«Auctoritas» fra autorevolezza e autocrazia 9788892138667

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«Auctoritas» fra autorevolezza e autocrazia
 9788892138667

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Indice
1. Leadership, autorevolezza, democrazia
2 Il principio di autorità
3. Auctor ovvero colui che ha il potere di creare
4. Auctoritase il suo originario significato
5. L’ auctoritas patrum
6. L’auctoritas dei sacerdoti
7. L’auctoritas dei magistrati
8. Auctoritas ovvero della autorevolezza
9. Auctoritas e disciplina
10. Due esempi di leadership autorevole
11. Augustus
12. La progressiva sacralizzazione di Ottaviano
13. Verso l’auctoritas autocratica

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

Giuseppe Valditara

Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

G. Giappichelli Editore

© Copyright 2021 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it ISBN/EAN 978-88-921-3866-7

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

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Indice

pag. 1. Leadership, autorevolezza, democrazia

7

2. Il principio di autorità

11

3. Auctor ovvero colui che ha il potere di creare

13

4. Auctoritas e il suo originario significato

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5. L’auctoritas patrum

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6. L’auctoritas dei sacerdoti

31

7. L’auctoritas dei magistrati

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8. Auctoritas ovvero della autorevolezza

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9. Auctoritas e disciplina

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

pag. 10. Due esempi di leadership autorevole

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11. Augustus

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12. La progressiva sacralizzazione di Ottaviano

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13. Verso l’auctoritas autocratica

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1. Leadership, autorevolezza, democrazia È stato autorevolmente sostenuto 1 che, al di là degli specifici protocolli adottati, una delle chiavi del maggiore successo nel contenimento di Covid 19 sarebbe stata la disciplina con cui nei diversi Paesi sono state rispettate le diverse regole imposte. Una disciplina diffusa ed abituale avrebbe consentito, per converso, anche l’adozione di provvedimenti più efficaci 2. È di tutta evidenza che le fonti della disciplina sono assai diverse nelle diverse nazioni prese in esame. In alcuni dei Paesi considerati, come per esempio Cina e Singapore, le regole e la loro osservanza sono state imposte da uno Stato autoritario, in democrazie occidentali come Giappone, Corea del Sud, Taiwan, Australia, Neo Zelanda, Paesi Scandinavi si tratta invece di una disciplina spontaneamente tenuta, che discende dal rispetto verso la autorevolezza delle istituzioni e delle rispettive leadership. In uno Stato democratico la autorevolezza delle istituzioni e di coloro che le rappresentano è dunque indubbiamente un fattore importante per ottenere una disciplina diffusa. Veniamo pertanto a sfiorare anche il tema della natura della leadership. 1

Cfr. RICOLFI, La notte delle ninfee. Come si malgoverna un’epidemia, 2021, 75 ss. 2 Sulla efficacia del cosiddetto “protocollo orientale” cfr., per esempio, BIANCONI, MARCELLI, CAMPI, PERALI, Ostwald Growth Rate in Controlled Covid-19 Epidemic Spreading as in Arrested Growth in Quantum Complex Matter, in www.lettera150.it, 10 novembre 2020; BIANCONI, L’Italia poteva avere meno morti? La seconda ondata era evitabile, in www.lettera150.it, I, fasc. 2, nov.dic. 2020.

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

Nelle democrazie contemporanee, particolarmente a seguito dello sviluppo dei mezzi di comunicazione di massa 3, appare significativamente rilevante la leadership individuale. Essa finisce con lo svolgere un ruolo decisivo dal punto di vista fattuale pure nelle dinamiche istituzionali. A questa accresciuta rilevanza della leadership individuale corrisponde tuttavia il venir meno di un filtro istituzionale volto a favorire la selezione di leader autorevoli, come invece accadeva nella repubblica romana. Basti citare alcuni pilastri del sistema costituzionale repubblicano per comprendere come l’autorevolezza, fondata essenzialmente su esperienza e competenza, fosse decisiva 4. La scelta dei senatori avveniva, a partire dal plebiscito Ovinio del 321 a.C., individuando ex omni ordine optimus quisque. In epoca successiva la meritevolezza del futuro senatore si presumeva, dovendo egli aver ricoperto senza disonore una magistratura. Non diversamente, per potersi candidare ad una magistratura occorreva essere esenti da cause di indegnità, era necessaria una certa età, a partire da Silla almeno 43 anni per accedere al consolato, e 27 per iniziare la carriera politica mentre già la lex Villia del 180 a.C. aveva istituito il cursus honorum, che presupponeva a sua volta un passaggio per gradi nella vita pubblica, legato alla esperienza maturata nel governo della repubblica. Infine la nota censoria poteva escludere dall’elettorato passivo coloro che fossero ritenuti indegni. L’assenza di un filtro istituzionale improntato alla autorevolezza di chi pretende di svolgere ruoli politici corrisponde ad un sistema culturale che vede, dopo la crisi dell’autorità 5, la crisi della autorevolezza. Invero la leadership può essere conquistata in vario modo. Può essere imposta, fondarsi sulla violenza o comunque sulla negazione di libertà, si tratta allora di una leadership che non può essere messa in 3

V. CAVALLI, s.v. Leadership, in Enciclopedia delle scienze sociali, 1996. Sul punto, v., riassuntivamente, VALDITARA, Lo stato nella antica Roma, 2008, 243 ss. 5 V. ARENDT, Che cos’è l’autorità, in ID., Tra passato e futuro, 1999, 130 ss. 4

 

Leadership, autorevolezza, democrazia

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discussione. Presuppone dunque la sottomissione ad una “Autorità”. Presuppone cioè una disciplina non spontaneamente accettata. In una società democratica la leadership implica qualcosa d’altro, non necessariamente la autorevolezza. Si fonda certamente e pur sempre su abilità, su capacità, che devono convincere. Le abilità possono essere però di varia natura: possono fondarsi sulla credibilità personale ovvero, per esempio, su capacità istrioniche e su atteggiamenti demagogici. E tuttavia una leadership basata sulla autorevolezza è naturalmente la più coerente con i principi democratici. Il giudizio di autorevolezza, per imporre una leadership, presuppone invero un giudizio diffuso di apprezzamento delle doti individuali 6. Una leadership fondata su capacità istrioniche e abilità demagogiche si basa invece tendenzialmente sull’inganno e sulla fraudolenta captazione del consenso. Ovviamente, perché una leadership autorevole sia compatibile con un sistema democratico, occorre che quel giudizio di autorevolezza sia costantemente confermabile dalla libera espressione di volontà popolare. Autorevolezza, come anche autoritarismo, discendono dal termine romano auctoritas. Può essere dunque interessante riprendere qui le vicende politiche di questo concetto, in particolare fra Repubblica e inizio del Principato, per provare a trarre qualche ulteriore suggestione.

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FREUND, L’essence du politique, 1965, 378 definisce l’autorità come un prestigio personale che ha anche una funzione politica, e le attribuisce la caratteristica di provenire dall’alto e di essere ubbidita grazie a un riconoscimento che viene dal basso: il riconoscimento spontaneo del prestigio personale e dunque della autorevolezza è un elemento coerente con il modello democratico.

 

2. Il principio di autorità Scriveva Fritz Schulz che intendiamo per concetto di “autorità” “il prestigio sociale di una persona o di una istituzione; e per ‘principio di autorità’ la massima che l’autorità sia tenuta in pregio nella vita sociale, e specialmente in quella del diritto” 7. Per Schulz, dunque, il concetto di “autorità” è strettamente collegato a quello di prestigio e quindi, in ultima analisi, di autorevolezza di colui che incarna quella autorità, ovvero di un “leader”. L’autorità è anche una “qualità normativa”. Le funzioni dell’autorità sono “educative e direttive, essa provoca l’obbedienza, l’ordine, la disciplina” 8. Nota ancora lo Schulz come lo Stato romano, che pur riconosce e garantisce così ampiamente la libertà individuale, “non ha mai dimenticato di assicurare energicamente il vigore del principio di autorità: e d’altronde neppure la libertà individuale può durare a lungo senza autorità” 9. Appare evidente che il grado di democrazia di una società organizzata si gioca nel rapporto fra autorità e libertà, dove ancora una volta l’autorevolezza del leader risulta importante per determinare una sottomissione convinta e quindi consensuale ed una disciplina non fondata sulla forza e sulla paura, ma sul riconoscimento della meritevolezza della leadership. Il concetto di autorità ruota, nell’esempio romano, attorno a quello di auctoritas. 7

Cfr. SCHULZ, I principii del diritto romano, 1946, trad. it., 143. Cfr. SCHULZ, ibid. 9 Cfr. SCHULZ, op. cit., 144. 8

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

È giunto il momento di cogliere di quest’ultimo il significato e la evoluzione.

 

3. Auctor ovvero colui che ha il potere di creare Analizziamo innanzitutto il significato di auctoritas nel linguaggio giuridico e politico della res publica. Auctoritas rimanda ad auctor 10. È interessante chiarire preliminarmente il rapporto fra i due termini. Auctor è il nome agente, auctoritas, con il suffisso -tas, è la condizione di colui che realizza l’azione di cui auctor è il protagonista 11. Il rapporto fra auctor ed auctoritas è esemplarmente riassunto da Plaut. Poenulus, 145 ss.: Agorastocles: Si tibi lubido est aut voluptati, sino. / Suspende, vinci, verbera; auctor sum, sino. / Milphio: Si auctoritatem postea defugeris, / ubi dissolutus tu sies, ego pendeam. Auctor è qui colui che consente una certa azione, nella specie le percosse di Milfione ai danni di Agorastocle; auctoritas è il risultato di quel consentimento. Come si è osservato 12, la “auctoritas ‘si produce’ ponendosi in posizione di auctor nei confronti di un certo processo, che, proprio in quanto auctor, si intende avviare. Di questo processo la auctoritas costituisce in un certo senso la garanzia e il sostegno: se questa auctoritas viene meno, l’azione intrapresa si inceppa e regredisce”. 10

Cfr. LEUMANN, Lateinische Laut- und Formen Lehre, 1977, 374. Così, da ultimo, MANTOVANI, L’auctoritas des juristes romains mise en cause. Esquisse d’une théorie rhétorique, in L’auctoritas à Rome, Une notion constitutive de la culture politique, ed. David-Hurlet, 2020, 273. 12 Cfr. BETTINI, Alle soglie dell’autorità, in LINCOLN, L’autorità. Costruzione e corrosione, 2000, XV. 11

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

In che cosa consisteva il ruolo dell’auctor? Per dare una risposta a questa domanda occorre innanzitutto partire dalla etimologia del termine in questione. Auctor e dunque auctoritas derivano a loro volta da una radice aug, comune ad augmentum/augere/augurium 13. Orbene augere nel suo significato originario indica “l’acte de produire hors de son propre sein; acte créateur qui fait surgir quelque chose d’un milieu nourricier et qui est le privilège des dieux ou des grandes forces naturelles, non des hommes” 14. Il senso originario di augere coinciderebbe dunque con quello di “far nascere”, far venire all’esistenza. Nella lingua classica augere riconduce comunque ad una idea di accrescimento, di incremento, di aumento, di rafforzamento 15. Dal “far nascere”, l’accento si sposterebbe dunque sul “far crescere”. Augere, nella letteratura dell’età repubblicana e dell’inizio del Principato, esprime l’idea di accrescimento e quindi di rafforzamento anche con riguardo alla posizione di un “leader”. Così in Livio 29.27.2-3 a proposito di Scipione l’Africano: Divi divaeque...maria terrasque qui colitis, vos precor quaesoque uti, quae in meo imperio gesta sunt, geruntur, postque gerentur, ea mihi ... bene verruncent, eaque vos omnia bene iuvetis, bonis auctibus auxitis. Scipione chiede agli dei che tutto ciò che si è fatto, si fa o si farà sotto il suo comando (in meo imperio) vada a suo vantaggio, ovverosia 13

Cfr. ERNOUT-MEILLET, Dictionnaire étymologique de la langue latine, 1967, s.v. auctor, 57; s.v. auctoritas, 57; HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin des rélations et des partis politiques sous la République, 1972, 294; sulla etimologia di augeo e del radicale aug- v. ampia letteratura citata in CLEMENTE FERNÁNDEZ, Sobre el origen y el significado del verbo latino augeo, in SDHI, 78 (2012), 446 ss. 14 Cfr. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 2, Pouvoir, droit, religion, 1969, 149; in senso adesivo da ultimo LANFRANCHI, Auctoritas et possession dans les lois des XII Tables: les enseignements d’une controverse, in L’auctoritas à Rome, cit., 58. 15 Cfr. CATALANO, Contributi allo studio del diritto augurale, I, 1960, 30; 96 ss.; 158 ss.; 340 ss.; 350 ss.; MANNINO, L’auctoritas patrum, 1979, 2 s.; v. anche HELLEGOUARC’H, op. cit., 296; v. inoltre, più recentemente, CLEMENTE FERNÁNDEZ, in SDHI, 78 (2012), cit., 453 s.

 

Auctor ovvero colui che ha il potere di creare

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accresca il suo prestigio e la sua fama: questa conclusione è chiaramente suggerita dalla perifrasi bonis auctibus auxitis 16. In senso simile Velleio Patercolo 2.40.4 con riguardo a Pompeo: huius viri fastigium tantis auctibus fortuna extulit, ut primum ex Africa, iterum ex Europa, tertio ex Asia triumpharet. Qui è la fortuna che avrebbe incrementato la grandezza di Pompeo: tantis auctibus, con molti accrescimenti. E ancora Tacito hist., 4.28: Civilem immensis auctibus universa Germania extollebat, societate nobilissimis obsidum firmata. Tutta la Germania, grazie ad un’alleanza rafforzata da ostaggi di nobili famiglie, innalzava la potenza di Civile immensis auctibus, cioè con immensi accrescimenti. Come si è osservato 17, la natura dell’accrescimento cui rimanda augere consiste nel successo, nella fama, nella gloria, nel prestigio. Augere esprime “quell’aura indefinibile, impalpabile, eppure così potente, che avvolge le azioni che hanno esito felice, ovvero la persona che ottiene gloria e successo” 18. In coerenza con il significato del verbo sottostante, auctor ha nelle fonti 19 sia il senso di “colui che aumenta”, sia quello di “colui che promuove qualcosa”, sia anche di “colui che crea”. Auctor dunque unisce in sé sia l’idea dell’augmentum, sia quella della creatio. 16

Letteralmente: “lo accresciate di buoni accrescimenti”. Come nota CLEMENTE FERNÁNDEZ, op. cit., 455, “el ruego recogido en el citado fragmento pone de relieve el ideal romano consistente en que la divinidad asegurase mayor y sacra potencia (poder, efecto) a las actividades humanas, no que aquella las realizase en lugar de los hombres. De ahí que se ruegue a los dioses, a través de esta plegaria formulada por Escipión, que acrecienten con propicios desarrollos las actuaciones humanas. Tal acción de crecimiento viene representada en la forma verbal auxitis, con un sentido de hacer crecer, encaminado a obtener, en definitiva, felices resultados en las empresas que ya han sido emprendidas, que son emprendidas actualmente y que serán emprendidas en el futuro”. 17 Cfr. BETTINI, op. cit., XXIV. 18 Cfr. BETTINI, op. cit., XXV. 19 Sul punto DE RUGGIERO, Dizionario epigrafico di antichità romane, I, 1895, s.v. auctor, 766 s., MANNINO, L’auctoritas patrum, 1979, 32 ss.

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

Auctor è d’altro canto in Livio 1.17.10; 1.32.1 20 l’organo (nel caso di specie il senato) che svolge un ruolo decisivo per dar vita ad una creatio: gli antichi patres “intervenivano come auctores della creatio” del rex 21. Nelle fonti di età repubblicana, auctor è poi colui che dà impulso a un certo processo o a una certa azione, spesso, ma non esclusivamente, utilizzando l’arma della persuasione e della parola” 22. In Plaut. Stichus, 128 ss. 23, Antifone, consigliato da “maschi anziani, rispettabili membri della comunità” (auctores), intendeva riportare a casa le figlie malmaritate, queste resistevano rivendicando il diritto di decidere della propria vita. Analizzando il testo in questione, Bettini 24 così conclude: “Questo passo di Plauto è interessante perché ci fa vedere concretamente cosa significhi farsi auctor. L’auctor non decide direttamente: egli cerca piuttosto di “influire” sulla decisione che deve comunque prendere qualcun altro. Per esercitare questo influsso l’auctor non ordina e non supplica, tiene piuttosto una via intermedia: consiglia, persuade”. Come ben ricorda Arendt 25, l’espressione idiomatica latina “alicui auctorem esse” significa appunto “consigliare qualcuno”. L’auctor, nei passi esaminati, non si impone dunque in modo autoritario, ma in virtù della propria autorevolezza: così è per i maschi anziani consiglieri di Antifone; ovvero in virtù della posizione per20

V. anche Liv. 1.17.5-9; 1.22.1. Così MANNINO, L’auctoritas patrum, cit., 22. 22 Cfr. BETTINI, op. cit., XV, che cita gli esempi raccolti in TLL, II, s.v. auctor, 1196, 44 ss.; 1201, 20 ss. 23 ANT. Edepol vos lepide temptavi vostrumque ingenium ingeni. / sed hoc est quod ad vos venio quodque esse ambas conventas volo: / mi auctores ita sunt amici, ut vos hinc abducam domum. / PAN. At enim nos, quarum res agitur, aliter auctores sumus. / nam aut olim, nisi tibi placebant, non datas oportuit, / aut nunc non aequomst abduci, pater, illisce apsentibus. / ANT. Vosne ego patiar cum mendicis nuptas me vivo viris? PAM. Placet ille meus mihi mendicus: suos rex reginae placet. / idem animust in paupertate qui olim in divitiis fuit. 24 Cfr. BETTINI, op. cit., XVI. 25 Cfr. ARENDT, op. cit., 302, nt. 34. 21

 

Auctor ovvero colui che ha il potere di creare

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sonale: le ragazze infatti, essendo le dirette interessate, ritengono, per via della posizione occupata, di essere le uniche legittimate a decidere. Così ancora l’auctor di una stirpe, l’antenato che sta all’origine di una progenie, ma anche il capostipite di un popolo o di una città, appare nelle fonti 26 come colui che occupa “una posizione particolarmente rilevata” 27, non è dunque una persona qualsiasi, viene piuttosto caratterizzato da una nobiltà del tutto particolare. Una posizione particolare è anche quella dell’auctor che sia chiamato a testimoniare: decisiva è infatti la sua affidabilità, la sua credibilità 28. Così come una posizione di superiorità caratterizza l’auctor tutore 29. Una “posizione di rilievo viene attribuita ad auctor quando questa parola designa l’autore di un testo letterario” 30. Dunque “per farsi auctor [...] occorre avere l’autorevolezza sufficiente” 31 e per converso se l’auctor “dà impulso a un certo processo” produce “così la auctoritas che ne garantisce lo svolgimento” 32. D’altra parte auctoritas rinvia alla qualità di essere auctor 33. Auctor è peraltro anche colui che si pone come costruttore/creatore di una profonda riforma istituzionale ovvero il promotore di una nuova legislazione: optimi status auctor si definiva, in un editto da lui emanato, lo stesso Augusto con riguardo alla sua opera di rifondazione della costituzione repubblicana, che auspicava potesse rimanere salda così come l’avrebbe lasciata alla sua morte 34. In Res gestae 8.5 sempre Augusto ricordava come egli era stato auctor di nuove leggi: legibus noui[s] m[e auctore l]atis m[ulta e]xempla maiorum exole26

V. LEUMANN, op. cit., 32. Così BETTINI, op. cit., XIX. 28 Cfr. TLL, II, s.v. auctor, 1199, 62 ss. 29 Cfr. TLL, II, s.v. auctor, 1195, 31 ss. 30 Così BETTINI, ibid.; cfr. TLL, II, s.v. auctor, 1206, 21 ss. 31 Cfr. BETTINI, op. cit., XX. 32 Così Bettini, op. cit., XXI. 33 Così LANFRANCHI, Auctoritas et possession, cit., 57. 34 Cfr. Suet. Aug., 28.2, su cui v. infra par. 13. 27

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

scentia iam ex nostro [saecul]o red[uxi et ipse] multarum rer[um ex]empla imitanda pos[teris tradidi]. Si può concludere 35 che auctor individua fra l’altro “chi avesse il potere di ‘creare’ qualcosa: il potere di determinare un incremento, di assicurare la crescita della comunità [...] e, per traslato, il potere di guidarla politicamente”.

35

Cfr. MANNINO, Legittimità del potere e primazia politica fra antico romano e modernità, 2020, 67.

 

4. Auctoritas e il suo originario significato Veniamo dunque ad auctoritas: in piena coerenza con questi presupposti, indica innanzitutto un rafforzamento di qualcosa che è imperfetto o incapace e, verosimilmente in origine, nel primigenio utilizzo del termine, una funzione “fondante” ovvero creatrice di situazioni giuridiche nuove. In questo senso auctoritas viene attestata già nella mancipatio 36, 36

Molto importante è la testimonianza di cui a Tab. 6.3 e Tab. 6.4, cfr., rispettivamente, Cic. top. 4.23; Caec. 19.54; e Cic. off., 1.12.37. Tab. 6.3 si riferisce all’auctoritas fornita dal decorrere del tempo, che in qualche modo sopperisce, rendendola non più indispensabile, a quella del mancipio dans. V. anche Gell. 17.7.1: Legis ueteris Atiniae uerba sunt: ‘Quod subruptum erit, eius rei aeterna auctoritas esto’; e inoltre Plaut. Pers., 4.3.55-56; 4.4.40; Varr. r.r., 2.10.5; D. 21.2.76; Paul. Sent. 2.17.1-3. In merito agli aspetti processuali dell’antica invocazione ‘auctor es?’ v. Cic. Caec. 19,54; Prob. 4.7; per il resto si rinvia a LENEL, Edictum perpetuum, 1927, 290. Per la dottrina, cfr. DE VISSCHER, Le rôle de l’auctoritas dans la mancipatio, in RD (1933), 603 ss.; NOAILLES, L’auctoritas dans la “loi des douze tables”, in ID., Fas et ius. Études de droit romain, 1948, 223 ss.; AMIRANTE, Il concetto unitario dell’‘auctoritas’, in Studi S. Solazzi, 1949, 375 ss.; MAGDELAIN, ‘Auctoritas rerum’, in RIDA, 5, (1950), 127 ss.; ID., L’acte ‘per aes et libram’ et l’‘auctoritas’, in RIDA, 28, (1981), 127 ss.; HORVAT, Réflexions sur l’usucapion et l’‘auctoritas’, in RIDA, 3, (1956), 285 ss.; D’ORS, ‘Adversus hostem aeterna auctoritas esto’, in AHDE, 29, (1959), 597 ss.; SARGENTI, Per una revisione della nozione dell’‘auctoritas’ come effetto della ‘mancipatio’, in Studi E. Betti, IV, 1962, 15 ss.; ANKUM, Problemi concernenti l’evizione del compratore nel diritto romano classico (la relazione fra le azioni  

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

antichissimo negozio giuridico, finalizzato innanzitutto al trasferimento della proprietà di un bene di particolare valore sociale, le res mancipi. In tale contesto l’auctoritas, prestata da colui che ha trasferito la res mancipi (mancipio dans), consisteva nell’aiuto e nella difesa in giudizio che questi era tenuto a garantire in favore di colui che aveva acquistato la cosa mediante mancipatio ogni qualvolta contro l’acquirente (mancipio accipiens) fosse stata intentata da un terzo un’azione di rivendica (rei vindicatio). L’auctoritas del mancipio dans rafforzava dunque la posizione del mancipio accipiens nei confronti dei terzi, dandole sostanza e concretezza, servendo così da fondamento (e in questi termini anche da fonte) al diritto altrui sulle persone e sulle cose trasferite, ovvero da “fondement à la situation juridique créée par d’autres” 37. L’auctoritas appare qui portatrice “d’une dimension de complétion de l’acte” 38. Si ritrova dunque nel significato originario di auctoritas, ben attestato nella antica mancipatio, una forza “creatrice”, capace di “fonder la situation juridique nouvelle” 39. In questo contesto risalente, auctoritas “est donc bien cet acte qui permet de modifier (en attestant ou en conspettanti al compratore per l’evizione: ‘actio de auctoritate, actio ex stipulatu’ basata su una ‘stipulatio de evictione’ e ‘actio empti’), in Vendita e trasferimento della proprietà nella prospettiva storico-comparatistica. Atti del Congresso Internazionale (Pisa-Viareggio-Lucca, 17-21 aprile 1990), ed. L. Vacca, I, 1991, 597 ss.; ALBANESE, ‘Usus auctoritas fundi’ in XII tab. 6.3 secondo le testimonianze di Cicerone, in AUPA, 45 (1998), 5 ss.; CASTRESANA, En busca de un significado unitario del término ‘auctoritas’, in Estudios J.M. Iglesias, I, 1998, 183 ss.; CASINOS-MORA, La noción romana de ‘auctoritas’ y la responsabilidad por ‘auctoritas’, 2000; ID., ‘Auctoritas’ in PS 2.17.1-3, in Labeo, 48 (2002), 110 ss.; ROMANO, Nota sulla tutela del contraente evitto nell’ambito dei c.d. contratti innominati. Il caso dell’‘actio auctoritatis’, in Diritto@Storia, 9 (2010); BRÄGGER, Actio auctoritatis, 2012; GUIDA, La tutela del compratore in caso di evizione fra garanzia e responsabilità, 2013, specialmente 1 ss., 27 ss.; LANFRANCHI, Auctoritas et possession, cit., 35 ss. con ivi ulteriore bibliografia. 37 Cfr. NOAILLES, op. cit., 262 e 274; LANFRANCHI, op. cit., 57. 38 Cfr. LANFRANCHI, ibid. 39 Così LANFRANCHI, op. cit., 58.

