Mercens-Fonck, Morgan, p. 1073). 78 Detti anche Dtmftreioi, "figli della terra" (Dtm!fter = gi m!f­ ter, "rerra madre"); cfr. O. Ritter, Neorxnawang, "Anglia", 33 ( 1910), pp. 468-70. 79 Cosl si chiamava il motteggio triviale che veniva tradizional­ mente rivolto alla schiera degli iniziati durame l'attraversamento del ponce sul Cefìso, era Atene ed Eleusi. " Sulla polisemia del simbolo cfr. P. Burke, Cultura popolare nell'Europa moderna, trad. it. di F. Canobbio-Codelli, Milano 1 980, p. 182. Bachtin, Rabelais, p. 209 ricorda il rabelaisiano sainct Andouille, in compagnia di alrri santi tutti «travestici o sul piano osceno o su quello conviviale)). 81 M. Chazan, Le dragon dans la légende de saint Clément, pre­ mier éveque de Metz, in Dans la gueule, pp. 17-35. Un fumo infer­ nale esce anche dalla bocca della nera gigantessa Amiete del Fiera93

Introduzione

bras, non appena l'orrida virago viene abbattura da un colpo di ba­ lestra. Su Flohart, Amiere e affini cfr. Ménard, Le rire, pp. 48 e 50.

" Grinberge è «laide, vielle et hideuse plus qu'aversier", "brut­ ta, vecchia e schifosa più del diavolo" {v. 214); Hersent "ravvedu­ ta" ((s'en va corrant com aversier)) (Aio/, v. 3622) , ' se ne va corren­ do come un diavolo". L'appellativo dyables, aversier è usato anche per la vecchia Marabrune {che finisce bruciata viva) di Beatris: cfr. J. Lods, Encore la légende des enfants-cygnes: version courtoise et ver­ sion pseudo-épique, étude de style, in Mélanges ojferts à Rita Lejeune, Gembloux 1969, 2 voli., 11, pp. 1227-44. " Nell'ed. Strube! {vv. 1551-1552) la rima haire (per chape): escherpe è inaccettabile; ammissibile invece, per debole articolazio­ ne o dileguo di r preconsonantica, chape: escharpe {Pope, From La­ tin, § 396). Con gesti analoghi si esprime la trasgressione estrema - si tratta in realtà di un topos della propaganda antierericale - at­ tribuita da fra Salimbene (Cronica, a cura di G. Scalia, Bari 1966, p. 532) al demonizzato Alberico da Romano, che, fuori di sé per aver perso il suo falcone, «extraxit sibi bracas et culum osrendit Deo in signum opprobrii er convirii arque derisioni, [... ]. Cum aurem fuir domi, ivir er caccavir super altare, in eo loco proprie ubi con­ secrarur Dominicum corpus" [si tolse le brache e mostrò il culo a Dio in segno di spregio, d'ingiuria e di scherno {... ). Poi, tornato a casa, andò a cacare sull'altare, proprio dove si consacra il corpo del Signore]. La "defecazione per oltraggio e vendetta" è anche in Folengo, Baldus, vn, vv. 449-460. Zambello e Lena, verso le cin­ que di mattina, ((ante ussum Berrae pleno ambo ventre cagabant>), "cacavano a ventre pieno davanti all'uscio di Berta" {v. 457); la qua­ le, «levans strato damarina bonhora carabat I lombardas semper sua supra limina quaias", "alzandosi dal letto la mattina di buon'ora, trovava sempre le quaglie lombarde sulla soglia di casa" (vv. 459460). Della perdurante memoria del gesto come "atto di offesa di sapore tribale ed oscuro" nell'odierno linguaggio popolare dà con­ to il prezioso Marchetti, Il Borzacchini, pp. 323-4, discutendo l'o­ rigine della ben nota locuzione livornese quello che mi caò sull'uscio. 84 Douin de Lavesne, Trubert, vv. 524-34: «Trubert lesse un grane per aler, I cel que tuit et toutes l'o'irent. I Li chevalier mout s'en a'irent, I mes ne sevent qui ce a fet; I n'i a celui honte n'en aie, I nes li dus an fu corociez. I Esrruberr a bouré des piez I la damoi­ sele se li dir: I "Damoisele, se Deus m'eir, I a roz nos avez fer grant honte!",, [Trubert lascia andare un gran peto, I raie che rutti e tut­ te lo sentono. I I cavalieri se ne scandalizzano molto I ma non san­ no chi l'ha farro. I Non vi è alcuno che non ne abbia vergogna I e 1

