Argo. Una democrazia diversa 9788834313879, 8834313879

Argo, una delle più importanti 'terze forze' del quadro internazionale greco, fu città di solide tradizioni de

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Argo. Una democrazia diversa
 9788834313879, 8834313879

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CINZIA BEARZOT FRANCA LANDUCCI

Argo Una democrazia diversa STORIA | RICERCHE

La pubblicazione di questo volume ha ricevuto il contributo finanziario dell’Università Cattolica sulla base di una valutazione dei risultati della ricerca in essa espressa.

www.vitaepensiero.it Fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, comma 4, della legge 22 aprile 1941 n. 633 ovvero dall’accordo stipulato tra Siae, Aie, Sns e Cna, Confartigianato, Casa, Claai, Confcommercio, Confesercenti il 18 dicembre 2000. Le riproduzioni ad uso differente da quello personale potranno avvenire, per un numero di pagine non superiore al 15% del presente volume, solo a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, via delle Erbe, n. 2, 20121 Milano, e-mail:[email protected]

© 2006 Vita e Pensiero - Largo A. Gemelli, 1 - 20123 Milano ISBN 978-88-343-1387-9

INDICE

Introduzione di Cinzia Bearzot e Franca Landucci

VI1

MARCEL PIÉRART

Argos des origines au syncecisme du VIII‘ siècle avant J.-C.

3

GIUSEPPE RAGONE

Riflessioni sulla documentazione storica su Fidone di Argo

27

CINZiA BEARZOT

Argo nel V secolo: ambizioni egemoniche, crisi interne, condizionamenti esterni

105

MARL4 PiA PAITONI

Presenze politiche di Argo nella tragedia attica del V secolo

147

PAOLO A. TUCI

I1 regime politico di Argo e le sue istituzioni tra fine VI e fine V secolo a.C.: verso un’instabile democrazia

209

MARCELLO BERTOLI

Argo nel IV secolo: forza militare, debolezza politica

273

MARTA SORDI

Atene e l’unione fra Argo e Corinto

299

VI

INDICT

FRANCA IANDUCCI

Argo post-classica: dalla democrazia alla tirannide

31 1

ALESSANDRO GALIMRERTI

Argo e la conquista romana

339

Introduzione

Pausania (II 19, 2) presenta gli Argivi come amanti   della libertà e dell’autonomia (   ), insistendo sull’antichità e sulla solidità di una tradizione democratica fortemente caratterizzante dell’esperienza storica della città peloponnesiaca. Il ciclo di seminari dell’anno accademico 2004/2005 è nato proprio dal desiderio di approfondire la natura della democrazia argiva, indubbiamente assai diversa rispetto al modello ateniese, malgrado gli Argivi preferissero sottolineare le affinità e guardassero ad Atene, a detta di Tucidide, come ad una «città da gran tempo loro amica, retta a democrazia come loro» (V 44, 1); e, insieme, dall’intento di verificare il ruolo svolto nelle vicende elleniche da una delle più importanti «terze forze» del quadro internazionale greco. Il titolo di questo quarto volume dei «Contributi di storia antica» rimanda espressamente ad Argos, une autre démocratie, uno dei numerosi saggi che Marcel Piérart, uno dei massimi studiosi della storia argiva, ha dedicato alla ricostruzione delle vicende politiche ed istituzionali di Argo 1. Con questa ‘citazione’ si è inteso sottolineare l’inserimento di questo nostro lavoro nel filone di ricerca tracciato dagli studi dell’amico e collega: una continuità che ha trovato visibile espressione nell’intervento con cui Marcel Piérart, il 4 febbrario 2004, ha cortesemente accettato di aprire i lavori del nostro seminario. I diversi contributi proposti nel corso del seminario, e qui riuniti, si ricompongono in una ricostruzione che, nella sua parzialità, è certamente qualcosa di più di una storia ‘locale’, per il costante e speriamo riuscito tentativo di inserire Argo nel contesto ampio delle vicende panelleniche, sia per l’aspetto istituzionale che per quello politico-militare. Dal punto di vista della politica interna, è emersa con evidenza la peculiarità istituzionale di 1 M. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, in P. FLENSTED-JENSEN, T.H. NIELSEN - L. RUBINSTEIN, Polis & Politics. Studies in Ancient Greek History Presented to M.H. Hansen on His Sixtieth Birthday, August 20, 2000, Copenhagen 2000, pp. 297-314.

VIII

INTRODUZIONE

Argo e della sua esperienza democratica, davvero diversa da Atene non solo per istituzioni, ma anche per origini e base sociale. Per tutta la sua storia, Argo fu attraversata da una profonda frattura sociale e politica, che trae origine dalle forme del suo processo di democratizzazione, avvenuto a partire dall’immissione nel corpo civico di elementi estranei sul piano etnico e sociale, e quindi mai accettati con piena convinzione dai cittadini originari: un’esperienza che differenzia Argo da Atene (ove vi fu invece sostanziale accettazione di una prospettiva paritaria che includeva tutti gli strati della popolazione e che si esprimeva nella rivendicazione orgogliosa del mito ‘egalitario’ dell’autoctonia), avvicinandola piuttosto alla turbolenta esperienza delle città siceliote e in particolare di Siracusa. Dal punto di vista internazionale, è stato messo in luce il carattere profondamente condizionante del contesto geopolitico peloponnesiaco, con l’elemento frenante rappresentato da Sparta e la necessità di collegarsi con altre realtà (Arcadi, Elei, Corinzi) per assumere un ruolo competitivo; ma la costante aspirazione di Argo a recuperare, contro Sparta, «l’antica egemonia e l’uguaglianza di un tempo all’interno del Peloponneso» (Thuc. V 69, 1), rivela pienamente l’importanza delle terze forze e la necessità di una più adeguata valutazione del loro ruolo, al di là del bipolarismo Sparta/Atene. Questi risultati trovano corrispondenza in un passo di Isocrate, che nel Filippo (51-52) così descrive la situazione degli Argivi nel 346: «Da quando abitano la loro città sono in guerra contro i confinanti, come gli Spartani, ma con la differenza che questi lottano con avversari più deboli, quelli con avversari più forti; il che, come tutti convengono, è il peggiore dei mali. (...) Ma la più tremenda di tutte le sventure è questa: quando i nemici smettono di tormentarli, essi stessi massacrano i più illustri e ricchi fra i concittadini, e di fronte a questo provano tanta gioia, quanta nessun altro a uccidere i loro nemici». Nonostante la sua consueta tendenziosità, Isocrate coglie assai bene i fattori condizionanti dell’esperienza argiva: la costante minaccia delle potenze confinanti e la debolezza determinata dal ricorrere di staseis e di sanguinose lotte fratricide. Ringraziamo coloro che, insieme ai membri del Dipartimento di Scienze storiche dell’Università Cattolica, hanno contribuito con la loro disponibilità e competenza alla realizzazione dei seminari e del volume: oltre a Marcel Piérart, dell’Università di Fribourg, Marta Sordi, professore emerito dell’Università Cattolica, Giuseppe Ragone, dell’Università di Roma III, e Maria Pia Pattoni, dell’Università Cattolica di Brescia. Cinzia Bearzot Franca Landucci

MARCEL PIÉRART

Argos des origines au synœcisme du VIIIe siècle avant J.-C.

Introduction On a beaucoup spéculé sur la naissance de la Cité grecque, comme s’il s’agissait d’un phénomène homogène dans le temps et dans l’espace. Une cité est d’abord la manière dont une communauté organise l’exploitation et la défense d’un territoire, ce qui implique une identité, des structures politiques et sociales, des rites et des traditions. Chaque cité essaie de vivre en autarcie. Pour se procurer les biens que son terroir ne lui apporte pas, elle doit produire des surplus. Deux voies lui sont offertes pour y parvenir: le commerce et la guerre. La poésie archaïque révèle une société capable de sentiments raffinés, mais c’est une société guerrière, dans laquelle le pillage et la piraterie sont des actions normales. Les cités se sont donc efforcées d’atteindre des frontières aisément défendables et de se faciliter, dans toute la mesure du possible, l’accès au territoire du voisin. La plaine d’Argos possède à peu près la forme d’un triangle dont la base serait formée au sud par les rives du golfe de Nauplie. Elle est bornée à l’est et à l’ouest par des massifs montagneux. À l’ouest, des montagnes élevées séparent la plaine de l’Arcadie: le Lyrkéion et l’Artémision, le Parthénion et le Kténias. Au nord et à l’est se trouvent des montagnes moins élevées. Elles servirent aussi de frontières: le mont Trétos marquait la frontière entre Argos et Cléonai au nord; à l’est, le mont Arachnaion isolait la plaine des cités indépendantes de l’Akté (Épidaure, Trézène, Hermione)1. Pour définir les frontières naturelles de la plaine d’Argos, la Cf. M. PIÉRART, Argolis, dans M. H. HANSEN-Th. H. NIELSEN (eds.), An Iventory of Archaic and Classical Poleis, Oxford, 2004, pp. 599-602; ID., Genèse et développement d’une ville à l’ancienne: Argos, dans M. REDDÉ (ed.), La naissance de la ville dans l’Antiquité, Paris, 2003, pp. 49-70. 1

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MARCEL PIÉRART

ligne de partage des eaux fournit un guide sûr2. La plaine, qui couvre environ 250 km2, draine une superficie de près de 1200 km2. Les rivières principales, l’Inachos et le Charadros – qu’on appelle aujourd’hui Xérias – prennent leur source à l’ouest, dans le massif du Lyrkéion3, l’une au nord, l’autre au sud; elles contournent la ville d’Argos par le nord-est avant de se rejoindre au sud de celle-ci et de se jeter dans le golfe de Nauplie. Plutôt que des rivières, il s’agit de lits de torrents au cours intermittent, asséchés la plupart du temps, mais capables d’acheminer vers la mer les masses d’eau que déversent, à l’occasion, de violentes tempêtes, hivernales et parfois estivales. De plus petits torrents n’ont pas la force d’atteindre la mer. On verra plus loin l’importance de cette observation pour l’histoire de la ville d’Argos. Il était logique qu’Argos cherchât à s’assurer la domination politique de l’ensemble de ce bassin: elle fut définitivement réalisée après la conquête de Mycènes, peu avant 460. D’Argos dépendaient alors, en plus des bourgs de la plaine, désertés ou occupés, comme Midéa ou Tirynthe, Asiné, à l’est, et Hysiai, qui exploitait une vallée fertile drainée par une rivière qui se jette dans la mer près de Kiveri, Oinoé, dans la vallée du Charadros, Lyrkéion, située dans la haute vallée de l’Inachos. Les alliances que la cité avait conclues avec Ornéai et Cléonai lui garantissaient la maîtrise des défilés vers Phlionte, Sicyone et Corinthe. Les historiens ne s’accordent pas sur la manière dont la ville d’Argos a réussi à unifier la plaine à son profit. Certains pensent qu’elle ne fut pas en état de le faire avant l’époque classique4. Pour ma part, j’ai défendu l’idée qu’Argos dominait l’ensemble de la plaine, sous une forme politique que nous ne pouvons qu’entrevoir, depuis la fin du VIIe siècle au moins5. La défaite infli2 Cf. H. LEHMANN, Argolis I: Landeskunde der Ebene von Argos und ihrer Randgebiete, Athènes 1937, pp. 5, 50-58. 3 Ou de l’Artémision, selon PAUSANIAS (II 25, 3; VIII 6, 6), qui étend le nom à l’ensemble du massif formé par le Lyrkéion (ancien mont Goupato) et l’Artémision (ancien mont Malévo): cf. R. BALADIÉ, Le Péloponnèse de Strabon, Paris 1980, pp. 119-120. 4 Th. KELLY, A History of Argos to 500 B. C., Minneapolis 1976; J. B. HALL, How Argive was the “Argive” Heraion? The Political and Cultic Geography of the Argive Plain, 900-400 B.C., AJA 99 (1995), pp. 577-613. 5 M. PIÉRART, L’attitude d’Argos à l’égard des autres cités d’Argolide, dans M. H. HANSEN (ed.), The Polis as an Urban Centre and as a Political Community, Copenhague 1997, pp. 321-351.

ARGOS DES ORIGINES AU SYNŒCISME DU VIIIe SIÈCLE AVANT J.-C.

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gée par Cléomène à Sépeia, peu avant les guerres médiques, a entraîné un recul temporaire de la puissance d’Argos. L’unification de la plaine vers 460 par la jeune démocratie argienne était, en fait, une reconquête. Au cours de cet exposé, on essaiera de montrer comment et pourquoi la ville d’Argos, sujette de Mycènes durant l’Âge du Bronze, a pu acquérir cette position dominante, en retraçant son histoire des origines jusqu’au synœcisme du VIIIe siècle.

1. Les conditions géographiques et topographiques La ville d’Argos est située à l’extrémité d’un étroit promontoire (Gebirgskap) qui se détache de la paroi occidentale du massif montagneux à l’ouest et pénètre dans la plaine sur une longueur de 3 km: c’est le plateau du mont Lyconé, haut de 285 m. Il est séparé par un col de 195 m de haut d’une colline conique dont le sommet, à 289 m, est occupé par la citadelle d’Argos, la Larisa. Celleci, à son tour, est séparée par un col situé à 54 m au-dessus du niveau de la mer d’une deuxième colline dont le sommet, à 80 m, est couronné par une chapelle dédiée au prophète Élie6. À cause de sa forme, qui rappelle un bouclier, Sir William Gell a cru y reconnaître – à tort – le lieu que Plutarque appelait Aspis7. Ce nom est entré depuis dans l’usage. Pausanias, en tous les cas, donnait le nom de Deiras 8, que les archéologues réservent d’habitude au col qui sépare les deux collines, au lieu où est installé le sanctuaire d’Apollon Pythien (fig. 1, 3). La pénétration profonde de la montagne dans la plaine confère au site urbain une position centrale dans la plaine (la forteresse de la Larisa est à 6 km de la mer, à 11 km de Mycènes, à 10, 5 km de Nauplie). Elle en faisait un point de passage obligé sur la grande route qui menait de Corinthe à Tégée et à Sparte et qui, jusqu’à Cf. A. PHILIPPSON, Der Peloponnes (hrsg. E. KIRSTEN, Berlin, 1959), III 1, pp. 142-145. Plut. Cléom. 17, 8; 21, 5; Pyrr., 32, 8. Cf. V. LAMBRINOUDAKIS, AQHNA, 71 (1969-1970), pp. 47-84; F. CROISSANT, Note de topographie argienne, BCH, 96 (1972), p. 151; M. PIÉRART, Deux notes sur l’itinéraire argien de Pausanias, BCH, 106 (1982), p. 140 et Un oracle d’Apollon à Argos, «Kernos», 3 (1990), pp. 319-320. 8 Paus. II 24, 1. 6

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MARCEL PIÉRART

une date récente, a formé l’une des voies de communication les plus importantes du Péloponnèse. Le voyageur qui l’empruntait pénétrait en Argolide par le défilé du Trétos, laissait Mycènes à gauche, traversait le Charadros à l’est de l’Aspis, longeait celle-ci et la Larisa, puis au sortir de la ville, le mont Lyconé et le mont Chaon, avant de s’enfoncer dans la montagne vers Kenchréai et Hysiai9. Strabon et Pausanias mentionnent d’autres routes qui reliaient le centre urbain aux divers cantons du pays: 1) Vers l’ouest, deux routes partaient de la porte de la Deiras: la première permettait de gagner Mantinée par la vallée du Charadros. Elle passait par Oinoé. 2) La seconde route permettait de gagner Lyrkéion et Ornéai. De là, en suivant la dépression qui fait communiquer la haute vallée de l’Inachos avec celle de l’Asopos, on pouvait gagner Phlionte et Sicyone. 3) La route moderne d’Argos à Tripoli ne suit pas le tracé de l’ancienne route de Tégée dans la plaine. Elle reprend à peu près celui de la route de Lerne, d’où l’on pouvait se rendre à Sparte par la Thyréatide. 4) Vers l’est, une route conduisait à Épidaure. Comme elle passait au nord de Tirynthe et au sud de Midéa, il faut supposer qu’une autre route, plus méridionale, permettait de gagner Nauplie et Asiné. 5) D’autres routes permettaient de gagner le Nord-Est du Péloponnèse, par Mycènes et par Prosymna et Ténéa. Située au carrefour de ces voies de circulation, la ville d’Argos s’est donc établie au pied des collines de la Larisa et de l’Aspis, dans la portion de plaine que délimite au nord et à l’est le Charadros (fig. 3). Vers le sud, un autre trait de la morphologie du paysage en limitait le développement. Dans la région de Lerne, le sol est détrempé par des résurgences karstiques alimentées par des katavothres d’Arcadie. Elles contraignent les habitants à d’incessants travaux de drainage. La plus importante est la rivière Érasinos, l’émissaire du lac de Stymphale, qui se jette dans la mer non loin de l’embouchure de l’Inachos. Aujourd’hui, le Sur les routes, le livre de I. A. PIKOULAS, !Odikov divktuo kai; a#muna: a!pov th;n Kovrinqo sto VArgo" kai;; th;n !Arkadiva, Athènes 1995, est l’étude la plus récente et contient toute la bibliographie utile.

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ARGOS DES ORIGINES AU SYNŒCISME DU VIIIe SIÈCLE AVANT J.-C.

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captage des sources et l’irrigation de toute la plaine ont considérablement modifié le paysage. Plus marécageux dans l’Antiquité, il était prolongé, dans la direction de Nauplie, par une lagune aujourd’hui asséchée. Le port d’Argos, Téménion, était entre l’embouchure de l’Érasinos et de l’Inachos. Avant que des travaux de drainage, dont Aristote se fait l’écho, n’étendent de ce côté la superficie des terres cultivables, la mer n’était accessible que par un couloir relativement étroit10. L’existence de deux collines au flanc desquelles la ville s’accroche a créé un mouvement de balance11. Si une citadelle (?) a couronné la Larisa dès l’époque mycénienne, c’est pourtant la colline basse qui paraît avoir été le centre des habitats méso-helladiques et mycéniens. À l’époque géométrique, le site était occupé par des petits groupements d’habitations dispersés dans la plaine. À la fin de l’époque archaïque, et durant tout le reste de l’Antiquité, le centre de gravité de la ville s’est déplacé au sud, au pied d’un promontoire de la Larisa appelé Prôn: dans ses flancs ont été creusés successivement le théâtron à gradins droits, qui servit aussi aux réunions de l’Aliaia (l’assemblée du peuple), et le grand théâtre d’Argos. Non loin de là, une vaste dépression reçut les installations de l’agora, quand des travaux de drainage importants eurent été exécutés12. Au Moyen-Âge, des maisons se sont agglutinées à la citadelle médiévale, tandis que, dans la plaine, le centre de la ville se déplaça à nouveau vers le nord: lorsque Michel Fourmont a visité la ville en 1729, l’espace situé au pied du théâtre était à peu près vide. Aujourd’hui, la ville, centre d’une région agricole prospère, connaît une croissance brutale et mal maîtrisée. Au nord et à l’est, cependant, son développement continue à être bloqué par le lit du Charadros et de l’Inachos. L’extension de la ville se fait donc vers le sud, ce qui ne va pas sans poser de graves problèmes pour la sauvegarde du patrimoine archéologique. 10 Cf. BALADIÉ, Le Peloponnèse, pp. 110-113; E. ZANGGER, Argolis II: The Geoarchaeology of the Argolid, Berlin 1993; V. DOROVINIS, Téménion. Le port antique d’Argos, dans A. PARIENTE- G. TOUCHAIS (eds.), Argos et l’Argolide. Topographie et urbanisme, Paris-Athènes 1998, pp. 291-313. 11 Pour une vue d’ensemble sur cette évolution, cf. PIÉRART, Genèse et développement, pp. 52-55. 12 Cf. A. PARIENTE-M. PIÉRART-J.P. THALMANN, Les recherches sur l’agora d’Argos: résultats et perspectives, dans PARIENTE-TOUCHAIS, Argos et l’Argolide, p. 212.

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Argos se range donc parmi «les villes mixtes qui associent les avantages défensifs d’une acropole aux facilités de communication de la plaine, en enfermant dans leur enceinte une situation dominante et une vaste région basse où l’habitat peut se développer»13.

2. La ville avant la ville: l’âge du bronze Les mythographes grecs ont fait de Phoroneus le premier fondateur de la ville, qui porta son nom, avant qu’elle ne reçoive celui du fils de Niobé14. Mais les poèmes homériques voyaient dans Argos un pays, plutôt qu’une ville15. Argos, en tant que ville, n’y apparaît que trois fois, sans qualification précise16. Dans le Catalogue des Vaisseaux, parmi les sites de la plaine argienne, Tirynthe est la ville bien fortifiée (comme Gortyne). Mycènes est la ville forte bien bâtie (une formule passe-partout)17. Ailleurs, elle est louée pour ses larges rues18. Le nom d’Argos paraît d’origine grecque, ce qui ne laisse pas d’étonner pour un site aussi ancien19. Il est donc permis de se demander si l’habitat installé aux pieds de la Larisa et de l’Aspis portait déjà ce nom avant l’Âge du Fer. À partir de quand peut-on parler de ville? Gordon Childe avait dressé la liste des dix traits dont la présence permettrait à l’archéologue de reconnaître qu’il a affaire à une ville. Même réduits à cinq20 – la dimension de l’agglomération, la présence d’artisans à plein temps, l’existence de surplus de production, la hiérarchisation de la société et l’organisation étatique – ces critères, dans R. MARTIN, L’Urbanisme dans la Grèce antique, Paris 19561, 19742, p. 36. Paus. II 15, 5; ÉTIENNE DE BYZANCE, s.v. Argos. 15 Cf. P. WATHELET, Argos et l’Argolide dans l’épopée, spécialement dans le Catalogue des Vaisseaux, dans M. PIÉRART, Polydipsion Argos, Paris (BCH, Supplément XXII), 1992, pp. 99-118. 16 Hom. Il. II 559, IV 52, Od. XXI 108, où la mention d’autres villes conduit à voir dans Argos une ville également. 17 Hom. Il. II 559 (Tirynthe), 569 (Mycènes). 18 Hom. Il. IV 52. 19 A. LEUKART, Die frühgriechischen Nomina auf -tas und -as. Untersuchungen zu ihrer Herkunft und Ausbreitung (unter Vergleich mit den Nomina auf eús), Vienne, 1994, p. 307. Voir cependant les dictionnaires étymologiques de FRISK et CHANTRAINE, s.v. 20 J.-L. HUOT, dans J. L. HUOT- J. P. THALMANN- D. VALBELLE, Naissance des cités, Paris 1990, p. 30. 13 14

ARGOS DES ORIGINES AU SYNŒCISME DU VIIIe SIÈCLE AVANT J.-C.

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le contexte de la société palatiale, ne valent que pour Mycènes et peut-être Tirynthe. L’habitat de l’Helladique Ancien paraît bien modeste, comparé aux grands centres de Lerne ou de Tirynthe, peut-être parce qu’Argos n’est pas comme eux un site côtier. La première occupation étendue du site date de la période suivante, sans qu’on puisse encore parler de ville. Plutôt qu’un gros village, il convient sans doute d’y voir un ensemble de hameaux «dont le schéma organique et l’éventuelle hiérarchie nous échappent encore totalement»21. Le tableau ne se modifie pas de façon sensible à l’Helladique Récent. Au pied du flanc oriental de l’Aspis, les tombes HR I-II succèdent aux tombes HM. La nécropole de la Deiras demeure en usage pendant toute la période. Au sud, on ne trouve pas de tombes avant l’HR III C. L’habitat le plus étendu se trouve au pied du flanc oriental de l’Aspis et est attesté pendant toute la période. Dans le quartier Sud, les vestiges datent de la fin de la période. Au sommet de la Larisa, quelques vestiges suggèrent l’existence d’un établissement important, citadelle plutôt que palais – mais même cela a été contesté22. Une chose est désormais établie: contrairement à ce que l’on a pu croire ou espérer, il n’y a pas trace d’un établissement mycénien important au sommet de l’Aspis. Dans l’état actuel de nos connaissances, Argos n’offre, à l’époque mycénienne, rien de comparable avec Mycènes ou Tirynthe: aucun palais, aucune tholos, aucune tablette en linéaire B. Un point commun toutefois: Argos, comme Tirynthe et Mycènes – mais à la différence de tous les autres sites de la plaine argienne – n’est pas abandonné après les destructions de la fin de l’HR III B23.

Si l’on accepte l’hypothèse que la plaine argienne formait déjà, à l’Helladique Récent, une entité territoriale unifiée24, Argos n’y jouait pas de rôle important. N. DIVARI-VALAKOU-G. TOUCHAIS, Argos du néolithique à l’époque géométrique: synthèse des données archéologiques, dans PARIENTE-TOUCHAIS, pp. 9-21, spécialement p. 11. Cf. DIVARI-VALAKOU-TOUCHAIS, Argos du néolithique, pp. 11-12; P. DARCQUE, Argos et la plaine argienne à l’époque mycénienne, dans PARIENTE-TOUCHAIS, Argos et l’Argolide, pp. 103-115. 23 Cf. DIVARI-VALAKOU-TOUCHAIS, Argos du néolithique, p. 12. 24 Cf. DARCQUE, Argos et la plaine argienne.

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3. Le synœcisme du VIII e siècle La culture mycénienne a survécu pendant 150 ans au moins à la destruction des palais. Pendant l’HR III C, de nombreux sites sont abandonnés. La population se concentre à Tirynthe, Mycènes et Argos. Comme Tirynthe et Mycènes, Argos est occupée sans solution de continuité pendant le Submycénien – une phase de transition caractérisée en Argolide par une diminution sensible du nombre des habitats – et le Protogéométrique. Ces périodes, baptisées d’après le style de la céramique, forment ce qu’on appelle les Siècles obscurs (Dark Ages). Le dépeuplement de la plaine se généralise hormis dans les trois sites mentionnés. Il semble bien que dès cette époque, Argos s’affirme comme le centre principal de la plaine. Les vestiges exhumés à Argos, quoique fort limités, y témoignent déjà d’activités métallurgiques. Dès la fin du XIe s. av. J.-C., l’agglomération, formée de hameaux disparates, se développe progressivement sur l’ensemble du territoire occupé par la ville moderne. Elle est déjà un centre manufacturier actif. Cette extension s’accélère pendant les trois phases du Géométrique pour atteindre son point culminant au Géométrique Récent: après le resserrement brutal des habitats au pied du Prôn pendant les périodes archaïque et classique, il faudra attendre les périodes hellénistique et romaine pour que la ville occupe une superficie comparable à celle qu’elle avait atteinte à la fin du VIIIe s. av. J.-C25. Le paysage qu’elle offre alors est cependant très différent de ce qu’il sera par la suite. Pendant le Submycénien, les tombes sont encore rares et dispersées. Quelques inhumations ont lieu dans des tombes à chambre qu’on a rouvertes. Les tombes du Protogéométrique sont surtout concentrées dans la partie centrale de la ville. Mais on en trouve aussi à l’emplacement des nécropoles de l’Âge du Bronze. Plus de 130 tombes appartenant aux trois phases de la période géométrique ont été mises au jour. Leur répartition assure l’existence de plusieurs nécropoles organisées: 1) La première est au sud, dans la région de l’actuel cimetière de la Panaghia et dans le quartier du Stade. 25 Cf., pour l’ensemble de la période, DIVARI-VALAKOU-TOUCHAIS, Argos du néolithique, pp. 12-18.

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2) Une autre se trouve au nord, dans les fouilles de l’Hôpital et des quartiers adjacents. 3) Une troisième a offert quelques tombes, dans le secteur Est de la ville et, vers le nord-est, dans le lit actuel du Xérias. Mais de nombreuses tombes – certaines parmi les plus riches – ont été retrouvées à l’intérieur des limites de l’agglomération, entre les zones habitées. On peut donc admettre l’existence d’un premier synœcisme d’Argos au VIIIe s. av. J.-C26. La ville ne formait encore qu’un ensemble de quartiers plus ou moins indépendants, où, malgré l’apparition de vraies nécropoles, les tombes continuaient de se mêler aux habitations sans ordre clairement perceptible. Elle était loin de constituer un cas isolé. R. Martin a noté que la plupart des sites illustres de Grèce continentale n’auraient pas place dans une histoire de l’urbanisme, si l’on n’y trouvait déjà deux traits caractéristiques des villes grecques des époques ultérieures: l’acropole, héritage mycénien où se juxtaposent les fonctions défensives et religieuses, et l’agora, d’abord simple dégagement, place rudimentaire, avant d’accueillir les organismes essentiels de la cité27. Les vestiges les plus anciens de monuments publics ont été retrouvés sur les deux collines, la Larisa et l’Aspis. Des structures à peine intelligibles ont été attribuées au temple d’Athéna Polias et à celui de Zeus Larisaios, que Pausanias a vu à demi ruiné au sommet de la Larisa. Un important dépôt votif, qui s’étend de ~ 750 à ~ 650 environ paraît appartenir à Athéna plutôt qu’à Zeus. Mais on ne peut le mettre en relation avec aucune des structures dégagées. L’histoire la plus ancienne du sanctuaire d’Apollon Pythaeus sur l’Aspis est beaucoup moins bien connue. Quelques Cf. R. HÄGG, Zur Stadtwerdung des dorischen Argos, dans D. PAPPENFUSS- V. M. STROCKA (hrsg.), Palast und Hütte, Mayence 1982, pp. 297-307; Burial Customs and Social Differentiation in 8th-Century Argos, dans ID. (éd.), The Greek renaissance of the Eight Century B. C., Stockholm 1983, pp. 27-31, qui propose de placer ce synœcisme à la pliure entre le Géométrique Ancien et le Géométrique Moyen, au début du VIIIe s. I. RATINAUD, Argos, l’Argeia et le Péloponnèse à l’époque géométrique (thèse inédite, Paris 1997), pp. 158-164, situe la naissance d’Argos en tant qu’astu au Géométrique Récent. [Ce point de vue sera développé dans un article en cours de rédaction.] Voir aussi P. AUPERT Argos au VIIIe-VIIe siècles: bourgade ou métropole ? ASAA 44 (1982), pp. 21-32, E. PROTONOTARIOU-DEÏLAKI, Sur Argos au VIIIe et VIIe siècles av. J.-C. (en grec), ibid., pp. 33-38. 26

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MARTIN, L’Urbanisme, pp. 80-81.

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indices le feraient remonter à la même époque28. Les Argiens associaient les sanctuaires des divinités poliades à la geste troyenne: ils abritaient les statues de Zeus et d’Athéna que leurs rois avaient ramenées d’Ilion. L’Aspis hébergeait encore un sanctuaire d’Athéna Oxyderkès. Diomède, disait-on, y déposa son bouclier en revenant de guerre29. Ces données ne contredisent pas l’idée d’un synœcisme dans le courant du VIIIe s.

4. Les structures politiques et sociales Homère, dans le Catalogue des vaisseaux, fait passer la frontière entre le royaume d’Agamemnon et celui de Diomède au milieu de la plaine. Il attribue Mycènes à Agamemnon, Argos et les villes de l’Akté d’Argolide à Diomède30. Il est peu probable que cela reflète la réalité31. Pour être défendable, le royaume mycénien devait avoir des frontières naturelles. L’unité politique de la plaine est donc probable: au modèle homérique, il faut sans doute en préférer un autre, comme Ougarit, par exemple, où plusieurs palais coexistaient dans le même territoire et jouaient un rôle qui ne peut être que complémentaire32. Argos était donc dépendante du wanax de Mycènes, mais la rareté des tablettes ne nous permet pas de reconstruire l’organisation du territoire qu’il dominait, comme c’est le cas à Pylos ou à Cnossos. Dans la plaine, les places fortes33 Cf. R. HÄGG, Geometric Sanctuaries in the Argolid, dans PIÉRART, Polydipsion Argos, pp. 10-13. Paus. II 24, 2-3. Cf. M. PIÉRART, Pour une approche du panthéon argien par la mythologie: le bouclier d’Athéna, «Kernos», 9 (1996), pp. 171-194. 30 Hom. Il. II 559-562. 31 P. WATHELET, Argos et l’Argolide dans l’épopée, dans M. PIÉRART, Polydipsion Argos, pp. 99-118. Signalons la tentative de P. MARCHETTI [Homère, Diomède et l’Argos Polydipsion, dans L. ISEBAERT- R. LEBRUN (ed.), Quaestiones homericae, Louvain, Namur 1998, pp. 187-212] d’expulser Argos du Catalogue en identifiant la ville du vers 559 avec une Argos kata; Troizh'na mentionnée par Eustathe et Étienne de Byzance: selon lui, «il nous est relativement aisé de restituer à [cette cité], voisine de Trézène, l’histoire des trois familles des Biantides, Mélampodides et Proetides. La ville a, du reste, laissé plus de souvenirs qu’il n’y paraît. Car cette Argos – de laquelle sont partis les “Sept” et les Épigones – ne peut évidemment qu’être identique à celle mentionnée en tête de la Thébaïde, où elle est appelée Argos Polydipsion [p. 209]». 32 DARCQUE, Argos et la plaine argienne, pp. 103-115. 33 Tel semble avoir d’abord été le sens du mot povli". Cf., au milieu d’une abondante bibliographie, les dictionnaires étymologiques de FRISK et CHANTRAINE, s.v. 28

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– Mycènes, Midéa, Tirynthe, et peut-être Argos et Nauplie – ont sans doute joué un rôle stratégique. Elles inspiraient aussi la crainte dans les populations. Avec la disparition du système palatial, cette organisation a disparu. Une période de profondes mutations politiques et économiques s’ouvrit alors. La nature de ces transformations reste impossible à définir, tout comme celle des mouvements de population qui semblent les avoir accompagnées. On s’accorde cependant à considérer que cette période a joué un rôle essentiel dans la constitution de la tradition épique. Au terme de cette évolution, l’Argolide se réveilla dorienne, alors que la langue des tablettes en linéaire B, partout où on les trouve, est du protoachéen, un dialecte directement apparenté aux parlers attestés, durant le premier millénaire, en Arcadie et à Chypre. L’idée que des causes internes (profitant éventuellement de causes naturelles) auraient joué un rôle dans la fin des palais est, a priori, très plausible34. Le système hiérarchisé à outrance des palais aurait fait place à des formes moins différenciées, qui expliquent peut-être l’émergence des basileis. Mais, parmi les rescapés de la société mycénienne, écrit L. Godart35, il en est qui ont d’importantes cartes à jouer pour prétendre au rôle de leader de la nouvelle communauté. Ce sont ceux-là qui possèdent la connaissance des techniques utiles et même indispensables au nouveau groupe qui s’est constitué sur les territoires plus restreints qui sont ceux des cités. Parmi ces techniques, il en est une qui est fondamentale à la fois pour assurer la sauvegarde de la communauté et contribuer à son progrès: c’est celle du travail des métaux. Dans un monde orphelin du pouvoir palatial et dans des cités livrées à elles-mêmes, le prestige, la force et l’habileté de ceux qui sont capables de dominer la nature, d’arracher à la terre les armes et les outils qui serviront aux soldats et aux paysans, vont promouvoir un simple contremaître – car c’est bel et bien ce qu’était le basileus mycénien – au rang de roi. Ne nous en étonnons pas puisque c’est une véritable révolution des structures de la société qui a éclaté en Grèce au lendemain de la chute de l’univers palatial.

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Cf. P. DARCQUE, dans R. TREUIL et al., Les civilisations égéennes, Paris 1989, pp. 447-457. L. GODART, Le pouvoir de l’écrit, Paris 1990, p. 122.

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Si révolution il y a eu, elle serait plutôt venue de vassaux ou d’officiers capables de commander à des soldats et de redistribuer eux aussi les produits du sol, comme on les voit agir dans le Monde d’Ulysse. Ce sont eux, je pense, les ancêtres de la classe dominante à caractère militaire qui a réalisé le premier synœcisme d’Argos au VIIIe s. av. J.-C. Les bronziers appartenaient sans doute à un autre monde, celui des artisans. Au prétendant qui lui reproche d’avoir introduit un mendiant (Ulysse), Eumée, le porcher, répond36: Ce sont Antinoos, vilains mots pour un noble. Quels hôtes s’en va-t-on quérir à l’étranger? Ceux qui peuvent remplir un service public (dhmiovergoi), un devin (mavnti"), un médecin (ijhthvr), un dresseur de charpentes (tevktwn douvrwn) ou encore un chantre (ajoidov") aimé du ciel qui charme les oreilles! Voilà ceux que l’on fait venir du bout du monde! Mais s’en aller chercher un gueux qui te dévore?

Tels sont dans le monde d’Homère les «démiurges», les artisans, qui parcouraient la Grèce pour offrir leurs services. Le poète aurait pu ajouter à la liste les bronziers... Mais L. Godart a raison sur un point: les bronziers d’Argos jouèrent très tôt un rôle de premier plan. Dans le Péloponnèse, l’émergence précoce d’Argos est un fait particulièrement notable. La comparaison des offrandes de bronze d’Olympie, du point de vue typologique, stylistique et métallurgique paraît conduire à la conclusion que les premières offrandes d’Olympie sont de fabrication argienne: la tradition métallurgique argienne paraît plus ancienne que celles de Corinthe et d’Athènes et c’est à Olympie qu’on l’observe d’abord. L’interprétation de ces données n’est pas facile. En conclusion de l’étude qu’il consacrait au développement de la métallurgie argienne, C. Rolley écrivait37: «Les bronzes argiens d’Olympie, seraient alors Argiens parce qu’ Olympie était argienne»: La force de ces arguments réside dans le fait que la production «argienne» d’Olympie paraît bien être locale: ce sont des bronziers argiens installés à Olympie qui fabriHom. Od. XVII 381-385. Traduction V. BÉRARD, légèrement modifiée. C. ROLLEY, Identité culturelle et modes de dêveloppement (IXe - VIIIe s.), dans PIÉRART, Polydipsion Argos, pp. 99-118. 36 37

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quent ces objets. Les Argiens auraient donc été en mesure de jouer un rôle dominant dans ce sanctuaire d’éleveurs à la fin des siècles obscurs. La présence des bronziers argiens à Olympie n’implique aucune position politique dominante de leur cité sur le sanctuaire. Elle prouve uniquement leur supériorité technologique: forts de leur savoir-faire, ils se sont installés les premiers à Olympie, pour y répondre à la demande des éleveurs de troupeaux qui fréquentaient alors le sanctuaire. Supériorité temporaire, d’ailleurs: Sparte et Corinthe apparaissent peu après. Quoi qu’il en soit, dès le début de l’âge du fer, l’agglomération argienne, qui commençait à s’imposer comme le centre vital de la plaine, abritait un artisanat dynamique. Nous avons parlé des bronziers. Des potiers installèrent leurs fours dans le quartier sud, au pied de la Larisa. Leur production, par sa qualité, l’originalité des techniques décoratives mises en œuvre n’avait rien à envier à celle de leurs homologues athéniens. C’est ainsi que naquit la céramique protogéométrique. Ces artisans mirent leur compétence au service d’une aristocratie de guerriers et d’éleveurs, dont le riche mobilier funéraire – les panoplies notamment – et les offrandes ostentatoires trouvées à l’Héraion gardent le souvenir. L’analyse du mobilier des tombes autorise en effet quelques conclusions sur le mode d’organisation de la société: Une place particulière est occupée par les tombes de dignitaires de l’aristocratie, qui ont été exhumées en divers points de la ville. Les défunts y sont enterrés avec leur armement défensif et offensif, avec des obéloi et des chenêts, des ustensiles en terre cuite et en métal ainsi que des objets de parure, mobilier révélateur de leur statut socio-économique (...) Cela confirme l’existence à Argos, au VIIIe siècle av. J.-C., d’une classe dominante à caractère militaire et d’une société économiquement prospère, avec une production artisanale – céramique et métallurgique – développée et une grande capacité d’autosuffisance38.

Les membres de cette aristocratie tiraient leur prestige, mais aussi leur richesse, de l’élevage des chevaux. Ce sont eux, à n’en pas douter, les détenteurs du pouvoir, ce sont eux qui formaient la 38

DIVARI-VALAKOU-TOUCHAIS, Argos du néolithique, p. 18.

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classe des basileis dont les poèmes d’Homère et d’Hésiode attestent l’existence dans le monde grec. Des institutions, nous ne pouvons presque rien dire: les citoyens étaient sûrement répartis en trois fulaiv (mot qu’on rend en général par tribu, mais qui désigne une subdivision de la population) portant des noms traditionnels dans le monde dorien: Hylleis, Dymanes, Pamphyloi (ou Pamphylai). Selon Pausanias, qui se fait là l’écho des traditions locales, ils étaient encore soumis, à cette époque, à l’autorité d’un roi39. Argos et les Argiens sont constamment célébrés dans les poèmes homériques. La renaissance d’Argos au début de l’Âge du Fer y est probablement pour quelque chose. C’est sans doute à ce moment que les habitants de la plaine ont prétendu que leurs ancêtres étaient justement ces héros que chantaient les aèdes. Si, à l’aube du premier millénaire, les Argiens ont bien joué le rôle dominant que paraît suggérer l’analyse des bronzes et des vases, on est mieux en mesure de comprendre les caractères propres de la culture que ces éleveurs de bœufs et de chevaux ont édifiée sur les ruines des palais mycéniens. La conviction, qui s’affirme fortement à travers leurs monuments et leurs récits, qu’ils possèdent un passé particulièrement riche et glorieux sera l’un des traits forts de la mentalité des Argiens.

Conclusions La ville d’Argos s’est développée au pied de deux collines, la Larisa et l’«Aspis», à l’extrémité d’un étroit promontoire long de 3 km qui se détache de la paroi occidentale du massif montagneux. La pénétration profonde de la montagne dans la plaine confère au site urbain une position centrale. Elle en fait un point de passage obligé sur la grande route de Corinthe à Tégée et à Sparte qui, dans l’Antiquité comme de nos jours, formait l’une des voies de communication les plus importantes du Péloponnèse. Occupé dès la fin du néolithique, le site ne fut pas en mesure de tirer avantage de cette position avant l’Âge du Fer. L’histoire de la ville d’Argos est indissociable de celle de la 39

Paus. II 19.

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plaine dont elle devait devenir un jour la capitale. Entourée de toutes parts de montagnes, dont les sommets, du côté de l’Arcadie, culminent à plus de 1500 m, séparée de la mer, à l’ouest, par une zone marécageuse formée par les résurgences des katavothres d’Arcadie, le marais de Lerne, que prolongeait vers l’est, jusqu’au port de Nauplie, une lagune créée par les atterrissements de l’Inachos et du Charadros, la plaine forme un ensemble dont l’unification politique remonte sans doute à l’époque mycénienne. À cette époque cependant, seules Mycènes et, dans une moindre mesure, Tirynthe peuvent revendiquer le statut de ville. La rareté des tablettes en linéaire B ne nous permet pas de reconstituer l’organisation de cette entité politique, sans doute dominée par le wanax de Mycènes. Elle se disloque à la fin de l’Helladique récent II B. Pendant la période suivante, la population se concentre dans les trois sites principaux de la plaine, Mycènes, Tirynthe et Argos. Dès ce moment, le site d’Argos paraît l’emporter sur les autres. Il ne cessera de croître durant les siècles suivants, pour occuper, à la fin du Géométrique Récent, une superficie qu’il ne retrouvera pas avant l’époque romaine. Mais, du point de vue urbanistique, on ne peut guère encore parler de ville: il ne forme encore qu’un ensemble de quartiers plus ou moins indépendants, où, malgré l’apparition de vraies nécropoles, les tombes continuent de se mêler aux habitations sans ordre clairement perceptible. Le synœcisme du VIIIe s. est de nature politique. Le nouvel État-cité qui est en train d’émerger alors, et qui a dû s’imposer, sous une forme ou sous une autre, à toute la plaine est dominé par une aristocratie guerrière composée d’éleveurs de bœufs et de chevaux placée sous l’autorité d’un roi. C’est probablement à cette époque que les Argiens ont revendiqué pour ancêtres les héros du cycle troyen et qu’ils se sont octroyé l’un des noms qu’Homère attribue le plus souvent aux Grecs. Leurs mythes rattachent leurs plus vieux sanctuaires à la geste de Diomède. Si l’on admet l’hypothèse que l’Helladique Récent III c a joué un rôle essentiel dans la constitution de la tradition épique, on comprend l’embarras de l’auteur du Catalogue des Vaisseaux, obligé de faire tenir, dans un espace géopolitique unique, deux royaumes distincts dont seul celui d’Agamemnon gardait le souvenir, bien réel, de la splendeur passée de Mycènes.

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APPENDICES

1. Quand l’Héraion devint-il argien? Dans une thèse qui a fait grand bruit, F. de Polignac a voulu voir la clé de la naissance de la cité dans les sanctuaires de campagne, singulièrement les grands sanctuaires territoriaux. Il envisageait sous cet angle l’essor de l’Héraion d’Argos40. Plus récemment, J. B. Hall a contesté l’appartenance à Argos du sanctuaire avant l’unification du territoire sous l’égide de la démocratie, au Ve s. Auparavant, il aurait dépendu des populations de l’est de la plaine41. La pauvreté des vestiges archaïques exhumés à Argos même contraste avec les informations qu’on peut recueillir dans le principal sanctuaire extra-urbain de la cité: l’Héraion42. La puissante plate-forme pseudo-cyclopéenne en conglomérat local, partiellement dallée, a été visiblement construite, au plus tard à la fin du VIIIe ou au début du VIIe s. av. J.-C., pour accueillir le grand temple périptère. Mais on peut hésiter encore sur l’écart entre son érection et la construction du temple. Le premier grand programme édilitaire débuterait vers 600 av. J.-C. et s’achèverait, vers la fin du VIe s. avec la construction de l’hestiatorion. Interrompus après la récession causée par la défaite infligée par Cléomène de Sparte, les travaux reprennent, vers 460 av. J.-C., sous l’égide du nouveau régime démocratique. Quelle que soit la manière dont on se représente le rôle du sanctuaire dans la constitution des communautés qui occupaient la plaine d’Argos43, la raison commande de voir dans l’État argien 40 F. DE POLIGNAC, La naissance de la cité grecque, Paris, 19841, 19952. ID., Cité et territoire à l’époque géométrique: un modèle argien?, dans PARIENTE-TOUCHAIS, Argos et l’Argolide, pp. 145-162. 41 HALL, How Argive, pp. 577-613. 42 Cf. M.-F.BILLOT, Recherches archéologiques récentes à l’Héraion d’Argos, dans J. DE LA GENIÈRE (éd.), Héra. Images, espaces, cultes, Naples 1997, pp. 12-46 et 57-70. 43 On admettra volontiers qu’après la mainmise des Argiens sur la plaine, l’Héraion, avec la procession qui y conduisait, symbolisait pour la ville la possession du territoire. Mais pourquoi, dans un premier temps, le sanctuaire n’aurait-il pas été un lieu de rassemblement, qui a pu contribuer à forger le sentiment des habitants de la plaine d’appartenir à un même groupe? En effet, il ne diffère pas essentiellement du sanctuaire de l’ethnos des Phocidiens à Hyampolis, qui était aussi un lieu de rassemblement. Cf. BILLOT, Recherches archéologiques, pp. 11, n. 6.

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le principal commanditaire des aménagements architecturaux sophistiqués de ce sanctuaire. La légende de Cléobis et Biton tirant le char de leur mère et s’endormant dans le sanctuaire après le repas sacrificiel pourrait être le mythe de fondation de la fête et des concours44. On ne l’imagine guère de facture récente quand Hérodote l’a recueillie.

2. À qui appartenait la Thyréatide? La plaine d’Astros, séparée de la plaine argienne par le mont Zavitsa (autrefois le Parparos) était connue dans l’antiquité sous le nom de Thyréatide, qu’elle devait à une petite ville côtière dont le site n’a pas encore été identifié avec certitude. Hérodote raconte dans un récit coloré les luttes qui opposèrent Argiens et Lacédémoniens pour la possession de Thyréa à l’époque du siège de Sardes par Cyrus, donc vers le milieu du VIe siècle. Il nous dit à cette occasion que «tout ce qui se trouve à l’ouest jusqu’au cap Malée était aussi aux Argiens, tant la terre ferme que l’île de Cythère et le reste des îles»45. Les modernes ont mis en doute l’historicité de ces prétentions argiennes46, qui pouvaient se réclamer d’Homère47, mais aussi du partage légendaire du Péloponnèse entre les Héraclides, Téménos, Cresphontès et les fils d’Aristomachos48. Géographiquement, en tous les cas, les prétentions argiennes n’étaient pas entièrement dénuées de fondement: entre la Laconie et le golfe d’Argolide, le mont Parnon forme un obstacle qu’on ne pouvait guère contourner que par le sud. La plupart des historiens modernes ont admis la date basse d’Hérodote. Les récits qu’il a recueillis sont entachés de légende, Hér. I 31. Hér. I 82. 46 Les critiques de K. J. BELOCH, GG2 (Strasbourg 1912) I 1, p. 204, n. 1, ne sont pas mises en doute, même par ceux qui admettent l’existence d’un «empire» argien archaïque. 47 Hom. Il. II 108. 48 La légende du retour des Héraclides est analysée en grand détail par F. PRINZ, Gründungsmythen und Sagenchronologie, Munich 1979, pp. 206-313. M. PIÉRART, Le tradizioni epiche e il loro rapporto con la questione dorica. Argo e l’Argolide, dans D. MUSTI (a cura di), Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, Rome 1985, pp. 277-292. 44 45

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mais la mainmise de Sparte sur la région paraît assurée – elle a construit un réseau de routes pour la dominer49 – et la date qu’il propose est plausible. Pourtant un poème, fragmentaire il est vrai, de Tyrtée, dans la deuxième moitié du VIIe s., paraît faire état de combats opposant Sparte aux Arcadiens et aux Argiens50. Il n’avait pas forcément pour objet la Thyréatide51, mais ce fragment montre au moins que les Argiens n’étaient pas aussi inoffensifs qu’on a bien voulu l’écrire. Après la bataille de Chéronée, en ~ 338, un arbitrage de la Ligue hellénique de Corinthe a «rendu» la Thyréatide aux Argiens52. Dans le courant du IIIe s., peut-être dès 337, les Argiens sont les maîtres de la Cynourie tout entière, jusqu’à Zarax53. L’effondrement de la puissance lacédémonienne permettait enfin aux Argiens de satisfaire leurs revendications séculaires.

3. La destruction d’Asiné et de Nauplie Situé en bord de mer, à 8 ou 9 kilomètres au sud-est de Nauplie, le site d’Asiné fut occupé de l’Helladique Ancien à la fin du géométrique. Les sources anciennes prétendaient qu’Asiné et Nauplie avaient été détruites par les Argiens. Strabon et Pausanias situent la destruction d’Asiné et celle de Nauplie par rapport aux guerres de conquête de la Messénie, où leurs habitants, chassés par les Argiens, furent installés respectivement à Asiné et à Méthoné (Mothoné)54. Les sources que suit Pausanias inscrivaient ces événements dans le cadre des rivalités séculaires qui opposèrent Sparte et Argos. J. B. Hall, notant la pauvreté de nos informations sur le site de Cf. J. CHRISTIEN, De Sparte à la côte orientale du Péloponnèse, dans PIÉRART, Polydipsion Argos, pp. 160-163; HALL, How Argive, pp. 585-586. 50 Tyrt. F. 23a West (POxy. 3316). Cf. A. PARIENTE, Le monument argien des Sept contre Thèbes, dans PIÉRART, Polydipsion Argos, pp. 221 n. 194. 51 HALL, How Argive, pp. 585-586. 52 Paus. II 38, 5; Polyb. IX 28, 7. 53 SEG XVII 143. Cf. P. CHARNEUX, BCH, 82 (1958), pp. 9-12. 54 Asiné et Nauplie: Strab. VIII 6, 11 (C. 373), qui cite Theop. (115 F 383 Jacoby). Asiné : Paus. II 36, 4-5; III 7, 4; IV 8, 3; 14, 3; 15, 8; 24, 4; 27, 8; 34, 9-12 (Cf. Diod. IV 37, 2; Nic. Dam. 90 F 30 Jacoby). Nauplie: Paus. II 38, 2-3; IV 24, 4; 27, 8; 35, 2. 49

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Nauplie, a remis en cause l’historicité de la tradition relative à sa destruction55. Je serais aujourd’hui tenté de le suivre. L’historicité de la destruction d’Asiné par les Argiens n’est généralement pas mise en doute par les modernes, car elle paraît confirmée par l’archéologie. L’abandon du site pourrait dater de 700 environ56. Pour ceux qui admettent une unification tardive de la plaine, l’événement demeure toutefois difficile à expliquer. Pour Kelly, il s’agirait d’une sorte d’acte gratuit. J. B. Hall y verrait une expédition punitive à cause des méfaits des pirates d’Asiné. Dans un article brillant, I. Ratinaud dénie toute crédibilité à ces traditions57: les données chronologiques reposent, en effet, sur des reconstructions tardives, qui passent par la pseudo-histoire messénienne et dont l’étiologie fait une large part à l’hostilité de toujours entre Lacédémoniens et Argiens. On ne remonte guère au-delà du Ve s., quand la destruction d’Asiné justifiait les prétentions des Argiens sur la région. Faisant un pas de plus, elle se demande si les archéologues n’ont pas été abusés par la tradition. Le site aurait été abandonné, plutôt que détruit, et les gens d’Asiné se seraient simplement déplacés dans un site qui reste à retrouver. Les pioches nous éclaireront peut-être quelque jour sur la survie d’Asiné à l’époque archaïque. Hérodote considérait déjà les habitants d’Asiné de Messénie comme des Dryopes58. La tradition qui les faisait venir de la région d’Hermione avait donc déjà cours à son époque. Le récit de la prise d’Asiné par les Argiens et de la mort de l’un des leurs, Lysistratos, qu’ils enterrèrent sur place, servait à fonder leurs droits sur le sanctuaire d’Apollon Pythaeus, sur lequel ils avaient la haute main à l’époque de la guerre du Péloponnèse59. L’épithète de Pythaeus s’est diffusée à partir HALL, How Argive, pp. 583-584. Cf. KELLY, A History of Argos, pp. 45-46, 64-66 et The Argive Destruction of Asine, «Historia», 16 (1967), pp. 422-431; A. FOLEY The Argolid 800-600 B.C. An Archaeological Survey together with an Index of Sites from the Neolithic to the Roman Period, Göteborg 1988), pp. 175-176 et passim; HALL, How Argive, pp. 581-583. 57 I. RATINAUD-LACHKAR, Insoumise Asiné ? Pour une mise en perspective des sources littéraires et archéologiques relatives à la destruction d’Asiné par Argos en 715 avant notre ère, «Opusc. Atheniensia», 29 (2004), pp. 73-88. 58 Her. VIII 73: Druovpwn de; EJ rmiwvn te kai; !Asivnh hJ pro;" Kardamuvlh/ th'/ Lakwnikh'. 59 Thuc. V 53. 55 56

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d’Argos dès l’époque archaïque au sein de cultes locaux préexistants. Un poème de Télésilla, auquel Pausanias fait allusion, attribuait à Pythaeus la fondation d’un temple d’Apollon à Hermioné60. La tradition relative à la destruction d’Asiné, qui s’inscrit dans ce contexte, pourrait donc remonter à l’époque archaïque. Cela ne prouve évidemment pas qu’elle est authentique. ABSTRACT The hinterland of the Argolic Gulf comprises the Kynouria to the west, the Argive plain or Argeia to the north, and the peninsula known as the Argolic Akte to the east. At the western end of an alluvial plain of c. 250 km2, the site of Argos is dominated by two hills, one much higher than the other: to the south, Larisa with escarpments rising to c. 290 m, and to the north Profites Elias, called Aspis, a rocky outcrop of less than 90 m. The profound penetration of the mountain into the plain confers to the site a dominating position on the chief routes of the Argolid, among them the main road from the Isthmus of Corinth to the south and the western parts of the Peloponnese. In a study of the natural borders of the Argive plain, the watershed offers a reliable guide-line: to the north, the Tretos Pass separates the Corinthian Gulf from that of Argos; to the east is the Arachnaion massif; to the west rises the range of the Arkadian mountains. It follows that Argos naturally tried to secure for itself the political control of the entire valley of the rivers Inachos and Charadros. The plan was implemented by destroying and incorporating Tiryns and Mykenai in the fifth century. The toponym Argos, which was used in the following period, seems to be a Greek word, which is rather surprising for site of that time. Habitation is attested from the Neolithic period on the site where later the city of Argos grew up. From MH onwards, the site has become a nucleated settlement of some size, but not large enough to deserve the name of «city» or «town». Further extended in LH, it was still smaller than Mykenai and Tiryns. After the destruction of Mycenae toward the end of the twelfth century, Argos became the most important site of the plain. The area within which Early Iron Age remains have been found is much larger than at

Paus. II 35, 2. Cf. M. PIÉRART, Un oracle d’Apollon à Argos, «Kernos», 3 (1990), pp. 326-327.

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Mycenae and Tiryns. In the Geometric period, population was growing significantly. Although the town remained a cluster of hamlets, shrines were erected on the two hills. Traces of urban activities are attested. New cemeteries were opened. The extent of the Late Geometric city was almost equivalent to the modern town. We can accept the hypothesis of a synœcism at Argos in the eight century B.C. We know very little of social and political organization of Argolid during the period that followed the collapse of the Mycenaean civilization. The emerging city-state was dominated by an aristocracy of cattle and horse breeder. According to the tradition, Argos was ruled by kings (the Temenidai). After the destruction of Asine and the conquest of Nauplia (if historical), Argos dominated the entire valley, which is well suited to being the territory of one polity, but the political status of some dependant communities remains obscure. Citizens were distributed among the three Dorian tribes (Hylleis, Dymanes and Pamphylai). The tribes were probably subdivided in phratries. The plain was cultivated by serfs (Gymnetes). During the Dark Ages, the inhabitants of Argos showed probably a growing interest in the Heroic Age. They claimed to be the true descendants of the conquerors of Thebes and Troy.

LÉGENDE DES ILLUSTRATIONS 1. La plaine d’Argolide (dessin Y. Rizakis, EFA). La carte fait apparaître l’extension du lac de Lerne aujourd’hui asséché et la ligne de rivage vers 2500 av. J.-C. (d’après E. ZANGGER, The Geoarchaeology of the Argolid, Berlin 1993) 2. Photo aérienne d’Argos (1972, cliché EFA) 3. Argos. Plan de la ville moderne (dessin Y. Rizakis, EFA)

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Fig. 1

ARGOS DES ORIGINES AU SYNŒCISME DU VIIIe SIÈCLE AVANT J.-C.