 

Auctoritas e il suo originario significato

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firmant) quelque chose: une droit, un titre, un pouvoir” 40. Questa originaria funzione “creatrice”, “fondante”, della auctoritas è tanto più interessante considerando la sua probabile risalenza all’età monarchica, essendo siffatto istituto in ogni caso già ben attestato in età decemvirale 41. In senso simile auctoritas ritorna con riguardo al tutore che interviene negli atti compiuti dal pupillo integrando una volontà inidonea e rendendo così efficace il negozio giuridico 42. Particolare importanza avrà poi l’auctoritas dei giureconsulti 43. Con l’affermarsi del publice profiteri, ovvero del dare responsa in pubblico da parte del collegio dei pontefici, si diffonde lo studio del diritto fra privati che iniziano a cimentarsi pure nella pratica di dare risposte ai quesiti di cittadini bisognosi di soluzioni giuridiche. Ad un certo punto anche i giudici incominciarono nelle loro sentenze a dare retta al parere di questi giuristi privati. La forza del loro parere non si fondava peraltro sulla legge, ma solo sulla loro auctoritas, vale a dire sulla loro autorevolezza 44, cioè sul loro “prestigio 40

Cfr. LANFRANCHI, op. cit., 59. V., infatti, Tab. 6.3: usus auctoritas fundi biennium est, –ceterarum rerum omnium – annuus est usus; e Tab. 6.4: Adversus hostem aeterna auctoritas [esto] e rispettivamente Cic. top., 4.23; Caec., 19.54; e Cic. off., 1.12.37. 42 Sulla auctoritas tutoris v. Cic. Flacc. 34.84; Gai. 1.115; 1.195a; 2.80-85; 3.119; Coll. 4.2.3; 4.7.1; v. anche, con particolare riferimento ai casi in cui il pupillo ha agito sine tutoris auctoritate, D. 2.14.28 pr.; 12.1.19.1; 12.6.13.1; 12.6.41; 26.8.3; 26.8.5 pr.; 26.8.9 pr.; 29.2.9; 36.1.66 (64) pr.; 36.2.25.1; 46.2.1; 46.3.44; 46.3.66; 50.17.5. Cfr. MAUNORY, De l’‘auctoritas tutoris’en droit romain, 1894; SOLAZZI, La forma della ‘tutoris auctoritas’e della ‘patris auctoritas’, in IURA, 2 (1951), 133 ss.; LABRUNA, ‘Rescriptum Divi Pii’. Gli atti del pupillo ‘sine tutoris auctoritate’, 1962; ZANNINI, Studi sulla ‘tutela mulierum’, 1979, 77 ss.; DI CINTIO, ‘Natura debere’. Sull’elaborazione giurisprudenziale romana in tema di obbligazione naturale, 2009, 79 ss. 43 V., recentemente, STOLFI, Interpretatio e auctoritas. Diritto e potere a Roma fra tarda repubblica ed età dei Severi, in Issues of Interpretation. Texts, Images, Rites, ed. C. Altini, 2018, 17 ss.; 20, in particolare e ivi ulteriore bibliografia; MANTOVANI, L’auctoritas des juristes romains, cit., 271 ss. 44 V. esemplarmente D.1.1.7 pr.; 1.2.2.47. 41

 

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sociale, politico e scientifico” 45 ovvero sulla loro capacità di convinzione 46.

45

Così STOLFI, op. cit., 21 s. V. MANTOVANI, op. cit., 280 che, prendendo spunto da Cic. top., 8, evidenzia come auctoritas “est donc la condition d’être digne de foi, de provoquer la conviction” e più oltre (p. 312): “Dans le cadre de la théorie rhétorique des “preuves inartificielles”, et notamment dans les Topiques de Cicéron, l’auctoritas est considérée comme la “condition pré-discursive” qui fonde le pouvoir de conviction d’un témoignage (au sens large du mot). Parmi les nombreux éléments qui constituent cette condition, il y a également l’usus et l’ars, l’expertise et le savoir: c’est à cette catégorie d’auctoritas qu’appartient, selon les Anciens, l’auctoritas des juristes (comme celle d’autres détenteurs de savoir et d’expertise)”. 46

 

5. L’auctoritas patrum Auctoritas compare, per quello che più ci interessa, in un altro sintagma giuridicamente rilevante: auctoritas patrum 47. In epoca repubblicana il sintagma viene utilizzato innanzitutto 48 con riguardo alla ratifica da parte dei senatori patrizi 49 delle deliberazioni della assemblea popolare (comizio centuriato), di per sé conside47

Cfr., fra i tanti, GUARINO, La genesi storica dell’auctoritas patrum, in Studi S. Solazzi, 1949, 21 ss.; ID., ‘Novissima de patrum auctoritate’, in BIDR, 91 (1988), 94 ss.; MANNINO, L’auctoritas patrum, cit., 1 ss.; ID., Sovranità dei moderni e modelli di governo dei Romani, in C. RUSSO RUGGERI (a cura di), Studi in onore di A. Metro, IV, 2010, 1 ss.; ID., Legittimità del potere, cit., 64 ss.; MAGDELAIN, De l’auctoritas patrum à l’auctoritas senatus, in IURA, 33 (1982), 27 ss.; BISCARDI, ‘Auctoritas patrum’. Problemi di storia del diritto pubblico romano (con una nota di aggiornamento), 1987; ZAMORANI, La lex Publilia del 339 a.C. e l’auctoritas patrum, in Annali Ferrara, 2 (1988), 3 ss.; GRÄBER, ‘Auctoritas patrum’. Formen und Wege der Senatsherrschaft zwischen Politik und Tradition, 2002; CARDELLINI, Cicerone, de domo 14.38 e Livio 6.41.10 per una interpretazione dell’auctoritas patrum, in Annali della Facoltà Giuridica dell’università di Camerino, 3 (2014), 1 ss.; SCEVOLA, Le deliberazioni senatorie nella prima pentade liviana, 2017, passim; HÖLKESKAMP, Leges Publilia et Moenia de patrum auctoritate. Positionen und Perspektiven, in L’auctoritas à Rome, cit., 171 ss. 48 Il sintagma auctoritas patrum come quello auctoritas senatus viene spesso utilizzato nelle fonti anche nel senso più generico di “autorità” o di “autorevolezza” dei patres ovvero del senatus: v. TLL, II, s.v. auctoritas, 1225, 122. 49 In questo senso la maggiore dottrina: v., per tutti, MOMMSEN, Römisches Staatsrecht, 3, 1887, 1037 ss.; DE MARTINO, Storia della costituzione romana, 1, 1972, 271; MAGDELAIN, op. cit., 27 ss.

 

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rate non idonee (quantomeno prima delle leges Publiae Phlionis) a vincolare tutti i cittadini. Auctoritas assume, in questo contesto, un significato simile a quello che aveva in riferimento alla posizione ed ai poteri del tutore 50. L’intervento dei senatori patrizi serviva a rafforzare un atto giuridicamente inidoneo a dispiegare i suoi effetti vincolanti, senza la intervenuta sanzione politica di quella parte di assemblea senatoria che rappresentava le gentes patrizie. Era in altre parole espressione di una cautela patrizia per impedire derive politicamente pericolose nella legislazione. Se auctoritas presuppone un rafforzamento di qualcosa che non è ancora idoneo o efficace è evidente che il soggetto portatore di auctoritas ha una posizione distinta, più forte, più “autorevole” rispetto a coloro che non ne dispongono. Non casualmente autorizzati a porre l’auctoritas nei confronti delle leggi comiziali sono soltanto i senatori patrizi, i patres, appunto, che emergono come soggetti dotati di una particolare autorevolezza, anche se poi auctoritas sia nel senso di “autorità”, sia in quello di “autorevolezza” si estenderà a caratterizzare tutto il consesso 51. L’autorità dei patres ovvero dei senatori patrizi si autoimpone in virtù del loro particolare prestigio. Del resto il compito di direzione della res publica, che, successivamente, integrati i plebei nelle istituzioni supreme della civitas, spetterà al Senato nel suo complesso, deriva e si fonda proprio sul particolare e originario prestigio di questo organo, che raggruppava i rappresentanti delle famiglie più potenti e più illustri di Roma ed è perfettamente coerente con una sua antica auctoritas. D’altro canto il criterio di scelta dei senatori, risalente quanto meno al plebiscito Ovinio del 312 a.C., era fondato anco-

50

Sulla nozione unitaria di auctoritas, v. AMIRANTE, Il concetto unitario dell’‘auctoritas’, cit., 375 ss.; CASTRESANA, En busca de un significado unitario del término ‘auctoritas’, in Estudios J.M. Iglesias, I, 1998, 83 ss.; CLEMENTE FERNÁNDEZ, La ‘auctoritas’ romana, 2014. V. però anche MAGDELAIN, Jus imperium auctoritas. Études de droit romain, 1990, 685 ss. 51 Per MAGDELAIN, Jus imperium auctoritas, cit., 385 ss. auctoritas patrum e auctoritas senatus non sono concetti completamente sovrapponibili. Sulla evoluzione dalla auctoritas patrum alla auctoritas senatus, v., da ultimo, HÖLKESKAMP, Leges Publilia et Moenia de patrum auctoritate, cit., 171 ss.

 

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ra una volta sul prestigio di colui che veniva inserito dai censori in questa assemblea: ex omni ordine optimus quisque 52. Solo i migliori, ovverosia le persone più illustri per “moral character, high birth, or wealth” 53, dunque le persone più prestigiose (vale a dire “autorevoli”), potevano essere nominate nella assemblea senatoria. Questo spiega perché nelle fonti il termine auctoritas indichi frequentemente anche l’autorevolezza dell’intero consesso, a prescindere dal riferimento al procedimento comiziale 54. Si è tuttavia sostenuto 55 che originariamente l’auctoritas patrum avesse un contenuto di tipo decisorio che riassumeva in sé il potere di guida politica della comunità, legittimata dalla “prerogativa personale a carattere sacrale di interpretare privatim gli auspicia” 56. Si sarebbe così realizzato 57 “un originale sistema di governo” che avrebbe tradotto l’auctoritas “in pronunce a carattere decisorio, corrispondenti a un decernere-decretum” 58. Sviluppando le riflessioni di Mannino, si può di fatto considerare l’auctoritas, riferita originariamente ai patres, un elemento che stava a fondamento dell’ordinamento cittadino, come del resto si deduce dalla ben nota perifrasi auspicia ad patres redeunt 59, con 52

Cfr. Fest. s.v. Praeteriti senatores, 290 L. Sul plebiscito Ovinio v., da ultimo, BUR, Auctoritas et mos maiorum, in L’auctoritas à Rome, cit., 67 s. 53 Così CORNELL, The lex Ovinia and the Emancipation of the Senate, in The Roman Middle Republic: Politics, Religion, and Historiography c. 400-133 d.C., ed. C. Brun, 2000, 222 s. 54 Cfr., per esempio, Cic. pro Rab. post., 7: quam ob rem neque tu, C. Memmi, hoc facere debes ut senatum, cuius auctoritati te ab adulescentia dedidisti, in tanta infamia versari velis; har., 45: petita est auctoritas vestra; 48: Idem postea quam respirare vos a metu caedis, emergere auctoritatem vestram e fluctibus illis servitutis; Phil., 12.13: auctoritate valemus plurimum. 55 Cfr. da ultimo MANNINO, Legittimità del potere, cit., 64 ss. 56 Così MANNINO, op. ult. cit., 67. 57 Cfr. MANNINO, op. ult. cit., 68. 58 Sul punto v. anche SCEVOLA, Le deliberazioni senatorie nella prima pentade liviana, cit., 15 ss. 59 Cfr. Cic. ad Brut., 1.5.4 che ben si concilia con Liv. 1.32.1: res... ad patres redierat; v. anche Cic. leg., 3.9: auspicia patrum sunto; v. inoltre Liv. 8.17.4.

 

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l’utilizzo pregnante del verbo redire, e alla luce di Liv. 6.41.4: auspiciis hanc urbem conditam esse, auspiciis bello ac pace domi militiaeque omnia geri. Non solo dunque gli auspicia sono a fondamento della civitas, ma ogni cosa in pace e in guerra si fa in base agli auspici. Gli auspici hanno quindi un carattere fondante. Con l’introduzione dell’imperium da parte dei sovrani etruschi si sarebbe ridimensionato il ruolo del senato ad una attività di tipo consultivo, i senatori avrebbero dato consulta al turannos: “il sistema di governo espresso dall’auctoritas dei patres-senatori”, cioè, “finì per stringere in un senatus consultum” 60. In altre parole, l’imperium avrebbe introdotto nell’ordinamento romano “una situazione di primato nel comando politico, militare e civile, di cui evidentemente disponevano i capi etruschi e di cui disporrà in Roma chi avrà nel corso del VI secolo [ma, per vero, anche dopo in età repubblicana e imperiale] primazia politica” 61. Dunque l’imperium si sarebbe presentato “come un nuovo sistema di governo rispetto a quello più risalente dell’auctoritas patrum” 62. La sostituzione dell’imperium alla auctoritas nella qualificazione di quella che appare come una posizione “sovrana” dovette certamente ridurre il significato stesso, oltreché la forza dell’auctoritas all’aspetto della ’autorevolezza’ che consente di integrare e di rafforzare ciò che non appare ancora idoneo, ma non più di creare e di “fondare” istituti nuovi. Sotto questo aspetto l’auctoritas dei senatori patrizi appare come il residuo di una antica “sovranità”, che deve fare i conti con l’imperium magistratuale e con la produzione normativa del popolo, rogante magistratu. Al di là della verosimiglianza di questa ipotesi, è indubbio che all’indomani delle leges Publiliae Philonis e Maenia 63, l’auctoritas pa60

Cfr. MANNINO, op. ult. cit., 69. Così MANNINO, op. ult. cit., 70. 62 Cfr. MANNINO, ibid. 63 Su queste leges v., da ultimo, HÖLKESKAMP, Leges Publilia et Maenia de patrum auctoritate, cit., 171 ss. Chiarissima è comunque la testimonianza di Livio 8.12.17: Plus eo anno domi acceptum cladis ab consulibus ac dictatore quam ex victoria eorum bellicisque rebus foris auctum imperium patres credebant. Le riforme fatte approvare in quell’anno dal dittatore Publio Filone, a giudizio dei 61

 

 

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trum “perdette la propria forza [...] poiché i patres furono obbligati ad apporla prima della convocazione dei comizi legislativi ed elettorali” 64. L’auctoritas patrum, precedente l’intervento del popolo, “mutò conseguentemente il suo contenuto, divenendo di fatto un semplice parere non vincolante in incertum comitiorum eventum” 65. E ancora: “obbligandoli a pronunciarsi su un’eventuale legge od elezione futura, i patres non potevano impedire che il magistrato presentasse ai comizi per il voto una rogatio a loro sgradita” 66. L’auctoritas patrum si sarebbe così ridotta ad un intervento autorevole capace di imporsi solo laddove vi fosse una spontanea adesione del magistrato o del popolo alla indicazione senatoria. Più autorevole risultava il senato più consenso doveva trovare il suo parere. Si è osservato 67 come auctoritas riferita sia ai patres sia al senatus alluda sovente, più genericamente, all’“autorità” di questo organo al di là del riferimento alla procedura comiziale. Dalla testimonianza delle fonti affiora peraltro che l’auctoritas del Senato, nel senso della sua “autorità”, non sembra avere la forza di autoimporsi già ben prima delle leges Publiliae Philonis. Così, per esempio, da Liv. 3.21.1 ss. risulta che nel 460 a.C. i tribuni della plebe non tennero conto della auctoritas patrum: ‘Mirer’, inquit, ‘si vana vestra, patres conscripti, auctoritas ad plebem est’. Sempre da Livio, 4.26.7 e ss. si ha notizia che pure i consoli talvolta non si piegarono alla auctoritas del Senato, come accadde nel 431 a.C. allorquando i patres con senato consulto avevano invitato i supremi magistrati a nominare un dittatore: nec in auctoritate senatus consules essent. Il Senato dovette piegarsi e ricorrere addirittura all’intervento dei tribuni della plebe, che arrivarono a minacciare il carcere se i consoli si fossero opposti, per ottenere la nomina di un dictator. I consoli preferirono obbedire ai tribuni piuttosto che al Senato: Consules ab tribunis quam ab senatu vinci maluerunt. patres, avevano arrecato grave danno. Avevano infatti pesantemente intaccato la loro auctoritas. 64 Cfr. MANNINO, L’auctoritas patrum, cit., 82. 65 Cfr. MANNINO, ibid. 66 Cfr. MANNINO, op. ult. cit., 82 s. 67 V. supra nt. 48.

 

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Non diversamente in Livio 4.56-57 sono alcuni tribuni militum consulari potestate a non rispettare l’auctoritas patrum e ancora una volta i senatori arrivarono a chiedere l’intervento dei tribuni della plebe: nequiquam conquesti (scil. i primores patrum) non esse in auctoritate senatus tribunos militum. Alla fine fu l’intervento di un tribunus militum consulari potestate, Servilio Aala, a sbloccare la situazione, affermando però che: ac si quis intercedat senatus consulto, auctoritate se fore contentum. La potestà consolare poteva dunque paralizzare un senato consulto e rendere irrilevante l’auctoritas, ma non poteva bloccare l’auctoritas di un magistrato laddove questi avesse deciso che fosse necessario nominare un dictator. Sempre in Livio, 5.9.4 ss. alcuni tribuni militum si opposero al senato consulto che invitava i supremi magistrati ad uscire dalla carica anticipatamente. Ecco intervenire i tribuni della plebe: Inter haec tribuni plebis [...] feroces repente minari tribunis militum, nisi in auctoritate senatus essent, se in uincla eos duci iussuros esse. Soltanto la minaccia della nomina di un dictator, fatta dal tribuno militare consenziente con il Senato, indusse i colleghi alle dimissioni. Va notato a questo proposito che l’auctoritas del Senato, insieme alla sua potentia, era stata già significativamente ridotta con la introduzione del tribunato della plebe 68. Alla luce di questa evoluzione si comprende quanto nota l’Hellegouarc’h 69: l’auctoritas del Senato (in età repubblicana) non si esprime con il verbo iubere come nel caso di una legge, ma è un potere che risulta dal riconoscimento di superiorità morale, materiale, intellettuale. Come è stato acutamente osservato 70, l’“innalzamento” (ovvero il “rafforzamento”) compiuto dai patres (gli “anziani”) “si dimostra autorevole proprio in quanto consiste in un puro e semplice consiglio 68

Cfr. Cic. rep., 2.59: ut potentia senatus atque auctoritas minueretur, quae tamen gravis et magna remanebat. 69 Cfr. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin des rélations et des partis politiques sous la République, cit., 312 e nt. 10. 70 Cfr. ARENDT, Che cos’è l’autorità, cit., 168 s., che cita anche l’espressione idiomatica latina alicui auctorem esse: cfr. ID., op. cit., 302, nt. 34, ovverosia “consigliare qualcuno”.

 

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che non richiede, per essere seguito, né la forma imperativa, né alcuna coercizione esterna”. In questa prospettiva l’auctoritas patrum tende a perdere la primigenia caratterizzazione religiosa, concentrandosi sempre più sul particolare prestigio sociale degli appartenenti a questo altissimo consesso. Ciò è tanto più vero leggendo, per esempio, Cic. Verr., 2.2.76 71. La permanenza di Verre in Senato non gli avrebbe garantito la salvaguardia della propria auctoritas, distrutta dal suo comportamento in Sicilia. Un senatore poteva dunque essere sprovvisto di auctoritas, il che lascia però supporre che l’autorevolezza stessa del Senato fosse ormai tale proprio in quanto e nella misura in cui esso fosse composto per la maggior parte da optimi quique 72. Insomma un senato costituito da personaggi senza prestigio e dignità avrebbe visto ridotta ovvero pregiudicata la sua auctoritas. La lettura dell’originario significato della auctoritas senatoria, antecedente alla reductio repubblicana, potrebbe essere indirettamente confermata dalle parole di Cicerone in leg., 3.12.27-28: Sed praesto est huius viti temperatio, quod senatus lege nostra confirmatur auctoritas.Sequitur enim: “Eius decreta rata sunto”. Nam ita se res habet, ut si senatus dominus sit publici consilii, quodque is creverit defendant omnes, et si ordines reliqui principis ordinis consilio rem publicam gubernari velint, possit ex temperatione iuris, cum potestas in populo, auctoritas in senatu sit, teneri ille moderatus et concors civitatis status, praesertim si proximae legi parebitur; nam proximum est: “Is ordo vitio careto, ceteris specimen esto”. Nella sua proposta di riforma costituzionale Cicerone suggerisce di rafforzare la auctoritas del Senato attribuendo ad esso il potere di 71

V. infra par. 7. V. anche HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin des rélations et des partis politiques, cit., 311 secondo cui l’auctoritas senatus “procède, comme notion globale, de l’auctoritas personnelle de chacun des membres du Sénat”; da ultimi HÖLKESKAMP, op. cit., 186: “Einerseits beruhte seine (del Senato) auctoritas auf den akkumulierten individuellen auctoritates seiner Mitglieder”; BAUDRY, Auctoritas et hiérarchie sénatoriale à la fin de la République, in L’auctoritas à Rome, cit., 201 ss. 72

 

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emanare decreta aventi la stessa efficacia delle leggi 73. Una riforma siffatta della costituzione romana, che ponesse a fondamento dello Stato l’auctoritas del Senato e la potestas del popolo, avrebbe dato vita ad un ordinamento equilibrato, ispirato a temperanza e concordia. Il rafforzamento dell’auctoritas senatoria doveva consistere proprio nel recupero di una sua probabilmente antichissima funzione creatrice di norme, fondata ora sul particolare prestigio di siffatto organo. In questa ottica già in rep., 2.32.56 l’Arpinate affermava che presso un popolo realmente libero (libero cioè da spinte demagogiche), come immaginava fossero i Romani agli albori della repubblica, la gran parte delle decisioni debba passare attraverso l’auctoritas del Senato: in populo libero pauca per populum, pleraque senatus auctoritate et instituto ac more gererentur.

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V. anche Cic. leg., 3.3.6: Minoris magistratus partiti iuris ploeres in ploera sunto. Militiae quibus iussi erunt imperanto eorumque tribuni sunto. Domi pecuniam publicam custodiunto, vincula sontium servanto, capitalia vindicanto, aes argentum aurumve publice signanto, litis contractas iudicanto, quodcumque senatus creverit agunto; [] 8: Iuris disceptator, qui privata iudicet iudicarive iubeat, praetor esto. Is iuris civilis custos esto. Huic potestate pari quotcumque senatus creverit populusve iusserit, tot sunto; [] 9: Ast quando duellum gravius discordiaeve civium escunt, oenus ne amplius sex menses, si senatus creverit, idem iuris quod duo consules teneto, isque ave sinistra dictus populi magister esto. Equitatumque qui regat habeto pari iure cum eo quicumque erit iuris disceptator. «Reliqui magistratus ne sunto». Ast quando consules magisterve populi nec erunt, auspicia patrum sunto, ollique ec se produnto qui comitiatu creare consules rite possit. Imperia potestates legationes, cum senatus creverit populusve jusserit, ex urbe exeunto, duella iusta iuste gerunto, sociis parcunto, se et suos continento, populi [sui] gloriam augento, domum cum laude redeunto; [] 10: Omnes magistratus auspicium iudiciumque habento, exque is senatus esto. Eius decreta rata sunto. Ast potestas par maiorve prohibessit, perscripta servanto.

 

6. L’auctoritas dei sacerdoti Il termine auctoritas compare nelle fonti anche con riguardo ai sacerdoti 74 . In alcuni casi si fa chiaramente riferimento alla autorevolezza del collegio ovvero di singoli sacerdoti. In questo senso, per esempio, Cic. dom., 2: Vobis hodierno die constituendum est utrum posthac amentis ac perditos magistratus improborum ac sceleratorum civium praesidio nudare, an etiam deorum immortalium religione armare malitis. Nam si illa labes ac flamma rei publicae suum illum pestiferum et funestum tribunatum, quem aequitate humana tueri non potest, divina religione defenderit, aliae caerimoniae nobis erunt, alii antistites deorum immortalium, alii interpretes religionum requirendi; sin autem vestra auctoritate sapientiaque, pontifices, ea quae furore improborum in re publica ab aliis oppressa, ab aliis deserta, ab aliis prodita gesta sunt rescinduntur, erit causa cur consilium maiorum in amplissimis viris ad sacerdotia deligendis iure ac merito laudare possimus. La legge che ha revocato l’esilio a Cicerone prevedeva anche la restituzione dei suoi beni, compresa la casa sul Palatino sul cui sito Clodio aveva dedicato un tempio alla Libertas. Il Senato aveva chiesto ai pontefici un parere sulla validità della dedica di Clodio, quest’ultimo riteneva invece che la materia fosse di competenza del popolo e non del collegio sacerdotale. Cicerone si appella alla auctoritas e alla sa74

Sul punto v., recentemente, SANTANGELO, Priestly auctoritas in the Roman Republic, in The Classical Quarterly, 63, n.2 (2013), 743 ss.; BERTHELET, De la différence entre l’auctoritas des prêtres et celle des magistrats sous la République romaine, in L’auctoritas à Rome, cit.,121 ss.

 

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pientia dei pontefici. Il collegamento con sapientia, cioè la sapienza pontificale, consente di tradurre auctoritas nel senso di autorevolezza. Ciò è ancora più evidente poco più avanti laddove Cicerone confronta il collegio religioso con l’assemblea popolare 75: il popolo manca di spessore, e di rigore intellettuale, è mutevole, scostante, non poggia il suo parere sulla auctoritas litterarum monumentorumque, cioè sulla autorevolezza dei documenti pontificali. Così pure in dom., 44: iudicio atque auctoritate vestra allude al giudizio autorevole dei pontefici. Non diversamente in Cic. dom., 100, “auctoritates” sono poste sullo stesso piano di studia, consilia, sententiae, cioè attenzioni, consigli, pareri, insomma tutti interventi autorevoli, non si allude qui a interventi “autoritari”: Nam si vos me in meis aedibus conlocatis, id quod in omni mea causa semper studiis consiliis auctoritatibus sententiisque fecistis, video me plane ac sentio restitutum. Cicerone in dom., 132 chiede se non risulti a Clodio che almeno qualcuno dei pontefici eccella per età, onore o autorevolezza: At si conlegium pontificum adhibendum non videbatur, nemone horum tibi idoneus visus est, qui aetate honore auctoritate antecellunt...? Auctoritas come decisione autorevole dei pontefici si ritrova in dom., 137: Tum censorem, hominem sanctissimum, simulacrum Concordiae dedicare pontifices in templo inaugurato prohibuerunt, post autem senatus in loco augusto consecratam iam aram tollendam ex auctoritate pontificum censuit neque ullum est passus ex ea dedicatione litterarum exstare monumentum. In Cic. dom., 147 auctoritas sembra alludere all’intervento autorevole svolto in passato dai pontefici per la “salvezza” di Cicerone e per il ripristino dei suoi diritti: Quapropter si dis immortalibus, si senatui, si populo Romano, si cunctae Italiae, si provinciis, si exteris nationibus, si vobismet ipsis, qui in mea salute principem semper lo75

Cfr. Cic. dom., 4: quod in imperita multitudine est vitiosissimum, varietas et inconstantia et crebra tamquam tempestatum sic sententiarum commutatio, hoc tu ad hos transferas, quos ab inconstantia gravitas, a libidinosa sententia certum et definitum ius religionum, vetustas exemplorum, auctoritas litterarum monumentorumque deterret?