94

Introduzione

anche il duca ne è irritaro. I Trubert rocca coi piedi I la damigella, e le dice: I j'Donzella, che Dio mi aiuti, I a tutti noi avete mancato di rispetto!"]. " Di Nola, Antropologia religiosa, p. 83. 86 G. Basile, Lo cunto de li cunti overo lo trattenemiento de pec­ cerille, a cura di M. Petrini, Bari 1976, pp. 7-8: «montò in tanta stizza, che, perdendo la bussola della flemma e scapolando dalla stalla della pazienza, alzaro il relone dell' appararo, fece vedere la sce­ na boschereccia" (rrad. di B. Croce). " Propp, Il riso rituale, pp. 71-3. " Di Nola, Antropologia religiosa, pp. 75-6. Sulle molteplici connotazioni dell'anasuromai cfr. Bettini, Nascere, pp. 308- 1 1 : «Ri­ volto a uomini, tale comportamento sembra avere lo scopo di

confonderli e di "svergognarli" [ ... ]. Rivolto a donne, il gesro di mo­ strare i genirali femminili sembra invece avere tutt'altro significa­ to. Come comportamento intra-femminile quest'atto ha infatti ra­

dici rituali e religiose molro profonde [ ... ]. Pare probabile che, fra i molri possibili significaci del gesro compiuro da Baub6, ci sia an­ che quello di instaurare una forma di "complicità", un'intesa fem­ minile, che conduce all'accettazione dell'una donna da parte del­ ]' altra. Baub6 si solleva le vesti e la dea ride, manifestando cosl l' ac­ cettazione del rapporro con lei e il rirorno alla vita" (p. 3 1 0). In realtà, a parrire da questa originaria distinzione, i diversi significa­ ti possono sovrapporsi e confondersi nelle più tarde apparizioni del

morivo.

90 Di Nola, Antropologia religiosa, p. 44. " Lecouteux, Mélusine, p. 57. Sulle varianti del motivo nei ce­ sti medievali cfr. J. Monfrin, Le Roman de Belris, in Monfrin, Étu­ des, pp. 451-5 1 1 (in particolare pp. 503-6). 92 Lazzerini, "Cornar lo corn ". Fra i resti più prossimi al nostro Audigier vanno ricordati il soliro Aio!, vv. 9645-47 («Et puis me baiseras en mi le treu del cui: I che ert senefianche qu'a moi t' eres rendus, I s'aras Dieu renoié et la soie verru», "E poi mi bacerai sul buco del culo: I quesro vorrà dire che ri sarai consegnato a me, I e avrai rinnegato Dio e la sua virtù", intima al traditore Makaire il falso Maometto) e il fabliau di Garin, Berangier au Ione cui, conte­ nuto nello stesso ms. 1 9 1 52 e riedito in Rossi, Fabliaux, pp. 24161 (v. 228: «vos me venroiz el cui baisier»). Nelle lingue germani­ che l'omologa espressione insultante è molto diffusa: basti pensare all'episodio dell'Interview with the editor nell' Ulysses di Joyce e alla sigla K.M.A. ("kiss my arse"), antesignana dell'imperversante, vol­ garissima LMAO delle odierne chat lines. 95