Fig. 2

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Fig. 3

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Riflessioni sulla documentazione storica su Fidone di Argo «Los mit den Geschichten! Ich will nichts mehr in Brocken hören. Erzählen Sie mir alles, von Anfang bis zu Ende. Weniger höre ich nicht an, das sage ich Ihnen. Aber auf das Ganze brenne ich.»*

1. Introduzione Un misuratore per olio denominato «fidone» (ijİϟΈΝΑ = «risparmiatore», da ijİϟΈΓΐ΅΍?) compare in una pletorica tassonomia di vasi fornita nell’Onomasticon di Polluce1. Il termine, che sembra far riferimento alla limitata capacità del recipiente o alla controllabilità ‘microscopica’ del getto oleario, è messo dal lessicografo in rapporto con le «misure fidoniane» (ĭİȚįȫȞȚĮ µνΘΕ΅), menzionate da ‘Aristotele’ nella Costituzione di Argo2. Queste «misure», evidentemente costituite da una serie standardizzata di recipienti di capacità e volume dati, destinati alla determinazione empirica della quantità volumetrica, più che del peso in senso astratto, di liquidi e aridi (ben distinte, quindi, dai µȑIJȡĮ lineari e dai pesi-campione per la pesatura a bilancia)3, erano di certo percepite nell’antichità come minori o ridotte rispetto ad altre. Una contribuzione d’orzo inviata al santuario di Delfi dagli abitanti di Apollonia Pontica intorno al 364-362 a.C.,

___________________________________________________ * F. KAFKA, Beschreibung eines Kampfes, 1904-1911 (versione B). 1 Poll. X 179 (= Aristot. frg. 480 Gigon = 480 Rose): İϥ΋ įв ΪΑ țĮϠ ijİϟΈΝΑ IJȚ Φ··ΉϧΓΑ πΏ΅΍΋ΕϱΑ, ΦΔϲ IJЗΑ ĭİȚįȦȞİϟΝΑ µνΘΕΝΑ ВΑΓΐ΅ΗΐνΑΓΑ (var. ВΑΓΐ΅ıµνΑΝΑ), ЀΔξΕ ЙΑ πΑ ̝Ε·ΉϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟθ ̝Ε΍ΗΘΓΘνΏ΋Ζ Ȝν·Ή΍. 2 Per la questione della paternità solo lato sensu ‘aristotelica’ delle ȆȠȜȚIJİϧ΅΍ cfr. da ultimi D.L. TOYE, Aristotle’s other Politeiai: was the Athenaion Politeia atypical?, CJ, 94 (1998-1999), pp. 235-253; G. SCHEPENS - J. BOLLANSÉE, Frammenti di politeiai, nomoi e nomima. Prolegomeni ad una nuova edizione, in Poleis e Politeiai. Esperienze politiche, tradizioni letterarie, progetti costituzionali. Atti del Convegno Internazionale di Storia Greca (Torino, 29-31 maggio 2002), a cura di S. CATALDI, Alessandria 2004, pp. 259-285. 3 V. infra, nn. 230-233 e testo corrispondente.

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pari a «3000 medimni fidoniani» (țȡȚșκΑ µİįϟΐΑΓΙΖ | ĭİȚįȦȞİϟΓΙΖ | IJȡȚıȤȚȜϟΓΙΖ), una volta quantificata con il recipiente/unità di misura locale, risultò pari a «1875 medimni delfici» (πΎ IJȠϾ|IJȦȞ π·νΑΓΑΘΓ µνΈ΍|µȞȠȚ įİȜijȚțȠϠ | ȤϟΏ΍Γ΍ ϴΎΘ΅ΎϱΗ΍Γ΍ | οΆΈΉΐφΎΓΑΘ΅ ʌνΑΘΉ), per un valore complessivo di 3587 dracme e 3 oboli e mezzo4. Se si tiene conto di questo rapporto comparativo, del tutto evidente per gli antichi anche sul piano empirico e visivo (il medimno fidoniano, come quello delfico o come il «fidone» oleario, non era in effetti altro che un recipiente, di dimensione, volume e capacità visibilmente minori rispetto ad altro omonimo recipiente in uso altrove o nello stesso contesto), si comprende facilmente perché nei Caratteri di Teofrasto l’Idealtypus del taccagno o del «sordido avaro» (ĮϢΗΛΕΓΎΉΕΈφΖ) si connoti per l’uso di «una misura fidoniana dal fondo bombato verso l’interno» (ĭİȚįȦȞİϟУ µνΘΕУ IJϲΑ ʌϾΑΈ΅Ύ΅ İϢΗΎΉΎΕΓΙΐνΑУ), con la quale lo spilorcio amministra le razioni di derrate destinate ai componenti dell’oikos, rasando micragnosamente il contenitore giusto all’orlo5. Nella concorde percezione degli antichi il termine «fidoniano» (o piuttosto «fidonio»: ĭİȚįЏΑȚȠȢ, -ȠȞ: da assimilare ad altri aggettivi di chiara derivazione antroponimica come ̝ΐΚ΍ΘΕΙЏΑΉ΍ΓΖ, īȜȣțЏΑΉ΍ΓΖ, ǻİȣțĮȜȚЏΑΉ΍ΓΖ, ȀȣȜЏȞİȚȠȢ ecc.) era riferito alla personalità storica di Fidone (ĭİȓįȦȞ), tiranno di Argo, noto appunto come ‘inventore’ o riformatore di µȑIJȡĮ (o di ıIJĮșµȐ/ıIJĮșµȠȓ, o di entrambi, giusta la formula standardizzata – non pura endiadi – µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµȐ)6 – unico ‘dato’ a suo riguardo su cui la tradizione antica si mostri concorde: da Erodoto (ĭİϟΈΝΑΓΖ [įξ] IJȠІ IJΤ µνΘΕ΅ ʌȠȚφΗ΅ΑΘΓΖ ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΓ΍Η΍) ad Aristotele (ĭİȚįȫȞȚĮ µνΘΕ΅); da Eforo (µνΘΕ΅ πΒΉІΕΉ IJΤ ĭİȚįЏΑ΍΅ țĮȜȠϾΐΉΑ΅ țĮϠ ıIJĮșµȠȪȢ) all’anonimo autore della cronaca del Marmo Pario (ĭ[İϟ]įȦȞ ϳ ̝Ε·ΉϧΓΖ πΈφΐΉΙΗ[İ IJΤ] µ. νΘ.[ȡĮ țĮϠ | ıIJ]ĮșµΤ țĮIJİıțİϾ΅ΗΉ); da Plinio (mensuras et pondera Phidon Argivus [invenit]) ad Isidoro (primus Phidon Argivus ponderum ra-

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Corpus des inscriptions de Delphes, II. Les comptes du quatrième et du troisième siècle, II.4, éd. par J. BOUSQUET, Paris 1989 (= Fouilles de Delphes, III. Épigraphie. 5. Les Comptes du e IV siècle, éd. par É. BOURGUET, Paris 1932, nr. 3), col. II lin. 1-21. 5 Theophr. Char. 30, 11: țĮϠ IJΤ IJȠȚĮІΘ΅· ĭİȚįȦȞİϟУ µνΘΕУ IJϲΑ ʌϾΑΈ΅Ύ΅ İϢΗΎΉΎΕΓΙΐνΑУ µİIJȡİϧΑ ĮЁΘϲΖ IJȠϧΖ σΑΈΓΑ IJΤ πΔ΍ΘφΈΉ΍΅ ıijϱΈΕ΅ ΦΔΓΜЗΑ. 6 V. infra, par. 8.

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tionem in Graecia constituit / atque Phidon Argivus mensuras et pondera reperit) o a Sincello (µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµϟ΅ ʌȡЗΘΓΖ πΚΉІΕΉΑ)7. ĭİȓįȦȞ era a sua volta percepito come ϷΑΓΐ΅ țϾΕ΍ΓΑ µİIJȠȤȚțȩȞ, derivato participiale del vb. ijİϟΈΉΗΌ΅΍, «risparmiare» (cui erano ricondotti anche, a dubbio titolo, ĭİȚįϟ΅Ζ e ĭİȚįϾΏΓΖ); in quanto tale, assimilabile all’aggettivo ijİȚįȦȜȩȢ («parco», «risparmiatore»)8: un antroponimo insomma così immediatamente ‘parlante’, da poter essere letto, in sede comico-epigrammatica, come nomen omen appropriato per un avaro (come nel caso del ijȚȜΣΕ·ΙΕΓΖ Fidone, ridicolizzato in un epigramma di Nicarco, perché nell’imminenza della morte piange non il suo destino, ma le cinque mine che ha speso in extremis per comprarsi la tomba)9. Se si guarda a questo curioso incrocio di circostanze (Fidone pensato come personaggio storico reale, percepibile come «risparmiatore» per facile gioco onomastico, e poi in effetti ritenuto inventore di un sistema di misure «risparmiatrici» e ĭİȚįȫȞȚĮ, ivi incluso un misuratore oleario detto ijİϟΈΝΑ), si può essere fortemente tentati di mettere in dubbio la storicità stessa del personaggio; tanto più se si considera l’estrema problematicità e contraddittorietà di tutte le notizie che lo riguardano, ed in primo luogo l’insanabile questione della cronologia («... one of the most controversial and disputed questions in early Greek

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Her. VI 127 (infra, n. 12); Arist. frg. 480 Gigon = 480 Rose, da Poll. X 179 (supra, n. 1); Athen. Polit. 10, 2 (infra, n. 222); Ephor. FGrHist 70 F 115, da Strab. VIII 3, 33 (infra, n. 168); Marm. Par. FGrHist 239 par. A 30, lin. 1-2 (infra, n. 170); Plin. NH VII 198 (infra, n. 167); Isid. Etym. XVI 25, 2; Chron. 34 (infra, n. 167); Sync. p. 234 Mosshammer (infra, n. 47). 8 Cfr. Etym. M. s.v. ijİȚįȦȜϱΖ· ijİȚįϱΐΉΑΓΖ, țȞȚʌϱΖ. ȆĮȡΤ IJϲ ijİϟΈΝ ijİȚįȦȜϱΖ, ϳ ijİϾ·ΝΑ IJϲ įȚįϱΑ΅΍· țĮϠ ijİȚįȣȜϱΖ, ϳΐΓϟΝΖ· țĮϠ ĭİϟΈΝΑ ϷΑΓΐ΅ țϾΕ΍ΓΑ µİIJȠȤȚțϱΑ, БΖ ȜΣΐΔΝ ȁΣΐΔΝΑ, țĮϠ ıIJϟΏΆΝ ȈIJϟΏΆΝΑ; s.v. ȂİȚįϾΏΓΖ·(...) țĮϠ ȖϟΑΉΘ΅΍ ʌĮȡΤ IJϲ µİȚįȚЗ, БΖ ʌĮȡΤ IJϲ ijİϟΈΝ ĭİȚįϾΏΓΖ; s.v. µİȚįȚЗ· (...) țĮϠ ʌĮȡΤ IJϲ µİȚįȚЗ ȖϟΑΉΘ΅΍ ȂİȚįϟ΅Ζ ϷΑΓΐ΅ țϾΕ΍ΓΑ, БΖ ʌĮȡΤ IJϲ ijİϟΈΝ ĭİȚįϟ΅Ζ. Per la connotazione non negativa («giusta accumulazione») di ijİȚįȦȜϱΖ e ijİϟΈΉ΍Α, v. A. COZZO, Le passioni economiche nella Grecia antica, Palermo 1991, pp. 36-38. 9 Nicarch. in Anth. Pal. XI 170: ǻĮțȡϾΉ΍ ĭİϟΈΝΑ ϳ ijȚȜΣΕ·ΙΕΓΖ, țIJȜ. Cfr. anche Anth. Pal. XI 118 (Callictere), dove la morte repentina di un malato, appena febbricitante, al solo pensiero del medico ĭİϟΈΝΑ (πΐΑφΗΌ΋Α ĮЁΘΓІ IJȠЄΑΓΐ΅ țΦΔνΌ΅ΑΓΑ) presuppone forse un diverso lusus paretimologico imperniato su ijİϟΈΉΗΌ΅΍ (stavolta nel senso di «curarsi», «riguardarsi», «tenersi lontano da»?). In Anth. Pal. XII 21 (Stratone) il lusus è tra il nome dell’eromenos ĭİϟΈΝΑ e la ritrosia di un amore fatto solo di baci rubati e di sguardi scambiati Ϸΐΐ΅Η΍ ijİȚįȠµνΑΓ΍Ζ (si noti anche, per converso, il įĮʌĮȞφΗΓΐΉΑ al v. 5).

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history»), con datazioni scaglionate tra il IX (!) secolo a.C. ed i primi decenni del VI10. Tutto questo in un certo senso accomuna Fidone a Licurgo, personaggio altrettanto mobile nella cronografia antica, labile nell’identità e sospetto nella sua apparente allusività onomastica. Ma, come in altri casi, l’esistenza di una testimonianza autorevole come quella di Erodoto (la più antica tra quelle pervenuteci su Fidone) sconsiglia di spingere il procedimento ipercritico sino alle sue estreme conseguenze.

2. La tradizione erodotea Nell’elenco erodoteo dei tredici mnesteres in lizza per la mano di Agariste, figlia di Clistene di Sicione (vero e proprio ‘concorso’ matrimoniale, sia per il convenire dei candidati da località disparate, elencate partitamente dallo storico in base alla loro appartenenza areale; sia per il loro concorrere alle molteplici prove di aristeia – fisica, culturale e morale – attraverso le quali

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M. KÕIV, The dating of Pheidon in antiquity, «Klio», 83 (2001), pp. 327-347 (già edito online alla pagina web = «Studia Humaniora Tartuensia», 1 [2000], pp. 1-21), in particolare p. 327 (donde la citazione nel testo); ID., Ancient Tradition and Early Greek History. The Origins of States in Early-Archaic Sparta, Argos and Corinth, Tallinn 2003, p. 255. V. anche A. FOLEY, Idle speculation about Argos? Some thoughts on the present state of eighth and seventh century Argive studies, in Klados. Essays in Honour of J. N. Coldstream, ed. by CHR. MORRIS, London 1995 (BICS - Suppl., 63), pp. 79-86, in particolare p. 85: «the problems of Pheidon’s date remain apparently insoluble unless some dramatic and incontrovertible new evidence is found»; M. FOLEY, Pheidon of Argos: a reassessment, in ArgoloKorinthiaka, I. Proceedings of the First Montreal Conference on the Archaeology and History of the North East Peloponnesos (McGill University, 27th November 1993), ed. by J.M. FOSSEY P.J. SMITH, Amsterdam 1997 (McGill University monographs in classical archaeology and history, 20), p. 15: «... a considerable problem for modern-day historians trying to trace the history of Argos in the Iron Age. One need only consider the volume of literature that has been produced on Pheidon to realise the true complexity of this question»; p. 26: «Whatever date one accepts seems to be a matter of faith rather than real proof»; P. CARLIER, La royauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg 1984 (Université des sciences humaines de Strasbourg. Groupe de recherche d’histoire romaine - Études et travaux, 6), p. 386: «... la date de Phidon est l’une des plus controversées de toute l’histoire ancienne»; D. KAGAN, Pheidon’s Aeginetan coinage, TAPhA, 91 (1960), pp. 121-136, 125-126: «He has been placed anywhere from the tenth century to the end of the seventh, and the possibility of fixing his dates with certainty seems remote». Per ulteriori dettagli sulla questione della cronologia, v. infra nel testo.

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il tiranno ortagoride, nell’arco di un anno, matura la scelta del fu11 turo genero) , compare come quinto, ma primo dei quattro venuti ΦΔϲ IJȠІ ȆİȜȠʌȠȞȞφΗΓΙ, «Leocede (ȁİȦțȒįȘȢ) figlio di Fidone 12 tiranno di Argo» . Come in altri casi, il rango del pretendente, non altrimenti noto (nonostante una sua possibile, ma aleatoria identificazione con Lacede [ȁĮțȒįȘȢ] o Lacide [ȁĮțȪįȘȢ], oscuro 13 basileus di Argo menzionato in altre fonti) , è puro riflesso della notorietà paterna: il Fidone padre di Leocede era infatti, precisa Erodoto, «quello che stabilì le misure (IJΤ µνΘΕ΅) per i Peloponnesiaci e che, fra tutti i Greci, si spinse al massimo della tracotanza, esautorando gli agonoteti degli Elei e organizzando lui stesso i giochi di Olimpia» (ossia assumendo di persona l’agonotesia, co14 me implica il sintagma Φ·ЗΑ΅ σΌ΋ΎΉ) . L’affidabilità storica di questa prima e più antica menzione di Fidone dipende in gran parte dalla valutazione che si dà in sede storiografica del lungo excursus erodoteo sulle nozze di Agariste15.

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Her. VI 126-131; cfr. Diod. VIII 19; Dion Chrys. 11, 47; Aelian. VH 9, 24; 12, 24; Athen. VI 105; XII 3; 58; Aristot. Eth. Eud. 1216a; Theophr. frg. 84 Wimmer; Poll. VII 89; Max. Tyr. 32, 9b; Chamael. frg. 8 Wehrli; Timaeus FGrHist 566 F 9; Themist. 331c; Eustath. Comm. Dion. Per. 374; Hesych. s.v. ıµȚȞįȣȡ(ϟΈ)İȚĮ; Paus. (Attic.), Phot. e Suid. s.v. ȠЁ ijȡȠȞIJϠΖ ͒ΔΔΓΎΏΉϟΈϙ; Apostol. 13,70 s. paroem. ȠЁ ijȡȠȞIJϠΖ ͒ΔΔΓΎΏΉϟΈϙ. 12 Her. VI 127: ̝Δϲ įξ ȆİȜȠʌȠȞȞφΗΓΙ ĭİϟΈΝΑΓΖ IJȠІ ̝Ε·ΉϟΝΑ IJȣȡΣΑΑΓΙ ʌĮϧΖ ȁİȦțφΈ΋Ζ, ĭİϟΈΝΑΓΖ [įξ] IJȠІ IJΤ µνΘΕ΅ ʌȠȚφΗ΅ΑΘΓΖ ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΓ΍Η΍ țĮϠ ЀΆΕϟΗ΅ΑΘΓΖ µν·΍ΗΘ΅ įχ ̴ΏΏφΑΝΑ ΥΔΣΑΘΝΑ, ϶Ζ πΒ΅Α΅ΗΘφΗ΅Ζ IJȠϿΖ ̼ΏΉϟΝΑ Φ·ΝΑΓΌνΘ΅Ζ ĮЁΘϲΖ IJϲΑ πΑ ͞ΏΙΐΔϟϙ Φ·ЗΑ΅ σΌ΋ΎΉ, țIJȜ. 13 Per Lacede, cfr. Paus. II 19, 2: Melta figlio di Lacede (il testo tràdito è ȂνΏΘ΅Α įξ IJϲΑ ȁĮțȘįȠȪįİĮ IJϲΑ ΦΔϱ·ΓΑΓΑ, emendato in ȂνΏΘ΅Α įξ IJϲΑ ȁĮțφΈΓΙ įνΎ΅ΘΓΑ ΦΔϱ·ΓΑΓΑ dal Dindorf), discendente in nona generazione di Medone (< Ciso < Temeno), fu l’ultimo dei Temenidi a rivestire formalmente la carica di basileus (già da tempo – a partire da Medone – ridotta a puro onoma); l’arche fu poi abolita in seguito alla condanna di Melta da parte del demos di Argo, per un’accusa non meglio precisata. Tuttavia ad Argo sono noti basileis anche in epoca assai più recente di quella adombrata da Pausania per Lacede: cfr. Paus. IV 35, 2 (Damocratida; cfr. Pausania. Guida della Grecia. Libro IV: la Messenia, a cura di D. MUSTI - M. TORELLI, Milano 1991, p. 268 ad loc. [fine VII sec. a.C. o più tardi]); Her. VII 149, 2 (țĮϠ įχ Ȝν·Ή΍Α ıijϟΗ΍ µξΑ İϨΑ΅΍ įϾΓ ȕĮıȚȜν΅Ζ, ̝Ε·ΉϟΓ΍Η΍ įξ ρΑ΅ [al tempo di Serse]). Lacide è invece citato in Plut. De cap. ex inim. util. 89e, come basileus argivo tacciato a torto di effeminatezza a causa della sua acconciatura e delle sue movenze. Prevedibile e aleatorio l’emendamento ȁĮțȪįȘȞ > ȁĮțȒįȘȞ proposto dal Wyttenbach al testo di Plutarco e accolto dal Wilamowitz. 14 Supra, n. 12. 15 Her. VI 126-131. In proposito tuttora utile F. ZÜHLKE, De Agaristes nuptiis, Diss. Universit. Albertinae, Insterburgi 1880, in particolare p. 16 ss. (con datazione delle

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Elemento essenziale di giudizio è la matrice verosimilmente alcmeonide di questo e dell’altro logos su Clistene ortagoride contenuto nelle Storie, deducibile dalla chiusa encomiastica di entrambi. Il primo logos, quello su Agariste, si conclude infatti con il matrimonio ȞϱΐΓ΍Η΍ IJȠϧΗ΍ д̄Ό΋Α΅ϟΝΑ della fanciulla con Megacle alcmeonide, e con lo scorcio genealogico che attraverso Clistene ateniese e suo fratello Ippocrate, nati da quell’unione, porta alla seconda Agariste e quindi a Pericle16. L’altro, quello sulla politica anti-argiva di Clistene di Sicione, termina invece con un insistito parallelo tra la riforma filetica del tiranno ortagoride e quella del nipote omonimo, Clistene ateniese, spiegata come esito di emulazione e di mimesis nell’ambito dello stesso genos17. In entrambi i casi, il rapporto diretto di Erodoto con ambienti pericleoalcmeonidi di Atene (e/o di Turi)18 e, a monte di questo, la veicolazione familiare e genetica di memorie inerenti la componente

___________________________________________________ nozze al 575 o 571 a.C.). Della bibliografia moderna v. soprattutto M.F. MCGREGOR, Cleisthenes of Sicyon and the Panhellenic festivals?, TAPhA, 72 (1941), pp. 266-287, in particolare pp. 268-279; J.W. ALEXANDER, The marriage of Megacles, CJ, 55 (19591960), pp. 129-134; K.H. KINZL, Betrachtungen zur älteren griechischen Tyrannis, AJAH, 4 (1979), pp. 23-45, in particolare pp. 23-24, 26, 40 (già in Die ältere Tyrannis bis zu den Perserkriegen. Beiträge zur griechischen Tyrannis, hrsg. von K.H. KINZL, Darmstadt 1979 [Wege der Forschung, 510], pp. 298-325), con datazione 556-555 a.C. (p. 26 n. 18); ID., Zur Vor- und Frühgeschichte der attischen Tragödie: einige historische Überlegungen, «Klio», 62 (1980), pp. 177-190, in particolare pp. 182-184; M. LOMBARDO, La tradizione su Amyris e la conquista achea di Siri, PP, 36 (1981), pp. 193-218, in particolare pp. 205-212; A. GRIFFIN, Sikyon, Oxford - New York 1982, pp. 43-44, 54-56; L. DE LIBERO, Die Archaische Tyrannis, Stuttgart 1996, pp. 193-194. 16 Cfr. Erodoto. Le Storie. Libro VI: La battaglia di Maratona, a cura di G. NENCI, Milano 1998, pp. 305-311 ad loc. 17 Her. V 67-68, con il commento ad loc. in Erodoto. Le Storie. Libro V: La rivolta della Ionia, a cura di G. NENCI, Milano 1994, pp. 256-260. 18 Il sospetto che la mediazione possa essere turina è suggerito dal primato ‘mondiale’ (!) nel lusso (ȤȜȚįȒ) riconosciuto, nell’excursus sulle nozze di Agariste, a Smindiride di Sibari, con la notazione ψ įξ ȈϾΆ΅Ε΍Ζ όΎΐ΅ΊΉ IJȠІΘΓΑ IJϲΑ ȤȡϱΑΓΑ µΣΏ΍ΗΘ΅ (VI 127). L’aneddotica su Smindiride (o Mindiride) appare spesso iperbolica: cfr. Aristot. Eth. Eud. 1216a; Athen. VI 105 (273b-c); XII 3 (511**); XII 58 (541b-c) [contenente Tim. FGrHist 566 F 9]; XIV 25 (628c-d); Posid. frg. 290a Theiler; Diod. VIII 18, 3-19, 1-2; Aelian. VH IX 24; XII 24; Max. Tyr. 32, 9b; Suid. s.vv. ȂȚȞįȣȡȓįȘȢ, ȈȣȕĮȡȚIJȚțĮϧΖ (con rimando al banchetto finale di cui parla anche Erodoto: πΑ įξ IJХ µİIJΤ IJχΑ ΩΚ΍Β΍Α įİϟΔΑУ); Eustath. Comm. Dion. Per. 374 (dove lo si si menziona a proposito di Turi); Const. Porph. De sent. 278 Boissevain; v. anche Poll. VII 89; Hesych. s.v. ıµȚȞįȣȡ(ϟΈ)İȚĮ. In proposito, v. K. ROSE, Smindyrides the Sybarite, CB, 43 (1966), pp. 27-28; LOMBARDO, La tradizione su Amyris, pp. 210-211.

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matrilineare sicionia del genos ateniese, sembrano garanzie sufficienti per ammettere l’autorevolezza del racconto. Autorevolezza non vuol dire tuttavia necessariamente integrale veridicità. Secondo alcuni la vicenda della mnesteia e la lista stessa dei pretendenti (che mostra caratteristiche iterazioni sintattiche, con una sorta di scansione formulare e ‘strofica’) riflettono modelli poetici, probabilmente epici, e perpetuano quindi una tradizione iperbolica e affabulata, se non del tutto fittizia, generatasi attraverso i procedimenti agglutinanti della Rahmenerzählung19. Tale tesi sembra corroborata da elementi interni del racconto, d’interpretazione dubbia e controversa. Vi sarebbe per esempio un’insostenibile contraddizione tra la partecipazione di Leocede – figlio del re/tiranno20 argivo – alla mnesteia per Agariste, e la situazione di polemos (e polemica) tra Argo e Sicione descritta, per una fase imprecisata della tirannide di Clistene, nell’altro logos sicionio di Erodoto. Altrettanto i-

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Cfr. ad esempio E. STEIN-HÖLKESKAMP, Adelskultur und Polisgesellschaft. Studien zum griechischen Adel in archaischer und klassischer Zeit, Stuttgart 1989, pp. 118-119; GRIFFIN, Sikyon, p. 56; MCGREGOR, Cleisthenes of Sicyon, p. 270. Si veda anche il giudizio di A.J. PODLECKI, Perikles and His Circle, London - New York 1998, p. 8: «Often with Herodotus it is difficult to extract the kernel of historical truth from the anecdotal and sometimes fantastical elements which encapsulate it, so we are not obliged to believe every detail in this engagingly told tale (it is clearly analogous to folk-stories that reflect the “testing motif”)». Pare in effetti imprudente leggere il racconto solo in chiave folklorica, negando o minimizzando in esso l’incidenza di memorie genetiche alcmeonidi con qualche fondamento storico. La ‘favola’ delle nozze di Agariste si chiude significativamente con una formula tecnica di π··Ͼ΋ (VI 130: IJХ įξ ̝ΏΎΐνΝΑΓΖ ȂİȖĮțȜνϞ π··ΙЗ ʌĮϧΈ΅ IJχΑ πΐχΑ ̝·΅ΕϟΗΘ΋Α ȞϱΐΓ΍Η΍ IJȠϧΗ΍ ̝Ό΋Α΅ϟΝΑ), che sembra volta a rimarcare qualche peculiare effetto giuridico (patrimoniale e/o di legittimazione civica della progenie) di un matrimonio stipulato «secondo le leggi ateniesi» (e non quelle sicionie). Altri dettagli in apparenza solo esornativi e trascurabili del racconto si rivelano, a un’analisi più approfondita, funzionali a una logica non puramente affabulatoria: ad esempio la performance orchestica dell’altro pretendente ateniese, Ippoclide figlio di Tisandro (VI 129: danza al suono di una πΐΐΉΏΉϟ΋ aulodica; poi ȁĮțȦȞȚțΣ ed ̝ΘΘ΍ΎΤ ıȤȘµΣΘ΍΅; infine danza mimica a testa in giù sopra una IJȡΣΔΉΊ΅), letta alla luce di certe notizie di fonte lessicografica (Poll. IV 124: πΏΉϲΖ įв ώΑ IJȡΣΔΉΊ΅ ΦΕΛ΅ϟ΅· πΚв ϋΑ ʌȡϲ ĬνΗΔ΍ΈΓΖ İϩΖ IJȚȢ ΦΑ΅ΆΤΖ IJȠϧΖ ȤȠȡİȣIJĮϧΖ ΦΔΉΎΕϟΑ΅ΘΓ; Orion s.v. πΏΉϱΑ· ψ µĮȖİȚȡȚțχ IJȡΣΔΉΊ΅. ȆĮȡΤ IJϲ πΒ πΏ΅ϪΑΝΑ ȟϾΏΝΑ ʌȜνΎΉΗΌ΅΍, ȠϡΓΑΉϠ πΏ΅ϱΑ), si rivela organicamente innervata alla spinosa questione della riforma dei IJȡĮȖȚțȠϠ ȤȠȡȠϟ adrastei attuata da Clistene (Her. V 67: v. infra, n. 22): cfr. KINZL, Zur Vor- und Frühgeschichte, pp. 183-184. 20 Sul problema della caratterizzazione di Fidone sia come tyrannos sia come basileus cfr. tra gli altri G. ZÖRNER, Kypselos und Pheidon von Argos. Untersuchungen zur frühen griechischen Tyrannis, Diss. Marburg 1971, pp. 134-141; P. BARCELÓ, Basileia, Monarchia, Tyrannis. Untersuchungen zu Entwicklung und Beurteilung von Alleinherrschaft im vorhellenistischen Griechenland, Stuttgart 1993 («Historia» - Einzelschr. 79), pp. 112-115.

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nammissibile, a causa della hybris perpetrata da Fidone ai danni degli agonoteti elei di Olimpia, sarebbe la compresenza nella mnesteia di un pretendente argivo (Leocede, appunto) e di un altro eleo (Onomasto)21. Resta tuttavia assai incerta o del tutto ignota la cronologia relativa di questi vari ‘fatti’, tra loro ex hypothesi incompatibili: essi potrebbero in realtà anche essere alquanto distanti l’uno dall’altro, e quindi in qualche modo ammissibili in prospettiva diacronica. Inoltre l’interpretazione in chiave antiargiva dei provvedimenti di Clistene fornita da Erodoto è per vari aspetti dubbia, forse autoschediastica22. Gli anacronismi rilevati nell’elenco dei pretendenti di Agariste (in particolare, la presenza dell’Etolo Titormo e di Leocede stesso), a un’analisi più attenta «non risultano (...) tali da mettere seriamente

___________________________________________________ 21

I due argomenti sono a ragione confutati da KINZL, Betrachtungen, p. 24. La questione dei IJȡĮȖȚțȠϠ ȤȠȡȠϟ di Adrasto trasferiti a Dioniso (Her. V 67), più che esaurirsi nel fraudolento depotenziamento di un culto percepito da Clistene come ‘filo-argivo’, può essere in qualche modo connessa alle tradizioni su un ʌȡЗΘΓΖ IJȡĮȖУΈ΍ΓΔΓ΍ϱΖ sicionio di nome Epigene (TrGF 239; Suid. s.v. ĬνΗΔ΍Ζ; Apostol. 13,42; Ps.-Zenob. 5,40; Phot., Suid. e Paus. [Attic.] s.v. ȠЁΈξΑ ʌȡϲΖ IJϲΑ ǻȚϱΑΙΗΓΑ [< Chamael. frg. 8 Wehrli]), e sembra far sistema con gli interventi sul ditirambo al tempo di Periandro a Corinto (Arione), e con quelli sul ditirambo stesso e sulle rappresentazioni tragiche in ambito dionisiaco al tempo di Pisistrato e dei Pisistratidi ad Atene (Tespi, Laso; forse sotto patrocinio alcmeonide piuttosto che pisistratide: KINZL, Zur Vor- und Frühgeschichte, pp. 185-186). Analogamente, il bando degli ͟ΐφΕΉ΍΅ σΔΉ΅ dagli agoni rapsodici, motivato a dire di Erodoto (loc. cit.) dalle menzioni encomiastiche di Argo e degli Argivi in essi contenute, va piuttosto inquadrato nel capitolo più generale della ‘politica culturale’ dei tiranni. Questa, in rapporto a specifiche situazioni locali, si traduce talora nell’incentivazione (Pisistrato e Pisistratidi; Periandro), talaltra nel ridimensionamento (Clistene) del ruolo dell’epos, in una paideia che da aristocratica tende a farsi civica (v. anche la polemica anti-omerica di Senofane: G. RAGONE, Colofone, Claro, Notio. Un contesto per Senofane, in Senofane ed Elea. Tra Ionia e Magna Grecia, a cura di M. BUGNO, Napoli 2005, pp. 9-45 = ID., ̝ΕΛ΅΍ΓΏΓ·ϟ΅΍. Tra Eolide e Ionia, Napoli 2006, pp. 35-71, in particolare pp. 51 ss.). Gli antichi erano d’altronde ben coscienti dell’accezione ‘panellenica’ di ̝Ε·ΉϧΓ΍ e della valenza corografica multipla di ̡Ε·ΓΖ nell’Iliade e nell’Odissea (cfr. Strab. VIII 6, 5: ̝Ε·ΉϟΓΙΖ ȖȠІΑ țĮȜİϧ ʌΣΑΘ΅Ζ țĮșΣΔΉΕ țĮϠ ǻĮȞĮȠϿΖ țĮϠ ̝Λ΅΍ΓϾΖ țIJȜ.); sicché letture di segno opposto pur presenti nella tradizione argiva (cfr. Ps.-Her. Vita Hom. par. 28; Cert. Hom. et Hes. lin. 302-314 Allen) nascono da pura distorsione campanilistica. L’esegesi antiargiva del provvedimento clistenico si può ‘salvare’ solo ipotizzando che gli ͟ΐφΕΉ΍΅ σΔΉ΅ menzionati da Erodoto fossero in realtà la Tebaide e gli Epigoni, poemi nei quali effettivamente la polis Argo e gli eroi argivi (in particolare Adrasto) dovevano avere un ruolo centrale: cfr. E. CINGANO, Clistene di Sicione, Erodoto e i poemi del Ciclo tebano, QUCC, 49, n.s. 20 (1985), pp. 31-40. Per la riforma filetica di Clistene, che Erodoto, con analoga prospettiva, banalizza come pura metonomasia scommatica delle phylai doriche, volta a ridicolizzare i Dori ‘argivizzanti’ di Sicione, v. V. PARKER, Some aspects of the foreign and domestic policy of Cleisthenes of Sicyon, «Hermes», 122 (1994), pp. 404-424. 22

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in discussione l’attendibilità storica della lista nel suo complesso»; salvo forse uno solo: quello appunto, «difficilmente oppugnabile», costituito dall’espressa identificazione del padre di Leocede con Fidone, il tiranno di Argo23. A meno infatti di non postulare, senza alcuna possibilità di verifica, una inconsapevole confusione di Erodoto tra il Fidone famoso e un omonimo meno noto24, il problema si pone: il personaggio erodoteo – IJȪȡĮȞȞȠȢ di Argo, riformatore di µνΘΕ΅ e agonoteta ad Olimpia –, in quanto padre di un pretendente di Agariste, appartiene alla stessa generazione di Clistene o tutt’al più a quella immediatamente precedente; si colloca, cioè, in un periodo compreso tra la fine del VII e i primi anni o decenni del VI secolo a.C. (quale che sia la cronologia adottata per gli Ortagoridi – questione, com’è noto, intricatissima – e in particolare per le nozze di Agariste: ca. 575 o ca. 555 a.C.)25.

3. La cronologia di Fidone. Aporie della tradizione antica e della ricerca moderna Sarebbe questa la cronologia in assoluto più bassa (nonché più isolata) di Fidone, nel quadro estremamente contraddittorio e problematico della tradizione antica26, che contempla per il ti-

___________________________________________________ 23

LOMBARDO, La tradizione su Amyris, pp. 207-208. Tesi già di G.F. UNGER, Die Zeitverhältnisse Pheidons, «Philologus», 28 (1869), pp. 399-424 + 29 (1870), pp. 245-273, in particolare pp. 263 ss.; poi ripresa tra gli altri da N.G.L. HAMMOND, An early inscription at Argos, CQ, 54 (1960) pp. 33-36; cfr. più di recente FOLEY, Pheidon of Argos, p. 26. 25 Sulla cronologia degli Ortagoridi v. in sintesi DE LIBERO, Die Archaische Tyrannis, p. 181 (con rimandi alla bibliografia precedente); più di recente P.-J. SHAW, Discrepancies in Olympiad Dating and Chronological Problems of Archaic Peloponnesian History, Stuttgart 2003 («Historia» - Einzelschr., 166), pp. 210-238 (Olympiad reckoning and the chronology of the Orthagorids of Sicyon). Per la datazione alta delle nozze di Agariste, oltre a MC GREGOR, Cleistenes of Sicyon, cfr. più di recente LOMBARDO, La tradizione su Amyris, p. 194; GRIFFIN, Sikyon, pp. 43-44; V. PARKER, The dates of the Orthagorids of Sicyon, «Tyche», 7 (1992), pp. 165-175, in particolare p. 167 e n. 15 ibi; ID., Zur griechischen und vorderasiatischen Chronologie des sechsten Jahrhunderts v. Chr. unter besonderer Berücksichtigung der Kypselidenchronologie, «Historia», 42 (1993), pp. 385-417, in particolare p. 397; KÕIV, The dating of Pheidon, p. 327; ID., Ancient Tradition, p. 255. 26 Cfr. supra, n. 10. Un quadro completo delle diverse cronologie – espresse o implicite – delle fonti antiche, nonché degli orientamenti degli studiosi moderni, è dato da DE LIBERO, Die Archaische Tyrannis, pp. 207-210; più di recente da FOLEY, Pheidon of Argos; KÕIV, The dating of Pheidon; ID., Ancient Tradition, pp. 255-276, 367-372 (Ap24

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ranno di Argo almeno quattro ulteriori datazioni, scaglionate tra il IX e il VII secolo a.C.: (a) primo terzo del IX secolo a.C.27; (b) primo terzo dell’VIII secolo a.C.28; (c) secondo terzo dell’VIII secolo a.C.29; (d) prima metà del VII secolo a.C.30

___________________________________________________ pendix). Si rimanda a questi contributi per le indicazioni bibliografiche minute e per le cronologie riportate infra, nn. 28-30. 27 (a) Theop. FGrHist 115 F 393 (da Diod. VII 17 citato da Syncell. pp. 315-316 Mosshammer: v. infra, n. 47): Fidone sesto discendente da Temeno, con computo inclusivo: Eracle > Illo > Cleodeo > Aristomaco > Temeno > Cisso > Testio > Merope > Aristodamida > Fidone > Carano. (b) Marm. Par. FGrHist 239 par. A 30 (infra, n. 170): Fidone undicesimo discendente da Eracle (= settimo da Temeno), autore di misure, pesi e monetazione argentea ad Egina nell’895/94 a.C. 28 (a) Ps. Plut. Amat. narr. 2, 772e-773b (infra, n. 59): Fidone complotta per sottomettere Corinto, ma è tradito da un tale Abrone, il quale si rifugia presso i Corinzi. Un nipote di costui, Atteone (Abrone > Melisso > Atteone) è ucciso da Archia e dai suoi compagni, che per questo motivo emigrano e vanno a fondare Siracusa (due generazioni prima della fondazione di Siracusa: inizio VIII > 734 a.C., se 1 genea = ca. 33 anni). (b) Euseb. Chron. II 74-75 Schoene / II 84b Helm: Fidone riforma pesi e misure (a lui preesistenti) nell’anno 1220 a nativ. Abr. = 798/7 a.C. (quasi contemporaneamente all’emanazione delle leggi di Licurgo e prima dell’istituzione dei Giochi Olimpici). (c) Syncell. Chron. 234 (infra, n. 47): Carano, fratello di Fidone, ascende al trono di Macedonia nel 794 a.C. ca. (18 anni prima dell’istituzione delle Olimpiadi) e regna per 30 anni. (d) Isid. Chron. 34 (infra, n. 167): Fidone riforma pesi e misure (preesistenti) al tempo della prima Olimpiade (776 a.C.). 29 (a) Ephor. FGrHist 70 F 115 (v. infra, n. 168): Fidone decimo discendente da Temeno (con computo inclusivo, tre generazioni di ca. 33 anni per secolo e 1069 a.C. per Temeno/ritorno degli Eraclidi = ca. 769-736 a.C.). (b) Paus. VI 22,2: Fidone agonothetes a Olimpia nell’ottava Olimpiade (748 a.C.); v. infra, n. 52. (c) Schol. Ap. Rh. IV 1212 (infra, n. 72): versione della storia di Fidone, Abrone e Atteone analoga a quella riferita da Plut. Amat. narr. 2, ma stavolta con una sola generazione di distanza tra gli ultimi due (Abrone > Atteone); quindi ca. 767 > 734 a.C. (sempre nell’ipotesi 1 genea = ca. 33 anni). La data sottesa al frammento di Eforo è assai incerta. La soluzione ca. 769-736 a.C. è quella elaborata da KÕIV, The dating of Pheidon, pp. 327, 329; ID., Ancient Tradition, pp. 255-256, 367-372. Più di recente G. PARMEGGIANI, Ancora sul Fidone di Eforo. La cronografia arcaica delle Storie, RSA, 33 (2003), pp. 201-215, in particolare pp. 205 ss. ha proposto una diversa e comunque opinabile valutazione del ‘piede’ generazionale eforeo (40 anni invece di 33), ed è giunto alla paradossale ipotesi di una sorta di ‘doppia cronologia’ eforea di Fidone, riflesso di una lettura storiografica del personaggio diversamente modulata ed orientata. Per la questione dell’agonotesia olimpica, v. in particolare M. NAFISSI, La prospettiva di Pausania sulla storia dell’Elide: la questione pisate, in Éditer, traduire, commenter Pausanias en l’an 2000. Actes du colloque de Neuchâtel et de Fribourg (18-22 septembre 1998) autour des deux éditions en cours de la Périégèse (Coll. des Universités de France - Fondazione Lorenzo Valla), éd. par D. KNOEPFLER - M. PIERART et al., Genève 2001, pp. 301-322, in particolare pp. 307-308; Pausania, Guida della Grecia. Libro VI: L’Elide e Olimpia, a cura di G. MADDOLI - M. NAFISSI - V. SALADINO, Milano 1999, pp. 366-367, ad loc.; U. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche. Argo ed Elide, Padova 1990, pp. 117-120. 30 (a) Arist. Pol. 1310b, 25 (infra, n. 54): Fidone tyrannos prima di Cipselo (il che potrebbe implicare una cronologia di VII, ma anche di VI secolo a.C.; contra: KÕIV, The

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A queste si aggiungono ipotesi moderne, che a partire dalla rielaborazione autoschediastica dei ‘dati’ della tradizione approdano a datazioni ulterioriormente variantive, altrettanto o vieppiù opinabili. È il caso della vecchia ipotesi, tuttora immeritatamente diffusa negli studi, che accoglie e valorizza un pesante e ingiustificato emendamento del Falconer al testo di Paus. VI 22, 2 (dal tràdito ϴΏΙΐΔ΍ΣΈ΍ µξΑ IJϜ ϴ·Έϱϙ ad ϴΏΙΐΔ΍ΣΈ΍ µξΑ IJϜ ϴ·Έϱϙ ), posticipando la prostasia olimpica di Fidone dall’ottava (748 a.C.) alla ventottesima (668 a.C.) Olimpiade, in modo da associare forzosamente l’akme del tiranno di Argo alla vittoria argiva sugli Spartani a Isie nel 669 a.C.31 Nella cernita tra le varie cronologie antiche si ragiona per lo più in termini di verosimiglianza, scartando quelle più alte (IX e prima metà VIII secolo a.C.), che proietterebbero il tiranno di Argo in un’epoca per la quale sarebbe impensabile l’esistenza stessa di una tirannide stricto sensu; e in genere anche la più bassa, quella erodotea (fine VII - inizio VI secolo a.C.), nonostante sia l’unica che si approssimi in qualche misura – pur restandone alquanto lontana – all’epoca presupposta dal ruolo di protos heuretes del nómisma in ambito greco metropolitano, che varie fonti (ma non Erodoto) attribuiscono a Fidone: la comparsa della più antica monetazione argentea in Grecia, infatti, si colloca oggi in un’epoca non anteriore al secondo quarto del VI secolo a.C.32 Non mancano tentativi di aggirare le aporie della tradizione antica, chiamando in causa confusioni determinate da accidentali omonimie con personaggi vissuti in epoche diverse (un Fidone legislatore di Corinto, menzionato da Aristotele; ovvero un altro, padre di un Aristis di Cleone, nemeonico ver-

___________________________________________________ dating of Pheidon, p. 328, n. 9: «Aristotle’s statement (Pol. 1310b) that the type of tyrants represented by Pheidon is earlier than the tyrants-demagogues, gives the middle of the seventh century as the terminus ante quem for Pheidon and is in keeping with the opinions of both Ephoros and Theopompos». (b) Nic. Dam. FGrHist 90 F 35 (infra, n. 94): nel corso di una stasis a Corinto Fidone interviene in sostegno di una delle fazioni in lotta, ma cade vittima di una congiura dei suoi stessi hetaîroi (= VII secolo a.C. se la stasis in questione fosse la rivolta dei Cipselidi contro i Bacchiadi, nella datazione ca. 620 a.C.). 31 Cfr. Strabonis Rerum Geographicarum libri XVII, Graece et Latine, ed. TH. FALCONER, Oxonii 1807, I, p. 518; per la battaglia di Isie v. Paus. II 24, 7. Per l’origine e la fortuna di questa cronologia negli studi v. KÕIV, The dating of Pheidon, p. 331 n. 26; ID., Ancient Tradition, pp. 256-257, n. 88. 32 V. infra, par. 7.

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so il 560 a.C.)33. Ma il criterio prevalente in base al quale negli studi si tende a privilegiare una cronologia piuttosto che un’altra è quello, anch’esso opinabile, delle ‘compatibilità’ di quadro storico generale. Si ripercorre a tal fine in diacronia la situazione storica complessiva dell’Argolide e/o del Peloponneso in età arcaica, alla ricerca di un contesto ex hypothesi maggiormente plausibile e attendibile per i principali fatti di natura politico-militare che la tradizione attribuisce a Fidone: la ricostituzione del cosiddetto ‘lotto di Temeno’ (che sembrerebbe implicare un’egemonia di Argo su una parte consistente dell’Argolide)34; ovvero l’usurpazione manu militari della prostasia olimpica, con il connesso tentativo fidoniano di estendere l’hegemonia di Argo all’intero Peloponneso (eventi per i quali occorrerebbe individuare un quadro complesso di compatibilità in quanto ci è noto delle vicende degli Elei, dei Pisati e dei Giochi Olimpici nello stesso periodo; ovvero di Sparta tra la prima e la seconda guerra messenica35; o ancora di Corinto tra i Bacchiadi ed i Cipselidi, o di Sicione tra Ortagora e Clistene). Ma anche questo metodo conduce sistematicamente a soluzioni disparate, a causa dell’estrema frammentarietà e vaghezza cronologica dei ‘dati’ stessi (anche archeologici)36 sui quali si tenta di ricostruire l’ipotetico contesto argolico o peloponnesiaco dell’egemonismo fidoniano. La ricostituzione del lotto di Temeno, per esempio, sembrerebbe presupporre un dominio

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Fidone di Corinto: Arist. Pol. II 1265b (infra, n. 96); cfr. M. BROADBENT, Studies in Greek Genealogy, Leiden 1968, p. 44; J.B. SALMON, Wealthy Corinth. A History of the City to 338 B.C., Oxford 1984, pp. 63-65. Fidone di Cleone: Meiggs-Lewis 9; SEG XI 290; XIV 314; MCGREGOR, Cleisthenes of Sicyon, pp. 275-276. 34 Stando alle fonti, del lotto di Temeno avrebbero dovuto far parte almeno Ermione, Trezene, Epidauro ed Egina: cfr. Hes. fr. 247 Merkelbach - West; Ephor. FGrHist 70 F 18b, in Strab. VIII 8, 5; Ps.-Apollod. II 172 ss.; Ps.-Scymn. 532-534; Diod. VII 13, 1; Nic. Dam. FGrHist 90 F 30; Strab. VIII 6, 15; Paus. II 26, 2; 28, 3-7; 29, 5; 30, 10; 34, 5; Steph. Byz. s.v. ͩΕΑφΌ΍ΓΑ. Diversa la valutazione di J.M. HALL, How Argive was the “Argive” Heraion? The political and cultic geography of the Argive plain, 900-400 B.C., AJA, 99 (1995), pp. 577-613, in particolare pp. 586-587, secondo il quale i termini ȜȒȟȚȢ e µȑȡȘ in Ephor. FGrHist 70 F 115 alluderebbero solo alla rivendicazione, da parte di Fidone in quanto Temenide, dei suoi diritti ereditari su Argo. 35 Cfr. TH. KELLY, The traditional enmity between Sparta and Argos: the birth and development of a myth, AHR, 75 (1970), pp. 971-1003, in particolare pp. 985-988. 36 V. ad esempio FOLEY, Idle speculation, in particolare pp. 84-86.

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argivo esteso fino a Epidauro, Ermione, Trezene ed Egina; laddove, per il periodo fra tardo VIII e VII secolo a.C., si ha effettiva notizia solo della conquista argiva di Asine e di Nauplia; mentre restano assai dubbie ricorrenti ipotesi moderne su un’eventuale sottomissione di Micene, Tirinto ed Egina37. In realtà, l’estrema divaricazione delle cronologie tradite di Fidone (una banda di oscillazione altrettanto ampia – oltre tre secoli – si registra forse solo per Omero e per Licurgo) induce a ritenere che già gli antichi, sin dal V-IV secolo a.C., non disponessero di dati cronologici certi sul personaggio. In particolare – cosa sinora non rilevata negli studi – doveva mancare un suo chiaro raccordo con il sistema cronologico locale di Argo: la lista delle sacerdotesse di Era integrata con i fatti contemporanei a ciascuna (IJΤ țĮșв οΎΣΗΘ΋Α ʌȡĮȤșνΑΘ΅), redatta da Ellanico sin dal V seco-

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Asine: Paus. II 36, 4-5; III 7, 4; IV 8, 3; 34, 9 (ultimo terzo dell’VIII secolo a.C.? ca. 700 a.C.?); Nauplia: Theop. FGrHist 115 F 383, in Strab. VIII 6, 11; Strab. VIII 6, 14; Paus. IV 24, 4; 27, 8; 35, 2 (fine VII secolo a.C.?). Cfr. Z. RUBINSOHN, Pheidon of Argos. Military reformer or capitalist?, RIL, 105 (1971), pp. 636-642; M. PIÉRART, L’attitude d’Argos à l’égard des autres cités d’Argolide, in The Polis as an Urban Centre and as a Political Community. Symposium August 29-31, 1996, Copenhagen 1997, pp. 321-351, in particolare pp. 325-327. Scettico sui casi di Micene e di Tirinto, e in generale su ogni ricostruzione estensiva del cosiddetto ‘lotto di Temeno’ e del dominio argivo in Argolide in età arcaica, HALL, How Argive was the “Argive” Heraion?, pp. 587 ss. Secondo K. TAUSEND, Pheidon von Argos und das argolische Aigina, GB, 21 (1995), pp. 1-5, Fidone, nel suo programma di ricostituzione del lotto, occupò effettivamente Asine, Nauplia, Micene, Tirinto e forse le città dell’Akte, ma non Egina (infra, n. 174). V. anche RUBINSOHN, Pheidon of Argos. Sulle vicende dell’Argolide in età arcaica v. in generale R.A. TOMLINSON, Argos and the Argolid. From the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London/Ithaca (N.Y) 1972; TH. KELLY, A History of Argos to 500 B.C., Minneapolis 1976 (Minnesota monographs in the humanities, 9); Études argiennes, Athènes - Paris 1980 (BCH - Suppl., 6); A. FOLEY, The Argolid, 800-600 BC. An Archaeological Survey, Göteborg 1988 (SIMA, 80); M.-F. BILLOT, Apollon pythéen et l’Argolide archaïque: histoire et mythes, «Archaiognosia», 6 (1989-1990), pp. 35-100; Polydipsion Argos. Argos de la fin des palais mycéniens à la constitution de l’état classique. Actes de la table ronde (Fribourg, Suisse, 7-9 mai 1987), éd. par M. PIERART, Paris 1992 (BCH - Suppl., 22); M.H. JAMESON - C.N. RUNNELS - T.H. VAN ANDEL, A Greek Countryside. The Southern Argolid from Prehistory to the Present Day, Stanford, CA, 1994, pp. 58-73; M. PIÉRART - G. TOUCHAIS, Argos. Une ville grecque de 6000 ans, Paris 1996, in particolare pp. 21-39; Argos et l’Argolide. Topographie et urbanisme. Actes de la table ronde internationale (Athènes-Argos, 28 avril-1er mai 1990), éd. par A. PARIENTE - G. TOUCHAIS, Athènes 1998 (Recherches franco-helléniques, 3); A. GADOLOU, The formation of the sacred landscapes of the eastern Argolid, 900-700 B.C. A religious, social and political survey, in Peloponnesian Sanctuaries and Cults. Proceedings of the Ninth International Symposium at the Swedish Institute at Athens, 11-13 June 1994, ed. by R. HÄGG, Stockholm 2002, pp. 53-61; KÕIV, Ancient Tradition, pp. 216-353.

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lo a.C.38 È difficile pensare che nelle Hiereiai, o anche in altre opere dello stesso Ellanico come la Phoronis o gli Argolika, non fosse registrata quanto meno la dedica fidoniana degli obeloí di ferro nell’Heraion (infra, par. 5-6). Ma questa poteva risultare acrona o comunque di fatto non cronologizzabile, se la fonte della notizia era – come pare verosimile – un semplice epigramma dedicatorio collegato all’anathema. Altro dato che, qualora fosse già definito e notorio nel V secolo a.C., non avrebbe potuto essere omesso nelle Hiereiai, è il nesso di Fidone con la genealogia degli Argeadi39. Buon conoscitore di Argolika, Ellanico lo era a maggior ragione di Makedonika, se è vera la tradizione che registra un suo soggiorno alla corte macedone insieme con Erodoto40. Nelle Hiereiai, del resto, lo storico riconduceva l’eponimia dei Macedoni, subentrati ai Misi nella futura Macedonia, a Macedone figlio di Eolo41. Nella prima metà del V secolo a.C. il nesso genealogico degli Argeadi con Argo (dettato da un’ovvia suggestione eponimica, funzionale alla ricerca di piena omologazione ellenica da parte della dinastia macedone)42 era già ben definito: secondo Erodoto infatti Alessandro I Filelleno, nonostante le resistenze di molti Greci, riuscì a

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Hellan. FGrHist 4 F 84: ϳ įξ IJΤΖ ͒ΉΕΉϟ΅Ζ IJΤΖ πΑ ̡Ε·Ή΍ țĮϠ IJΤ țĮșв οΎΣΗΘ΋Α ʌȡĮȤșνΑΘ΅ ıȣȞĮȖĮȖАΑ; cfr. A. MÖLLER, The beginning of chronography: Hellanicus’ Hiereiai, in The Historian’s Craft in the Age of Herodotus, ed. by N. LURAGHI, Oxford 2001, pp. 241262. 39 N.G.L. HAMMOND, The early history of Macedonia, AncW, 27 (1996), pp. 67-71, a p. 69 n. 12 considera «a misnomer» moderno l’uso del termine ‘Argeadi’ in rapporto alla dinastia dei Temenidi di Macedonia, in quanto gli ̝Ε·ΉΣΈ΅΍ ȂĮțİįϱΑΉΖ di App. Syr. 333 sarebbero solo una tribù macedone, come i ȁȣȖțȘıIJaϠ ȂĮțİįϱΑΉΖ di Thuc, IV 83,1. Cfr. però Plut. De Alex. M. fort. 332a; Paus. VII 8, 9; Max. Tyr. XIV 8d; infra, n. 42. 40 Hellan. FGrHist 4 T 1 / 323a T 1 = Suid. s.v. ̴ΏΏΣΑ΍ΎΓΖ· (...) įȚνΘΕ΍ΜΉ įξ ̴ΏΏΣΑ΍ΎΓΖ ıϿΑ ̽ΕΓΈϱΘΝ΍ ʌĮȡΤ ̝ΐϾΑΘ΅΍ IJХ ȂĮțİįϱΑΝΑ ȕĮıȚȜİϧ, țĮIJΤ IJȠϿΖ ȤȡϱΑΓΙΖ ǼЁΕ΍ΔϟΈΓΙ țĮϠ ȈȠijȠțȜνΓΙΖ. Non può trattarsi in ogni caso di Aminta (540-498 a.C.), ma di Alessandro I Filelleno (498-454 a.C.) o di Perdicca II (454-413 a.C.), se si considera che Erodoto morì qualche tempo dopo il 425 a.C. Cfr. HAMMOND, The early history, p. 67 n. 1. 41 Hellan. FGrHist 4 F 74, da Steph. Byz. s.v. ȂĮțİįȠȞϟ΅· ψ ȤЏΕ΅, ΦΔϲ ȂĮțİįϱΑΓΖ IJȠІ ǻȚϲΖ țĮϠ Ĭȣϟ΅Ζ IJϛΖ ǻİȣțĮȜϟΝΑΓΖ, ГΖ ijȘıȚȞ ̽ΗϟΓΈΓΖ (...) ΩΏΏΓ΍ įв ΦΔϲ ȂĮțİįϱΑΓΖ IJȠІ ǹϢϱΏΓΙ, БΖ ̴ΏΏΣΑ΍ΎΓΖ ͒ΉΕΉ΍ЗΑ ʌȡЏΘϙ IJЗΑ πΑ ̡Ε·Ή΍· «țĮϠ ȂĮțİįϱΑΓΖ ǹϢϱΏΓΙ, ȠЈ ȞІΑ ȂĮțİįϱΑΉΖ țĮȜȠІΑΘ΅΍, µϱΑΓ΍ µİIJΤ ȂȣıЗΑ IJϱΘΉ ȠϢΎΓІΑΘΉΖ». 42 Supra, n. 27-29. Quand’anche ̝Ε·ΉΣΈ΅΍ fosse solo un nome tribale (supra, n. 39), sarebbe pur sempre quello della tribù macedone cui appartenevano i Temenidi.