 

L’auctoritas dei sacerdoti

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cum auctoritatemque tenuistis, gratum et iucundum meum reditum intellegitis esse, quaeso obtestorque vos, pontifices, ut me, quem auctoritate studio sententiis restituistis, nunc, quoniam senatus ita vult, manibus quoque vestris in sedibus meis conlocetis. L’auctoritas, ovvero la autorevolezza, dei pontefici varia a seconda dell’età, della onorabilità, della scienza di ciascun componente il collegio. Esemplare in questo senso Cic. dom., 117-118: 117. ‘Pontifex,’ inquit, ‘adfuit.’ Non te pudet, cum apud pontifices res agatur, pontificem dicere et non conlegium pontificum adfuisse, praesertim cum tribunus plebis vel denuntiare potueris vel etiam cogere? Esto, conlegium non adhibuisti: quid? de conlegio quis tandem adfuit? Opus erat enim auctoritate, quae est in his omnibus, sed tamen auget et aetas et honos dignitatem; opus erat etiam scientia, quam si omnes consecuti sunt, tamen certe peritiores vetustas facit. 118. Quis ergo adfuit? ‘Frater,’ inquit, ‘uxoris meae.’ Si auctoritatem quaerimus, etsi id est aetatis ut nondum consecutus sit, tamen, quanta est in adulescente auctoritas, ea propter tantam coniunctionem adfinitatis minor est putanda; sin autem scientia est quaesita, quis erat minus peritus quam is qui paucis illis diebus in conlegium venerat? qui etiam tibi erat magis obstrictus beneficio recenti, cum se fratrem uxoris tuae fratri tuo germano antelatum videbat. Etsi in eo providisti ne frater te accusare possit. Hanc tu igitur dedicationem appellas, ad quam non conlegium, non honoribus populi Romani ornatum pontificem, non denique adulescentem quemquam, cum haberes in conlegio familiarissimos, adhibere potuisti? Adfuit is, si modo adfuit, quem tu impulisti, soror rogavit, mater coegit.

Di particolare interesse è Cicerone leg., 2.21.52 76. Per quale ragione, si chiede l’Arpinate, alcuni pontefici massimi – in specie gli Scevola – abbiano aggiunto allo studio del diritto pontificale quello del diritto civile. La conoscenza del diritto civile viene infatti in un certo modo ad annullare quella del diritto pontificale. Non essendovi a fondamento una legge, solo l’auctoritas pontificale consente infatti di 76

V. SEELENTAG, Ius pontificium cum iure civili coniunctum. Das Recht der Arrogation in klassischer Zeit, 2014, 58 ss.

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

collegare le vicende del patrimonio con il culto. Se si fossero limitati a studiare il diritto pontificale sarebbe rimasta soltanto la loro auctoritas di sacerdoti. Dedicandosi invece con grande perizia anche al diritto civile, la loro particolare conoscenza giuridica consente di eludere l’auctoritas pontificale: Hoc ego loco multisque aliis quaero a vobis Scaevolae, pontifices maximi et homines meo quidem iudicio acutissimi, quid sit quod ad ius pontificium civile adpetatis; civilis enim iuris scientia pontificium quodam modo tollitis. Nam sacra cum pecunia pontificum auctoritate, nulla lege coniuncta sunt. Itaquc si vos tantummodo pontifices essetis, pontificalis maneret auctoritas; sed quod idem iuris civilis estis peritissimi, hac scientia illam eludistis. Placuit P. Scaevolae et Ti. Coruncanio pontificibus maximis itemque ceteris, eos qui tantundem caperent quantum omnes heredes sacris alligari. Habeo ius pontificium. Qui si confronta l’autorevolezza del giurista (sono non a caso definiti iuris civilis peritissimi) con quella dei pontefici. È evidente – sia per il tipo di raffronto fatto, sia perché un discorso autoritativo non può essere eluso da una autorevolezza privata, sia perché si afferma esplicitamente che le regole pontificali non hanno la indiscutibilità della legge – che si fa qui riferimento alla autorevolezza personale dei pontefici. Si ha in verità un caso di conflitto di interessi: il giurista laico Mucio Scevola consigliava a coloro che si rivolgevano a lui per un consulto come aggirare il diritto pontificio che non avendo una fonte autoritativa (nulla lege coniuncta sunt), si basava solo sulla autorevolezza dei sacerdoti, autorevolezza vinta dalla eccezionale auctoritas del giurista laico. È significativo osservare inoltre come l’auctoritas pontificum potesse essere sconfitta (Civilis enim iuris scientia pontificium quodam modo tollitis [...] sed quod idem iuris civilis estis peritissimi, hac scientia illam (scil. auctoritatem) eludistis) dalla particolare peritia di coloro che fossero esperti nella scientia iuris civilis. Si è giustamente osservato 77 come l’esperienza sia il fondamento della auctoritas dei pubblici sacerdoti, cioè della loro particolare autorevolezza. Non casualmente l’auctoritas sacerdotale è collegata in Ci77

 

Cfr., da ultimo, BERTHELET, op. cit., 129.

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cerone di volta in volta alla sapientia, prudentia, fides, studium, consilium, come anche a sententia e iudicium 78. Auctoritas ritorna, fra l’altro, in un passo del de legibus che appare di particolare importanza. Si tratta di 2.12.31: Maximum autem et praestantissimum in re publica ius est augurum cum auctoritate coniunctum, neque vero hoc quia sum ipse augur ita sentio, sed quia sic existimari nos est necesse. Quid enim maius est, si de iure quaerimus, quam posse a summis imperiis et summis potestatibus comitiatus et concilia vel instituta dimittere vel habita rescindere? Quid gravius quam rem susceptam dirimi, si unus augur, alio «die» dixerit? Quid magnificentius quam posse decernere, ut magistratu se abdicent consules? Quid religiosius quam cum populo, cum plebe agendi ius aut dare aut non dare? Quid, legem si non iure rogata est tollere, ut Titiam decreto conlegi, ut Livias consilio Philippi consulis et auguris? Nihil domi, nihil militiae per magistratus gestum sine eorum auctoritate posse cuiquam probari? Qui auctoritas allude in senso oggettivo ad “autorità”, ovverosia va intesa nel senso di “potere”: grande importanza ha quindi nella repubblica la autorità degli auguri. In cosa consisteva dunque questa “autorità”, questo potere? Nello sciogliere i comizi e le assemblee già convocate da chi pure ha sommo imperio e somma potestà, così come nell’annullare quelle già tenute; nell’interrompere una deliberazione e nello stabilire che i consoli abdichino alla loro magistratura; persino nell’annullare la nomina di un dictator (v. per es. Liv. 8.15.5-6); nel concedere o nel negare lo ius agendi cum populo e cum plebe; nell’annullare leggi illegalmente approvate; nel fatto che non si possa, né in pace, né in guerra approvare alcunché di iniziativa dei magistrati, senza l’autorità degli auguri. È di grande interesse notare come una auctoritas/autorità fondata sulla sacralità del collegio augurale potesse vincere imperia e potestates, ancorché fra le più alte in grado. È altresì significativo il ruolo del tutto preminente di questa auctoritas religiosa su qualsiasi potere civile o militare. D’altro canto la potenza augurale è ben testimoniata dalle parole di 78

 

Cfr. BERTHELET, op. cit., 129 ss., con ivi citazioni delle relative fonti.

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Cicerone in leg., 2.8.21: Quaeque augur iniusta nefasta vitiosa dira deixerit, inrita infectaque sunto; quique non paruerit, capital esto: la pena di morte colpiva coloro che non rispettassero la dichiarazione dell’augure che poteva rendere privo di effetti e come non compiuto tutto ciò che fosse stato considerato iniquo, nefasto, contrario agli auspici, funesto. Il concetto viene ribadito in Cic. div., 1.89: [ut] testis est nostra civitas, in qua et reges augures et postea privati eodem sacerdotio praediti rem publicam religionum auctoritate rexerunt. Nelle mani della auctoritas (nel senso di autorità) augurale vi era dunque il governo stesso della res publica. E l’autorità (auctoritas) degli auguri, secondo Cic. div., 2.70, si conserva intatta, insieme con le pratiche, l’osservanza dei riti, le regole, il diritto augurale (fonte di quella autorità), per la grande utilità della res publica: retinetur autem et ad opinionem vulgi et ad magnas utilitates rei publicae mos, religio, disciplina, ius augurium, collegii auctoritas. D’altro canto sempre Cicerone in nat. deor., 2.12 ricorda: magna augurum auctoritas. Anche qui auctoritas è da intendersi nel senso oggettivo e prescrittivo di autorità: l’elezione dei consoli non era stata regolare, gli auguri riferirono al Senato e il Senato invitò i consoli a dimettersi, cosa che i supremi magistrati prontamente fecero. Se il Senato o i consoli non avessero dato seguito alle indicazioni degli auguri sarebbero stati passibili di pena capitale. È chiaro che non può essere una qualità personale e nemmeno l’autorevolezza di una carica, ma solo un discorso autoritativo, a comportare la pena capitale. L’auctoritas degli auguri è del resto considerata garanzia del successo delle imprese in Cic. har., 18: [veteres putaverunt] rerum bene gerundarum auctoritates augurio 79. Diverso significato ha invece auctoritas in Cic. fam., 6.6.7: Quare, quoniam, ut augures et astrologi solent, ego quoque augur publicus ex meis superioribus praedictis constitui apud te auctoritatem augurii et divinationis meae, debebit habere fidem nostra praedictio. Qui Cicerone fa riferimento alla validità/affidabilità (auctoritas/fides) della sua scienza augurale. 79

 

V. anche Val.Max. 1.1.1a: bene gerendarum rerum auctoritate.

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Gli auguri si distinguevano dunque rispetto a tutti gli altri sacerdoti per il tipo di auctoritas: essa infatti derivava la sua pienezza direttamente da Giove 80. È significativa la forza creatrice della loro auctoritas che genera/determina il successo delle imprese. In virtù della inauguratio, di loro esclusiva competenza 81, essi generavano l’incrementum di potenza 82 dando pienezza innanzitutto al potere regio. È altresì significativo che inaugurati, ancora in età repubblicana, fossero soltanto 83 gli auguri, il rex sacrorum, che era la riduzione ad sacra dell’antico rex e i flamini maggiori. Non casualmente i pontefici non erano inaugurati 84. L’auctoritas augurale, proprio in virtù della inauguratio, conferiva loro un’autorità che li ricollegava immediatamente a Giove e andava ben oltre l’auctoritas / consilium / autorevolezza dei pontefici. La loro preminenza era autoritativa, piuttosto che semplicemente autorevole. Non casualmente in epoca monarchica il rex, a seguito della inauguratio, era egli stesso augur 85.

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Così anche BERTHELET, op. cit., 133 secondo cui l’auctoritas “jovienne” degli auguri si distingueva qualitativamente dalla “auctoritas-consilium” degli altri sacerdoti. 81 Cfr. invero Cic. leg., 2.8.20; Fest. s.v. Saturno, 462 L.; Macrob. sat., 2.13.21; v. DE FRANCISCI, Primordia civitatis, 1959, 516; da ultimo BERTHELET, op. cit., 133. 82 Cfr. DE FRANCISCI, Primordia, cit., 517. 83 Cfr. BIANCHI, Il rex sacrorum a Roma e nell’Italia antica, 2017, 124 e nt. 62. 84 Cfr. BIANCHI, ibid. 85 Cfr. Cic. div., 1.89.

 

7. L’auctoritas dei magistrati Auctoritas è spesso collegata nelle fonti ad un magistrato. È interessante notare come sia riferita normalmente alla autorevolezza di un soggetto che ricopre o ha ricoperto una magistratura o comunque che ha avuto un potere di comando. È utile innanzitutto riflettere su quanto afferma Cicerone in de imperio Cn. Pompei pro lege Manilia, 43 ss. 86: [43] Et quoniam auctoritas quoque in bellis administrandis multum atque in imperio militari valet, certe nemini dubium est quin ea re idem ille imperator plurimum possit. Vehementer autem pertinere ad bella administranda quid hostes, quid socii de imperatoribus nostris existiment quis ignorat, cum sciamus homines in tantis rebus, ut aut contemnant aut metuant aut oderint aut ament, opinione non minus et fama quam aliqua ratione certa commoveri? Quod igitur nomen umquam in orbe terrarum clarius fuit? Cuius res gestae pares? De quo homine vos, – id quod maxime facit auctoritatem, – tanta et tam praeclara iudicia fecistis?

Qui auctoritas coincide con il prestigio del comandante. In questo senso l’auctoritas svolge un ruolo decisivo nella condotta della guerra e nell’esercizio del comando militare. Infatti il prestigio (auctoritas) di un capo influisce notevolmente sull’atteggiamento dei nemici e degli alleati. Nel caso di specie Pompeo godeva di notevole presti86

V., da ultimo, DAVID, L’expression et les manifestations de l’auctoritas dans les rivalités politiques à la fin de la Republique: le témoignage de Cicéron, in L’auctoritas à Rome, cit., 193 s.

 

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gio (auctoritas). Una grande auctoritas induce timore e rispetto, una scarsa auctoritas suscita odio e disprezzo. I riconoscimenti ricevuti da Pompeo, insieme con la importanza delle sue imprese e la vastità della sua fama, contribuivano ad innalzarne l’auctoritas. L’auctoritas è dunque strettamente connessa con il merito individuale, e con la buona fama. [44] An vero ullam usquam esse oram tam desertam putatis, quo non illius diei fama pervaserit, cum universus populus Romanus, referto foro completisque omnibus templis ex quibus hic locus conspici potest, unum sibi ad commune omnium gentium bellum Cn. Pompeium imperatorem deposcit? Itaque – ut plura non dicam, neque aliorum exemplis confirmem quantum [huius] auctoritas valeat in bello – ab eodem Cn. Pompeio omnium rerum egregiarum exempla sumantur: qui quo die a vobis maritimo bello praepositus est imperator, tanta repente vilitas annonae ex summa inopia et caritate rei frumentariae consecuta est unius hominis spe ac nomine, quantum vix in summa ubertate agrorum diuturna pax efficere potuisset.

L’auctoritas (nel senso di prestigio/autorevolezza) è decisiva per il buon esito di una guerra, ciò sarebbe confermato da una pluralità di esempi relativi a vari comandanti. L’auctoritas di Pompeo avrebbe fatto sì che, appena venutasi a sapere la notizia della sua nomina a comandante nella guerra contro i pirati, il prezzo del grano scendesse rapidamente, posto che la sua fama faceva ben sperare in una rapida soluzione del conflitto e in una pace duratura. [45] iam accepta in Ponto calamitate ex eo proelio, de quo vos paulo ante invitus admonui, – cum socii pertimuissent, hostium opes animique crevissent, satis firmum praesidium provincia non haberet, – amisissetis Asiam, Quirites, nisi ad ipsum discrimen eius temporis divinitus Cn. Pompeium ad eas regiones fortuna populi Romani attulisset. Huius adventus et Mithridatem insolita inflammatum victoria continuit, et Tigranem magnis copiis minitantem Asiae retardavit. Et quisquam dubitabit quid virtute perfecturus sit, qui tantum auctoritate perfecerit? Aut quam facile imperio atque exercitu socios et vectigalia conservaturus sit, qui ipso nomine ac rumore defenderit?

 

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Il solo arrivo di Pompeo, per via della sua auctoritas, ebbe effetto su Mitridate e su Tigrane, frenandone e ritardandone l’azione. Il prestigio era tale che intimorì e sconvolse i piani dei nemici. [46] Age vero, illa res quantam declarat eiusdem hominis apud hostis populi Romani auctoritatem, quod ex locis tam longinquis tamque diversis tam brevi tempore omnes huic se uni dediderunt? Quod a communi Cretensium legati, cum in eorum insula noster imperator exercitusque esset, ad Cn. Pompeium in ultimas prope terras venerunt, eique se omnis Cretensium civitates dedere velle dixerunt? Quid? Idem iste Mithridates nonne ad eundem Cn. Pompeium legatum usque in Hispaniam misit? Eum quem Pompeius legatum semper iudicavit, ei quibus erat [semper] molestum ad eum potissimum esse missum, speculatorem quam legatum iudicari maluerunt. Potestis igitur iam constituere, Quirites, hanc auctoritatem, multis postea rebus gestis magnisque vestris iudiciis amplificatam, quantum apud illos reges, quantum apud exteras nationes valituram esse existimetis.

Secondo Cicerone l’auctoritas di Pompeo era così grande da aver indotto di per sé i nemici del popolo romano ad arrendersi o a trattare con lui. L’Arpinate conclude ribadendo che l’auctoritas di Pompeo è stata amplificata dalle molte sue gesta e dal giudizio largamente positivo di senatori, autorevoli a loro volta. Ciò avrebbe avuto un particolare effetto su re e popoli stranieri. Insomma, l’auctoritas coincide con il prestigio personale del leader, deriva innanzitutto dalle grandi imprese compiute, quindi dal merito individuale, si amplifica con la fama e la considerazione di persone dotate di autorevolezza, ed è garanzia del successo delle azioni che dovrà intraprendere chi la possiede. Esemplare è poi Cic. de lege agraria, 1.27: Erratis, si senatum probare ea quae dicuntur a me putatis, populum autem esse in alia voluntate. Omnes qui se incolumis volent sequentur auctoritatem consulis soluti a cupiditatibus, liberi a delictis, cauti in periculis, non timidi in contentionibus. L’autorevolezza del console consiste nel fatto che sia libero da passioni, scevro da crimini, cauto nei pericoli, coraggioso nella lotta. In Cic. Rab., 22, l’auctoritas consularis è contrapposta alla follia

 

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dei tribuni in carica: proprio la contrapposizione con il furor tribunicius indica come auctoritas esprima qui una qualità personale, ovvero la autorevolezza di coloro che in quel momento guidavano la res publica: Tu denique, Labiene, quid faceres tali in re ac tempore? Cum ignaviae ratio te in fugam atque in latebras impelleret, improbitas et furor L. Saturnini in Capitolium arcesseret, consules ad patriae salutem ac libertatem vocarent, quam tandem auctoritatem, quam vocem, cuius sectam sequi, cuius imperio parere potissimum velles? ‘Patruus,’ inquit, ‘meus cum Saturnino fuit.’ Quid? Pater quicum? Quid? Propinqui vestri, equites Romani? Quid? Omnis praefectura, regio, vicinitas vestra? Quid? Ager Picenus universus utrum tribunicium furorem, an consularem auctoritatem secutus est? In Att., 1.16.6 auctoritas allude alla autorevolezza e al prestigio dell’azione di governo svolta da Cicerone come console: habes, ut brevissime potui, genus iudici et causam absolutionis. Quaeris deinceps qui nunc sit status rerum et qui meus. Rei publicae statum illum, quem tu meo consilio, ego divino confirmatum putabam, qui bonorum omnium coniunctione et auctoritate consulatus mei fixus et fundatus videbatur, nisi quis nos deus respexerit, elapsum scito esse de manibus uno hoc iudicio, si iudicium est triginta homines populi Romani levissimos ac nequissimos nummulis acceptis ius ac fas omne delere et, quod omnes non modo homines verum etiam pecudes factum esse sciant, id Thalnam et Plautum et Spongiam et ceteras huius modi quisquilias statuere numquam esse factum. Per converso in Att., 1.18.5 Cicerone ricorda come la auctoritas del pur eccellente console Metello sia diminuita, per aver egli condiviso misure approvate con riguardo a Clodio. È di tutta evidenza che ci si riferisce qui alla autorevolezza personale di Metello che risulta compromessa a causa di un comportamento sbagliato: Metellus est consul egregius et nos amat, sed imminuit auctoritatem suam quod habet dicis causa promulgatum illud idem de Clodio. Auli autem filius, o di immortales! quam ignavus ac sine animo miles! quam dignus qui Palicano, sicut facit, os ad male audiendum cotidie praebeat! In Cic. Verr., 2.1.106 auctoritas allude alla autorevolezza del pretore che dovrebbe presupporre serietà personale e conoscenza del diritto: Tutores pecuniam praetori si pupillae nomine dedissent, grandem

 

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praesertim, quem ad modum in rationem inducerent, quem ad modum sine periculo suo dare possent, non videbant; simul et istum fore tam improbum non arbitrabantur; saepe appellati pernegaverunt. Iste ad arbitrium eius cui condonabat hereditatem ereptam a liberis quam aequum edictum conscripserit, quaeso, cognoscite. Cum intellegam legem Voconiam-. Quis umquam crederet mulierum adversarium Verrem futurum? An ideo aliquid contra mulieres fecit ne totum edictum ad Chelidonis arbitrium scriptum videretur? Cupiditati hominum ait se obviam ire. Quis potius non modo his temporibus, sed etiam apud maiores nostros? Quis tam remotus fuit a cupiditate? Dic, quaeso, cetera; delectat enim me hominis gravitas, scientia iuris, praetoris auctoritas. Recita. Qui ab A. Postumio Q. Fulvio censoribus postve ea testamentum fecit fecerit. Ma la condotta di Verre aveva annientato la sua auctoritas, nonostante lui sedesse ancora in Senato, cfr. Cic. Verr., 2.2.76: Retinete, retinete hominem in civitate, iudices, parcite et conservate, ut sit qui vobiscum res iudicet, qui in senatu sine ulla cupiditate de bello et pace sententiam ferat. Tametsi minus id quidem nobis, minus populo Romano laborandum est, qualis istius in senatu sententia futura sit. Quae enim eius auctoritas erit? L’essere senatore non implicava il permanere dell’auctoritas, se la condotta personale l’aveva pregiudicata. In Verr., 2.3.19 Cicerone contrappone l’autorevolezza (auctoritas) dei prudentissimi viri, a cui il Senato aveva conferito il pieno potere nel fissare le norme per l’appalto delle imposte, a Verre, uomo di poca avvedutezza e di nessuna autorevolezza minimi consilii, nullius auctoritatis: Itane vero? Prudentissimi viri summa auctoritate praediti, quibus senatus legum dicendarum in locandis vectigalibus omnem potestatem permiserat populusque Romanus idem iusserat, Siculo uno recusante cum amplificatione vectigalium nomen Hieronicae legis mutare noluerunt: tu, homo minimi consili, nullius auctoritatis, iniussu populi ac senatus, tota Sicilia recusante, cum maximo detrimento atque adeo exitio vectigalium totam Hieronicam legem sustulisti? In Cic. Verr., 2.5.39, auctoritas e vis sono poste rispettivamente in relazione con dignitas e imperium, collegate alla carica di pretore: auctoritas è dunque l’autorevolezza che proviene dalla dignitas, laddove

 

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vis deriva dall’imperium: Secuta provincia est; in qua numquam tibi venit in mentem non tibi idcirco fascis ac securis et tantam imperi vim tantamque ornamentorum omnium dignitatem datam ut earum rerum vi et auctoritate omnia repagula pudoris officique perfringeres, ut omnium bona praedam tuam duceres, ut nullius res tuta, nullius domus clausa, nullius vita saepta, nullius pudicitia munita contra tuam cupiditatem et audaciam posset esse; in qua tu te ita gessisti ut, omnibus cum teneare rebus, ad bellum fugitivorum confugias; ex quo iam intellegis non modo nullam tibi defensionem, sed maximam vim criminum exortam. Nisi forte Italici fugitivorum belli reliquias atque illud Tempsanum incommodum proferes, ad quod recens cum te peropportune fortuna attulisset, si quid in te virtutis aut industriae habuisses, idem qui semper fueras inventus es. In Verr., 2.5.54 gravitas in scribendo e auctoritas in costituendo iure, sono due qualità che ironicamente Cicerone attribuisce a Verre: Audite decretum mercennarii praetoris ex ipsius commentario, et cognoscite quanta in scribendo gravitas, quanta in constituendo iure sit auctoritas. Recita. Commentarivs. De consili sententia libenter ait se facere itaque perscribit. Quid, si hoc verbo non esses usus ‘libenter’? nos videlicet invitum te quaestum facere putaremus. Ac ‘de consili sententia’! Praeclarum recitari consilium, iudices, audistis; utrum vobis consilium tandem praetoris recitari videbatur, cum audiebatis nomina, an praedonis improbissimi societas atque comitatus? Per stabilire una regola di diritto ci vuole dunque autorevolezza, che Verre non possiede. In Cic. pro Murena, 86, auctoritas consularis è l’autorevolezza del console, anche se in questo caso l’autorevolezza discende proprio dal fatto di ricoprire la magistratura. Qui infatti Cicerone esorta i giudici a deliberare in favore di Murena. È evidente che nessun potere, nessuna autorità può derivare dalla carica di console nei confronti dei giudici. Non casualmente Cicerone usa il verbo hortor, vi esorto e poco dopo oro et obsecro, vi prego e vi scongiuro, termini incompatibili con riguardo ad un invito autoritativo. Sarà quindi l’autorevolezza a smuovere le libere volontà dei giudici: Quae cum ita sint, iudices, primum rei publicae causa, qua nulla res cuiquam potior debet esse, vos pro mea summa et vobis cognita in re publica diligentia moneo, pro auc-

 