Introduzione

" Bachtin, Rabelais, p. I 6 I . " Propp, L e radici storiche, p. 143. " Ibid. , p. 1 37. Naturalmente i tributi imposti a Audigier, al di là del significato simbolico, hanno una perfetta giustificazione storica: sono tipiche redevances rurali, come se ne trovano a bizzef­ fe nei Documents linguistiques de la France (per esempio: «. viii. sols et unum conih>; . In effetti harou è invocazione di soccorso; ma è anche il grido che dava il segnale di chiusura della fiera: cfr. FEW XVI 148, s.v. *hara, afr. hare «cri par !eque! !es sergencs marquenc le momenc où la foire se termine, où la mise en vence de celle ou cel­ le denrée fini,., (XIII secolo); ibid. 150 harou (hareu) «incerjeccion exprimanc la détresse, l'appel au secours.,, - 3. tint indica il posses­ so feudale; cfr. Hollyman, Développement, pp. 58-60. Innumerevoli esempi nell'epica, «li reis ki tute Espaigne tinc" ( Chanson de Roland, v. 409), «Ernalc, qui cinc Poncif., (Gormond e Isembart, v. 165) ecc. Analogo significato ha il tenement di Grinberge (v. 281). - 5. Par un ruissel defoire: come osserva giustamente Borghi Cedrini, Co­ smologia, p. 20, «il passaggio accraverso un liquido, o meglio anco­ ra accraverso un liquame fecale, può forse essere considerato una va­ riante del mocivo folclorico del ponce sottile, infernale, sul quale passano le anime per raggiungere il regno dei morti"; meglio anco­ ra, l'acrraversamenro a nuoco del ruscello escrementizio sarà va­ riante comico-villanesca del «Gué Perillous I clone li passage est do­ lerous" (Renauc de Beaujeu, Li biaus Descouneus, vv. 539-540; ed. e crad. ital. Ilbel cavaliere sconosciuto, a cura di A. Pioletti, Milano­ Trento 1992), il "guado periglioso" della tradizione arturiana. Cfr. La voce gué in Chrécien de Troyes, Ouvres (Répertoire, pp. 1487-8), e in Tristan et Yseut (Répertoire, pp. 1644-5: «le gué sere souvenc de lieu de passage vers l'Aucre Monde..). Sul fiume liminare era aldi­ quà e aldilà cfr. anche l'introduzione di S. M. Barillari a M. W., Immagini dell'Aldilà, Roma 1998, pp. 7-26. Il. 8. fi/.z Turgibus. Il soggetto, a rigore, non può essere che li peres Audigier, dunque lo stesso Turgibus; ma evidentemente il sog­ getto logico è Audigier, donde l'ipotesi di Borghi Cedrini, Cosmo­ logia, p. IO, che la seconda lassa sia già da riferirsi ad Audigier, di cui anticiperebbe una «sommaria ma memorabile carauerizzazio­ ne psico-fisica». A mio avviso è più probabile che il primo fi/.z sia un'erronea anticipazione del secondo e abbia soppiantato la con­ sueta apposizione quans. Sul nome del padre di Audigier, e in par151

DeAudigier

ricolare sulla terminazione -ibus, cfr. supra, nota 142 all'Imrodu­ zione. È imeressame osservare come in Turgibus convergano la rra­ dizione epica e quella fabliolistica: in emrambe è infatti attestato Turgis (nella Chamon de Ro/and, v. 1358, nome d'un saraceno, ascrivibile alla serie degli antroponimi in -is tipici dei pagani), par­ ticolarmente diffuso in area normanna secondo A. Dauzat, Dic­ tionnaire étymologique des noms defomille et prénoms de France, Pa­ ris 1951, p. 5 8 1 . Cfr. anche Ménard, Le rire, p. 46 e n. 102. Poi­ truce, secondo Jodogne, è il nonno di Audigier ("père de Turgi­ bus"), ma lo stesso nome designa una comere ai vv. 127 (dove com­ pare nella variame Poitru) e 1 4 1 ; vi si dovrà perciò scorgere un ma­ tronimico (tratto arcaico presente anche nel Saint Léger, ed. J. Lin­ skill, Paris 1 937, v. 1 6: «Lothiers, fils Baldequi»). La nonna Poi­ rruce, d' alero canto, può benissimo identificarsi con la madrina omonima: sulla tradizione della grand-mère marraine cfr. Le Roy Ladurie, L'argent, pp. 1 92-3 e n. 3; Bossy, Padrini, pp. 440-9: «l'i­ dea che i nonni, materni o paterni, abbiano uno speciale diritto a far da padrini ai primogeniri si uova ramo nel folklore ottocente­ sco, sia francese sia italiano, quanto praticata nella Francia del XVI­ XVII secolo» (p. 445). - 9. s'estent et il s'esbruce. dittologia allirre­ rante, ove spicca il ricercato esbrucier ( venere) po­ trebbe trattarsi di "deretano". Identica metafora nel gergo siciliano: «Cifunera Dererano, letr. in palermitano "armadio" (frane. chiffen­ nière) : vale ovviamente per individui corpacciuti» (E. Ferrero, Iger­ ghi de/Id ma!dvita dal '500 a oggi, Milano 1972, p. I 05). 157