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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far riconoscere dagli Ellanodici il suo diritto a partecipare ai Giochi Olimpici in quanto greco ed argivo, in base a una sequenza genealogica risalente sino al temenide Perdicca43. Tuttavia questa sequenza, nella sua più antica versione nota – quella appunto erodotea –, non include Fidone44. La sua articolazione restò variabile e in fieri ancora a lungo, forse negli ambienti stessi della corte macedone, se nel 408/7 a.C. Euripide, dando voce a una nuova versione ufficiale, faceva di un Archelao figlio di Temeno il vero fondatore della dinastia45; e se solo con Teopompo, per quanto ci è noto, Fidone fu inserito nella sequenza genealogica come padre di Carano (altro capostipite dinastico fittizio e onomasticamente ‘parlante’)46. Ma neanche tale soluzione fu del tutto indiscussa e stabile, a giudicare dalle tracce di una tradizione alternativa che faceva di Fidone solo un fratello di Carano, di fatto espungendolo dalla linea genealogica diretta47. Il tema della

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Cfr. Her. V 22 (la data olimpica non è nota: forse il 496 o il 476 a.C.); v. anche VIII pp. 137-139. Cfr. HAMMOND, The early history, p. 76, 70-71. Cfr. Her. VIII 137-139: Alessandro < Aminta < Alceta < Eropo < Filippo < Argeo < Perdicca (quest’ultimo genericamente ΦΔϱ·ΓΑΓΖ di Temeno); v. anche Thuc. II 99, 3; 100, 2; V 80, 2. 45 2 Eurip. Archel. fr. 2 Austin (cfr. 228-264 Nauck ); Hyg. Fab. 219. 46 Theop. FGrHist 115 F 393: supra, n. 27; infra, n. 47. 47 Syncell. p. 234 Mosshammer: ȀΣΕ΅ΑΓΖ ϳ ̝Ε·ΉϧΓΖ ĭİϟΈΝȞȠȢ ΦΈΉΏΚϲΖ IJȠІ IJϱΘΉ ȕĮıȚȜνΝΖ ̝Ε·Ήϟ΅Ζ ϢΈϟ΅Α țIJφΗ΅ΗΌ΅΍ ȤЏΕ΅Α ıʌİϾΈΝΑ, įϾΑ΅ΐ΍Α ȜĮȕАΑ ʌĮȡΤ ĭİϟΈΝΑΓΖ IJȠІ ΦΈΉΏΚΓІ σΎ IJİ ̡Ε·ΓΙΖ țĮϠ IJϛΖ ΩΏΏ΋Ζ ȆİȜȠʌȠȞȞφΗΓΙ IJȠϧΖ țĮIJΤ ȂĮțİįȠȞϟ΅Α IJϱΔΓ΍Ζ πΔϛΏΌΉ. ȈȣµµĮȤφΗ΅Ζ įξ țĮϠ IJХ IJЗΑ ͞ΕΉΗΘЗΑ ȕĮıȚȜİϧ țĮIJΤ IJЗΑ ʌȜȘıȚȠȤЏΕΝΑ ̳ΓΕΈ΅ΑЗΑ ȜİȖȠµνΑΝΑ, IJϛΖ țĮIJĮțIJȘșİϟΗ΋Ζ ȤЏΕ΅Ζ IJϲ ϊΐ΍ΗΙ ʌȡȠıȜĮȕАΑ įȚΤ IJχΑ ıȣµµĮȤϟ΅Α, ʌĮȡνΏ΅ΆΉ IJχΑ ȂĮțİįȠȞϟ΅Α țĮϠ σΎΘ΍ΗΉ ʌϱΏ΍Α πΑ ĮЁΘϜ țĮIJΤ ȤȡȘıµϱΑ, πΒ ϏΖ ϳΕΐЏΐΉΑΓΖ ıȣȞİıIJφΗ΅ΘΓ IJχΑ ȂĮțİįȠȞȚțχΑ ȕĮıȚȜİϟ΅Α, ϋΑ țĮșİȟϛΖ Ƞϡ ΦΔв ĮЁΘΓІ įȚİįνΛΓΑΘΓ. ͂Α įξ ϳ ȀΣΕ΅ΑΓΖ ȚĮ’ ΦΔϲ ̽Ε΅ΎΏνΓΙΖ, ȗ’ įξ ΦΔϲ ȉȘµνΑΓΙ IJȠІ µİIJΤ IJЗΑ ΩΏΏΝΑ ̽Ε΅ΎΏΉ΍ΈЗΑ țĮIJİȜșϱΑΘΓΖ İϢΖ ȆİȜȠʌϱΑΑ΋ΗΓΑ. ȀΣΕ΅ΑΓΖ ȂĮțİįϱΑΝΑ Į’ πΆ΅ΗϟΏΉΙΗΉΑ σΘ΋ Ȝ’. ȉȠІ įξ țϱΗΐΓΙ ώΑ σΘΓΖ ЫΈΜ΅’. Ȇȡϲ IJϛΖ ʌȡЏΘ΋Ζ ϴΏΙΐΔ΍ΣΈΓΖ σΘΉΗ΍Α ȚȘ’. ̝Δϲ ȀĮȡΣΑΓΙ IJȠІ Į’ ȕĮıȚȜνΝΖ ȂĮțİįϱΑΝΑ ρΝΖ ̝ΏΉΒΣΑΈΕΓΙ IJȠІ țIJȚıIJȠІ ȕĮıȚȜİϧΖ ȂĮțİįϱΑΝΑ țį’ σΘ΋ . ĭİϟΈΝΑ ̡Ε·ΓΙΖ țȡĮIJЗΑ ΦΈΉΏΚϲΖ ȀĮȡΣΑΓΙ IJȠІ Į’ ȕĮıȚȜνΝΖ ȂĮțİįϱΑΝΑ µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµϟ΅ ʌȡЗΘΓΖ πΚΉІΕΉΑ, ГΖ IJȚȞİȢ·ώΗ΅Α įξ țĮϠ ʌȡϲ IJȠϾΘΓΙ. Syncell. p. 315-316 Mosshammer: ȀΣΕ΅ΑΓΖ ϳ ̝Ε·ΉϧΓΖ ΦΈΉΏΚϲΖ ЖΑ ĭİϟΈΝΑΓΖ οΑϲΖ IJЗΑ ΦΚв ̽Ε΅ΎΏνΓΙΖ țĮIJĮȖϱΑΘΝΑ IJϲ ȖνΑΓΖ țĮϠ IJϛΖ ̝Ε·Ήϟ΅Ζ ȕĮıȚȜİϾΓΑΘΓΖ ıʌȠȣįΣΊΝΑ ο΅ΙΘХ ȤЏΕ΅Α țĮIJĮțIJφΗ΅ΗΌ΅΍ įϾΑ΅ΐ΍Α όΌΕΓ΍ΗΉ ʌĮȡΤ IJȠІ ΦΈΉΏΚΓІ țĮϠ πΎ IJϛΖ ϵΏ΋Ζ ȆİȜȠʌȠȞȞφΗΓΙ, µİșв ȠϩΖ IJȠϧΖ ЀΔξΕ ȂĮțİįȠȞϟ΅Α IJϱΔΓ΍Ζ πΔ΍ΗΘΕ΅ΘΉϾΗ΅Ζ, ıȣµµĮȤφΗ΅Ζ Χΐ΅ țĮϟ IJȚȞȚ IJЗΑ ͞ΕΉΗΘЗΑ ȜİȖȠµνΑΝΑ įȣȞΣΗIJϙ ʌİȡϠ IJχΑ ȤЏΕ΅Α țĮIJΤ IJЗΑ ʌȜȘıȚȠȤЏΕΝΑ ȕĮȡȕΣΕΝΑ, IJχΑ ψΐϟΗΉ΍΅Α σΏ΅ΆΉ ȤЏΕ΅Α țĮϠ ʌϱΏ΍Α ό·Ή΍ΕΉ țĮIJΤ ȤȡȘıµϲΑ țĮϠ ȕĮıȚȜİϟ΅Α πΑ ĮЁΘϜ ıȣȞİıIJφΗ΅ΘΓ, ϋΑ Ƞϡ țĮIJΤ ȖνΑΓΖ πΒ ĮЁΘΓІ țĮϠ µİIJв ĮЁΘϲΑ įȚİįνΛΓΑΘΓ. ȅЈΘΓΖ ϳ ȀΣΕ΅ΑΓΖ ΦΔϲ µξΑ ̽Ε΅ΎΏνΓΙΖ ȚĮ’ ώΑ, ΦΔϲ įξ ȉȘµνΑΓΙ IJȠІ µİIJΤ IJЗΑ ΩΏΏΝΑ ̽Ε΅ΎΏΉ΍ΈЗΑ țĮIJİȜșϱΑΘΓΖ İϢΖ ȆİȜȠʌϱΑΑ΋44

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legittimazione ellenica (e olimpica) degli Argeadi-Temenidi restò insomma a lungo controverso; e forse non mancarono ulteriori tentativi di ostacolare la presenza dei dinasti macedoni a Olimpia, se verso il 400 a.C. Archelao provvide a costruire a Dion un santuario di Zeus Olimpio, istituendo nella stessa città (oppure a Ege) locali giochi ͞ΏϾΐΔ΍΅48. Con ogni verosimiglianza, dunque, Fidone non era menzionato nelle Hiereiai nemmeno in rapporto alla genealogia degli Argeadi. Del resto, una sua eventuale citazione a tale proposito difficilmente avrebbe potuto essere ignorata da Erodoto, il quale – anche a prescindere dalla notizia biografica (non immune da dubbi) di Suida sulla compresenza dei due storici alla corte macedone – con ogni probabilità leggeva Ellanico (ed era a sua volta letto da lui), così come il contemporaneo Tucidide49. Un secolo più tardi, Eforo, da molti ritenuto responsabile di un forte ampliamento ‘inventivo’ della tradizione su Fidone (con particolare riguardo al suo preteso, astorico ruolo di inventore del nomisma argenteo di Egina), polemizzava espressamente con Ellanico, rinfacciandogli in particolare – e può essere sintomatico – la mancata menzione (µȘįĮµȠІ µİµȞϛΗΌ΅΍) di Licurgo in tutta la sua opera, nonché l’indebita attribuzione ad Euristene e Procle di provvedimenti costituzionali che invece a suo avviso risalivano al legislatore spartano50. Un’eventuale

___________________________________________________ ΗΓΑ ȗ’. īİȞİĮȜȠȖȠІΗ΍ įв ĮЁΘϲΑ ȠЂΘΝΖ, ГΖ ijȘıȚȞ ϳ ǻȚϱΈΝΕΓΖ (Diod. VII 17), Ƞϡ ʌȠȜȜȠϠ IJЗΑ ıȣȖȖȡĮijνΝΑ, ЙΑ İϩΖ țĮϠ ĬİϱΔΓΐΔΓΖ (Theop. FGrHist 115 F 393: supra, n. 27). ȀΣΕ΅ΑΓΖ ĭİϟΈΝΑΓΖ IJȠІ ̝Ε΍ΗΘΓΈ΅ΐϟΈ΅ IJȠІ ȂνΕΓΔΓΖ IJȠІ ĬİȠıIJϟΓΙ IJȠІ ȀȚııϟΓΙ IJȠІ ȉȘµνΑΓΙ IJȠІ ̝Ε΍ΗΘΓΐΣΛΓΙ IJȠІ ȀȜİĮįΣΘΓΙΖ IJȠІ ͫΏΏΓΙ IJȠІ ̽Ε΅ΎΏνΓΙΖ. ̷Α΍Γ΍ įξ ΩΏΏΝΖ, ijȘıϟ, ȖİȞİĮȜȠȖȠІΗ΍, ijΣΗΎΓΑΘΉΖ İϨΑ΅΍ ȀΣΕ΅ΑΓΑ ȆȠϟ΅ΑΘΓΖ IJȠІ ȀȡȠϟΗΓΙ IJȠІ ȀȜİȠįĮϟΓΙ IJȠІ ǼЁΕΙΆ΍ΣΈ΅ IJȠІ ǻİȕΣΏΏΓΙ IJȠІ ȁĮȤΣΕΓΙΖ IJȠІ ȉȘµνΑΓΙ, ϶Ζ țĮϠ țĮIJϛΏΌΉΑ İϢΖ ȆİȜȠʌϱΑΑ΋ΗΓΑ. 48 Cfr. Arrian. Anab. I 11, 1 (Ege); schol. Dem. 19, 383 (Dion). Archelao stesso fu però vincitore a Olimpia e a Delfi: cfr. Solin. 9, 5: idem Pythias et Olympiacas palmas quadrigis adeptus, Graeco potius animo quam regali gloriam illam prae se tulit. 49 Cfr. Thuc. I 97, 2; II 2, 1; IV 133, 2. 50 Cfr. Hellan. FGrHist 4 F 116 (da Strab. VIII 5, 5): ̴ΏΏΣΑ΍ΎΓΖ µξΑ ȠЇΑ ǼЁΕΙΗΌνΑ΋ țĮϠ ȆȡȠțȜν΅ ijȘıϠ įȚĮIJΣΒ΅΍ IJχΑ ʌȠȜȚIJİϟ΅Α· ̷ΚΓΕΓΖ įв πΔ΍Θ΍ΐκг ijφΗ΅Ζ ȁȣțȠϾΕ·ΓΙ µξΑ ĮЁΘϲΑ µȘįĮµȠІ µİµȞϛΗΌ΅΍, IJΤ įв πΎΉϟΑΓΙ σΕ·΅ IJȠϧΖ µχ ʌȡȠıφΎΓΙΗ΍Α ΦΑ΅Θ΍ΌνΑ΅΍. V. anche Hellan. FGrHist 4 T 18 (da Ios. Ap. 1,16; cfr. Eus. Praep. Ev. X 7, 478 C) ... ύ IJϟΑ΅ IJȡϱΔΓΑ ̷ΚΓΕΓΖ µξΑ ̴ΏΏΣΑ΍ΎΓΑ πΑ IJȠϧΖ ʌȜİϟΗIJȠȚȢ ȥİȣįϱΐΉΑΓΑ πΔ΍ΈΉϟΎΑΙΗ΍Α (da integrare forse con il passo successivo Ap. 1, 17, relativo a non meglio precisati scrittori di ̝Ε·ΓΏ΍ΎΣ: ΦΏΏв ȠЁΈξ ʌİȡϠ IJЗΑ ȈȚțİȜȚțЗΑ IJȠϧΖ ʌİȡϠ ̝ΑΘϟΓΛΓΑ țĮϠ ĭϟΏ΍ΗΘΓΑ ύ ȀĮȜȜϟ΅Α ȉϟΐ΅΍ΓΖ ıȣµijȦȞİϧΑ ωΒϟΝΗΉΑ, ȠЁΈв ĮЇ ʌİȡϠ IJЗΑ ̝ΘΘ΍ΎЗΑ Ƞϡ IJΤΖ

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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assenza – o inadeguata cronologizzazione – di Fidone nelle Hiereiai di Ellanico avrebbe potuto avere come ulteriore riflesso il mancato inserimento del tiranno di Argo nella più antica ed autorevole opera annalistica locale di Sicione a noi nota: quella ΦΑ΅·Ε΅Κχ ψ πΑ ȈȚțȣЗΑ΍ ΦΔΓΎΉ΍ΐνΑ΋, con ogni probabilità epigrafica, che a dire di Plutarco forniva una sequenza di eventi (locali e non; in particolare della storia poetico-musicale, ma non solo) ordinata appunto secondo la griglia delle Hiereiai di Ellanico (įȚв ϏΖ IJΣΖ IJİ ϡΉΕΉϟ΅Ζ IJΤΖ πΑ ̡Ε·Ή΍ țĮϠ IJȠϿΖ ʌȠȚȘIJΤΖ țĮϠ IJȠϿΖ µȠȣıȚțȠϿΖ ϴΑΓΐΣΊΉ΍)51. C’è poi da rilevare un altro ‘silenzio’, ancora più macroscopico. Per espressa attestazione di Pausania, l’agonothesia olimpica di Fidone non era stata inserita dagli Elei nelle loro registrazioni, a causa della sua illegittimità, in quanto frutto di un colpo di mano militare52. Ciò vuol dire – ed è un secondo elemento sinora non rilevato, e sul quale occorre adeguatamente ri-

___________________________________________________ ̝ΘΌϟΈ΅Ζ ıȣȖȖİȖȡĮijϱΘΉΖ ύ ʌİȡϠ IJЗΑ ̝Ε·ΓΏ΍ΎЗΑ Ƞϡ IJΤ ʌİȡϠ ̡Ε·ΓΖ ϡΗΘΓΕΓІΑΘΉΖ ΦΏΏφΏΓ΍Ζ țĮIJȘțȠȜȠȣșφΎ΅Η΍). 51 FGrHist 550 F 1-2 (rispettivamente da Plut. De mus. 3,1131f-1132a; 8,1134a-b). La citazione nel testo è tratta da F 1. 52 Cfr. Paus. VI 22, 2-3: ȆȚıĮϧΓ΍ įξ πΚΉ΍ΏΎϾΗ΅ΑΘΓ ĮЁΌ΅ϟΕΉΘΓΑ ıȣµijȠȡΤΑ ΦΔΉΛΌ΅ΑϱΐΉΑΓϟ IJİ ̼ΏΉϟΓ΍Ζ țĮϠ ıʌȠȣįχΑ ʌȠȚȠϾΐİȞȠȚ IJȚșνΑ΅΍ IJϲΑ ͞ΏΙΐΔ΍ΎϲΑ Φ·ЗΑ΅ ΦΑΘϠ ̼ΏΉϟΝΑ, Ƞϣ·Ή ϴΏΙΐΔ΍ΣΈ΍ µξΑ IJϜ ϴ·Έϱϙ IJϲΑ ̝Ε·ΉϧΓΑ πΔ΋·Σ·ΓΑΘΓ ĭİϟΈΝΑ΅ IJȣȡΣΑΑΝΑ IJЗΑ πΑ ̸ΏΏ΋Η΍ µΣΏ΍ΗΘ΅ ЀΆΕϟΗ΅ΑΘ΅ țĮϠ IJϲΑ Φ·ЗΑ΅ σΌΉΗ΅Α ϳΐΓІ IJХ ĭİϟΈΝΑ΍, IJİIJΣΕΘϙ įξ ϴΏΙΐΔ΍ΣΈ΍ țĮϠ IJȡȚĮțȠıIJϜ ıIJȡĮIJϲΑ Ƞϡ ȆȚıĮϧΓ΍ țĮϠ ȕĮıȚȜİϿΖ ĮЁΘЗΑ ȆĮȞIJĮȜνΝΑ ϳ ͞ΐΚ΅ΏϟΝΑΓΖ ʌĮȡΤ IJЗΑ ʌȡȠıȤЏΕΝΑ ΦΌΕΓϟΗ΅ΑΘΉΖ πΔΓϟ΋Η΅Α ΦΑΘϠ ̼ΏΉϟΝΑ IJΤ ͞ΏϾΐΔ΍΅. (3) ȉĮϾΘ΅Ζ IJΤΖ ϴΏΙΐΔ΍ΣΈ΅Ζ țĮϠ πΔв ĮЁΘ΅ϧΖ IJχΑ IJİIJΣΕΘ΋Α IJİ țĮϠ οΎ΅ΘΓΗΘφΑ, IJİșİϧΗ΅Α įξ ЀΔϲ ̝ΕΎΣΈΝΑ, ΦΑΓΏΙΐΔ΍ΣΈ΅ Ƞϡ ̼ΏΉϧΓ΍ țĮȜȠІΑΘΉΖ ȠЁ ıijκΖ πΑ țĮIJĮȜϱ·У IJЗΑ ϴΏΙΐΔ΍ΣΈΝΑ ȖȡΣΚΓΙΗ΍Α. Tutte le versioni della storia arcaica dei Giochi Olimpici concordano sul fatto che dopo la loro istituzione ad opera di Ifito nel 776 a.C., la normale e regolare agonothesia degli Elei subì diverse interruzioni – ovvero una singola prolungata sospensione – ad opera dei Pisati, che occuparono Olimpia e presero con la forza la direzione dei Giochi (eventualmente assunta, nel primo e più antico di questi episodi, da Fidone, forse loro alleato). Una coalizione tra Elei e Spartani pose fine a questa situazione anomala, sconfiggendo i Pisati (e/o Fidone), ripristinando l’agonothesia elea e annettendo la Pisatide e la Trifilia all’Elide. I racconti si differenziano nella scansione minuta degli eventi, messi in rapporto con il sistema di riferimento cronologico costituito dalle due prime guerre messeniche. È questo un sistema fisso nei suoi rapporti relativi interni (100 anni = 25 Olimpiadi di distanza tra i due conflitti), ma ‘mobile’ nella sua traduzione in termini di cronologia assoluta. La tradizione antica ne dà tre versioni essenziali (‘alta’, ‘media’ e ‘bassa’), dalla cui diversa calibrature dipendono analoghe oscillazioni dei sistemi innervati: cfr. M.R. CATAUDELLA, La prostasia sugli agoni olimpici nella Ol. 8°, RAL, ser. VIII, 19 (1964), pp. 66-74; KÕIV, The dating of Pheidon, pp. 329 ss.; ID., Ancient Tradition, pp. 264 ss.

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flettere – che il nome di Fidone, per effetto di una sorta di damnatio memoriae, semplicemente non esisteva nei documenti di Olimpia (quindi, di riflesso, anche nella canonica ͞ΏΙΐΔ΍ΓΑ΍ΎЗΑ ΦΑ΅·Ε΅Κφ di Ippia); il che spiegherebbe bene l’assoluta contraddittorietà delle varie cronologie olimpiche di Fidone presenti nelle fonti antiche, che poggiano evidentemente tutte su divergenti tentativi di colmare tale lacuna per via di autoschediasmi. Tanto più vani appaiono pertanto gli sforzi dei moderni di determinare la cronologia ‘storica’ di Fidone attraverso ulteriori rielaborazioni razionalizzanti di ‘dati’ così opinabili già all’origine. La mancata – o non precisamente cronologizzata – menzione di Fidone nell’opera di Ellanico, nonché nelle liste olimpiche e in altre eventuali cronografie derivate (ad esempio l’ΦΑ΅·Ε΅Κφ sicionia) può spiegare dunque perché, per collocare nel tempo l’oscuro re/tiranno di Argo, si procedesse giocoforza per puri autoschediasmi, a partire da implicazioni cronologiche (sincronismi, t.a.q. e p.q. ecc.) dedotte da quanto si sapeva, o si pretendeva di sapere, su di lui. Vario era così l’esito dei calcoli in base ai quali il personaggio, a motivo della sua agonothesia olimpica, veniva raccordato alla cronologia dei giochi, inserendolo in particolare negli spazi plurimi e controversi delle ΦΑΓΏΙΐΔ΍ΣΈ΅΍53. Vario anche il suo innesto nella genealogia ‘espansa’ dei Temenidi, utile alla retroiezione argivizzante della lista dei re di Macedonia. Vago anche il modo in cui, nella casistica di Aristotele, il personaggio veniva inquadrato nelle scansioni cronologiche fondamentali del passaggio basileia > tyrannis54. Analogamente, il ricordo (o il vanto, o la pura ipotesi) di un’hegemonia del tiranno sul Peloponneso doveva letteralmente

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Paus. VI 22, 3. Arist. Pol. 1310b: ǹϡ µξΑ ȖΤΕ IJȠІΘΓΑ IJϲΑ IJȡϱΔΓΑ țĮIJνΗΘ΋Η΅Α IJЗΑ IJȣȡĮȞȞϟΈΝΑ, όΈ΋ IJЗΑ ʌϱΏΉΝΑ ȘЁΒ΋ΐνΑΝΑ, Įϡ įξ ʌȡϲ IJȠϾΘΝΑ πΎ IJЗΑ ȕĮıȚȜνΝΑ ʌĮȡİțȕĮȚȞϱΑΘΝΑ IJΤ ʌΣΘΕ΍΅ țĮϠ įİıʌȠIJȚțȦIJνΕ΅Ζ ΦΕΛϛΖ ϴΕΉ·ΓΐνΑΝΑ, Įϡ įξ πΎ IJЗΑ ĮϡΕΉΘЗΑ πΔϠ IJΤΖ țȣȡϟ΅Ζ ΦΕΛΣΖ (IJϲ ȖΤΕ ΦΕΛ΅ϧΓΑ Ƞϡ įϛΐΓ΍ țĮșϟΗΘ΅Η΅Α ʌȠȜȣȤȡȠȞϟΓΙΖ IJΤΖ įȘµȚȠȣȡȖϟ΅Ζ țĮϠ IJΤΖ șİȦȡϟ΅Ζ), Įϡ įв πΎ IJЗΑ ϴΏ΍·΅ΕΛ΍ЗΑ, ĮϡΕΓΙΐνΑΝȞ ρΑ΅ IJȚȞΤ țϾΕ΍ΓΑ πΔϠ IJΤΖ µİȖϟΗΘ΅Ζ ΦΕΛΣΖ. ȆκΗ΍ ȖΤΕ ЀΔϛΕΛΉ IJȠϧΖ IJȡϱΔΓ΍Ζ IJȠϾΘΓ΍Ζ IJϲ țĮIJİȡȖΣΊΉΗΌ΅΍ ϹθΈϟΝΖ, İϢ µϱΑΓΑ ȕȠȣȜȘșİϧΉΑ, įȚΤ IJϲ įϾΑ΅ΐ΍Α ʌȡȠȨʌΣΕΛΉ΍Α IJȠϧΖ µξΑ ȕĮıȚȜȚțϛΖ ΦΕΛϛΖ IJȠϧΖ įξ IJχΑ IJϛΖ IJȚµϛΖ· ȠϩΓΑ ĭİϟΈΝΑ µξΑ ʌİȡϠ ̡Ε·ΓΖ țĮϠ ρΘΉΕΓ΍ IJϾΕ΅ΑΑΓ΍ țĮIJνΗΘ΋Η΅Ȟ ȕĮıȚȜİϟ΅Ζ ЀΔ΅ΕΛΓϾΗ΋Ζ, Ƞϡ įξ ʌİȡϠ IJχΑ ͑ΝΑϟ΅Α țĮϠ ĭΣΏ΅Ε΍Ζ πΎ IJЗΑ IJȚµЗΑ, ȆĮȞĮϟΘ΍ΓΖ įв πΑ ȁİȠȞIJϟΑΓ΍Ζ țĮϠ ȀϾΜΉΏΓΖ πΑ ȀȠȡϟΑΌУ țĮϠ ȆİȚıϟΗΘΕ΅ΘΓΖ ̝ΌφΑ΋Η΍ țĮϠ ǻȚȠȞϾΗ΍ΓΖ πΑ ȈȣȡĮțȠϾΗ΅΍Ζ țĮϠ ρΘΉΕΓ΍ IJϲΑ ĮЁΘϲΑ IJȡϱΔΓΑ πΎ įȘµĮȖȦȖϟ΅Ζ. 54

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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‘fare i conti’ con una realtà storica notoria e ineludibile come l’egemonia peloponnesiaca degli Spartani, trovando mutevole collocazione rispetto alle prime due guerre messeniche, a loro volta cronologicamente oscillanti. La diffusa nozione di un Fidone ‘metrologista’, legata se non altro alla persistenza in età storica di metra e stathma noti come ĭİȚįȫȞ(İ)ȚĮ, ovvero all’esistenza nell’Heraion di Argo di una dedica di obeloi di ferro a lui attribuibile (eventualmente su base epigrafica, o per pura tradizione o inferenza), apriva la strada alla rappresentazione del tiranno di Argo come protos heuretes della monetazione, vista anche come esito di un nuovo sistema di determinazione e di garanzia 55 del peso dell’argento . Di qui ulteriori opinabili raccordi con sequenze cronologizzate di protoi heuretai, o anche l’asso-ciazione bizzarra di Fidone al nomisma di Egina, notorio per essere stato il 56 più antico e diffuso di tutta la Grecia metropolitana . Nel più recente studio sulla cronologia di Fidone, si criticano a ragione molte delle tendenze della ricerca moderna ricordate in precedenza, sottolineando appunto come le varie datazioni pervenuteci del re/tiranno di Argo, lungi dal prestarsi a ulteriori giochi combinatori e autoschediastici, vadano studiate in se stesse, come espressione di divergenti scelte in merito alla cronologia degli eventi o dei personaggi ai quali si tentava di raccordarlo. Sono appunto i sottesi sistemi cronografici che possono e debbono essere individuati e studiati, per comprendere a fondo la genesi dei ‘dati’ di tradizione antichi. Senza peraltro illudersi di poter selezionare per tale via la 57 fantomatica e forse inattingibile cronologia ‘storica’ di Fidone .

4. Fidone nella tradizione corinzia Una riflessione particolare merita il legame di Fidone con le tradizioni sul diasparagmos del meirakion Atteone (̝ΎΘ΅ϟΝΑ) a Corinto, e la conseguente e sincronica (in termini generazionali) 58 fondazione di Siracusa . Il tiranno di Argo sembra fungere in

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V. infra, par. 8. Infra, par. 7. KÕIV, The dating of Pheidon, pp. 329, 346-347; ID., Ancient Tradition, pp. 255 ss. 58 Cfr. E. MANNI, Fidone d’Argo, i Bacchiadi di Corinto e le fondazioni di Siracusa e di Megara Iblea, «Kokalos», 20 (1974), pp. 77-91; SALMON, Wealthy Corinth, pp. 65-66, 7156 57

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questo caso solo da marcatore genealogico avventizio, destinato a conferire una parvenza di inquadramento ‘storico’ puntuale a una vicenda leggendaria forse in origine acrona. 59 Nella versione dello Pseudo-Plutarco , la più articolata e minuta in nostro possesso, il remoto antefatto di tutta la storia si situa appunto nel tempo in cui Fidone (personaggio ormai nebuloso: ĭİϟΈΝΑ IJȚȢ), aspirante – come in Eforo60 – all’arche di tutto il Peloponneso e desideroso di assicurare ad Argo, sua patria, la supremazia su tutte le altre città peloponnesiache, tenta di assumere il controllo di Corinto (IJЗΑ ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΝΑ πΔ΍Θ΍ΌνΐΉΑΓΖ ΦΕΛϜ, IJχΑ ̝Ε·ΉϟΝΑ ʌϱΏ΍Α, IJχΑ ʌĮIJȡϟΈ΅ IJχΑ ο΅ΙΘΓІ, ψ·ΉΐΓΑΉϾΉ΍Α IJЗΑ ȜȠȚʌЗΑ ȕȠȣȜϱΐΉΑΓΖ, ʌȡЗΘΓΑ πΔΉΆΓϾΏΉΙΗΉ ȀȠȡȚȞșϟΓ΍Ζ). Di qui la richiesta ai Corinzi di inviargli un contingente di mille giovani scelti per prestanza e coraggio, dettata dal nascosto proposito di annientarli, allo scopo di ridurre Corinto all’impotenza e avvalersene poi come avamposto per la conquista di tutto il Peloponneso (ϣΑв σΛΓ΍ ȀϱΕ΍ΑΌΓΑ ΦΘΓΑΝΘνΕ΅Α țĮϠ IJϜ ʌϱΏΉ΍ ȤȡφΗ΅΍ΘΓ, ʌȡȠIJİϟΛ΍Ηΐ΅ ȖΤΕ IJȠІΘΓ πΔ΍Ύ΅΍ΕϱΘ΅ΘΓΑ σΗΉΗΌ΅΍ IJϛΖ ϵΏ΋Ζ ȆİȜȠʌȠȞȞφΗΓΙ). Fidone però confida incautamente il suo progetto ad alcuni hetaîroi, uno dei quali, Abrone (̢ΆΕΝΑ), lo rivela al suo xenos Dessandro (ǻνΒ΅ΑΈΕΓΖ), stratego preposto al contingente dei mille giovani61. Il colpo di mano fidoniano a questo punto fallisce, e «i Fliasi» (Ƞϡ µξΑ ĭȜȚΣΗ΍Γ΍: probabilmente Dessandro stesso e i suoi chilioi) trovano scampo a Corinto. Anche Abrone, esposto come traditore alla vendetta di Fidone, si rifugia

___________________________________________________ 72; A. ANDREWES, The Corinthian Actaeon and Pheidon of Argos, CQ, 43 (1949), pp. 7078. V. inoltre, per le tradizioni di fondazione di Siracusa, I. MALKIN, Religion and Colonization in Ancient Greece, Leiden - New York 1987 (Studies in Greek and Roman religion, 3), pp. 41-43; F. LASSERRE, L’historiographie grecque à l’époque archaïque, QS, 4, 1976, pp. 113-142, in particolare pp. 120-121 e n. 24; le cause della colonizzazione di Siracusa sono intese come esempio tipico di ‘mitologia’ greca della colonizzazione da C. DOUGHERTY, It’s murder to found a colony, in Cultural Poetics in Archaic Greece: Cult, Performance, Politics, ed. by C. DOUGHERTY - L. KURKE, Cambridge 1993, pp. 178-198, in particolare pp. 178-179, 186; EAD., The Poetics of Colonization, New York Oxford 1993, pp. 31-32; D. OGDEN, The Crooked Kings of Ancient Greece, London 1997, pp. 81-84. 59 Ps.-Plut. Amat. narr. 2, 772c-773b (supra, n. 28). 60 FGrHist 70 F 115. 61 Si noti che sia Abrone (̢ȕȡȦȞ = ΧΆΕΝΑ, ΥΆΕϱΖ, «molle», «effeminato») sia Dessandro (ǻνΒ΅ΑΈΕΓΖ, «colui che riceve l’uomo»?) sono antroponimi che rimandano alla sfera pederastica. Un ǻνΒ΅ΑΈΕΓΖ è equiparato a Ganimede in Anth. Pal. XII 69.

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con tutto il suo oikos (moglie, famiglia e servi) presso i Corinzi, fissando la sua residenza nel villaggio di Melisso (πΑ ȂİȜϟΗΗУ, țЏΐϙ IJȚȞϠ IJϛΖ ȀȠȡȚȞșϟΝΑ ȤЏΕ΅Ζ). È appunto qui, a Melisso, che si svolge l’episodio principale della leggenda. La kome corinzia, sede d’elezione dell’oikos exargivo di Abrone, ispira a quest’ultimo l’eponimia del figlio natogli successivamente, Melisso (ȂνΏ΍ΗΗΓΖ), il quale a sua volta genera in progresso di tempo Atteone (che si colloca dunque, in questa versione, due generazioni dopo Fidone). Giovane di straordinarie doti fisiche e morali, Atteone suscita l’amore di molti Corinzi, tra cui in particolare Archia, esponente della più ricca e potente aristocrazia eraclide della città, i Bacchi(a)di62. L’erastes, respinto dopo vane lusinghe e profferte, mette in atto, facendosi spalleggiare da un komos (πΔΉΎЏΐĮıİȞ) di amici e di servi, un tentativo di harpage del ragazzo, che si scontra però con la decisa resistenza di Melisso, coadiuvato dai suoi amici e vicini. Abbrancato e strattonato dalle bande avverse, Atteone muore. Il padre ne allestisce la prothesis nell’agora stessa della città, reclamando inutilmente giustizia dai Corinzi. Durante una successiva celebrazione delle Istmie, sale al tempio di Posidone e dopo aver ricordato le benemerenze di suo padre Abrone verso la città, si capofigge dalla scogliera imprecando a gran voce contro i Bacchiadi e invocando la vendetta degli dei. L’ira di Posidone contro i Corinzi si manifesta con carestia e pestilenza, finché una theoria oracolare, di cui fa parte lo stesso Archia, appura la connessione del flagello con la morte invendicata di Atteone. A questo punto il responsabile ultimo del delitto si allontana volontariamente da Corinto, imbarcandosi per la Sicilia. Qui fonderà Siracusa, per poi trovare la morte, in una sorta di contrappasso, per mano di Telefo, un suo giovane amasio rapito al momento della partenza. La stringa genealogica Abrone (contemporaneo ed hetairos di Fidone) > Melisso > Atteone, come pure la connessione finale di tutta la vicenda con la ktisis di Siracusa, rappresentano in questo blocco di tradizione elementi labili, e quindi con ogni probabilità

___________________________________________________ 62

Sull’oscillazione ǺĮțȤȓįĮȚ-ǺĮțȤȚȐįĮȚ (forma «originale» la prima; innovazione prosodica ascrivibile a Eumelo la seconda) cfr. A. DEBIASI, L’epica perduta. Eumelo, il Ciclo, l’occidente, Roma 2004 (= «Hesperìa», 20), p. 19 e n. 4 ibi; p. 51.

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avventizi e ‘deboli’. In una variante trasmessa negli scoli ad Apollonio Rodio63, infatti, Abrone scompare, ed è Melisso, stavolta non espressamente caratterizzato come argivo, ad aiutare i Corinzi minacciati da Fidone (µνΏΏΓΑΘ΅Ζ [...] ЀΔϲ ĭİϟΈΝΑΓΖ IJȠІ IJЗΑ ̝Ε·ΉϟΝΑ ȕĮıȚȜνΝΖ įȚĮijșĮȡϛΑ΅΍), assumendo in prima persona il ruolo di euergetes di Corinto. Ciò, tra l’altro, riduce a una sola generazione (in luogo delle due prospettate dallo Pseudo-Plutarco) la distanza cronologica tra Fidone ed Atteone. Nel seguito del racconto, tra altre differenze di dettaglio, risalta la mancata menzione di Archia e della fondazione di Siracusa: lo sbranamento di Atteone è imputato infatti a una responsabilità collettiva ‘genetica’ di tutti i Bacchiadi (caratterizzati tra l’altro come discendenti di ǺΣΎΛ΍Ζ [...] ȣϡϲΖ ǻȚȠȞϾΗΓΙ: elemento forse significativo in una vicenda di diasparagmos), talché l’esito della consultazione oracolare è l’espulsione da Corinto dell’intero genos (πΒνΆ΅ΏΓΑ IJȠϿΖ ǺĮțȤȚΣΈ΅Ζ), di cui si cita in particolare un solo esponente: Chersicrate, che va a colonizzare Corcira64. Sembra, questa, una versione in qualche modo alternativa a quella, predominante, che connetteva la cacciata dei Bacchiadi all’ascesa di Cipselo65. Nella versione diodorea66 scompare, insieme con Abrone, anche qualsiasi riferimento a Fidone, e campeggia solo la vicenda erotica di Atteone (di nuovo figlio di Melisso) e di Archia. A ciò si aggiunge il parallelo conclusivo tra la tragica vicenda del meirakion di Corinto e quella del suo omonimo più famoso, l’Atteone beotico: entrambi accomunati, oltre che dal nome, da analoga fine per diasparagmos67. La labilità dei nessi genealogici iniziali si fa vieppiù evidente in Massimo di Tiro68, che ignora

___________________________________________________ 63

Schol. Apoll. Rh. 1212-1214a. 64 In Strab. VI 2, 4 è invece Archia stesso che, sulla rotta verso la Sicilia, lascia Chersicrate µİIJΤ µνΕΓΙΖ IJϛΖ ıIJȡĮIJȚκΖ IJȠІ IJЗΑ ̽Ε΅ΎΏΉ΍ΈЗΑ ȖνΑΓΙΖ a Corcira-Scheria, per colonizzarla. Sui Bacchiadi, v. più di recente O. DE CAZANOVE, La chronologie des Bacchiades et celle des rois étrusques de Rome, MEFRA, 100 (1988), pp. 615-648; P. DE FIDIO, Diodoro VII 9 e la norma di successione dei Bacchiadi, PP, 49 (1994), pp. 169-202. 65 Cfr. DE LIBERO, Die Archaische Tyrannis, pp. 138-143. 66 Diod. VIII 10, 1-4. 67 Diod. VIII 10, 4: С ȖΤΕ ϳ ʌĮϧΖ IJϛΖ ĮЁΘϛΖ πΎΉϟΑ΋Ζ σΘΙΛΉ ʌȡȠıȘȖȠȡϟ΅Ζ, IJȠϾΘУ IJχΑ ϳΐΓϟ΅Α IJȠІ ȕϟΓΙ țĮIJĮıIJȡȠijχΑ σΗΛΉΑ, οΎ΅ΘνΕΝΑ ЀΔϲ IJЗΑ µΣΏ΍ΗΘ΅ ΪΑ ȕȠȘșȘıΣΑΘΝΑ IJȠІ ȗϛΑ ʌĮȡĮʌȜȘıϟУ IJȡϱΔУ ıIJİȡȘșνΑΘΝΑ. 68 Max. Tyr. XVIII 1a-d Hobein.

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non solo Fidone e Abrone, ma anche lo stesso Melisso, e indica come padre di Atteone (stavolta µİȚȡΣΎ΍ΓΑ ǻȦȡȚțϱΑ) un non meglio identificato Eschilo (ǹϢΗΛϾΏΓΖ)69. La tragedia stavolta si determina, non senza varianti di dettaglio, per responsabilità del neanías Archia spalleggiato da altri neaniskoi Bacchiadi. Manca di nuovo l’epilogo della fondazione di Siracusa (o di Corcira), mentre ritorna il parallelo con il destino tragico dell’Atteone ǺȠȚȫIJȚȠȢ70. In un frammento di Alessandro Etolo, infine, resta solo un accenno alla morte prematura del figlio di Melisso, causa di rovina per i Bacchiadi, ma di «felicità» (scil. liberazione dall’oligarchia?) per i Corinzi71. In questo complesso sistema di varianti, va sottolineata innanzitutto la presenza solo occasionale del nesso genealogico e cronologico che lega la vicenda corinzia di Atteone al terminus post quem costituito dall’egemonia peloponnesiaca di Fidone; nonché il diverso modo in cui tale nesso – quando non sia del tutto assente (Massimo di Tiro) – si configura: contemporaneità FidoneAbrone nello Pseudo-Plutarco, Fidone-Melisso nello scolio ad Apollonio Rodio72. Il ruolo dei Bacchiadi nella vicenda è invece

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Non si può escludere che questa variante dipenda da qualche grave corruttela della tradizione pervenuta a Massimo di Tiro: le ȉȠȟϱΘ΍ΈΉΖ di Eschilo (cfr. Aeschyl. frg. 38 A 417-424 Mette; TrGF III frg. 241-246 Radt) trattavano di Atteone beotico; e nel Marmo Pario (FGrHist 239 A 31) la fondazione di Siracusa, connessa alla morte di Atteone argivo, cade nel ventunesimo anno di regno di un ǹϢΗΛϾΏΓΖ ad Atene (758/7 a.C.): v. infra, n. 72. 70 Max. Tyr. XVIII 1d Hobein: țĮϠ İϢΎΣΗΌ΋ IJϲ πΑ ȀȠȡϟΑΌУ IJȠІΘΓ ʌΣΌΓΖ IJХ ǺȠȚȦIJϟУ įȚΤ IJχΑ ϳΐΝΑΙΐϟ΅Α IJЗΑ µİȚȡĮțϟΝΑ, ΦΔΓΏΓΐνΑΓΙ οΎ΅ΘνΕΓΙ, IJȠІ µξΑ ЀΔϲ țȣȞЗΑ πΑ șφΕθ, IJȠІ įξ ЀΔϲ πΕ΅ΗΘЗΑ πΑ µνΌϙ. 71 Alex. Aetol. frg. 3 Powell / fr. 3 Magnelli, vv. 7-10 (da Parthen. XIV 5): ȠЁΈξ ȂİȜϟΗΗУ / ȆİȚȡφΑ΋Ζ IJȠȚϱΑΈв ΦΏΚΉΗϟΆΓ΍ΓΑ ЂΈΝΕ / șȘȜφΗΉ΍ µν·΅Α ȣϡϱΑ, ΦΚв ȠЈ µν·΅ ȤΣΕΐ΅ ȀȠȡϟȞșУ / σΗΘ΅΍, țĮϠ ȕȡȚĮȡȠϧΖ ΩΏ·Ή΅ ǺĮțȤȚΣΈ΅΍Ζ. 72 Una costellazione come quella prospettata in schol. Apoll. Rh. 1212-1214a, con Fidone contemporaneo di Melisso (padre di Atteone), implica un sostanziale sincronismo Fidone-Archia, in quanto quest’ultimo è erastes (e quindi maggiore d’età) di Atteone meirakion. Tale sincronismo risulterebbe dal confronto tra Ephor. FGrHist 70 F 115 (ĭİϟΈΝΑ΅ įξ IJϲΑ ̝Ε·ΉϧΓΑ, įνΎ΅ΘΓΑ µξΑ ϷΑΘ΅ ΦΔϲ ȉȘµνΑΓΙ; v. infra, n. 168) e Marm. Par. FGrHist 239 A 31: ΦΚв ȠЈ ̝ΕΛϟ΅Ζ ǼЁ΅·φΘΓΙ įνΎ΅IJȠȢ ЖΑ ΦΔϲ ȉȘµνΑΓΙ πΎ ȀȠȡϟΑΌΓΙ ό·΅·Ή IJχΑ ΦΔΓ΍Ύϟ΅Α [țĮϠ σΎΘ΍ΗΉ] ȈȣȡĮțȠϾ[ııĮȢ, σΘ΋ - - -,] [·· ȕĮıȚ]ȜİϾ[ȠȞ]IJȠȢ ̝Ό΋ΑЗΑ ǹϢΗΛϾΏΓΙ, σΘΓΙΖ İϢΎΓΗΘΓІ țĮϠ οΑϱΖ. Ma la caratterizzazione ‘temenide’ (ergo argiva) di Archia, che invece nella maggior parte delle tradizioni che lo riguardano è un Bacchiade, appare assai sospetta, e forse solo frutto di confusione o di contaminazione eclettica indebita tra diversi sistemi di computo genealogico. Il nome del padre di Archia, non altrimenti attestato, va ricondotto al

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costante, mentre di nuovo oscillante e labile è l’implicazione personale di Archia, come pure il susseguente nesso con la fondazione di Siracusa (lo scolio ad Apollonio Rodio, come si è visto, sostituisce questa appendice ‘eziologica’ con un riferimento a Chersicrate e alla colonizzazione di Corcira). La ‘passione’ di Atteone a Corinto mal si presta, del resto, a qualsiasi tentativo, antico o moderno, di storicizzazione: essa rappresenta piuttosto, in modo evidente, la proiezione miticoeziologica di un peculiare rite de passage a sfondo pederastico della Corinto bacchiade, che è stato persuasivamente ricostruito, in particolare dalla Broadbent, attraverso un confronto con la tradizione eforea sulle agelai cretesi da un lato73, e con le diverse varianti della leggenda di Atteone beotico, figlio di Aristeo, dall’altro74. La harpage del meirakion da parte dell’eromenos, in un quadro di rissa in gran parte mimata tra la famiglia e i philoi del rapito da un lato, e il komos dei compagni di agela del rapitore dall’altro, con il suo seguito di segregazione nell’eschatia della coppia omoerotica, dedita alla caccia e ai banchetti per un periodo dato, è in ambito cretese preludio all’integrazione del nuovo adulto nel consesso civico, attraverso la sua immissione in un’agela e il susseguente gamos: «a special kind of initiation, across kin and (probably) age groups, and particularly adapted to finding a place in the community for the stranger»75. Rituali del genere contengono in sé anche la possibilità teorica di una ‘morte’ simbolica del meirakion, che, come in altre iniziazioni, si prospetta come metafora del passaggio stesso di età e di status. Per l’Atteone di Corinto la modalità della morte iniziatica è – come la stessa tradizione locale corinzia rimarca – un diasparagmos analogo a quello dell’Atteone beotico, sbranato sul Citerone dai cani di Artemide, perché colpevole di aver spiato la dea nuda al bagno, ovvero vagheggiato nozze con Semele, già concupita da

___________________________________________________ raro aggettivo İЁΣ·΋ΘΓΖ (cfr. Aristoph. Nub. 276; schol. ad loc.; Suid. e Ps.-Zonar. s.v. İЁΣ·΋ΘΓΑ), per lo più equiparato a İЁ΅·φΖ (< İЇ, ĮЁ·φ) e interpretato come «splendente», «chiaro» (quindi anche «insigne), ma da taluni ricondotto come aggettivo verbale ad Ω·Ν e spiegato come «agile», «mobile» (cfr. schol. Aristoph. Nub. 277d). Sulla questione, v. anche infra, n. 86 e testo corrispondente. 73 Ephor. FGrHist 70 F 149. 74 BROADBENT, Studies, pp. 39-60. 75 Ibi, p. 48.

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Zeus76. In un quadro fitto di allusioni, per noi per lo più enigmatiche, anche la filiazione Melisso > Atteone nell’aition corinzio si prospetta come equivalente funzionale di quella Aristeo > Atteone nell’aition beotico: entrambi i nomi sottintendono infatti un riferimento alle api-melissai. Si tratta forse del richiamo a oscure implicazioni dionisiache del rito, avvalorate anche da altri elementi, quali la presenza del diasparagmos, la filiazione ǻȚȠȞϾΗΓΙ di Bacchide (eponimo e capostipite dei Bacchiadi), i nessi genealogici di Atteone beotico, attraverso sua madre Autonoe, con le sorelle di costei Semele (madre di Dioniso), Agave (madre di Penteo) e Ino (madre di Melicerte, eroe fondante degli Isthmia di Corinto). Atteone e Melisso, nel loro sotterraneo apparentamento a Melicerte, evocano realtà iniziatiche e cultuali strutturalmente simili: il katapontismos di Melisso nel santuario di Posidone all’Istmo è infatti calco di quello, ivi egualmente localizzato, di Melicerte-Palemone (altro personaggio «whose name [...] has something to do with bees or honey»)77. Ulteriori interferenze, sebbene in diversa prospettiva eziologico-cultuale, emergono dalla leggenda istmio-corinzia di Melissa, al cui fondo s’intravede un culto demetriaco78. La vecchia (anus quaedam nomine Melissa), residente apud Isthmon e iniziata da Cerere-Demetra ai suoi misteri, ne tutela scrupolosamente la segretezza, resistendo alle lusinghe di altre donne non meglio specificate (mulieres), le quali infine, in preda all’ira, la sbranano (discerpta est). Le colpevoli del diasparagmos (di nuovo ‘Baccanti’ – se non Bacchiadi – in pectore) sono punite mediante pestilentia con tutto il resto della popolazione corinzia, mentre il corpo dilacerato di Melissa si converte in sciami di api-melissai79. Se a ciò si aggiungono i noti risvolti cul-

___________________________________________________ 76

Il parallelo, oltre che nelle due fonti già ricordate (Diod. VIII 10, 3-4; Max. Tyr. XVIII 1a Hobein: supra, nn. 67 e 70), ricorre ancora in Plut. Sert. 1, 4: įȣİϧΑ įв ̝ΎΘ΅΍ЏΑΝΑ ϳ µξΑ ЀΔϲ IJЗΑ țȣȞЗΑ, ϳ įв ЀΔϲ IJЗΑ πΕ΅ΗΘЗΑ įȚİıʌΣΗΌ΋. 77 BROADBENT, Studies, p. 50. 78 Cfr. M.L. MAYER MODENA, Greco Mélissa, assiro Mullissu, ebraico Melisa: ancora sulla “Divina Interprete”, «Acme», 52, 2 (1999), pp. 171-176 (Melissa e Delfi); S. LAVECCHIA, Pindaro e le ɆȑȜȚııĮȚ di Paro, «Hermes», 124 (1996), pp. 504-506; v. anche E. RICHARDS-MANTZOULINOU, ȂȑȜȚııĮ ȆȩIJȞȚĮ, AAA, 12 (1979), pp. 72-92. 79 Serv. ad Aen. I 430 [qualis apes aestate nova per florea rura]: (...) Sane fabula de apibus talis est. Apud Isthmon anus quaedam nomine Melissa fuit. Hanc Ceres sacrorum suorum cum secreta docuisset, interminata est, ne cui ea quae didicisset aperiret; sed cum ad eam mu-

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tuali della tenebrosa vicenda di Liside o Lisidice moglie di Periandro «da lui detta Melissa» (ϋΑ ĮЁΘϲΖ ȂνΏ΍ΗΗ΅Α πΎΣΏΉ΍)80 – altro spettro implacato della religiosità corinzia, preposto al rito della spoliazione sumptuaria delle donne in occasione di una horte nell’Heraion locale –, si può senz’altro concludere che la vicenda di Melisso e di Atteone a Corinto sia al centro di un complesso sistema di etiologie, legato da un lato a peculiari modalità delle iniziazioni giovanili ‘doriche’ locali, dall’altro a culti e riti specifici del santuario dell’Istmo81. Ma se la vicenda di Melisso e di Atteone va letta in chiave etiologico-cultuale, allora la sua cronologizzazione e connessione causale con l’interventismo di Fidone a Corinto da un lato, e con la phyge di Archia e la fondazione di Siracusa dall’altro (o, in alternativa, con Chersicrate e con la fondazione di Corcira), si riducono a semplici aggiunte pseudo-storicizzanti82. Per quanto riguarda in particolare Siracusa, occorre osservare che in altre tradizioni l’apoikismos di Archia non è espressamente connesso alla vicenda di Atteone. La tradizione siracusana già nota ad Antioco insiste piuttosto sul suo sostanziale sincronismo con la spedizione coloniale di Miscello a Crotone (nonché con quelle dirette a Nasso e a Megara Iblea), postulando un oracolo di orientamento coloniale congiunto per entrambi gli archegeti,

___________________________________________________ lieres accessissent, ut ab ea primo blandimentis post precibus et praemiis elicerent, ut sibi a Cerere commissa patefaceret, atque in silentio perduraret, ab eisdem iratis mulieribus discerpta est. Quam rem Ceres inmissa tam supra dictis feminis quam populo eius regionis pestilentia ulta est; de corpore vero Melissae apes nasci fecit. Latine autem µȑȜȚııĮ apis dicitur. 80 Cfr. Her. III 50-53; V 92 (donde Const. Porphyr. Exc. de virt. et vit. II 16); Heracl. Pont. frg. 144 Wehrli (da Diog. Laert. I 94), da cui la citazione greca nel testo; Paus. II 28, 8; Athen. XIII 589f.; N. LORAUX, Mélissa, épouse et fille de tyran, in La Grèce au féminin, éd. par N. LORAUX, Paris 2003 (trad. franc. di Grecia al femminile, a cura di N. LORAUX, Roma 1993), pp. 1-37; W. AMELING, Tyrannen und schwangere Frauen, «Historia», 35 (1986), pp. 507-508. 81 BROADBENT, Studies, p. 50: «It thus appears from the names, genealogies and narrative that the principal element in the tale of Aktaion of Corinth is its service as an alternative aition for the ritual of the Isthmia: Melissos shares his name, strangerhood, and manner of death with Melikertes, while Aktaion shares his youth». 82 BROADBENT, Studies, pp. 52-53 (ibi, n. 1: «It seems very likely that the original Pheidon of this story was Pheidon the Corinthian lawgiver»; cfr. supra, n. 33; infra, n. 96); SALMON, Wealthy Corinth, pp. 65-66, 71-72. Di «tarda invenzione di Archia come assassino» parla I. MALKIN, I ritorni di Odisseo. Colonizzazione e identità etnica nella Grecia antica, Roma 2004 (trad. it. di ID., The Returns of Odysseus: Colonization and Ethnicity, Berkeley 1998, a cura di L. LOMIENTO), p. 115.

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invitati a scegliere tra due siti che avrebbero assicurato alle loro future città, rispettivamente, ʌȜȠІΘΓΖ e Ѐ·ϟΉ΍΅83. Altrove è evocata la figura del crapulone Etiope (ǹϢΌϟΓΜ), che durante la navigazione del contingente coloniale verso la Sicilia avrebbe ceduto il suo futuro kleros ad Archia, suo compagno di sissizio, in cambio di un dolce al miele84. La tradizione raccolta da Strabone, in particolare, postula la provenienza di gran parte del contingente coloniale da Tenea (ȉνΑΉ΅/ȉİȞν΅), kome corinzia sede di un importante culto di Apollo ȉİȞİΣΘ΋Ζ (che Aristotele riconduce, come la popolazione locale, a pretese origini troiane e/o tenedie, attraverso l’intermediazione eponimica e genetica di Ten[n]ne figlio di Cicno)85.

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Antioch. Syrac. FGrHist 555 F 10 (da Strab. VI 1, 12; cfr. anche VI 2, 4; VIII 7, 5); Thuc. VI 3, 2 (Archia IJЗΑ ̽Ε΅ΎΏΉ΍ΈЗΑ; fondazione di Siracusa nel 733 a.C.); Diod. 17; Hippys FGrHist 554 F 1; Mantissa proverb. II 27 s. paroem. ȂȣıțνΏΏΓΙ ȥϛΚΓΖ (Corp. Paroem. Gr. II); Aelian. frg. 346 Hercher / 343 Domingo Forasté; Clem. Alex. Strom. I 131, 8 = Eumel. test. 2 Bernabé (sincronismo Eumelo-Archia: cfr. DEBIASI, L’epica perduta, pp. 48-50; M.L. WEST, ‘Eumelos’: a Corinthian epic cycle?, JHS, 122 [2002], pp. 109-133, in particolare p. 109); Steph. Byz. s.v. ȈȣȡΣΎΓΙΗ΅΍; Eustath. Comm. Dion. Per. 369; schol. Aristoph. Nub. 371b; Suid. s.vv. ̝ΕΛϟ΅Ζ, ȂϾΗΎΉΏΏΓΖ. 84 2 Archil. frg. 293 West (in Dem. Sceps. frg. 73 Gaede, da Athen. IV 165d-169b). Cfr. D. ASHERI, Il caso di Aithiops, regola o eccezione?, PP, 29 (1974), pp. 232-236; SALMON, Wealthy Corinth, p. 63. 85 Strab. VIII 6, 22: Ȝν·ΉΘ΅΍ įξ țĮϠ ̝ΕΛϟθ IJХ ıIJİϟΏ΅ΑΘ΍ IJχΑ İϢΖ ȈȣȡĮțȠϾΗ΅Ζ ΦΔΓ΍Ύϟ΅Α IJȠϿΖ ʌȜİϟΗΘΓΙΖ IJЗΑ πΔΓϟΎΝΑ πΑΘΉІΌΉΑ (scil. πΎ IJϛΖ ȉİȞȑĮȢ) ıȣȞİʌĮțȠȜȠȣșϛΗ΅΍. Strabone cita di seguito la testimonianza di Aristotele (frg. 611 Gigon / 594 Rose) sulle origini tenedie del villaggio e del culto, avvalorata da un comune ruolo eponimico e genetico di Te(n)ne figlio di Cicno e, limitatamente al culto, da ȠЁ µȚțȡΤ ıȘµİϧ΅. La connessa vicenda dell’oracolo İЁΈ΅ϟΐΝΑ ϳ ȀϱΕ΍ΑΌΓΖ, π·А įв İϥ΋Α ȉİȞİΣΘ΋Ζ, dato presumibilmente da Apollo a un «Asiatico» (IJȚȞȚ IJЗΑ πΎ IJϛΖ ̝Ηϟ΅Ζ, con indebito emendamento ̝Ην΅Ζ dal Corais) intenzionato a trasferirsi a Corinto, evoca peraltro un quadro di tradizione più complesso, quale emerge in parte dalla testimonianza di Paus. II 5, 4: i Tenedii coinvolti nell’impresa coloniale erano in realtà Troiani (ȉȡЗΉΖ), fatti prigionieri dagli Achei a Tenedo, ai quali Agamennone avrebbe poi concesso di insediarsi nella Corintide, fondandovi appunto Tenea (donde anche una lettura in chiave troiana, piuttosto che tenedia, della preminenza locale del culto di Apollo ȉİȞİΣΘ΋Ζ). L’oracolo, che nella tradizione aristotelica è funzionale all’orientamento dell’apoikia, e forse s’immagina dato proprio dall’Apollo tenedio-troiano a uno dei coloni ȉȡЗΉΖ in partenza πΎ IJϛΖ ̝Ηϟ΅Ζ, è interpretato altrove (Zenob. e Suid. s. paroem. İЁΈ΅ϟΐΝΑ ϳ ȀϱΕ΍ΑΌΓΖ, π·А įв İϥ΋Α ȉİȞİΣΘ΋Ζ) come semplice modo di dire, espressione del vanto localistico di Tenea, prospera e tranquilla țЏΐ΋ țĮIJΣΚΙΘΓΖ (a sessanta stadi da Corinto, sulla strada per Micene ed Argo, nei pressi dell’odierna Chiliomodi: Paus. II 5, 4; Xen. Hell. IV 4, 19), di contro agli inconvenienti ‘metropolitani’ e ai «guai» (ʌȡΣ·ΐ΅Θ΅) di Corinto. Quest’ultima esegesi allude forse a posteriori al diverso schieramento e destino di CoVIII

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Quanto alla sorprendente genealogizzazione ‘temenide’ – ergo ‘argiva’ – di Archia, derivante dalla sua qualifica di įνΎ΅ΘΓΖ ΦΔϲ ȉȘµνΑΓΙ, attraverso un ignoto padre EЁΣ·΋ΘΓΖ, nel Marmo Pario, essa è probabilmente frutto di confusione86, e comunque non basta a dimostrare l’effettiva esistenza di una tradizione ecistica attestante una partecipazione argiva alla fondazione di Siracusa87.