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toritate consulari hortor, pro magnitudine periculi obtestor, ut otio, ut paci, ut saluti, ut vitae vestrae et ceterorum civium consulatis; deinde ego idem et defensoris et amici officio adductus oro atque obsecro, iudices, ut ne hominis miseri et cum corporis morbo tum animi dolore confecti, L. Murenae, recentem gratulationem nova lamentatione obruatis. Così pure in Cic. Vat., 16, auctoritas allude senza ombra di dubbio al credito di cui gode un ex console: l’aver ricoperto una carica così prestigiosa conferisce autorevolezza al soggetto: sic enim ex te quaero. tribunus plebis fuisti, seiunge te a consule: conlegas habuisti viros fortis novem. ex iis tres erant quos tu cotidie sciebas servare de caelo, quos inridebas, quos privatos esse dicebas; de quibus duos praetextatos sedentis vides, te aediliciam praetextam togam, quam frustra confeceras, vendidisse! tertium scis ex illo obsesso atque adflicto tribunatu consularem auctoritatem hominem esse adulescentem consecutum. reliqui sex fuerunt, e quibus partim plane tecum sentiebant, partim medium quendam cursum tenebant: omnes habuerunt leges promulgatas, in iis multas meus necessarius, etiam de mea sententia, C. Cosconius, iudex noster, quem tu dirumperis cum aedilicium vides. In Liv. 2.56.1-4 si fa riferimento alla auctoritas dei consoli e dei più illustri cittadini che avrebbe potuto indurre un tribuno ad interporre adesivamente la intercessio. L’auctoritas è uno strumento per generare ascolto e comportamenti conformi alla volontà di chi la possiede, insomma per ottenere ubbidienza spontanea, non imposta. È evidente – sia per il paragone dell’auctoritas dei consoli con quella di illustri cittadini, che dunque non necessariamente ricoprivano cariche, auctoritates che purtuttavia vengono messe sullo stesso piano; sia per il fatto che i consoli non avevano autorità nei confronti dei tribuni – che qui auctoritas indica l’autorevolezza personale del magistrato: Voleronem amplexa favore plebs proximis comitiis tribunum plebi creat in eum annum qui L. Pinarium P. Furium consules habuit. Contraque omnium opinionem, qui eum vexandis prioris anni consulibus permissurum tribunatum credebant, post publicam causam privato dolore habito, ne verbo quidem violatis consulibus, rogationem tulit ad populum ut plebeii magistratus tributis comitiis fierent. Haud parva res sub

 

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titulo prima specie minime atroci ferebatur, sed quae patriciis omnem potestatem per clientium suffragia creandi quos vellent tribunos auferret. Huic actioni gratissimae plebi cum summa vi resisterent patres, nec quae una vis ad resistendum erat, ut intercederet aliquis ex collegio, auctoritate aut consulum aut principum adduci posset, res tamen suo ipsa molimine gravis certaminibus in annum extrahitur. In Liv. 3.25.2 si fa riferimento ad una auctoritas dei nuovi questori che era maggiore (maior auctoritas) rispetto a quella dei questori precedenti. È fuori di dubbio che si fa riferimento ad una diversa autorevolezza personale per una medesima carica: L. Minucius inde et C. Nautius consules facti duas residuas anni prioris causas exceperunt. Eodem modo consules legem, tribuni iudicium de Volscio impediebant; sed in quaestoribus novis maior vis, maior auctoritas erat. In Liv. 4.24.9 auctoritas allude al prestigio di cui godeva l’ex dittatore Mamerco Emilio: solo grazie ad essa Mamerco riuscì a calmare il popolo adirato contro i censori, che pur lo avevano discriminato per aver ridotto da 5 anni a 18 mesi la durata della magistratura: populi certe tanta indignatio coorta dicitur ut vis a censoribus nullius auctoritate praeterquam ipsius Mamerci deterreri quiverit. Anche in questo caso l’auctoritas motiva ad ubbidire volontariamente, senza coercizione. In Suet. Caes., 69, auctoritas è il prestigio di cui godeva il proconsole Cesare presso i propri soldati. Pure in questa circostanza l’auctoritas è il mezzo per indurre una spontanea ubbidienza: Seditionem per decem annos Gallicis bellis nullam omnino moverunt, civilibus aliquas, sed ut celeriter ad officium redierint, nec tam indulgentia ducis quam auctoritate. In tutti questi casi l’auctoritas d’un uomo politico romano sembra riposare su “trois traits constitutifs: d’être le produit d’une action ou d’une attitude, que cette action soit un témoignage de vertu, d’intelligence ou de courage, et enfin d’être reconnue comme telle par l’opinion publique” 87. 87

Cfr. DAVID, L’expression et les manifestations de l’auctoritas, cit., 194; v. anche PINA PALO, op. cit., 155.

 

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A queste ipotesi vanno aggiunti i casi in cui l’auctoritas/autorevolezza derivava dal ricoprire o dall’aver ricoperto una carica pubblica 88, salvo non venisse azzerata da demeriti personali. In Verr., 2.5.19 auctoritas fa riferimento alla autorità (oggettiva/ istituzionale) del pretore Verre, che Cicerone avrebbe ben voluto difendere, ma che egli ha pregiudicato con le sue proprie mani: Quid? si aliquid ab Apollonio commissum est quam ob rem in eum iure animadverteretur, tamenne hanc rem sic agemus ut crimini aut invidiae reo putemus esse oportere si quo de homine severius iudicaverit? Non agam tam acerbe, non utar ista accusatoria consuetudine, si quid est factum clementer, ut dissolute factum criminer, si quid vindicatum est severe, ut ex eo crudelitatis invidiam colligam. Non agam ista ratione; tua sequar iudicia, tuam defendam auctoritatem, quoad tu voles; simul ac tute coeperis tua iudicia rescindere, mihi suscensere desinito; meo iure enim contendam eum qui suo iudicio damnatus sit iuratorum iudicum sententiis damnari oportere. Non diversamente in Cic. Verr., 2.5.152 auctoritas allude all’autorità, intesa nel senso di “potere”, che Verre ancora aveva nonostante avesse perso qualsiasi credibilità (e dunque nonostante avesse perso ogni autorevolezza): Verres, ille vetus proditor consulis, translator quaesturae, aversor pecuniae publicae, tantum sibi auctoritatis in re publica suscepit ut, quibus hominibus per senatum, per populum Romanum, per omnis magistratus, in foro, in suffragiis, in hac urbe, in re publica versari liceret, iis omnibus mortem acerbam crudelemque proponeret si fortuna eos ad aliquam partem Siciliae detulisset. In Cic. Phil., 12.23 auctoritas sembra riferirsi al potere, alla carica esercitata ed ai suoi effetti, è cioè l’autorità esercitata dal settemviro Cesennio; non traduce dunque l’autorevolezza del soggetto, bensì allude all’autorità in senso istituzionale:

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Cfr. BERTHELET, op. cit., 121 ss.; 123: “Contrairement à la potestas (cum ou sine imperio) intrinsèque à la magistrature, l’auctoritas qui découlait d’une telle fonction ne disparaissait certes pas à la sortie de charge et demeurait attachée à la personne-même de l’ancien magistrat”.

 

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Nunc, quaeso, attendite, num aberret [a] coniectura suspicio periculi mei. Etruriam discriminat Cassia. Scimusne igitur, Pansa, quibus in locis nunc sit Lentonis Caesenni septemviralis auctoritas? Nobiscum nec animo certe est nec corpore. Si autem aut domi est aut non longe a domo, certe in Etruria est, id est in via. Quis igitur mihi praestat Lentonem uno capite esse contentum? Dic mihi praeterea, Pansa, Ventidius ubi sit, cui fui semper amicus, antequam ille rei publicae bonisque omnibus tam aperte est factus inimicus. Possum Cassiam vitare, tenere Flaminiam; quid? si Anconam, ut dicitur, Ventidius venerit, poterone Ariminum tuto accedere? Restat Aurelia. Hic quidem etiam praesidia habeo; possessiones enim sunt P. Clodi. Tota familia occurret, hospitio invitabit propter familiaritatem notissimam.

In Livio 4.57.5 auctoritas allude alla autorità in senso oggettivo, è il potere del tribuno militare con potestà consolare che ben poteva nominare il dictator nonostante l’opposizione (intercessio) al parere del Senato: ac si quis intercedat senatus consulto, auctoritate se fore contentum. Di un certo interesse sono infine quei passi 89 che testimoniano 89

V. per esempio Cic. Brut., 178: eius aequalis P. Cethegus, cui de re publica satis suppeditabat oratio –totam enim tenebat eam penitusque cognoverat; itaque in senatu consularium auctoritatem adsequebatur; Cic. Man., 63: Atque haec tot exempla, tanta ac tam nova, profecta sunt in eundem hominem a Q. Catuli atque a ceterorum eiusdem dignitatis amplissimorum hominum auctoritate; Cic. de orat., 3.7: Nam quam diu Crassi fuit ambitionis labore vita districta, tam diu privatis magis officiis et ingeni laude floruit quam fructu amplitudinis aut rei publicae dignitate; qui autem annus ei primus ab honorum perfunctione aditum omnium concessu ad summam auctoritatem dabat, is eius omnem spem atque omnia vitae consilia morte pervertit; Cic. pro Planc., 49: quasi non comitiis iam superioribus sit Plancius designatus aedilis; quae comitia primum habere coepit consul cum omnibus in rebus summa auctoritate; Cic. Lael., 96: Atque id actum est praetore me quinquennio ante quam consul sum factus; ita re magis quam summa auctoritate causa illa defensa est; Cic. fam., 15.13.3: Si alii consules essent, ad te potissimum, Paulle, mitterem, ut eos mihi quam amicissimos redderes: nunc, cum tua summa potestas summaque auctoritas notaque omnibus nostra necessitudo sit, vehementer te rogo, ut et quam honorificentissime cures decernendum de meis rebus gestis et quam celerrime: dignas res esse honore et  

 

L’auctoritas dei magistrati

49

come più importanti fossero le cariche rivestite, ovvero più prestigioso fosse il cursus honorum, maggiore era l’auctoritas del soggetto 90.

gratulatione cognosces ex iis litteris, quas ad te et collegam et senatum publice misi; Cic. Mur., 74: ‘Quippe’ inquit ’tu mihi summum imperium, tu summam auctoritatem, tu gubernacula rei publicae petas fovendis hominum sensibus et deleniendis animis et adhibendis voluptatibus?; Cic. inv., 2.92: Intentio est: “Dedi oportet”. Depulsio est: “Non oportet”. Quaestio est: oporteatne? Ratio est: “Non enim meum fuit officium nec mea potestas, cum et id aetatis et privatus essem et esset summa cum auctoritate et potestate imperator, qui videret, ut satis honestum foedus feriretur”. 90 Sul punto v. HELLEGOUARC’H, Le vocabulaire latin des relations et des partis politiques sous la République, cit., 310; BERTHELET, De la différence, cit., 124 ss.

 

8. Auctoritas ovvero della autorevolezza Auctoritas nel senso di autorevolezza è quindi normalmente riferita alla persona del magistrato e può ben essere sganciata dalla auctoritas della istituzione. Già lo si è visto in Cic. Att., 1.18.5, con riguardo a Metello, che, pur rimanendo sempre console, ha perso auctoritas, e anche in Liv., 3.25.2, dove si fa riferimento a due diversi gradi di auctoritas fra i nuovi questori e quelli precedenti: per una stessa carica, dunque, differente autorevolezza. In Verr., 2.5.19 persino l’autorità del pretore, che Cicerone avrebbe pur voluto difendere (tuam auctoritatem defendam), è stata intaccata dai comportamenti scellerati di Verre che aveva certamente perso autorevolezza. Addirittura l’appartenenza al Senato non bastava per conservare l’auctoritas se la condotta personale l’aveva pregiudicata 91. In che cosa consiste quindi questa autorevolezza che caratterizza un console, un pretore, un questore, insomma un magistrato, ovvero un leader? In Cic. de lege agraria, 1.27 l’autorevolezza del magistrato è collegata con l’essere libero da passioni, scevro da crimini, cauto nei pericoli, coraggioso nella lotta; in Cic. Rab., 22 l’autorevolezza del magistrato contrapposta alla follia dei tribuni presuppone in un leader la dote dell’equilibrio; in Cic. Verr., 2.1.106 l’autorevolezza va in parallelo con la serietà personale e la conoscenza del diritto. Per converso comportamenti sbagliati o disonorevoli fanno perdere auctoritas: così è per Metello Cic. Att., 1.18.5 e per Verre in Cic. Verr., 2.5.19. 91

 

Cfr. Cic. Verr., 2.2.76.

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

Un passo fondamentale per comprendere la concezione repubblicana di auctoritas è Cic. top., 73: Persona autem non qualiscumque est testimoni pondus habet; ad fidem enim faciendam auctoritas quaeritur; sed auctoritatem aut natura aut tempus affert. Naturae auctoritas in virtute inest maxima; in tempore autem multa sunt quae afferant auctoritatem: ingenium, opes, aetas, fortuna, ars, usus, necessitas, concursio etiam non numquam rerum fortuitarum. Nam et ingeniosos et opulentos et aetatis spatio probatos dignos quibus credatur putant; non recte fortasse, sed vulgi opinio mutari vix potest ad eamque omnia dirigunt et qui iudicant et qui existimant. Qui enim rebus his quas dixi excellunt, ipsa virtute videntur excellere.

Cicerone si riferisce ai casi in cui un testimone abbia credibilità, non qualunque persona può essere infatti un testimone affidabile. E qui veniamo al punto decisivo: per essere affidabile come teste si richiede auctoritas, ovvero autorevolezza. L’auctoritas/autorevolezza può derivare o dalla natura o dalla contingenza. L’autorevolezza che deriva dalla natura riposa massimamente sulla virtù individuale, quella che è legata alla contingenza dipende da molte circostanze. Recano infatti autorevolezza: l’ingegno, la ricchezza, l’età, la fortuna, l’abilità tecnica personale, i costumi, la necessità, e anche il concorso di circostanze fortuite. Cicerone conclude, a guisa di chiosa, ribadendo che infatti consideriamo persone degne gli uomini di ingegno, quelli ricchi, quelli con molta esperienza alle spalle. Alla luce di queste considerazioni e per quello che qui ci interessa auctoritas è dunque quel requisito che rende un soggetto degno di rivestire una carica. L’auctoritas presuppone spesso doti o comportamenti esemplari. Dipende dunque dall’immagine pubblica che è stata costruita sulla base degli atti e della condotta personale 92. Soprattutto, come si è visto nei casi sopra riportati, l’auctoritas dipende dalla considerazione di una certa categoria di consociati, è sog92

 

Cfr. BUR, op. cit., 68.

Auctoritas ovvero della autorevolezza

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getta a variazioni di intensità, si accresce con l’accrescersi del cursus honorum, ma per converso può venir meno, laddove ne vengano a mancare i presupposti, può essere dunque transeunte. Appare inoltre interessante osservare come in tutti i passi citati che riguardano uomini di Stato non sia in alcun modo presente una caratterizzazione religioso-sacrale di auctoritas. Riferita a magistrati, ovvero a generali/uomini di governo, auctoritas esprime una connotazione prettamente laica. Una considerazione ancora. In Cic. Verr., 2.5.19 auctoritas fa riferimento alla autorità in senso oggettivo, istituzionale, ovverosia al potere del magistrato che ben volentieri Cicerone con riguardo a Verre avrebbe voluto difendere se questi non avesse perso autorevolezza. Nella specie questa autorità discende dalla sua potestas, ma è inficiata dalla sua assenza di autorevolezza. Ben si può concludere dunque come la pote stas del magistrato traesse legittimazione dalla sua auctoritas nel significato di autorevolezza 93. L’efficacia della potestas del magistrato era quindi legata al riconoscimento del suo prestigio personale che a sua volta conseguiva di norma al possesso di alcune qualità.

93

Interessanti riflessioni in AGAMBEN, Stato di eccezione, 2003, 109 s., in particolare: “Il sistema giuridico dell’Occidente si presenta come una struttura doppia, formata da due elementi eterogenei e, tuttavia, coordinati: uno normativo e giuridico in senso stretto – che possiamo qui iscrivere per comodità sotto la rubrica potestas – e uno anomico e metagiuridico – che possiamo chiamare col nome di auctoritas. L’elemento normativo ha bisogno di quello anomico per potersi applicare, ma, d’altra parte, l’auctoritas può affermarsi solo in una relazione di validazione o di sospensione della potestas”.

 

9. Auctoritas e disciplina C’è un passo del Cato maior di Cicerone particolarmente interessante per cogliere natura ed effetti del concetto di auctoritas in età repubblicana, 11.37: Quattuor robustos filios, quinque filias, tantam domum, tantas clientelas Appius regebat et caecus et senex, intentum enim animum tamquam arcum habebat nec languescens succumbebat senectuti. Tenebat non modo auctoritatem, sed etiam imperium in suos: metuebant servi, verebantur liberi, carum omnes habebant; vigebat in illa domo mos patrius et disciplina. Catone, scrive Cicerone, conservava non solo l’auctoritas sui suoi famigliari ma anche l’imperium. I servi lo temevano (metuebant), i liberi lo onoravano (verebantur). Il tutto in virtù di imperium e auctoritas. Proprio a motivo di auctoritas e imperium, e per via del rispetto e dell’ubbidienza conseguenti, in quella casa regnava la disciplina, che accomunava i servi, su cui si esercitava un rigido potere di comando, e i liberi che erano indotti ad onorare un così grande esempio. Auctoritas e imperium sono dunque concetti distinti. Possono coesistere in uno stesso soggetto, ma anche andare disgiunti. Imperium indica il potere di comando, nel diritto pubblico allude al potere di supremazia del console e del pretore. Qui è usato nel senso generico e atecnico di un potere che presuppone soggezione, ubbidienza. Auctoritas allude invece in questa circostanza a qualcosa di diverso dall’italiano “autorità”, che altrimenti sarebbe necessariamente insita già nel concetto di imperium. È evidente come il timore da parte degli schiavi fosse legato innanzitutto al potere di comando che Catone aveva su di essi. Il rispetto dei liberi era invece legato all’auctoritas, vale a dire alla particolare autorevolezza di Catone.

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

L’auctoritas presuppone il rispetto da parte del subordinato, il rispetto è il presupposto della disciplina. Come scrive lo Schulz 94, auctoritas e disciplina sono fra le parole “dominanti” nella discussione politica della repubblica. Sono l’una specchio dell’altra. È la stessa res romana che per Tito Livio si fonda sulla disciplina 95. E ancora: intelleges...non fortuito populum Romanum, sed consilio et disciplina confirmatum esse 96, la grandezza del popolo romano si poggia sulla saggezza, cioè sulle giuste scelte, e sulla disciplina. La disciplina romana viene spesso accostata ai mores maiorum, alle radici stesse della identità repubblicana 97. Ovviamente se all’imperium, cioè al supremo potere di comando, corrisponde una soggezione agli ordini del “capo”, l’autorevolezza, come riconosce Cicerone per il caso di Catone, si impone attraverso il rispetto che si prova verso la persona “autorevole”, ovvero attraverso il riconoscimento del prestigio del “leader”. Ed è in virtù di quella autorevolezza che il rispetto si trasforma in disciplina, una disciplina spontanea. L’auctoritas è espressamente considerata da Svetonio 98 il presupposto della disciplina straordinaria dei soldati di Cesare che non si ribellarono mai e quando lo fecero tornarono presto al loro dovere: nec tam indulgentia ducis quam auctoritate. La disciplina è vissuta come volontaria accettazione di un ruolo superiore. Non casualmente la grandezza del popolo romano non si fonda a detta di Cicerone, de rep., 2.16.30, solo sulla disciplina, ma anche sulla saggezza ovvero sulle giuste scelte. Consilium et disciplina vanno necessariamente di pari passo e sono entrambi, congiuntamente, il presupposto di quella grandezza 99. Che è poi quanto dice, con altre 94

Cfr. SCHULZ, op. cit., 144. Liv. 8.7.16. 96 Cfr. Cic. rep., 2.30. 97 Cfr. ad esempio Cic. rep., 2.64. 98 Cfr. Suet. Caes., 69. 99 Questo sintagma ritorna non casualmente con riguardo al successo plurisecolare di Cartagine: cfr. Cic. rep., 1 fr. 1f Z, (Non. p. 526.8 L.): Nec tantum Carthago habuisset opum sescentos fere annos sine consiliis et disciplina. 95

 

Auctoritas e disciplina

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parole, lo Schulz 100: “Il sistema romano presuppone indubbiamente uomini che, nonostante la razionale lucidità della loro concezione di vita, abbiano la precisa e costante volontà di riconoscere l’autorità, senza tuttavia divenire anime di schiavi; che però, mentre anche a costo di sacrifizii aspirano ad acquistare autorità, non vogliano dopo averla acquistata diventare tiranni”.

100

 

Cfr. SCHULZ, op. cit., 163.

10. Due esempi di leadership autorevole Facciamo qualche esempio concreto, storico, di come la leadership si è costruita attraverso doti e comportamenti esemplari. Prendo come riferimento Publio Cornelio Scipione, detto poi l’Africano, per la vittoria su Annibale ottenuta a Zama nel 201 a.C. e Caio Giulio Cesare, due leader dotati di grande carisma e particolare auctoritas 101. Scipione guidava in Spagna le operazioni militari contro i Cartaginesi. La popolazione locale, i cosiddetti Celtiberi, si era ribellata ai Romani e parteggiava per i Cartaginesi, come del resto anche i Celti della Cisalpina. Le fonti antiche ricordano ammirate alcuni esempi della capacità di leadership di Scipione. Per capire il senso di questi esempi dobbiamo calarci nel contesto storico. Beni e persone dei nemici sconfitti erano prede belliche. Scrive Polibio che alcuni giovani romani, imbattutisi in una ragazza spagnola superiore a tutte le altre per bellezza, sapendo che Scipione aveva un debole per le donne, la portarono da lui con l’intenzione di fargliene dono. Scipione, pur colpito e ammirato da quella bellezza, rispose: “siccome sono un comandante, nessun altro dono potrebbe essere per me meno gradito”. Fece quindi chiamare il padre riconsegnandogliela. Polibio conclude: “Dimostrata così la sua continenza e la sua moderazione, conseguì grande rispetto agli occhi dei popoli da lui sottomessi” 102. E ancora. Il bottino di guerra per disposizione di 101 102

 

V. infatti, rispettivamente, Liv. 29.27.3; 34.62.18; 37.37.9 e Suet. Caes., 69. Cfr. Polib. 10.19.4-5.

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

Scipione venne scrupolosamente messo in un fondo comune e poi diviso fra tutti i soldati conquistando così egli la loro ammirazione e riconoscenza. Ancora una volta generosità e saggezza rafforzano la leadership di Scipione presso le sue truppe. E verso di loro valeva soprattutto la capacità di motivarle, di elogiarne il valore, di ricompensarle per atti di eroismo compiuti, abitudine caratteristica dell’atteggiamento dell’Africano. Tratto costante della sua leadership era poi lo scrupolo con cui affrontava ogni impresa bellica: “Il comandante attendeva a tutto con eguale sollecitudine; talora era con la flotta e nei cantieri, altre volte partecipava alle manovre delle legioni; o dedicava il suo tempo all’ispezione dei lavori, di quelli che in grande gara fra loro una immensa folla di operai compiva ogni giorno nelle officine e nell’arsenale e nei cantieri” 103. Ammirati dalle sue doti di comando, gli Iberi ad un certo punto lo salutarono con la qualifica di re. Scipione, pur grato per il tributo di tanta stima, riuniti tutti gli Iberi rispose che non gradiva essere chiamato con tale appellativo. Dispose piuttosto che lo chiamassero comandante 104. E Livio così commenta l’episodio: “Anche quei barbari sentirono la magnanimità di quell’uomo che da tanta sua altezza disprezzava un titolo il cui mirabile prestigio abbagliava ogni altro mortale” 105. Scipione d’altro canto era particolarmente attento ad accrescere la propria auctoritas 106. E per altro verso, l’auctoritas di Scipione era ampiamente riconosciuta anche presso popoli e re stranieri: così in Liv. 34.62.18: nam ni ita esset, unus Scipio vel notitia rei vel auctoritate, ita de utrisque meritus, finire nutu disceptationem potuisset, ove si sottolinea l’autorevolezza che i suoi meriti gli davano verso entrambi i contendenti, relativamente ad un arbitrato fra Cartagine e Massinissa circa rapporti di confine, arbitrato in cui l’Africano era stato coinvolto; non diversamente in Liv. 37.37.9: motus tamen Antiochus tanti auctoritate viri, Antioco è colpito dalla autorevolezza di un così grande uomo. 103

Cfr. Liv. 26.51.8. Cfr. Polib. 10.40.4-5. 105 Cfr. Liv. 27.19. 106 V., infatti, Liv. 29.27.2-3. 104

 

Due esempi di leadership autorevole

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Sottolinea il Liddell Hart 107 come “anche nel momento più esaltante del trionfo questo giovane conquistatore sa conservare un perfetto controllo di se stesso e un invidiabile equilibrio mentale”. E così prosegue: “Anche giudicandolo solamente dal suo carattere senza tener conto delle sue imprese, Scipione ha ogni diritto di essere considerato come la più alta incarnazione delle virtù romane, certo umanizzate e sviluppate dalla cultura greca, ma presenti in lui come sicuro scudo contro le tendenze allora degeneri di quest’ultima”. Possiamo concludere, generalizzando quanto scrive il Liddell Hart 108, che “Tirando le somme a proposito di questa iniziale, brillante azione di comando, il primo riconoscimento va alla visione strategica e alla capacità di giudizio mostrate da Scipione”. Cesare è un personaggio fuori dal comune, cosa ha determinato il suo prestigio di leader, oltre alle sue grandi doti tattiche e alla sua visione strategica? Cito alcuni esempi tratti da Svetonio che pure non sempre è benevolo nei suoi confronti e non segue un genere biografico agiografico: camminava molto a piedi, alla testa dei suoi soldati, dormiva anche lui come loro nei carri, riuscendo a fare persino cento miglia in un giorno, mangiava sobriamente, condivideva con loro ogni fatica 109. Non fece mai passare l’esercito in località atte all’insidia senza aver prima fatto esplorare i luoghi, e non lo fece passare in Britannia se non dopo aver perlustrato di persona i porti, la rotta e le spiagge di approdo 110. Quando fu avvertito che in Germania i suoi accampamenti erano stretti d’assedio, li raggiunse attraversando il territorio presidiato dal nemico travestito da Gallo 111. Durante gli scontri con esito dubbio faceva allontanare il cavallo, a cominciare dal proprio, perché, tolta ogni possibilità di fuga, si imponesse la necessità di resistere 112. Spesso, mentre già l’esercito stava ripiegando, riuscì da 107