DeAudigier

VIII. 88-89. I due entremés adiacenti non sorprendono in un cesto che offre numerosi esempi di rime identiche: cfr., per esem­ pio, i ere isnelement della lassa XIX, o l'analoga triade di enflee nella lassa xxx, corroborata dalle ere coppie di emistichi identici geule baee, de randonnee, enmi la pree. Lentremés è >, ibid., vv. 615-618). - 1 54. onques, rafforzacivo della negazione, non ha qui connotazione temporale; i, in funzione di pronome perso­ nale, è prolettico rispetto a prestre, quistrant (ms. quisfflt) è proba­ bilmente grafia da imputare al copista, che sembra prediligerla nel­ la terminazione -istrent; cfr. s'assistrant in Constant du Hamei e in Auberee (NRCF, I, p. 52, D 254, e p. 223, D 304). Sulla desinen­ za di 3' pers. pl. -ant per -ent cfr. Gossen, Franzosische Skriptastu­ dien, pp. 283 [33) e 29 1 [7). - 1 57. Faire + infinito, «périphrase du verbe à un mode personnebi: numerosi esempi in Adenec le Roi, Berte aus gram piés, ed. A. Henry, Bruxelles 1963, p. 209, n. 125. XIV. 165. chaudel: «lait chaud bouilli avec du sucre, des jaunes d' crufs et de la canelle» (FEWn/r, 90). Qui il principale ingredien­ te sono ués couveiz: ossia uova abitate, come quelle servite a due lom­ bardi in Alione, Macarronea, vv. 460-61 : «accidit ut unus primum ovum cum scapellasset, I illum troavit coeyzum cum polastrino» (ac­ cadde che quando uno ebbe scappellato il primo uovo, trovò che era stato covato, già con il pulcino] . - 167. La cipolla era usata «an­ che in Medicina come rimedio risolvente, macurativo,, (Tommaseo­ Bellini). Qui si tratta perciò di profilassi o cura di affezioni respira­ torie, senza allusione - una volta tanto - a eventuali proprietà las­ sative dell'ortaggio (piz "venere'' solo in Mystère d'Adam, v. 475, ma 161