___________________________________________________ rinto e di Tenea nel conflitto finale contro i Romani (Strab. VIII 6, 22), allorché la salvezza della kome collaborazionista poté essere presentata anche come effetto del riconoscimento di comuni origini troiane. La leggenda ecistica tenedio-troiana, comunque, in quanto già nota ad Aristotele, preesisteva senza dubbio ai fatti del 146 a.C. Il contesto storico più plausibile per la sua genesi sembra essere la guerra del Sigeo, allorché la postulazione di una syngeneia Corinto-Tenedo poté essere funzionale al ruolo, forse non solo arbitrale, giocato nel conflitto da Periandro (ancora nel IV secolo a.C. l’auctoritas del tiranno corinzio rappresentava un precedente imprescindibile per i Tenedi, in occasione di una loro contesa con gli abitanti di Sigeo: cfr. Arist. Rhet. 1375b, con determinazione temporale σΑ΅·ΛΓΖ; v. anche [Anon.] Comm. in Arist. Art. Rhet. b31, p. 81 Rabe). In un quadro di strette relazioni tra la Corinto cipselide e il mondo eolico d’Asia (ben documentato dal ruolo privilegiato di Arione [Her. I 23-24] e di ǹϢΓΏΉϧΖ e ȞȘıȚЗΘ΅΍ [Plut. Sept. Sap. conv. 148F] alla corte di Periandro) vanno inquadrate anche le importanti tradizioni lapiti di Lesbo (Lesbo figlio dell’eolide Lapite e sposo di Metimna figlia di Macareo: Diod. V 81, 6, forse da tradizione locale metimnea < Mirsilo < Arione), probabile strumento di syngeneia con i Cipselidi, a loro volta discendenti del lapite Eezione, originario del demo corinzio di Petra (Her. V 92). L’antichità dell’esegesi tenedio-troiana di ȉνΑΉ΅-ȉİȞİΣΘ΋Ζ, che mette a frutto la figura omofona di Te(n)ne figlio di Cicno (oltre alla testimonianza aristotelico-straboniana v. Steph. Byz. s.v. ȉİȞν΅· țЏΐ΋ ȀȠȡϟΑΌΓΙ, ΦΔϲ ȉνΑΓΙ IJȠІ ȀϾΎΑΓΙ), autorizza a ritenere recenziori e deteriori, o persino derivanti da semplici sviste paleografiche o corruttele testuali, le grafie alternative īνΑΉ΅ e īİȞİΣΘ΋Ζ menzionate da Steph. Byz. s.v. īİȞν΅ (con un etnico īİȞİȚΣΈ΅΍ estratto da Partenio), affioranti anche nel detto o proverbio İЁΓΕΎϱΘΉΕΓΖ ȉİȞİΣΘΓΙ, ύ īİȞİΣΘΓΙ (cfr. Append. prov. II 88, in Corpus paroemiographorum Graecorum, I), di esegesi ignota. Per la credibilità storica della provenienza di parte dei coloni siracusani da Tenea si pronunzia SALMON, Wealthy Corinth, p. 63. 86 Marm. Par. FGrHist 239 A 31: supra, n. 72 87 Come ritiene invece KÕIV, Ancient Tradition, p. 286: «Behind all these isolated references we must suppose a basic assumption of the ancients of Argive participation in the western colonisation, particularly in the foundation of Syracuse»; in tal senso già R. VAN COMPERNOLLE, Syracuse, colonie d’Argos?, «Kokalos», 12 (1966), pp. 75-101, in particolare pp. 93-97. La via della forzata storicizzazione dell’anomalia sembra ancora più improponibile nel caso di Ovid. Met. XV 19-20: nam fuit Argolico generatus Alemone quidam / Myscelus, illius dis acceptissimus aevi (con Miscello detto conseguentemente Alemonides a v. 26 e 48): l’etnico Argolicus è per lo più utilizzato da Ovidio in accezione estensiva, alla maniera omerica. Secondo l’oscuro omerologo Democrine, ̝ΏφΐΝΑ era il nome del padre di Omero: cfr. Vita Hom. Rom. lin. 28 Allen (altra menzione di Democrine in schol. Hom. Il. II 742). Il nome ricalca il comune ΦΏφΐΝΑ (da ΦΏΣΓΐ΅΍), sinonimo di ΦΏφΘ΋Ζ o ʌȜĮȞφΘ΋Ζ, «errante».

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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Quest’ultima sembra risultare in qualche modo solo dalla storia di Polli (ȆϱΏΏ΍Ζ, -ȚȠȢ), l’Argivo divenuto re o tiranno di Siracusa che, secondo una tradizione trasmessa da Ippi (in margine forse all’oracolo di fondazione della sua madrepatria Reggio), avrebbe importato in città πΒ ͑Θ΅Ώϟ΅Ζ il vitigno tortile di provenienza tracia detto ǺȚȕȜϟ΅ o ǺȚȕȜϟΑ΋ ΩΐΔΉΏΓΖ, ricavandone una varietà locale di ǺϟΆΏ΍ΑΓΖ ȠϨΑΓΖ poi denominata, con implausibile eponimia, ȆϱΏΏ΍ΓΖ88. Anche a voler prescindere dalle differenziazioni, almeno in parte non accidentali e ‘pregnanti’, che percorrono il racconto nelle sue ulteriori varianti89, e che investono per esempio l’effettiva regione d’origine del vitigno (Tracia, Argolide, Italia o Nasso) o l’identità stessa di Polli (non caratterizzato sempre e solo come ̝Ε·ΉϧΓΖ, ma anche come π·ΛЏΕ΍ΓΖ ȕĮıȚȜİϾΖ di Siracusa, ovvero – ma qui si pensa in genere a una banalizzazione della tradizione manoscritta – ȈȚțȣЏΑ΍ΓΖ o ȈȚțȣЏΑ΍ΓΖ IJϾΕ΅ΑΑΓΖ), si può ammettere tutt’al più che questo filone di tradizione attesti l’esistenza a Siracusa di un genos sedicente ‘argivo’ rivendicante qualche syngeneia (non necessariamente di ascendenza apecistica) con Argo90; ma non certo che tale elemento, facendo sistema con tutto il resto, confermi per Fidone il ruolo di motore eziologico e di marcatore cronologico dell’intera vicenda91.

___________________________________________________ 88

Hippys FGrHist 554 F 4 (da Athen. I 56 [31b]): ͖ΔΔΙΖ įξ ϳ ͦ΋·ϧΑΓΖ IJχΑ İϢΏΉϲΑ țĮȜȠȣµνΑ΋Α ΩΐΔΉΏΓΑ ȕȚȕȜϟ΅Α ijȘıϠ țĮȜİϧΗΌ΅΍· ϋΑ ȆϱΏΏ΍Α IJϲΑ ̝Ε·ΉϧΓΑ, ϶Ζ πΆ΅ΗϟΏΉΙΗΉ ȈȣȡĮțȠıϟΝΑ, ʌȡЗΘΓΑ İϢΖ ȈȣȡĮțȠϾΗ΅Ζ țȠµϟΗ΅΍ πΒ ͑Θ΅Ώϟ΅Ζ. Ǽϥ΋ ΪΑ ȠЇΑ ϳ ʌĮȡΤ ȈȚțİȜȚЏΘ΅΍Ζ ȖȜȣțϿΖ țĮȜȠϾΐΉΑΓΖ ȆϱΏΏ΍ΓΖ ϳ ǺϟȕȜȚȞȠȢ ȠϨΑΓΖ. Cfr. di recente G. VANOTTI, Il frammento 4 Jacoby di Ippi e la fondazione di Rhegion, «Athenaeum», 91 (2003), pp. 523-530 (con bibliografia precedente). Per la cronologia di Ippi, v. in breve EAD., Ippi di Reggio, in Storici greci d’Occidente, a cura di R. VATTUONE, Bologna 2002, pp. 33-54, in particolare pp. 33-38. L’importazione di un vitigno πΒ ͑Θ΅Ώϟ΅Ζ chiama in causa ovviamente tradizioni in cui l’ȅϢΑΝΘΕϟ΅ vinifera era considerata regione di provenienza di Siculi, Elimi e/o Morgeti: cfr. Thuc. VI 2, 4; Hellan. FGrHist 4 F 79b; Antioch. FGrHist 555 F 2, 4, 9 ecc. 89 Arist. frg. 602 Gigon / 585 Rose (ricostruito a partire dai luoghi di Polluce, Ateneo, Etymologicum Magnum ed Eliano citati appresso); Athen. I 56 [31b] (contenente, oltre a quelle di Ippi e di Aristotele già ricordate, citazioni di Acaio di Eretria 2 [frg. 41 Snell = 41 Nauck ], Filillio di Atene [frg. 23 Kassel-Austin = 24 Kock], Epicarmo [frg. 170 Kassel-Austin = 174 Kaibel] e Armenida [FGrHist 378 F 3]); Aelian. VH XII 31; Poll. VI 16; Steph. Byz. s.v. ǺȚȕȜϟΑ΋; Etym. M. e Gen. s.v. ǺϟΆΏ΍ΑΓΖ ȠϨΑΓΖ (gli ultimi due contenenti, oltre al luogo già ricordato di Epicarmo, un frammento di Semo di Delo [FGrHist 396 F 13]). 90 Un Polli argivo è ambasciatore ϢΈϟθ presso Sitalce nel 430 a.C.: Thuc. II 67, 1. 91 Cfr. ad esempio KÕIV, Ancient Tradition, p. 286: «(...) since Pheidon must have been associated with the colonisation in the Corinthian tradition, it would be reasonable to suggest that he was believed to have launched the movement from Pelo-

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Ipotesi per ipotesi, i Siracusani-Argivi di Polli potrebbero a pari titolo essere identificati con i ǻȦȡȚİϧΖ secessionisti di Megara Iblea, insediatisi al capo Zefirio e poi aggregati da Archia nello stolos coloniale diretto a Siracusa92. In realtà, il perseguimento forzoso di una ‘circolarità’ e coerenza sistemica del racconto a partire dagli sparuti frammenti di tradizione in nostro possesso è un metodo sconsigliabile, che, lungi dal risolvere le aporie esistenti, ne genera altre93. Analogo discorso vale dunque per la contestualizzazione fidoniana della vicenda di Atteone. Intrinsecamente debole – come si è visto – per la sua incostante presenza nelle fonti, per la configurazione oscillante della genealogia di Melisso, e soprattutto per la matrice evidentemente eziologica del diasparagmos di Atteone (leggibile pertanto in chiave antropologica, non storicizzante), essa parrebbe trovare una vaga conferma solo in un breve frammento di Nicolao Damasceno, che situa a Corinto la morte di Fidone, intromessosi per legami di amicizia (țĮIJΤ ijȚȜϟ΅Α) in una stasis locale, e perito in un agguato tesogli dai suoi stessi οΘ΅ϧΕΓ΍94. La situazione adombrata dal frammento del Damasceno, ed in particolare l’esito della vicenda, sono però diversi da quelli prospettati nella storia di Atteone; sicché, ancora una volta, pare improprio contaminare e piegare a vicendevole conferma i due bloc-

___________________________________________________ ponnese to Sicily in the Syracusan tradition as well»; 287: «Thus the story about Aktaion’s murder integrally connected the aggression of Pheidon against Corinth, the unavenged crime of Archias which caused the curse of the Bakchiads, and the foundation of Syracuse as its principal result». 92 Cfr. Ephor. FGrHist 70 F 137 (riecheggiato in Strab. VI 2, 4 e Ps.-Scymn. 270-282, in particolare pp. 275 e 278). Sulla questione v. soprattutto R. VAN COMPERNOLLE, Lo stanziamento di apoikoi greci presso Capo Zefirio (Capo Bruzzano) nell’ultimo terzo dell’VIII secolo a.C., ASNS, 22 (1992), pp. 761-780; ID., Étude de chronologie et d’historiographie siciliotes. Recherches sur le système chronologique des sources de Thucydide concernant la fondation des colonies siciliotes, Bruxelles 1959 (ma 1960), pp. 283-284, 412 n. 3; G. VALLET - FR. VILLARD, Les dates de fondation de Mégara Hyblaea et de Syracuse, BCH, 76 (1952), pp. 289-346, in particolare pp. 309-312. 93 Altrettanto improponibile il metodo della ‘verifica’ incrociata con i dati archeologici, rappresentati nel caso specifico da ritrovamenti di ceramica argiva o argivizzante nella necropoli di inizio VII secolo a.C. di Fusco a Siracusa. Cfr. VAN COMPERNOLLE, Syracuse; SALMON, Wealthy Corinth, p. 66. Conscio della difficoltà lo stesso KÕIV, Ancient Tradition p. 286. 94 Nic. Dam. FGrHist 90 F 35 (da Const. Porphyrog. Exc. de insid. 12): ͣΘ΍ ĭİϟΈΝΑ țĮIJΤ ijȚȜϟ΅Α ıIJĮıȚΣΊΓΙΗ΍ ȀȠȡȚȞșϟΓ΍Ζ ȕȠȘșЗΑ, πΔ΍ΌνΗΉΝΖ πΎ IJЗΑ οΘ΅ϟΕΝΑ ȖİȞȠµνΑ΋Ζ, ΦΔνΌ΅ΑΉΑ.

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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chi di tradizione. In particolare, la mancanza di qualsiasi specificazione etnica (e cronologica) per il protagonista ĭİϟΈΝΑ nell’aneddoto del Damasceno lascia aperta l’eventualità di un riferimento al Fidone corinzio già ricordato95, noto ad Aristotele come ȞȠµȠșνΘ΋Ζ IJЗΑ ΦΕΛ΅΍ΓΘΣΘΝΑ e riformatore del regime degli ȠϨΎΓ΍ e dei țȜϛΕΓ΍ a Corinto stessa96. La cronologizzazione storicizzante della leggenda di Melisso e di Atteone può essersi insomma inizialmente agganciata al ‘tempo storico’ del Fidone locale, corinzio; per poi scivolare confusamente verso un indebito riferimento al Fidone argivo. Un altro filone di tradizione corinzia o corintizzante su Fidone si conserva negli scoli alla tredicesima Olimpica di Pindaro. Qui, nel contesto della celebrazione della doppia vittoria (stadio e pentatlo: 464 a.C.) del corinzio Senofonte, esponente della fratria degli Oligetidi, si esaltano gli heuremata della madrepatria dell’atleta: a Corinto furono creati il ditirambo, la decorazione acroteriale o frontonale dei templi, e i µνΘΕ΅ aggiunti (applicati?) ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ πΑ 97 σΑΘΉΗΗ΍Α . L’espressione ϣΔΔΉ΍΅ σΑΘΉ΅ (letteralmente «attrezzi equestri», «equipaggiamento equestre») è alquanto vaga. Il confronto con un altro luogo pindarico in cui essa è utilizzata in ma98 niera meno ermetica , e alcune indicazioni ricavabili dalla com99 posita e spesso improbabile tradizione scoliastica , orientano ver-

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Cfr. supra, n. 33 e testo corrispondente. Arist. Pol. II 1265b: ĭİϟΈΝΑ µξΑ ȠЇΑ ϳ ȀȠȡϟΑΌ΍ΓΖ, ЖΑ ȞȠµȠșνΘ΋Ζ IJЗΑ ΦΕΛ΅΍ΓΘΣΘΝΑ, IJȠϿΖ ȠϥΎΓΙΖ ϥΗΓΙΖ КφΌ΋ įİϧΑ įȚĮµνΑΉ΍Α țĮϠ IJϲ ʌȜϛΌΓΖ IJЗΑ ʌȠȜȚIJЗΑ, țĮϠ İϢ IJϲ ʌȡЗΘΓΑ IJȠϿΖ țȜφΕΓΙΖ ΦΑϟΗΓΙΖ İϨΛΓΑ ʌΣΑΘΉΖ țĮIJΤ µν·ΉΌΓΖ· πΑ įξ IJȠϧΖ ȞϱΐΓ΍Ζ IJȠϾΘΓ΍Ζ IJȠЁΑ΅ΑΘϟΓΑ πΗΘϟΑ. 97 Pind. Ol. XIII 17-22: ̢ʌĮȞ įв İЀΕϱΑΘΓΖ σΕ·ΓΑ. / TĮϠ ǻȚȦȞϾΗΓΙ ʌϱΌΉΑ πΒνΚ΅ΑΉΑ / ıϿΑ ȕȠȘȜΣΘθ ȤΣΕ΍ΘΉΖ įȚșȣȡΣΐΆУЪ / TϟΖ ȖΤΕ ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ πΑ σΑΘΉΗΗ΍Α µνΘΕ΅, / ύ șİЗΑ ȞĮȠϧΗ΍Α ȠϢΝΑЗΑ ȕĮıȚȜ įϟΈΙΐΓΑ / πΔνΌ΋ΎвЪ 98 Pind. Nem. IX 22: ȤĮȜțνΓ΍Ζ ϵΔΏΓ΍Η΍Α ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ IJİ ıϿΑ σΑΘΉΗ΍Α (marcia dei Sette verso Tebe), con schol. [Patm.] Pind. Nem. IX 52 (sic): «σΑΘΉΗ΍Α»· ό·ΓΙΑ ΧΕΐ΅Η΍Α. Cfr. anche Anon. in SH frg. 988, l. 3: [ ]·ȠȢ ΦΚв ΧΕΐ΅ΘΓΖ σΑΘΉ įҕв ϣщΔΔΝΑ (epigramma adespota). 99 Schol. vet. Pind. Ol. XIII 27a-d: (a) «IJϟΖ ȖΤΕ ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ πΑ σΑΘΉΗ΍ µνΘΕ΅»· ȉȠȣIJνΗΘ΍ IJΤ ϣΔΔΉ΍΅ µνΘΕ΅ IJȠІ ȤĮȜȚȞȠІ. ̝ΔȠįİįЏΎ΅Η΍ įξ IJХ įȠțİϧΑ IJϲΑ Ȇφ·΅ΗΓΑ ʌȡЗΘΓΑ ЀΔϲ ǺİȜȜİȡȠijϱΑΘΓΙ πΑ ȀȠȡϟΑΌУ țĮIJİȗİІΛΌ΅΍. ǻϟΈΙΐΓΖ įν ijȘıȚ µφΘΉ IJȠϿΖ ϡΔΔ΍ΎΓϿΖ įȡϱΐΓΙΖ µφΘΉ IJΤΖ IJЗΑ ΥΕΐΣΘΝΑ țĮIJĮıțİȣΤΖ µφΘΉ IJϲΑ ȤĮȜȚȞϲΑ įȚΤ IJȠϾΘΝΑ įȘȜȠІΗΌ΅΍, ΦΏΏΤ IJϲΑ țİȡĮµİȚțϲΑ IJȡȠȤȩȞ, πΎ µİIJĮijȠȡκΖ įȚȤϱΌΉΑ µİIJİȞȘȞİȖµνΑ΋Ζ, IJȠІΘΓ µξΑ ϵΘ΍ ϣΔΔΓ΍Ζ ȠϢΎΉϧΓΖ ϳ IJȡȠȤȩȢ, IJȠІΘΓ įξ ϵΘ΍ οΎ΅ΘνΕΝΌΉΑ πΏ΅ϾΑΉΘ΅΍ ЀΔϲ ʌȠįϲΖ ʌIJνΕΑ΋Ζ. ȀĮȜȜϟΐ΅ΛΓΖ (frg. 263 Pf.)· «ʌIJνΕΑϙ șв ϣΔΔΓΖ πΏ΅ΙΑϱΐΉΑΓΖ». (b) ȉϟΖ ȖΣΕ, ijȘıȚȞ, ρΘΉΕΓΖ İЈΕΉ IJΤ µνΘΕ΅ IJΤ πΑ IJȠϧΖ ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ σΑΘΉΗ΍ țĮϠ ϵΔΏΓ΍Ζ ȖȚȞϱΐΉΑ΅Ъ ͒ΔΔΉ96

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so tre possibili significati: «finimenti», «bardatura» o «carri» . Resta peraltro assai incerto il senso di µνΘΕ΅ in unione con σΑΘΉ΅: possibile allusione alle briglie o al morso, in quanto strumenti per imporre limite e «misura» al cavallo; ovvero riferimento a una «misura» o dimensione standardizzata, tipicamente corinzia, degli σΑΘΉ΅ stessi (in tal senso parrebbe orientare l’esegesi scoliastica IJȠȣIJνΗΘ΍ IJΤ ϣΔΔΉ΍΅ µνΘΕ΅ IJȠІ ȤĮȜȚȞȠІ). In entrambi i casi, la locuzione pindarica richiama la leggenda locale corinzia evocata nel séguito dell’epinicio (vv. 63-82): l’aggiogamento di Pegaso a opera di Bellerofonte e la conse101 guente istituzione del culto corinzio della Hippia-Chalinitis . Fuorvianti e distorte – ma egualmente interessanti per il nostro tema – appaiono alcune letture traslate alternative, prospettate anch’esse dagli scoli. Tra queste in particolare la spiegazione di ϣΔΔΉ΍΅ σΑΘΉ΅ come metafora della ruota del carro, immagine con la quale Pindaro evocherebbe per analogia l’invenzione del-

___________________________________________________ ϟΓ΍Ζ įξ σΑΘΉΗ΍Α İϨΔΉ IJȠϧΖ IJȡȠȤȠϧΖ IJȠϧΖ țİȡĮµİȚțȠϧΖ, πΔΉ΍Έχ πΔϠ IJȡȠȤȠІ ʌȜΣΘΘΉΘ΅΍, ϳ įξ IJȡȠȤϲΖ țȠȚȞȦȞİϧ IJХ ΧΕΐ΅Θ΍ IJЗΑ ϣΔΔΝȞ. (c) ȀĮϠ ĬİϱΚΕ΅ΗΘΓΖ µξΑ πΑ IJХ ʌİȡϠ İЀΕ΋ΐΣΘΝΑ ͩΔνΕΆ΍ΓΑ IJϲΑ ȀȠȡϟΑΌ΍ϱΑ ijȘıȚȞ İЀΕ΋ΎνΑ΅΍ IJχΑ IJȠІ țİȡĮµİȚțȠІ IJȡȠȤȠІ µȘȤĮȞφΑ. ȂνΘΕ΅ įξ ĮЁΘϲΑ ϳ ȆϟΑΈĮȡȠȢ, ʌĮȡϱΗΓΑ πΑ țİȡĮµİȚțȠϧΖ µİIJȡȠІΐΉΑ. [ȀĮϠ ϵΗ΅ ΩΏΏ΅, ȤϱΉΖ, ȥȣțIJϛΕΉΖ, țЏΌΝΑΉΖ.] ̷Α΍Γ΍ įξ ϣΔΔΉ΍΅ σΑΘΉ΅ ΧΕΐ΅Θ΅ țĮϠ ȤĮȜȚȞȠȪȢ, ΦΔϲ µνΕΓΙΖ IJȠϿΖ ʌȠȜݵȚțȠϾΖ. ͣΘ΍ įξ ʌĮȡв ĮЁΘΓϧΖ ϳ ȤĮȜȚȞϲΖ İЂΕ΋Θ΅΍, įİϟΎΑΙΗ΍ IJΤ οΒϛΖ. (d) ͟ ǻϟΈΙΐΓΖ οΘνΕ΅Α ΦΔΓΈϟΈΝΗ΍Α ȠЂΘΝΖ σΛΓΙΗ΅Α· IJχΑ «σΑ» ʌȡϱΌΉΗ΍Α, ΦΑΘϠ IJϛΖ «İϥΖ» țİȚµνΑ΋Α, ıȣȞĮʌIJνΓΑ ʌȡϲΖ IJΤ µνΘΕ΅· IJϟΖ ȖΤΕ IJȠϧΖ İϢΖ IJΤ µνΘΕ΅ ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ σΑΘΉΗ΍Α πΛΕφΗ΅ΘΓ ʌȡЏΘ΋ ύ ıȪ, И ȀϱΕ΍ΑΌΉЪ ͖ΔΔΉ΍΅ įξ σΑΘΉ΅ ΦΎΓΙΗΘνΓΑ IJΤ ĭİȚįЏΑΉ΍΅ Φ··Ήϧ΅· σΑΘΉ΅ ȖΤΕ ΪΑ İϥ΋ IJΤΖ ȤȠϟΑ΍Ύ΅Ζ țĮϠ IJȠϿΖ µİįϟΐΑΓΙΖ Ȝν·ΝΑ, įȚΤ IJχΑ țȠȚȜϱΘ΋Θ΅. ȀĮϠ ͣΐ΋ΕΓΖ (Od. VII 232)· «̝ΐΚϟΔΓΏΓ΍ įв ΦΔΉΎϱΗΐΉΓΑ σΑΘΉ΅ įĮȚIJϱΖ». ȉȠϾΘΝΑ ȠЇΑ IJЗΑ İϢΖ IJΤ µνΘΕ΅ πΑΘνΝΑ İЀΕΉΘΣΖ ijȘıȚȞ İϨΑ΅΍ IJȠϿΖ ȀȠȡȚȞșϟΓΙΖ. ǻȚĮIJϟ įξ ϣΔΔΉ΍΅ ĮЁΘΤ İϨΔΉΑЪ ͣΘ΍ ĭİϟΈΝΑ ϳ ʌȡЗΘΓΖ țϱΜ΅Ζ ȀȠȡȚȞșϟΓ΍Ζ IJϲ µνΘΕΓΑ ̝Ε·ΉϧΓΖ ώΑ·IJϲ įξ ̡Ε·ΓΖ ϣΔΔΉ΍ΓΑ ȜνȖȠȣıȚȞ Ƞϡ ʌȠȚȘIJĮϟ. ǼЁΕ΍ΔϟΈ΋Ζ (Iphig. Taur. 700)· «ͣΘ΅Α İϢΖ ̴ΏΏΣΈв ϣΔΔΉ΍ϱΑ IJв ̡Ε·ΓΖ µϱΏϙΖ». Schol. rec. Ol. XIII 26: (...) ǼЈΕΓΑ įξ ȀȠȡϟΑΌ΍Γ΍ ʌȡЗΘΓΑ IJȠІΘΓΑ πΑ IJȠϧΖ ǻȚȠȞȣıȚĮțȠϧΖ, ГΗΔΉΕ țĮϠ IJϲ µνΘΕΓΑ IJȠІ țİȡĮµİȚțȠІ IJȡȠȤȠІ, ʌϱΗΓΑ įİϧ ȖϟΑΉΗΌ΅΍, ϶Α ϣΔΔΉ΍΅ σΑΘΉ΅ țĮȜİϧ, țĮϠ IJΤ πΔΣΑΝ IJЗΑ ȞİЗΑ ΦΉΘЏΐ΅Θ΅ įȚʌȜκ. 100 Per quest’ultimo significato v. anche schol. Il. XXIV 277: ȀĮϠ ȆϟΑΈ΅ΕΓΖ IJΤ ΧΕΐ΅Θ΅ σΑΘΉΣ ijȘıȚȞ· «ϡΔΔΉϟΓ΍Ζ †σΑΘΉΗ΍† µνΘΕ΅»; schol. Opp. Hal. II 328: σΑΘΉ΅ IJΤ ΧΕΐ΅Θ΅ ΦΔϲ IJȠІ σΛΉ΍Α țĮϠ ijȣȜΣΗΗΉ΍Α πΑΘϲΖ IJϲΑ ϳΔΏ΍ΊϱΐΉΑΓΑ. 101 La cosa è segnalata in schol. vet. Pind. Ol. XIII 27c (supra, n. 99): ϵΘ΍ įξ ʌĮȡв ĮЁΘΓϧΖ ϳ ȤĮȜȚȞϲΖ İЂΕ΋Θ΅΍, įİϟΎΑΙΗ΍ IJΤ οΒϛΖ. Per la Chalinitis, Bellerofonte e l’invenzione del ȤĮȜȚȞȩȢ cfr. schol. rec. Pind. Ol. XIII 86; 100-112; Paus. II 4, 1-2; Aristid. Athen. 14; Nella lista di protoi heuretai fornita da Plin. NH VII 202 è menzionato – unico Corinzio – Bellerofonte, scopritore equo vehi. L’invenzione dei finimenti e delle bardature (freni et strata) è attribuita invece a un Peletronius, evidentemente tessalico e forse identificabile con Chirone (cfr. Hesych. s.v. ȆİȜİșȡϱΑ΍ΓΖ); quella delle bighe ai Frigi, e delle quadrighe a Erittonio.

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la ruota da vasaio a opera del corinzio Iperbio (tradizione attestata da Teofrasto), alludendo poi con il termine µνΘΕ΅ ai vasi con essa plasmati, in quanto recipienti ‘misuratori’: µνΘΕ΅ įξ ĮЁΘϲΑ (scil. IJϲΑ țİȡĮµİȚțϲΑ IJȡȠȤȩȞ) ϳ ȆϟΑΈ΅ΕΓΖ, ʌĮȡϱΗΓΑ πΑ țİȡĮµ102 İȚțȠϧΖ µİIJȡȠІΐΉΑ [țĮϠ ϵΗ΅ ΩΏΏ΅, ȤϱΉΖ, ȥȣțIJϛΕΉΖ, țЏΌΝΑΉΖ] . Ancora più contorta l’interpretazione che lo scoliaste ascrive a 103 (un) Didimo . Nei versi di Pindaro la preposizione πΑ, usata in luogo di İϢΖ, si legherebbe a µνΘΕ΅, producendo il senso «Chi mai prima di te, o Corinto, utilizzò gli strumenti equestri per la misurazione?». Per «strumenti equestri» occorrerebbe poi intendere i vasi fidoniani (IJΤ ĭİȚįЏΑΉ΍΅ Φ··Ήϧ΅), quali chenici e medimni, a causa della loro concavità (įȚΤ IJχΑ țȠȚȜϱΘ΋Θ΅: il riferimento va qui ad una paretimologia πΑΘϱΖ [«dentro»] > σΑΘΉ΅, 104 del pari nota allo scoliaste) . Il senso dell’espressione di Pindaro sarebbe dunque che inventori di questi «strumenti», ossia «recipienti» o «contenitori», destinati alla misurazione furono i Corinzi (IJȠϾΘΝΑ ȠЇΑ IJЗΑ İϢΖ IJΤ µνΘΕ΅ πΑΘνΝΑ İЀΕΉΘΣΖ ijȘıȚȞ İϨΑ΅΍ IJȠϿΖ ȀȠȡȚȞșϟΓΙΖ). Ad σΑΘΉ΅ sarebbe poi apposto l’epiteto ϣΔΔΉ΍΅, «equestri», perché Fidone, che per primo coniò per i Corinzi le unità di misura, era argivo (ϵΘ΍ ĭİϟΈΝΑ ϳ ʌȡЗΘΓΖ țϱΜ΅Ζ ȀȠȡȚȞșϟΓ΍Ζ IJϲ µνΘΕΓΑ ̝Ε·ΉϧΓΖ ώΑ), e i poeti definiscono Argo appunto «equestre». Questa tradizione, marcatamente eclettica, mostra di nuovo la tendenza, già notata sopra, a confondere Fidone di Argo con

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Schol. vet. Pind. Ol. XIII 27b-c (testo riportato supra, n. 99). I nomi specifici di alcuni vasi misuratori appartengono probabilmente ad una glossa interpolata. Cfr. anche schol. rec. Ol. XIII 26 (testo riportato supra, n. 99). 103 Schol. vet. Pind. Ol. XIII 27d (testo riportato supra, n. 99). 104 Cfr. ad esempio schol. vet. Pind. Ol. VII 22: «σΑΘΉΗ΍Α ĮЁΏЗΑ»· ʌİȡȚijȡĮıIJȚțЗΖ IJȠϧΖ ĮЁΏΓϧΖ, ȠЃΖ σΑΘΉ΅ İϨΔΉ ʌĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ σΛΉ΍Α IJχΑ ijȦȞφΑ. Cfr. anche schol. Il. III 339: σΑΘΉ΅ İϥΕ΋ΑΘ΅΍ ʌĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ ʌİȡȚνΛΉ΍Α; X 23c: σΑΘΉ΅ įξ ΦΔϲ IJȠІ πΑΘϲΖ σΛΉ΍Α IJϲΑ ΩΑΈΕ΅; X 75b: σΑΘΉ΅ ʌĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ ĮЁΘЗΑ İϨΑ΅΍ IJϲΑ ijȠȡȠІΑΘ΅; schol. Opp. Hal. II 328 (supra, n. 100); Apollon. Soph. s.v. σΑΘΉ΅· IJΤ ϵΔΏ΅, țȣȡϟΝΖ IJΤ πΑΘϲȢ ʌİȡȚνΛΓΑΘ΅ IJϲΑ ΩΑΈΕ΅, ȠϩΓΑ ΦΗΔϠΖ țĮϠ șЏΕ΅Β țĮϠ țȞȘµϧΈΉΖ. ȁν·Ή΍ įξ ΦΔϲ IJϛΖ ĮЁΘϛΖ πΑΑΓϟ΅Ζ țĮϠ IJΤ Φ··Ήϧ΅ σΑΘΉ΅, ΦΔϲ IJȠІ πΑΘϲΖ ĮЀΘЗΑ IJȚȞΤ ʌİȡȚνΛΉ΍Α, ȠϩΓΑ «ΦΐΚϟΔΓΏΓ΍ įв ΦΔΉΎϱΗΐΉΓΑ σΑΘΉ΅ įĮȚIJϱΖ» (Od. VII 232); Orion s.v. σΑΘΉ΅· IJΤ ϵΔΏ΅. ȆĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ ʌİȡȚȜĮµȕΣΑΉ΍Α IJϲ ıЗΐ΅. OϩΓΑ ıțİʌĮıIJφΕ΍Σ IJȚȞĮ ϷΑΘ΅; Etym. Gud. s.v. σΑΘΉ΅· ϵΔΏ΅· ΦΔϲ IJȠІ πΑΘϲΖ ʌİȡȚνΛΉ΍Α țĮϠ ıțİʌΣΊΉ΍Α IJϲ ıЗΐ΅· ύ IJΤ ʌȡϲΖ IJχΑ İЁΝΛϟ΅Α ıțİϾ΋· ύ ʌĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ ʌİȡȚȜĮµȕΣΑΉ΍Α IJϲ ıЗΐ΅; Etym. M. s.v. σΑΘΉ΅· IJΤ ϵΔΏ΅· ʌĮȡΤ IJϲ πΑΘϲΖ ʌİȡȚȜĮµȕΣΑΉ΍Α IJϲ ıЗΐ΅, țĮϠ πΑΘϲΖ İϨΑ΅΍ IJϲΑ ijȠȡȠІΑΘ΅· ȠϡΓΑΉϠ ıțİʌĮıIJφΕ΍Σ IJȚȞĮ ϷΑΘ΅, įȚΤ IJϲ ʌİȡȚȜĮµȕΣΑΉ΍Α IJΤ ıЏΐ΅Θ΅.

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l’omonimo legislatore corinzio ricordato da Aristotele , in un quadro in cui operano (a) possibili reminiscenze di un’effettiva implicazione del tiranno argivo nelle vicende interne di Corinto (cfr. la tradizione di Nicolao Damasceno), forse da inquadrare nel 106 tentativo di ricostituzione del ‘lotto di Temeno’ ; (b) interferenze fra le tradizioni relative al primato corinzio nelle technai ceramiche e quelle su Fidone ‘metrologista’, nel suo ruolo specifico di inventore dei µȑIJȡĮ volumetrici, ossia țİȡĮµİȚțȐ e ĭİȚįЏΑΉ΍΅ Φ··Ήϧ΅, «vasi fidoniani», tra cui in particolare medimni e metreti, 107 nonché forse ȤϱΉΖ, ȥȣțIJϛΕΉΖ e țЏΌΝΑΉΖ ; (c) vaghe allusioni all’altro aspetto della metrologia fidoniana, quello dell’invenzione di µȑIJȡĮ ponderali in senso stretto, in qualche modo connessi anche alla questione del ȞȩµȚıµĮ (si noti l’inedita associazione di µȑ108 IJȡȠȞ al verbo tipico della coniazione, țϱΜ΅΍) . In un certo senso, l’idea di Didimo è che țİȡĮµİȚțȐ ed Φ··Ήϧ΅ siano un’invenzione corinzia, ma che la loro standardizzazione a fini metrici, ossia la loro trasformazione in µȑIJȡĮ volumetrici, sia opera di Fidone di Argo. Quest’ultimo si sarebbe occupato anche di µȑIJȡĮ ponderali in senso stretto, presumibilmente ‘coniando’ (ossia fondendo e marcando) un sistema di pesi-campione metallici utilizzato per la 109 pesatura comparativa a bilancia .

5. Fidone e gli spiedi Per il ruolo attribuito a Fidone nell’invenzione della moneta sono fondamentali le voci ϴΆΉΏϟΗΎΓΖ, ϴΆΉΏϱΖ ed ϴΆΓΏϱΖ

___________________________________________________ 105

Cfr. Arist. Pol. II 6, 1265b: supra, nn. 33, 82, 96. Fidone diventa di nuovo ȀȠȡϟΑΌ΍ΓΖ ΦΑφΕ in schol. vet. Pind. Ol. XIII 17e: ĭȘıϠ įξ IJĮІΘ΅, πΔΉ΍Έχ ĭİϟΈΝΑ IJȚȢ, ȀȠȡϟΑΌ΍ΓΖ ΦΑφΕ, İЈΕΉ µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµϟ΅· țĮϠ ΩΏΏ΅ ʌȠȜȜΤ Ȝν·ΓΑΘ΅΍ İЀΕ΋ΎνΑ΅΍ Ƞϡ ȀȠȡϟΑΌ΍Γ΍· įȚϲ țĮϠ πΔ΍ΚνΕΉ΍· «ʌκΑ įв İЀΕϱΑΘΓΖ σΕ·ΓΑ». ȆȠȜȜΤ ȠЇΑ İЈΕΓΑ Ƞϡ ȀȠȡϟΑΌ΍Γ΍; 21d: ȉĮІΘ΅ įν ijȘıȚȞ πΔΉ΍Έχ ĭİϟΈΝΑ IJȚȢ ΦΑχΕ ȀȠȡϟΑΌ΍ΓΖ İЈΕΉ µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµȠϾΖ. ȀĮϠ ΩΏΏ΅ ʌȠȜȜΤ Ȝν·ΓΑΘ΅΍ İЀȡȘțνΑ΅΍ Ƞϡ ȀȠȡϟΑΌ΍Γ΍. A titolo di pura curiosità, si osservi che il nome del più celebrato destriero corinzio, ĭİȚįϱΏ΅ o ĭİȚįȫȜĮ (Anacr. in Anth. Pal. VI 135; Paus. VI 13, 9-10), richiama l’aggettivo ijİȚįȦȜȩȢ/ ijİȚįȣȜȩȢ, cui alcune fonti riconducono espressamente l’antroponimo ĭİȓįȦȞ (supra, n. 8). 106 Supra, n. 34, 37; infra, n. 174. 107 Cfr. supra, introduzione. 108 Infra, par. 8. 109 Infra, par. 8.

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dell’Etymologicum di Orione di Tebe (V secolo d.C.), riprese testualmente, salvo integrazioni e modifiche minori, in una serie concatenata di lessici posteriori (> Etymologicum Genuinum [IX secolo d.C.] > Etymologicum Gudianum [XI secolo d.C.]), fino all’Etymologicum Magnum (ca. 1150 d.C.). Nel primo lemma orioneo, l’etimologia di ϴȕİȜϱΖ / ϴȕİȜϟΗΎΓΖ è riportata, attraverso un improbabile mutamento consonantico ij > ȕ (ϴijİȜϱΖ > ϴȕİȜϱΖ / ϴijİȜϟΗΎΓΖ > ϴȕİȜϟΗΎΓΖ), al verbo ϴΚνΏΏΉ΍Α (medio -İıșĮȚ, «accrescersi»). Si postula insomma un riferimento alla «dilatazione» İϢΖ µϛΎΓΖ dello spiedo esposto alla fiamma110. Si tratta di una tradizione lato sensu aristotelica (riferibile cioè alla cerchia dei redattori delle ȆȠȜȚIJİϧ΅΍)111, in quanto in Polluce, che la riporta in termini sostanzialmente simili, si trova ascritta espressamente alla ȈȚțȣȦȞϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟĮ112. Nel lemma ϴΆΉΏϱΖ, Orione riferisce invece una diversa paretimologia, tratta dal ȆİȡϠ ʌĮșЗΑ di Erodiano, che in virtù di un ipotetico prefisso Ƞ- fa discendere ϴȕİȜϱΖ da ȕΣΏΏΉ΍Α e dal suo derivato ȕνΏΓΖ («arma da lancio», «dardo», «giavellotto»), giocando stavolta sulla somiglianza fisica tra i due oggetti113. 114 Quanto a ϴΆΓΏϱΖ («obolo») , il grammatico egizio considera

___________________________________________________ 110

Orion s.v. ϴΆΉΏϟΗΎΓΖ· ϴΚΉΏϟΗΎΓΖ IJϠΖ ЕΑ, ϳ İϢΖ µϛΎΓΖ ϴΚΉΏΏϱΐΉΑΓΖ țĮϠ πΒΉΏ΅ΙΑϱΐΉΑΓΖ. 111 Cfr. supra, n. 2. 112 Cfr. Poll. IX 77-78: IJϲ µνΑΘΓ΍ IJЗΑ ϴΆΓΏЗΑ ϷΑΓΐ΅ Ƞϡ µξΑ ϵΘ΍ ʌΣΏ΅΍ ȕȠȣʌϱΕΓ΍Ζ ϴΆΉΏΓϧΖ πΛΕЗΑΘΓ ʌȡϲΖ IJΤΖ ΦΐΓ΍ΆΣΖ, ЙΑ IJϲ ЀΔϲ IJϜ įȡĮțϠ ʌȜϛΌΓΖ πΈϱΎΉ΍ țĮȜİϧΗΌ΅΍ įȡĮȤµφ, IJΤ įв ϴΑϱΐ΅Θ΅ țĮϠ IJȠІ ȞȠµϟΗΐ΅ΘΓΖ µİIJĮʌİıϱΑΘΓΖ İϢΖ IJχΑ ȞІΑ Ȥȡİϟ΅Α πΑνΐΉ΍ΑΉΑ πΎ IJϛΖ µȞφΐ΋Ζ IJϛΖ ʌĮȜĮȚκΖ· ̝Ε΍ΗΘΓΘνΏ΋Ζ įξ IJĮЁΘϲΑ Ȝν·ΝΑ πΑ ȈȚțȣȦȞϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟθ (fr. 580 Gigon = 580 Rose) ıµȚțȡϱΑ IJȚ țĮȚȞȠIJȠµİϧ, ϴΚΉΏΓϿΖ ĮЁΘΓϿΖ IJνΝΖ ВΑΓΐΣΗΌ΅΍ Ȝν·ΝΑ, IJȠІ µξΑ ϴΚνΏΏΉ΍Α įȘȜȠІΑΘΓΖ IJϲ ĮЄΒΉ΍Α, ĮЁΘЗΑ įξ įȚΤ IJϲ İϢΖ µϛΎΓΖ ȘЁΒϛΗΌ΅΍ ЙΈΉ țȜȘșνΑΘΝΑ. (78) ͣșİȞ țĮϠ IJϲ ϴΚΉϟΏΉ΍Α ВΑΓΐΣΗΌ΅΍ ijȘıϠΑ ȠЁΎ ȠϨΈв ϵΔΝΖ· πΔϠ µνΑΘΓ΍ IJЗΑ ϴΆΉΏЗΑ ЀΔ΋ΏΏΣΛΌ΅΍ IJϲ ij İϢΖ IJϲ ȕ țĮIJΤ ıȣȖȖνΑΉ΍΅Α. 113 Orion s.v. ϴΆΉΏϱΖ· ʌȜİȠȞĮıµХ IJȠІ Ƞ, ʌĮȡΤ IJϲ ȕΣΏΏΝ ȕνΏΓΖ, țĮϠ ϴΆΉΏϱΖ. ȅЂΘΝΖ πΑ IJХ ȆİȡϠ ʌĮșЗΑ ̽ΕΝΈ΍΅ΑϱΖ. ȅϩΓΑ ϳ πΓ΍ΎАΖ ȕνΏΉ΍ (si noti l’esplicito riferimento al parallelo dettato dalla ‘somiglianza’: ȠϩΓΑ ϳ πΓ΍ΎАΖ ȕνΏΉ΍); cfr. Herodian. ȆİȡϠ ʌĮșЗΑ, vol. III 2, 173 Lentz. 114 Orion s.v. ϴȕȠȜϱΖ· IJȡȠʌϜ IJȠІ İ İϢΖ Ƞ. Ȇȡϲ IJȠϾΘΓΙ ȖΤΕ ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍Ζ IJȡĮȤνΗ΍Α πΑΓΐϟΗΘΉΙΓΑ IJΤ ʌȡϲΖ ıIJĮșµϱΑ. ȅϡ µξΑ ȠЇΑ ͕ΝΑΉΖ ϴΆΉΏϱΖ, ψΐΉϧΖ įξ ϴΆΓΏϱΖ. ȆȡЗΘΓΖ įξ ʌΣΑΘΝΑ ĭİϟįȦȞ ̝Ε·ΉϧΓΖ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ σΎΓΜΉΑ πΑ ǹϢ·ϟΑϙ, țĮϠ įȚįȠϿΖ IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅, țĮϠ ΦΑ΅Ώ΅ΆАΑ IJȠϿΖ ϴΆΉΏϟΗΎΓΙΖ, ΦΑνΌ΋ΎΉ IJϜ πΑ ̡Ε·Ή΍ к̊Εθ. ̳ʌİȚįχ IJϱΘΉ Ƞϡ ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍ IJχΑ ȤİϧΕ΅ πΔΏφΕΓΙΑ, IJȠȣIJνΗΘ΍, IJχΑ įȡΣΎ΅, ψΐΉϧΖ, țĮϟΔΉΕ µχ ʌȜȘȡȠІΑΘΉΖ IJχΑ ȤİϧΕ΅ IJȠϧΖ ςΒ ϴΆΓΏΓϧΖ, įȡĮȤµχΑ ĮЁΘχΑ Ȝν·ΓµİȞ, ʌĮȡΤ IJϲ įȡΣΒ΅ΗΌ΅΍. ͣΌΉΑ σΘ΍ țĮϠ ȞІΑ

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il termine variante dialettale (cfr. l’opposizione ͕ΝΑΉΖ / ψΐΉϧΖ), seriore e risemantizzata, di ϴȕİȜϱΖ-ϴȕİȜϟΗΎΓΖ115. Prima del mutamento apofonico e semantico (ʌȡϲ IJȠϾΘΓΙ) i Greci avrebbero utilizzato come moneta (πΑΓΐϟΗΘΉΙΓΑ) spiedi di ferro grezzo (ϴȕİȜϟΗΎΓ΍ IJȡĮȤİϧΖ), il cui valore era legato al peso (cfr. IJΤ ʌȡϲΖ ıIJĮșµϱΑ). Questa fase primitiva finì allorché Fidone, primo fra tutti i Greci, coniò Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ (a Egina, non ad Argo) e mise in atto un cambio generalizzato tra la nuova moneta e gli ϴȕİȜȠȓ-ϴȕİȜϟΗΎΓ΍. Ritirati in tal modo dalla circolazione tutti gli spiedi, egli li dedicò come ex voto nell’Heraion di Argo. Inoltre, poiché sino a quel momento gli spiedi-ϴȕİȜȠȓ erano stati computati a ‘manciate’ (considerando cioè come unità di conto quelli che si potevano afferrare con una sola mano e che stavano in un «pugno» [įȡȐȟ]), invalse l’uso di chiamare «dracma» (įȡĮȤµȒ, ossia «manciata», dal verbo įȡȐııİıșĮȚ «afferrare con la mano», «prendere una manciata») anche l’insieme unitario di sei oboli (ϴȕȠȜȠȓ) monetali, sebbene questa mezza dozzina di frazionari non fosse in effetti più sufficiente a riempire una mano. A chiusura del lemma, Orione inquadra nel medesimo processo di risemantizzazione anche il termine ϴΆΓΏΓΗΘΣΘ΋Ȣ, «usuraio», che anticamente, prima del passaggio al Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ (e prima del connesso mutamento apofonico ϴȕİȜϱΖ > ϴΆΓΏϱΖ), avrebbe fatto riferimento all’azione della ‘pesatura’ degli spiedi dati in prestito a interesse (πΔΉ΍Έχ ıIJĮșµȠϧΖ IJȠϿΖ ϴΆΉΏϟΗΎΓΙΖ ʌĮȡİįϟΈΓΙΑ Ƞϡ ΦΕΛ΅ϧΓ΍)116. Per questo insieme di tradizioni117, Orione indica come sua

___________________________________________________ ϴΆΓΏΓΗΘΣΘ΋Α țĮȜȠІΐΉΑ IJϲΑ IJȠțȚıIJφΑ, πΔΉ΍Έχ ıIJĮșµȠϧΖ IJȠϿΖ ϴΆΉΏϟΗΎΓΙΖ ʌĮȡİįϟΈΓΙΑ Ƞϡ ΦΕΛ΅ϧΓ΍. ȅЂΘΝΖ ̽Ε΅ΎΏΉϟΈ΋Ζ ϳ ȆȠȞIJȚțϱΖ (frg. 152 Wehrli). La specificità ‘ionica’ di ϴȕİȜϱΖ, forse dedotta dalla frequenza del termine in Omero e in Erodoto, non ha alcun fondamento linguistico. È certo comunque che Orione intende ͕ΝΑΉΖ in senso proprio: cfr. ad esempio Orion s.vv. ΦΔΓΗΎϾΈΐ΅΍ΑΉ (dove è significativa la notazione țĮϠ ͑ΝΑ΍ΎЗΖ ʌĮȡв ͟ΐφΕУ), ȖİȖȦȞİϧΑ, įȚİȡϱΖ, πΏϟΌ΍ΓΖ, π·΋ΏΣΊΉ΍, țĮIJĮʌȡȠϟΒΉΗΌ΅΍, țΣΔ΋ΏΓΑ, Ȝϱ·Λ΋, ȠЁΕϛ΅Ζ, ıµЗΈ΍Β, ıijĮϧΕ΅, IJΣΚΓΖ. 116 Cfr. forse anche Ps.-Zonar. s.v. ϴȕİȜȚıµϱΖ· ψ µνΘΕ΋Η΍Ζ (di contro al più comune significato di «espunzione mediante obelos» in ambito filologico: cfr. ad esempio schol. Aristoph. Nub. 255; Plut. 797). 117 I tre lemmi di Orione (ϴΆΉΏϟΗΎΓΖ, ϴΆΉΏϱΖ ed ϴΆΓΏϱΖ), insieme con altri materiali, confluiscono in Etym. M. s.v. ϴȕİȜϟΗΎΓΖ· oϡΓΑΉϠ ϴΚΉΏϟΗΎΓΖ IJϠΖ ЕΑ, ϳ İϢΖ µϛΎΓΖ ϴΚΉΏΏϱΐΉΑΓΖ, IJȠȣIJνΗΘ΍Α ĮЁΒ΅ΑϱΐΉΑΓΖ· ϴΚνΏΏΉ΍Α ȖΤΕ IJϲ ĮЄΒΉ΍Α. ȀĮϠ ϴΆΉΏϱΖ. ȈȘµĮϟΑΉ΍ įξ ΦΐΚϱΘİȡĮ IJΤΖ ıȠϾΆΏ΅Ζ. ȆĮȡΤ IJϲ ȕΣΏΏΝ ύ ȕνΏΏΝ ȖϟΑΉΘ΅΍· IJϲ µξΑ ȠЁΈνΘΉΕΓΑ, ȕνΏΓΖ· IJϲ įξ ΦΕΗΉΑ΍ΎϱΑ, ȕİȜϱΖ· țĮϠ ʌȜİȠȞĮıµХ IJȠІ Ƞ, ϴΆΉΏϱΖ, ϳ πΓ΍ΎАΖ ȕνΏΉ΍. ͣIJȚ ϴΆΓΏϲΖ πΎΏφΌ΋, πΔΉ΍Έχ IJϲ ΦΕΛ΅ϧΓΑ IJϲ ȤĮȜțȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ IJЗΑ ̝Ό΋Α΅ϟΝΑ ϴΆΉΏϟΗΎΓΑ İϨΛΉΑ. ĭЏΘ΍ΓΖ ʌĮIJȡȚΣΕΛ΋Ζ. ̝Ε΍ΗΘΓΚΣΑȘȢ πΑ ǺĮIJȡΣΛΓ΍Ζ, «ȃĮϾΘ΋Ζ įȚΣΒΉ΍, 115

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fonte ultima Eraclide Pontico, chiamando di nuovo in causa, come per la paretimologia ϴȕİȜϱΖ < ϴΚȑȜȜİȚȞ, tradizioni lato sensu aristoteliche. In realtà questa ascendenza si può considerare sicura solo per singoli assunti (utilizzazione degli spiedi da carne in funzione proto-monetale; paretimologia di įȡĮȤµȒ da įȡȐȟ e/o įȡȐııİıșĮȚ), in base – di nuovo – a precise consonanze con il già ricordato locus parallelus di Polluce derivato dalla ȈȚțȣȦȞϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟ΅118. La testimonianza dell’Onomasticon, invece, nella quale si precisa tra l’altro che gli spiedi usati anticamente «per gli scambi» erano spiedi da carne bovina (ϵΘ΍ ʌΣΏ΅΍ ȕȠȣʌϱΕΓ΍Ζ ϴΆΉΏΓϧΖ πΛΕЗΑΘΓ ʌȡϲΖ IJΤΖ ΦΐΓ΍ΆΣΖ), ignora o omette proprio i passaggi che si riferiscono a Fidone (coniazione del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ eginetico, dedica degli ϴȕİȜȠȓ nell’Heraion); sicché l’assunto iniziale relativo all’uso proto-monetale degli spiedi si congiunge direttamente a quello finale sulla genesi della dracma, e la sequenza risultante è attribuita nel suo insieme a fonti non meglio specificate (Ƞϡ µξΑ). Stavolta si tratta con ogni probabilità di fonti almeno in parte pre-aristoteliche, in quanto – a dire di Polluce – Aristotele si limitava a riecheggiare questa teoria (IJĮЁΘϲΑ Ȝν·ΝΑ), integrandola di suo con la paretimologia ϴΚνΏΏΉ΍Α > ϴȕİȜϱΖ (di cui il lessicografo precisa l’ulteriore passaggio intermedio ϴijİȜϱΖ

___________________________________________________ įϾв ϴΆΓΏА µȚıșϲΑ ȜĮȕЏΑ. / ĭİІ, БȢ µν·΅ įϾΑ΅ΗΌΓΑ ʌĮȞIJĮȤȠІ IJА įϾв ϴΆΓΏЏ» (Ran. 140-141). ȉȡȠʌϜ įξ ȖϟΑΉΘ΅΍ IJȠІ İ İϢΖ Ƞ· ʌȡϲ IJȠϾΘΓΙ ȖΤΕ ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍Ζ IJȡĮȤνΗ΍Α πΑΓΐϟΗΘΉΙΓΑ. ȅϡ µξΑ ȠЇΑ ͕ΝΑΉΖ, ϴΆΉΏϱΖ· ψΐΉϧΖ įξ, ϴΆΓΏϱΖ. ȆΣΑΘΝΑ įξ ʌȡЗΘȠȢ ĭİϟΈΝΑ ̝Ε·ΉϧΓΖ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ σΎΓΜΉΑ πΑ ǹϢ·ϟΑϙ· țĮϠ įȠϿΖ IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ țĮϠ ΦΑ΅Ώ΅ΆАΑ IJȠϿΖ ϴΆΉΏϟΗΎΓΙΖ, ΦΑνΌ΋ΎΉ IJϜ πΑ ̡Ε·Ή΍ к̊Εθ. ̳ΔΉ΍Έχ įξ IJϱΘΉ Ƞϡ ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍ IJχΑ ȤİϧΕ΅ πΔΏφΕΓΙΑ, IJȠȣIJνΗΘ΍ IJχΑ įȡΣΎ΅, ψΐΉϧΖ, țĮϟΔΉΕ µχ ʌȜȘȡȠІΑΘΉΖ IJχΑ įȡΣΎ΅ IJȠϧΖ ςΒ ϴΆΓΏΓϧΖ, įȡĮȤµχΑ ĮЁΘχΑ Ȝν·ΓΐΉΑ, ʌĮȡΤ IJϲ įȡΣΒ΅ΗΌ΅΍. ͣΌΉΑ σΘ΍ țĮϠ ȞІΑ Ȝν·ΓΐΉΑ ϴΆΓΏΓΗΘΣΘ΋Α IJϲΑ IJȠțȚıIJφΑ, πΔΉ΍Έχ ıIJĮșµȠϧΖ ʌĮȡİįϟΈΓΙΑ Ƞϡ ΦΕΛ΅ϧΓ΍. ͟ įξ ͸ΕΓΖ Ȝν·Ή΍ ϵΘ΍ IJϲ ıIJϛΗ΅΍, įĮȞİϟΗ΅ΗΌ΅΍ įȘȜȠϧ· ϴΆΓΏΓΗΘΣΘ΋Ζ ȠЇΑ ϳ IJΤ µȚțȡΤ įĮȞİϟΊΝΑ ijϟΏΓ΍Ζ, ύ ϳ IJȠțȠȖȜϾΚΓΖ ȜİȖϱΐΉΑΓΖ· țĮϠ ϴΆΓΏΓΗΘ΅ΘϛΗ΅΍, IJϱΎΓΙΖ ȜĮȕİϧΑ. Inserti non orionei sono: (a) la spiegazione alternativa, attribuita a Fozio, di ϴȕȠȜϱΖ, secondo la quale il nome del frazionario sarebbe derivato dall’ ϴȕİȜϟΗΎΓΖ adottato come episema della più antica moneta bronzea ateniese; (b) la citazione dei versi delle Rane di Aristofane menzionanti la diobelia; (c) la tradizione del Lessico di Oro (Orus frg. 113a-b Alpers), che equipara ıIJϛΗ΅΍/ıIJφΗ΅ΗΌ΅΍ a įĮȞİϧΗ΅΍/įĮȞİϟΗ΅ΗΌ΅΍ (concedere o contrarre prestiti ad interesse), interpretando quindi ϴΆΓΏΓΗIJΣΘ΋Ȣ come «colui che presta ϴȕȠȜȠȓ ad interesse», ovvero «su pegno» (cfr. πΔв πΑΉΛϾΕΓ΍Ζ in Orus frg. 113a), vale a dire che «fa piccoli prestiti», in particolare agli amici (ϳ IJΤ µȚțȡΤ įĮȞİϟΊΝΑ ijϟΏΓ΍Ζ). 118 Supra, n. 112.