Cfr. LIDDELL HART, Scipione Africano, trad. it., 1981, 52. Cfr. LIDDELL HART, op. cit., 44. 109 Cfr. Suet. Caes., 57. 110 Cfr. Suet. Caes., 58. 111 Cfr. Suet. ibid. 112 Cfr. Suet. Caes., 60. 108

 

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

solo a rinsaldarne le fila gettandosi davanti ai fuggiaschi e trattenendoli a uno a uno 113. Non giudicava i soldati né dal loro aspetto né dai loro costumi, ma solo dal loro valore, e li trattava con severità pari all’indulgenza 114. Nei suoi discorsi non li chiamava “soldati”, ma “commilitoni” 115. Era tanto affezionato ai suoi soldati che, quando seppe della disfatta di Titurio, si lasciò crescere la barba e i capelli, e non li tagliò se non dopo averli vendicati 116. Al principio della guerra civile i centurioni di tutte le legioni si impegnarono a fornirgli, con i propri risparmi, un cavaliere ciascuno, e i soldati tutti si offersero di prestare servizio gratuitamente, senza ricevere né stipendio né razioni, sovvenendo i più ricchi alle necessità dei più poveri. E in tutto quel periodo di tempo così lungo nemmeno uno di loro lo abbandonò 117; parecchi, anzi, fatti prigionieri, rifiutarono di aver salva la vita a condizione che combattessero contro di lui 118. La fedeltà dei suoi soldati si fondava esclusivamente sulla sua autorevolezza, ovvero sulla sua auctoritas 119. I tratti del suo carattere carismatico si manifestano anche nella vita civile. Scrive sempre Svetonio 120: nemmeno da giovane venne mai meno alla sollecitudine e alla lealtà verso i clienti. Trattò sempre gli amici con tanta cortesia e con tanta bontà che una volta, essendosi improvvisamente ammalato Caio Oppio, che lo accompagnava in un viaggio per regioni boscose, gli cedette il solo piccolo alloggio che c’era in quel luogo e se ne rimase a dormire sulla nuda terra sotto le stelle 121. Non concepì mai contro nessuno un odio così forte da non abbandonarlo volentieri appena se ne presentasse l’occasione 122. Anche nel vendicarsi 113

Cfr. Suet. Caes., 62. Cfr. Suet. Caes., 65. 115 Cfr. Suet. Caes., 67. 116 Cfr. Suet. ibid. 117 Cfr. Suet. Caes., 68. 118 Cfr. Suet. Caes., 68. 119 Cfr. Suet. Caes., 69. 120 Cfr. Suet. Caes., 71. 121 Cfr. Suet. Caes., 72. 122 Cfr. Suet. Caes., 73. 114

 

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era mitissimo per natura 123. Dimostrò inoltre una moderazione e una clemenza veramente ammirevoli non solo nella condotta della guerra civile, ma anche nella vittoria 124. Il suo sangue si conservava sempre freddo e il suo cervello sempre lucido. Nonostante sapesse essere duro quando era necessario, era clemente (la famosa clementia Caesaris, la nova ratio vincendi) e comprensivo, generoso con i suoi e con il popolo come pure con gli avversari. Fece dei Galli, che pure sconfisse, un popolo rispettoso e attaccato a Roma. Insomma era un leader “popolarissimo ed espertissimo” 125. E quando i congiurati lo uccisero per ripristinare le libertà repubblicane, fu pianto e rimpianto con passione dal popolo romano 126. Lealtà, coraggio, schiettezza, magnanimità, spirito di sacrificio, autodisciplina e severità innanzitutto con se stesso, durezza equa e mitezza giusta, generosità. Queste le doti che diedero a Cesare quella eccezionale autorevolezza (auctoritas) 127nei confronti dei propri soldati, creando una leadership carismatica e ottenendo in cambio una disciplina non comune.

123

Cfr. Suet. Caes., 74. Cfr. Suet. Caes., 75. 125 Così App. pr., 2.16. 126 Cfr. App. pr., 2.17. 127 Così esemplarmente Suet. Caes., 69. 124

 

11. Augustus Si è visto come auctoritas con riguardo a magistrati, senatori, sacerdoti, giuristi indicasse innanzitutto l’autorevolezza soggettiva conseguita, in alcuni casi esprimeva invece l’autorità istituzionale, il potere insito in quella carica. Quando auctoritas esprimeva l’autorevolezza del personaggio pubblico, essa presupponeva un consenso diffuso. La fonte di quella autorevolezza consisteva nel “prestigio” personale raggiunto, o per le azioni compiute o per le qualità possedute, ovvero per il fatto in sé di rivestire o aver rivestito una carica “prestigiosa”. Con Ottaviano l’auctoritas sembra acquistare una importanza particolare. La specifica rilevanza che aveva l’auctoritas nella vicenda politicoistituzionale di Ottaviano Augusto emerge in modo indiscutibile dalle famose parole contenute in Res gestae, 34.2-3: Quo pro merito meo senatu[s consulto Au]gust[us appe]llatus sum et laureis postes aedium mearum vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum pop[ulumq]ue Rom[anu]m dare virtutis clementiaeque iustitiae et pieta[tis caus]sa testatu[m] est pe[r e]ius clupei [inscription]em. Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potest]atis au[tem n]ihilo ampliu[s habu]i quam cet[eri qui m]ihi quoque in magistratu conlegae fuerunt. L’importanza del concetto di auctoritas proprio con riguardo ad Augusto 128 è confermata dalla ricorrenza del termine, riferito sempre ad Ottaviano, in altri tre testi epigrafici: 128  

 

Diversamente ROWE, Reconsidering the auctoritas of Augustus, in JRS,

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Auctoritas fra autorevolezza e autocrazia

CIL 6.4416 = ILS 4966: Dis Manibus/collegio symphonia/corum qui sacris publi/cis praestu (sic) sunt, quibus senatus c(oire) c(onuenire) c(olligi) permisit e / lege Iulia ex auctoritate / Aug(usti) ludorum causa); CIL 9.2845 = ILS 915 = E-J 197 (P(ublius) Paquius, Scaevae et Flaviae filius, Consi et Didiae nepos, Barbi et Dirutiae pronepos, Scaeua quaestor, decemuir stlitibus iudicandis ex s(enatus) c(onsulto) post quaesturam, quattuoruir | capitalis ex s(enatus) c(onsulto) post quaesturam et decemuiratum stlitium iudicandarum, tribunus plebis, | aedilis curulis, / iudex quaestionis, / praetor aerarii, / pro consule provinciam Cyprum optinuit, / viar(um) cur(ator) extra V(rbem) R(omam) ex s(enatus) c(onsulto) in quinq(uennium), procos iterum extra sortem auctoritate Aug(usti) Caesaris / et s(enatus) c(onsulto) misso (sic) ad componendum statum in reliquum prouinciae Cypri, fetialis, / consobrinus idemque uir Flauiae Consi filiae, / Scapulae neptis, / Barbi proneptis, simul cum ea conditus); Corinth 8.2.54 = AE 1919. 1 ([L(ucio) A]quillio C(aii) f(ilio) Pom(ptina) / [Fl]oro Turciano Gallo, / [X(decem)uir(o)] stlitib(us) iud(icandis), trib(uno) mil(itum) leg(ionis) VIIII Mac(edonicae), / [q(uaestori) Aug(usti) ? pro q]uaest(ore) Cypro ex auctoritate Aug(usti), / [tr(ibuno) pl(ebis)], pr(aetori), proco(n)s(uli) prouinciae Ach[aiae], / Ti. Ti(berii) Claudi(us) Anaxilas et.../ [II u]ir(i) quinq(ennales) sua pecunia [f(ecerunt)].

Va osservato inoltre con l’Hurlet 129 il particolare significato delle Res gestae – in cui l’auctoritas augustea viene sottolineata – nella vicenda istituzionale del princeps. Esse appaiono infatti un vero e proprio “bilan politique à portée constitutionelle” con cui non solo Augusto dava conto dei risultati ottenuti durante il suo lungo impero, ma soprattutto indicava lo spirito che aveva guidato il suo governo e dunque la natura delle nuove fondamenta della res publica. Il testo delle Res gestae è preceduto da una sintetica motivazione del conferimento del titolo di Augustus, Res gestae, 34.1: In consulatu 103 (2013), 1 ss.; contro cui, però, v. le condivisibili osservazioni di HURLET, The auctoritas and libertas of Augustus: metamorphosis of the Roman res publica, in Libertas and Res Publica, cit., 172 s. 129 Cfr. HURLET, op. ult. cit., 354.

 

Augustus

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sexto et septimo, postqua[m b]el[la civil]ia extinxeram, per consensus universorum [pot]ens 130 re[ru]m om[n]ium, rem publicam ex mea potestate in senat[us populi[que] R[om]ani [a]rbitrium transtuli. La testimonianza contenuta nelle Res gestae è decisiva per comprendere l’evoluzione subita da auctoritas nel quadro istituzionale della Roma repubblicana. Con Ottaviano auctoritas sembra dunque acquistare un senso ulteriore, più forte rispetto a quanto essa significava per gli altri magistrati. Il procedere del discorso del princeps è chiaro e coerente: con senato consulto venne attribuito ad Ottaviano l’appellativo di Augustus. Contestualmente gli stipiti della sua casa vennero rivestiti di alloro, una corona civica fu collocata sopra la sua porta e uno scudo d’oro fu posto nella curia Giulia, a riconoscenza della virtù, clemenza, giustizia e pietas che caratterizzavano l’imperatore. Da quel momento Ottaviano, divenuto anche Augusto, fu superiore a tutti per auctoritas, pari invece per potestas ai suoi colleghi nella magistratura rivestita. Nella seduta del Senato del 13 gennaio del 27 a.C. Ottaviano depone quel potere straordinario fondato prima sul triumvirato e poi sul giuramento di fedeltà dell’Italia e delle provincie 131, rimette la res pu130

Così, fra gli altri, MARCONE, Augusto: il fondatore dell’Impero che cambiò la storia di Roma e del mondo, 2015, 91 ss.; CANFORA, Augusto figlio di dio, 2016, 246; 251; LICANDRO, Augusto e la res publica imperiale: studi epigrafici e papirologici, 2018, 6 ss.; MANNINO, Legittimità del potere e primazia politica fra antico romano e modernità, cit., 105 ss. Diversamente, COSTABILE, Caius Iulius Caesar. Dal dictator al princeps. Dal divi filius al Cristo. Augusto e le maschere del potere, 2013, 95 ss., che propone, con sottili argomentazioni, il raro e inusitato potiens, anziché potens. Nella edizione di MOMMSEN, Res gestae divi Augusti, 1883, LXXXXIV e 146, si legge [potitus reru]m om[n]ium. Il testo qui accettato tiene conto della scoperta di un nuovo frammento da parte di Paula Botteri e della conseguente proposta di nuova edizione di Drew-Bear e di Scheid. Sul punto v. BOTTERI, L’integrazione mommseniana a Res Gestae 34.1 e il testo greco, in ZPE, 144 (2003), 262 ss.; DREW BEAR-SCHEID, La copie des ‘Res Gestae’ d’Antioche de Pisidie, in ZPE, 154 (2005), 233 s. 131 Cfr. DE FRANCISCI, La costituzione augustea, in Augustus, Studi in occasione del Bimillenario augusteo, Roma 1938, 65 ss.; recentemente COSTABILE,  

 

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blica nelle mani degli organi costituzionali 132, in cambio 133 gli verrà attribuito il titolo di Augustus. Di fondamentale importanza, per capire il significato di questa attribuzione, è Svetonio, Aug., 7: Postea Gai Caesaris et deinde Augusti cognomen assumpsit, alterum testamento maioris avunculi, alterum Munati Planci sententia, cum, quibusdam censentibus Romulum appellari oportere quasi et ipsum conditorem urbis, prevaluisset, ut Augustus potius vocaretur, non solum novo sed etiam ampliore cognomine, quod loca quoque religiosa et in quibus augurato quid consecratur augusta dicantur, ab auctu vel ab avium gestu gustuve, sicut etiam Ennius docet scribens: augusto augurio postquam incluta condita Roma est. Lo storico ricorda come i senatori volessero conferire ad Ottaviano il cognomen di Romulus 134, come se fosse un secondo fondatore di Roma. D’altro canto la propaganda augustea insisteva sul collegamento con il mito del fondatore della città: così, per esempio, Suet. Aug., 95 attesta che mentre Ottaviano prendeva l’augurium in occasione del suo primo consolato sarebbero apparsi dodici avvoltoi proprio come accadde a Romolo nell’atto di fondare l’urbe. Secondo Cassio Dione 135 sarebbe stato lo stesso Ottaviano a desiderare “ardentemente” di ricevere l’appellativo di Romolo. Il che staCaius Iulius Caesar, cit., 106; da ultimo MANNINO, op. ult. cit., 112, che ravvisa tuttavia la giustificazione del potere detenuto da Ottaviano fino al 28 a.C. nel generico consensus universorum, comune a tutti gli abitanti dell’impero e richiamato in Res gestae, 34.1, diverso dal giuramento collettivo di massa rappresentato dalla coniuratio Italiae et provinciarum di cui in Res gestae, 25.2. 132 Sul significato di questo gesto e sulle sue conseguenze giuridiche v., recentemente, COSTABILE, Caius Iulius Caesar, cit., 111 ss.; LICANDRO, Augusto e la res publica imperiale, cit., 6 ss.; 42 ss.; MANNINO, Legittimità del potere, cit., 99 ss. 133 Chiarissimo sul punto è lo stesso Augusto, res gestae, 34.2: Quo pro merito meo senat[us consulto Au]gust[us appel]latus sum. 134 V. anche Serv. ad Aen., 1.292.25-28 secondo cui il popolo avrebbe offerto a Ottaviano di essere nominato Quirinus, il dio delle curiae identificato con Romolo. 135 Cass. Dio. 53.16.7-8.

 

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rebbe a testimoniare il suo preciso disegno di apparentare la propria immagine a quella del fondatore di Roma, il primo degli antichi re. Insomma lo storico greco rivela la diretta paternità del principe in questa operazione di mitizzazione della propria immagine. Per comprendere in quali termini Ottaviano apparisse come un nuovo fondatore della città, basta leggere Velleio Patercolo, 2.89-91: [89] Caesar autem reversus in Italiam atque urbem quo occursu, quo favore hominum omnium generum, aetatum, ordinum exceptus sit, quae magnificentia triumphorum eius, quae fuerit munerum, ne in operis quidem iusti materia, nedum huius tam recisi digne exprimi potest. 2 Nihil deinde optare a dis homines, nihil dii hominibus praestare possunt, nihil voto concipi, nihil felicitate consummari, quod non Augustus post reditum in urbem rei publicae populoque Romano terrarumque orbi repraesentaverit. 3 Finita vicesimo anno bella civilia, sepulta externa, revocata pax, sopitus ubique armorum furor, restituta vis legibus, iudiciis auctoritas, senatui maiestas, imperium magistratuum ad pristinum redactum modum, tantummodo octo praetoribus adlecti duo. Prisca illa et antiqua rei publicae forma revocata. 4 Rediit cultus agris, sacris honos, securitas hominibus, certa cuique rerum suarum possessio; leges emendatae utiliter, latae salubriter; senatus sine asperitate nec sine severitate lectus. Principes viri triumphisque et amplissimis honoribus functi adhortatu principis ad ornandam urbem inlecti sunt. Consulatus tantummodo usque ad undecimum quem continuaret Caesar, 5 cum saepe obnitens repugnasset, impetrare non potuit: nam dictaturam quam pertinaciter ei deferebat populus, tam constanter repulit. Bella sub imperatore gesta pacatusque 6 victoriis terrarum orbis et tot extra Italiam domique opera omne aevi sui spatium impensurum in id solum opus scriptorem fatigarent: nos memores professionis universam imaginem principatus eius oculis animisque subiecimus. [90] Sepultis, ut praediximus, bellis civilibus coalescentibusque rei publicae membris, et coaluere quae tam longa armorum series laceraverat. Dalmatia, annos viginti et ducentos rebellis, ad certam confessionem pacata est imperii. Alpes feris incultisque nationibus celebres perdomitae. Hispaniae nunc ipsius praesentia, nunc Agrippae, quem usque in tertium consulatum et mox collegium tribuniciae potestatis amicitia principis evexerat, multo varioque Marte pacatae. 2 In

 

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quas provincias cum initio Scipione et Sempronio Longo consulibus primo anno secundi belli Punici abhinc annos quinquaginta et ducentos Romani exercitus missi essent duce Cn. Scipione, Africani patruo, per annos ducentos in iis multo mutuoque ita certatum est sanguine, ut amissis populi Romani imperatoribus exercitibusque saepe contumelia, nonnumquam etiam periculum Romano inferretur imperio. 3 Illae enim provinciae Scipiones consumpserunt; illae contumelioso decem annorum bello sub duce Viriatho maiores nostros exercuerunt; illae terrore Numantini belli populum Romanum concusserunt; in illis turpe Q. Pompei foedus turpiusque Mancini senatus cum ignominia dediti imperatoris rescidit; illa tot consulares, tot praetorios absumpsit duces, patrumque aetate in tantum Sertorium armis extulit, ut per quinquennium diiudicari non potuerit, Hispanis Romanisne in armis plus esset roboris et uter populus alteri pariturus foret. 4 Has igitur provincias tam diffusas, tam frequentis, tam feras ad eam pacem abhinc annos ferme quinquaginta perduxit Caesar Augustus, ut quae maximis bellis numquam vacaverant, eae sub C. Antistio ac deinde P. Silio legato ceterisque postea etiam latrociniis vacarent. [91] Dum pacatur occidens, ab oriente ac rege Parthorum signa Romana, quae Crasso oppresso Orodes, quae Antonio pulso filius eius Phraates ceperant, Augusto remissa sunt. Quod cognomen illi iure Planci sententia consensus universi senatus populique Romani indidit.

Il passo appartiene alla propaganda di un “intellettuale organico” 136, però esprime perfettamente le motivazioni e l’atteggiamento psicologico, verosimilmente ben suggestionati dai partigiani del principe 137, che determinarono il conferimento da parte del Senato del titolo di Augustus. Gli uomini non possono chiedere agli dei niente, gli dei non possono garantire agli uomini nulla che Augusto non abbia fatto per la res publica, per il popolo romano e per il mondo intero. Terminate le guerre civili, finite le guerre esterne, ristabilita la pace, restituita forza alle

136

Così CANFORA, Augusto figlio di dio, 2016, 254. V. SYME, La rivoluzione romana, trad. it., 2014, 457 secondo cui la proposta avanzata in Senato dal consolare Lucio Munazio Planco sarebbe stata preparata in privato prima di essere patrocinata da eminenti senatori. 137

 

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leggi, autorità ai giudizi, maestà al Senato, il potere dei magistrati è stato riportato all’antico stato. La repubblica è stata restaurata. Ottaviano doveva (e voleva) apparire dunque come colui che ha rifondato Roma, ricostituendo le sue istituzioni: Prisca illa et antiqua rei publicae forma revocata (Vell. 2.89.3). Non solo. L’azione di Ottaviano è simile a quella di un dio: Nihil deinde optare a dis homines, nihil dii hominibus praestare possunt, nihil voto concipi, nihil felicitate consummari, quod non Augustus post reditum in urbem rei publicae populoque Romano terrarumque orbi repraesentaverit. È peraltro interessante iniziare 138 qui a notare la particolare lettura contenuta in Floro epit., 2.34.66 della discussione avvenuta in Senato sul conferimento ad Ottaviano dell’appellativo di Romolo: Tractatum etiam in senatu an, quia condidisset imperium, Romulus vocarentur. Emerge chiaramente una prospettiva diversa rispetto a quella tratteggiata da Velleio Patercolo circa la motivazione che aveva mosso i patres nel rappresentare con un nuovo nome il novello princeps: rievocandosi la figura di Romolo si sarebbe dunque voluto sottolineare il ruolo di Ottaviano nel fondare una nuova forma di potere (condere imperium) piuttosto che nel revocare priscam illam et antiquam rei publicae formam. Floro, che scriveva all’epoca di Adriano, poteva esprimersi più liberamente, senza i vincoli della propaganda augustea. In ogni caso, ai senatori sembrò che il nome di Romolo non avesse il carattere della novità e non fosse sufficientemente significativo (fosse cioè meno “ampio”). Per Cassio Dione, invece, solo il timore di far nascere il sospetto di aspirare al regno, venendo apparentato al primo degli antichi re, avrebbe indotto il principe a desistere dai suoi sforzi 139. “Augustus” esprimeva dunque più efficacemente la grandezza del personaggio. Aveva inoltre un connotato sacrale, che era più immedia138

V. anche infra par. 13. Va anche osservato che circolava a Roma ai tempi di Livio una leggenda secondo cui Romolo sarebbe stato ucciso dai patres: per questo aspetto non sarebbe stato politicamente consigliabile un siffatto apparentamento, cfr. Liv. 1.16.4. 139

 

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to 140 di quanto non fosse in “Romulus”. Questa natura sacrale era ben testimoniata dal fatto che i loca religiosa, in cui si prendono gli augùri per consacrare qualcosa, erano definiti augusta. “Augustus” richiamava anche il concetto di accrescimento espresso dal verbo augere (ab auctu), come pure i presagi che si ricavano dal volo degli uccelli (ab avium gestu gustuve). Ancora una volta riappare attorno a questo epiteto un’aura sacrale. Infine “Augustus” rimandava all’augustum augurium ricordato già da Ennio come il presagio beneaugurante in virtù del quale sarebbe stata fondata la gloriosa Roma 141. Ritorna, insieme con l’idea della fondazione della città e delle sue istituzioni, l’alone religioso che avvolge la persona stessa del fondatore. Il collegamento del vocabolo augustus con la divinità era del resto ben testimoniato da Ovidio in fast., 1.607-616: hic socium summo cum Iove nomen habet. sancta vocant augusta patres, augusta vocantur templa sacerdotum rite dicata manu: huius et augurium dependet origine verbi et quodcumque sua Iuppiter auget ope. augeat imperium nostri ducis, augeat annos, protegat et vestras querna corona fores: auspicibusque deis tanti cognominis heres omine suscipiat, quo pater, orbis onus. Il nome di Augusto, per il poeta di Sulmona, associa dunque Ottaviano a Giove: gli avi chiamano auguste le cose divine; augusti sono chiamati i templi consacrati ritualmente dalla mano dei sacerdoti; augurium e augustus hanno una medesima origine, augusto è infatti tutto 140

Romolo venne divinizzato soltanto alla sua morte assurgendo in cielo come Quirinus: cfr. Liv. 1.15; Plut. Rom., 27-29. Non sembrava invece molto credibile ai Romani del tempo di Augusto la paternità di Marte nell’origine del fondatore di Roma. Sembrava più probabile la notizia che la madre fosse rimasta incinta vittima di uno stupro: cfr. Liv. 1.4.2: Vi compressa Vestalis cum geminum partum edidisset, seu ita rata seu quia deus auctor culpae honestior erat, Martem incertae stirpis patrem nuncupat. Sulla laicizzazione del mito cfr. ANDREONI FONTECEDRO, Il sogno sciamanico di Ilia, in Aufidus, 14 (1991), 7 ss. 141 Cfr. Suet. Aug., 7. Auctus, augurium richiamavano inoltre la inauguratio propria esclusivamente dell’antico rex, dei flamines che erano i sacerdoti di Giove e degli auguri la cui potenza derivava direttamente da Giove: cfr. WISSOWA, Religion und Kultus der Romer, 1902, 490 e nt. 3; da ultimo BIANCHI, Il rex sacrorum, cit., 124 e nt. 62.

 

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ciò che Giove accresce con la sua opera. Giove accresca (augeat) il potere di Ottaviano (il nostro capo)! Ed ecco infine la conclusione: con auspici divini Augusto governi il mondo. È, in sintesi poetica, il significato del conferimento di questo titolo ad Ottaviano. Anche il semidio Ercole è definito “augustus” nel celebre passo di Livio 1.7.9 in cui il semidio incontra il venerabilis Evandro, che governava i loca situati sul Palatino grazie alla sua particolare auctoritas. Ha dunque un preciso significato l’affermazione di Floro quando considera sanctius et reverentius il nomen Augusti rispetto a quello di Romulus 142. Il collegamento di Augustus con la sfera sacrale è indubbiamente testimoniato dall’origine stessa del nome che deriva da augur con una chiara valenza religiosa 143. La traduzione greca di Augustus, Σεβαστός, ovverosia “venerabile” 144, “che deve essere adorato” 145, contenuta nella versione greca di Res gestae, 34.2, conferma l’alone religioso che avvolgeva la sua figura 146. Fra l’altro è notato in Ernout-Meillet che solo con riguardo ad Ottaviano, Augustus prende il significato di Σεβαστός 147. Interessante a questo proposito quanto osserva Canfora 148 con riguardo a Σεβαστός: “Appiano adopera quel termine, usuale nei documenti in greco, e circolanti in tutta la parte greca e orientale dell’impero; ma è consapevo142

Cfr. Flor. epit., 2.34.66: Tractatum etiam in senatu an, quia condidisset imperium, Romulus vocarentur; sed sanctius et reverentius visum est nomen Augusti. 143 Cfr. BENVENISTE, Le vocabulaire des institutions indo-européennes, 2, cit., 148 ss. 144 Cfr. CHANTRAINE, Dictionnaire étymologique de la langue grecque, s.v. σέβομαι, 1968, 992. 145 V. CANFORA, Augusto, cit., 247. 146 Cfr. DE FRANCISCI, La costituzione augustea, cit., 70; più recentemente BIANCHI, Augusto e l’utilizzazione carismatica delle tradizioni religiose: una contestualizzazione frammentaria, in G. NEGRI, A. VALVO (a cura di), Studi su Augusto. In occasione del XX centenario della morte, 2016, 40; da ultimo v. MANNINO, Legittimità del potere, cit., 128. 147 Cfr. ERNOUT-MEILLET, op. cit., 57. 148 Cfr. CANFORA, op. cit., 247.