DeAudigier riferito al serpente, in cui torace e addome non sono distinti). - 174. Cfr., per contro, Alexandre décasyllabique, v. 336: «Dist li barnages: "Ciz a cur de lion"», [Dissero i baroni: "Questi ha cuor di leone"]. XVI. 189. marcheis: cfr. La lingua di "Audigier", § 5. - 193. Per quier (= quiert) cfr. Pope, From Latin, § 616 ii: «Rhymes indicating the use of other words with effaced supported t and s appear occa­ sionally in che lare twelfth century [... ]. !t ist, however, possible thar rhymes of this rype are due to some extent to the influence of the southern border dialects (e.g. Poitevin) as in these supported t was early effaced». - 195. Brians, Bawdy Tales, interpreta: «He [1ìrarz] gave him a blow with the palm ofhis band on the neck, making him faJI co one knee,,; ma que, oltre che come congiunzione, "calché", "co­ sicché", può intendersi anche come pron. rei. soggetto (rratro pic­ cardo, ma anche anglonormanno) riferito alla paumee stessa: cfr. Foulet, Syntaxe, § 247; Ménard, Syntaxe, § 64 («les textes qui utili­ sene épisodiquemenc que concinuenc d' employer fréquemmenr qui»). XVII. 203. Da notare le analogie con Aio/, vv. 581 -84: «Dont broche Marchegai son boin desrrier, I er Marchegai li saut .xiii. piés: I "E Dieus!" ce dist Aiols, "or l'a je chier [cfr. Audigier, v. 197]: I ja­ mais jor de ma vie nel quier cangier"» [Sprona allora Marchegai, il suo buon destriero, I e Marchegai gli fa un salto di 13 piedi. I "Dio!" dice Aiol, "mi è molro caro, I non lo cambierò mai"]. XIX. 236. Per l'assetto metrico si rinvia a quamo detto supra, nota al v. 15 (e cfr. Aio/, v. 355: «Ja ne venra en tere n'emre gene»). Come décasyllabe a minore, il v. ha struttura identica a Chanson de Guillaume, v. 3523: «Si depeçat en peces plus de cenz». Ma naru­ ralmeme non si può escludere, presupponendo la struttura a maio­ re, la cadura d'un qualsiasi numerale monosillabico davanti a cent, o di un banale avverbio (per il secondo caso, cfr. benplus de cent in Alexandre décasyllabique, v. 673). XX. 244. Verso di 14 sillabe, facilmente trasformabile in ales­ sandrino - -ie (alie 18,froie 23 [scritto froiee] , lie 456 [sulla cui ampia diffusione cfr. Pope, From Latin, § 5131] , Maltrecie 460, torchie 463 garantiti dalla rima, più iregnie 30, indimostrato come il marchies 189 - da­ vanti a cesura - che forse si nasconde dietro la grafia mar­ cheis}, generalmente considerata tipica del Nord e dell'E­ st, appartiene in realtà ad una più vasta isoglossa che ar­ riva, includendo l'anglonormanno (Pope, From Latin, § 1090), fino al Sud-Ovest 16 • Mal giustificabili in area settentrionale i non pochi in rapporto all'esiguità del testo - casi d'infrazione alla legge di Barcsch: aler 224 (lassa )CVIII, in -ier}, apareilliez 441 e viez 442 (lassa )OO(VII, in -e'.), rasazez 508 (lassa XLIII, in -é), oltre ad airiee 348 (lassa )00{, in -ee). Varie occor­ renze analoghe, nello stesso ms. 19152, mostra il fabliau De deux borgois et d 'un vilain (engennez : encombrez, por­ penser : engenner), ma il testo è appunto d'origine anglo­ normanna. Nel dittongo anomalo di lievres < LABRA 416 l'ipercorrezione è reattiva alla riduzione del dittongo -ie­ > ié > e che, tipica dell'Ovest (Pope, From Latin, § 1115), appare tuttavia anche in testi piccardi (specialmente ne­ gli esiti di -ARIUS: cfr. bacheler, sollers, levrer in Aucassin et Nicolette, ed. J. Dufournet, Paris 1984'). 1O. Non franciano ortauz < ARTICULOS (incrociato col celt. *ordiga), garantito in assonanza (446). La forma è prevalentemente piccarda (cfr. Renclus, Miserere CXXVl­ maus: paraus < PARICULOS, e Gossen, Grammaire, § 12, oltre a Pope, From Latin, § 1320 xvii}; ma il fenomeno del passaggio da e chiusa a e aperta o ad a davanti a / (o / palatale) complicata è assai esteso, come rileva la stessa Po­ pe, From Latin, § 501 ii. La lassa )OO(VIII presenta in as­ sonanza: gli esiti di al + cons. (d] : Hertauz444, chauz445, vassaus 453}; del suffisso -rc(u)ws (ortauz 446); di a + I palatale + s (auz 447 e 449, travaux454}; del suffisso -ALIS (ferinauz 448, hapax oitanico [cfr. AFW s.v.], mentre fa181

La lingua di Audigier

rinal è accescato in provenzale, cfr. E. Levy, Provenzalisches Supplement-Worterbuch, s. v.); del suffisso -ELLOS (mor­ seaus 450, corbeaus 451, cenbeaus 455). In ferinauz d in sillaba libera è conservata davanti a / (Pope, From Latin, §§ 232, 502 ii, 1327 ii), fenomeno che ammette varie in­ terpretazioni e non è dunque rilevante ai fini della loca­ lizzazione del cesto. Può trattarsi di un meridionalismo o di un tracco caratteristico dell'Ovest (Pope, Frere Angier, p. 7: «Cecce conservacion de l'a est un phénomène fré­ quent dans tout l'ouesc de la France. Dans !es cexces nor­ mands il est plus ou moins sporadique, !es formes en al, aus co-exiscant avec celles en e!, eus, mais plus au sud il devient ordinare») che si ritrova nei cesti anglonormanni; ma anche in uno scrittore del Nord, come Renclus (cfr. inolcre P. Ruelle, Les Congés d 'Arras, Bruxelles 1965, p. 52 per la lingua di Baude Fascoul), «Les adjeccifs en -alem ec !es mocs en -aie, cane ceux de formacion populaire que ceux de formacion savante, donnent des formes en -al [ ... ] à cocé de quelques formes en -e!» (Van Hamel, Introduc­ tion a Renclus, pp. CIX-X) . Tuttavia, al contrario dell'ano­ nimo autore di Audigier, «Le poèce distingue neccement aus de -iaus (e!! + s)» (p. CXIV) . 11. Di scarso rilievo i dati morfologici. Si è già decco degli imperfetti in -ot', la desinenza di l' pers. pi. -on è ascritta all'Ovest da Pope, From Latin, § 1326 xv, ma l'as­ senza di -s si riscontra spesso in cesti di diversa provenienza (per di più qui siamo di fronte a un dato fisiologico del­ la lingua del copista). Serommes 371 è rappresentante iso­ lato di quella desinenza -omes che, originaria del Nord­ Esc, è più cardi attestata un po' dovunque (Pope, From La­ tin, §§ 895, 1272). Sprowisca di precisa connotazione dialettale la forma apocopata (e! per ele) del pronome fem­ minile, metricamente confermata ai w. 121, 345 (ove coesiste con la forma incera), 400, 485 (la scrizione e! è frequente anche davanti a vocale, 65, 67, 232). Attribui­ ta da Pope, From Latin, § 1326 xiv all'area occidentale, è in realcà ampiamente diffusa. 182