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> ϴȕİȜϱΖ) e con la postulazione di un nesso, non meglio chiarito, tra ϴΚνΏΏΉ΍Α e ϴΚΉϟΏΉ΍Α («dovere», «essere debitore»)119. Il confronto con Polluce non permette dunque di affermare con certezza che i passaggi centrali del racconto di Orione, quelli relativi a Fidone, facessero parte anch’essi della teoria aristotelica. La cosa è comunque assai verosimile (tale fu ritenuta, per esempio, dal Rose), considerato il riferimento orioneo conclusivo e apparentemente globale a Eraclide Pontico. Polluce sa, in ogni caso, che ‘Aristotele’ si occupava di ĭİȚįȫȞȚĮ µνΘΕ΅ almeno nella ̝Ε·ΉϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟ΅ (contesto diverso e distinto da quello, già ricordato, della ȈȚțȣȦȞϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟ΅); e un accenno alle «misure fidoniane» si conserva anche nella parte superstite della 120 ̝Ό΋Α΅ϟΝΑ ʌȠȜȚIJİϟ΅ . Echi delle tradizioni sin qui esaminate si rinvengono infine in Plutarco (peraltro senza alcun esplicito riferimento ad Aristotele 121 o a fonti a lui correlate) . Lo storico ignora di nuovo, come Polluce, il ruolo di Fidone, ma integra il quadro delineato in precedenza con una serie di dettagli interessanti: la menzione di spiedi di bronzo accanto a quelli di ferro (ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍Ζ ȤȡȦµνΑΝΑ ȞȠµϟΗΐ΅Η΍ ıȚįȘȡȠϧΖ, πΑϟΝΑ įξ ȤĮȜțȠϧΖ) e soprattutto la teorizzazione di un rapporto tra questi ultimi e il ıȚįȘȡȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ spartano. Egli considera la moneta di ferro spartana una creazione di Licurgo, sviluppo locale (in una regione non priva di miniere di 122 questo metallo) degli ϴȕİȜȠȓ-ϴȕİȜϟΗΎΓ΍ dell’originaria fase pro-

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È probabilmente a questi passaggi della testimonianza aristotelica che si riferisce P.G. GUZZO, Gli spiedi di Fidone, in L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, II, a cura di L. BREGLIA PULCI DORIA, Napoli 1996, pp. 307-311, 309: «sull’etimologia di ϴΆΓΏϱΖ = divisionale, Aristotele (...) non era del tutto sicuro se non fosse invece da ricollegare al significato di “interesse” che si godeva nel prestare denaro». 120 Cfr. Poll. X 179 (supra, n. 1); Aristot. Ath. Pol. 10, 2: σΔв πΎΉϟΑΓΙ (scil. IJȠІ ȈϱΏΝΑΓΖ) ȖΤΕ π·νΑΉΘΓ țĮϠ IJΤ µνΘΕ΅ µİϟΊΝ IJЗΑ ĭİȚįȦȞİϟΝΑ, țĮϠ ψ µȞκ, ʌȡϱΘΉΕΓΑ σΛ[Ƞ]ȣıĮ [ı]IJĮșµϲΑ οΆΈΓΐφΎΓΑΘ΅ įȡĮȤµΣΖ, ΦΑΉΔΏ΋ΕЏΌ΋ IJĮϧΖ οΎ΅ΘϱΑ; v. infra, n. 222. 121 Plut. Lys. 17, 2-4: ȀȚȞįȣȞİϾΉ΍ įξ țĮϠ IJϲ ʌΣΐΔ΅Α ΦΕΛ΅ϧΓΑ (scil. Ȟϱΐ΍Ηΐ΅) ȠЂΘΝΖ σΛΉ΍Α (scil. come il Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ıȚįȘȡȠІΑ spartano, di gran peso e scarso valore), ϴΆΉΏϟΗΎΓ΍Ζ ȤȡȦµνΑΝΑ ȞȠµϟΗΐ΅Η΍ ıȚįȘȡȠϧΖ, πΑϟΝΑ įξ ȤĮȜțȠϧΖ· ΦΚв ЙΑ ʌĮȡĮµνΑΉ΍ ʌȜϛΌΓΖ σΘ΍ țĮϠ ȞІΑ IJЗΑ țİȡµΣΘΝΑ ϴΆΓΏΓϿΖ țĮȜİϧΗΌ΅΍, įȡĮȤµχΑ įξ IJȠϿΖ ςΒ ϴΆΓΏΓϾΖ· IJȠıȠϾΘΝΑ ȖΤΕ ψ ȤİϠΕ ʌİȡȚİįȡΣΘΘΉΘΓ (la consonanza con le tradizioni esaminate in precedenza si coglie soprattutto in quest’ultimo periodo). Per l’accenno ai țνΕΐ΅Θ΅, «spiccioli», «frazionari», v. infra, n. 130. 122 Cfr. Daimachus Plat. FGrHist 716 F 4 (miniere, artigianato); Xen. Hell. III 3, 7 (artigianato).

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to-monetale. Degli spiedi essa avrebbe conservato, oltre alla for123 ma , lo svantaggio del gran peso unito a scarso valore. Grazie alla tecnica della tempra in aceto, sarebbe divenuta inadatta alla rifusione e alla riutilizzazione per scopi diversi (il che suggerisce che il suo valore come puro metallo fosse pari o superiore a quello nominale, e che quindi alla sua circolazione presiedesse 124 una logica ‘immateriale’ da vero e proprio Ȟϱΐ΍Ηΐ΅) . Stando alla valutazione dello storico, una quantità di ıȚįȘȡȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ del peso (ϳΏΎϜ) di una mina eginetica avrebbe avuto il valore (įȣȞΣΐΉ΍) di soli quattro calchi (lo stesso attribuito da Esichio al ʌȑȜĮȞȠȡ, oscuro nominale di ferro spartano, a forma forse di 125 ‘pizza’ metallica) ; una notazione che fa il paio con quella, già di Senofonte e ripetuta dallo stesso Plutarco, relativa alla difficoltà di trasporto (con Χΐ΅Β΅ e ȗİІ·ΓΖ! – pura estremizzazione iperbolica) e persino di ‘stoccaggio’ domestico di una quantità di

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Cfr. ad esempio Plut. Fab. 27, 3 (i Tebani seppelliscono Epaminonda a spese pubbliche perché alla sua morte viene trovato nella sua casa solo ϴΆΉΏϟΗΎΓΑ ıȚįȘȡȠІΑ). 124 Sulla tempra in aceto, oltre a Plut. Lys. 17, 4, cfr. Lyc. 9, 2; Compar. Aristid. et Caton. 3, 1; Cato maior 30, 1; Poll. IX 79. Sul ıȚįȘȡȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ spartano, v. H. MICHELL, The iron money of Sparta, «Phoenix», 1 (1947), Suppl., pp. 42-44; G. NENCI, Considerazioni sulle monete di cuoio e di ferro nel bacino del Mediterraneo e sulla convenzionalità del loro valore, ASNP, ser. III, 4 (1974), pp. 639-657, in particolare pp. 644 ss.; U. COZZOLI, Proprietà fondiaria ed esercito nello stato spartano dell’età classica, Roma 1979 (Studi pubblicati dall’Istituto Italiano per la Storia Antica, 29), pp. 38-40; M. LOMBARDO, Elementi per una discussione sulle origini e funzioni della moneta coniata, AIIN, 26 (1979), pp. 75-121, in particolare pp. 95-98; O. PICARD, Xénophon et la monnaie à Sparte (Constitution des Lacédémoniens, c. 7), RÉG, 93 (1980), pp. XXV-XXVI; D. MUSTI, L’economia in Grecia, Roma - Bari 1981, pp. 80-82; J.T. CHAMBERS, The coinage of ancient Sparta, «The Numismatist», 94 (1981), pp. 882-889; M.H. CRAWFORD, La moneta in Grecia e a Roma, Roma - Bari 1986, pp. 52-54; L. BURELLI BERGESE, Sparta, il denaro e i depositi in Arcadia, ASNP, ser. III, 16 (1986), pp. 603-619; K.L. NOETHLICHS, Bestechung, Bestechlichkeit und die Rolle des Geldes in der spartanischen Außen- und Innenpolitik vom 7.-2. Jh. v. Chr., «Historia», 36 (1987), pp. 129-170; F. BARELLO, Il rifiuto della moneta coniata nel mondo greco. Da Sparta a Locri Epizefiri, RIN, 95 (1993), pp. 103-111; C. MONTEPAONE, Ancora intorno al denaro di ferro spartano, in Bernhard Laum. Origine della moneta e teoria del sacrificio, a cura di N.F. PARISE, Roma 1997 (Studi e materiali dell’Istituto Italiano di Numismatica, 5), pp. 71-92; S. HODKINSON, Property and Wealth in Classical Sparta, London 2000, pp. 154-165; T.J. FIGUEIRA, Iron money and the ideology of consumption in Laconia, in Sparta. Beyond the Mirage, ed. by A. POWELL - S. HODKINSON, Swansea - London 2002, pp. 137-170; J. CHRISTIEN, Iron money in Sparta: myth and history, ibi, pp. 171-190; C. MONTEPAONE, Où l’on revient sur la monnaie de fer spartiate, «Métis», n.s. 2 (2004), pp. 103-123. 125 Plut. Apophth. Lac. 226d; Hesych. s.v. ʌνΏ΅ΑΓΕ (nonché s.v. ϡΔΔϱΔΓΕ, per un’altra denominazione del IJİIJȡΣΛ΅ΏΎΓΑ presso i ȁΣΎΝΑΉΖ). Cfr. FIGUEIRA, Iron money.

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moneta ‘siderea’ pari al valore di dieci mine d’argento . Entrambe le testimonianze sembrano presupporre «la convertibilità della moneta spartana con quelle straniere», o almeno un rapporto di valore fisso convenzionale tra mina argentea e siderea (ossia, assunta come unità di riferimento la µȞκ ǹϢ·΍Α΅ϟ΅, tra 127 un’identica quantità – ca. 630 g. – dei due metalli) . Questa atipica ‘moneta’ di ferro, unico Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ circolante a Sparta sino alla fine del IV secolo a.C. (in virtù di un conservatorismo ideologizzato come rispetto delle disposizioni patrie di Licurgo)128, ha degli sporadici corrispettivi anche altrove, sebbene con peso ridotto, forma monetale tradizionale e ruolo ormai marginale – in regime di circolazione non esclusiva – rispetto ad altro Ȟϱΐ΍Ηΐ΅. Così per esempio a Bisanzio, dove il ‘sidareo’ (ıȚįȐȡİȠȢ) era una moneta frazionaria accessoria, di peso e valore trascurabili129.

6. Gli spiedi dell’Heraîon Si è molto discusso sull’interpretazione e sull’inquadramento

___________________________________________________ 126

Xen. Lac. resp. 7, 5; Plut. Lyc. 9, 1-4. COZZOLI, Proprietà fondiaria, pp. 38-39 (donde la citazione nel testo). 128 Per l’assenza di moneta in metallo prezioso a Sparta sino alla fine della guerra del Peloponneso cfr. Theop. FGrHist 115 F 332 ed Ephor. FGrHist 70 F 205 (entrambi in Plut. Lys. 17, 2-4); Diod. VII 12, 8; XIV 10, 2. Una post-datazione alla fine del IV secolo a.C. sembra però suggerita dalla «mancanza stessa di rinvenimenti di monete lacedemoni in metallo prezioso anteriori al 300 circa»: COZZOLI, Proprietà fondiaria, p. 39. Altre fonti sulla moneta di ferro spartana: Ps.-Plat. Eryx. 400b; Pol. VI 49, 7-10; Plut. Compar. Aristid. et Caton. 3, 1; Fab. 27, 3 (supra, n. 123); Poll. VII 105; IX 79. V. inoltre Xen. Lac. resp. 7, 5-6; 14, 2-4; Iust.-Trog. III 2, 11-12; Nic. Dam. FGrHist 90 F 103z; Plut. Agis 10, 4; Lys. 19, 4. Sull’improbabile ĬȚȕȡЏΑ΍ΓΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ (Phot. Lex. s.v.) cfr. L. ROBERT, Monnaie de Thibron, in ID., Hellenica, X, Paris 1955, pp. 167-171. 129 Aristoph. Nub. 249 e schol. ad loc.; Plat. com. ȆİȓıĮȞįȡȠȢ frg. 103 Kassel - Austin = frg. 96 Kock; Stratt. ȂȣȡµȚįȩȞİȢ frg. 37 Kassel - Austin = frg. 36 Kock; Poll. VII 105; IX 78; Hesych. s.v. ıȚįΣΕΉΓ΍ șİȠϟ; cfr. E. SCHÖNERT-GEISS, Griechisches Münzwerk: die Münzprägung von Byzantion, Berlin 1970 (DAW Berlin. Zentralinstitut für Alte Geschichte und Archäologie - Schriften zur Geschichte und Kultur der Antike, 2), pp. 35-51; T.J. FIGUEIRA, The Power of Money: Coinage and Politics in the Athenian Empire, Philadelphia 1998, pp. 58-59, 62-63, 576; C. MARTINELLI, Il sidareos di Bisanzio, AIIN, 50 (2003), pp. 3-24. Altre isolate emissioni in ferro sono attestate ad Erea e Tegea in Arcadia e ad Argo stessa. 127

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storico delle tradizioni sin qui esaminate130, soprattutto alla luce del celebre ritrovamento degli obeloi dell’Heraion di Argo. Gli scavi del santuario, intrapresi alla fine del XIX secolo da una missione dello Archaeological Institute of America diretta da Charles Waldstein131, registrarono nel 1894 il ritrovamento di un fascio compatto di spiedi/obeloi di ferro di lunghezza uniforme e a sezione rettangolare, unito a una barra massiccia dello stesso metallo, anch’essa a sezione rettangolare, sagomata grossolanamente in forma di obelos a una delle estremità. Il tutto era tenuto insieme da due tenie dello stesso metallo e da una sorta di ‘pizza’ di piombo che inglobava da un lato le estremità degli spiedi e della barra (prodotto, evidentemente, della colatura di metallo fuso in un incavo/alloggiamento di forma corrispondente, in una base-sostegno litica su cui il fascio di obeloi doveva essere fissato in posizione verticale)132. L’insolito reperto fu subito associato dal Waldstein alle notizie antiche sul valore premonetale o protomonetale133 degli spiedi di ferro, e in particolare alla noti-

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A integrazione del quadro, v. anche Theogn. Can. (in Cramer Anecd. Oxon. II, 1165) 12: (...) ĮϡΐϲΖ ϳ ϴΆΉΏϟΗΎΓΖ, ύ ϳ ΦΈΉΏΚϱΖ, ύ ϳ ϴΈΙΕΐϱΖ; Hesych., Etym. M. s.v. ĮϡΐϱΖ· IJȡΣΛ΋ΏΓΖ; s.v. ĮϣΐΓΙΖ· ϴΆΉΏϟΗΎΓΙΖ; schol. Theocr. X 44b: (...) įȡΣ·ΐ΅Θ΅ įν πΗΘ΍ IJΤ ʌȜȘȡȠІΑΘ΅ IJЗΑ ıIJĮȤϾΝΑ IJχΑ ΦΕ΍ΗΘΉΕΣΑ· σΑΌΉΑ țĮϠ įȡĮȤµφ, ψ ʌȜȘȡȠІΗ΅ IJχΑ ȤİϧΕ΅ IJХ țνΕΐ΅Θ΍; Etym. M. s.v. įȡΣ·ΐ΅· (...) įȡΣ·ΐ΅Θ΅, IJΤ IJЗΑ ȤİȚȡЗΑ ʌȜȘȡЏΐ΅Θ΅· ʌĮȡΤ IJϲ įȡΣΒ΅ΗΌ΅΍· ıȘµĮϟΑΉ΍ IJϲ ȜĮµȕΣΑΉ΍Α. ȀĮϠ įȡĮȖµȒ, IJϲ ʌȜϛΌΓΖ IJЗΑ țİȡµΣΘΝΑ, ύ IJЗΑ ϴΆΓΏЗΑ; additam. Etym. Gud. s.v. įȡΣ·ΐ΅· (...) İϥΕ΋Θ΅΍ ʌĮȡΤ IJϲ įȡΣΒ΅ΗΌ΅΍, IJϲ ıȘµĮϧΑΓΑ IJϲ ȜĮµȕΣΑΉ΍Α. ȅЂΘΝΖ țĮϠ įȡĮȖµχ țĮȜİϧΘ΅΍ IJϲ ʌȜϛΌΓΖ IJЗΑ țİȡµΣΘΝΑ ύ IJЗΑ ϴΆΓΏЗΑ; Ps.-Zonar. s.v. įȡΣ·ΐ΅Θ΅· Įϡ ΦΔ΅ΕΛ΅ϟ; s.v. įȡΣ·ΐ΅· (...) ʌĮȡΤ IJϲ įȡΣΒ΅ΗΌ΅΍, IJϲ ıȣȜȜĮµȕΣΑΉ΍Α. ȠЂΘΝΖ įȡĮȖµχ țĮȜİϧΘ΅΍ IJϲ ʌȜϛΌΓΖ IJЗΑ țİȡµΣΘΝΑ όΘΓ΍ IJЗΑ ϴΆΓΏЗΑ. Si noti l’accostamento analogico tra įȡΣ·ΐ΅, «mannello/-a» di spighe pari alla capacità di una mano (la sinistra, per evidenti ragioni funzionali: schol. Theocr. X 44b), e įȡĮȤµφ o įȡĮȖµφ, «manciata» di țνΕΐ΅ o țνΕΐ΅Θ΅, «spiccioli», «frazionari» (in rapporto con il vb. țİȓȡİȚȞ, «tagliare»), ovvero di ϴΆΓΏΓϟ; su questa tradizione v. anche Plut. Lys. 17, 3 (supra, n. 121); GUZZO, Gli spiedi, pp. 309-310. 131 New York 1856 - Napoli 1927; direttore della American School of Classical Studies di Atene (1889-1893); dal 1918 Sir Charles Walston: cfr. J. JACOBS - F.T. HANEMAN, Waldstein, Charles, in The Jewish Encyclopedia, ed. by I. SINGER, XII, New York 1906, pp. 458-459. 132 CH. WALDSTEIN [WALSTON] et al., The Argive Heraeum, I-II, Boston 1902-1905, I, pp. 61-63, 77 e fig. 31. 133 Mi attengo, qui e di seguito, alla distinzione – di certo schematica, ma sufficiente ai fini di una discussione non tecnicistica – tra «pre-monetary» e «proto-monetary system», tracciata nell’intervento di O. MURRAY in appendice a P. COURBIN, Obéloi d’Argolide et d’ailleurs, in The Greek Renaissance of the Eighth Century B.C.: Tradition and Innovation. Proceedings of the Second International Symposium at the Swedish Institute in

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zia orionea del ritiro dalla circolazione e della dedica di obeloi nell’Heraion di Argo da parte di Fidone, all’atto della sua prima coniazione, a Egina, di moneta argentea. A pochi mesi di distanza dalla scoperta, complice il clima di antisemitismo strisciante suscitato dall’affaire Dreyfus (1894-1906)134, furono sollevate critiche all’affidamento al Waldstein, ebreo anglo-americano, della direzione di uno scavo di primaria importanza come quello dell’Heraion. Di qui l’esplodere di uno sgradevole caso accademico, sfociato infine nelle clamorose dimissioni dell’archeologo (che rientrò in Gran Bretagna e assunse in seguito il cognome di Walston, con il quale fu poi insignito del titolo di Sir). Un resoconto assai sommario della scoperta dell’Heraion fu pubblicato dal Waldstein solo a distanza di vari anni135; dopodiché su tutta la questione calò il silenzio, e l’importante reperto giacque per anni – ormai scientificamente ‘adespota’ e quasi fonte di imbarazzo – nei depositi del Museo Nazionale di Atene, dove andò incontro a un inarrestabile deterioramento.

___________________________________________________ Athens, 1-5 June, 1981, ed. by R. HÄGG, Stockholm 1983 (Skrifter Utgivna av Svenska Institutet i Athen, 4º, 30), pp. 149-156, in particolare p. 156: «In a pre-monetary system you may use objects of a non-standard value for exchange: tripods, cows, etc. But when you have objects of a standard weight and length, you have arrived at a true proto-monetary system». Per quanto riguarda gli obeloi, il loro aggruppamento consuetudinario in sets da 6 (drachmai) procede in origine da semplici esigenze funzionali nell’ambito del simposio (infra, n. 150), piuttosto che da una ricerca astratta di quantificazione del valore. In tal senso non si può considerare di per sé elemento caratterizzante in senso proto-monetale: cfr. I. STRØM, Obeloi of pre- or proto-monetary value in the Greek sanctuaries, in Economics of Cult in the Ancient Greek World. Proceedings of the Uppsala Symposium 1990, ed. by T. LINDERS - BR. ALROTH, Uppsala 1992 (= «Boreas», 21), pp. 41-51, in particolare p. 42 e n. 6 ibi. Anche l’adozione degli spiedi come monnaie-matière, in ragione del loro peso e valore materiale (di volta in volta riverificato), rientra piuttosto in una sfera d’uso ‘premonetale’. Il passaggio decisivo a una modalità definibile come ‘protomonetale’ sarebbe invece determinato da un intervento politico mirato alla standardizzazione preventiva di lunghezza, peso, tipologia ecc. degli obeloi, o almeno alla fissazione del sistema ponderale di riferimento, o anche alla determinazione di equivalenze peso-valore in rapporto ad altro, più ‘misurabile’ metallo di scambio (v. ad esempio il rapporto tra ıȚįȘȡȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ spartano e mina eginetica: supra, n. 125 e testo corrispondente). 134 V. J. REINACH, Histoire de l’affaire Dreyfus en 2 volumes, éd. par R. LAFFONT, préf. par P. VIDAL-NAQUET, Paris 2006. Materiali autografi del Waldstein, del periodo 18871909, contenenti riferimenti al caso Dreyfus e connessi alla sua vicenda personale, sono conservati al King’s College Archive Centre di Cambridge: Ref. GBR/0272/PP/Misc. 44/A/13 (The Jewish Question). 135 WALDSTEIN, The Argive Heraeum (loc. cit.).

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Nel 1906 il fascio di obeloi fu rintracciato e trasferito al Museo Numismatico di Atene da K. Kuruniotis e I.N. Svoronos, il quale ultimo ne intraprese lo studio, per il poco consentito ormai dalla perdita irrimediabile di tutta una serie dati essenziali per la sua 136 interpretazione . Di fatto, si poterono determinare solo vagamente il luogo e il contesto stratigrafico di rinvenimento dell’oggetto: stando al resoconto del Waldstein, un’area di scarico di età tardo-romana, ricca di materiali arcaici provenienti da altri punti del santuario, posta nella parte nord-est della ‘terrazza inferiore’ (quella ospitante il tempio di età classica, subenterato a quello della terrazza superiore, di età arcaica, distrutto da un incendio nel 423 a.C.): area dove in età arcaica sorgeva con ogni probabilità l’altare principale dell’Heraion, e che in seguito restituì nei livelli più antichi (dopo quelli micenei) ceramica tardogeometrica e protocorinzia, unico labile elemento per una possibile datazione degli spiedi tra la seconda metà o la fine dell’VIII e il tardo VII secolo a.C.137. Analogamente, si poterono solo ipotizzare il numero, la lunghezza e il peso degli obeloi, ormai consunti dalla ruggine e ridotti in frammenti, nonché il rapporto ponderale tra l’intero fascio e la barra obeliforme a esso legata 138 (a sua volta spezzata ad una delle estremità e incompleta) . Partendo dagli esemplari meno deteriorati e dai frammenti, Svoro139 nos prima e Seltman poi giunsero a fissare ipoteticamente in 180 il numero complessivo degli obeloi, misurando in circa 120 cm la loro lunghezza e forse in 403 g il loro peso individuale (con un totale presunto di poco meno di 73 kg, ex hypothesi identico al peso della barra di ferro massiccio solidale agli obeloi stessi). Queste conclusioni furono in seguito rimesse in discussione da P. Courbin, che contò solo 96 spiedi, di ca. 152 cm di lunghezza e

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I.N. SVORONOS, ȂĮșȒµĮIJĮ ȃȠµȚıµĮIJȚțϛΖ, «Journal International d’Archéologie Numismatique», 9 (1906), pp. 145-236, in particolare pp. 192-202 (Obeloi sideroi) + pls. 10-12. 137 Cfr. WALDSTEIN, The Argive Heraeum, I, pp. 61, 77; SVORONOS, ȂĮșȒµĮIJĮ ȃȠµȚıµĮIJȚțϛΖ, p. 195; I. STRØM, The early sanctuary of the Argive Heraion and its external relations (8th - early 6th century B.C.). The monumental architecture, in ActaArch, 59 (1988), pp. 173-203, in particolare pp. 176-177; KÕIV, Ancient Tradition, pp. 291-295. 138 V. infra, n. 140. 139 CH.T. SELTMAN, Athens, its History and Coinage before the Persian Invasion, Cambridge 1924, pp. 117-122.

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peso teorico di ca. 2 kg, e ricalcolò in proporzione il peso origina140 rio della barra di ferro, in effetti mutila (ca. 91, 7 kg) . Esistono pochi dubbi sul fatto che il fascio di obeloi scoperto dal Waldstein sia effettivamente un anathema, esposto in origine nell’Heraion più antico, probabilmente presso l’altare. L’assoluta unicità del dispositivo votivo, la presumibile – anche se in dettaglio imprecisabile – relazione aritmetica (di peso? di lunghezza? di valore?) tra la barra obeliforme e il fascio di spiedi, suggeriscono l’ipotesi che si tratti di una dedica di valore normativo (unità-campione, standard lineare, ponderale, di valore ecc.)141. La cronologia dell’anathema, in base agli incerti elementi di contesto già menzionati, potrebbe in teoria essere compatibile con qualcuna di quelle attribuite a Fidone dalla tradizione antica e/o dalla ricerca moderna. È tuttavia chiaro che alle incertezze di contesto già indicate si aggiungono anche ineludibili elementi di quadro generale, che di fatto impediscono la facile e tranquillizzante operazione combinatoria che i lemmi di Orione parrebbero suggerire. Quand’anche si ammetta l’effettiva paternità fidoniana della dedica (entro il lasso di VIII-VII secolo a.C. teoricamente consentito dai ‘dati’ archeologici), semplici ragioni cronologiche impediscono poi di confermare il nesso tra l’anathema dell’Heraion e l’inizio della monetazione argentea di Egina (evento, come si dirà tra poco, non anteriore al secondo o terzo quarto del VI secolo a.C.)142; né è esclusa

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COURBIN, Obéloi, in particolare pp. 151-152 e n. 29 per la nuova misurazione della parte superstite della barra: ca. 119 cm di lunghezza per ca. 73 kg di peso; ma v. già ID., Le monnayage dans la Grèce archaïque: valeur comparée du fer et de l’argent lors de l’introduction du monnayage, «Annales (ESC)», 14 (1959), pp. 209-233. Cfr. anche STRØM, Obeloi, pp. 41-51 (con ulteriore bibliografia a pp. 41-42 n. 5). 141 Di diverso avviso STRØM, Obeloi, p. 45, che pur considerando l’anathema dell’Heraion «the one find of obeloi, the monetary value of which is widely accepted», si mostra scettica sulla possibilità che la barra possa essere «a kind of canon for the obeloi», giacché «it may just as well be interpreted as a bar of the raw material used for the manifacture of the obeloi». Nello stesso senso già A.E. FURTWÄNGLER, Zur Deutung der Obeloi im Lichte samischer Neufunde, in Tainia. Roland Hampe zum 70. Geburtstag am 2. Dezember 1978 dargebracht von Mitarbeitern, Schülern und Freunden, hrsg. von A. CAHN - E. SIMON, Mainz am Rhein 1980, pp. 81-98, in particolare pp. 94-98. 142 V. infra, par. 7. Del tutto opinabile il calcolo del tasso di conversione (ex hypothesi 1: 2000) tra oboloi argentei di Egina (infra, nn. 194-210 e testo corrispondente) ed obeloi di ferro dell’Heraion: COURBIN, Le monnayage, p. 226; ID., Obeloi, p. 149, 152 e n. 26 ibi.

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l’eventualità di una dedica adespota o ‘pseudo-fidoniana’, magari di VI secolo a.C., anacronisticamente ascritta al Fidone famoso143. Un’eventuale iscrizione dedicatoria di accompagnamento (di cui non c’è però documentazione), contenente o no la menzione – autentica o posticcia – di (un) Fidone quale offerente, avrebbe certo potuto fornire a un osservatore antico elementi ‘oggettivi’ per spiegare la dedica nel modo che a noi risulta dal lemma orioneo. Ma, rispetto a questa e a consimili speculazioni, assai ampia e imponderabile è la gamma delle ulteriori eventualità fattuali, nonché dei fraintendimenti ermeneutici teoricamente possibili in antico, a partire da una diretta osservazione, o indiretta nozione, dell’oggetto: oltre alle ipotesi già considerate, c’è spazio per un’intera casistica di possibili inferenze, autoschediasmi, frainten-dimenti, modernizzazioni, anacronismi ecc.144 Non mancano peraltro, nella documentazione letteraria, epigrafica e archeologica, indizi che tenderebbero a confermare almeno l’assunto principale (valore di standard protomonetale dell’anathema, a prescindere dalla reale identità e cronologia del dedicante). Va ricordata innanzitutto la dedica degli ϴΆΉΏΓϠ ȕȠȣʌϱΕΓ΍ ʌȠȜȜȠϠ ıȚįȒȡİȠȚ di Rodopi nel santuario di Apollo a Delfi, databile alla prima metà del VI secolo a.C. (in base anche ai frustuli della connessa iscrizione dedicatoria), di valore almeno virtualmente protomonetale, in quanto intesa come įİțΣΘ΋ dei proventi della πΕ·΅Ηϟ΋ dell’etera145. C’è poi la stele reimpiegata nella hestia dello hestiatorion (il cosiddetto «tempio») di Era Limenia a Peracora, con tracce d’infissione di obeloi mancanti, accompagnate dall’eloquente testo mutilo įȡĮȤµĮ İȖǀ ŌݯȡĮ Ȝİȣ[ǀȜİȞİ- - - ] (ca. 600-550 a.C.)146. Un ap-

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Infra, par. **. Cfr. ad esempio KÕIV, Ancient Tradition, pp. 287-295. Cfr. Her. II 135; C. KEESLING, Heavenly bodies: monuments to prostitutes in Greek sanctuaries, in Prostitutes and Courtesans in the Ancient World, ed. by C.A. FARAONE - L.K. MCCLURE, Madison (WI) 2006, pp. 59-76; FURTWÄNGLER, Zur Deutung, (n. **), pp. 91-92; STRØM, Obeloi, (n. **), p. 45; per l’iscrizione ([- - - ΦΑνΌİ-]țİ ͦΓΈ[õʌȚȢ - - -]) v. E. MASTROKOSTAS, in īȑȡĮȢ ǹȞIJȦȞȓȠȣ ȀİȡĮµȠʌȠȪȜȜȠȣ, ǹșȒȞĮ 1953 (ǼʌȚıIJȘµȠȞȚțĮȓ ȆȡĮȖµĮIJİȓĮȚ - ȈİȚȡȐ ĭȚȜȠȜȠȖȚțȒ țĮȚ ĬİȠȜȠȖȚțȒ, 9), pp. 635 ss., fig. 31. 146 P.A. HANSEN, Carmina epigraphica Graeca saeculorum VIII-V a.Chr.n., Berlin 1983 (Texte und Kommentare, 12), nr. 354; STRØM, Obeloi, pp. 45-46 e n. 37 ibi (con ulteriori indicazioni bibliografiche). Numerosi frammenti di spiedi furono ritrovati all’interno ed all’esterno dell’edificio: R.A. TOMLINSON, The upper terraces at Perachora, ABSA, 72 (1977), pp. 197-202, in particolare p. 200; L.H. JEFFERY [revis. A.W. 144 145

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prestamento votivo di įȡĮȤµĮȓ (įȡĮ[..]ĮȢ nel testo), associate forse a lebeti bronzei deducibili dalle loro impronte di alloggiamento, risulta da una dedica bustrofedica (VI secolo a.C.?) ad Atena e a Era, ritrovata a Crisa negli anni Trenta del XIX secolo e oggi perduta, forse proveniente dal santuario di Atena Pronaía a Delfi147. Due inventari sacri, l’uno dal santuario di Artemide a Torricella presso Taranto (ca. 550-525 a.C.)148, l’altro da Costia in Beozia, ma riguardante gli Heraîa di Tespie, Sife e Creusi (IV secolo a.C.)149, menzionano rispettivamente, nell’elencazione minuta di servizi da banchetto con significative corrispondenze numeriche tra vasellame potorio (lebeti) e obeloi/obeliskoi, un gruppo di sei spiedi di ferro e varie unità standard di ϴΆΉΏϟΗΎΝΑ įȡĮȤµĮȓ150. A queste dediche epigrafiche151 si aggiungono i numerosi ritrovamenti archeologici di spiedi in contesti santuariali, sparsi in un arco di tempo compreso fra la fine dell’VIII e la prima metà del VI secolo a.C., ma con casi sporadici di età classica e persino ellenistica152. Prima che nei santuari, gli obeloi

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JOHNSTON], The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 1990 , pp. 122-125. Cfr. anche GUZZO, Gli spiedi, p. 308 e i contributi citati infra, n. 149. Inscriptiones Graecae antiquissimae praeter Atticas in Attica repertas, consilio et auctoritate Academiae Litterarum Regiae Borussicae, ed. H. ROEHL, Berolini 1882, pp. 66-67; A.E. RAUBITSCHEK, Another drachma dedication, YCS, 11 (1950), pp. 293-296; STRØM, Obeloi, pp. 48 (fig. 1) - 49. 148 F.G. LO PORTO, Due iscrizioni votive arcaiche dai dintorni di Taranto, PP, 42 (1987), pp. 39-50, in particolare pp. 45-46; M. NAFISSI, Mageirikè skeué e sacrificio nel territorio di Taranto. L’iscrizione arcaica da Torricella, PP, 47 (1992), pp. 132-146; STRØM, Obeloi, p. 49 e n. 61 ibi. 149 R.A. TOMLINSON, Two notes on possible Hestiatoria, ABSA, 75 (1980), pp. 221-228; ID., The chronology of the Perachora hestiatorion and its significance, in Sympotica. A Symposium on the Symposion (First Symposium on the Greek Symposion, Oxford 4-8 September 1984), ed. by O. MURRAY, Oxford 1990, pp. 95-101, in particolare pp. 99; STRØM, Obeloi, p. 48. 150 A Torricella il rapporto è 1 lebete / 6 spiedi; nell’iscrizione di Costia lebeti ed ϴΆΉΏϟΗΎΝΑ įȡĮȤµĮȓ si presentano sempre nell’identico numero: 35/35 nell’Heraion di Tespie, 3/3 in quello di Sife, 2/2 in quello di Creusi. Queste corrispondenze sono state spiegate come probabile riflesso di una suddivisione ‘funzionale’ dei simposiasti in sottogruppi costituiti ad esempio da 3 klinai (= 6 persone = 6 spiedi) disposte intorno a un singolo lebete: cfr. B. BERGQUIST, Sympotic space: a functional aspect of Greek diningrooms, in Sympotica, pp. 37-65; STRØM, Obeloi, p. 48 n. 60. 151 Cfr. anche M.L. LAZZARINI, ȅǺǼȁȅȈ in una dedica arcaica della Beozia, AIIN, 26 (1979), pp. 153-160. 152 Cfr. FURTWÄNGLER, Zur Deutung, p. 86, 89 n. 32; STRØM, Obeloi, p. 45 ss. I principali luoghi di rinvenimento sono: Argo (alcuni spiedi sporadici, oltre quelli dell’anathema già ricordato), Delfi, Olimpia, Dodona, Nemea, Aliei (Halieîs), Filia in Tessaglia, Sparta, Samo (Heraion; tardo VII-inizio VI secolo a.C.), Andro, Posidonia 147

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compaiono inoltre in corredi tombali di età protogeometrica, geometrica e alto-arcaica: a Cipro (a partire dall’XI secolo a.C.), a Creta (dal X) e in Grecia metropolitana (dal IX-VIII, con il caso precoce di Lefkandi, e tre rinvenimenti in tombe da Argo, tutti del tardo VIII secolo a.C.). Tale uso, che in area greco-egea declina già intorno alla fine dell’VIII secolo a.C., si perpetua poi tra VIII e VII in Etruria e nelle zone etruscizzate del Lazio e della Campania, forse per influsso cipriota153. Il dibattito moderno sul valore da attribuire a questi ritrovamenti mostra una sostanziale e irrisolta divaricazione tra quanti ammettono il valore protomonetale degli obeloi (rimarcando soprattutto la loro frequente ricorrenza in multipli di 6 – vale a dire in ϴΆΉΏϟΗΎΝΑ įȡĮȤµĮȓ –, ovvero certe possibili, ma spesso opinabili corrispondenze di lunghezza e di peso tra spiedi di una medesima area o anche di zone differenti: è il caso del teorico standard pre-fidoniano di ca. 165 cm per ca. 2, 2 kg, ravvisato dal Courbin negli obeloi delle tre tombe tardo-geometriche di Argo già ricordate)154; e quanti invece ridimensionano o negano del tutto tale aspetto, insistendo piuttosto sul valore simbolico delle dediche santuariali e ideologico delle deposizioni funerarie di spiedi (spesso accompagnati da alari), riconducendo il gioco dei multipli su base 6 all’influenza di un antico sistema numerico duodecimale, o ancora insistendo sulla commisurazione ‘funzionale’ dei servizi da

___________________________________________________ (santuario ipogeo, con un gruppo di 5 spiedi: cfr. M. BERTARELLI SESTIERI, Nuove ricerche sull’ipogeo di Paestum, MEFRA, 97 [1985], pp. 647-684; sul ʌݵʌЏΆΓΏΓΑ v. infra, n. 164-166 e testo corrispondente). Per l’Artemision di Efeso, v. infra, n. 220. 153 Per i ritrovamenti di obeloi in contesti funerari (con relativa bibliografia) cfr. i generale COURBIN, Obéloi, p. 149, pp. 154-156; STRØM, Obeloi, pp. 42-45. Lista dei ritrovamenti in Italia: K. KILIAN, Weihungen aus Eisen und Eisenverarbeitung im Heiligtum zu Philia (Thessalien), in The Greek Renaissance, pp. 131-147, in particolare pp. 133-134 e n. 15 ibi (integrazioni: STRØM, Obeloi, p. 43 n. 15). Per gli obeloi delle tombe 1, 18 e 45 di Argo (rispettivamente in numero di 6, 6 e 12) v. in particolare FOLEY, The Argolid, pp. 95-96; COURBIN, Le monnayage, p. 220; ID., Obéloi, p. 152 n. 25; STRØM, Obeloi, p. 42 n. 11; KÕIV, Ancient Tradition, pp. 290-291. 154 COURBIN, Le monnayage, p. 228 ss.; ID., Obéloi, pp. 152, 155-156; contra: STRØM, Obeloi, pp. 43-44. È stata in qualche caso valorizzata anche la sostanziale identità di misura (ca. 150 cm) tra gli spiedi dell’Heraion di Argo e quelli dell’ipogeo di Posidonia, ex hypothesi anch’esso inserito in un contesto ereo: STRØM, Obeloi, pp. 44-45: «This correspondence in length of the obeloi from the two geographically distant Hera sanctuaries may, therefore, open up a new possibility. Instead of looking for an area with a standard value of iron obeloi defined by geographical boundaries, one should perhaps look for an area defined by religious relations?».

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banchetto all’entità empirica consuetudinaria dei sottogruppi simposiaci coinvolti e delle corrispettive partizioni carnee e potorie155. Di là da generiche somiglianze tecnico-formali, determinate forse da pure esigenze ergonomiche (fusione massiccia del ferro, sezione quadrata o quadrangolare, estremità appuntita da un lato, con terminazione caudale, a freccia o a spatola, dall’altro), non è stata in realtà dimostrata in modo cogente un’effettiva standardizzazione di lunghezza e/o di peso degli obeloi d’uso simposiacofunerario, a parte forse nel caso dei reperti tombali di Argo, e cioè in un ambito civico circoscritto. Non c’è del resto motivo di attendersi simmetrie metrologiche di ampiezza ‘panellenica’ o anche solo interregionale, in quanto «il n’est aucunement nécessaire au mantien de la théorie que le monde grec tout entier se soit conformé au modèle argien dans ce domaine»156, e anche in epoca storica «un système monétaire ne vaut que dans une zone de circulation définie et (...) à une période donnée»157. È inoltre innegabile che «un objet quelconque, et notamment les obéloi, peut revêtir, successivement ou simultanément, plusieurs “significations”: ce n’est pas tomber dans l’éclectisme, dans une position “moyenne” de pseudo-juste milieu, que de voir dans les obéloi, selon les circonstances les plus univoques, tour à tour une broche à usage strictement culinaire, une éventuelle protomonnaie, ou le symbole d’un accès à la civilisation grecque, ou encore le souvenir ou l’image d’un sacrifice offert à telle ou telle divinité (...). Il n’y a là – et c’est un point capital – nulle contradiction. C’est cette polyvalence qu’on appelle aujourd’hui polysémie»158.

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Cfr. B. D’AGOSTINO, Tombe principesche dell’Orientalizzante antico da Pontecagnano, Roma 1977 (Monumenti antichi. Serie miscellanea, II, 1 = Monumenti antichi, 49. 1), pp. 1-74, in particolare pp. 18-20; ID., Grecs et «indigènes» sur la côte tyrrhénienne au e VII siècle: la transmission des idéologies entre élites sociales, «Annales (ESC)», 32 (1977), pp. 3-20, in particolare pp. 10-12, 16-17; FURTWÄNGLER, Zur Deutung, pp. 89-90, 9398; STRØM, Obeloi, pp. 42-44. V. più di recente P.S. HAARER, Obeloi and iron in archaic Greece, Oxford 2000 (Ph.D. thesis), che prende in esame più di mille obeloi provenienti da diverse località della Grecia, distribuiti tra il IX ed il V secolo a.C., e conclude che i dati archeologici e iconografici e le stesse testimonianze letterarie non confermano la supposta utilizzazione degli spiedi come forma di pre- o protomoneta. 156 COURBIN, Obéloi, p. 154. 157 Ibi, p. 152. 158 Ibi, p. 150.

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L’irrimediabile perdita di dati essenziali per l’esatta valutazione dell’anathema dell’Heraion (cruciale sarebbe stata la determinazione di un rapporto metrico e ponderale tra la barra di ferro massiccia e il fascio degli obeloi, unico elemento in grado di 159 avvalorare la funzione di vero e proprio standard dell’oggetto) , non impedisce tuttavia di confermare il suo valore protomonetale, evidente dalla sua stessa anomalia e unicità tipologica, anche a prescindere dal problema dell’esistenza e dell’individuazione di uno standard preciso, di misura o di peso (o di entrambi). È questo un punto su cui si registra un incoraggiante consenso, tra 160 studiosi pur discordi su altre importanti questioni di fondo . Analogo consenso sembra esserci oggi, di là dal caso specifico dell’Heraion Argo, sulla funzione premonetale (se non proto-monetale) degli spiedi di ferro, peraltro in un quadro interpretativo che fatica ancora ad affrancarsi da semplificazioni positivistiche e da opposti rischi di modernismo e di primitivismo. 161 La prospettiva più recente e metodologicamente scaltrita insiste sul fatto che al centro della discussione debba essere posta «non la trasfigurazione di un utensile di ferro (o di bronzo), agalma, «valore circolante», in «segno premonetario»; ma la distanza tra due diversi modi di distribuzione della carne» (corsivo aggiunto). Nell’ambito del sacrificio carneo, di pari passo con il graduale evolversi della polis, la distribuzione ineguale e ‘gerarchizzata’ della carne, inizialmente attribuita secondo il rango e sulla base del privilegio, avrebbe ceduto il passo – non senza fasi di combinazione e di compresenza delle due modalità – a una pratica distributiva sempre più rigorosamente egualitaria, estesa via via dai sacrifici ai pasti in comune e ai banchetti pubblici; un processo attraverso il quale lo spiedo si sarebbe avviato a divenire, nella pratica sacrificale, «espressione di un’unità quantitativamente determinata (o, se si vuole, portatore) del

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Cfr. supra, n. 140. Cfr. ad esempio FURTWÄNGLER, Zur Deutung, pp. 93 ss.; STRØM, Obeloi, pp. 45 (dove accetta anche l’interpretazione della dedica di Rodopi [supra, n. 145] come «an example of iron spits in a monetary-value system»), 49. 161 Cfr. N. PARISE, Per un’introduzione allo studio dei «segno premonetari» nella Grecia arcaica, AIIN, 26 (1979), pp. 51-74; ID., Sacrificio e misura del valore, BNum, 4 (1987), Suppl., I, pp. 51-57 (entrambi citati qui secondo la riedizione in ID., La nascita della moneta. Segni premonetari e forme arcaiche dello scambio, Roma - Paestum 2000 [Saggi. Arte e Lettere / Aspís, 5], rispettivamente pp. 7-25, 27-39). 160

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valore di una o più porzioni di carne, rappresentato dal peso e dalle dimensioni di esse». In questo sistema «importante era il fascio di spiedi, normalmente di sei, in cui potevano stare tutte le porzioni ricavabili dalla vittima, specie da quella per eccellenza, il bue. Esso sarebbe stato inteso per multiplo dell’unità di conto». Stabilita ormai nella prassi questa peculiare misura del valore denominata, per una sorta di sineddoche, «spiedo», sarebbe stato poi facile e immediato il passaggio alla determinazione del suo equivalente in termini di metallo pesato: inizialmente, forse, il metallo stesso di cui era fatto l’utensile (almeno a giudicare dall’insistenza sul ‘peso’ – ıIJĮșµȩȢ – degli ϴȕİȜȠȓ-ϴȕİȜϟΗΎΓ΍ in Aristotele, Plutarco e Polluce), prima ancora 162 che un metallo ‘altro’ . Alla luce di un processo di questo tipo (che, se vero, non dovrebbe in ogni caso essere immaginato come generale e unifor163 me, ed estensibile a tutto il mondo greco) , andrà forse riletta 164 anche la tradizione esegetica sui ʌݵʌЏΆΓΏ΅ omerici , che di là da strumentali appropriazioni local-eoliche (in qualche caso precisamente cumee) del termine, e dalla sua prevalente spiega165 zione come «spiedo a cinque rebbi» , conserva traccia di un’interpretazione alternativa, forse più antica, basata sulla presunta, peculiare caratterizzazione numerica del rapporto tra

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Citazioni tratte da PARISE, Sacrificio e misura del valore, (n. **), pp. 35-39 passim. Interessante, in questo quadro, lo sviluppo tracciato da Eust. Comm. Il. I 463, vol. I, pp. 208-209 van der Valk (non è chiaro se sulla base di fonti sottaciute, o solo per autoschediastica e razionalistica ‘gradazione’ del processo evolutivo già descritto): mentre Omero avrebbe usato indifferentemente le forme ϴȕİȜϱΖ e ϴȕȠȜϱΖ per indicare lo spiedo sacrificale (µĮȖİȚȡȚțϱΖ), gli autori successivi avrebbero invece da un lato continuato a indicare quest’ultimo come ϴȕİȜϱΖ, dall’altro designato con ϴȕȠȜϱΖ una lamina di ferro ‘a forma di spiedo’, ormai defunzionalizzata e non appuntita (ϴΆΓΏϲΑ įξ ıȚįφΕΓΙ IJȚ σΏ΅Ηΐ΅ σΏΉ·ΓΑ ıȤϛΐ΅ µνΑ ʌȦȢ σΛΓΑ ϴΆΉΏΓІ, ȠЁ µχΑ țĮϠ İϢΖ ʌΣΑΘϙ ϴΒϿ Ȝϛ·ΓΑ; quindi un ‘facsimile’ di esclusivo uso proto-monetario?); e sarebbe stato appunto questo ϴȕȠȜϱΖ defunzionalizzato, a causa del rilevante spessore della sua lamina (ΥΈΕϲΖ [...] IJϜ ʌĮȤϾΘ΋Θ΍), a riempire la mano con sei unità, e quindi a dar luogo alla įȡĮȤµȒ. 163 PARISE, Sacrificio e misura del valore, p. 39. 164 Cfr. Il. I 463; Od. III 460 (iterazione del verso formulare ȜİϧΆΉ· ȞνΓ΍ įξ ʌĮȡв ĮЁΘϲΑ σΛΓΑ ʌݵʌЏΆΓΏ΅ ȤİȡıϟΑ). 165 Schol. Il. I 463; schol. Od. III 460; Eust. Comm. Il. I 458 ss., vol. I, pp. 205-206, 208209 van der Valk; Comm. Od. III 461, vol. I, p. 139 Stallbaum; Apollon. Soph. s.v. ʌݵʌЏΆΓΏ΅, Ps.-Zonar. s.v. ʌİȞIJЏȕȠȜȠȢ, Hesych. s.v. ʌݵʌȦȕϱΏΓΙΖ.

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spiedi e µİȡϟΈΉΖ del sacrificio in area eolica (partizione degli 166 ıʌȜΣ·ΛΑ΅ su cinque ϴȕİȜȠȓ, in luogo di tre) .

7. Fidone e la moneta Assolutamente non storicizzabile, nello sviluppo tracciato da Orione (< Eraclide < Aristotele?), appare – come si è già accennato – l’attribuzione a Fidone dell’‘invenzione’ della moneta tout court, o anche solo della prima introduzione del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ argenteo ad Egina, contestualmente al ritiro dalla circolazione e alla dedica nell’Heraion degli obeloi di ferro. Il ruolo del tiranno di Argo come protos heuretes della moneta coniata, ignorato – forse significativamente – da Erodoto (che parla solo di rideterminazione di µνΘΕ΅, come in séguito Plinio [mensurae et pondera], Isidoro [ponderum ratio / mensurae et ponde167 ra] e Sincello [µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµϟ΅]) , trova spazio nella tradizio-

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Ps.-Her. Vita Hom. 37 (ll. 531-537 Allen): ǻȘȜȠϧ įξ (sogg. ͣΐ΋ΕΓΖ) țĮϠ πΑ IJȠϧΗΈΉ IJȠϧΖ σΔΉΗ΍Α ϵΘ΍ ǹϢΓΏΉϿΖ ЖΑ įȚțĮϟΝΖ IJȠϧΖ ȞϱΐΓ΍Ζ IJȠϧΖ IJȠϾΘΝΑ πΛΕϛΘΓ· «ȀĮϧΉ įв πΔϠ ıȤϟΊϙΖ ϳ ȖνΕΝΑ, πΔϠ įв ĮϥΌΓΔ΅ ȠϨΑΓΑ / ȜİϧΆΉ· ȞνΓ΍ įξ ʌĮȡв ĮЁΘϲΑ σΛΓΑ ʌݵʌЏΆΓΏ΅ ȤİȡıϟΑ» (Il. I 462-463). ǹϢΓΏνΉΖ ȖΤΕ µϱΑΓ΍ IJΤ ıʌȜΣ·ΛΑ΅ πΔϠ ʌνΑΘΉ ϴΆΉΏЗΑ ϴΔΘЗΗ΍Α, Ƞϡ įξ ΩΏΏΓ΍ ̸ΏΏ΋ΑΉΖ πΔϠ IJȡȚЗΑ. ȀĮϠ ȖΤΕ ϴΑΓΐΣΊΓΙΗ΍Α Ƞϡ ǹϢΓΏΉϧΖ IJΤ ʌνΑΘΉ ʌνΐΔΉ. Poco prima (ll. 523-531 Allen), a proposito della scena di sacrificio di Il. II 422-424, si rileva la mancata menzione del lombo (ϴΗΚϾΖ) del bue, ritenuta ulteriore prova dell’origine eolica di Omero, in quanto µȠȞЏΘ΅ΘΓΑ (...) IJЗΑ ̴ΏΏφΑΝΑ IJϲ ǹϢΓΏ΍ΎϲΑ σΌΑΓΖ ȠЁ țĮϟΉ΍ ϴΗΚϾΑ. Sulla presenza, nella compagine stratificata del bios pseudo-erodoteo, di indizi di autopsia dell’Eolide, nonché di tradizioni locali eoliche di ascendenza anche arcaica, cfr. G. RAGONE, Tradizioni locali eoliche nelle biografie omeriche, in Eoli ed Eolide tra madrepatria e colonie, a cura di A. VISCONTI - M.L. NAPOLITANO, Napoli 2006, pp. 451-516, qui citato secondo la riedizione in ID., ̝ΕΛ΅΍ΓΏΓ·ϟ΅΍, pp. 151-215. 167 Secondo alcuni, la caratterizzazione erodotea di Fidone come ϳ IJΤ µνΘΕ΅ ʌȠȚφΗ΅Ζ ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΓ΍Η΍ (Her. VI 127) potrebbe comportare da sola, senza bisogno di esplicitarlo, un riferimento al nomisma, in quanto «pour les Grecs, la monnaie (drachme, obole, statère) est d’abord un poids, le poids de l’objet légal qu’est le nomisma» (così O. PICARD, Monnaies et législateurs, in Esclavage, guerre, économie en Grèce ancienne. Hommages à Yvon Garlan, éd. par P. BRULÉ - J. OULHEN, Rennes 1997, 213227 [219: citazione]); posizioni affini già in D. KAGAN, Pheidon’s Aeginetan coinage, TAPhA, 91 (1960), pp. 121-136, in particolare p. 135; P. CARLIER, La royauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg 1984, p. 388. V. poi Plin. NH VII 198: fabricam ferram invenerunt Cyclopes, figlinas Coroebus Atheniensis (...) mensuras et pondera Phidon Argivus aut Palamedes, ut maluit Gellius (= Cn. Gellius, l’annalista); Isid. Etym. XVI 25, 2: Primus Phidon Argivus ponderum rationem in Graecia constituit; et licet alii antiquiores extiterint, sed iste hac arte experientior fuit; Chron. 34: Azarias annos LII. Olympias primum Graecis instituitur. Agnus in Graecia loquitur. Sardanapalus rex sponte incendio concrematur. Assy-

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ne solo a partire da Eforo168, per poi articolarsi e fissarsi come ‘dato’, ormai speciosamente precisato in termini generazionali o persino ad annum, nella letteratura lessicografica e cronografica posteriore. Esso tradisce fra l’altro oscillazioni significative e tendenziose, quanto al luogo dell’invenzione e al metallo interessato dalla pretesa coniazione primigenia: e se per Eforo l’heuresis avvenne appunto a Egina (πΑ ǹϢ·ϟΑ΋΍ ΩΕ·ΙΕΓΑ ʌȡЗΘΓΑ țȠʌϛΑ΅ϟ ijȘıȚȞ ЀΔϲ ĭİϟΈΝΑΓΖ) e riguardò altri metalli oltre l’argento (Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ țİȤĮȡĮȖµνΑΓΑ IJϱ IJİ ΩΏΏΓ țĮϠ IJϲ ΦΕ·ΙΕΓІΑ)169, il Marmo Pario, nel confermare il luogo (πΑ ǹϢ·ϟΑϙ), circoscrive l’invenzione al solo Ȟϱΐ΍ΗµĮ ΦΕ·ΙΕΓІΑ170. Altre fonti considerano invece il tiranno di Argo autore dell’ ǼЁΆΓϞΎϲΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ (quindi anche dell’altro più diffuso piede monetale della Grecia metropolitana), precisando trattarsi, in tal caso, di moneta aurea (ȤȡȣıȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅)171. Con singolare ‘dirottamento’ localistico, come sede di coniazione di questa moneta ‘euboica’ non viene indicata però l’isola d’Eubea, bensì un’omonima località (IJϱΔΓΖ, ma anche ȤȦȡϟΓΑ, o ȜϱΚΓΖ) sita πΑ IJϜ ̝Ε·Ήϟθ, ossia, teste Pausania, il monte stesso alle cui pendici sorgeva l’Heraion, ϷΕΓΖ (...) ϵΗΓΑ ʌİȡϠ IJϲ ϡΉΕϱΑ, la cui eponimia era ricondotta appunto a una ǼЄΆΓ΍΅ figlia del fiume Asterione

___________________________________________________ riorumque regnum in Medos transfertur. Tunc Hesiodus poeta claruit. Atque Phidon Argivus mensuras et pondera reperit. Osee, Amos, Isaias, et Jona, in Judaea hac aetate prophetantibus; Sync. p. 234 Mosshammer (supra, n. 47): ĭİϟΈΝΑ (...) µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµϟ΅ ʌȡЗΘΓΖ πΚΉІΕΉΑ, ГΖ IJȚȞİȢ· ώΗ΅Α įξ țĮϠ ʌȡϲ IJȠϾΘΓΙ (il che ridurrebbe l’opera di Fidone a una semplice riforma di pesi e misure preesistenti). Nella tradizione pitagorica l’heuresis è ovviamente attribuita a Pitagora: cfr. Diog. Laert. VIII 14: țĮϠ ʌȡЗΘΓΑ İϢΖ IJȠϿΖ ̸ΏΏ΋Α΅Ζ µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµΤ İϢΗ΋·φΗ΅ΗΌ΅΍, țĮșΣ ijȘıȚȞ ̝Ε΍ΗΘϱΒΉΑΓΖ ϳ µȠȣıȚțϱΖ (frg. 24 Wehrli). 168 Ephor. FGrHist 70 F 115 (da Strab. VIII 3, 33): țĮϠ µνΘΕ΅ πΒΉІΕΉ IJΤ ĭİȚįЏΑ΍΅ țĮȜȠϾΐΉΑ΅ țĮϠ ıIJĮșµȠϿΖ țĮϠ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ țİȤĮȡĮȖµνΑΓΑ IJϱ IJİ ΩΏΏΓ țĮϠ IJϲ ΦΕ·ΙΕΓІΑ; 70 F 176 (da Strab. VIII 6, 16): ̷ΚΓΕΓΖ įв πΑ ǹϢ·ϟΑ΋΍ ΩΕ·ΙΕΓΑ ʌȡЗΘΓΑ țȠʌϛΑ΅ϟ ijȘıȚȞ ЀΔϲ ĭİϟΈΝΑΓΖ (con la bibliografia indicata nella nota seguente). 169 Su Ephor. FGrHist 70 F 115 (testo nella nota precedente) v. da ultimo G. PARMEGGIANI, Egina e il Fidone re/tiranno (a Ephor. FGrHist 70 F 176), RSA, 32 (2002), pp. 59-72; ID., Ancora sul Fidone di Eforo. 170 Marm. Par. FGrHist 239 § A 30, lin. 1-3: ΦΚв ȠЈ ĭ[İϟ]įȦȞ ϳ ̝Ε·ΉϧΓΖ πΈφΐΉΙΗ[İ IJΤ] µ.νΘ.[ȡĮ țĮϠ | ıIJ]ĮșµΤ țĮIJİıțİϾ΅ΗΉ țĮϠ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ΦΕ·ΙΕΓІΑ πΑ ǹϢ·ϟΑ΋΍ πΔΓϟ΋ΗΉΑ οΑΈνΎ΅ΘΓΖ ЖΑ ΦΚв ̽Ε΅ΎΏνΓΙΖ, σΘ΋ ȆǻǾǻǻǻǿ, ȕĮıȚȜİϾΓΑΘΓΖ ̝Ό΋ΑЗΑ | [ĭİțİȜ] İ.ϟΓΙΖ.; 171 Cfr. Etym. Gud. (additam.) ed Etym. M. s.v. ǼЁΆΓϞΎϲΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅· πΔΉ΍Έχ ĭİϟΈΝΑ ϳ ̝Ε·ΉϟΝΑ ȕĮıȚȜİϿΖ πΑ ǼЁΆΓϟθ ȤȦȡϟУ IJȠІ ̡Ε·ΓΙΖ ʌȡЗΘΓΑ σΎΓΜΉΑ ȤȡȣıȠІΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅· ВΑϱΐ΅ΗΉ (ВΑϱΐ΅ΗΘ΅΍ Etym. M.) įξ IJϲ ȤȦȡϟΓΑ ΦΔϲ ǼЁΆΓϟ΅Ζ IJȡȠijȠІ IJϛΖ к̊Ε΅Ζ.

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e IJȡȠijϱΖ della dea di Argo172. In questa variante di tradizione è dunque l’Heraion stesso a proporsi, in luogo di Egina, come sede della fantomatica ‘zecca’ di Fidone173. Curiosamente, un tentativo di delocazione per certi versi simile si ritrova nella ricerca moderna, che talora ha considerato il nesso Fidone-Egina (per vari aspetti problematico sul piano storico) esito di banalizzazione di un’indicazione topografica diversa e difficilior, ipotizzando che la ‘Egina’ posta sotto il controllo di Argo all’epoca del tiranno non fosse l’isola, bensì un’oscura località dell’Epidauria menzionata una tantum da Strabone (ǹϥ·΍Α΅ įв σΗΘ΍ µξΑ țĮϠ IJϱΔΓΖ IJȚȢ IJϛΖ ̳Δ΍Έ΅ΙΕϟ΅Ζ)174.