 

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le del ben più forte significato e valore carismatico del termine greco, che significa «che deve essere adorato»”. Per lo storico egiziano, dunque, “come per tutta la parte ellenofona dell’impero, la sottigliezza augustea di farsi chiamare Augustus da vivo, e, solo da morto, Divus, non ha molto senso. Il termine adottato, Σεβαστός, comprende entrambi gli aspetti. Di qui la notazione di Appiano: «egli fu il primo che si è fatto chiamare così da vivo!»” 149. Augustus era dunque percepito come equivalente di divus 150. E proprio in Egitto Augusto veniva venerato come dio già da vivo: in una epigrafe di provenienza egiziana si legge infatti a proposito di Σεβαστός / Augustus: «dio figlio di un dio» 151; così come per lui venne adottato “lo stesso formulario adoperato per millenni, per i Faraoni e poi, per secoli, per i Tolomei” 152. Di particolare interesse sono le formule fatte iscrivere su una epigrafe dal proconsole d’Asia Paullo Fabio Massimo 153. Dopo aver definito Augusto “salvatore e portatore al mondo, per volere della provvidenza, della buona novella”, viene fatta una affermazione significativa: “il genetliaco di Augusto può considerarsi pari, quanto ad importanza, al principio, per ciascuno, della vita e dell’esistenza”. Augusto viene dunque accostato a colui che dà vita ed esistenza, appare come il principio, come, cioè, un “creatore”. Questa divinizzazione in vita 154 se è particolarmente accentuata in Oriente, è ben testimoniata anche in Occidente. 149

Cfr. App. pr., 2.22. Cfr. CANFORA, op. cit., 246. 151 Cfr. BAUER, Vom Griechentum zum Christentum, 1910, 88; NOCK, Sunnaos theós, in HSPh, 41 (1930), 16 e 43. Sul punto CANFORA, op. cit., 247. 152 Cfr. CANFORA, op. cit., 247 s. Si consideri anche “l’installazione di sue statue nei templi accanto, o di fronte, a quelle di Iside e Osiride”. 153 Cfr. OGIS, 458, su cui LAFFI, Le iscrizioni relative all’introduzione nel 9 a.C. del nuovo calendario della Provincia d’Asia, in Studi Classici e Orientali, 16 (1967), 5 ss.; MARCONE, op. cit., 115 s.; CANFORA, op. cit., 248. 154 Sul punto v., fra i tanti, ROSS TAYLOR, Livy and the Name Augustus, in CR, 32 (1918), 158 ss.; PUGLIESE CARRATELLI, Auctoritas Augusti, in PP, 4 (1949), 29 ss.; DUMÉZIL, Remarques sur augur, augustus, in REL, 35 (1957), 150

 

 

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Ovidio nelle Metamorfosi 155, per esempio, giunge ad affermare che al momento della sua morte, Augusto assurgerà in cielo come dio. Accenni alla divinità di Augusto sono presenti anche nei Fasti 156. La progressiva assimilazione alla divinità che caratterizzò la figura di Augusto già in vita è ben testimoniata da Tacito 157, così come è ricordata nelle fonti latine la sua divinizzazione alla morte 158. Per Dione Cassio 159, assumendo il titolo di Augusto, il princeps voleva significare di essere “più che umano” 160. Del resto in Gallia, a Lione, Druso inaugura un’ara dedicata a “Roma ed Augusto”, culto congiunto che si diffonde ovunque 161 e che sta a testimoniare plasticamente il legame inscindibile fra quello che appare come un nuovo fondatore della città e la sua “creatura”. Cerimonia simile avvenne a Colonia verso la fine del I sec. a.C. 162. Ad Atene fu restaurato l’antico tempio di Zeus Olimpico che viene ora dedicato 126 ss.; ZECCHINI, Il cognomen Augustus, in ACD, 32 (1996), 129 ss.; TODISCO, Il nome Augustus e la fondazione ideologica del Principato, in P. DESIDERI, M. MOGGI, M. PANI (a cura di), Antidoron. Studi in onore di B. Scardigli Forster, 207, 441 ss. Più in generale per una ampia rassegna degli aspetti divini e dei collegamenti sacrali della persona di Ottaviano Augusto v. recentemente MANTZILAS, Augustus’ self-praise and religious activities in the Res Gestae: propaganda of an aspiring God, in Id., Mythology-Religion-Magic, 2018, 613 ss. 155 Cfr. Ovid. metam., 15.861-870. 156 Cfr. Ovid. fast., 1.587-590; v. anche 607-608. 157 Cfr. Tac. ann., 1.10.6: Nihil deorum honoribus relictum cum se templis et effigie numinum per flamines et sacerdotes coli vellet. 158 Cfr. Tac. ann., 1.10.8: Ceterum sepultura more perfecta templum et caelestes religiones decernuntur; v. anche Suet. Aug., 97. 159 Cfr. Cass. Dio 53.16.7-8. 160 Osserva MARCONE, Augusto. Il fondatore dell’Impero, cit., 112 s., che nei decreti del senato del 16 gennaio del 27 le onorificenze attribuite ad Ottaviano “non creavano ufficialmente un nuovo dio nel firmamento olimpico, ma costituivano senza dubbio la premessa decisiva per una futura divinizzazione, e comunque spianavano la strada per determinare forme di omaggio al Principe vivente che rasentavano spesso il culto statale”. 161 V. CANFORA, op. cit., 248 s. 162 Cfr. MARCONE, op. cit., 114.

 

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al Genius Augusti 163. Testimonianze del culto imperiale sono documentate anche nella penisola iberica 164. In una epigrafe rinvenuta a Reggio Calabria (Regium Iulium) compare il riferimento alla divinità di Augusto mentre questi era ancora in vita 165. D’altro canto la divinizzazione di Cesare 166 lo aveva fatto considerare fin da subito figlio di un dio 167. A Roma stessa l’inserimento del nome di Augusto nel carmen Saliare, “destinato alla preservazione e all’eternità dello Stato romano” 168, da una parte creava le premesse per il culto della sua persona, dall’altra sottolineava il suo ruolo di garante e tutore della comunità romana. Non diversamente nella casa di Augusto sul Palatino, diventata domus publica 169, venne dedicato un signum a Vesta, il cui culto era strettamente connesso a quello dei Penati pubblici (o maggiori) del popolo romano, spiriti protettori della intera comunità. Ciò significava assimilare, ovvero “omologare”, i Penati privati protettori della famiglia di Ottaviano con quelli pubblici che tutelavano lo Stato 170. Non deve pertanto stupire se i marinai di una nave ormeggiata a Pozzuoli e proveniente da Alessandria, nel 14 d.C., incontrando Augusto lo salutarono dicendo in coro: “Dobbiamo a te se siamo vivi, a te dobbiamo se navighiamo, a te dobbiamo la libertà e la pace” 171. Come ha lucidamente osservato Marcone 172, “Non diversamente che nel campo della definizione dei poteri politici, Augusto diede pro163

Cfr. CANFORA, Augusto, cit., 249. In specie a Tarragona: cfr. MARCONE, op. cit., 114. 165 Cfr. LAURENDI, Mistica e teologia del princeps nel novus status reipublicae augusteo, in COSTABILE, Caius Iulius Caesar, cit., 184 ss. 166 Cfr. Suet. Caes., 88. 167 V. infra par. 12. 168 Così MARCONE, Augusto, cit., 113. 169 Cfr. Cass. Dio. 55.12.5. 170 Cfr. FRASCHETTI, Roma e il principe, 359. 171 Cfr. Suet. Aug., 98, 2. 172 Cfr. MARCONE, Augusto, cit., 112 s. 164

 

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va di un’originale concezione del modo in cui la sua posizione e il suo potere dovevano essere considerati nella sfera religiosa”. E ancora: è “in questo ambito, malgrado la formale ricusazione di un esplicito culto divino in vita, almeno in Roma, che il distacco dal mos, dalla tradizione repubblicana, è più evidente anche per le implicazioni di natura carismatica che indubbiamente la nozione di auctoritas possiede”. Con la scelta del cognome Augustus si univano insieme un’aura religiosa e sacrale, il richiamo al mito della fondazione, l’idea di accrescimento e di buon augurio. Si impone nel contempo un’idea di potenza creatrice, di forza generatrice tipica di un fondatore. Il nome Augustus indica “la posizione più prestigiosa” che un uomo possa occupare 173, ma, attraverso il richiamo al mito della fondazione, suggerisce anche la sua capacità di dare vita a nuove istituzioni. In altre parole “Augustus implicava il riferimento alla posizione di chi fosse auctor, un termine, questo, la cui origine riconduceva a chi avesse la personale forza sacrale di ’creare’, di incrementare/augere qualcosa, a prescindere dalla titolarità di specifici poteri di comando” 174. Queste suggestioni sarebbero state contenute, a detta di Svetonio 175, in un editto dello stesso Ottaviano ove il princeps si sarebbe espressamente qualificato optimi status auctor, vale a dire fondatore di un ottimo regime, aggiungendo, poco dopo, l’auspicio che mansura in vestigio suo fundamenta rei publicae quae iecero. Significativo il riferimento a lui stesso come a colui che avrebbe gettato le fondamenta dello Stato. La speranza era che dette nuove fondamenta rimanessero nella forma da lui concepita. L’idea di Augusto come iustissimus auctor di un nuovo ordine, basato su (nuove) leges compare del resto anche nei componimenti poetici che rilanciano la apologia del princeps 176.

173

Cfr. BETTINI, op. cit., XXV; v. DUMÉZIL, Remarques sur augur augustus, cit., 149 s.; v. anche ERNOUT-MEILLET, op. cit., s.v. augeo, 57. 174 Cfr. MANNINO, Legittimità del potere, cit., 122. V., più diffusamente, supra par. 3. 175 Cfr. Suet. Aug., 28.3. 176 V. per esempio Ovid. met., 15.833.

 

12. La progressiva sacralizzazione di Ottaviano Il conferimento del titolo di Augustus, che riconoscendo in lui un’aura sacrale, apriva la strada al suo processo di divinizzazione, appare, a sua volta, come il risultato finale di una sapiente opera propagandistica di graduale apparentamento alla divinità. Ancorché qui riassunti solo per spunti e rapidi cenni, affiorano chiaramente tre passaggi chiave tutti già anteriori al 27 a.C.: l’azione personale di Ottaviano; lo strumento potentissimo di propaganda – in quanto capace di raggiungere ogni Romano quotidianamente – rappresentato dalla numismatica; l’apologetica della letteratura di regime. Fin dal 44 a.C. Ottaviano contribuisce ad alimentare il mito della sua derivazione divina. Come ricorda lui stesso nei Commentarii de vita sua 177 durante i ludi Veneris Genetricis istituiti da Ottaviano in 177

Cfr. Plin. n.h., 2.93-94 (si riporta il testo come nell’ed. Ian-Mayhoff della Teubner): Cometes in uno totius orbis loco colitur in templo Romae, admodum Faustus Divo Augusto iudicatus ab ipso, qui incipiente eo apparuit ludis, quos faciebat Veneri Genetrici non multo post obitum patris Caesaris in collegio ab eo instituto. namque his verbis in … gaudium prodit is: «Ipsis ludorum meorum diebus sidus crinitum per septem dies in regione caeli sub septemtrionibus est conspectum. id oriebatur circa undecimam horam diei clarumque et omnibus e terris conspicuum fuit. eo sidere significari vulgus credidit Caesaris animam inter deorum inmortalium numina receptam, quo nomine id insigne simulacro capitis eius, quod mox in foro consecravimus, adiectum est». haec ille in publicum; interiore gaudio sibi illum natum seque in eo nasci interpretatus est. et, si verum fatemur, salutare id terris fuit; v. anche Suet. Iul., 88: in deorum numero relatus est, non ore modo decernentium sed et persuasione volgi. Siquidem ludis, quos primos consecrato ei heres Augustus edebat, stella crinita per septem continuos dies fulsit exoriens circa undecimam horam, creditumque est animam  

 

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onore del padre, nel luglio del 44, sarebbe apparsa in cielo una stella cometa. Si sparse presso il popolo la credenza che indicasse l’anima di Cesare accolta fra gli dei immortali. L’episodio venne sapientemente sfruttato dal futuro principe che fece aggiungere una stella sopra il capo del busto di Cesare collocato nel tempio di Venere. Nasceva così il mito di Ottaviano divi filius 178. Contestualmente, fin dalla battaglia di Filippi del 42 a.C., Ottaviano accreditò personalmente la notizia di presagi destinati ad attestare la sua predestinazione e l’alea numinosa che lo circondava 179. La sua origine divina venne ripresa largamente negli anni successivi dalla zecca pubblica. La monetazione fra il 42 e il 31 a.C. contiene infatti copiose testimonianze numismatiche con il sintagma divi filius riferito ad Ottaviano 180. In parallelo la apolegetica a lui vicina e in specie il poeta “ufficiale” dell’impero, Virgilio, già negli anni ’30 celebrava la futura divinità di Ottaviano. Nell’esordio della prima Bucolica (1.8-9) Ottaviano è considerato un dio e sempre sarà tale per Virgilio: O Meliboee, deus nobis haec otia fecit. namque erit ille mihi sempre deus, illius aram saepe tenet nostris ab ovilibus imbuet agnus. Ancora più esplicito il riferimento nelle Georgica. Così per esempio in georg., 1.24-42: tuque adeo, quem mox quae sint habitura deorum / concilia incertum est, urbisne invisere, Caesar / terrarumque velis curam et te maxumus orbis / auctorem frugum tempestatumque potentem / accipiat cingens materna tempora myrto, / an deus immensi venias maris ac tua nautae / numina sola colant, tibi serviat ultima esse Caesaris in caelum recepti; et hac de causa simulacro eius in vertice additur stella; v. anche Cass. Dio. 45.7.1. 178 V. RAMSEY-LICHT, The Comet of 44 B.C. and Caesar’s Funeral Games, 1997, 65. V. tuttavia anche PANDEY, Caesar’s Comet, the Julian Star, and the Invention of Augustus, in TAPA, 143,2 (2013), 407 ss.; v. inoltre DOMENICUCCI, Astra Caesarum: astronomia, astrologia e catasterismo da Cesare a Domiziano, 1996, 71. Il ruolo attivo di Ottaviano nella conferma e diffusione del mito appare comunque certo, venendo confermato da lui stesso. 179 V. Suet. Aug., 91 ss. 180 V., per esempio, RRC (Coinage of the Roman Republic Online) 528/2a; 534/2; 534/1; 535/2; 540/1.

 

La progressiva sacralizzazione di Ottaviano

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Thyle / teque sibi generum Tethys emat omnibus undis, / anne novum tardis sidus te mensibus addas, / qua locus Erigonen inter chelasque sequentis / panditur (ipse tibi iam bracchia contrahit ardens / Scorpios et caeli iusta plus parte reliquit): / quidquid eris (nam te nec sperant Tartara regem, / nec tibi regnandi veniat tam dira cupido, / quamvis Elysios miretur Graecia campos / nec repetita sequi curet Proserpina matrem), / da facilem cursum atque audacibus adnue coeptis / ignarosque viae mecum miseratus agrestis / ingredere et votis iam nunc adsuesce vocari. Innanzitutto è certo che gli dei lo accoglieranno in cielo, è incerta solo la data. Quale vera e propria divinità protettrice egli veglia sulle città e si prende cura delle terre e il vasto universo lo accoglie quale creatore (auctor) delle messi e signore (potens) delle stagioni. Viene paragonato ad un dio dell’immenso mare. “I naviganti venerino soltanto il tuo nume” e “la dea Teti, figlia di Urano con tutte le onde ti acquisti quale suo genero”. Come nuovo astro troverà uno spazio fra due costellazioni, e a lui sarà lasciata una parte amplissima di cielo. Si noti la qualifica di Ottaviano come auctor e potens. Virgilio unisce due qualifiche che avranno poi un preciso significato politico e quasi ne spiega il reciproco rapporto. Se le Georgiche si aprono dunque con una immagine che prefigura la divinizzazione di Ottaviano, in georg., 1.503-504 si arriva a proclamare che la reggia del cielo invidia gli umani per aver egli preferito i terreni trionfi: iam pridem nobis caeli te regia, Caesar,/invidet atque hominum queritur curare triumphos. Ma ecco concludersi le ecloghe virgiliane con l’immagine di un Cesare che, dopo aver dato leggi ai popoli consenzienti, si apre la via dell’Olimpo, georg., 4.559-562: Haec super arvorum cultu pecorumque canebam / et super arboribus, Caesar dum magnus ad altum / fulminat Euphraten bello victorque volentis / per populos dat iura viamque adfectat Olympo. Se si considera che le Bucoliche sono state composte poco dopo il 40 a.C. mentre le Georgiche sono state iniziate nel 37 a.C., pubblicate nel 31, lette ad Ottaviano nel 29, si copre plasticamente tutto il periodo che prepara la svolta del 28/27 a.C. È interessante fra l’altro il collegamento in georg., 4.559-562 fra il dare iura e il viam adfectare

 

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Olympo: la sua attività di legislatore e di creatore di nuove istituzioni era la premessa della sua futura ascesa fra gli dei. È proprio nel 29 a.C. con la dedicatio del Tempio del Divus Iulius, Ottaviano trasforma un culto popolare in un vero e proprio culto pubblico: il culto verso suo padre è dunque ufficialmente inserito nella religione di Stato. Ottaviano dà segno di preparare la sua divinizzazione già prima del 27 a.C., anche curando i dettagli: alla fine del 29 a.C. 181 viene da lui restaurato il collegio sacerdotale dei fratres Arvales 182, che non casualmente si sarebbe poi occupato della celebrazione del giorno di nascita degli imperatori divinizzati. Furono anche istituiti sacrifici in favore della dinastia imperiale. Vennero dunque create le premesse per la trasformazione della celebrazione arvale in un vero e proprio culto imperiale 183. Può essere interessante notare come questo antichissimo collegio, secondo una leggenda le cui origini sembrano successive alla battaglia di Azio, fosse stato istituito dal fondatore della città, Romolo 184. Si potrebbe così supporre che questa origine mitologica del collegio degli Arvali avesse proprio lo scopo di collegare la riforma di Ottaviano alla figura e alle imprese di Romolo 185. È altresì degno di nota come proprio negli anni immediatamente antecedenti il 27 a.C., e dunque anteriori al conferimento del titolo di Augusto, Ottaviano si sia dedicato ad una incisiva e ampia riforma religiosa di cui quella degli arvali era un momento di particolare significato 186.

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Sulla data di questa riforma religiosa v. SCHEID, Les Frères Arvales. Recrutement et origine sociale sous les empereurs julio-claudiens, 1975, 347. 182 Cfr. Liv. 4.20.7; Hor. carm., 3.6; Ovid. fast., 2.69; Suet. Aug., 30. 183 Cfr. SCHEID, op. cit., 183. 184 Cfr. Plin. n.h., 18.2.6; Gell. 7.7.8, che cita il giurista Masurio Sabino come sua fonte. Non sono note testimonianze letterarie anteriori della leggenda sull’origine romulea. 185 Cfr. SCHEID, op. cit., 360. 186 Cfr. LAMBRECHTS, Auguste et la religion romaine, in Latomus, 6 (1947), 179 ss.; SCHEID, op. cit., 335 ss.

 

13. Verso l’auctoritas autocratica Alla luce di quanto si è osservato a proposito del significato della attribuzione del cognomen Augustus, e del disegno entro cui questa attribuzione si collocava, possiamo ora meglio chiarire la natura della auctoritas del princeps. Il punto di partenza è proprio il collegamento dell’auctoritas principis con il conferimento del titolo di Augusto 187. La derivazione di quella specifica auctoritas da quel conferimento è chiarissima in Res gestae, 34.2: Post id tempus (vale a dire dopo il conferimento del titolo di Augustus) auctoritate omnibus praestiti. È il riconoscimento del carattere divino di Augusto, capace di “creare” e di “fondare”, che conferisce a lui una auctoritas del tutto particolare 188. 187

L’attribuzione del titolo di Augusto rappresenta un passaggio formale significativo. Non condivido sul punto l’opinione di HURLET, De l’auctoritas senatus à l’auctoritas principis, cit., 362 s. secondo cui “l’affirmation par Auguste de son auctoritas ne fu pas actée officiellement par quelque décision que ce soit et à un moment ou un autre; elle est au contraire le fruit d’un processus qui s’étira sur plusieurs décennies et qui allait dans le sens du renforcement de son auctoritas au fur et à mesure de ses interventions dans la vie publique, en particulier au Sénat”. 188 Sul collegamento fra Augustus e auctoritas v. recentemente MARCONE, Augusto, cit., 292, nt. 43; v. da ultimo anche MANNINO, Legittimità del potere, cit., 123; 125. Tuttavia, almeno formalmente, e stando alle affermazioni dello stesso Ottaviano, la particolare auctoritas a lui riconosciuta deriva dal conferimento del cognome di Augustus, cfr. Res gestae, 34.2: Quo pro merito meo senatu[s consulto Au]gust[us appe]llatus sum et laureis postes aedium mearum  

 

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La stretta correlazione fra l’attribuzione del titolo di Augustus e il fatto che da quel momento sarebbe stato per auctoritas superiore a chiunque altro, è indirettamente confermata dalle acute riflessioni di Canfora 189 a proposito di Strab. 17.3.25: al fine di definire i poteri di Augusto, lo storico greco, contemporaneo dell’imperatore, adotta “formule e lessico delle Res gestae”. In particolare, la frase Senatus consulto Augustus appellatus sum diventerebbe “la patria gli affidò una posizione di primato rispetto agli altri organi del potere (τὴν προστασίαν τῆς ἡγεμονίας)”. Strabone fa dunque coincidere la posizione di preminenza ovvero di superiorità per auctoritas nei confronti di ogni altro organo istituzionale con il conferimento del titolo di Augustus. Non casualmente le testimonianze epigrafiche in cui si parla della auctoritas di Augusto appartengono tutte agli anni successivi al 27 a.C. La prima è un epitaffio di Publius Paquius Scaeva. Si tratta di una iscrizione funeraria proveniente da Histonium, città dell’Italia centrale, che racconta il cursus honorum di un senatore di epoca augustea mandato per una seconda volta a governare la provincia di Cipro auctoritate Augusti Caesaris et senatus consulto 190. La datazione delle tappe della sua carriera è incerta, la iterazione del governatorato di Cipro è comunque sicuramente posteriore al 23 a.C., posto che fa riferimento alla carica di praetor aerarii 191; probabilmente la data va situata fra il 10 a.C. e il primo decennio dopo Cristo 192. Particolarmente importante è poi l’iscrizione funeraria relativa ad vestiti publice coronaque civica super ianuam meam fixa est et clupeus aureus in curia Iulia positus, quem mihi senatum pop[ulumq]ue Rom[anu]m dare virtutis clementiaeque iustitiae et pieta[tis caus]sa testatu[m] est pe[r e]ius clupei [inscription]em. Post id tempus (vale a dire dopo il conferimento del titolo di Augustus) auctoritate omnibus praestiti, potest]atis au[tem n]ihilo ampliu[s habu]i quam cet[eri qui m]ihi quoque in magistratu conlegae fuerunt. 189 Cfr. CANFORA, Augusto, cit., 253 s. 190 Su questa epigrafe v. HURLET, De l’auctoritas senatus, cit., 358 ss. 191 Su cui v. Cass. Dio. 53.32.2. 192 Cfr. HURLET, op. ult. cit., 359, con ivi ulteriore citazione bibliografica.

 

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un collegio di musicisti, il collegio dei symphoniaci. L’iscrizione è posteriore al 7 a.C. posto che cita la lex Iulia de collegiis verosimilmente databile a quell’anno 193. Il particolare interesse della iscrizione deriva dal fatto che testimonia come questa lex Iulia avesse a fondamento l’auctoritas di Augusto. Il racconto di Svetonio induce a ritenere che sia Giulio Cesare 194 sia Ottaviano Augusto 195 fecero approvare due distinte leges de collegiis, verosimilmente di contenuto simile, anche se non identico, aventi cioè entrambe per oggetto la soppressione di tutti i collegi esistenti tranne quelli risalenti ai tempi più antichi (la legge di Giulio Cesare) e ad eccezione dei collegia antiqua e di quelli “legittimi” (la legge di Ottaviano Augusto). Dal momento che l’oggetto di entrambe le leggi consiste nella soppressione di collegia esistenti, vi è da supporre che dopo quella di Cesare ne fossero stati costituiti di nuovi, come del resto attesta espressamente Svetonio: et plurimae factiones titulo collegi novi ad nullius non facinoris societatem coibant. Del resto il riferimento in Suet. Aug., 32.1 al mantenimento non solo dei collegi antichi, ma anche di quelli legittimi (collegia praeter [...] legitima dissolvit), fa pensare che la legge cesariana disponesse pure per l’avvenire, consentendo a certe condizioni prefis193

Sulla datazione v. WALTZING, Études Historique sur les Corporations professionnelles chez les Romains depuis les origines jusqu’à la chute de l’Empire d’Occident, I, 1895, 117; BANDINI, Appunti sulle corporazioni romane, 1937, 64; diversamente CRACCO RUGGINI, Le associazioni professionali nel mondo romano-bizantino, in Artigianato e tecnica nella società dell’alto medioevo occidentale. Settimane di studio del Centro Italiano di studi sull’alto medioevo, Spoleto 2-8 aprile 1970, 1971, 76 che propende per il 22 a.C. Recentemente v. MINASOLA, Collegia, legislazione associativa e lotta politica, in Teoria e storia del diritto privato, 11 (2018), 45, e nt. 138. 194 Cfr. Suet. Iul., 42.3: Cuncta collegia praeter antiquitus constituta distraxit. Poenas facinorum auxit. 195 Cfr. Suet. Aug., 32.1: Nam et grassatorum plurimi palam se ferebant succincti ferro, quasi tuendi sui causa, et rapti per agros viatores sine discrimine liberi servique ergastulis possessorum supprimebantur, et plurimae factiones titulo collegi novi ad nullius non facinoris societatem coibant. Igitur grassaturas dispositis per oportuna loca stationibus inhibuit, ergastula recognovit, collegia praeter antiqua et legitima dissolvit.