La lingua di Audigier

La forma ridotta dell'aggettivo possessivo (voz garne­ ment 239, vo prison 409, voz peres 438, vozjìerté 370) è soprattutto piccarda (Gossen, Grammaire, § 64; Pope, From Latin, § 1320 xxv b, Foulec; Syntaxe, § 226). Nel caso del v. 438, tuttavia, la testimonianza di Aio! 992 (cfr. supra, Introduzione, IV.3.) potrebbe indurre a ricostruire un primo emistichio * Turgibus votre peres. 12. Una peculiarità sintattica: il futuro perifrastico co­ stituito dal verbo voloir + infinito, attestato al v. 224 («il s'en vorra ocouc les hués aler»). Secondo Pope, Romance ofHorn, II 87, «This weakened value of voleir + infinitive is especially nociceable when ic is co-ordinaced wich che fucure of anocher verb [ ... ] . This use of voleir, rare in Con­ tinental French [ ... ], is particularly characceristic of An­ glo-Norman [ ... ] , where ics excension was foscered by che influence of English speech». Cfr. anche Borghi Cedrini, Approcci, i, p. 189: «un autentico barbarismo del france­ se d'Inghilterra», ricalcato sul futuro inglese formato con will + infinito. Ma forse la specificità insulare va ridi­ mensionata: il costrutto non è raro nell'Alexandre décasyl­ labique, cesto dai viscosi tratti pitcavini: «E si li manda guerre li voldra faire» 449, «Per rei voldrai a Nicolas nun­ cen, 459, «Oi est li jour qu'il se voldra venger» 662. 13. Se è vero, come concludono sconsolatamente Fay e Grigsby nella loro edizione di joufroi de Poitiers, che la localizzazione e la datazione d'un cesto letterario restano scienze inesatte («On n'espère plus, comme on l'esperaic au XD< siècle, situer une ceuvre dans un cercain départe­ ment, une province ou une vallée à un certain moment de l'histoire», p. 48), sarà prudente rinunciare a ogni diagno­ si perentoria. Basti qui aver dimostrato che il sospetto di un testo antecedente la redazione del ms. 19 152, ma tut­ tavia prossimo a questa, non è privo di fondamento. Inat­ tendibile, oltre che indimostrabile, sembra invece l'ipote­ si avanzata da Jodogne 502 a proposito della lassa XXXV, che raggruppa quattro alessandrini e un décasyllabe: «Je 183