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Oltre a Etym. Gud. (additam.) ed Etym. M. s.v. ǼЁΆΓϞΎϲΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ (nota precedente), cfr. anche Strab. X 1, 15: țĮϠ πΑ ȀİȡțϾΕθ įξ țĮϠ πΑ ȁφΐΑУ IJϱΔΓΖ ώΑ ǼЄΆΓ΍΅ țĮϠ πΑ IJϜ ̝Ε·Ήϟθ ȜϱΚΓȢ IJȚȢ; Paus. II 17, 1-2: ĮЁΘϲ įξ IJϲ ϡΉΕϱΑ (scil. l’Heraion di Argo) πΗΘ΍Α πΑ ȤșĮµĮȜȦIJνΕУ IJϛΖ ǼЁΆΓϟ΅Ζ· IJϲ ȖΤΕ įχ ϷΕΓΖ IJȠІΘΓ ϴΑΓΐΣΊΓΙΗ΍Α ǼЄΆΓ΍΅Α, Ȝν·ΓΑΘΉΖ ̝ΗΘΉΕϟΝΑ΍ ȖİȞνΗΌ΅΍ IJХ ʌȠIJĮµХ șȣȖĮIJνΕ΅Ζ ǼЄΆΓ΍΅Α țĮϠ ȆȡϱΗΙΐΑ΅Α țĮϠ ̝ΎΕ΅ϟ΅Α, İϨΑ΅΍ įξ ıijκΖ IJȡȠijȠϿΖ IJϛΖ к̊Ε΅Ζ· țĮϠ ΦΔϲ µξΑ ̝ΎΕ΅ϟ΅Ζ IJϲ ϷΕΓΖ țĮȜȠІΗ΍ IJϲ ΦΔ΅ΑΘ΍ΎΕϿ IJȠІ ̽Ε΅ϟΓΙ, ΦΔϲ įξ ǼЁΆΓϟ΅Ζ ϵΗΓΑ ʌİȡϠ IJϲ ϡΉΕϱΑ, ȆȡϱΗΙΐΑ΅Α įξ IJχΑ ЀΔϲ IJϲ ̽Ε΅ϧΓΑ ȤЏΕ΅Α; Steph. Byz. s.v. ǼЄΆΓ΍΅· (...) σΗΘ΍ țĮϠ IJϱΔΓΖ πΑ ̡Ε·Ή΍ (...); Eustath. Comm. Il. II 536 (vol. I p. 427 van der Valk): ϵΘ΍ įξ ʌȠȜȜĮϠ ǼЄΆΓ΍΅΍, įϛΏΓΑ πΎ IJЗȞ ʌĮȜĮȚЗΑ, ȠϤ țĮϠ IJϱΔΓΑ πΑ ȈȚțİȜϟθ țĮϠ πΑ ̡Ε·Ή΍ țĮϠ πΑ ȂĮțİįȠȞϟθ įξ ȠЂΘΝ țȜȘșϛΑ΅ϟ ijĮıȚ. Nelle tradizioni locali euboiche la stessa Euboia è nota come nutrice di Era in alternativa a Makris: cfr. Plut. Quaest. conv. 657e: (...) įȠțȠІΗ΍Α (...) țĮϠ Ƞϡ ʌĮȜĮȚȠϠ IJȠІ µξΑ ǻȚϲΖ įϾΓ ʌȠȚİϧΑ IJȚșφΑ΅Ζ, IJχΑ ͕Έ΋Α țĮϠ IJχΑ ̝ΈΕΣΗΘΉ΍΅Α, IJϛΖ įв к̊Ε΅Ζ µϟ΅Α, IJχΑ ǼЄΆΓ΍΅Α; fr. 157 Sandbach (FGrHist 388 F 1): πΏΌΓϾΗ΋Ζ įξ IJϛΖ ȂĮțȡϟΈΓΖ țĮIJΤ ȗφΘ΋Η΍Α (ώΑ įξ к̊Ε΅Ζ IJȚșφΑ΋) țIJȜ. 173 Altre tradizioni adombrano un legame Argo-Eubea (talora nel segno di Era e del rapporto ȕȠІΖ-ǼЄΆΓ΍΅ su cui v. Aegim. fr. 3; Aelian. NA XII 36). Abante figlio di Linceo, dopo aver fondato Argo, si sarebbe trasferito in Eubea, che da lui (a non dagli Abanti) avrebbe preso l’epiclesi di Abantis: schol. Pind. Pyth. 8,77a; Steph. Byz. s.v. ̝Ά΅ΑΘϟΖ (che cita come fonte Aristocrate di Sparta); Eustath. Comm. Il. II 542 (I p. 433 van der Valk); Comm. Dion. Per. 520 (da Arriano). Argura è una località euboica dove Ermete avrebbe ucciso Argo Panopte: Steph. Byz. s.v. ̡Ε·ΓΙΕĮ; Eustath. Comm. Il. II 738 (I p. 520 van der Valk). 174 Strab. VIII 6, 16 (che tra l’altro spiega la variante ȞϛΗϱΑ IJв ǹϥ·΍Α΅Α in luogo di Ƞϣ IJв σΛΓΑ ǹϥ·΍Α΅Α nei versi del Catalogo iliadico relativi al contingente di Diomede e Stenelo [Il. II 559-564] appunto come riflesso di una precisa volontà chiarificatrice e distintiva da parte di imprecisati IJȚȞȑȢ); cfr. TAUSEND, Pheidon von Argos. L’inclusione di Egina (insieme con Tirinto, Ermione, Asine, Trezene, Eione, Epidauro e Mase) nel contingente argivo del Catalogo costituiva già una buona base mitistorica per future pretese di Argo sull’isola. Oltre a ciò, era correntemente ammessa una sua colonizzazione ad opera di Dori di Argo guidati da Triaconte, dopo la morte di Aiace Telamonio (cfr. schol. Pind. Ol. VIII 39a-b; 40; Nem. III 1b; schol. Lycophr. 176; Strab. VIII 6, 16 fornisce la successione completa delle epoikiai di Egina: Argivi, Cretesi, Epidaurioti, Dori, cleruchi ateniesi). Egina era ritenuta insomma parte integrante del ‘lotto di Temeno’ (Paus. II 29, 5), allo stesso titolo di Epidauro, Ermione e Trezene

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Il dibattito degli antichi sull’heuresis della moneta coniata è, com’è noto, ben anteriore agli interventi di Eforo e di Aristotele175. La tesi di Senofane – la più antica trasmessa dalle fonti – riporta l’invenzione ai Lidi, e può essere connessa alla polemica del filosofo contro il lusso di settori ȜȣįϟΊΓΑΘΉΖ egemoni dell’aristocrazia della madrepatria Colofone176. Su una linea non dissimile si pone Erodoto, che caratterizza la moneta lidia primigenia, con inconsapevole anacronismo, come Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȤȡȣıȠІ țĮϠ ΦΕ·ϾΕΓΙ, ignorando quella precedente di elettro (metallo di cui conosce peraltro l’esistenza)177. Alcidamante respinge la tesi, a lui antecedente, che include il Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ tra le pretese invenzioni di Palamede (al quale ricosce invece l’infelice heuresis di µνΘΕ΅ e ıIJĮșµȐ, scaturigine della fraudolenza e della litigiosità connaturate alla țĮʌȘȜİϟ΅)178, e at-

___________________________________________________ (v. supra, n. 34). Secondo il Tausend Fidone, nel suo tentativo di ricostituzione del ‘lotto’ (supra, n. 37), non riuscì a occupare Egina, che nel corso del VII secolo a.C. (tale la ‘forchetta’ cronologica ampia postulata per il tiranno) fu prima sotto il controllo di Epidauro e poi, resasi indipendente, mantenne buoni rapporti con Argo in funzione antiateniese (Her. V 82-88). L’isola in ogni caso non avrebbe potuto essere sottomessa senza una flotta adeguata, di cui manca ogni notizia nelle fonti relative ad Argo arcaica e a Fidone. Di qui l’ipotesi che Fidone avesse in realtà sottomesso l’altra Egina, la località dell’Epidauria (che Tausend, con ragionamento opinabile, propone di identificare con un anonimo insediamento noto per via archeologica presso l’odierno villaggio di Tracheia, a sud di Epidauro; in questa prospettiva già E. CURTIUS, Peloponnesos. Eine historisch-geographische Beschreibung der Halbinsel, I-II, Gotha 1851-1852: II p. 429). Successivamente, l’indebita associazione fra (a) le tradizioni inerenti l’espansionismo territoriale e le misure metrico-ponderali di Fidone, (b) quelle inerenti il dominio esercitato da Argo su una ‘Egina’ e (c) quelle sulla primogenitura della moneta argentea ‘eginetica’ in Grecia continentale (cfr. Aelian. VH XII 10: infra, n. 208), avrebbe dato corpo all’immagine astorica di un Fidone conquistatore di Egina (l’isola) e autore, in loco, del più antico nomisma d’argento. 175 Cfr. in sintesi N. PARISE, Le prime monete. Significato e funzione, in I Greci. Storia, Cultura, Arte, Società, 2. Una storia greca. I. Formazione, a cura di S. SETTIS, Torino 1996, pp. 715-734 (riedizione in ID., La nascita della moneta, pp. 49-67). 176 Per la teoria di Senofane (21 B 4 D.-K.), e per il suo plausibile ma indimostrabile nesso con la critica senofanea della tryphe dei Mille di Colofone (21 B 3 D.-K. = fr. 3 G.-P.), cfr. PARISE, Le prime monete, pp. 50, 56-58; vd. inoltre R. CANTILENA, Aspetti della moneta di Elea al tempo di Senofane, in Senofane ed Elea, pp. 195-203, in particolare pp. 195-196. 177 Her. I 94, 1: ȆȡЗΘΓ΍ įξ ΦΑΌΕЏΔΝΑ IJЗΑ ψΐΉϧΖ ϥΈΐΉΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȤȡȣıȠІ țĮϠ ΦΕ·ϾΕΓΙ țȠȥΣΐΉΑΓ΍ πΛΕφΗ΅ΑΘΓ, ʌȡЗΘΓ΍ įξ țĮϠ țΣΔ΋ΏΓ΍ π·νΑΓΑΘΓ. Cfr. PARISE, Le prime monete, p. 57 (con giusta critica dell’ipotesi che ȤȡȣıȠІ țĮϠ ΦΕ·ϾΕΓΙ sia una specie di endiadi indicante l’elettro, ed opportuno rimando alla chiara menzione di ȤȡȣıϲΖ ΩΔΏΉΘΓΖ o ΩΔΉΚΌΓΖ o ȜİȣțȩȢ in Her. I 50). V. anche R.M. COOK, Speculations on the origins of coinage, «Historia», 7 (1958), pp. 257-262, in particolare p. 261 e n. ibi. 178 La moneta è tra le invenzioni di Palamede (insieme con le misure) anche in Philostr. Her. 708 (ʌȡϲ ȖΤΕ įχ ȆĮȜĮµφΈΓΙΖ [...] ȠЁΈξ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ώΑ, ȠЁΈξ ıIJĮșµΤ țĮϠ µν-

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tribuisce invece l’innovazione ai Fenici, «i più abili calcolatori e i più inventivi fra i barbari», i quali avrebbero per primi suddiviso in parti uguali una barra massiccia di metallo (ϳΏϱΗΚΙΕΓΖ), imprimendovi un ȤĮȡĮțIJȒȡ a garanzia di un determinato peso metallico, e poi differenziando il contrassegno in rapporto a pezzature e pesi diversificati179. Nel dossier eclettico assemblato da Polluce, i titoli di Fidone come inventore del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ non sono considerati maggiori di quelli della cumea Demodice, convivente o sposa (ıȣȞȠȚțφΗ΅Η΅) di Mida, degli ateniesi Erittonio e Lico, dei Nassi o degli stessi Lidi, dimodoché al lessicografo la questione appare ormai ridotta a una sorta di ȗȒIJȘµĮ inestricabile180: un’aporia dossografica che ha pesato anche sulla ricerca moderna, per la quale le diverse tradizioni si risolvono sempre e comunque, fatta forse eccezione per la variante senofanea, in costruzioni propagandistiche, concorrenti tra loro, volte a fondare opinabili ‘primati’ cittadini amplificando e retrodatando oltre ogni limite innovazioni recenziori e adespote d’importanza circoscritta, e assegnando campanilisticamente un ruolo di protoi heuretai a eroi o personaggi storici ben radicati nelle rispettive tradizioni locali181. Nella ridda delle inconciliabili opzioni localistiche prese in considerazione da Polluce sembra tuttavia emergere una essen182 ziale «contrapposizione di Occidente e Oriente» , che anticipa

___________________________________________________ ΘΕ΅ țIJȜ.); solo le misure in schol. Eur. Or. 432 (µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJĮșµȠϾΖ); Cn. Gellius in Plin. NH VII 198 (supra, n. 167); Greg. Naz. Contra Jul. imp. 1 (MPG 35) p. 644 (µνΘΕ΅ IJİ țĮϠ ıIJĮșµȐ); Athan. Contra gent. 18 (µνΘΕ΅ țĮϠ ıIJΣΌΐ΍΅ ȆĮȜĮµφΈ΋Ζ πΚΉІΕΉ); Suid. s.v. ȆĮȜĮµφΈ΋Ζ (µνIJȡȦȞ țĮϠ ıIJĮșµЗΑ). 179 Alcidam. Odyss. fr. 16, 22-28 Radermacher, in particolare p. 26: ȃȠµϟΗΐ΅Θ΅ įξ ȠЁ ĭȠϟΑ΍ΎΉΖ πΒ΋ІΕΓΑ, ȜȠȖȚЏΘ΅ΘΓ΍ țĮϠ įİȚȞϱΘ΅ΘΓ΍ ϷΑΘΉΖ IJЗΑ ȕĮȡȕΣΕΝΑЪ ̳Β ϳΏΓΗΚϾΕΓΙ ȖΤΕ ϥΗΓΑ µİȡȚıµϲΑ įȚİϟΏΓΑΘΓ, țĮϠ ʌȡЗΘΓ΍ ȤĮȡĮțIJϛΕ΅ σΆ΅ΏΓΑ, † İϢΖ IJϲΑ ıIJĮșµϲΑ IJϲ ʌȜνΓΑ țĮϠ IJϲ σΏ΅ΘΘΓΑ. ȆĮȡв ЙΑ ȠЈΘΓΖ πΏΌАΑ ıȠijϟΊΉΘ΅΍ IJϲΑ ĮЁΘϲΑ ϹΙΌΐϱΑ. ͷΗΘΉ ĮЁΘΓІ IJĮІΘ΅ ʌΣΑΘ΅ ʌȡİıȕϾΘΉΕ΅ ijĮϟΑΉΘ΅΍, ЙΑ ȠЈΘΓΖ ʌȡȠıʌȠȚİϧΘ΅΍ İЀΕΉΘχΖ İϨΑ΅΍. 180 Poll. IX 83: ȉΣΛ΅ įв ΩΑ IJȚȢ ijȚȜϱΘ΍ΐΓΑ İϨΑ΅΍ ȞȠµϟΊΓ΍ țĮϠ IJϲΑ πΔϠ IJХ ȞȠµϟΗΐ΅Θ΍ Ȝϱ·ΓΑ πΔ΍Ί΋ΘΉϧΑ, İϥΘΉ ĭİϟΈΝΑ ʌȡЗΘΓΖ ϳ ̝Ε·ΉϧΓΖ σΎΓΜΉ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅, İϥΘΉ ǻȘµȠįϟΎ΋ ψ ȀȣµĮϟ΅ ıȣȞȠȚțφΗ΅Η΅ ȂϟΈθ IJХ ĭȡȣȖϟ (ʌĮϧΖ įв ώΑ ̝·΅ΐνΐΑΓΑΓΖ ȀȣµĮϟΝΑ ȕĮıȚȜνΝΖ), İϥΘΉ ̝Ό΋Α΅ϟΓ΍Ζ ̳Ε΍ΛΌϱΑ΍ΓΖ țĮϠ ȁϾΎΓΖ, İϥΘΉ ȁȣįȠϟ, țĮșΣ ijȘıȚ ȄİȞȠijΣΑ΋Ζ (21 B 4 D.-K.), İϥΘΉ ȃΣΒ΍Γ΍ țĮIJΤ IJχΑ ̝·ΏΝΗΌνΑΓΙΖ įϱΒ΅Α. 181 Cfr. RAGONE, Tradizioni locali eoliche, p. 149 n. 64; 186 n. 189; 189 n. 201; 194; 200205; A. MELE, Cuma eolica nell’VIII secolo, in Eoli ed Eolide tra madrepatria e colonie, pp. 393-410 (in particolare par. 6: Il problema del ȞȩµȚıµĮ); PARISE, Le prime monete, in particolare pp. 49-51, 57, 59. 182 PARISE, Le prime monete, p. 50.

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in qualche modo una dicotomia che ha caratterizzato anche la lenta e tormentata ridefinizione del problema nell’ambito della 183 ricerca moderna . Il quadro storico ipotetico oggi prevalentemente ammesso è infatti così schematizzabile: (a) passaggio, determinatosi con ogni verosimiglianza proprio in Lidia (la terra

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Tra i contributi più recenti, oltre a quelli già citati di PARISE (supra, nn. 124, 161, 175), v. A. BAMMER, Gold und Elfenbein von einer neuen Kultbasis in Ephesos, JÖAI, 58 (1988), pp. 1-23; ID., Neue Grabungen an der Zentralbasis des Artemision von Ephesos, e e JÖAI, 58 (1988), Beibl., pp. 1-31; ID., Les sanctuaires des VIII et VII siècles à l’Artèmision d’Éphèse, RA, 1991, pp. 63-84; S. KARWIESE, The Artemisium coin hoard and the first coins of Ephesus, RBN, 137 (1991) pp. 1-28; ID., Die Münzprägung von Ephesos, I. Die Anfänge. Die ältesten Prägungen und der Beginn der Münzprägung überhaupt, Wien 1995; ID., Das Artemision von Ephesos und die ältesten Münzen der Welt, in Der Kosmos der Artemis von Ephesos, hrsg. von U. MUSS, Wien 2001 (Österreichisches Archäologisches Institut Sonderschriften, 37), pp. 101-109; D. WILLIAMS, The ‘pot-hoard’ pot from the archaic Artemision at Ephesus, BICS, 38 (1991-1993), pp. 98-103; M. KERSCHNER, Ein stratifizierter Opferkomplex des 7. Jh.s v. Chr. aus dem Artemision von Ephesos, JÖAI, 66 (1997), Beibl. pp. 85-226; A. BURNETT, The origins and development of Greek coinage, in Origin, Evolution and Circulation of Foreign Coins in the Indian Ocean. Proceeding of the numismatic workshop “Origin and evolution of coins” and the International Seminar “Circulation of foreign coins in Sri Lanka and ancient sea routes in the Indian Ocean” (Colombo, 8-10 september 1994), ed. by O. BOPEARACHCHI - D.P.M. WEERAKKODY, New Delhi 1998, pp. 1-8; J. SPIER, Notes on the early electrum coinage and a die-linked issue from Lydia, in Studies in Greek Numismatics in Memory of Martin Jessop Price, ed. by R. ASHTON - S. HURTER, London 1998, pp. 327-334; A. AREVALO GONZALES, El origen de la moneda: estado de la cuestion, GacNum, 133 (1999), pp. 5-13; M.R. ALFÖLDI, Gli inizi della monetazione nel Mediterraneo fino alle guerre persiane, in Storia della moneta, I. La moneta greca e romana, a cura di F. PANVINI ROSATI, Roma 2000, pp. 21-36; T. STINGL, Barren oder Münzen? Überlegungen zum Beginn der Elektronprägung inWestkleinasien, «Boreas», 23/24 (2000-2001), pp. 35-52; R. DESCAT, Monnaie multiple et monnaie frappée en Grèce archaïque, RN, 157 (2001), pp. 69-81; P. GRIERSON, La origini della moneta, RIN, 102 (2001), pp. 13-48; G. LE RIDER, La naissance de la monnaie. Pratiques monétaires de l’Orient ancien, Paris 2001; Hacksilber to Coinage. New Insights into the Monetary History of the Near East and Greece. A collection of eight papers presented at the 99th annual meeting of the Archaeological Institute of America, ed. by M.S. BALMUTH, New York 2001 (in particolare R.W. WALLACE, Remarks on the value and standards of early electrum coins, pp. 127-134); R. WOLTERS, Zwischen Asien und Europa: die Anfänge der Münzprägung), in Moneta, mercanti, banchieri. I precedenti greci e romani dell’Euro. Atti del convegno internazionale (Cividale del Friuli, 26-28 settembre 2002), a cura di G. URSO, Pisa 2003 (Convegni della Fondazione Niccolò Canussio, 2), pp. 9-38; A.J. DOMÍNGUEZ, Comercio, santuarios y monedas en la Grecia arcaica), ibi, pp. 39-64; M. FARAGUNA, Nomisma e polis. Aspetti della riflessione greca antica sul ruolo della moneta nella società, ibi, pp. 109-135; CHR. M. THOMPSON, Sealed silver in Iron Age Cisjordan and the ‘invention’ of coinage, OJA, 22 (2003), pp. 67-107; R. KLETTER, Underground economy? Hoards and treasures in Iron Age Palestine, «Levant», 35 (2003), pp. 139-152; S. GITIN - A. GOLANI, A silverbased monetary economy in the seventh century BCE: a response to Raz Kletter, «Levant», 36 (2004), pp. 203-205; R. KLETTER, Coinage before coins? A response, «Levant», 36 (2004), pp. 207-210; M. SILVER, “Coinage before coins?”. A further response to Raz Kletter, «Levant», 38 (2006), pp. 193-195.

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dello Tmolo, del Pattolo ȤȡȣıȠȡȡϱ΅Ζ, dei µνΘ΅ΏΏ΅ tra Atarneo, Astira e Pergamo ecc.: distretti minerari ben noti ai Greci dell’Eolide e della Ionia, beneficiari indiretti delle loro risor184 se) , da un modo di circolazione ‘orientale’, dominato dal me185 tallo pesato , all’uso specifico, ma con modalità funzionali sostanzialmente affini, di ‘gocce’ di elettro di forma e peso predeterminati; (b) rapida trasmissione dell’innovazione ai confinanti Greci d’Asia, e sua ulteriore evoluzione formale (con adattamento del piede ponderale e graduale passaggio dalle forme globulari al tondello, impresso e ‘garantito’ con ȤĮȡĮțIJȒȡ, quest’ultimo via via standardizzato in emblema civico), in parallelo con una radicale e ‘rivoluzionaria’ rifunzionalizzazione greca del mezzo, nell’ambito del sistema economico, politico e sociale del tutto diverso della polis (metallo monetato – Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ – ora inteso come «valore universalmente riconosciuto», «misura ufficiale del valore», «mezzo di acquisto garantito» dalla comunità civica, con potenzialità di evolversi in «puro segno», vieppiù distaccato dal 186 valore intrinseco della sua materia metallica) ; (c) estensione, infine, del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ dall’Asia Minore greca alla Grecia continentale (Egina, Corinto, Atene ecc.), con sostituzione del metallo coniato (argento, non più elettro) e diversificazione dei piedi monetali (eginetico, euboico ecc.). Resta controversa, insieme con l’effettiva scansione e linearità del processo così sintetizzato (che in realtà poté assumere modalità e ritmi assai diversi a seconda dei luoghi), anche la sua cronologia interna. Per la fase ‘creativa’ ed evolutiva iniziale, tale cronologia dipende, com’è noto, dall’interpretazione archeologica e numismatica, tuttora assai controversa, dei reperti dell’Artemision di Efeso. Le aporie generate dalle stratigrafie profonde di questo luogo umbilicale per lo studio dell’origine della moneta hanno dato luogo a datazioni 187 oscillanti tra la metà, il terzo e l’ultimo quarto del VII secolo a.C. , o

___________________________________________________ 184

Cfr. C. TALAMO, La Lidia arcaica. Tradizioni genealogiche ed evoluzione istituzionale, Bologna 1979, pp. 95-96; PARISE, Le prime monete, p. 57; E. FEDERICO, Colofone, la tryphe e il dionisismo dei lydizontes. Intorno e oltre Xenoph. DK 21 B 17, «Incidenza dell’antico», 1 (2003), pp. 125-150, in particolare pp. 138-141; MELE, Cuma eolica nell’VIII secolo, RAGONE, Tradizioni locali eoliche, pp. 197-203. 185 Cfr. Her. I 14, 1-3; 25, 1; 50, 3-51, 5. 186 Citazioni tratte ancora da PARISE, Le prime monete, p. 60. 187 Cfr. ad esempio L. WEIDAUER, Probleme der frühen Elektronprägung, Freiburg 1975, pp. 72-80; WILLIAMS, The ‘pot-hoard’ pot; D. KAGAN, The dates of the earliest coins, AJA,

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anche ribassate al 600 o al 560 a.C. circa . Non è, per esempio, più immune da dubbi l’originaria convinzione che, tra i vari gruzzoli di globetti e monete di elettro disseminati negli strati del santuario anteriori all’età di Creso, almeno i materiali raccolti intorno alla cosiddetta ‘base centrale’ rappresentino un deposito di fondazione 189 unitario e coerente, chiuso intorno al 600 a.C. . È stato inoltre messo in questione anche il valore datante della brocca subgeometrica (ca. 650-625 a.C.) che racchiudeva il gruzzolo rinvenuto tra la 190 base centrale e la piattaforma occidentale . Di fronte al succedersi di queste e consimili revisioni critiche dei dati archeologici e numismatici, alcuni hanno preferito indicare, per l’origine della moneta, solo una data genericamente anteriore all’inizio del regno di Creso 191 (561/60 a.C.) . Ma questa cautela, forse eccessiva, tende oggi a essere a sua volta superata: si profila infatti un ritorno alla cronologia alta (seconda metà del VII secolo a.C.), per effetto del più recente rinvenimento, sempre all’Artemision, di monete associate a ceramica 192 sicuramente databile all’ultimo quarto di tale secolo . Una solu-

___________________________________________________ 86 (1982), pp. 343-360, in particolare pp. 355-356; R.R. HOLLOWAY, The date of the first Greek coins: some arguments from style and hoards, RBN, 130 (1984), pp. 5-18, in particolare pp. 5-9, 18; STINGL, Barren oder Münzen; M. WEISSL, Grundzuge der Bauund Schichtenfolge im Artemision von Ephesos, JÖAI, 71 (2002), pp. 313-346, in particolare pp. 315-321. 188 Cfr. ad esempio E.S.G. ROBINSON, The coins from the Ephesian Artemisium reconsidered, JHS, 71 (1951), pp. 156-167, in particolare p. 156; M. VICKERS, Early Greek coinage. A reassessment, NC, 145 (1985), pp. 1-44 (ultimo quarto del VI secolo a.C.!); C.M. KRAAY, Archaic and Classical Greek Coins, Berkeley - Los Angeles 1976, 20-21; A. BAMMER, A peripteros of the Geometric Period in the Artemision of Ephesus, AncSoc, 40 (1990), pp. 136-160, in particolare pp. 149-150; STINGLE, Barren oder Münzen?, in particolare pp. 41-44; LE RIDER, La naissance de la monnaie, pp. 62-66. 189 Cfr. ad esempio P. JACOBSTHAL, The date of the Ephesian foundation deposit, JHS, 71 (1951), pp. 85-95; ROBINSON, The coins from the Ephesian Artemisium; ID., The date of th the earliest coins, NC, VI Ser., 16 (1956), pp. 1-8; contra: CH. SELTMAN, Greek Coins, 2 London 1955 , pp. 15-17, 42 (nota di aggiornamento alla prima edizione). 190 Cfr. WEIDAUER, Probleme der frühen Elektronprägung, pp. 72-80; WILLIAMS, The ‘pothoard’ pot; CHR. HOWGEGO, La storia antica attraverso le monete, a c. di L. TRAVAINI, Roma 2002 (trad. it. di ID., Ancient History from Coins, London 1995), p. 2: «il paragone fra grandi vasi e piccole monete è problematico: una manifattura scadente può essere facilmente scambiata per arcaismo, mentre un vecchio vaso potrebbe contenere monete più recenti». 191 Cfr. ancora HOWGEGO, La storia antica attraverso le monete, pp. 2-3: «è meglio sottolineare il sicuro termine ante quem del 560 a.C. circa e ammettere di non sapere con certezza quanto tempo prima abbia avuto inizio la monetazione». 192 Cfr. KERSCHNER, Ein stratifizierter Opferkomplex, in particolare p. 100; v. anche ID., Stratifizierte Fundkomplexe der geometrischen und subgeometrischen Epoche aus Ephesos, in

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zione del genere è data ormai per acquisita («quite firm») nella 193 bibliografia degli ultimi anni . Altrettanto fluida e controversa la cronologia dell’adozione del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ in Grecia propria. La monetazione più antica in contesti metropolitani è rappresentata con ogni probabilità proprio dalle celebri ȤİȜЗΑ΅΍194 argentee di Egina (con la convenzionale distinzione fra tartaruga «marina» [sea-turtle] e «terrestre» [tortoise] ormai invalsa nell’uso, non rispondente in realtà né ad una chiara bipartizione iconografica del tipo, né ad una netta distinzione tassonomica in campo zoologico)195. Il t.a.q. più alto per la loro comparsa è dato dalla presenza di un singolo esemplare ‘fior di conio’, uno statere della serie ritenuta più antica, in uno dei due depositi di fondazione dell’Apadana di Persepoli (ca. 520-500 a.C.; probabilmente ante 511)196. Resta peraltro

___________________________________________________ Probleme der Keramikchronologie des südlichen und westlichen Kleinasiens in geometrischer und archaischer Zeit. Internationales Kolloquium (Tübingen 24.3.-26.3.1998), hrsg. von B. RÜCKERT - F. KOLB, Bonn 2003 (Antiquitas - Reihe 3, Bd. 44), pp. 43-59; ID., Zum Kult im früheisenzeitlichen Ephesos. Interpretation eines protogeometrischen Fundkomplexes aus dem Artemisheiligtum, in Griechische Keramik im kulturellen Kontext. Akten des Internationalen Vasen-Symposions (Kiel 24.-28.9.2001), hrsg. von B. SCHMALTZ - M. SÖLDNER, Münster 2003, pp. 246-250; M. WEISSL, Kontextualisierung im Artemision von Ephesos, «Hephaistos», 21-22 (2003-2004), pp. 169-200; M. KERSCHNER, Aufarbeitung und Interpretation von Kontexten im Artemision von Ephesos. Anmerkungen zu Hephaistos 21/22, 2003/04, 169–200, JÖAI, 73 (2004), pp. 166-170. 193 Cfr. ad esempio WOLTERS, Zwischen Asien und Europa, p. 9; N. CAHILL - J.H. KROLL, New archaic coin finds at Sardis, AJA, 109 (2005), pp. 589-617, in particolare pp. 614-615 (donde [614] la citazione virgolettata nel testo). 194 Cfr. Poll. IX 74: ȀĮϠ µχΑ IJϲ ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΝΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȤİȜЏΑ΋Α IJȚȞξΖ ωΒϟΓΙΑ țĮȜİϧΑ ΦΔϲ IJȠІ IJȣʌЏΐ΅ΘΓΖ· ϵΌΉΑ ψ µξΑ ʌĮȡȠȚµϟ΅ “IJΤΑ ΦΕΉΘΤΑ țĮϠ IJΤΑ ıȠijϟ΅Α ȞȚțκΑΘ΍ ȤİȜЗΑ΅΍”, πΑ įξ IJȠϧΖ ǼЁΔϱΏ΍ΈΓȢ ǼϣΏΝΗ΍Α İϥΕ΋Θ΅΍ “ϴΆΓΏϲΑ IJϲΑ țĮȜȜȚȤνΏΝΑΓΑ” (Eup. frg. 150 Kassel-Austin = 141 Kock); Hesych. s.v. țĮȜȜȚȤνΏΝΑΓΖ· ϳ ϴΆΓΏϱΖ. ǼϨΛΉ ȖΤΕ IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȤİȜЏΑ΋Α πΔ΍ΎΉΛ΅Ε΅·ΐνΑ΋Α; s.v. ȤİȜЏΑ΋· IJϲ ЀΔΓΔϱΈ΍ΓΑ. ȀĮϠ (Ȟϱΐ΍Ηΐ΅) ȆİȜȠʌȠȞȞȘıȚĮțϱΑ. ȀĮϠ ψ IJȡϱΔ΍Ζ IJϛΖ ȞİАΖ įȚΤ IJϲ πΔ΍Ύ΅ΐΔνΖ; Arsen. XII 31b (CPG II): ϴΆΓΏϲΖ țĮȜȜȚȤνΏΝΑΓΖ· Ƞϡ ȖΤΕ ʌĮȜĮȚȠϠ țĮϠ ȤİȜЏΑ΋Α πΘϾΔΓΙΑ πΑ IJȠϧΖ ȞȠµϟΗΐ΅Η΍Α· ϵΌΉΑ Ȝν·ΉΘ΅΍· “IJΤΑ ΦΕΉΘΤΑ țĮϠ IJΤΑ ıȠijϟ΅Α ȞȚțκΑΘ΍ ȤİȜЗΑ΅΍”. 195 R. RAGO, Il cambio di tartaruga ad Egina, RIN, 11 (1963), pp. 7-15; H.B. WELLS, Species indeterminacy in the “Elder Turtle” coins of Aegina (part I), «Journal of the Society for Ancient Numismatists», 1 (1969-1970), pp. 60-61, 72. 196 Cfr. IGCH 1789 (anno di ritrovamento: 1933). Si tratta di due depositi di fondazione posti agli angoli nord-est e sud-est dell’edificio. Ciascuno era costituito da una cassetta litica contenente una tavoletta d’oro e una d’argento (con l’iscrizione dedicatoria di Dario), al di sotto della quale erano poste 4 creseidi d’oro e 2 monete d’argento (forse 3 nel deposito di sud-est). Per la cronologia cfr. di recente S. GJONGECAJ - H. NICOLET-PIERRE, Le monnayage d’argent d’Égine et le trésor de Hollm (Albanie) 1991, BCH, 119 (1995), pp. 283-338, in particolare pp. 288-289; in preceden-

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incerta l’entità della retrodatazione da ammettere rispetto a tale termine: le soluzioni oggi correnti sono per lo più concentrate tra il secondo e il terzo quarto del VI secolo a.C.197, e sono in rapporto con la valutazione, di necessità opinabile, del tempo teoricamente necessario al compiersi di certi passaggi nei legami di conio, o di determinate evoluzioni iconografiche del tipo della tartaruga. Le ȤİȜЗΑ΅΍ sono inizialmente anepigrafe, ma la loro indubbia appartenenza civica è rimarcata – peraltro solo a partire dalla fine del IV secolo a.C. – dalla comparsa dell’etnico ǹǿīǿ(ȞĮȓȦȞ) all’interno degli ‘spicchi’ del quadrangolo incuso, variamente segmentato, che ne caratterizza il verso198. La loro area di diffusio-

___________________________________________________ za: E. HERZFELD, Notes on the Achaemenid coinage and some Sasanian mint-names, in Transactions of the International Numismatic Congress, organized and held in London by the Royal Numismatic Society, June 30-July 3, 1936, on the occasion of its centenary, ed. by J. ALLAN - H. MATTINGLY - E.S.G. ROBINSON, London 1938, pp. 413-426, in particolare pp. 414 B; E.F. SCHMIDT, Persepolis, Chicago 1953-1957, II, pl. 84.27; G. BEJOR, La presenza di monete nei depositi di fondazione dell’Apadana a Persepoli, ASNP, 4 (1974), pp. 735-740; B. JACOBS, Eine Planänderung an den Apadana-Treppen und ihre Konsequenzen für die Datierung der Planungs- und Bebauungsphasen von Persepolis, «Archäologische Mitteilungen aus Iran und Turan», 29 (1997), pp. 281-302; A.R. MEADOWS, The Apadana foundation deposit (IGCH 1789): some clarification, NC, 163 (2003), pp. 342-344, in particolare p. 342; A. ZOURNATZI, The Apadana coin hoards, Darius I, and the West, AJN, 15 (2003), pp. 1-28; C. NIMCHUK, Empire encapsulated: the Persepolis Apadana Foundation Deposits, in The World of Achaemenid Persia. Proceedings of the conference organised by the British Museum and the Iran Heritage Foundation, in association with the Persian Cultural Foundation (London, 29 September - 1 October 2005), ed. by J. CURTIS - ST. J. SIMPSON (in corso di stampa). 197 Cfr. C.M. KRAAY, Hoards, small change and the origins of coinage, JHS, 84 (1964), pp. 76-91; ID., Archaic and Classical Greek Coins, p. 43: «On present evidence (...) there is little justification for dating it earlier than the second quarter of the sixth century»; J.H. KROLL -N.M. WAGGONER, Dating the earliest coins of Athens, Corinth and Agina, AJA, 88 (1984), pp. 325-340, in particolare p. 339: «around 580 or 570» (sulla scorta soprattutto di R.R. HOLLOWAY, An archaic hoard from Crete and the early Aeginetan coinage, ANSMusN, 17 [1971], pp. 1-21, in particolare pp. 13-16); I. CARRADICE - M. PRICE, Coinage in the Greek World, London 1988, p. 29: «The hoards point to a date after 550 BC for the earliest issues of Aegina»; 36: «Aegina began minting silver coins early, within the period 550-525 BC»; N. PARISE, Moneta, in EAA, II° Suppl., III, Roma 1995, pp. 724-733, in particolare p. 725: «intorno alla metà, se non già durante il secondo venticinquennio, del VI sec.»; ID., Le prime monete, p. 61: «durante il secondo quarto del VI secolo»; WOLTERS, Zwischen Asien und Europa, p. 11: «vielleicht schon um 570 v.Chr.»; più bassa la datazione suggerita da H. NICOLET-PIERRE, Métrologie des monnaies grecques. La Grèce Centrale et l’Egée aux époques archaïque et classie e que (VI -IV s.), AIIN, 47 (2000), pp. 11-76, in particolare p. 16: «une date certainement pas antérieure à c. 530». 198 KRAAY, Archaic and Classical Greek Coins, pp. 41-49. Sull’identificazione antica della zecca, v. Hesych. s.v. ǹϢ·΍Α΅ϧΓΑ· Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ΦΕ·ΙΕΓІΑ, µν·΅; s.v. ǹϢ·΍Α΅ϧΓΖ· ϳΐΓϟΝΖ,

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ne e di circolazione è rilevante e senza confronti in età arcaica: innanzitutto nel Peloponneso (donde la definizione di ȆİȜȠʌȠȞȞȘıϟΝΑ o ȆİȜȠʌȠȞȞȘıȚĮțϲΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ conservata nella tradizione lessicografica)199; ma anche ben oltre, con presenze precoci – sin dalla fine del VI e dai primi decenni del V secolo a.C. – in ripostigli monetali remoti come quelli di Persepoli (già menzionato), Asyut (Egitto)200, Evangelistria-Matala (Creta)201, Hollm (Albania)202, Taranto203 e Selinunte204. Senza confronti è anche il volume delle emissioni, in qualche misura valutabile attraverso la classificazione e quantificazione

___________________________________________________ ϴΆΓΏϱΖ (cfr. Thuc. V 47, 6: IJȡİϧΖ ϴΆΓΏΓϿΖ ǹϢ·΍Α΅ϟΓΙΖ IJϛΖ ψΐνΕ΅Ζ οΎΣΗΘ΋Ζ); Poll. IX 76: ̝ΏΏΤ µχΑ IJχΑ µξΑ ǹϢ·΍Α΅ϟ΅Α įȡĮȤµχΑ µİϟΊΝ IJϛΖ ̝ΘΘ΍ΎϛΖ ȠЇΗ΅Α – įνΎ΅ ȖΤΕ ϴΆΓΏΓϿΖ ̝ΘΘ΍ΎΓϿΖ ϥΗΛΙΉΑ – ̝Ό΋Α΅ϧΓ΍ ʌĮȤİϧ΅Ȟ įȡĮȤµχΑ πΎΣΏΓΙΑ, µϟΗΉ΍ IJЗΑ ǹϢ·΍Α΋ΘЗΑ ǹϢ·΍Α΅ϟ΅Α țĮȜİϧΑ µχ șνΏΓΑΘΉΖ. 199 Cfr. supra, n. 194. 200 Il ripostiglio di Asyut (ant. Lycopolis, circa 300 km a sud de Il Cairo) è datato al 475 a.C. circa e contiene, tra l’altro, 74 stateri di Egina: cfr. IGCH 1644; M.J. PRICE N.M. WAGGONER, Archaic Greek Coinage. The Asyut Hoard, London 1975; C.M. KRAAY, The Asyut hoard. Some comments on chronology, NC, 7th ser., 17 (1977), pp. 188-198; H.A. CAHN, Asiut. Kritische Bemerkungen zu einer Schatzfundpublikation, SNR, 56 (1977), pp. 279-287; A. CUTRONI TUSA, Ras Shamra, Selinunte, Asyut. Tappe di un’antica tesaurizzazione dell’argento, in L’incidenza dell’antico. Studi in memoria di Ettore Lepore, II, a cura di L. BREGLIA PULCI DORIA, Napoli 1996, pp. 283-305. La circolazione della moneta di Egina in Egitto fu però più precoce. Stateri eginetici sono presenti in IGCH 1636 (Mit Rahineh presso Menfi) e IGCH 1637 (Damanhur, ant. Hermopolis parva), entrambi del 500 a.C. ca.; IGCH 1639 (Sakha, ant. Xios, 100 km ad est di Alessandria), forse dell’inizio del V secolo a.C.; IGCH 1640 (Benha el Asl, ant. Athribis, 50 km a nord de Il Cairo), del 485 a.C. 201 IGCH 1 (ca. 500 a.C.), su cui v. HOLLOWAY, An archaic hoard from Crete. 202 Cfr. S. GJONGECAJ, Un trésor de statères éginètes trouvé à Hollm (Sud-Est de l’Albanie), in e e Actes du XI Congrès international de numismatique, organisé à l’occasion du 150 anniversaire de la Société royale de numismatique de Belgique (Bruxelles, 8-13 septembre 1991), éd. par le Séminaire de Numismatique Marcel Hoc [T. HACKENS - G. MOUCHARTE et al.], I-IV, Louvain-la-Neuve 1993: I. Monnaies grecques et grecques d’époque impériale, pp. 107-112; GJONGECAJ - NICOLET-PIERRE, Le monnayage d’argent d’Égine; H. NICOLET-PIERRE - S. GJONGECAJ, À propos du trésor de Hollm (Albanie) 1991, in L’Illyrie méridionale et l’Epire dans e l’antiquité, 3. Actes du III Colloque international de Chantilly (16-19 octobre 1996), éd. par P. CABANE, Paris 1999, pp. 85-89. 203 IGCH 1874 (ca. 508 a.C.). 204 Ca. 500 a.C.; cfr. C. ARNOLD-BIUCCHI - L. BEER-TOBEY - N.M. WAGGONER, A Greek archaic silver hoard from Selinus, ANSMusN, 33 (1988), pp. 1-35. Altri ripostigli dei primi decenni del V secolo a.C. sono IGCH 6 (Cicladi? 114 st.; ca. 500 a.C.); IGCH 7 (Santorini; 541 st.; ca. 500-490 a.C.); IGCH 11 (Isthmia; 43 st.; ca. 480 a.C.); IGCH 15 (dintorni di Olimpia; 25 st.; ca. 470 a.C.); IGCH 1177 (area di confine tra la Cilicia e la Panfilia; 10 st.; ca. 480 a.C.); IGCH 2352 (Auriol; 2130 st.; 470-460 a.C.).

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dei coni e la misurazione statistica dell’indice caratteroscopico205: una produzione talmente rilevante, da travalicare con ogni probabilità le esigenze strettamente locali, e da alimentarsi con massicce importazioni ad hoc di argento dalla remota Sifno (oltre che da un altro distretto minerario non identificato, forse di Macedonia, e più tardi in misura minore anche dal Laurio)206. Assai estesa è, infine, l’influenza esercitata a livello tecnico e ponderale dalla monetazione eginetica in tutto l’Egeo, con la precoce comparsa di una serie di emissioni che ne adottano il piede e ne imitano la tecnica (Nasso, Sifno, Paro; Coressia, Cartea e Iulide di Ceo; forse Andro e Tera)207.

___________________________________________________ 205

Cfr. GJONGECAJ - NICOLET-PIERRE, Le monnayage d’argent d’Égine, p. 285. O. MÜLLER - W. GENTNER, On the composition and silver sources of Aeginetan coins th from the Asyut hoard, in Proceedings of the 18 International Symposium on Archaeometry and Archaeological Prospection (Bonn 14-17 March 1978), Bonn - Köln 1979 (ArchaeoPhysika, 10), pp. 176-193; N.H. GALE - W. GENTNER - G.A. WAGNER, Mineralogical and geographical silver sources of archaic Greek coinage, in Metallurgy in Numismatics, ed. by D.M. METCALF - W.A. ODDY, I, London 1980 (Royal Numismatic Society. Special publications, 13), pp. 3-49; G.A. WAGNER - W. GENTNER - H. GROPENGIESSER, Early bronze age lead-silver mining and metallurgy in the Aegean. The ancient workings on Siphnos, in Scientific studies in early mining and extractive metallurgy. Proceedings of the 19th International Symposium on Archaeometry and Archaeological Prospection (London, March 1979), ed. by P.T. CRADDOCK, London 1980 (British Museum - Occasional paper, 20), pp. 63-80; N.H. GALE - Z.A. STOS-GALE, Cycladic lead and silver metallurgy, ABSA, 76 (1981), pp. 169-224, in particolare pp. 195-217; HOWGEGO, La storia antica attraverso le monete, p. 27. 207 Il piede eginetico (statere di ca. 12, 20-12, 40 g, pari a due dramme di sei oboli ciascuna) è adottato nelle monetazioni di quasi tutto il Peloponneso (tranne Corinto), di buona parte della Grecia continentale (Tessaglia, Locride, Focide, Beozia), delle isole egee (soprattutto Ceo, Nasso, Paro, Sifno, Tera, Rodi; escluse Delo, Melo e probabilmente Teno), dell’Asia Minore (Teo, Caria) e di Creta: NICOLET-PIERRE, Métrologie des monnaies grecques, in particolare pp. 16-35. Sulla monetazione di Egina, oltre alla bibliografia sinora citata (nn. 195 ss.), v. anche S.R. MILBANK, The coinage of Aegina, New York 1924 (American Numismatic Society - Numismatic notes & monographs, 24); L.B. BEER, The Coinage of Aegina. A Chronological Reappraisal Based on Hoards and Technical Studies, Oxford University, D. Phil. Thesis, 1980 (ma 1981); KROLL - WAGGONER, Dating the earliest coins; T.J. FIGUEIRA, Aegina. Society and Politics, Salem (N.H.) 1986, pp. 65-149; F. DELAMARE - F. MICHAUX-VAN DER MERSCH, Evolution de la technique de frappe des statères éginétiques. Etude numismatique et simulation de la frappe sur pâte à modeler, RBN, 133 (1987), pp. 5-38; F. MICHAUX-VAN DER MERSCH, Le monnayage archaïque d’Egine. Technique de frappe et critères de classement, RAArtLouv, 20 (1987), pp. 13-21; F. DELAMARE - F. MICHAUX-VAN DER MERSCH, Étude mécanique de la frappe des monnaies. Une méthode: la simulation sur pâte à modeler et son application à la frappe du statère éginétique, RArchéom, 12 (1988), pp. 81-91; J. ELSEN, La masse théorique du statère éginétique à l’époque archaïque et classique, BCercleNum, 35 (1998), pp. 7792; H.S. KIM, Archaic coinage as evidence for the use of money, in Money and its Uses in the 206

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Il carattere inizialmente anepigrafo della monetazione argentea di Egina, insieme con la communis opinio di un suo primato cronologico in Grecia208 e con la sua ampia diffusione nel Peloponneso (ȆİȜȠʌȠȞȞȘıȚĮțϲΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅), possono dunque aver favorito la nascita della tradizione antica (aristotelica? eforea?) che individuava in Fidone – riformatore di pesi e misure tradizionalmente associato a una dedica di obeloi protomonetali nell’Heraion, re/tiranno di Argo noto per le sue aspirazioni egemoniche sul ‘lotto di Temeno’ e sul resto del Peloponneso – l’autore appunto del più antico Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ di Grecia propria (quando non addirittura il protos heuretes della monetazione tout court). L’astoricità dell’assunto risulta evidente dal fatto che la comparsa delle più antiche ȤİȜЗΑ΅΍ si colloca in una data comunque successiva alla più tarda di quelle indicate o adombrate dalle fonti antiche per Fidone (quella erodotea: seconda metà 209 VII - inizio VI secolo a.C.) . Appare inoltre assai improbabile che Argo abbia mai esercitato un effettivo controllo su Egina210.

___________________________________________________ Ancient Greek World, ed. by A. MEADOWS - K. SHIPTON, Oxford 2001, pp. 7-21; Sylloge nummorum Graecorum. France. Bibliothèque Nationale. Cabinet des médailles. Collection Jean et Marie Delepierre, éd. par H. NICOLET, Paris 1983, nrr. 1501-1847 (planches 41-48). 208 Cfr. Aelian. VH XII 10: ǹϢ·΍ΑϛΘ΅ϟ ʌȠIJİ πΈΙΑφΌ΋Η΅Α IJΤ µν·΍ΗΘ΅ πΑ IJȠϧΖ ̸ΏΏ΋Η΍Α, İЁΔΓΕϟ΅Α IJȚȞΤ ȤȡȘµΣΘΝΑ țĮϠ İЁΎ΅΍Εϟ΅Α ȜĮȤϱΑΘΉΖ· įϾΑ΅ΐ΍Α ȖΤΕ ȞĮȣIJȚțχΑ σΗΛΓΑ țĮϠ ώΗ΅Α µν·΍ΗΘΓ΍. ̝ΏΏΤ țĮϠ πΑ IJȠϧΖ ȆİȡıȚțȠϧΖ Φ·΅ΌΓϠ π·νΑΓΑΘΓ, țĮϠ įȚΤ IJĮІΘ΅ țĮϠ IJЗΑ ΦΕ΍ΗΘΉϟΝΑ ωΒ΍ЏΌ΋Η΅Α. ȀĮϠ ʌȡЗΘΓȚ ȞϱµȚıµĮ σΎΓΜ΅Α IJϲ țĮϠ πΒ ĮЁΘЗΑ țȜȘșξΑ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ǹϢ·΍Α΅ϧΓΑ. 209 Cfr. supra, n. 25 e testo corrispondente. V. già W.L. BROWN, Pheidon’s alleged Aeginetan coinage, NC, VI ser., 10 (1950), pp. 177-204. 210 Cfr. supra, n. 37. Un momento di notevole vicinanza politica tra Argo ed Egina è quello descritto da Her. V 82-88 (supra, n. 174). In tale contesto, sembra suggestiva la vicenda dell’incremento ‘metrologico’ della dimensione delle fibule e della messa al bando dei vasi attici nel santuario eginetico di Damia e Auxesia (Her. V 88: ȉȠϧΗȚ įξ ̝Ε·ΉϟΓ΍Η΍ țĮϠ IJȠϧΗ΍ ǹϢ·΍ΑφΘϙΗ΍ įϱΒ΅΍ ʌȡϲΖ IJĮІΘ΅ σΘ΍ IJϱΈΉ [ʌȠȚϛΗ΅΍]· ȞϱΐΓΑ İϨΑ΅΍ ʌĮȡΤ ıijϟΗ΍ οΎ΅ΘνΕΓ΍Η΍ IJΤΖ ʌİȡϱΑ΅Ζ ψΐ΍ΓΏϟ΅Ζ ʌȠȚνΉΗΌ΅΍ IJȠІ IJϱΘΉ țĮIJİıIJİЗΘΓΖ µνΘΕΓΙ, țĮϠ πΖ IJϲ ϡΕϲΑ IJЗΑ șİЗΑ IJȠȣIJνΝΑ ʌİȡϱΑ΅Ζ µΣΏ΍ΗΘ΅ ΦΑ΅Θ΍ΌνΑ΅΍ IJΤΖ ȖȣȞĮϧΎ΅Ζ, ̝ΘΘ΍ΎϲΑ įξ µφΘΉ IJȚ ΩΏΏΓ ʌȡȠıijνΕΉ΍Α ʌȡϲΖ IJϲ ϡΕϲΑ µφΘΉ țνΕ΅ΐΓΑ, ΦΏΏв πΎ ȤȣIJȡϟΈΝΑ πΔ΍ΛΝΕ΍νΝΑ ȞϱΐΓΑ IJϲ ȜȠȚʌϲΑ ĮЁΘϱΌ΍ İϨΑ΅΍ ʌϟΑΉ΍Α. ̝Ε·ΉϟΝΑ µνΑ ȞȣȞ țĮϠ ǹϢ·΍Α΋ΘνΝΑ Įϡ ȖȣȞĮϧΎΉΖ πΎ [IJİ] IJϱΗΓΙ țĮIJв σΕ΍Α IJχΑ ̝Ό΋Α΅ϟΝΑ ʌİȡϱΑ΅Ζ σΘ΍ țĮϠ πΖ πΐξ πΚϱΕΉΓΑ µνΊΓΑ΅Ζ ύ ʌȡϲ IJȠІ); cfr. M. CICCIÒ, Il santuario di Damia e Auxesia e il conflitto tra Atene ed Egina, in Santuari e politica nel mondo antico, a cura di M. SORDI, Milano 1983, pp. 95-104; T.J. FIGUEIRA, The chronology of the conflict between Athens and Aegina in Herodotus book 6, QUCC, 28 (1988), pp. 49-89. Fibule ‘giganti’ ormai decontestualizzate e scambiate per dediche di obeloi nell’Heraion di Argo sono ora ipotizzate da GUZZO, Gli spiedi, pp. 310-311. Ma coincidenze del genere sono probabilmente solo depistanti. Fidone non poté coniare moneta a Egina più di quanto Dra-

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Ma, rispetto alla generale mancanza di senso storico che caratterizza la riflessione antica sull’origine della moneta (che con singolare disinvoltura può collocare l’evento in luoghi e tempi radicalmente diversi: a Cuma eolica, Nasso, Atene ecc.; in età eroica, frigia, lidia ecc.)211, l’anacronismo riguardante Fidone è tutto sommato persino lieve.

8. Fidone “metrologista”? Considerazioni su un lemma dell’ Etymologicum Gudianum Una possibile soluzione alle aporie della documentazione letteraria, numismatica ed archeologica su Fidone è stata suggerita da C.M. Kraay (1976): «A reasonable interpretation of the ancient tradition would be to suppose that Pheidon was remembered for having been the first to determine the weight of silver which would be accepted in his kingdom as the equivalent in value of the handful (drachma) of six spits. The silver drachma of Pheidon’s day would have been simply a weight of silver»212.

In prospettiva analoga, più di recente (2000), H. Nicolet-Pierre: «L’hypothèse la plus satisfaisante est que les étalons monétaires témoignent de l’existence préalable de systèmes pondéraux différents appliqués aux échanges de métaux précieux, bien antérieurs aux débuts de la frappe monétaire. Ainsi on trouverait dans la métrologie monétaire l’expression d’une continuité en quelque sorte naturelle, alors même que l’intervention du pouvoir politique au début du VIe siècle dans la frappe et la garantie des monnaies donnait une signification différente à l’emploi de ces métaux. (...) Il est bien possible que la définition des “mesures phidoniennes” accompagnée de celle des poids, soit une réalité historique du VIIe ou du début du VIe siècle. Elle expliquerait que

___________________________________________________ cone poté esercitare lì la sua nomothesia (Suid. s.v. ǻȡΣΎΝΑ· ̝Ό΋Α΅ϧΓΖ ȞȠµȠșνΘ΋Ζ. ȠЈΘΓΖ İϢΖ ǹϥ·΍Α΅Α πΔϠ ȞȠµȠșİıϟ΅΍Ζ İЁΚ΋ΐΓϾΐΉΑΓΖ ЀΔϲ IJЗΑ ǹϢ·΍Α΋ΘЗΑ πΑ IJХ șİΣΘΕУ πΔ΍ΕΕ΍ΜΣΑΘΝΑ ĮЁΘХ πΔϠ IJχΑ țİijĮȜχΑ ʌİIJΣΗΓΙΖ ʌȜİϟȠȞĮȢ țĮϠ ȤȚIJЗΑ΅Ζ țĮϠ ϡΐΣΘ΍΅ ΦΔΉΔΑϟ·΋ țĮϠ πΑ ĮЁΘХ πΘΣΚ΋ IJХ șİΣΘΕУ); T.J. FIGUEIRA, The strange death of Draco on Aegina, in Nomodeiktes. Greek studies in honor of Martin Ostwald, Ann Arbor 1993, pp. 287-304. 211 Supra, nn. 180-181. 212 C.M. KRAAY, Archaic and Classical Greek Coins, London 1976, p. 314.

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l’on ait aussi attribué au souverain mythique d’Argos un rôle dans la définition de valeurs d’échange pour les métaux, valeurs qui à l’époque classique sont désormais matérialisées par la monnaie légale (nomisma), constituée des pièces frappées ayant cours dans chaque Etat»213.