 

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sate (legitima) la formazione di nuove associazioni 196. Ciò spiegherebbe la necessità di una seconda legge per eliminare quelle associazioni non rispondenti ai criteri di legittimità stabiliti nella normativa di Cesare. La ricorrenza di varie disposizioni in materia di associazioni nel giro di pochi decenni sta a significare che si trattava di un argomento molto delicato politicamente, anche per il coinvolgimento dei collegia nel confronto fra ottimati e democratici 197. Giustamente è stato dunque osservato come un provvedimento di soppressione fosse a tal punto impopolare 198 che Cesare avrebbe “scelto di proporlo ai Comizi nel 46 a.C., dopo il quadruplice trionfo ex Gallia, ex Aegypto, ex Africa, quando massimo era il suo consenso popolare”. Ciò spiega bene dunque la natura dell’intervento ex auctoritate Augusti. L’espressione contenuta nell’epigrafe dei symphoniaci non allude invero, semplicemente, al fatto che l’iniziativa e la proposta erano state di Augusto, come indica già il nome stesso della legge: in virtù del suo imperium proconsulare, gli era consentito infatti proporre rogationes ai comizi. La perifrasi “lege Iulia ex auctoritate Augusti” carica in modo pregnante il riferimento all’auctoritas, indicando il suo ruolo politicamente fondante la legge stessa. Insomma la legge venne votata perché l’auctoritas di Augusto ne aveva raccomandato l’approvazione. Augusto interveniva in modo decisivo nel procedimento legislativo. Si richiama qui un meccanismo simile a quello dello ius respondendi concesso ai giuristi considerati degni di stima dal principe: anche in questo caso il giudice non era vincolato a seguire il loro parere, ma lo avrebbe con ogni probabilità fatto per rispetto dell’auctoritas imperiale. 196

Non è necessario dunque pensare, come vorrebbe Waltzing, op. cit., 114, che i collegi soppressi da Cesare si siano poi ricostituiti in ragione del periodo di anarchia susseguente alla morte di questi, né paiono convincenti le spiegazioni fornite da ultimo da MINASOLA, op. cit., 36, con ivi ulteriore bibliografia. 197 Sulla legislazione de collegiis nel corso del I secolo a.C. v., da ultimo, MINASOLA, op. cit., 1 ss. 198 Cfr. MINASOLA, op. cit., 42.

 

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La terza epigrafe è una dedica a Lucius Aquilius Florus Turcianus Gallus, proconsole d’Acaia, scoperta a Corinto. Qui si ricorda come il governatore fosse stato nominato proquestore della provincia di Cipro dopo l’espletamento della questura al servizio di Augusto. La nomina sarebbe avvenuta ex auctoritate Augusti. La datazione della proquestura si situerebbe fra il 10 e il 4 a.C. 199. A favore del particolare rilievo che dovette avere il conferimento ad Ottaviano del titolo di Augusto gioca anche Liv. 1.7.8: Evander tum ea, profugus ex Peloponneso, auctoritate magis quam imperio regebat loca, venerabilis vir miraculo litterarum, rei novae inter rudes artium homines, venerabilior divinitate credita Carmentae matris, quam fatiloquam ante Sibyllae in Italiam adventum miratae eae gentes fuerant. Si ricorda la figura mitica di Evandro, che avrebbe governato il Palatino, prima ancora della nascita di Roma, auctoritate magis quam imperio. Sul punto si ritornerà più avanti, qui basti osservare che il primo libro delle Storie di Tito Livio sarebbe stato composto proprio attorno al 27 a.C. 200. È del resto nota l’amicizia dello storico di Padova con Augusto 201 e il suo sostanziale appoggio all’ideologia e alla propaganda imperiale. In Evandro ben si poteva rinvenire un illustre ed esemplare antecedente storico di un governo fondato sull’auctoritas. È dunque evidente che l’atto di conferimento del titolo di Augustus dovette avere un preciso rilievo politico e indirettamente giuridico. Fino a quel momento l’auctoritas di Ottaviano era implicita nella sua particolare autorevolezza, caratterizzata dalla eccezionalità delle imprese compiute, ma verosimilmente non diversa nella sostanza da quella di altri personaggi celebri della storia di Roma come Scipione, Catone il vecchio, Lucio Emilio Paolo 202 o come Pompeo, Catone il giovane, Bruto, Lepido, Lucullo, Ortensio o Catulo, solo per citare alcuni dei 199

Così HURLET, op. ult. cit., 360 s. Cfr. HURLET, op. ult. cit., 363. 201 Cfr. Tac. ann., 4.34.3: ut Pompeianum eum (scil. Titum Livium) Augustus appellaret; neque id amicitiae eorum offecit. V. più diffusamente, infra. 202 V. su questi esempi d’auctoritas PINA POLO, op. cit., 161 ss. 200

 

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personaggi considerati degni di particolare auctoritas da parte di Cicerone 203. Nel 27 accade tuttavia qualcosa che ben può essere considerata una tappa fondamentale nella costruzione di un regime ed in cui il concetto di auctoritas svolgerà un ruolo chiave. Ottaviano rimarrà console per alcuni anni ancora. E tuttavia da quel giorno di gennaio del 27 a.C, scrive l’imperatore nel suo testamento, “sopravanzai tutti per auctoritas, non ebbi invece nessuna maggiore potestas rispetto agli altri colleghi nel consolato”. È in virtù di questa particolare auctoritas che Augusto esprime la sua “leadership”, controllando di fatto il Senato, l’assemblea popolare, gli stessi magistrati suoi colleghi, i giudici privati. Ritorniamo per un attimo sul tema dello ius respondendi perché, analogamente al caso dell’epigrafe relativa al collegio dei symphoniaci che citava la lex Iulia de collegiis, si ha qui un esempio tipico di come funzionasse l’auctoritas di Augusto. Nella famosa constitutio 204 con cui Ottaviano conferiva lo ius respondendi a determinati giuristi si affermava infatti che i loro responsa avrebbero avuto a fondamento la sua auctoritas: l’auctoritas del “leader” si estendeva pertanto ai pareri dei giuristi dotati di ius respondendi che a loro volta influenzavano le sentenze dei giudici 205 non diversamente da come la auctoritas di Au203

Cfr. DAVID, L’expression, cit., 189 s. Cfr. D.1.2.2.49. 205 Sullo ius respondendi e sulla attribuzione ad Augusto dello ius respondendi v. KUNKEL, Das Wesen des ’ius respondendi’, in ZSS, 66 (1948), 423 ss.; MAGDELAIN, Ius respondendi, in RH, IV ser., 28, (1950), 1 ss.; WIEACKER, Respondere ex auctoritate principis, in J.A. ANKUM et al. (a cura di), Satura R. Feenstra oblata, 1985, 71 ss.; CANCELLI, Il presunto ‘ius respondendi’ istituito da Augusto, in BIDR, 90 (1987), 543 ss.; CANNATA, ‘Iura condere’. Il problema della certezza del diritto fra tradizione giurisprudenziale e auctoritas principis, in Ius controversum e auctoritas principis. Giuristi, principe e diritto nel primo impero (Atti Copanello 1998), 2003, 27 ss.; BRUTTI, L’indipendenza dei giuristi, in Ius controversum e auctoritas principis. Giuristi, principe e diritto nel primo impero (Atti Copanello 1998), 2003, 403 ss.; PARICIO, ‘Respondere ex auctoritate principis’. Eficacia de las respuestas de los juristas en la experiencia juridica romana, 2018; MANTOVANI, L’auctoritas des juristes romains mise en cause, cit., 276; 292 ss.; SCHIAVONE, L’auctoritas des juristes et le ius respondendi ex auctoritate principis, in L’auctoritas á Rome, cit., 315 ss. 204

 

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gusto doveva aver influenzato il procedimento di approvazione della lex Iulia de collegiis che portò alla abolizione di numerosi collegia esistenti e che dunque, come si è supposto 206, dovette incontrare non poche resistenze. È significativo il linguaggio usato da Pomponio: Et, ut obiter sciamus, ante tempora Augusti publice respondendi ius non a principibus dabatur, sed qui fiduciam studiorum suorum habebant, consulentibus respondebant: neque responsa utique signata dabant, sed plerumque iudicibus ipsi scribebant, aut testabantur qui illos consulebant. Primus divus Augustus, ut maior iuris auctoritas haberetur, constituit, ut ex auctoritate eius responderent: et ex illo tempore peti hoc pro beneficio coepit 207. Insomma l’auctoritas augustea conferiva maggior forza allo ius 208 di origine giurisprudenziale, così come l’auctoritas augustea aveva consentito l’approvazione della lex Iulia de collegiis 209, facendo passare in secondo piano la potestas populi. Non casualmente nelle Res gestae Augusto poneva la propria auctoritas (auctor) a fondamento delle nuove leggi 210 e in un editto ricordato da Svetonio si proclamava optimi status auctor, mettendo ancora una volta la propria auctoritas alla base stessa del nuovo e intero impianto istituzionale della res publica 211. Controllo della legislazione e controllo della giustizia. Con queste due mosse, Augusto si era impadronito della res publica. È interessante osservare che auctoritas non allude qui ad una qualità esclusiva di Augusto. Lui stesso usa la perifrasi omnibus auctoritate praestiti. L’impiego del verbo praestare è decisivo. Indica infatti un primato rispetto a qualcosa posseduta pure da altri, fossero essi magistrati o senatori, ma in misura inferiore e probabilmente diversa per qualità e natura. 206

V. supra in questo paragrafo. Cfr. D.1.2.2.49. 208 Da ultimo, per una discussione sul significato del termine ius in D.1.2.2.49 v. MANTOVANI, L’auctoritas des juristes, cit., 293; SCHIAVONE, L’auctoritas des juristes et le ius respondendi, cit., 316; 317. 209 Cfr. CIL, VI, 4416. 210 Cfr. Res gestae, 8.5. 211 Cfr. Suet. Aug., 28.2. 207

 

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Non appare dunque nemmeno corretto immaginare un “trasferimento” ovvero un “passaggio” di auctoritas dal Senato al principe 212 non solo perché il Senato ha conservato sotto Augusto la sua auctoritas 213, ma soprattutto perché con il conferimento del titolo di Augustus il Senato aveva preso atto dell’eccezionale prestigio (auctoritas) di Ottaviano, e ne aveva ammesso il carattere divino e dunque la sua particolare ed eccezionale forza. In questo riconoscendo che si trattava di un’auctoritas del tutto diversa rispetto a quella senatoria. Lo straordinario vigore e la speciale efficacia dell’auctoritas augustea sembrano pertanto dovute non solo al maggior prestigio, ma anche a qualcosa d’altro. Se così non fosse stato non avrebbe avuto alcun senso riferire il conseguimento di una preminente auctoritas al momento della attribuzione del titolo di Augusto. Non è infatti dubitabile che l’autorevolezza di Ottaviano fosse già prima del 27 a.C. ben superiore a quella di chiunque altro in re publica, quanto meno dai tempi della vittoria di Azio. Questo è un punto decisivo. D’altro canto, si è già osservato come più importanti fossero le cariche rivestite, più prestigioso fosse il cursus honorum, più rilevante fosse la posizione sociale di un soggetto, maggiore era la sua auctoritas, nel senso di autorevolezza 214. È evidente dunque che Ottaviano non aveva necessità di ricollegare la propria preminenza nell’auctoritas al giorno della attribuzione del titolo di Augusto se non per marcare un diverso fondamento e una diversa natura della sua auctoritas. Significative sono a questo punto le parole di Svetonio a proposito del significato della attribuzione del titolo di Augusto che è opportuno 212

Così invece HURLET, The auctoritas and libertas of Augustus: metamorphosis of the Roman res publica, in Libertas and Res Publica, cit., 172; v. anche 180 s. 213 V. del resto Res gestae, 20.4: duo et octoginta templa deum in urbe consul sex[tu]m ex [auctori]tate senatus refeci; v. anche Tabula Siarensis, frg. 1, 2324: [in iis regionibus quarum]/curam et tutelam Germanico Caesari ex auctori[tate huius ordinis ipse mandasset] ed. Crawford, RS, n. 37; Cfr. Senatus consultum de Cn. Pisone patre, 30-31: Germanico Caesari, qui a principe nostro ex auctoritate huius ordinis ad/rerum transmarinarum statum componendum missus esset, in AE, 1996, 885 = CIL, 22.5.900. 214 V. supra par. 7.

 

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qui richiamare. Innanzitutto va notata una prima affermazione: non solum novo sed etiam ampliore cognomine. Si tratta dunque di un titolo mai usato prima e più significativo rispetto a quello, pur rilevante, di Romolo. Ciò sta ad indicare la eccezionalità del suo significato. Ma soprattutto è decisivo l’esplicito collegamento, peraltro già insito nella etimologia del termine, con la disciplina augurale: augusta sono detti i loca religiosa in cui si prendono gli augùri, augustus si ricollegherebbe con auctus, che indica l’incrementum prodotto dagli auguri, “ab avium gestu gustuue” richiama la disciplina augurale e infine, come insegnava Ennio, l’augurium con cui fu fondata Roma era definito augustum. È chiarissimo lo spostamento di questa auctoritas sul profilo sacrale e la assimilazione di fatto della auctoritas di Ottaviano ai profili autoritativi tipici della auctoritas augurale. Proprio perché la particolare auctoritas del princeps si fondava su elementi di carattere religiososacrale, ben riassunti dal conferimento del cognomen Augustus, non sembra giustificato legarla al consenso popolare 215. Anzi, a partire dal 13 gennaio del 27 la fonte di legittimazione del potere cambia significativamente in senso autocratico, al di là delle parole di circostanza del principe (rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli). Il filo logico del discorso di Augusto è chiarissimo e si può evidenziare nei seguenti passaggi: 1) dopo la pacificazione dell’impero e la conclusione per suo merito delle guerre civili (postea bella ciuilia extinxeram) 216 Ottaviano aveva in mano la repubblica, era l’arbitro dello Stato, di fatto ne era il padrone (potens rerum omnium) 217. Era dunque già il primo per auctoritas, nel senso che a questo termine attribuiva per esempio Cicerone con riguardo ai gran215

V., invece, SCHIAVONE, L’auctoritas des juristes, cit., l, 319. Cioè a dire dopo l’agosto del 30 a.C., cfr. COSTABILE, Caius Iulius Caesar, cit., 105. 217 Parla efficacemente di illimitata potentia, e di dominica potestas COSTABILE, ibid., che cita giustamente Tac. ann., 3.28.2: sexto demum consulatu Caesar Augustus, potentiae securus, quae triumviratu iusserat aboleuit deditque iura, quis pace et principe uteremur; v. anche ID., Caius Iulis Caesar, cit., 109: Rerum potens significa esattamente “padrone dello Stato”. 216

 

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di personaggi della repubblica; 2) arbitro della res publica lo era per consensum universorum: questo potere di fatto gli veniva riconosciuto da tutti, d’altro canto la coniuratio Italiae et provinciarum lo aveva già consacrato nella sua leadership; 3) sennonché nel 27 a.C. egli restituisce la res publica dal suo arbitrium (arbitrium transtuli) a quello del Senato e del popolo di Roma, rinunciando dunque al potere su di essa 218: rem publicam ex mea potestate in senatus populique Romani arbitrium transtuli. Si trattava verosimilmente di un’operazione iniziata nel 28 a.C. con la abrogazione delle norme eccezionali approvate dai triumviri e con la restituzione dei poteri al popolo, nel 27 il processo si sarebbe compiuto ristabilendo le prerogative del Senato 219; 4) dunque il 13 gennaio del 27, dopo aver restituito a popolo e Senato la pienezza delle loro prerogative, Ottaviano era soltanto un console essendosi privato di qualsiasi altro potere e arbitrio; 5) per riconoscenza di aver pacificato la repubblica e di essersi spogliato di quel potere e di quell’arbitrio, il Senato tre giorni dopo gli conferì il titolo di Augustus; 6) Post id tempus auctoritate omnibus praestiti, potestatis autem nihilo amplius habui quam ceteri qui mihi quoque in magistratu conlegae fuerunt: a partire da quel momento, cioè a dire dalla attribuzione del titolo di Augusto, non prima, ma post id tempus, lui superò tutti per auctoritas, il cambiamento non riguardò invece la potestas, posto 218

Ex mea potestate: potestas va qui messa in relazione con potens, non alludendosi alla potestà magistratuale, posto che non risulta essersi dimesso da console, e anzi Res gestae 34.4 e Suet. Aug., 26 sembrano confermare che fosse rimasto console. 219 V. sul punto le lucide osservazioni di COSTABILE, op. ult. cit., 111 ss. V. al riguardo Tac. ann., 3.28.2; Cass. Dio. 53.2.5; v. anche la lettura del celebre aureus del 28 a.C.: Leges et iura p[opuli] R[omani] restituit, sul punto v. ampia discussione in MANTOVANI, Leges et iura p(opuli) R (omani) restituit. Principe e diritto in un aureo di Ottaviano, in Athenaeum, 96 (2008), 5 ss.; COSTABILE, op. ult. cit., 112 ss.; MANNINO, Legittimità del potere, cit., 114 ss. V. anche FERRARY, ‘Res publica restituta’ et le pouvoirs d’Auguste, in S. FRANCHET D’ESPÈRAY, V. FROMENTIN, S. GOTTELAND, J.M. RODDAZ (ed.), Fondaments et crises du pouvoir, 2003, 419 ss.; TODISCO, La res publica restituta e i Fasti Praenestini, in Epigrafia e territorio, politica e società. Temi di antichità romane VIII, 2007, 341 ss.

 

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che continuò ad averla come gli altri suoi colleghi nel consolato (in magistratu, nella magistratura); 7) in che cosa consisteva questa maior auctoritas? Nel diverso fondamento di essa, e dunque nel non essere più semplicemente collegata al transeunte prestigio personale, al giudizio e al consenso popolare: da quel 16 gennaio Augusto sposta sul piano religioso-sacrale la base della legittimazione del suo potere. Come si è osservato 220, l’auctoritas patrum, apposta alle leggi comiziali, aveva perso qualsiasi connotazione sacrale, assomigliando all’auctoritas tutoris, di cui svolgeva funzioni per alcuni aspetti simili. Auctoritas presuppone in questo caso la particolare autorevolezza del consesso che rappresenta la componente patrizia e dà vita ad un’azione che, implicando un controllo politico, in una prima fase integrava e rafforzava qualcosa che non era ancora atta a produrre effetti idonei e che in ogni caso, certamente dopo le leggi Publiliae Philonis e Maenia, si era spostata sul profilo della auctoritas/consultum 221. L’auctoritas senatus, espressione più generica rispetto alla auctoritas patrum interposta nel procedimento comiziale dai soli senatori patrizi, non era poi diversa, per questo aspetto, da quella dei pontefici o da quella dei magistrati, laddove essa veniva usata per alludere alla autorevolezza di questa assemblea. Nemmeno i passi che riconducono l’auctoritas ad un magistrato esprimono un concetto di natura religiosa, alludono piuttosto, sovente, ad una particolare autorevolezza del soggetto. La disciplina indotta nei sottoposti dipendeva in qualche misura dalla autorevolezza di un uomo di governo che era stato comunque scelto dai cittadini. Era invece certamente un esempio di auctoritas sacrale, che poteva vincere imperia e potestates, proprio quella degli auguri la cui forza creatrice non derivava specificamente dalla particolare autorevolezza di questi sacerdoti, bensì dalla loro speciale autorità di derivazione “jovienne”, in conseguenza della loro inauguratio. L’auctoritas di Ottaviano, come indica proprio il cognomen Augustus, a differenza di quella dei magistrati e dello stesso Senato, aveva dunque innanzitutto un richiamo “religioso” che già di per sé la carat220 221

 

V. supra par.6. V. supra par. 6.

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terizzava rispetto a quella di chiunque fosse suo “collega” nella magistratura. Vi è tuttavia un altro elemento importante che si ricava dall’appellativo di Augustus: il carattere beneaugurante (simile al res bene gerere degli auguri) che si accompagna al mito della fondazione (l’augustum Augurium), che fa crescere (ab auctu). Ma cosa Ottaviano doveva beneaugurare? Cosa doveva fondare? Cosa doveva far crescere? Una nuova Roma. Nella auctoritas di Ottaviano vi è una forza che integra come integra l’auctoritas del tutore, che garantisce come garantisce l’auctoritas del mancipio dans, che rafforza come rafforzava un tempo l’auctoritas patrum nei confronti delle leggi votate dal popolo, vi è certamente il prestigio conseguente alla autorevolezza (auctoritas) ottenuta da Ottaviano in virtù delle sue mirabili gesta ed alla sua conseguente, “superiore capacità di direzione dello Stato” 222. Ma vi è anche quel qualcosa in più, che discende proprio dalla scelta di Augustus come cognomen qualificante, che esprime una personalità “che si apparenta a quella della divinità” 223. Essa crea nei cittadini “la convinzione che l’eccezionale autorità del princeps non gli deriva dalla scelta del popolo, ma scaturisce dalla natura della sua stessa personalità” 224. Come ha sottolineato il De Francisci 225, auctoritas viene ora a rappresentare “un’idea che si accosta a quella di sovranità: un’idea che, data la contrapposizione a potestas, se non secondo la lettera ma secondo il contenuto, corrisponde al doppio concetto dell’imperium maiestasque populi Romani. Essa designa la posizione giuridicamente preminente dell’uomo, nella cui persona è connaturato il potere pubblico, in modo completamente diverso da quello con cui viene attribuito ai magistrati della Repubblica; donde il nuovo concetto della maiestas degli imperatori e il suo carattere religioso”. 222

Cfr. MARCONE, Augusto, cit., 99. Così già DE FRANCISCI, La costituzione augustea, cit., 72. 224 Cfr. DE FRANCISCI, ibid. 225 Cfr. DE FRANCISCI, La costituzione augustea, cit., 72 s. 223

 

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In questo senso è esemplarmente significativa la lettura dei fatti e delle loro conseguenze che dà Floro epit., 2.34.66 commentando la discussione in Senato sul titolo da conferire ad Ottaviano: Tractatum etiam in senatu an, quia condidisset imperium, Romulus vocarentur. Emerge chiaramente il ruolo di Ottaviano nel fondare il potere imperiale, ovvero una nuova (condere) forma di potere (imperium). È in virtù dunque di questa particolare auctoritas che fu possibile creare una costituzione parallela. E qui ben poteva venire in gioco l’esempio dei patres auctores 226. Ottaviano riesuma dunque l’idea di una auctoritas “creatrice”, “fondante”, come doveva essere quella dei patres nella monarchia latinosabina 227, e come era concepita agli albori di Roma quella del mancipio dans nella mancipatio 228, l’idea dunque di una auctoritas “rafforzata”, come auspicava già Cicerone con riguardo ad una rinnovata auctoritas patrum 229; una auctoritas, cioè, che legittimava la creazione di nuove norme, e quindi di nuovi istituti, che veniva posta già da Cicerone a fondamento stesso di un nuovo, “più equilibrato”, più “temperato” ordinamento giuridico. L’auspicio riformatore, che nelle intenzioni dell’Arpinate doveva rafforzare il ruolo del Senato, contenuto in quel vero e proprio programma di revisione costituzionale quale era il de legibus, Ottaviano lo utilizzò per i propri scopi. Dovette essere anzi proprio l’esempio delle vicende subite dall’auctoritas senatoria a suggerire la legittimazione sacrale dell’auctoritas augustea. Si era invero già denunciato da Cicerone 230 – ed è nota l’influenza del pensiero ciceroniano sulla azione politica di Augusto 231 – come l’auctoritas patrum fosse stata deminuta fin dall’in226

Cfr. MANNINO, Legittimità del potere, cit., 125; 127 s. secondo cui l’auctoritas di Augusto “si inseriva nel solco della tradizione culturale e giuridica di Roma, legandosi alle radici dell’auctoritas patrum”. 227 V. supra par. 5. 228 V. supra par. 4. 229 V. supra par. 5. 230 Cfr. Cic. rep., 2.59. 231 V., ancora recentemente, LICANDRO, Restitutio rei publicae tra teoria e  

 

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troduzione della tribunicia potestas; si era evidenziato proprio nel racconto di uno storico augusteo quale Tito Livio come detta auctoritas fosse stata contestata e disattesa di volta in volta dai tribuni della plebe, dai consoli, dai tribuni militari; al di là di queste testimonianze abbiamo più specificamente affermato che l’auctoritas patrum, quale potere di condizionare la legislazione, negando l’augmentum ad una delibera popolare sgradita e ancora giuridicamente incapace di produrre i suoi effetti, dovette essere certamente sminuita dopo la riforma introdotta dalle leges Publiliae Philonis 232. Le parole accorate di Cicerone nella pro Rabirio postumo, 7, dimostrano d’altra parte come fosse facile screditare l’auctoritas del Senato. Non casualmente l’Arpinate auspicava il rafforzamento dell’auctoritas senatoria proprio trasformando il ruolo dell’istituzione, attribuendole cioè la capacità di produrre norme vincolanti 233. Considerate queste premesse, doveva essere chiara ad Ottaviano la necessità di legare la sua auctoritas ad una dimensione ben più salda di quanto non fosse quella del prestigio personale. Come è stato lucidamente intuito 234, l’auctoritas principis è dunque la base di una nuova costituzione 235. Il particolare rilievo dell’auctoritas nella ideologia augustea è indirettamente confermato da Livio, 1.7.8: Evander tum ea profugus ex Peloponneso auctoritate magis quam imperio regebat loca 236. Evandro, dunque, avrebbe governato grazie alla sua personale auctoritas, prassi politica. Augusto e l’eredità di Cicerone, in AUPA, 58 (2015), 59 ss.; 110 ss., in particolare. 232 V. supra par. 5. 233 Cfr. Cic. leg., 3.12.27-28. 234 Cfr. esemplarmente già DE FRANCISCI, La costituzione augustea, cit., 72 s., in particolare. 235 Per MANNINO, 125 s. l’auctoritas principis “legittimava di per sé, secondo il prototipo di riferimento, a emanare pronunce rilevanti da un punto di vista giuridico-formale”. 236 Sul collegamento fra questo passo e Res gestae 34.3 v. BIANCHI, Evandro, Augusto. Auctoritas, potestas, imperium. Brevi annotazioni storiche e semantiche, in Jus 3 (2018). Sul punto v. anche supra in questo paragrafo.