La lingua di Audigier

croirais volontiers qu'avant Aio/ existait un poème en lais­ ses d'alexandrins auquel le poèce d'Audigier auraic em­ prunté quatre vers». I rifacimenti (o le continuazioni) in alessandrini sono di norma posteriori alle redazioni in dé­ casyllabes: si veda il caso del Roman d'Alexandre, quello pur controverso - dello stesso Aio!, prima ancora quello del Saint Alexis. Perché Audigier dovrebbe fare eccezione, percorrendo il cammino inverso? Del resto, nessun arcai­ smo trapela da quei pochi versi: è pertanto più verosimile che il primitivo Audigier si celi sotto i décasyllabes. A que­ sta conclusione sospinge anche il probabile equivoco tra seu e seii, che potrebbe eventualmente orientare, per le ra­ gioni sopra esposte, verso un modello anglonormanno (si veda anche il commento al v. 32). Lesame degli errori e dei lapsus dello scriba (per lo più da lui stesso corretti) non contraddice il sospetto. Si constata infatti che la maggior parre di tali infortuni è dovuto a un rapporto, per così di­ re, conflittuale con la r, secondo una fenomenologia certo non estranea ai copisti continentali, ma particolarmente diffusa nella scripta insulare. Lanomalia era nell'antigrafo? Si comincia con torou 6 (con puntino espuntorio sotto la prima o). Scorso di penna apparentemente banale e irrile­ vante; sennonché, sempre per il caso di r postconsonanti­ ca, troviamo prunes 5 1 con r aggiunta nell'interlinea, .foie perfroie 414 (la r era stata aggiunta nell'interlinea, ma in posizione errata, sicché l'intera parola è stata espunta e ri­ scritta), pael per prael (non corretto) 493. Una r precon­ sonantica è stata scritta nell'interlinea ai vv. 15 (armes) e 30 (parmz); la r intrusa è stata espunta in trorchon 53. Eli­ minata anche la r superfecatoria di trroncecrevace 460: cer­ ro incidente occorso al gruppo consonantico tr-, una cu­ riosa serialità nell'errore17 • Con siffatti precedenti, è ovvio che un certo interesse si appunti anche sul participio pas­ sato beud, ove la d espunta è tipica grafia anglonormanna (Pope, From Latin, § 1 176: «To judge from che frequent use of d co represenc che fìnal sound, e.g. ad, fud, oid, ver­ tud, 0 was voiced to Ò before effacemenc»); ma qui si trac­ cerà piuttosto d'innocuo anticipo del successivo de (482). 184

La lingua di Audigier

Il cauto, caurissimo sospetto di un Audigier insulare ci ricorda la tesi, sostenuta a spada tratta da Paul Aebischer, dell'origine anglonormanna di alcuni tra i più antichi re­ sti letterari francesi (dalla Chanson de Roland al Voyage de Charlemagne). Ancora nel XII secolo, sotto il regno del de­ bole e dileggiato (per i noti infortuni coniugali) Luigi VII, «Paris n'était [ ... ] que la pauvre capitale d'un pauvre royau­ me». Nella stessa epoca, ben alrra prosperità regnava «dans cette Angleterre où !es soldats de Guillaume le Conqué­ rant avaient su se tailler d' opulents domaines dans !es ter­ res prises aux vaincus» (mentre più tardi la mappa della ricchezza vedrà in primo piano la Piccardia e la Champa­ gne). E, probabilmente, in questa stessa epoca nasce e si diffonde Audigier (ricordiamo la citazione di Aio/) . «Or, comme une ceuvre lirtéraire suppose un poère, un poète, qui doit vivre, présuppose un milieu qui puisse l' entrere­ nir», osserva ancora Aebischer nell'introduzione al Voya­ ge de Charlemagne: «la poésie est une fleur qui pousse et s'épanouit sur le fumier de la richesse». Mai, convenia­ mone, immagine fu più adeguata al nostro testo. Note 1 Edizione fototipica in Fara! 19152. Il ms. è databile all'inizio del XIV secolo; descrizione e storia in Conlon, Audigier, pp. 22-3. Ne esiste un descriptus parziale (che include Audigier) del XV!ll se­ colo, esemplaro da Oom Lobineau e conservato a Parigi, Bi­ bliothèque Narionale, f. fr. 15 l i I . 2 Queste forme ammettono anche una diversa spiegazione. Una sommaria indagine condotta sul ms. 19152 [D] rivela infatti che, in un verso interpolato di Auberee {cfr. NRCF, I, 364 [D 227]), il copista scrive endrot (: voloit); in un altro fabliau, D'un jugleor qui ala en enfer et perdi !es ames as dez, troviamo rotir (= rostier) : servir (NRCF, p. 348, 113-120). Con l'espunzione dei vv. 1 1 5 e 120, ba­ nali chevilles di D, si ripristina agevolmente la rima rostier 118 : usu­ rier, evitando la successione di due couplets in -ir; ma resta il fatto che la rima -ir < -IRE con -ir < -ier < -ARIU, imputabile allo scriba, ha un'evidente connotazione dialettale {Esr o Nord-Esr secondo 185