In effetti, nel quadro della irrisolta polemica fra ‘primitivisti’ e ‘modernisti’, e contro radicate opinioni del passato214, si sta facendo strada in molti degli studi più recenti la convinzione che in Grecia la moneta coniata sia stata preceduta, per un periodo non trascurabile, da una circolazione protomonetaria dell’argento in forma di lingotti o barrette pesati (con intervento della polis solo nella fissazione del sistema ponderale di riferimento per il metallo, e non nella produzione centralizzata di pezzature standardizzate). Ciò avrebbe portato, ancor prima della comparsa del ȞȩµȚıµĮ vero e proprio, a un considerevole grado di avanzamento e affinamento delle dinamiche economiche e degli aspetti tecnici (metrologici, ponderali ecc.) connessi215. Non a caso, quindi, la moneta argentea coniata presenterebbe sin dal suo inizio, intorno alla metà del VI secolo a.C., un’articolazione ‘microscopica’ (produzione precoce e consistente di piccoli frazionari, simultanea – e non successiva come si riteneva in passato – a quella dei nominali maggiori), interpretabile proprio come riflesso di ‘lunga durata’ di sviluppi protomonetari antecedenti. L’introduzione della moneta argentea, in forma articolata, calibrata e flessibile sin dall’inizio, rappresenterebbe insomma una tappa avanzata di un più lungo ed ampio processo di ‘monetiz-

___________________________________________________ 213

H. NICOLET-PIERRE, Métrologie des monnaies grecques, p. 67-68. Cfr. ad esempio KRAAY, Hoards, small change. 215 KIM, Archaic coinage, in particolare pp. 13-20 (su cui v. la positiva recensione di J.H. KROLL, BMCR, 2002.07.24; contra: WOLTERS, Zwischen Asien und Europa, p. 16 n. 39); ID., Small change and the moneyed economy, in Money, Labour, and Land. Approaches to the Economies of Ancient Greece, ed. by P. CARTLEDGE - E.E. COHEN - L. FOXHALL, London-New York 2002, pp. 44-51. Ma v. già R.W. WALLACE, The origin of electrum coinage, AJA, 91 (1987), pp. 385-397; J.H. KROLL, Silver in Solon’s laws, in Studies in Greek Numismatics in Memory of Martin Jessop Price, ed. by R. ASHTON - S. HURTER, London 1998, pp. 225-232; LE RIDER, La naissance de la monnaie, pp. 1-100. Si è rianimato più di recente il dibattito sul primato e sul valore di ‘modello’ di certe forme di circolazione dell’argento pesato e marcato nel Vicino Oriente: cfr. THOMPSON, Sealed silver in Iron Age Cisjordan; KLETTER, Underground economy?; GITIN - GOLANI, A silver-based monetary economy; KLETTER, Coinage before coins? A response; SILVER, “Coinage before coins?”. A further response. 214

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zazione’ dell’argento, pervenuto già nella fase precedente a un grado di maturità compatibile anche con piccole transazioni quotidiane e locali (e quindi coinvolgente ex hypothesi ceti più ampi e variegati di quelli ipotizzati in passato). «The use of silver and money was already quite advanced by the time that coinage was invented»; sicché «coinage should not be seen as the starting point so much as a milestone along a much longer road in the use of money» e, lungi dall’essere una «radically new invention», rappresenterebbe piuttosto «a formalization of the use of silver bullion»216. Un quadro del genere si ricostruisce, con adeguato supporto nelle fonti, per l’Atene soloniana, dove, ben prima della comparsa della più antica moneta attica argentea (le Wappenmünzen, il cui inizio non sembra anteriore alla metà del VI secolo a.C.)217, il ȞĮȣțȡĮȡȚțϲΑ ΦΕ·ϾΕ΍ΓΑ, alimentato da İϢΗΚΓΕ΅ϟ – e alimentante įĮʌȐȞĮȚ – amministrate dai naucrari, non può essere altro che metallo (argento) non coniato, protomonetale, ossia pezzato, pesato, quantificato secondo standards dati; così come l’ΦΕ·ϾΕ΍ΓΑ ıIJΣΗ΍ΐΓΑ di certi prestiti ad interesse, o le ΦΕ·ΙΕ΍Ύ΅Ϡ ȗȘµϟ΅΍ che soppiantano, con equivalenze date, le multe in natura nel medesimo contesto ateniese soloniano; il tutto, in un momento in cui le classi di censo si misurano ad Atene ancora in µȑIJȡĮ volumetrici (medimni, metreti) di derrate agricole218. Anche la riforma soloniana dei µȑIJȡĮ ‘numismatici’, di cui parlano – a titolo in gran parte speculativo – Aristotele e Androzione219, non s’intende se non ammettendo che le įȡĮȤµĮȓ di cui si ragiona fossero in realtà, di là dalla consapevolezza stessa dei due autori, «drachma weights of uncoined or bulk silver»220. Nei due te-

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KIM, Archaic coinage, p. 9-19. KROLL - WAGGONER, Dating the earliest coins, p. 332. 218 Cfr. Arist. Ath. Pol. 8, 3; Plut. Sol. 23; Lys. 10 (in Theomn. I), 18; cfr. KROLL WAGGONER, Dating the earliest coins, pp. 326-327, 332-333, 335-336, 339-340; J.H. KROLL, Silver in Solon’s laws, in Studies in Greek Numismatics in Memory of Martin Jessop Price, ed. by R. ASHTON - S. HURTER, London 1998, pp. 225-232; G. HORSMANN, Athens Weg zur eigenen Währung: der Zusammenhang der metrologischen Reform Solons mit der timokratischen, «Historia», 49 (2000), pp. 259-277, in particolare pp. 274 ss.; KIM, Archaic coinage, p. 17; WOLTERS, Zwischen Asien und Europa, pp. 18-19. 219 Arist. Ath. pol. 10, 1-2 (con un iniziale įȠțİϧ); Androt. FGrHist 324 F 34 in Plut. Sol. 15, 3-4. 220 KROLL - WAGGONER, Dating the earliest coins, p. 332. Una placca opistografa frammentaria d’argento (fine VII - inizio VI secolo a.C.), rinvenuta da D.G. Hogarth sotto 217

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sti paralleli, entrambi non privi di problemi sul piano filologico, si attribuisce com’è noto a Solone un innalzamento del numero di dracme contenute in una mina da 70 (Aristotele) o forse 73 (Androzione, ma con una convincente proposta di emendamento e di equiparazione del numerale)221 a 100; il che, in costanza di peso della mina, avrebbe comportato, stando ad Androzione, un alleggerimento della dracma, attuato a tutto favore dei debitori più esposti: questi infatti, rimanendo immutato il numero di dracme da essi formalmente dovuto, avrebbero in realtà versato di meno in termini di valore (ΦΕ΍ΌΐХ µξΑ ϥΗΓΑ, įȣȞΣΐΉ΍ įв σΏ΅ΘΘΓΑ), pur senza alcun detrimento per i loro creditori222. Ragionamento oscuro, se riferito alla moneta stricto sensu, a meno forse di non immaginare una riconiazione simultanea di tutto il ȞȩµȚıµĮ argenteo circolante in Attica; ed inoltre «perché il debi-

___________________________________________________ le fondazioni dell’Artemision di Creso, registra versamenti d’oro e d’argento destinati al santuario, computati in ‘mine’ e ‘stateri’. Si tratta senza dubbio anche in questo caso di «minas and staters in the form of bullion», parte di «a monetary system (...) that simultaneously involved three metals: pure, weighed-out silver; pure, weighedout gold; and electrum normally in the form of pre-weighed coins»: cfr. J.H. KROLL, A new look at the earliest monetary account in Greek: IK Ephesos Ia.1, in Abtracts for papers th delivered at the 136 Annual Meeting of the American (Boston, MA, January 6-9, 2005) [pagina web http://www.apaclassics.org/AnnualMeeting/05mtg/abstracts/kroll.html]. Dall’Artemision provengono inoltre vari obeloi di ferro (devo queste informazioni a A. Bammer e U. Muss). 221 Di Th. Reinach, accolto da F. Jacoby: il tràdito οΆΈΓΐφΎΓΑΘ΅ țĮϠ IJȡȚЗΑ ȠЇΗ΅Α nascerebbe dal fraintendimento di un οΆΈΓµφΎΓΑΘ’ Ω·ΓΙΗ΅Α (> οΆΈΓΐφΎΓΑΘ΅ Ȗ’ [= 3] ȠЇΗ΅Α) precedente: cfr. D. FORABOSCHI - A. GARA, Misurare, in L’Athenaion Politeia di Aristotele 1891-1991. Per un bilancio di cento anni di studi, a cura di G. MADDOLI, Perugia 1994, pp. 283-293, in particolare pp. 289-290. 222 Secondo l’opinione prevalente, ci si riferirebbe qui a un passaggio dalla dracma-peso eginetica (ca. 6, 1 g) alla dracma-peso euboico-attica (ca. 4, 3 g), effettivamente più leggera dell’altra di circa il 30%. Non è certo peraltro che anche Aristotele desse la stessa interpretazione del provvedimento di Solone. In teoria, la sua affermazione che la mina «fu integrata» (Ath. pol. 10,2: ΦΑΉΔΏ΋ΕЏΌ΋; cfr. supra, n. 120) portandola da un peso ([ı]IJĮșµȩȞ) di 70 a quello di 100 dracme, potrebbe anche alludere a un incremento ponderale del 30% appunto della mina (stavolta in costanza di peso della dracma); e potrebbe essere appunto questo l’intervento che avrebbe reso i nuovi µȑIJȡĮ dell’Atene soloniana maggiori di quelli fidoniani (ibi: σΔв πΎΉϟΑΓΙ ȖΤΕ π·νΑΉΘΓ țĮϠ IJΤ µνΘΕ΅ µİϟΊΝ IJЗΑ ĭİȚįȦȞİϟΝΑ), determinando forse la tradizionale percezione di questi ultimi come µȑIJȡĮ ‘risparmiatori’. Il dubbio si pone, tra l’altro, perché Aristotele parla subito dopo di una ridefinizione soloniana del rapporto tra ıIJĮșµȐ e ȞȩµȚıµĮ, che avrebbe comportato un incremento da 60 a 63 delle minepeso contenute in un talento: v. infra, n. 225. Secondo KÕIV, Ancient Tradition, p. 289-290, n. 230, «it seems legitimate to assume that Aristotle was of the same opinion» di Androzione.

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tore faceva la stessa fatica di prima a procurarsi 100 dracme leggere dello stesso valore di 100 dracme pesanti»223. Tenendo peraltro conto dell’incidenza di deformazioni storiche e di anacronismi in queste due testimonianze, così come in tutta la storiografia antica sulla moneta224, la sostanza, se non la lettera, della tradizione Aristotele-Androzione si salva appunto ripensandola in riferimento a un sistema di transazioni basato ancora sull’argento parcellizzato e pesato; sistema entro il quale la decisione ‘politica’ soloniana di suddividere la mina, in costanza di peso, in 100 dracme in luogo delle precedenti 70 – vale a dire di alleggerire di fatto del 30% il peso della dracma (= unità di peso dell’argento) – si sarebbe risolta in pratica, nell’ipotesi di un saldo immediato e simultaneo dei debiti, in un corrispettivo incremento del numero di dracme ponderali a disposizione di ciascuno, a partire dal metallo effettivamente posseduto al momento della riforma225. Ammessa dunque, per la Grecia metropolitana, questa fase antecedente e in un certo senso ‘propedeutica’ allo sviluppo della moneta vera e propria, in cui l’argento, quantificato secondo

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FORABOSCHI - GARA, Misurare, p. 291. Ibi, pp. 291-292. KROLL - WAGGONER, Dating the earliest coins, pp. 332-333; cfr. anche L.A. MOLINA, Solon and the evolution of the Athenian agrarian economy, «Pomoerium», 3 (1998), pp. 5-18, in particolare pp. 11-15 (http://pomoerium.com/pomoer/pomoer3/molina.pdf); P.J. RHODES, A Commentary on the Aristotelian Athenaion Politeia, Oxford 1981 (rev. ed. 1993), pp. 152-153, 168. Il quadro generale della riforma doveva essere certamente più complesso, visto che Arist. Ath. pol. 10, 2 fa riferimento anche, in termini non chiari, a una ridefinizione soloniana del rapporto tra ıIJĮșµȐ e ȞȩµȚıµĮ (πΔΓϟ΋ΗΉ įξ țĮϠ ıIJĮșµΤ ʌȡϲΖ IJ[ϲ] Ȟϱΐ΍Ηΐ΅, IJ[ȡ]İϧΖ țĮϠ οΒφΎΓΑΘ΅ µȞκΖ IJϲ IJΣΏ΅ΑΘΓΑ Φ·ΓϾΗ΅Ζ, țĮϠ πΔ΍Έ΍Ή[Ȟݵ]φΌ΋Η΅Α Į[ϡ IJ]ȡİϧΖ µȞĮϧ IJХ ıIJĮIJϛΕ΍ țĮϠ IJȠϧΖ ΩΏΏΓ΍Ζ ıIJĮșµȠϧΖ, con la diversa proposta di integrazione Į[ϡ ʌȜȒ]ȡİȚȢ µȞĮϧ di FORABOSCHI - GARA, Misurare, p. 289); ossia a un innalzamento a 63 (da 60?) delle mine comprese in un talento, stavolta – sembra – non in costanza di peso, e quindi con redistribuzione del conseguente incremento (pari al 5%) tra i sottomultipli di peso della mina (stateri ecc.). Sui complessi problemi interpretativi posti da questa testimonianza, v. tra gli altri M. CHAMBERS, Aristotle on Solon’s reform of coinage and weights, CSCA, 6 (1973), pp. 1-16; RHODES, A Commentary, pp. 164-169; P.V. STANLEY, Economic Reforms of Solon, Sankt Katharinen 1999 (Pharos. Studien zur griechisch-römischen Antike, 11), p. 242 (v. anche pp. 169, 210, 236); KÕIV, Ancient Tradition, pp. 289-290; v. inoltre H.J. GEHRKE, The figure of Solon in the Athenaion politeia, in Solon of Athens. New Historical and Philological Approaches, ed. by J.H. BLOK - A.P.M.H. LARDINOIS, Leiden-Boston 2006 («Mnemosyne» - Suppl., 272), pp. 276-289. 224 225

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«systèmes pondéraux différents» già notevolmente flessibili e articolati, era divenuto intermediario riconosciuto degli scambi (anche di quelli su piccola scala), soppiantando mezzi protomonetali diversi, occorre domandarsi quale incidenza questo nuovo, ipotetico scenario possa avere sulla ridefinizione del ruolo storico di Fidone. La riforma fidoniana, nel quadro di una rimodulazione generale di µȑIJȡĮ e ıIJĮșµȠȓ/-Ȑ (cioè, quale che sia il senso assunto vicendevolmente dai due termini, da un lato di recipienti di capacità standardizzata destinati alla pesatura di tipo volumetrico; dall’altro, di pesi-campione utilizzati per la pesatura comparativa ‘a bilancia’), potrebbe aver sancito in particolare la fissazione di unità ponderali specifiche per l’argento protomonetario. Le nuove unità, naturalmente più minute di qualunque altro standard in precedenza applicato al ferro (nella sua forma di ϴȕİȜȠȓ di dimensioni e peso determinati computati a ‘manciate’), avrebbero rappresentato in qualche modo «the equivalent in value» del vecchio sistema, che avrebbe comunque lasciato traccia di sé nelle astrazioni onomastico-concettuali e nei rapporti numerici interni perpetuatisi nel nuovo (ϴΆΉΏΓϟ/ϴΆΓΏΓϟ - įȡĮȤµȒ / rapporto 6 : 1). L’accettazione del quadro generale appena delineato va incontro però a una difficoltà non del tutto trascurabile: la mancanza di espresse conferme nella tradizione antica (in particolare, di conferme che chiamino in causa in modo specifico Fidone). Esiste tuttavia una testimonianza lessicografica, sinora trascurata negli studi su Fidone, che sembra ricondurre in maniera esplicita alla figura del re-tiranno di Argo la fase di circolazione protomonetale dell’argento sin qui descritta e teorizzata: Et. Gud. s.v. ijİϟΈΉΗΌ΅΍· ΦΔϲ IJȠІ ĭİȚįЗΑΓΖ οΑϲΖ IJЗΑ ̽Ε΅ΎΏΉϟΈΝΑ µİȚЏΗ΅ΑΘΓΖ IJΤ µνΘΕ΅ țĮϠ įȚΤ µȚțȡȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ †πΑΈ΅Ώ΅·ΤΖ† IJϟΌΉΗΌ΅΍227.

___________________________________________________ 226

H. NICOLET-PIERRE, Métrologie des monnaies grecques, p. 67 (passo riportato supra, nel testo). Cfr. FR.W. STURZ (ed.), Etymologicum Graecae linguae Gudianum et alia grammaticorum scripta, e codicibus manuscriptis nunc primum edita. Accedunt notae ad Etymologicon magnum ineditae E.H. Barkeri, I. Bekkeri, L. Kulencampii, A. Peyroni aliorumque, quas digessit et una cum suis edidit Fridericus Gulielmus Sturzius cum indice locupletissimo, Lipsiae 1818 [Nachdr. Hildesheim - New York 1973], p. 549 lin. 58-60, s.v. ijİϟΈΉΗΌ΅΍. 227

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Il punto di partenza della tradizione dell’Etymologicum Gudianum (approdo ultimo, nell’XI secolo, di una trafila di fonti definita in qualche misura nei suoi passaggi ultimi, ma del tutto insondabile nei livelli più alti), è il rapporto tra ĭİȓįȦȞ e ijİȓįİıșĮȚ («risparmiare»), prospettato in termini singolarmente invertiti rispetto a certe tradizioni affini già segnalate in precedenza228. Per l’ignoto autore che rappresenta la fonte ultima del Gudianum il nome di Fidone si associa a (e si genera da) una riforma di µνΘΕ΅ che è, nella fattispecie, ricalibratura al ribasso, riduzione (µİȚЏΗ΅ΑΘΓΖ), o anche articolazione in sotto-unità minori prima mancanti, di un sistema metrologico preesistente: in sostanza, un quadro analogo a quello che emerge dal rapporto tra medimno fidoniano e medimno locale delfico nell’iscrizione sulla contribuzione d’orzo di Apollonia Pontica a Delfi; dal lemma di Polluce sul misuratore e «risparmiatore» oleario detto ijİϟΈΝΑ; o dalla tradizione teofrastea sul «sordido avaro» che lesina i viveri ai suoi familiari utilizzando una piccola «misura fidoniana» dal fondo bombato verso l’interno229. Ciò che questa tradizione presuppone, insomma, sono innanzitutto recipienti per la determinazione volumetrica della quantità: ‘vasi-misuratori’ come quelli che le tradizioni su Fidone ̝Ε·ΉϧΓΖ a Corinto definiscono țİȡĮµİȚțȐ e ĭİȚįЏΑΉ΍΅ Φ··Ήϧ΅, menzionando tra essi, a titolo d’esempio, chenici e medimni (IJΤΖ ȤȠϟΑ΍Ύ΅Ζ țĮϠ IJȠϿΖ µİįϟΐΑΓΙΖ), detti «recipienti» appunto in virtù della loro concavità (įȚΤ IJχΑ țȠȚȜϱΘ΋Θ΅), come anche ȤϱΉΖ, ȥȣțIJϛΕΉΖ e țЏșȦȞİȢ230. Non pare che questo implichi una corrispettiva ridefinizione/ riduzione, da parte di Fidone, di µνΘΕ΅ lineari: non esiste un solo elemento, in tutta la tradizione antica sul tiranno, che autorizzi o induca a pensare a un suo intervento normativo anche in questo campo231. Ricorrenti tentativi di enucleare moduli ‘fidoniani’ dai rari strumenti o campioni di misure lineari archeolo-

___________________________________________________ 228

Supra, nn. 8-9 e testo corrispondente. Supra, nn. 1, 4-5 e testo corrispondente. Schol. Pind. Ol. XIII 27c-d: cfr. supra, n. 99. 231 Sul fantomatico piede ‘dorico-fidoniano’, v. da ultimo R.C.A. ROTTLÄNDER, Zur Entwurfskonstruktion des ersten Bauabschnitts des Theaters von Epidauros, in Ordo et mensura. Interdisziplinärer Kongress für historische Metrologie - 1, 1989, hrsg. von D. AHRENS - R.C.A. ROTTLÄNDER, Trier 1991, pp. 132-159, in particolare pp. 145-151 (Ekurs 1: Gibt es den dorisch-pheidonischen Fuß?). 229 230

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gicamente noti (da ultimi, il rilievo con µνΘΕ΅ antropici – piede, braccio, palmo – di Salamina, ed il righello [kanon] e la squadra [gnomon] lignei del relitto di Kibbutz Ma‘agan Mikhael al largo di Israele) poggiano su ragionamenti e calcoli aritmetici in gran parte opinabili, se non del tutto arbitrari232. Vano appare soprattutto il tentativo di far scaturire dalla tradizione antica, come suo ‘ovvio’ sottinteso, l’esistenza di un rapporto necessario e inscindibile tra misure lineari e misuratori volumetrici di quantità («Reducing a weight standard also meant reducing a corresponding volume standard, used to determine that weight, and thereby also reducing the linear measure of the volume standard. A common device for determining volumes was a cube, filled with water [for liquid measure] or grain [for dry measure]»)233, quasi che le prime generassero – in una sorta di astratta proiezione ‘cubica’ – la volumetria dei secondi. È appena il caso di ricordare che medimni, metreti, chenici, ijİȓįȦȞİȢ ecc. erano appunto Φ··Ήϧ΅, in prevalenza țİȡĮµİȚțȐ, ciascuno dotato di una sua fog-

___________________________________________________ 232

Per il rilievo, rinvenuto nel 1985 tra i materiali litici antichi murati nella chiesa di H. Dimitrios a Perivolia di Salamina e ora conservato nel Museo del Pireo, cfr. I. DEKOULAKOU-SIDERIS, A metrological relief from Salamis, AJA, 94 (1990), pp. 445-451; M. WILSON JONES, Doric measure and architectural design 1: the evidence of the relief from Salamis, AJA, 104 (2000), pp. 73-94. Gli strumenti di misura del relitto di Kibbutz Ma‘agan Mikhael (ca. 400 a.C.), scoperto anch’esso nel 1985, sono stati studiati da M. UDELL, The woodworking tools, in The Ma‘agan Mikhael Ship. The Recovery of a 2400Year-Old Merchantman, ed. by E. BLACK, I, Jerusalem 2003, pp. 203-218; R.R. STIEGLITZ, Classical Greek measures and the builder’s instruments from the Ma‘agan Mikhael shipwreck, AJA, 110 (2006), pp. 195-203. Già da tempo noto, invece, il rilievo metrologico con planta pedis e busto umano ‘leonardesco’ a braccia distese conservato a Oxford, su cui v. E. FERNIE, The Greek metrological relief in Oxford, AntJ, 61 (1981), pp. 255-263; H. BEN-MENAHEM - N.S. HECHT, A modest addendum to the Greek metrological relief in Oxford, AntJ, 65 (1985), pp. 139-140. 233 STIEGLITZ, Classical Greek measures, p. 196. Tutto il discorso trae spunto da una sorta di taglio a ‘gradino’ visibile sul lato sinistro del righello, che determina una differenza di lunghezza tra «lower rule» (o «rule A»: mm 333) e «upper rule» («rule B»: mm 327, 5). Di qui la convinzione di Stiegliz che il la prima misura, più lunga, corrisponda al «Pheidonian foot», e la seconda, lievemente più corta, al «Solonian foot». Infatti, dato per scontato che l’innalzamento soloniano da 60 a 63 delle mine comprese in un talento (Arist. Ath. pol. 10, 2) avvenisse in costanza di peso del talento e quindi implicasse un decremento del 5% della mina rispetto ai ĭİȚįȫȞİȚĮ µȑIJȡĮ (cosa tutt’altro che pacifica negli studi: v. supra, n. 225), Stiegliz ritiene di poter calcolare a fil di logica anche l’entità del fantomatico decremento di µȑIJȡĮ lineari implicito in tale riforma, trovandolo – con perfetta petitio principii – esattamente identico a quello a suo avviso attestato nel righello. V. anche, con ‘logica’ analoga, WILSON JONES, Doric measure, p. 87, n. 61.

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gia tradizionale (non cubica), e che la loro ricalibratura, il loro ridimensionamento, era in funzione, più che di astratti calcoli numerici, di una pura dinamica empirica di ‘travasi’ (tra-vasi) comparati. Ma torniamo al lemma del Gudianum. La locuzione įȚΤ µȚțȡȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ, sebbene mancante di contesto sintattico a causa della susseguente crux †πΑΈ΅Ώ΅·ΣΖ†, si ricollega senza dubbio alla riduzione di µȑIJȡĮ segnalata sùbito prima (c’è nesso logico tra µİȚЏΗ΅ΑΘΓΖ e µȚțȡȠІ)234. Ciò vuol dire che la ricalibratura riduttiva delle unità ponderali attribuita a Fidone deve essersi tradotta, nel caso dell’argento, in una nuova modalità di parcellizzazione/pesatura del metallo in quantità ridotte. Naturalmente, quando si parla di standard di quantificazione minuta dell’argento, non si può più pensare a misuratori volumetrici, bensì a pesi-campione veri e propri, adoperabili per la pesatura comparativa a bilancia (strumento che non a caso è definito esso stesso ıIJĮșµȩȢ)235. Per quanto riguarda la crux †πΑΈ΅Ώ΅·ΣΖ†, la mancanza di edizioni moderne integrali dell’Etymologicum Gudianum236 obbliga ancora oggi ad attenersi al testo dello Sturz (1818), che si limita a segnalare la corruttela (o la lacuna), lasciandola irrisolta237.

___________________________________________________ 234

Si può ipotizzare tanto una diretta dipendenza del genitivo µȚțȡȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ da įȚȐ (cfr. Orion s.v. ΩΕΑΙΗΌ΅΍ [riportato a n. 246]: įȚв ΦΕ·ΙΕϟΓΙ), quanto una locuzione įȚȐ + accusativo, con il genitivo interposto (cfr. Polyaen. III 9, 35: įȚΤ IJχΑ IJȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ σΑΈΉ΍΅Α; Cyrill. [Hierosol.] Catech. ad ill. 14, 14: įȚΤ įϱΗ΍Α ΦΕ·ΙΕϟΓΙ), ovvero įȚȐ + genitivo + genitivo (cfr. Clem. Alex. Strom. IV 6, 38, 3: įȚв ΦΕ·ΙΕϟΓΙ įϱΗΉΝΖ; Hephaest. Apotelesm. 322: įȚΤ įϱΗΉΝΖ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ; Cyrill. [Alex.] Coll. dict. vet. testam. 77, 1237: įȚΤ įξ IJϛΖ ΦΔΓΘϟΗΉΝΖ IJȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ). 235 Cfr. ad esempio Il. XII 434; Her. II 65, 4; Aristoph. Ran. 1365; 1407; Dem. XLIX 52. 236 Si tratta di un lessico bizantino anonimo dell’XI secolo noto da un numero ristretto di manoscritti, tra cui uno a suo tempo appartenuto alla collezione di Marquard Gude (1635-1689), donde la denominazione Gudianum invalsa nell’uso. Dipende in parte dall’Etymologicum Genuinum, a sua volta includente materiale lessicografico tratto dall’Etymologicum di Orione (supra, n. 110, 113-115). Cfr. in generale O. CARNUTH, Quellenstudien zum Etymologicum Gudianum, I-II, Danzig 1880 (= «Jahresbericht des städtischen Gymnasiums zu Danzig» 88-89 [1879-1880]; A. CELLERINI, Introduzione all’Etymologicum Gudianum, Roma 1988 (BollClass - Suppl., 6); S. MALECI, Il codice Barberinianus Graecus 70 dell’Etymologicum Gudianum, Roma 1995 (BollClass - Suppl., 15). Su Marquard Gude cfr. C. BURSIAN, Gudius, in Allgemeine Deutsche Biographie, X, Leipzig 1879, pp. 88-89. 237 Nessuna notazione d’apparato nell’edizione STURZ (n. 227). La voce ijİϟΈΉΗΌ΅΍ manca nell’edizione teubneriana, rimasta incompiuta, di A. DE STEFANI (ed.), Etymologicum

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Dalla lezione tràdita si enuclea tuttavia con certezza un accusativo plurale ΦΏĮȖȐȢ, che chiama in causa, per l’esegesi della parte finale lacunosa del lemma, la tematica degli «scambi» (ΦΏΏ΅·΅ϟ), centrale nella riflessione antica sulla genesi della moneta. Riferimenti d’obbligo sono, in primo luogo, la definizione del Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ come «segno in funzione dello [oppure finalizzato allo] scambio» (ıϾΐΆΓΏΓΑ IJϛΖ ΦΏΏ΅·ϛΖ ρΑΉΎ΅) nella Repubblica platonica238; o la connessa osservazione delle Leggi, inerente il suo uso all’interno della polis «ai fini dello scambio giornaliero» (ρΑΉΎ΅ ΦΏΏ΅·ϛΖ IJϛΖ țĮșв ψΐνΕ΅Α)239. In rapporto dialettico con i luoghi platonici, poi, il passo della Politica aristotelica in cui il Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ è definito «principio e fine dello scambio» (ıIJȠȚȤİϧΓΑ țĮϠ ʌνΕ΅Ζ IJϛΖ ΦȜȜĮȖϛȢ)240; o quello dell’Etica Nicomachea in cui è detto «garante degli scambi futuri» (ЀΔξΕ įξ IJϛΖ µİȜȜȠϾΗ΋Ζ ΦΏΏ΅·ϛΖ [...] IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȠϩΓΑ π··Ι΋ΘφΖ πΗΌв ψΐϧΑ)241.

___________________________________________________ Gudianum quod vocatur. Recensuit et apparatum criticum indicesque adiecit Ed. Aloysius De Stefani, I (ǹ-Ǻ) - II (Ǻ-ǽ), Lipsiae 1909-1920 [Nachdr. Amsterdam 1965]. 238 Plat. Resp. 371b: ȉϟ įξ įφЪ πΑ ĮЁΘϜ IJϜ ʌϱΏΉ΍ ʌЗΖ ΦΏΏφΏΓ΍Ζ µİIJĮįЏΗΓΙΗ΍Α ЙΑ ΪΑ ρΎ΅ΗΘΓ΍ πΕ·ΣΊΝΑΘ΅΍Ъ ЙΑ įχ ρΑΉΎ΅ țĮϠ țȠȚȞȦȞϟ΅Α ʌȠȚȘıΣΐΉΑΓ΍ ʌϱΏ΍Α КΎϟΗ΅ΐΉΑ. ǻϛΏΓΑ įφ, ώ įв ϵΖ, ϵΘ΍ ʌȦȜȠІΑΘΉΖ țĮϠ ВΑΓϾΐΉΑΓ΍. ̝·ΓΕΤ įχ ψΐϧΑ țĮϠ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ıϾΐΆΓΏΓΑ IJϛΖ ΦΏΏ΅·ϛΖ ρΑΉΎ΅ ȖİȞφΗΉΘ΅΍ πΎ IJȠϾΘΓΙ. 239 Plat. Leg. 741e-742b: ȆȡϲΖ IJȠϾΘΓ΍Ζ įв σΘ΍ ȞϱΐΓΖ ρΔΉΘ΅΍ ʌκΗ΍ IJȠϾΘΓ΍Ζ, µȘįв πΒΉϧΑ΅΍ ȤȡȣıϲΑ µȘįξ ΩΕ·ΙΕΓΑ țİțIJϛΗΌ΅΍ µȘįνΑ΅ µȘįİȞϠ ϢΈ΍ЏΘϙ, Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ įξ ρΑΉΎ΅ ΦΏΏ΅·ϛΖ IJϛΖ țĮșв ψΐνΕ΅Α, ϋΑ įȘµȚȠȣȡȖȠϧΖ IJİ ΦΏΏΣΘΘΉΗΌ΅΍ ıȤİįϲΑ ΦΑ΅·Ύ΅ϧΓΑ, țĮϠ ʌκΗ΍Α ϳΔϱΗΝΑ Ȥȡİϟ΅ IJЗΑ IJȠȚȠϾΘΝΑ µȚıșȠϿΖ µȚıșȦIJȠϧΖ, įȠϾΏΓ΍Ζ țĮϠ πΔΓϟΎΓ΍Ζ, ΦΔΓΘϟΑΉ΍Α. ͹Α ρΑΉΎΣ ijĮµİȞ IJϲ ȞϱΐȚıµĮ țIJȘIJνΓΑ ĮЁΘΓϧΖ µξΑ σΑΘ΍ΐΓΑ, IJȠϧΖ įξ ΩΏΏΓ΍Ζ ΦΑΌΕЏΔΓ΍Ζ ΦΈϱΎ΍ΐΓΑ· țȠȚȞϲΑ įξ ̴ΏΏ΋Α΍ΎϲΑ ȞϱµȚıµĮ ρΑΉΎΣ IJİ ıIJȡĮIJİȚЗΑ țĮϠ ΦΔΓ įȘµȚЗΑ İϢΖ IJȠϿΖ ΩΏΏΓΙΖ ΦΑΌΕЏΔΓΙΖ, ȠϩΓΑ ʌȡİıȕİȚЗΑ ύ țĮϟ IJȚȞȠȢ ΦΑ΅·Ύ΅ϟ΅Ζ ΩΏΏ΋Ζ IJϜ ʌϱΏΉ΍ țȘȡȣțİϟ΅Ζ, πΎΔνΐΔΉ΍Α IJȚȞΤ ΪΑ įνϙ, IJȠϾΘΝΑ ȤΣΕ΍Α ΦΑΣ·Ύ΋ οΎΣΗΘΓΘΉ țİțIJϛΗΌ΅΍ IJϜ ʌϱΏΉ΍ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ̴ΏΏ΋Α΍ΎϱΑ. Entrambi i passi sono discussi da FARAGUNA, Nomisma e polis, pp. 125-128 (donde sono tratte le due traduzioni riportate tra virgolette nel testo: pp. 126 e 127 rispettivamente). Cfr. anche Plat. Leg. 849e. 240 Cfr. Aristot. Pol. 1257a-b: (a) (...) ǻȚϲ ʌȡϲΖ IJΤΖ ΦΏΏ΅·ΤΖ IJȠȚȠІΘϱΑ IJȚ ıȣȞνΌΉΑΘΓ ʌȡϲΖ ıijκΖ ĮЁΘΓϿΖ įȚįϱΑ΅΍ țĮϠ ȜĮµȕΣΑΉ΍Α, ϶ IJЗΑ ȤȡȘıϟΐΝΑ ĮЁΘϲ ϸΑ İϨΛΉ IJχΑ Ȥȡİϟ΅Α İЁΐΉΘ΅ΛΉϟΕ΍ΗΘΓΑ ʌȡϲΖ IJϲ ȗϛΑ, ȠϩΓΑ ıϟΈ΋ΕΓΖ țĮϠ ΩΕ·ΙΕΓΖ țΪΑ İϥ IJȚ IJȠȚȠІΘΓΑ ρΘΉΕΓΑ, IJϲ µξΑ ʌȡЗΘΓΑ ΥΔΏЗΖ ϳΕ΍ΗΌξΑ µİȖνΌΉ΍ țĮϠ ıIJĮșµХ, IJϲ įξ IJİȜİȣIJĮϧΓΑ țĮϠ ȤĮȡĮțIJϛΕ΅ πΔ΍Ά΅ΏΏϱΑΘΝΑ, ϣΑ΅ ΦΔΓΏϾΗϙ IJϛΖ µİIJȡφΗΉΝΖ ĮЀΘΓϾΖ· ϳ ȖΤΕ ȤĮȡĮțIJχΕ πΘνΌ΋ IJȠІ ʌȠıȠІ ıȘµİϧΓΑ. (b) ȆȠȡȚıșνΑΘΓΖ ȠЇΑ όΈ΋ ȞȠµϟΗΐ΅ΘΓΖ πΎ IJϛΖ ΦΑ΅·Ύ΅ϟ΅Ζ ΦΏΏ΅·ϛΖ șΣΘΉΕΓΑ İϨΈΓΖ IJϛΖ ȤȡȘµĮIJȚıIJȚțϛΖ π·νΑΉΘΓ, IJϲ țĮʌȘȜȚțϱΑ (...). ̷ΗΘ΍ ȖΤΕ οΘνΕ΅ ψ ȤȡȘµĮIJȚıIJȚțχ țĮϠ ϳ ʌȜȠІΘΓΖ ϳ țĮIJΤ ijϾΗȚȞ, țĮϠ ĮЂΘ΋ µξΑ ȠϢΎΓΑΓΐ΍Ύφ, ψ įξ țĮʌȘȜȚțχ ʌȠȚȘIJȚțχ ȤȡȘµΣΘΝΑ ȠЁ ʌΣΑΘΝΖ, ΦΏΏΤ įȚΤ ȤȡȘµΣΘΝΑ µİIJĮ ȕȠȜϛΖ. ȀĮϠ įȠțİϧ ʌİȡϠ IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ĮЂΘ΋ İϨΑ΅΍· IJϲ ȖΤΕ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ıIJȠȚȤİϧΓΑ țĮϠ ʌνΕ΅Ζ IJϛΖ ΦΏΏ΅·ϛΖ πΗΘ΍Α. 241 Aristot. Eth. Nic. 1133b: ͩΔξΕ įξ IJϛΖ µİȜȜȠϾΗ΋Ζ ΦΏΏ΅·ϛΖ, İϢ ȞІΑ µȘįξΑ įİϧΘ΅΍, ϵΘ΍ σΗΘ΅΍ ΪΑ įİȘșϜ, IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ȠϩΓΑ π··Ι΋ΘφΖ πΗΌв ψΐϧΑ· įİϧ ȖΤΕ IJȠІΘΓ ijνΕΓΑΘ΍ İϨΑ΅΍ ȜĮȕİϧΑ. ȆΣΗΛΉ΍ µξΑ ȠЇΑ țĮϠ IJȠІΘΓ IJϲ ĮЁΘϱ· ȠЁ ȖΤΕ ΦΉϠ ϥΗΓΑ įϾΑ΅Θ΅΍· ϵΐΝΖ įξ

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Ma va rilevata una differenza di fondo. Nel lemma del Gudianum, strumento delle ΦΏΏ΅·΅ϟ non è il Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ in senso proprio (la moneta coniata, di cui Fidone non è – in questa come in altre fonti – considerato inventore); bensì l’argento in piccole quantità (įȚΤ µȚțȡȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ), quantificato in base ai µνΘΕ΅/pesi242 campione di scala ridotta creati dal re-tiranno di Argo . In un certo senso, Fidone affina e completa l’opera di Palamede, che nell’Apologia di Gorgia è considerato il primo e vero inventore di pesi e misure, «comodi mezzi di scambio nei rapporti commerciali» 243 (µνΘΕ΅ IJİ țĮϠ ıIJĮșµΤ ıȣȞĮȜȜĮȖЗΑ İЁΔϱΕΓΙΖ įȚĮȜȜĮȖΣΖ) . Con la calibratura ‘microscopica’ dei pesi, e la conseguente adozione di piccole o piccolissime quantità (‘fidoniane’) di argento come base degli scambi (in luogo degli ϴΆΉΏΓϟ di ferro), il tiranno di Argo porta a compimento il processo di astrazione delle ΦΏΏ΅·΅ϟ metalliche dalle dinamiche residuali del baratto. È, in un certo senso, il 244 momento della ΦΕ·ΙΕν΋ ΦΏΏ΅·φ in senso letterale ; il momento

___________________________________________________ ȕȠϾΏΉΘ΅΍ µνΑΉ΍Α µκΏΏΓΑ. ǻȚϲ įİϧ ʌΣΑΘ΅ IJİIJȚµϛΗΌ΅΍· ȠЂΘΝ ȖΤΕ ΦΉϠ σΗΘ΅΍ ΦΏΏ΅·φ, İϢ įξ IJȠІΘΓ, țȠȚȞȦȞϟ΅. ȉϲ įχ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ ГΗΔΉΕ µνΘΕΓΑ ıϾΐΐΉΘΕ΅ ʌȠȚϛΗ΅Α ϢΗΣΊΉ΍· ȠЄΘΉ ȖΤΕ ΪΑ µχ ȠЄΗ΋Ζ ΦΏΏ΅·ϛΖ țȠȚȞȦȞϟ΅ ώΑ, ȠЄΘв ΦΏΏ΅·χ ϢΗϱΘ΋ΘΓΖ µχ ȠЄΗ΋Ζ, ȠЄΘв ϢΗϱΘ΋Ζ µχ ȠЄΗ΋Ζ ıȣµµİIJȡϟ΅Ζ. 242 Nell’Etymologicum Gudianum ΦΕ·ϾΕ΍ΓΑ è usato tanto nel significato di Ȟϱΐ΍ıµĮ, quanto in quello di «argento» (come sinonimo quindi di ΩΕ·ΙΕΓΖ: cfr. v. ϴΆΓΏϱΖ· ϳ πΒ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ Ω·Ή΍ ȖȡΣΐΐ΅Θ΅ IJȡϟ΅, ϳΐΓϟΝΖ țĮϠ ϳ ΦΔϲ ıȚįφΕΓΙ; cfr. già Her. III 13, 4; Thuc. II 13, 3; Plat. Alc. I 122e ecc.). Nel lemma in esame, la presenza dell’aggettivo µȚțȡȩȢ come attributo di ΦΕ·ϾΕ΍ΓΑ porta a escludere che la sequenza mutila o lacunosa che ruota intorno a †πΑΈ΅Ώ΅·ΤΖ† si riferisca all’invenzione della moneta coniata in senso stretto. Una traduzione del tipo «ijİϟΈΉΗΌ΅΍: il verbo deriva] da[l nome di] Fidone, il quale ridusse le unità ponderali e con poco denaro...» non avrebbe alcun senso. Il termine ΦΕ·ϾΕ΍ΓΑ pertanto qui indica senz’altro il metallo. La congiunzione țĮȓ dopo µİȚȫıĮȞIJȠȢ presuppone la presenza di almeno un secondo participio aoristo (gen. sing. accordato con ĭİȚįЗΑΓΖ) nella sequenza lacunosa successiva a įȚΤ µȚțȡȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ. A questo secondo participio (che la parte iniziale di †πΑΈ΅Ώ΅·ΤΖ† indurrebbe a ricondurre a verbi come πΑΈİȓțȞȣµȚ, πΑΈȑȤȠµĮȚ, πΑΈȓįȦµȚ) potrebbe essere stato connesso e subordinato l’infinito finale IJϟΌΉΗΌ΅΍. 243 Cfr. Gorg. 82 B 11a, 30 D.-K. Nello stesso contesto Gorgia sottolinea la funzione di ȤȡȘµΣΘΝΑ ijϾΏ΅Β di un’altra invenzione di Palamede, il numero. Sul frammento cfr. L. SOVERINI, Il sofista e l’agorà. Sapienti, economia e vita quotidiana nella Grecia classica, Pisa 1998, pp. 66-73; S. GRIMAUDO, Misurare e pesare nella Grecia antica. Teorie, storia, ideologie, Palermo 1998, pp. 18-19. Palamede è detto inventore di µνΘΕ΅ e ıIJĮșµȐ, ma non del ȞȩµȚıµĮ, anche in Alcidam. Odyss. fr. 16, 22-28 (cfr. supra, n. 179 e testo corrispondente). 244 Per la locuzione cfr. ad esempio Hesych. s.v. πΐΔΓΏφ· țνΕΈΓΖ. ȅϡ įξ IJΤ ijȠȡIJϟ΅. ̾ IJχΑ ΦΕ·ΙΕν΋Α ΦΏΏ΅·φΑ; Poll. III 84: ΦΕ·ΙΕϟΓΙ ΦΏΏ΅·χ ϳ țĮȜȠϾΐΉΑΓΖ țϱΏΏΙΆΓΖ; VII 170: țȠȜȜȣȕȚıIJφΖ, БΖ ȁȣıϟ΅Ζ πΑ IJХ ʌİȡϠ ȤȡȣıȠІ IJȡϟΔΓΈȠȢ (frg. 148 Th). ȀĮϠ ϳ

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di trapasso registrato dallo stesso Aristotele, allorché evoca un tempo IJϲ ʌȡЗΘΓΑ in cui il ferro, l’argento e ogni altro metallo adottato come base per gli scambi venivano quantificati per pezzatura e peso (µİȖνΌΉ΍ țĮϠ ıIJĮșµХ) di volta in volta riverificati; e il tempo IJϲ IJİȜİȣIJĮϧΓΑ in cui il metallo fu finalmente contrassegnato con un ȤĮȡĮțIJȒȡ, «segno della quantità», IJȠІ ʌȠıȠІ ıȘµİϧΓΑ, rendendo superflua 245 ogni sua ulteriore pesatura . Passaggio non diverso da quello delineato da Orione, allorché postula una risemantizzazione del verbo ΩΕΑΙΗΌ΅΍, a partire da una fase ʌΣΏ΅΍ in cui gli scambi avvenivano mediante animali – e segnatamente įȚΤ IJЗΑ ΦΕΑЗΑ –, per arrivare a una fase ЂΗΘΉΕΓΑ in cui essi furono veicolati įȚвΦΕ·ΙΕϟΓΙ, trasformando il verbo in un perfetto sinonimo di țĮIJĮȜȜΣΘΘΉΗΌ΅΍ 246 («scambiare») . La differenza – e la novità – del lemma dell’Etymologicum Gudianum, è che questo momento peculiare e transitorio della circolazione protomonetaria dell’argento parcellizzato e pesato secondo un suo proprio standard, non è, come in Aristotele e in Orione, solo ipotizzato e postulato «a lume di logica» (țĮIJΤ ȜȩȖ247 ȠȞ) , bensì assunto come dato storico, legato precisamente alla figura di Fidone di Argo, metrologista e antesignano del passaggio dal ciclo protomonetario del ferro a quello – egualmente protomonetario – dell’argento.

___________________________________________________ ȞІΑ țϱΏΏΙΆΓΖ ΦΏΏ΅·φ, țĮϠ IJϲ țĮIJĮȜȜΣΘΘΉ΍Α IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅, țĮϠ IJΤ țνΕΐ΅Θ΅ įξ țĮϠ IJϲ țİȡµĮIJϟΊΉ΍Α IJϲ Ȟϱΐ΍Ηΐ΅ İϥΕ΋Θ΅΍. 245 Arist. Pol. 1257a: ǻȚϲ ʌȡϲΖ IJΤΖ ΦΏΏ΅·ΤΖ IJȠȚȠІΘϱΑ IJȚ ıȣȞνΌΉΑΘΓ ʌȡϲΖ ıijκΖ ĮЁΘΓϿΖ įȚįϱΑ΅΍ țĮϠ ȜĮµȕΣΑΉ΍Α, ϶ IJЗΑ ȤȡȘıϟΐΝΑ ĮЁΘϲ ϸΑ İϨΛΉ IJχΑ Ȥȡİϟ΅Α İЁΐΉΘ΅ΛΉϟΕ΍ΗΘΓΑ ʌȡϲΖ IJϲ ȗϛΑ, ȠϩΓΑ ıϟΈ΋ΕΓΖ țĮϠ ΩΕ·ΙΕΓΖ țΪΑ İϥ IJȚ IJȠȚȠІΘΓΑ ρΘΉΕΓΑ, IJϲ µξΑ ʌȡЗΘΓΑ ΥΔΏЗΖ ϳΕ΍ΗΌξΑ µİȖνΌΉ΍ țĮϠ ıIJĮșµХ, IJϲ įξ IJİȜİȣIJĮϧΓΑ țĮϠ ȤĮȡĮțIJϛΕ΅ πΔ΍Ά΅ΏΏϱΑΘΝΑ, ϣΑ΅ ΦΔΓΏϾΗϙ IJϛΖ µİIJȡφΗΉΝΖ ĮЀΘΓϾΖ· ϳ ȖΤΕ ȤĮȡĮțIJχΕ πΘνΌ΋ IJȠІ ʌȠıȠІ ıȘµİϧΓΑ. 246 Orion s.v. ΩΕΑΙΗΌ΅΍· țĮIJĮȜȜΣΘΘΉΗΌ΅΍· πΔϠ IJϲ IJϛΖ ȤȡφΗΉΝΖ IJȠІ ΦΕ·ΙΕϟΓΙ. ǻȚΤ IJЗΑ ΦΕΑЗΑ IJΤΖ ΦΐΓ΍ΆΤΖ πΔΓ΍ΓІΑΘΓ Ƞϡ ʌΣΏ΅΍, țĮϠ įȚΤ IJЗΑ ΩΏΏΝΑ ȗЏΝΑ· ЂΗΘΉΕΓΑ įξ įȚв ΦΕ·ΙΕϟΓΙ, БΖ țĮϠ ͣΐ΋ΕΓΖ (Il. VII 473-475). Cfr. anche Etym. M. s.v. ̴Ύ΅ΘϱΐΆΓ΍ΓΖ (...) ȅϡ ȖΤΕ ʌĮȜĮȚȠϟ, ʌȡϠΑ πΔ΍ΑΓ΋ΌϛΑ΅΍ IJΤ ȞȠµϟΗΐ΅Θ΅, IJΤΖ ıȣȞĮȜȜĮȖΤΖ įȚΤ IJЗΑ IJİIJȡĮʌϱΈΝΑ πΔΓ΍ΓІΑΘΓ ϵΌΉΑ ЂΗΘΉΕΓΑ πΚΉΙΕΉΌνΑΘΝΑ IJЗΑ ȞȠµȚıµΣΘΝΑ, ȕȠІΑ πΒΉΘϾΔΓΙΑ πΑ ĮЁΘХ, IJϲ ΦΕΛ΅ϧΓΑ σΌΓΖ πΔ΍ įİȚțȞϾΐΉΑΓ΍. ǺȠȚϲΑ įξ Ȝν·ΓΙΗ΍Α İϨΑ΅΍ ıIJΣΌΐ΍ϱΑ IJȚ, ύ IJχΑ ȕȠϲΖ IJȚµφΑ. й̊ IJϲ įϟΈΕ΅ΛΐΓΑ, ȕȠІΑ σΛΓΑ πΔϟΗ΋ΐΓΑ, țĮϠ IJϲΑ ʌϱΈ΅, țIJȜ. (coincidente verbatim con schol. Il. XXI 79); Poll. IX 73: (...) ЀΔΓΏ΅ΐΆΣΑΓΙΗ΍Α ͟ΐφΕУ µΣΕΘΙΕ΍, IJχΑ ΦΏΏ΅·χΑ ȠЁ ȞȠµϟΗΐ΅Θ΍ ȖϟΑΉΗΌ΅΍ IJϲ ʌĮȜĮȚϲΑ ψ·ΓΙΐνΑУ ΦΏΏв ΦΑΘ΍ΈϱΗΉ΍ IJȚȞЗΑ. 247 Cfr. Arist. Pol. 1257a, su cui v. FARAGUNA, Nomisma e polis, p. 129.

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GIUSEPPE RAGONE

ABSTRACT The historical existence of Pheidon, the shadowy tyrant/king of archaic Argos unanimously considered by ancient sources as the inventor or reformer of Peloponnesian measures and weight standards, might be not totally beyond doubt judging from the possible allusiveness of his name (Pheidon = «the economiser» / pheidon = «little measuring cup for oil», «oil saver» / pheidon[e]ia metra = «[reduced] measures/weight standards fixed by Pheidon»: cf. vb. pheidesthai, «to save», «to economise») and from the extreme fluctuations of his chronology (from the 9th to the beginning of the 6th century B.C., according to different dates or implications in ancient sources or questionable arguments by modern scholars). Yet such a conclusion seems to be excluded by Herodotus’ authority, who mentions Leocedes, Pheidon’s son, as one of the suitors of Agariste, Orthagorid Cleisthenes’ daughter: «from the Peloponnese came Leocedes, son of Phidon the tyrant of Argos, that Phidon who made weights and measures for the Peloponnesians and acted more arrogantly than any other Greek: he drove out the Elean contestdirectors and held the contests at Olympia himself» (Her. VI 127: the earliest testimony about Pheidon; also the only one that moves his date – as a contemporary of Sicyonian Cleisthenes – to the second half of the 7th or the beginning of the 6th century B.C.). Herodotus’ list, which probably reflects reliable Alcmaeonid tradition from Periclean entourage, cannot be rejected as pure epic fiction. Probably one of the reasons why Pheidon’s chronology became so puzzling in ancient post-Herodotean tradition is that the tyrant of Argos was not at all – or only vaguely – mentioned in Hellanicus’ Argive Hiereiai; and that his usurped role as an organizer of the Olympic Games, obtained by military force, was intentionally obliterated by the Eleans, who considered that edition of the Games as an Anolympiad (Paus. VI 22, 2-3). As a consequence, the ancients could only guess the Argive tyrant’s chronology, according to different autoschediastical calculations and chronological systems; a circumstance which invalidates also any modern pretention to “correct” and improve such unreliable “data”. This is particularly true in the case of Pheidon’s intrusive genealogical role in the Corinthian tale of Habron and Melissus, connected to the foundation of Syracuse by Archias: a role attested only occasionally in ancient sources, a surreptitious mean to provide a “historical” frame for some originally atemporal cultic aition (concerning ritualized “Dorian” pederasty and/or some Dionysiac/Demetriac ritual in Corinth). Instead, a

RIFLESSIONI SULLA DOCUMENTAZIONE STORICA SU FIDONE DI ARGO

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kernel of historical truth – however alterated and modernized it may be – seems to be preserved in the lexicographic tradition (perhaps originally Aristotelian) concerning Pheidon’s alleged role in the demonetization and dedication of iron spits (obeloi) in the Heraion at Argos; a tradition which found substantial – although problematic – confirmation by Ch. Waldstein’s archaeological discovery of a bundle of iron spits, bound together with a heavy iron bar, near the altar of the archaic Argive sanctuary. On the contrary, the assumption – perhaps not earlier than Ephorus – that Pheidon «invented» silver coinage, precisely at Aegina, and gave it in change of the proto-monetary iron spits which he retired from circulation, is beyond any doubt false: as said above, the latest attested chronology for the Argive tyrant is the beginning of the 6th century B.C. (Herodotus), while numismatic evidence points to a date not earlier than the second or third quarter of the same century for the very beginning of Aeginetan coinage (the so called Aeginetan chelonai, «seaturtles» or «tortoises» in the modern research: a virtual Peloponnesiakon nomisma according to Hesychius s.v. chelone). Perhaps this anachronistic tradition is only a “logic” conclusion drawn by ancient sources on the following heterogeneous grounds: (a) the awareness of Pheidon’s historical role as an inventor of Argive weight standards (later extended to a greater part of Peloponnese), and of a new system of “microscopic” weights suitable for silver in little bars: a reform which promoted silver to the official proto-monetary mean of exchange in the whole area, and made the heavy and unpractical proto-monetary iron spits obsolete; (b) the awareness of a close evolutive connection between the proto-monetary circulation of weighted silver and the beginning of silver coinage, generally considered – at least for mainland Greece – an Aeginetan primacy. Such an hypothesis, increasingly accepted in recent research, may be strenghthened by a literary testimony, sofar unnoticed: Etymologicum Gudianum s.v. pheidesthai. Although somewhat corrupted, this passage seems to depict Pheidon as the author of a new «reduced» weight standard (meiosantos ta metra), which allowed to base exchanges (allagai) on small pre-determined quantities of silver.

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Argo nel V secolo: ambizioni egemoniche, crisi interne, condizionamenti esterni

Erodoto, all’inizio della sua opera (I 1), precisa che all’epoca del rapimento di Io, figlia di Inaco, da parte dei Fenici, Argo (...) era, sotto tutti gli aspetti, la più importante ( ) tra le città della regione che ora viene chiamata Grecia1;

più ampiamente, in I 82, 2 lo storico, richiamando l’origine del dissidio tra Argo e Sparta per la Tireatide, afferma che intorno alla metà del VI secolo Tirea faceva parte dell’Argolide, ma gli Spartani l’avevano strappata agli Argivi e ne avevano preso possesso. Del resto tutta la regione che trova ad ovest di Argo fino al capo Malea apparteneva agli Argivi, sia la terraferma che Citera e le altre isole.

Come vedremo, la memoria di questa antica egemonia, che si riflette anche nell’epica2, tornerà attuale in alcuni momenti della storia del V secolo: epoca durante la quale, con alterne vicende, Argo svolge un’importante funzione di ‘terza forza’, ma con scarsa incisività e con risultati piuttosto altalenanti. Spesso, infatti, Argo sembra incapace di andare oltre la difesa di interessi locali, perseguita attraverso una politica di neutralità e di difesa dal prepotere di Sparta che non sempre trova efficaci forme di espres-

La traduzione è di F. BEVILACQUA, in Erodoto, Le Storie, I-II, Torino 1996. 2 Cfr. P. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi: aspetti del conflitto tra Sparta e Argo nel V sec. a.C., in La città di Argo. Mito, storia, tradizioni poetiche (Atti del Convegno, Urbino 13-15 giugno 2002), Roma 2004, pp. 279-294, 283 ss. In generale, su Argo arcaica, cfr. TH. KELLY, A History of Argos, ca. 1100 to 546 B.C. (Minnesota Monographs in the Humanities, 9), Minneapolis 1964. 1

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sione. La capacità di Argo di esprimere un ruolo storico-politico significativo nelle relazioni internazionali greche sembra infatti fortemente condizionata da due fattori: 1) da un lato, la situazione politica interna, che è complessivamente poco stabile: i profondi cambiamenti sociali collocabili intorno al 494 avviarono un processo di democratizzazione che sembra compiuto intorno al 470 circa, ma nel corso del secolo non mancarono momenti di revanche oligarchica (oltre alla rivoluzione antidemocratica del 417, ben documentata dalle fonti, sono forse identificabili analoghi momenti nel periodo 469-464, all’epoca della fuga di Temistocle da Argo, e poco prima del 451, data della tregua trentennale fra Argo e Sparta); 2) dall’altro, la necessità di uscire dall’isolamento cui la costringeva il ruolo di unica città del Peloponneso non allineata con Sparta, stringendo rapporti di alleanza nel Peloponneso stesso (con altri stati di orientamento democratico e antispartano) e fuori di esso (con Atene, punto di riferimento, all’epoca dello ‘scontro dei blocchi’, delle democrazie greche). Una riconsiderazione delle vicende storiche comprese tra il 494 circa (battaglia di Sepia) e il 404 – che ci restituisce l’immagine di una Argo fortemente condizionata dagli equilibri interni ed esterni – può forse offrirci la possibilità di mettere in rilievo qualche elemento finora scarsamente considerato e capace di spiegare in modo più convincente la scarsa incisività di Argo come ‘terza forza’3.

1. Dal 494 al 462/1 Nella prima metà del secolo Argo, perduto l’antico ruolo egemonico giunto al suo culmine all’epoca di Fidone4, appare ridotta al ruolo di potenza prevalentemente locale. Il processo di rafforzamento territoriale, mediante sinecismi e annessioni che cambiarono l’assetto arcaico della pianura argolica a partire dagli anni successivi alle guerre persiane e condussero a una progressiva inte3 In generale, cfr. H.-J. GEHRKE, Jenseits von Athen und Sparta. Das dritte Griechenland und seine Staatenwelt, München 1986, pp. 113 ss. 4 Cfr., in questo volume, G. RAGONE, Riflessioni sulla documentazione storica su Fidone di Argo, pp. 27-103.

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grazione del territorio5, e di democratizzazione, che implicò una riorganizzazione simile a quella effettuata in Atene da Clistene e che culminò intorno al 4706, candidò Argo a forza peloponnesiaca alternativa a Sparta, anche in grazia del fatto che essa era stata, per concorde giudizio, l’antica egemone del Peloponneso e della Grecia. Il suo glorioso passato ne faceva il naturale punto di riferimento di una grande alleanza peloponnesiaca, che unisse gli stati di orientamento democratico (alla stessa epoca risalgono i processi di democratizzazione dell’Elide e di Mantinea) e controbilanciasse, o addirittura insidiasse, il ruolo egemonico di Sparta. Ma tale alleanza, promossa probabilmente con il contributo di Temistocle, esule per un certo periodo ad Argo, si rivelò, per diversi motivi, di scarso respiro, così come poco produttiva sarà, del resto, anche l’alleanza con Atene del 462/1, che costituisce il punto di arrivo di questa fase della storia argiva. 1.1. Fino alle guerre persiane Nel corso del VI secolo, la storia di Argo è caratterizzata dalla conflittualità con Sparta. L’episodio più significativo è costituito dalla cosiddetta «battaglia dei campioni» (Her. I 82), collocabile all’epoca dell’assedio di Sardi da parte persiana e quindi intorno alla metà del VI secolo (Sardi cadde nel 546)7: in seguito alla sconfitta Cfr. R.A. TOMLINSON, Argos and the Argolid, from the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London 1972, pp. 101 ss.; M. MOGGI, I sinecismi e le annessioni territoriali di Argo nel V secolo a. C., ASNP, 4 (1974), pp. 1249-1263; M. PIÉRART, L’attitude d’Argos à l’égard des autres cités d’Argolide, in The Polis as an Urban Centre and as a Political Community (Acts of the Copenhagen Polis Center, 4), Copenhagen 1997, pp. 321-335. Per l’unità culturale della pianura argolica intorno al 600, ben prima dell’unificazione politica, cfr. M. PIÉRART - G. TOUCHAIS, Argos, Paris 1996, pp. 33 ss.; ID., L’attitude d’Argos, pp. 334 ss.; sulla sua riconquista nel V secolo, PIÉRART - TOUCHAIS, Argos, pp. 42 ss. 6 Cfr. PIÉRART - TOUCHAIS, Argos, pp. 42 ss.; PIÉRART, L’attitude d’Argos, pp. 332 ss. La cronologia, come sottolinea VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi, pp. 279-280, è problematica, ma un riflesso dell’evoluzione democratica di Argo si trova nelle Supplici di Eschilo (cfr. D. MUSTI, Demokratia. Origini di un’idea, Roma - Bari 1995, pp. 19 ss.). Sugli aspetti istituzionali, cfr. H. LEPPIN, Argos. Eine griechische Demokratie des fünften Jahrhunderts v. Chr., «Ktema», 24 (1999), pp. 297-312; M. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, in Polis and Politics. Studies Hansen, Copenhagen 2000, pp. 297-314; P. TUCI, Pisistrato in Diodoro, in Epitomati ed epitomatori: il crocevia di Diodoro Siculo (Atti del Convegno, Pavia 21-22 aprile 2004), in Syngraphé. Materiali e appunti per lo studio della storia e della letteratura antica, 7, Como 2005, pp. 53-70. 7 Paus. III 7, 5 fornisce, per la ‘battaglia dei campioni’ e la perdita della Tireatide da 5

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subita in questa occasione, Argo perse il controllo della Tireatide, la zona pianeggiante nord-orientale, affacciata sul golfo Argolico, della più ampia regione denominata Cinuria. Lo scontro, originato dalla crescita della potenza spartana a danno dell’antico impero argivo nell’area orientale del Peloponneso (impero che Erodoto ricorda proprio in questo contesto, in I 88, 2, il passo citato in apertura), ebbe forse un precedente importante nell’aiuto fornito dagli Argivi agli Arcadi di Tegea, i quali, all’inizio del VI secolo, avevano inopinatamente sconfitto gli Spartani: ricorda Erodoto che i ceppi serviti per incatenare i prigionieri spartani si vedevano ancora ai suoi tempi, appesi intorno al tempio tegeate di Atena Alea (Her. I 66). Erodoto afferma che gli Spartani, grazie alla fertilità della terra e alla crescita demografica, conobbero un rapido sviluppo e una notevole fioritura. Perciò non bastò più loro vivere in pace, ma, nella presunzione di essere più forti degli Arcadi, consultarono l’oracolo di Delfi riguardo all’intera Arcadia (    ).