 

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piuttosto che per un potere giuridicamente fondato: in questo senso deve intendersi il significato di imperium nel passo in questione. La similitudine con Res gestae 34.3 è impressionante ed è stata già sottolineata di recente da Bianchi che ha giustamente e ampiamente evidenziato i collegamenti fra la figura di Evandro e quella di Augusto. Qui basti mettere ulteriormente in luce alcuni passaggi significativi. Evandro sarebbe stato colui che avrebbe dato il nome stesso al colle su cui poi sarebbe nata Roma, il Palatino, chiamato originariamente Pallanzio, da Pallante, città dell’Arcadia, terra d’origine di Evandro 237. È evidente il collegamento con Romolo, figura a cui la propaganda augustea amava associare il princeps 238, come è pure evidente l’associazione con il mito delle origini della città e della sua fondazione, che ritorna nel ruolo di Ottaviano. Importante è pure il collegamento con il Palatino, diventato con Augusto “il centro di ogni potere” 239, dove egli stesso aveva posto la sua domus. Evandro è poi detto venerabilis vir 240, come nella versione greca è appellato Augusto, ovvero σεβαστός. Evandro è un creatore di res novae, in particolare avrebbe introdotto la scrittura 241, con cui fra l’altro si redigono e si pubblicano le leggi, norme scritte per eccellenza. Ora il collegamento attualizzante fra il racconto storiografico liviano delle origini e l’epoca augustea è ben noto ed è stato ampiamente sottolineato in dottrina 242 e ancora recentemente è stato richiamato da Canfora: Livio “aveva saputo immettere questo pensiero attualizzante nel racconto della storia più arcaica, semi-mitica, della città: l’equivalente di certe parti dell’Eneide, cui il 237

Cfr. Liv. 1.5.1; v. anche Verg. aen., 8.51 s. su una variante del mito: posuere (scil. Arcades) in montibus urbem / Pallantis proavi de nomine Pallanteo e cfr., sui diversi eroi eponimi, Serv. ad aen., ad locum. 238 Sul punto v. già GAGE, 1930, Romulus-Augustus, in MEFRA, 47 (1930), 138 s.; BAYET, Croyances et rites dans la Rome antique, 1971, 321. 239 Così BIANCHI, Evandro, Augusto, cit., nt. 26; v. anche STROTHMANN, Augustus – Vater der res publica – Zur Funktion der drei Begriffe restitutio – saeculum – pater patriae im augusteischen Prinzipat, 2000, 62 ss. 240 Cfr. Liv. 1.7.8. 241 Cfr. Liv. ibid. 242 Cfr. per esempio MINEO, Tite-Live et l’histoire de Rome, 2006.

 

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principe teneva moltissimo” 243. È interessante a questo proposito osservare con Bianchi 244 come il potere di Evandro non sia basato sulla forza, ma su una sorta di devozione sacrale che lo circondava (vir venerabilis, creatore di res novae inter rudes homines, di ascendenza divina). Lo “strumento di governo” di questo lontano “antesignano” di Augusto era proprio l’auctoritas. E qui “auctoritas non è integrativa di altro – e dello stesso imperium – ma essa stessa è il potere o il principale potere che permette di regere (ea) loca [....]” 245. Scriveva lo Heinze 246 che “Augusto non sarebbe apparso ai suoi proprii occhi come un vero romano, se appena cessata la guerra civile avesse dominato sopra dei sudditi senza volontà”. Tutta la sua azione è finalizzata ad apparire come il continuatore, ovvero il restauratore della antica costituzione repubblicana 247. Questa era tuttavia una sapiente propaganda 248, come aveva ben intuito Appiano, pr., 2.24: “Così, a seguito di guerre civili di ogni tipo, l’ordinamento politico dei Romani si assestò nella concordia e nella monarchia” 249. Nei fatti, an243

Cfr. CANFORA, Augusto figlio di dio, cit., 471. Cfr. BIANCHI, Evandro, Augusto, cit. 245 Così BIANCHI, Evandro, Augusto, cit. 246 Cfr. HEINZE, Kaiser Augustus, in Hermes, 65 (1930), 394. 247 In questo senso, v., ancora recentemente, LICANDRO, Augusto e la res publica imperiale. Studi epigrafici e papirologici, 2018 ss. con ampia rassegna del dibattito dottrinale; sul punto, da ultimo, MANNINO, Legittimità del potere, cit., 100 ss. 248 V. infatti le condivisibili osservazioni di CANFORA, Augusto, cit., 245 ss. 249 V. del resto pure Tac. ann., 1.1.1: (Augustus) qui cuncta discordiis civilibus fessa nomine principis sub imperium accepit: con il titolo di principe, concentrò in suo potere “tutto”, ovvero l’intero mondo romano, stremato delle guerre civili; 1.4.1: Igitur verso civitatis statu; 3.28.2-3; v., inoltre, Strab. 17.2.25: secondo cui ad Augusto, reso dalla patria κύριος (signore) della pace e della guerra, venne affidata τὴν προστασίαν τῆς ἡγεμονίας ovvero il primato rispetto al governo; v. anche Suet. Aug., 28.2: in retinenda (scil. il governo) perseveravit; Cass. Dio 52.1.1; 53.11.4; 16.2. Con riguardo al potere dei Cesari e di Tiberio, nella specie, v. inoltre Suet. Tib., 14.2: etiam regnaturum quandoque, sed sine regio insigni, ignota scilicet tunc adhuc Caesarum potestate; relativamente alla definizione del principato Suet. Cal., 22: nec multum afuit (Cali244

 

 

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che se non nella forma, Augusto aveva conseguito il supremo potere ovvero il summum fastigium 250. La auctoritas augustea ha tuttavia effetti che vanno al di là del riconoscimento di una leadership senza pari. Il fatto che essa si estenda nella sua pretesa di “tutela” e di “rafforzamento” ad ogni istituzione repubblicana porta a far sì che un’ombra si stenda sulla civitas. È proprio sulla base della auctoritas del princeps che finiscono con il giustificarsi quelle evoluzioni costituzionali che portarono: alla affermazione di un generale potere di normazione dell’imperator con valore legislativo e di cui, l’estendersi dell’auctoritas sul procedimento legislativo, rappresentava un precedente; alla efficacia tendenzialmente vincolante dei responsa prudentium; alla nomina dei magistrati tramite l’intermediazione della commendatio principis, ovvero della sua raccomandazione; alla concentrazione nelle mani del principe della amministrazione della giustizia con lo sviluppo di un nuovo tipo di processo, quello della cognitio extra ordinem. Auctoritas acquista un valore normativo, diventa di per se stessa fonte creatrice di nuovi istituti e di norme come era del resto tipico della azione di un fondatore, come aveva fatto Romolo, alla cui opera costituente doveva certamente richiamare l’accostamento con Ottaviano che si era sentito echeggiare in Senato, accostamento che motivò la particolare attenzione verso la figura romulea nella storiografia della Roma augustea 251. Sulla base dell’auctoritas nasce una costituzione parallela, o meglio una costituzione “duale” 252. gola) quin statim diadema sumeret speciemque principatus in regni formam converteret: ove il Principato è considerato un regime finto, “species”, la maschera di un regno. 250 Cfr. Tac. ann., 3.56.2. 251 V. supra e nt. 238. 252 Dato il carattere “eccezionale” di questa costituzione parallela, fra l’altro giustificata solo da un criterio metagiuridico come l’auctoritas, verrebbe da considerarla applicazione di quello che in certa dottrina è considerato uno “stato di eccezione” e che ha trovato esempi ancora nel ventesimo secolo nei regimi fascista e nazista con lo sviluppo di una “seconda struttura” accanto alla costituzione “legale”, sul punto cfr. AGAMBEN, Stato di eccezione, cit., 63; 103 ss.

 

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Auctoritas, con il suo riferimento autoritativo esprime la superiorità gerarchica del principe 253 e crea le basi per lo sviluppo della burocrazia imperiale, rigorosamente fondata sulla gerarchia. Auctoritas muta nella sostanza e nella funzione. L’auctoritas repubblicana, intesa nel senso di autorevolezza e riferita ad un magistrato, ma anche al Senato, induceva nei cittadini obbedienza senza costringerli con mezzi esteriori, ma creando “in loro il sentimento che l’obbedienza costituisce un dovere liberamente assunto” 254. L’auctoritas essendo fondata sul riconoscimento diffuso del prestigio, e della credibilità personale, ma anche istituzionale, richiedeva un riconoscimento sociale, necessitava di essere percepita dai cittadini 255. L’auctoritas/autorevolezza personale, per avere efficacia, doveva essere quindi riconosciuta come tale dall’opinione pubblica 256. Come è stato efficacemente osservato 257, il ricorso all’auctoritas favoriva l’ottenimento del consenso, proprio perché l’auctoritas (repubblicana, dei magistrati e del Senato) “ne reposait pas sur une transcendance divine [...]. Elle impliquait plutôt un transfert du groupe qui acceptait de suivre celui qu’il reconnaissait comme supérieur et oeuvrant pour le bien commun” 258. In questo contesto l’auctoritas si ri253

V. anche HURLET, De l’auctoritas senatus, cit., 366. Così DE FRANCISCI, op. ult. cit., 72, con riguardo però ad Augusto; v. anche HELLEGOUARC’H, op. cit., 303; recentemente HURLET, The auctoritas and libertas of Augustus, cit., 171 s.: “These actors (scil. magistrates, priests, orators, jurists or the Senate) asserted the authority stemming from their status in order to be obeyed, with obedience being based not on violence or obligation – or at least not exclusively – but first and foremost on recognition of this social position by other actors in society”. 255 Così PINA POLO, El concepto auctoritas y el poder en la obra de Livio, in L’auctoritas à Rome, cit., 155; v. anche HELLGOUARC’H, Le vocabulaire latin, cit., 304 che parla di influenza e prestigio di un certo personaggio agli occhi del proprio “entourage”. 256 Così DAVID, L’expression et les manifestations, cit., 194. 257 BUR, Auctoritas et mos maiorum, cit., 84. 258 Così BUR, op. cit., 88; v. anche BERTHELET, op. cit., 137: l’auctoritas non aveva bisogno di coercizione. Laddove i magistrati fossero costretti a ricorrere 254

 

 

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collegava ad una res publica, piuttosto “qu’à une cité sujette” 259. Anzi, l’auctoritas (in specie del Senato) sembra ridurre l’autonomia della iniziativa dei detentori dell’imperium, diminuendo il rischio di una deriva tirannica 260. Con Augusto essa “diventa nella vita dello Stato un potere” che contribuisce a caratterizzare una posizione all’interno della costituzione. Nelle Res gestae appare di tutta evidenza come l’auctoritas sia preminente rispetto alla potestas: da legittimazione della potestas essa diventa la reale essenza del potere del princeps tendendo a svalutare la precedente forza della potestas magistratuale. Da qui prende avvio la subordinazione dei magistrati al principe, e la legittimazione del suo intervento nella procedura volta alla loro nomina. Si qualifica sempre più marcatamente come una preminenza, una supremazia che anche in virtù della sua aura sacrale ha per finalità originaria quella di proteggere, proprio come una divinità, la struttura dello Stato e più in generale la stessa società e quindi anche la libertà dei cittadini. In definitiva la libertà diventa oggetto di protezione della autorità, diventa cioè una libertà condizionata. Non solo. La forza eccezionale della auctoritas augustea non derivava tanto dal prestigio personale – anche se il prestigio personale, e la eccezionalità delle sue qualità personali, avevano determinato e giustificato il conferimento del titolo di Augustus 261 – quanto piuttosto dalla aura di sacralità, dalla sostanziale divinizzazione insita in quel titolo. Nota Hellegouarc’h 262 che “L’auctoritas de l’homme d’État ... ne repose sur aucune des formes extérieures et ordinaires du pouvoir mais...sur la “capacité” de celui qui la posséde et la reconnaissance de alla potestas fuoriuscivano dal campo della auctoritas e rientravano in quello della coercizione. 259 Cfr. BUR, ibid. 260 V. anche BUR, op. cit., 84. 261 V. infatti Res gestae, 34.2 ove compaiono, elencate fra le qualità personali possedute in sommo grado da Augusto, virtus, clementia, iustitia, pietas: su di esse v. MANNINO, Legittimità del potere, cit., 124. 262 Cfr. HELLEGOUARC’H, op. cit., 303.

 

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cette “capacité” par son entourage”. Questo vale con riguardo alla auctoritas repubblicana, del Senato ovvero dei magistrati, come pure dei giuristi. Oggi c’è, domani potrebbe non esserci più: ben può essere dunque transeunte. L’auctoritas augustea è invece “definitiva”, si fonda sulla sacralità di Ottaviano, si impone di per sé. Non casualmente il titolo di Augustus diventa parte della sua onomastica ed è come tale trasmissibile dopo la morte. Mentre l’auctoritas del magistrato o del giurista viene “riconosciuta” da una cerchia più o meno ampia di persone che si relazionano con quel magistrato o con quel giurista, l’auctoritas di Augusto prescinde dal “consenso” ovvero dalla condivisione e dal riconoscimento pubblico. Esemplare e coerente con questo meccanismo è la trasformazione, proprio per volontà dello stesso Ottaviano, dell’auctoritas dei giureconsulti dotati di ius respondendi: l’auctoritas rilevante non si impone più per il loro prestigio pubblicamente riconosciuto, ma discende dalla estensione della auctoritas del principe: ex auctoritate principis. Essa si presuppone dunque in virtù del mero riconoscimento imperiale. Se è vero l’assunto di Hannah Arendt che individua le caratteristiche essenziali dei regimi autoritari genuini nella «trascendenza della fonte dell’autorità che legittima l’esercizio del potere, rispetto alla sfera del potere vera e propria, e il carattere extra-umano di tale fonte», dobbiamo concludere, al di là del giudizio dei contemporanei, che a partire da Augusto si instaura un regime di tipo autoritario 263. Con Augusto viene infatti a mancare la persistenza di un filtro istituzionale improntato sulla verifica della autorevolezza della leadership, posto che tale autorevolezza è ormai presunta sulla base della as263

In questo senso, da ultimo, COSTABILE, Il perfido imperium e l’ambigua potestas di Augusto. RG XXXIV.1-3, in Studi in onore di Francesco Guizzi, 2013, 234 che esemplarmente scrive: “traspare la concezione di un regime a guida autoritaria ed onnicomprensiva, diverso sì dalla tirannide, restando però in ombra se per la sua diversità istituzionale da quella, o piuttosto per la razionalità dell’autocrazia illuminata del princeps”; v. anche HURLET, De l’auctoritas, cit., 366, che scolpisce questa evoluzione ricordando il decreto sull’optimi status auctor: “dans lequel le prince se présente comme un auctor visant à pérenniser un status considéré comme le meilleur”.

 

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similazione del principe ad una divinità. Questa “rendita di posizione”, non più periodicamente vagliabile, arriva addirittura a influenzare la scelta del successore 264 e dunque di una futura, nuova leadership, attraverso il meccanismo privato della adozione 265 e della istituzione di erede 266, oltre ovviamente alla associazione in vita nella titolarità di poteri straordinari come la tribunicia potestas. Nel contempo, con Ottaviano, proprio in virtù del suo essere Augustus, si afferma “l’assolutezza e la supremazia della figura dell’imperatore anche in campo religioso”. Per conseguenza “i magistrati romani cessano di essere le figure autonome che erano state durante la repubblica” 267. Se con Augusto il prestigio personale era stato la molla che aveva indotto a dare credito alla propaganda imperiale che vedeva nell’imperatore elementi divini, e quindi a conferire ad Ottaviano un titolo significativo, con i suoi successori affiora gradatamente il carisma e la sacralità di un ruolo, di un ufficio e quindi di una istituzione 268 che prescinde dalla qualità e dal prestigio di chi la occupa, che tende però ad esigere sempre e comunque obbedienza e sottomissione. D’altro canto se l’auctoritas/autorevolezza per avere efficacia deve poter contare sul libero giudizio dell’opinione pubblica, si può concordare sul fatto che “sans la libertas, l’auctoritas ne pouvait plus s’exercer 269. Senza libertas l’auctoritas diventa un’altra cosa. E allora si intravvede in questa auctoritas un ulteriore significato 264

Cfr. esemplarmente Tac. 3.56.2: Marcum deinde Agrippam socium eius potestatis (la tribunicia potestas), quo defuncto Tiberium Neronem delegit, ne successor in incerto foret. 265 Cfr. Suet. Tib., 21, 2. 266 Cfr. Suet. Tib., 23; Tac. ann., 1.8.1. 267 Cfr. MARCONE, Augusto, cit., 115, che sottolinea fra l’altro come essi non siano più autorizzati “a celebrare i trionfi” e “l’appellativo di imperator non risulta più concesso dopo l’11 d.C.”. 268 SCHULZ, I principii del diritto romano, cit., 159 s. 269 Così BAUDRY, Auctoritas et hiérarchie sénatoriale à la fin de la République, in L’auctoritas à Rome, cit., 217.

 

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che il termine evoca 270, quello di potentia 271, che richiama d’altro canto il potens omnium rerum di Res gestae 34.1 e il potentiae securus di Tacito ann., 3.28.2, così come ben si concilia con Appiano pr. 2.22: ἐς τὸ δυνατώτερον ἔτι Γαΐου, ove Augusto è detto aver governato con “più potenza” rispetto a Cesare: “fu il primo a proclamarsi dominatore in patria e dominatore su tutte le province, senza aver bisogno di essere scelto o di una qualche forma di elezione”. Non era d’altro canto verosimile che nella realtà dei fatti, al di là della propaganda, restituendo le prerogative a popolo e Senato, un personaggio dell’ambizione di Augusto 272, capace come nessun altro di “manipolare la storia con tanta tranquilla audacia” 273, che fin dal 44 a.C. si era presentato come Divi filius 274, e su questa rivendicazione di una ascendenza divina aveva costruito già negli anni ’30 una robusta campagna di propaganda 275, quando la letteratura apologetica vicina al principe e in particolare Virgilio per tutti gli anni ’30 prefigurava la sua divinizzazione 276, un personaggio che ancora ai primi del 27 fantasticava sulla sua similitudine con Romolo 277, e che infine ispirò o quanto meno incoraggiò il culto della propria persona, non è verosimile, dicevo, che un siffatto personaggio si fosse spogliato realmente di quella potentia detenuta fino al 28 a.C. 278. 270

V. SYME, op. cit., 582: “la parola auctoritas denuncia la verità, poiché auctoritas è anche potentia”. 271 Cfr. DREXLER, Potentia, in Rh.M., 102 (1959), 64, sulla auctoritas come Machtfaktor. V., d’altro canto, l’accostamento (e proprio con riferimento ad Ottaviano) fra auctor e potens in Verg. georg., 1.27. 272 Cfr. SYME, La rivoluzione romana, cit., 583. 273 Cfr. SYME, op. cit., 581. 274 V. supra par. 12. 275 Cfr. GALINSKY, Augustan Culture: An Interpretive Introduction, 1996, 154; v. supra par. 12. 276 Esempi citati supra par. 12. 277 Cfr. Cass. Dio. 53.16.7-8. 278 Diversamente LICANDRO, Restitutio, cit., 105 ss.; 98 ss., più in generale, che immagina una evoluzione dalla potentia di Ottaviano alla auctoritas augustea.

 

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Questa potentia era del resto la logica conseguenza della derivazione di auctoritas direttamente dal conferimento del titolo “sovrumano” 279 di Augustus. È a questo punto significativo notare come a partire dal Principato cambi la traduzione greca di auctoritas quando essa viene riferita al principe. Se ancora nel 110 d.C. in due iscrizioni riguardanti una decisione su una diatriba territoriale fra Delfi e due città vicine, l’auctoritas del magistrato romano Manio Acilio viene espressa con il termine di γνώμη 280 mentre l’auctoritas del Senato è tradotta una volta con γνώμη 281 e un’altra con δόγμα 282, vale a dire nel senso di decisione/consultum, in una epigrafe di Cirene del 165/9 d.C. e in un rescritto di Teodosio del 427/9 d.C. l’auctoritas imperiale è tradotta con il termine αὐθεντεία, che indica un potere assoluto, di origine divina 283. È in altre parole un potere “qui réalise par-lui-même” 284, cioè un potere autocratico. E non casualmente, nella letteratura patristica αὐθεντεία allude all’auctoritas della divinità 285, un’auctoritas indiscutibile, un’autentica potentia. E allora non è un caso che Floro epit., 2.34.66 parli di Ottaviano come di colui che aveva fondato il potere imperiale, ovverosia una nuova forma di potere, la autocrazia. Parallelamente, come si è osservato 286, l’unica auctoritas rilevante, quanto meno da Claudio, diventa quella del princeps, a conclusione di un processo che aveva marginalizzato vieppiù quella senatoria fino ad 279

Cfr. SYME, op. cit., 376. Così in ROUSSET, Le territoire de Delphes et la terre d’Apollon, 2002, 94 ss., nn. 9-10; 11-12. 281 Cfr. ROUSSET, op. cit., n. 9-10. 282 Cfr. ROUSSET, op. cit., n. 11-12. 283 Su queste iscrizioni v. FAMERIE, Traductions et visions grecques de l’auctoritas, in L’auctoritas à Rome, cit., 26 s. 284 Così FAMERIE, op. cit., 27. 285 Cfr. FAMERIE, ibid. 286 Cfr. HURLET, The auctoritas and libertas, cit., 174 s.; ID., De l’auctoritas, cit., 363 ss. 280

 

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escluderla. Ed infatti, mentre proprio a partire da Claudio sono assai numerose le testimonianze epigrafiche che fanno riferimento alla auctoritas imperiale, quella del Senato, a parte i riferimenti contenuti nel “nostalgico” Tacito, risulterebbe menzionata soltanto nei due decreti del 110 d.C. circa emanati dal delegato imperiale Manio Acilio 287, il che farebbe pensare che essa “became an exclusively imperial quality and was experienced as such”. In questa ottica si afferma un’Autorità – che non può essere discussa, pena il crimen maiestatis – di un leader legibus solutus 288 la cui volontà è legge 289: lo Stato scivola verso l’autocrazia di colui che riveste quella “Autorità”. L’essenza della repubblica la si ritrova nelle parole di Cicerone circa l’origine del concetto di populus come parte qualificante la res publica stessa 290: Est igitur, inquit Africanus, res publica res populi, populus autem non omnis hominum coetus quoquo modo congregatus, sed coetus multitudinis iuris consensu et utilitatis communione sociatus 291; dello stesso segno è l’essenza di civitas 292: quid est enim civitas nisi iuris societas civium?, il libero consenso (societas civium) e quindi la libertas ne sono il tratto caratterizzante 293. Nella repubblica l’auctoritas non può quindi stare senza la libertas populi 294. 287

Cfr. HURLET, De l’auctoritas, cit., 363 ss. con ivi ampia citazione di fonti letterarie ed epigrafiche. 288 Cfr. D.1.3.31. Il principio, nella sua limitazione alla sola legislazione matrimoniale, risale almeno alla lex de imperio Vespasiani. 289 Cfr. Gai. 1.5; D.1.4.1 pr. 290 Cfr. Cic. rep., 1.25.39. 291 V. anche Cic. rep., 3.31.43: ergo illam rem populi, id est rem publicam, quis diceret tum, cum crudelitate unius oppressi essent universi, neque esset unum vinculum iuris nec consensus ac societas coetus, quod est populus? 292 Cfr. Cic. rep., 1.32.49. 293 Cfr. per tutti Liv. 2.1.1: Liberi iam hinc populi Romani res pace belloque gestas, annuos magistratus imperiaque legum potentiora quan hominum peragam. Quae libertas ut laetior esset, proxumi regis superbia fecerat e poco oltre, Liv. 2.1.7: Libertatis autem originem inde magis, quia annuum imperium consulare factum est, quam quod deminutum quicquam sit ex regia potestate, nume 

 

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L’essenza del Principato sta invece proprio nell’auctoritas imperiale a prescindere dalla libertas populi 296. In altre parole, se la sovranità nella res publica si fondava sulla potestas populi, l’auctoritas augustea rappresenta “il primo affacciarsi del carattere carismatico della sovranità” 297. Questa degenerazione del concetto di auctoritas/autorevolezza verso quello di auctoritas/autocrazia va di pari passo con la progressiva trasformazione della forma di Stato in senso dispotico e sta alla base della concezione autoritaria dei rapporti fra potere pubblico e cittadino 298. 295

res; v. anche Cic. Att., 15.13.3: de libertate retinenda, qua certe nihil est dulcius; Cic. Phil., 10.20: Omnes nationes servitutem ferre possunt, nostra civitas non potest; Cic. de lege agr., 2.29: in hac civitate, quae longe iure libertatis ceteris civitatibus antecellit; Liv. 45.18: ut omnibus gentibus appareret arma populi Romani non liberis servitutem, sed contra servientibus libertatem adferre. 294 Cfr. Cic. Phil., 10.23: Omnis voluntas M. Bruti, patres conscripti, omnis cogitatio, tota mens auctoritatem senatus, libertatem populi Romani intuetur. 295 Cfr. HURLET, De l’auctoritas senatus, cit., 363 ss.; 364, in particolare, che sottolinea la frequenza delle citazioni epigrafiche da cui risulta che le decisioni del principe erano prese avendo a fondamento la sua auctoritas. 296 Sul punto v. anche HURLET, The auctoritas and libertas, cit., 170 ss. 297 Così DE FRANCISCI, Le basi giuridiche del principato, estratto dal volume su “Augusto”, 1939, 8 e ancora ID., Arcana imperii, 2, 1947, 246 ss. Sull’auctoritas come “mana” v. WAGENVOORT, Roman Dynamism, 1947, 106. 298 Concludo con le parole di GABRIO LOMBARDI, Persecuzioni, laicità, libertà religiosa. Dall’editto di Milano alla “Dignitatis Humanae”, 1991, 62 s.: “Già Cesare, e poi Augusto, avevano voluto ripotenziare la dimensione religiosa, sempre meglio unificando nella figura del capo l’umano e il divino: non perché credessero veramente a una loro divinità, ma perché avvertivano quanto tale unificazione risultasse preziosa per fondare e mantenere un potere che intendevano fosse, nella sostanza, totalizzante”.

 

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Finito di stampare nel mese di maggio 2021 nella Stampatre s.r.l. di Torino Via Bologna, 220

 

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