La lingua di Audigier Gossen, Franzosische Skriptastudien, pp. 149-50), ed è correlata al­ i'omologa riduzione oi > o (su cui cfr. Pope, From Latin, § 1320 vii; Gossen, Grammaire, § 16, che cita l'impf. avot di Aio/). Un caso di riduzione ai > a è al v. 365; per contro ai > é 103, oscillazione tipi­ ca delle carte piccarde (Gossen, Grammaire, § 6) e dei mss. lorene­ si (Rivière, Pastourelles, I, p. 26). Tra i più marcati caraneri linguistici del copisra, cenamente dell'Est, si segnalano: - a + cons. palatale > e (scritto a,) : homaige, saige, lignaige ecc.; - confusione di a ed e nasali: particolarmente significativo il tipo, costante, mengier, che rinvia senza dubbio ali' ostfranzosische Skrip­ ta (Gossen, Franzosische Skriptastudien, p. 279 [7], p. 354 [6)); - frequente dileguo di s preconsonantica e finale; - desultoria assenza della consonante epentetica (in Audigier, vorra 224 vs voudra 402; venrra 236; sovenra 464; cfr. Gossen, Gram­ maire, § 61); - congiuntivi presenti 2' pers. pi. in -oiz (Pope, From Latin, § 1 322 xxvi). Nessun esempio in Audigier. per il futuro, la desinenza eti­ mologica è conservata in orroiz 16, istroiz 31 O, desjeuneroiz 323, baiseroiz 324, conquerroiz 370 (ma avrez 92). Si vedano le osserva­ zioni dei curatori del NRCF, 1, pp. 34, 130, 167. In controtendenza cheuve/ 295, dove la grafia -eu- pare indizio di labializzazione dovuta alla contigua fricativa labiodentale (Pope, From Latin, § 482: «In che eastern and north-eastern regions no rounding took piace before ww»; cfr. anche ibid. , N.E. § xi). Per le attestazioni del fenomeno in ambito piccardo cfr. Gossen, Gram­ maire, § 3 1 . ' Sulla rima diflùsa, m a improbabile nell'Ovest, o i < fr}: o i < au + pal. cfr. ]oufroi de Poitiers, p. 33, § 1 2 (e Pope, From Latin, §§ 1 325 iv, 1 326 vi). Dalla 1 ' metà del XII secolo la si trova anche in cesti anglonormanni: cfr. Boeve de Haumtone, pp. VIII-IX. 4 Sulla presenza di cale cesura in Aio/cfr. E. Melli, Nouvelles re­ cherches sur la composition et la rédaction d"'Aiol" et d"'Elie de Saint Gille", in Essor etfortune de la chamon de geste dam l'Europe et l'O­ rient latin. Actes du IX' Congrès lnternational de la Sociécé Rences­ vals pour l'Écude des Épopées Romanes, Padoue-Venise, 29 aouc4 sepcembre 1982, Modena 1984, t. I, pp. 1 3 1 -49: «Notre auteur, combactu entre le décasyllabe et l' alexandrin, précend craicer le dé­ casyllabe camme un dodécasyllabe, ucilisant presque toujours la cé­ sure après la sixième, mCme lorsque cecte césure, en coupant par moicié le moc, réduic le second membre du vers à un moignon de trois syllabes» (p. 133). 186

La lingua di Audigier

' N. Papadopoli-Aldobrandini, Le monete di Venezia, voi. II, Ve­ nezia 1907, p. 5 ricorda appunto «il nome di marchetto dato al sol­ do veneziano nei documenti della Zecca di questo tempo [xv sec.] ... Il soldo veneziano (ventesima parte della lira), che recava sul dirit­ to il doge, sul rovescio san Marco, fu coniato ali'epoca di Francesco Dandolo, intorno al 1330 (voi. I, Venezia 1893, pp. 158-9). 6 Beninteso il problema non si pone se si accetta la stravagante tesi (non suffragata da alcuna prova) di G. Tilander, Remarques sur le Roman de Renart, Gi:iteborg 1923, p. 1 16: «I'ceuvre parodique d'Audigier, dont l' auteur est Rutebceuf;,. 7 Esito occidentale (senza ulreriore evoluzione a oi ) di é chiusa in sillaba libera, peraltro attestato anche all'Est (Gossen, Franzosi­ sche Skriptastudien, 291 [3]). 8 Il riferimento ai suini sembra decisivo; non bastano a far pre­ ferire il sambuco l'odore sgradevole emanato dai bianchi fiori del sambuco minore o erbaceo (Sambucus ebulus) né la reputazione ma­ gica dell'arbusto attestata da Étienne de Bourbon (che accenna a