Il controllo dell’Arcadia era molto importante sia per Sparta che per Argo, perché dalla regione (in particolare dalla pianura alla cui estremità meridionale era situata Tegea) passavano le principali vie di comunicazione tra l’Argolide (attraverso Cencre e Isie) e la Laconia8: a motivo di ciò, e dell’improbabilità che i Tegeati abbiano potuto sconfiggere da soli gli Spartani, Tomlinson ipotizza che Sparta abbia dovuto fronteggiare, in questa occasione, un’alleanza arcadica piuttosto ampia, sostenuta anche dagli Argivi9. L’episodio avrebbe manifestato chiaramente agli Spartani il pericolo costiparte argiva, una data più alta, alla fine del regno di Teopompo, due generazioni prima della battaglia di Isie (669/8 secondo Paus. II 24, 7), in cui gli Argivi riuscirono vincitori; per la storicità della battaglia di Isie, cfr. TH. KELLY, Did the Argives Defeat the Spartans at Hysiae in 669 B.C.?, AJPh, 91 (1970), pp. 31-42. Su questi scontri di VII secolo si è molto discusso, ma Tirteo (F 23a West) sembra attestare tensioni tra Spartani da una parte e Argivi e Arcadi dall’altra a quest’epoca: cfr. PIÉRART, L’attitude d’Argos, pp. 326-327; ID., Qu’est-ce-qu’être Argien? Identité civique et régime démocratique à Argos au Ve s. avant J.-C., in Poleis e politeiai. Esperienze politiche, tradizioni letterarie, progetti costituzionali (Atti del Convegno Torino, 29-31 maggio 2002), Alessandria 2004, pp. 167-186, 173-174. 8 Cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 34 ss. 9 Ibi, p. 90.

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tuito da una vasta alleanza peloponnesiaca di segno antispartano e li avrebbe indotti ad attaccare la Tireatide: la sua conquista avrebbe infatti sortito l’effetto di indebolire Argo, di isolare Tegea dal mare e garantire a Sparta un accesso all’Argolide, attraverso la Cinuria, anche in caso di chiusura delle vie di comunicazione arcadiche. L’ipotesi ha certamente un suo valore, e, se non è possibile suffragarla con un dato testimoniale sicuro, resta il fatto che con la conquista spartana della Tireatide la competitività di Argo nel Peloponneso si ridusse sensibilmente e che il problema del controllo di questa regione di confine restò una costante nel rapporto tra le due potenze10. In questa situazione Argo rischiava di trovarsi schiacciata tra Sparta da una parte e, dall’altra, le potenti città istmiche, Sicione e Corinto, con le quali sono attestati conflitti – con Sicione ai tempi del tiranno Clistene11, con Corinto, come vedremo, verso la fine del VI secolo – che testimoniano delle pressioni che, dalla zona dell’Istmo, gravavano su Argo. È dunque comprensibile che Argo abbia cercato, fin dal VI secolo, contatti con Atene. Erodoto (I 61) attesta che soldati argivi aiutarono Pisistrato a riconquistare il potere nel 546: il tiranno, con questo obiettivo, si diede a raccogliere contributi dalle città che avevano un qualche obbligo nei loro confronti. Molti offrirono somme notevoli, ma i Tebani superarono tutti con il loro contributo. Insomma, per non dilungarmi troppo, passò del tempo e tutto ormai era pronto per il loro ritorno: dal Peloponneso erano giunti dei  argivi...

Come è stato sottolineato12, non si trattava tanto di mercenari, come Erodoto vuol fra credere, quanto di alleati: il contributo argivo è inserito infatti nel contesto di ‘obblighi’ di natura personale, e Aristotele (Athen. Polit. 17, 4) attesta che fu grazie alla philia nata in seguito al matrimonio di Pisistrato con l’argiva Timonassa che mille Argivi combatterono al suo fianco nella batCfr. G. DAVERIO ROCCHI, Frontiera e confini nella Grecia antica, Roma 1988, 201 ss. Cfr. Her. V 67. 12 Cfr. B.M. LAVELLE, Herodotus on Argive misth?toi, LCM, 11 (1986), pp. 150; ID., Herodotos, Skhytian Archers, and the Doryphoroi of the Peisistratids, «Klio», 74 (1992), pp. 78-97. 10

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taglia presso il tempio di Atena Pallenide. L’intervento dei  argivi mostra il tentativo di Argo di stabilire, in un momento di difficoltà nelle relazioni interne al Peloponneso, rapporti di collaborazione con una grande forza antispartana extrapeloponnesiaca come l’Atene pisistratide. Si è accennato al problema delle relazioni con Corinto. La dedica a Zeus Olimpio, databile tra il 530 e il 490, di otto scudi, cinque elmi e uno schiniere corinzi, quasi tutti recanti la stessa iscrizione (     , attesta una importante vittoria di Argo su Corinto, di cui non vi è riscontro nelle fonti letterarie. È possibile che essa debba essere identificata con un episodio del conflitto tra Corinto e Megara che vide, secondo Pausania (VI 19, 12-14), l’intervento di Argo a fianco dei Megaresi13: il Periegeta infatti, parlando del tesoro dei Megaresi a Olimpia, che fu dedicato con le spoglie prese ai Corinzi alcuni anni dopo una battaglia   svoltasi sotto l’arcontato vitalizio di Forbante in Atene, aggiunge che «si racconta che anche gli Argivi parteciparono con i Megaresi all’impresa contro i Corinzi»14. Poiché il tesoro dei Megaresi è datato agli anni 510-500, la battaglia potrebbe essere collocata più precisamente intorno al 51015: Argo, che dopo la sconfitta del 546 si era trovata in grave difficoltà a causa della perdita della Tireatide, avrebbe cercato di compensarla accrescendo la sua influenza in direzione dell’Istmo (sulla strada che da Argo portava a Corinto, la città di Cleone, situata a 120 stadi da Argo e a 80 da Corinto, costituì spesso, non casualmente, oggetto di contesa tra le due potenze)16.

Cfr. A.H. JACKSON, Argos’ Victory over Corinth, ZPE, 132 (2000), pp. 295-311, dove si troverà ampia bibliografia precedente. Contro la possibilità di collegare la dedica con gli eventi tardo-arcaici che portarono alla costruzione del tesoro si esprimono G. MADDOLI-M. NAFISSI-V. SALADINO, in Pausania, Guida della Grecia, VI: L’Elide e Olimpia, Milano 1999, p. 329. Una datazione dell’episodio al 546/5 è sostenuta da C. CORBETTA, Il conflitto del VI secolo a.C. fra Corinto e Megara, RIL, 112 (1978), pp. 297-307; propone invece un collegamento con gli eventi della cosiddetta prima guerra del Peloponneso D.M. LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, in Classical Contributions. Studies McGregor, Locust Valley, N.Y. 1981, pp. 71-78, 75. 15 Le diverse possibilità di datazione tra 530 e 490 sono accuratamente esplorate da JACKSON, Argos’ Victory over Corinth, pp. 307-308. 16 Sulla posizione di Cleone cfr. Strab. VIII 6, 19; per le sue relazioni con Argo e 13

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Il rapporto di Argo con Atene e, soprattutto, la sua vittoria su Corinto costituirono certamente un motivo di preoccupazione per Sparta: tanto più che Argo, con la dedica in sede olimpica, diede grande pubblicità al successo ottenuto contro Corinto, che la rafforzò, la indusse a confidare nell’annullamento delle conseguenze della «battaglia dei campioni» e nel recupero della Tireatide e, forse, suscitò addirittura la speranza di poter recuperare l’antica egemonia. Il disimpegno di Cleomene I di fronte alla richiesta di aiuto di Aristagora di Mileto trova, forse, una delle sue motivazioni nella volontà di rendere Argo inoffensiva, azzerandone il potenziale militare17. A questo risultato Cleomene giunse nel 49418, quando, aiutato da navi di Egina e di Sicione19, sbarcò presso Nauplia e prese posizione a Sepia, presso Tirinto, dove, grazie a una serie di stratagemmi, ebbe ragione degli Argivi (il grosso dell’esercito morì nell’incendio del bosco sacro all’eroe Argo), ma rinunciò ad attaccare Argo, pur rimasta priva di uomini (Her. VI 19 e 76-80). La tradizione più tarda (Paus. II 20, 8-9; III 4, 1; Plut. Mor. 245 c-e; Polyaen. VIII 33), di origine locale e sorta in collegamento con il celebre oracolo dato dalla Pizia in comune ad Argivi e Milesii (Her. VI 77)20, parla in realtà di un attacco alla città, vani-

Corinto cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 29-30; LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, pp. 74-75. 17 Così JACKSON, Argos’ Victory over Corinth, p. 306. 18 Cfr. H.-J. GEHRKE, Stasis. Untersuchungen zu den inneren Kriegen in den griechischen Staaten des 5. Und 4. Jahrhunderts v. Chr. (Vestigia, 35), München 1985, p. 25, nota 6; PIÉRART, Qu’est-ce-qu’être Argien?, p. 174. Una data più alta, all’inizio del regno di Cleomene, è data da Paus. III, 4, 1; per alcuni problemi relativi alla datazione al 494 cfr. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi, pp. 285-286. 19 Cfr. Her. VI 92: in seguito gli Egineti, in guerra con Atene, «chiamarono in aiuto gli stessi di prima, gli Argivi. Ma questa volta gli Argivi non li soccorsero, rinfacciando loro il fatto che navi di Egina, sia pure prese con la forza da Cleomene, erano approdate nel territorio di Argo e gli equipaggi erano sbarcati insieme agli Spartani; allo sbarco, durante la stessa incursione, avevano partecipato anche uomini discesi da navi di Sicione; gli Argivi allora avevano imposto alle due città un risarcimento di mille talenti, cinquecento per ciascuna». Sulla questione dell’ammenda, cfr. M. PIÉRART, “   ” (Hèrodote, VI 92). Aspects des relations extérieures d’Argos au Ve siècle, in Les relations internationales, Strasbourg 1995, pp. 297-308. 20 Cfr., anche per la bibliografia in merito, C. ANGELUCCI, L’oracolo relativo alla battaglia di Sepia, in Syngraphé. Materiali e appunti per lo studio della storia e della letteratura antica, 4, Como 2002, pp. 25-32; M. PIÉRART, The Common Oracle of the Milesians and the Argives (Hdt. 6. 19 and 77), in Herodotus and his World. Essays Forrest, Oxford 2003, pp. 275-296;

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ficato dall’eroica resistenza delle donne argive guidate dalla poetessa Telesilla. Tuttavia, è probabile che Cleomene abbia risparmiato Argo deliberatamente, dopo aver ottenuto ciò che desiderava, cioè la distruzione dell’esercito argivo21. Le conseguenze della battaglia di Sepia furono, infatti, pesantissime per Argo, che perse quasi tutta la popolazione in grado di portare le armi, ben seimila uomini secondo Erodoto (VII 148)22, che con queste gravi perdite giustifica la mancata partecipazione degli Argivi al fronte antipersiano nel 481. La perdita del grosso della popolazione maschile in età militare determinò, sempre secondo Erodoto (VI 83), la presa del potere da parte dei douloi: Argo rimase priva di uomini a tal punto che gli schiavi divennero padroni di tutto, rivestendo le cariche pubbliche e governando la città (          ), finché non furono cresciuti i figli degli Argivi morti in battaglia. Questi ultimi, ripreso il controllo di Argo, li cacciarono via; gli schiavi espulsi si impadronirono con le armi di Tirinto. Per un certo periodo vi furono tra loro buoni rapporti, ma in seguito giunse presso gli schiavi un indovino, Cleandro, originario di Figalia nell’Arcadia: costui li persuase ad attaccare i loro padroni. Da ciò nacque una guerra che durò per molto tempo, finché a fatica gli Argivi riuscirono ad avere la meglio.

Non è il caso qui di soffermarsi dettagliatamente su questo rivolgimento sociale e sulle sue conseguenze: ciò richiederebbe un’accurata discussione sullo status di coloro che Erodoto chiama douloi, ma che Aristotele (Polit. V 1303a-b) chiama invece perioikoi. Alcuni dei moderni ritengono che le fonti adottino una termino-

L. SCOTT, Historical Commentary on Herodotus Book 6, Leiden-Boston 2005, pp. 495 ss.; M. VALDÉS GUÍA, La batalla de Sepea y las Hybristika: culto, mito y ciudadanía en la sociedad argiva, «Gerion», 23 (2005), pp. 101-114. Sulla battaglia di Sepia come mito identitario argivo, unitamente alla ‘battaglia dei campioni’, cfr. PIÉRART, Qu’est-ce-qu’être Argien?, pp. 170 ss. 21 Così TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 95-96. Cfr. SCOTT, Historical Commentary on Herodotus Book 6, pp. 294 ss., 571 ss. 22 Cfr. Paus. III 4, 1 (che ricorda 5000 sopravvissuti allo scontro militare, e periti nell’incendio del bosco); Plut. Mor. 245d (che attesta una tradizione che parlava di 7777 caduti: cfr. J. BOULOGNE, in Plutarque, Conduites méritoires de femmes, Paris 2002, p. 286, nota 66); Polyaen. VIII 33 (7777 caduti). Cfr. G. NENCI, in Erodoto, Le Storie, VI, Milano 1998, p. 245 e nota 83.

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logia diversa per definire, in ogni caso, degli iloti; io, per parte mia, sono convinta invece che in questa occasione si sia adottato un provvedimento di naturalizzazione dei perieci, cioè degli abitanti delle città della pianura argolica che si trovavano sotto il controllo di Argo. Da tale provvedimento prese le mosse il processo di democratizzazione che troverà compimento negli anni ’70: non deve perciò stupire che una certa tradizione, facente capo alla fazione oligarchica argiva, lo presenti in chiave delegittimante, parlando non di un provvedimento di assimilazione di perieci liberi, ma di presa del potere rivoluzionaria da parte di schiavi23. La svolta interna in senso democratico potrebbe essere confermata da un avvenimento collocabile prima del 48724, ma, purtroppo, non interpretabile in senso univoco. A quest’epoca, mille Argivi vennero in aiuto degli Egineti, in guerra contro gli Ateniesi che volevano instaurare una democrazia nell’isola; si trattava però di volontari, dato che Argo, ufficialmente, aveva rifiutato a causa dell’aiuto fornito da Egina a Cleomene all’epoca di Sepia (Her. VI 92)25. Si è tentato di spiegare l’episodio con la duplicità dell’atteggiamento di Argo, che avrebbe rifiutato ufficialmente l’aiuto, ma collaborato di fatto, dato che le navi di Egina erano state fornite a Cleomene 26; ma esso potrebbe anche evidenziare una frattura interna, per cui i mille volontari sarebbero aristocratici dissidenti dal governo democratico instauratosi in seguito ai mutamenti sociali successivi a Sepia27. Tuttavia, la situazione resta difficile da comprendere, perché un contingente così numeroso 23 Cfr. C. BEARZOT, I douloi/perioikoi di Argo: per una riconsiderazione della tradizione letteraria, «Incidenza dell’antico», 3 (2005), pp. 61-82; ora, cfr. SCOTT, Historical Commentary on Herodotus Book 6, pp. 306 ss., 579 ss. 24 Al 490 pensa W.G. FORREST, Themistokles and Argos, CQ, 10 (1960), pp. 221-241, 225, sulla scorta di N.G.L. HAMMOND, Studies in Greek Chronology of the Sixth and Fifth Centuries B.C., «Historia», 4 (1955), pp. 371-411, 406 ss. 25 «Gli Egineti (...) non solo non ammettevano di essere in torto, ma si mostravano ancora più arroganti. Pertanto, quando chiesero aiuto, neppure un Argivo accorse a nome della città; come volontari però ne giunsero circa mille, al comando di Euribate, un uomo che aveva praticato il pentatlo. La maggior parte di costoro non fece più ritorno e perì a Egina a opera degli Ateniesi; il loro comandante Euribate, ingaggiando dei duelli, uccise in tal modo tre nemici, ma morì per mano del quarto, Sofane di Decelea». 26 Cfr. sulla questione M. ZAMBELLI, Per la storia di Argo nella prima metà del V secolo a. C., RFIC, 102 (1974), I pp. 148-158; II pp. 442-453, 446-447. 27 Cfr. FORREST, Themistokles and Argos, p. 225.

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di ‘dissidenti’ non sembra accordarsi con la situazione politica, demografica e militare successiva alla grave sconfitta del 49428. L’episodio sembra quindi destinato a rimanere oscuro, ed è meglio rinunciare a trarne conseguenze sull’assetto costituzionale di Argo a quest’epoca29. Tuttavia, l’intervento ad Egina potrebbe trovare la sua origine nella volontà di tutte le componenti della comunità argiva di contrapporsi a Sparta (con la quale gli Egineti erano in rotta)30 oppure a Corinto (che aiutò Atene contro Egina, con venti navi)31. 1.2. Dal 478 al 462/1 Com’è noto, Argo non partecipò alle guerre persiane, mentre lo fecero città indipendenti dell’Argolide, come Micene e Tirinto32: la cosa non mancò di suscitare polemiche, riportate accuratamente da Erodoto (VII 148-152), che, accanto alle giustificazioni addotte dagli Argivi (l’obbedienza a un oracolo delfico che sconsigliava la guerra; la debolezza demografica dopo Sepia e il conseguente timore di diventare hypekooi degli Spartani; la richiesta, non esaudita a causa della pleonexia degli Spartani, di detenere il comando almeno di metà delle forze greche, anche se essi ritenevano che «secondo giustizia»,    , il comando supremo toccasse loro, in nome, evidentemente, dell’antica egemonia)33, ricorda la versione dei fatti diffusa in Grecia, secondo cui vi erano state trattative segrete tra gli Argivi e Serse, che richiedeva la loro neutralità in nome della presunta discendenza dei Persiani da Perse, figlio di Perseo, a sua volta figlio dell’argiva Cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 99-100. Cfr., per un maggiore approfondimento, BEARZOT, I douloi/perioikoi di Argo, pp. 68 s.; inoltre SCOTT, Historical Commentary on Herodotus Book 6, pp. 328 ss. 30 Cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, p. 100. 31 Her. VI 89; cfr. LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, p. 73. 32 Alle Termopili furono presenti 80 opliti di Micene (Her. VII 202; Paus. II 16, 5; cfr. Diod. XI 65, 2); a Platea 400 opliti di Micene e Tirinto (Her. IX 28). Tirinto e Micene sono elencate fra i Greci che avevano partecipato alla guerra in ML 27 e in Paus. V 23, 1-2. 33 Il riferimento all’egemonia è esplicitato in Diod. XI 3, 5: «se poi essi ambivano a ottenere l’egemonia dei Greci (       ), occorreva che aspirassero a tanto onore dopo aver compiuto imprese degne di esso». 28 29

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Danae; addirittura, secondo alcuni sarebbero stati gli Argivi a chiamare i Persiani in Grecia, in seguito alla disastrosa sconfitta subita da parte degli Spartani34. La mancata partecipazione alla resistenza antipersiana, benché giustificata dai problemi conseguenti a Sepia che sia gli Argivi sia il resto dei Greci mettono in primo piano tra le motivazioni dell’astensione, ebbe l’effetto di isolare Argo sia da Sparta che da Atene35: nel clima di accordo tra le due potenze, sviluppatosi in età cimoniana, Argo si trovò quindi in difficoltà su entrambi i fronti, come ben testimoniano le tradizioni antiargive raccolte da Erodoto, che tradiscono spesso origini ateniesi e spartane36. Argo tuttavia seppe risollevarsi da queste difficoltà e riprendere l’iniziativa: contestualmente alla riunificazione della pianura argolica, alla riorganizzazione del territorio e allo sviluppo del processo di democratizzazione di cui si è già parlato, essa entrò, intorno al 470, in una vasta alleanza antispartana comprendente, oltre all’amica Cleone, l’Arcadia (con Tegea e Mantinea) e l’Elide e collegata con il processo sinecistico e l’evoluzione democratica verificatisi nello stesso periodo a Mantinea e in Elide (il caso di Tegea è di più difficile datazione)37. Essa fu promossa, con ogni probabilità, da Temistocle, che si trovava in esilio ad Argo dopo l’ostracismo e che, secondo Tucidide (II 135, 3), mentre viveva ad Argo «frequentava anche il resto del Peloponneso»38. Di nuovo, dopo l’epoca di Pisistrato, Argo trovava nel rapporto con Atene un sostegno alle proprie ambizioni di autonomia da Sparta.

Cfr. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi, pp. 281 ss. 35 Cfr. TH. KELLY, Argive Foreign Policy in the Fifth Century B.C., CPh, 69 (1974), pp. 8199, 82 ss. 36 Cfr. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi, p. 293. 37 Cfr. A. ANDREWES, Sparta and Arcadia in the Early Fifth Century, «Phoenix», 6 (1952), pp. 1-5, 2-3 (che esclude Tegea dal blocco antispartano del 470); FORREST, Themistokles and Argos, pp. 226, 229 ss. (che invece la comprende). Per i problemi relativi alla datazione dei sinecismi, cfr. M. MOGGI, I sinecismi interstatali greci, I Pisa 1976, pp. 131 ss. (Tegea); 140 ss. (Mantinea); 157 ss. (Elide). 38 Cfr. Thuc. I 137, 3. Cfr. FORREST, Themistokles and Argos, pp. 221-241. Più scettici in proposito M. WÖRRLE, Untersuchungen zur Verfassungsgeschichte von Argos, Diss. Friedrich-Alexander-Universität, Erlangen-Nürnberg 1964, pp. 120 ss.; J.L. O’NEIL, The Exile of Themistokles and Democracy in the Peloponnese, CQ, n.s. 31 (1981), pp. 335346; S. HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides, I Oxford 1991, p. 220. 34

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L’alleanza trovò espressione nella battaglia di Tegea, che però vide gli Spartani vincitori contro Tegeati e Argivi (Her. IX 35); in seguito, Argo pose sotto il suo controllo Micene – che alcuni hanno visto come «an instrument for Corinthian pretensions and aggressions in the northern Argolid»39 – e Tirinto, estendendo il suo controllo della pianura argolica40. Quando, tuttavia, Sparta combatté e vinse a Dipea contro tutti gli Arcadi, tranne i Mantineesi (ancora Her. IX 35), Argo (e Mantinea) erano già uscite dalla coalizione antispartana formatasi intorno al 47041. Ci si è domandati il motivo dell’assenza degli Argivi dal fronte antispartano e si è pensato a un collegamento con le vicende della ribellione e della presa di Tirinto, rispettivamente nel 468 e nel 465/4 secondo la cronologia di Forrest: Erodoto (VI 83) afferma infatti che, dopo l’espulsione dei douloi e il loro insediamento a Tirinto, per un certo periodo vi furono tra loro buoni rapporti, ma in seguito giunse presso gli schiavi un indovino, Cleandro, originario di Figalia nell’Arcadia: costui li persuase ad attaccare i loro padroni. Da ciò nacque una guerra che durò per molto tempo, finché a fatica gli Argivi riuscirono ad avere la meglio.

39 L’ipotesi è di LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, p. 74, ed è basata sul fatto che, secondo Diod. XI 65, 2, il conflitto fra Micene e Argo era dovuto, fra l’altro, alla rivendicazione da parte di Micene della prostasia dei Giochi Nemei (cfr. infra, nota 56). 40 Diodoro (XI 65) colloca la presa di Micene sotto il 469/8, ma la considera una conseguenza del grande terremoto del 464; FORREST, Themistokles and Argos, p. 231, ne deduce che il 469 è probabilmente l’anno della ribellione di Micene, poi caduta nel 465/4. Tirinto si ribellò invece, probabilmente, nel 466, dopo che vi si erano trasferiti i douloi espulsi da Argo nel 468 (Her. VI 83), per cadere anch’essa sotto il controllo argivo nel 465/4. 41 La cronologia di questi anni è molto incerta. La sequenza di questi avvenimenti è ricostruibile da Her. IX 35, che ricorda che l’eleo Tisameno contribuì a cinque vittorie spartane: Platea, Tegea «contro Tegeati e Argivi», Dipea «contro tutti gli Arcadi, tranne i Mantinei», la battaglia contro i Messeni presso l’Istmo (durante la terza guerra messenica: i manoscritti hanno   oppure   , che alcuni emendano in   cfr. Paus. III 11, 8   ) e Tanagra. Tegea e Dipea vengono così a essere collocate tra i due estremi del 479 e del 457. FORREST, Themistokles and Argos, p. 232, propone le seguenti date: 469: battaglia di Tegea; 468: rivolta di Tirinto contro Argo, con l’aiuto degli Arcadi; 465/4: battaglia di Dipea, presa di Micene e presa di Tirinto.

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La presenza dell’arcade Cleandro, certamente democratico, a Tirinto testimonia di un cambiamento nei rapporti fra Argo e gli Arcadi e fornisce forse una spiegazione per l’assenza degli Argivi sul campo di Dipea42. La coalizione antispartana si rivelò così assai più fragile del previsto. Colpisce, in particolare, il rapido smarrimento, da parte di Argo, della capacità di iniziativa manifestata intorno al 470, messo in evidenza non solo dal ritiro dalla coalizione all’epoca di Dipea, che può essere spiegata dalla crisi dei rapporti con gli Arcadi, ma anche dal fatto che Argo non approfittò in alcun modo del terremoto del 464: un fatto inatteso, che ha indotto Tomlinson a ipotizzare che Argo, dopo Tegea, sia stata costretta a sottoscrivere un trattato di non interferenza43. Forrest, invece, ha preferito collegare il disimpegno argivo con un mutamento costituzionale: così come le iniziative antispartane di Argo in questi anni oscuri appaiono legate all’avvento della democrazia, inversamente la debolezza di cui Argo sembra far mostra dopo la sconfitta di Tegea sarebbe legata a un periodo di revanche aristocratica, collocabile tra 469/8 e 464, presumibilmente nel 46844. La riaffermazione in Argo della fazione antidemocratica, che avrebbe preso le mosse dalla fuga di Temistocle dal Peloponneso, potrebbe trovare conferma in testi come la Nemea X di Pindaro, databile intorno al 464 e attestante buone relazioni tra Argo e Sparta45, e in documenti archeologici come il ‘monumento degli Epigoni’ dedicato dagli Argivi a Delfi, che intendeva probabilmente celebrare i morti argivi di Sepia e la cacciata, a opera dei loro figli, dei douloi da Argo (piuttosto che, come riferisce Paus. X 10, 4, la vittoria su Sparta a Enoe)46. Così FORREST, Themistokles and Argos, pp. 229 ss. Un rovesciamento di fronti sembra doversi dedurre anche dal fatto che i Cleonei, che con i Tegeati avevano aiutato Argo nell’attacco a Micene (Strab. VIII 6, 19), accolsero i rifugiati dopo la caduta di Micene stessa (Paus. VII 25, 5-6): cfr. ancora FORREST, Themistokles and Argos, pp. 230-231. 43 Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, p. 83; TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 108-109. 44 Cfr. FORREST, Themistokles and Argos, pp. 226 ss. 45 Cfr. FORREST, Themistokles and Argos, p. 228; KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 83-84. 46 Cfr. L.H. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 19902, pp. 162 ss.; FORREST, Themistokles and Argos, p. 227; cfr. ora A. PARIENTE, Le monument argien des “Sept contre Thèbes”, in Polydipsion Argos. Argos de la fin des palais mycéniens à la constitution de l’État classiqu, (BCH Suppl., 22), Paris 1992, pp. 195-225. 42

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Diversi fattori, interni ed esterni, contribuirono così a indebolire l’azione di Argo negli anni precedenti alla svolta del 462/1. Il blocco del processo di democratizzazione del Peloponneso avviato da Temistocle mise in crisi l’alleanza democratica antispartana e, sul versante interno, determinò una riaffermazione della fazione oligarchica e il conseguente riallineamento di Argo con Sparta; riallineamento incoraggiato anche dal clima di accordo tra Atene e Sparta tipico dell’età cimoniana, che isolò Argo costringendola ad abbandonare velleità egemoniche47. I fattori condizionanti messi in evidenza in apertura (instabilità politica interna e delicatezza degli equilibri internazionali) appaiono dunque già pienamente attivi in questa oscura e tormentata fase della storia argiva.

2. Dall’alleanza con Atene (462/1) allo scadere della tregua trentennale con Sparta (451-421) In questo contesto, l’alleanza conclusa nel 462/1 con Atene e i Tessali48, sull’onda delle conseguenze della crisi internazionale innescata dal terremoto del 464, determinò una svolta: con essa Argo ritrovò la possibilità, se non di tornare a coltivare le proprie ambizioni egemoniche, almeno di inserirsi nella grande politica come ‘terza forza’. Come è stato notato49, attraverso l’alleanza con Argo Atene riprendeva il progetto temistocleo di democratizzazione del Peloponneso, affidando agli Argivi la guida di una nuova alleanza antispartana: lo esprime bene Tucidide (I 102, 4) affermando che gli Ateniesi, denunciata l’alleanza del 481 con gli Spartani,      

Su questo periodo, cfr. M. SORDI, Atene e Sparta dalle guerre persiane al 462/1, in Scritti di storia greca, Milano 2002, pp. 341-360 (= «Aevum», 50, 1976, pp. 25-41). Thuc. I 102, 4; Diod. XI 80, 1; Paus. IV 24; l’alleanza è celebrata nelle Supplici del 462/1 e se ne auspica la durata per sempre nelle Eumenidi del 458 (cfr. E. LUPPINO, L’intervento ateniese in Egitto nelle tragedie eschilee, «Aegyptus», 47 (1967), pp. 197-212; L. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis: Atene, Argo e i Tessali – Atene e Megara – Sparta e Megara, ASNP, 3, 1973, pp. 717-730; ora, con ampia e aggiornata bibliografia, cfr. in questo stesso volume M.P. PATTONI, Presenze politiche di Argo nella tragedia attica del V secolo, pp. 147-208. 49 Cfr. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis, p. 722. 47

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(gli Argivi, cioè, sono scelti come interlocutori in quanto nemici per eccellenza degli Spartani)50. L’accordo nasceva quindi all’insegna di aspettative elevate: ma i suoi risultati si rivelarono, non diversamente da quanto era accaduto nel 470, più modesti del previsto, per Argo e per la stessa Atene. Nel corso del decennio 461-451, infatti, gli Argivi combatterono a fianco degli Ateniesi a Tanagra (Thuc. I 107, 5; i caduti ricevettero sepoltura ad Atene, come mostrano i frammenti dell’iscrizione relativa)51; in seguito, con l’aiuto di Atene respinsero un attacco spartano a Enoe (sulla strada che da Argo portava a Mantinea), una battaglia su cui la nostra tradizione è molto incerta52. Tuttavia, l’alleanza Atene/Argo, che pure accresceva la potenza anche continentale di Atene53, non espose Sparta ad attacchi nel suo territorio, forse per la sua natura sostanzialmente difensiva. Piuttosto, sia Atene sia Argo appaiono, in questo periodo, più interessate a Corinto – che a sua volta dovette guardare con grande preoccupazione all’alleanza del 462/154 – che non a Sparta: D.M. Lewis ha sottolineato il ruolo di Corinto nello scoppio della cosiddetta ‘prima guerra del Peloponneso’, originata dai conflitti di Argo, Atene e Megara con la città istmica piuttosto che con Sparta55. Per quanto concerne i rapporti Argo/Corinto, sappiamo che, forse poco prima del 462, Corinto attaccò, oltre a Megara, anche Cleone (Plut. Cim. 17, 2), città amica di Argo, che si trovava sulla via che conduceva al golfo di Corinto e al golfo Saronico (Strab. VIII 6, 19); è possibile che Cleone sia stata per qualche Ibi, pp. 722-723. ML 35 (IG I3, 1149); cfr. Diod. XI 80; Paus. I 29, 9. Cfr. W. PEEK, Zum Epigramm auf die bei Tanagra gefallenen Argiver, ZPE, 30 (1978), pp. 18-19. 52 Cfr. Paus. I 15, 1 e X 10, 4: cfr. J.B. SALMON, Wealthy Corinth. A History of the City to 338 B.C., Oxford 1984, p. 265, nota 39; M. PIÉRART, Note sur l’alliance entre Athènes et Argos au cours de la première guerre du Péloponnèse, MH 44 (1987), pp. 175-180, con ampia bibliografia. 53 Cfr. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis, p. 730; M. SORDI, Scontro di blocchi e azione di terze forze nello scoppio della guerra del Peloponneso, in Scritti di storia greca, Milano 2002, pp. 489-503 (= in Hegemonic Rivalry: From Thucydides to the Nuclear Age, San FranciscoOxford 1991, pp. 87-98), 491 ss. 54 Cfr. SALMON, Wealthy Corinth, pp. 259-260. 55 Cfr. LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, pp. 71-78; cfr. anche V. ALONSO TRONCOSO, Neutralidad y neutralismo en la Guerra del Peloponeso (431-404 a.C.), Madrid 1987, pp. 139 ss. 50

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tempo sotto controllo corinzio56, anche se, già all’epoca di Tanagra, Pausania (I 29, 7) ricorda i Cleonei accanto agli Argivi, nel campo ateniese. Per quanto riguarda invece i rapporti Atene/Corinto, essi ebbero proprio a quest’epoca una svolta negativa, dopo la relativa tranquillità del periodo 478-46157: Tucidide (I 103, 4) afferma infatti che fu dall’alleanza del 461/60 fra Atene e Megara, città strategicamente molto importante per le relazioni attico-peloponnesiache, che nacque l’odio profondo (  ) dei Corinzi nei confronti degli Ateniesi58. In seguito, lo storico riferisce di ripetuti scontri fra Ateniesi e Corinzi al tempo della spedizione egiziana (I 103; 105-106). Non risulta, tuttavia, che gli Argivi abbiano partecipato a questi scontri, così come non parteciparono, qualche anno dopo, all’attacco vittorioso portato da Atene contro Calcide, città dei Corinzi, dopo Enofita (I 108), e alla repressione della ribellione di Megara, sostenuta da Corinzi, Epidauri e Sicioni, all’epoca della rivolta dell’Eubea (I 114). Gli scarsi risultati derivanti dalla collaborazione tra Atene ed Argo nel decennio 461-451 rivelano la difficoltà di rendere efficace e produttivo il progetto di alleanza continentale antispartana messo in atto, sulla scorta dell’esperienza del 470, nel 462/1. Nel 451, queste stesse difficoltà condussero Atene a concludere una tregua quinquennale con Sparta (Thuc. I 112, 1); con la città laconica, Argo concluse a sua volta, nello stesso anno, una tregua trentennale (Thuc. V 14, 4)59, che le riconosceva il controllo dell’Argolide e, probabilmente, il possesso di Isie (che controllava 56 Il passo plutarcheo, in cui Cimone, di ritorno ad Atene attraverso la Corinzia dopo che il suo aiuto era stato respinto dagli Spartani e accusato dal corinzio Lacarto di essere entrato in Corinzia senza permesso, ribatte che i Corinzi non avevano bussato alle porte di Cleone e di Megara, ma vi erano entrati in armi, sembra alludere a un iniziale successo dell’attacco. A quest’ epoca potrebbe essere collocato il breve periodo di controllo corinzio dei Giochi Nemei, attestato da Schol. Pind. Nem., Hypoth. C, D; esso spettava nel V secolo agli Argivi, che avevano sostituito i Cleonei. Inoltre, Cleone era forse sotto controllo corinzio quando accolse i profughi di Micene (Paus. VII 25, 6). Cfr. SALMON, Wealthy Corinth, p. 260, nota 12; LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, pp. 74-75. 57 Cfr. SALMON, Wealthy Corinth, pp. 257 ss. Si ricordi che i Corinzi, nel 440, aveva votato contro l’ipotesi di sostenere la rivolta di Samo, laddove gli altri Peloponnesiaci erano divisi (Thuc. I 40, 5). 58 Cfr. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis, pp. 725 ss. 59 P.A. BRUNT, Spartan Policy and Strategy in the Archidamian War, «Phoenix», 19 (1965),

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la strada per Tegea e, quindi, per la Laconia), mentre la Cinuria e la Tireatide restavano a Sparta60. Da questo accordo Argo usciva certamente ridimensionata nelle sue ambizioni di potenza alternativa a Sparta. Quando Atene, nel 446/5, concluse a sua volta una tregua trentennale con Sparta (Thuc. I 115, 1), Argo, secondo Paus. V 23, 4 (che cita dalla stele di bronzo recante inciso il trattato, da lui vista a Olimpia), non vi partecipò, ma vide riconosciuto il proprio diritto a mantenere rapporti di amicizia con Atene («alla pace stipulata fra Ateniesi e Spartani non partecipi la città degli Argivi: ma Ateniesi e Argivi, se lo desiderano, possano stringere a parte rapporti di amicizia»): una clausola che sembra denunciare il timore di Argo di restare isolata61. Anche negli anni successivi al 462, come nel 470, la politica estera argiva mostra dunque incertezze ed esitazioni, rivelatrici di una certa mancanza di iniziativa e di una incapacità di portare fino in fondo le proprie scelte di campo, dovute a pressioni interne ed esterne: se negli anni ’60 lo sganciamento dal fronte antispartano era stato favorito dal venir meno dell’appoggio di Temistocle e forse da un rivolgimento interno, anche in questo caso il riavvicinamento a Sparta e la conseguente conclusione della tregua potrebbero trovare un fondamento nei modesti risultati della collaborazione con Atene e in una nuova riaffermazione della fazione oligarchica62. In ogni caso, l’alleanza con Atene del 462/1 può essere considerata quasi fallimentare63 dal punto di vista degli effetti sugli equilibri interni del Peloponneso, che erano al centro degli interessi di Argo. Tra 451 e 421, Argo restò neutrale e l’archeologia attesta un periodo di intensa attività urbanistica e architettonica, che presuppone sicurezza64; all’inizio della guerra, nel 431, Argo è ricordata da Tucidide (II 9, 2; cfr. Diod. XII 42, 4; Pherecr. F 19 Edmonds; p. 277, nota 77, la data al 450. Sulla questione cronologica, che resta incerta, cfr. H. LEPPIN, Argos: Eine Mittelmacht im griechischen Mächtesystem, in . Festschrift Schäfer, Würzburg 2001, pp. 159-163, 160. 60 Sulla ricostruzione delle clausole, cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 114-115. 61 KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 86-87, ritiene piuttosto che la clausola sia stata inserita su richiesta degli Ateniesi, per mantenere aperta la possibilità di rendere operanti le relazioni con Argo; certo nessuna delle due parti ne approfittò. 62 Cfr. WÖRRLE, Untersuchungen, p. 127 e nota 92 ss.; KELLY, Argive Foreign Policy, p. 86. 63 Cfr. ibi, pp. 84 ss. 64 Cfr. ibi, pp. 87 ss.; PIÉRART - TOUCHAIS, Argos, pp. 44 ss. Per una sintesi dei dati

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Aristoph. Pax 475)65 come la sola forza del Peloponneso, con gli Achei, non schierata dalla parte di Sparta, in quanto legata da philia a entrambe le parti. È stato però osservato che la strategia periclea, che intendeva evitare scontri per terra con Sparta, rendeva Argo poco interessante per Atene66. Così, nel corso della guerra si possono trovare tracce di scarsa lealtà da parte argiva verso gli Ateniesi, che, anche se dovute a iniziative di esponenti della fazione filospartana67, ben spiegano il fatto che Erodoto sottolinea insistentemente l’ambiguità di Argo, che doveva apparire sostanzialmente inaffidabile, a quest’epoca, agli Ateniesi68. Nell’estate del 430, l’argivo Pollide si trovava in Persia con ambasciatori spartani, corinzi e tegeati, se pure a titolo personale (: Thuc. II 67, 1)69; nel 425, in occasione di un attacco a Corinto pianificato dagli Ateniesi, i Corinzi ricevettero un avvertimento dagli Argivi (Thuc. IV 42, 3); e nei Cavalieri di Aristofane (424) si fa riferimento a un recente tentativo di Cleone di procurare ad Atene l’amicizia degli Argivi (vv. 465-466). La neutralità di Argo tra 451 e 421 mostra quindi, in alcuni casi, segni di orientamento favorevole al blocco peloponnesiaco, forse anche a motivo di dissensi interni che sembrano denunciati dal carattere ‘privato’ della presenza di Pollide in Persia. Ciò sembra giustificare la posizione di chi ha ritenuto di dover fortemente ridimensionare il carattere coerentemente ‘antispartano’ e ‘filoateniese’ della politica di Argo70. archeologici, cfr. K. BARAKARI-GLÉNI, Argos du VIIe au IIe siècle av. J.-C.: synthèse des données archéologiques, in Argos et l’Argolide, Topographie et urbanisme (Actes de la Table Ronde Athènes-Argos 28/4 - 1/5/1990), Athènes 1998, pp. 165-176. 65 Il frammento di Ferecrate, tratto dagli Automoloi (databili al 429), accusa gli Argivi di ; nei versi della Pace (421), Aristofane sottolinea la capacità degli Argivi di tenersi in equilibrio fra le due parti. 66 Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, p. 88; ALONSO TRONCOSO, Neutralidad y neutralismo, pp. 165-166. 67 Cfr. D. KAGAN, Argive Politics and Policy after the Peace of Nicias, CPh, 57 (1962), pp. 209-218, 212; ALONSO TRONCOSO, Neutralidad y neutralismo, pp. 155 ss. 68 Cfr. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi, pp. 292 ss. 69 Racconta Tucidide che gli ambasciatori furono intercettati in Tracia, alla corte di Sitalce, dove si trovavano gli ambasciatori ateniesi Learco e Aminiade, e consegnati loro da Sadoco, figlio di Sitalce, che era cittadino ateniese. Gli ambasciatori spartani furono portati ad Atene e uccisi: nulla viene detto, invece, del tegeate Timagora e dell’argivo Pollide (forse risparmiati per motivi di opportunità diplomatica). 70 KELLY, Argive Foreign Policy, p. 81: «The key to a proper appreciation and under-

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3. Dal 421 al 404 Con il 421, anno della conclusione della pace di Nicia e della grande delusione per alcuni degli alleati di Sparta, che, ritenendosene danneggiati, rifiutarono di ratificarla (Beoti, Corinzi, Elei, Megaresi: Thuc. V 17, 2), tornò pienamente attuale il progetto della grande alleanza democratica peloponnesiaca del 470, sotto la guida di Argo. Già prima della conclusione della pace (marzo 421), mentre cresceva in Atene e in Sparta il movimento in favore della medesima, Argo, avvicinandosi la scadenza della tregua trentennale (probabilmente nel corso dell’estate)71, aveva mostrato scarso interesse a rinnovarla, chiedendo provocatoriamente la restituzione della Cinuria: Anche la tregua trentennale con Argo stava per scadere, e gli Argivi non erano disposti a farne un’altra se non si rendeva loro la terra Cinuria, sicché pareva impossibile resistere al tempo stesso a una guerra contro Argivi e Ateniesi. Infine sospettavano che alcune delle città del Peloponneso defezionassero a favore degli Argivi, cosa che poi avvenne (Thuc. V 14, 4)72.

La richiesta di restituzione della Cinuria era in realtà una provocazione, perché gli Spartani vi avevano insediato nel 431 gli Egineti espulsi dalla loro isola (Thuc. II 27, 2; IV 56, 2): Argo manifesta con ciò la volontà di abbandonare la politica di sostanziale neutralità che aveva caratterizzato l’ultimo trentennio73, per approfittare della situazione di debolezza in cui Sparta si trovava dopo dieci anni di guerra e che ben si riflette in Thuc. V 14 (la guerra, afferma lo storico, era andata contro le aspettative degli standing of Argive foreign policy in the fifth century, and especially after 462, lies in the realization that for much of this period Athens and Argos had little in common, and that the Athenians were, consequently, often less than enthusiastic about maintaining friendly relations with Argos»; cfr. inoltre, dello stesso KELLY, The Traditional Enmity between Sparta and Argos: The Birth and Development of a Myth, AHR, 25 (1979), pp. 971-1003. 71 Cfr. M. SILVESTRINI, Il conflitto fra Sparta e Argo nel 421-417, AFLB, 17 (1974), pp. 329335, 331. 72 La traduzione è di F. FERRARI, in Tucidide, La guerra del Peloponneso, I-III, Milano 1985. 73 Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 89-90: si trattava di una scelta non necessariamente filoateniese.

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Spartani, che avevano creduto di poter rapidamente distruggere la potenza di Atene; la disfatta di Sfacteria aveva costituito un durissimo colpo; la Laconia subiva attacchi pirateschi da Pilo e da Citera; gli iloti defezionavano e quelli rimasti minacciavano rivoluzioni). Di fronte a questa situazione, più che a rinnovare le relazioni con Atene Argo sembra interessata a stabilire relazioni amichevoli con Corinto e gli altri alleati scontenti di Sparta74. La presa di posizione argiva fu tra i motivi che incoraggiarono gli Spartani a concludere la pace di Nicia e ad avvicinarsi poi ulteriormente ad Atene, trasformando la pace in alleanza. Il passo tucidideo che mette in luce le motivazioni degli Spartani è in realtà molto tormentato. Riporto la traduzione di Ferrari: secondo Tucidide, gli Spartani da soli si misero a stringere un’alleanza con gli Ateniesi, pensando che gli Argivi (i quali non avevano voluto in passato rinnovare la tregua quando erano andati da loro Ampelide e Lica) in tal caso non li avrebbero attaccati (e del resto senza gli Ateniesi non sarebbero stati temibili), e che il resto del Peloponneso sarebbe rimasto tranquillo: se era possibile, infatti, si sarebbero rivolti agli Ateniesi (Thuc. V 22, 2:                                             )75.

Questa traduzione, che mette in primo piano il timore, da parte spartana, di un’alleanza tra Argo e Atene e sottolinea la convinzione degli Spartani che, una volta che essi avessero concluso l’alleanza con gli Ateniesi, i loro nemici si sarebbero trovati privi di appoggio, deriva da un’ampia emendazione del testo tucidideo, dovuta da una parte al fatto che esso sembra presentare problemi grammaticali (la ripetizione di due participi,  e  riferiti al medesimo soggetto), dall’altra al fatto che la traduzione derivante dal testo emendato risulterebbe più logi-

74

Cfr. ibi, p. 92.

È questo il testo dell’edizione Belles Lettres (J. DE ROMILLY, in Thucydide, La guerre du Péloponnèse, Livres IV et V, Paris 1967), su cui si basa la traduzione di F. Ferrari.

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ca, sul piano storico, di quella derivante dal testo tràdito. Tuttavia, recentemente Peek76 ha proposto con buoni argomenti di tradurre diversamente il passo, mantenendo il testo tràdito, che è il seguente:                                            

Indubbiamente, riferire i due participi  e  agli Spartani risulta problematico; la difficoltà di ammettere un soggetto diverso ha reso necessaria l’emendazione, con interventi diversi e complessi77. Ma ammettendo che  si riferisca agli Spartani e  agli Argivi, il testo può essere tradotto agevolmente nel modo seguente: [Gli Spartani] da soli si misero a stringere un’alleanza con gli Ateniesi, pensando che gli Argivi – dato che avevano rifiutato di rinnovare il trattato quando erano giunti Ampelida e Lica, ritenendo che essi [= gli Spartani] non sarebbero stati pericolosi senza gli Ateniesi – e il resto del Peloponneso non sarebbero rimasti in pace con loro; [gli Spartani] pensavano infatti che essi [= Argivi e Peloponnesiaci], se fosse stato possibile, si sarebbero rivolti agli Ateniesi.

In questo caso, la riflessione di Tucidide non sottolinea tanto il timore, da parte degli Spartani, di un accordo fra Argo e Atene, quanto piuttosto la loro convinzione che un accordo fra Sparta e Atene avrebbe gravemente danneggiato gli Argivi, privando un’eventuale alleanza peloponnesiaca antispartana del sostegno esterno degli Ateniesi. Questa prospettiva, lungi dall’essere illogica, appare invece confermata da alcuni passi tucididei (V 40, 2 e, soprattutto, V 44, 1) dai quali risulta che Argo, in effetti, guardava

Cfr. PH. S. PEEK, Spartan and Argive Motivation in Thucydides 5.22.2, AJPh, 118 (1997), pp. 363-370.

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Cfr. PEEK, Spartan and Argive Motivation, p. 363; inoltre A.W. GOMME, A Historical Commentary on Thucydides, III Oxford 1956, pp. 691-692; S. HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides, II Oxford 1996, pp. 497-498.

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con grande preoccupazione a un accordo fra Sparta e Atene, dalla quale gli interessi dei Peloponnesiaci antispartani sarebbero risultati danneggiati. Se l’interpretazione di Peek è, come a me pare, corretta, questo passo, unito agli altri passi tucididei che attestano la preoccupazione argiva di fronte all’ipotesi di un accordo tra Sparta e Atene, allinea gli Argivi con quanti, nel Peloponneso, condividevano, magari su basi diverse, la medesima preoccupazione e spiega il sostegno che essi di fatto diedero, tra 421 e 418, al ‘partito della guerra’, i cui massimi esponenti erano i Corinzi78. Non deve perciò stupire se, conclusa l’alleanza tra Sparta e Atene, ed essendo ormai in vigore la pace fra quanti avevano sottoscritto il trattato, i Corinzi (...) e alcune città del Peloponneso si diedero a turbare la situazione (Thuc. V 25, 1:   ).

Mentre gli ambasciatori delle città peloponnesiache se ne tornavano a casa, i Corinzi entrarono in discorso con alcuni dei magistrati argivi (      ), dicendo che dal momento che i Lacedemoni non per il bene, ma per l’assoggettamento del Peloponneso (    )79 avevano fatto pace e alleanza con gli Ateniesi, i loro grandi nemici di prima, dovevano gli Argivi cercare di salvare il Peloponneso e decretare che se una città greca, che fosse autonoma e a parità di diritti, lo voleva, facesse alleanza con gli Argivi a condizione di difendersi reciprocamente le proprie terre, e designare pochi uomini con poteri illimitati e non parlarne al popolo, perché non fossero svelati quelli che non erano riusciti a persuaderlo. Sostenevano che molti si sarebbero accostati a loro per odio verso i Lacedemoni (Thuc. V 27, 2)80.

Sulla volontà dei Corinzi di riprendere la guerra, cfr., contro R. SEAGER, After the Peace of Nicias: Diplomacy and Policy, 421-416 B.C., CQ, n.s. 26 (1976), pp. 249-269, 254, che pensa piuttosto a desiderio di vendetta contro Sparta, D. KAGAN, The Peace of Nicias and the Sicilian Expedition, Ithaca & London 1981, p. 35. 79 Cfr. Diod. XII 75, 2:      80 La traduzione è leggermente adattata: Ferrari infatti traduce «dicendo che dal momento che i Lacedemoni non per il bene, ma per l’assoggettamento del Peloponneso avevano fatto pace e alleanza con gli Ateniesi, i loro grandi nemici di prima, dovevano gli Argivi cercare di salvare il Peloponneso (  [...]   78

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La prospettiva appare quella di un’alleanza difensiva («a condizione di difendersi reciprocamente le proprie terre») a tutela dell’indipendenza del Peloponneso e dell’intera Grecia, le cui città in condizione di autonomia e a parità di diritti81 sono chiamate ad aderire (l’intonazione panellenica, già presente in Tucidide, appare ancor più chiara in Diodoro XII 75, dove molte città, temendo un accordo     , rispondono all’appello    ). Secondo la Sordi, si fa qui concreta la minaccia di passare a un’«altra alleanza», fatta dai Corinzi nel 432 agli Spartani, accusati di essere egemoni irresponsabili e noncuranti dei propri alleati (Thuc. I 71, 4-5)82. Si noti che l’ipotesi dell’alleanza antispartana viene proposta dai Corinzi con molta prudenza, in una trattativa tra ambasciatori corinzi e magistrati argivi, in cui peraltro si chiede espressamente di nominare un collegio di autokratores e di non discutere in assemblea delle future adesioni: è stato ipotizzato che tale prudenza sia dovuta     ) e decretare (  che se una città greca, che fosse autonoma e a parità di diritti, lo voleva, facesse alleanza con gli Argivi a condizione di difendersi reciprocamente le proprie terre, di designare (  pochi uomini con poteri illimitati e di non parlarne al popolo (       ), perché non fossero svelati quelli che non erano riusciti a persuaderlo. Sostenevano che molti si sarebbero accostati a loro per odio verso i Lacedemoni». Ma in questo modo la frase   [...]         dipende da , non, come invece a me pare corretto, da   come gli infiniti  e . G. DONINI, in Tucidide, Le Storie, II Torino 1982, traduce: «gli Argivi dovevano curarsi che il Peloponneso si salvasse e decretare che qualsiasi città greca che lo volesse ... facesse un’alleanza con gli Argivi, con la condizione che ognuna delle due parti avrebbe difeso il territorio dell’altra; e che dovevano nominare pochi uomini con pieni poteri, e che i negoziati non si dovevano svolgere con l’assemblea, affinché non venissero rivelati quelli che non fossero riusciti a persuadere la maggioranza». Nello stesso senso di Donini traducono CH. F. SMITH, in Thucydides, III, London-Cambridge, Mass. 1921, e ROMILLY, in Thucydide, La guerre du Péloponnèse, Livres IV et V, ad locc. 81 La clausola, che sembrerebbe voler escludere gli alleati di Atene, è forse solo una convenzione peloponnesiaca: cfr. A.W. GOMME - A. ANDREWES - K.J. DOVER, A Historical Commentary on Thucydides, IV Oxford 1970, p. 23. 82 «Si ponga un termine alla vostra lentezza (...) perché noialtri, scoraggiati, non ci rivolgiamo a un’altra alleanza. Non commetteremmo nessuna ingiustizia (...) perché rompe i patti non chi, abbandonato a se stesso, si rivolge ad altri, ma chi non porta aiuto a chi ha giurato con lui». Cfr. SORDI, Scontro di blocchi e azione di terze forze, pp. 499 ss.; anche KAGAN, The Peace of Nicias, p. 35. Su Corinto come terza forza, cfr. anche GEHRKE, Jenseits von Athen und Sparta, pp. 128 ss.; C. FORNIS VAQUERO, Estrategia y recursos corintios en la guerra del Peloponeso, «Polis», 7 (1995), pp. 77-103.

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all’incerta situazione politica interna ad Argo e a Corinto83, ma, senza escludere problemi di questo tipo, a me pare piuttosto che il vero motivo del comportamento dei Corinzi stia nel desiderio di non esporsi troppo sul momento come proponenti dell’iniziativa (di qui il contatto non ufficiale con persone di fiducia, forse appartenenti alla fazione oligarchica) e, per il futuro, di non dare eccessiva pubblicità allo sviluppo delle trattative (la preoccupazione che «non fossero svelati quelli che non erano riusciti a persuadere il plethos», che sottintende probabilmente «agli Spartani»84, mi sembra tradire l’intento, da parte dei Corinzi, di non esporre, in caso di fallimento dell’iniziativa, se stessi e i propri amici all’isolamento diplomatico che ne sarebbe derivato). Sempre in relazione alla posizione di secondo piano scelta per sé dai Corinzi, è interessante che sia Tucidide sia Diodoro ricordino espressamente il desiderio degli Argivi di recuperare la loro antica egemonia sul Peloponneso, fatta balenare dagli stessi Corinzi, i quali avevano detto ai magistrati argivi che «dovevano gli Argivi cercare di salvare il Peloponneso» (Thuc. V 27, 2); una volta riferite le proposte corinzie ai magistrati (archai) e al popolo85, gli Argivi fecero un decreto e scelsero dodici uomini coi quali chiunque dei Greci volesse poteva fare alleanza, tranne gli Ateniesi e i Lacedemoni: a nessuno di costoro era permesso fare un patto senza il consenso del popolo degli Argivi. Accettarono queste proposte gli Argivi, avendo in vista soprattutto la futura guerra tra loro e i Lacedemoni (il loro trattato coi Lacedemoni era infatti alla fine), e insieme sperando di ottenere l’egemonia del Peloponneso. Soprattutto di questi tempi, infatti, Sparta godeva cattiva fama ed era disprezzata per i rovesci subiti, e gli Argivi erano in buone condizioni sotto ogni aspetto, perché non avevano partecipato con gli altri alla guerra con l’Attica, ma erano piuttosto in buoni rapporti con entrambe le parti, ricavandone il loro vantaggio. Gli Argivi, dunque, accoglievano in alleanza quanti Greci erano disposti (Thuc. V 28).

Cfr. D. KAGAN, Corinthian Diplomacy after the Peace of Nicias, AJPh, 81 (1960), pp. 291310, 295-296: le trattative furono condotte in forma privata a motivo della situazione politica interna (gli oligarchi moderati, non più soddisfatti dell’alleanza con Sparta, volevano tenere segrete le trattative agli aristocratici filospartani; i magistrati argivi volevano tacere ai democratici le trattative con stati oligarchici). 84 Così intende SMITH, in Thucydides, III, ad loc.; cfr. KAGAN, The Peace of Nicias, pp. 37-38. 85 Per gli aspetti istituzionali, cfr. LEPPIN, Argos. Eine griechische Demokratie, p. 305. 83

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Diodoro (XII 75, 6-7) aggiunge, alla menzione dei vantaggi assicurati alla Argo contemporanea dal lungo periodo di pace, un ulteriore titolo all’egemonia, cioè il fatto che fino al ritorno degli Eraclidi tutti i re più importanti erano venuti dall’Argolide, contrastando così il diritto degli Spartani all’egemonia del Peloponneso. È evidente che i Corinzi, lungi dal volere per sé il ruolo di egemoni del Peloponneso, preferiscono agire da ‘eminenze grigie’ dietro Argo, forse perché essa aveva tradizioni che la rendevano meglio proponibile come alternativa a Sparta, ma forse anche per non impegnarsi troppo palesemente in un progetto comunque incerto e rischioso. All’inizio, l’iniziativa corinzia fu coronata da successo. Con l’adesione dei Mantineesi, che avevano assoggettato parte dell’Arcadia e temevano che gli Spartani non glielo riconoscessero, sembrò ricomporsi l’alleanza del 470 circa, di segno sostanzialmente democratico: I Mantineesi e i loro alleati per primi si avvicinarono a loro per timore dei Lacedemoni. Giacché da parte dei Mantineesi una parte dell’Arcadia era stata assoggettata ancora al tempo della guerra con gli Ateniesi, ed essi pensavano che i Lacedemoni non avrebbero accondisceso al loro dominio, tanto più che ora non avevano preoccupazioni. Cosicché volentieri si volsero dalla parte degli Argivi, vedendo che la città era grande e sempre ostile ai Lacedemoni, e inoltre retta a democrazia come loro (Thuc. V 29, 2).

Tucidide ricorda espressamente, per la seconda volta, il timore dei popoli del Peloponneso che Sparta, sostenuta da Atene, volesse ridurli in schiavitù (Thuc. V 29, 3:       ; cfr. V 27, 2:     )86. Alcuni studiosi moderni hanno sottolineato il carattere propagandistico dell’insistenza sulla minaccia di schiavitù per il Peloponneso: certo tale minaccia, vera o immaginaria, convinse i Peloponnesiaci a considerare seriamente l’ipotesi dell’alleanza con Argo, permise ai Corinzi di non La preoccupazione era legata alla clausola della pace di Nicia secondo cui «non viene violato il giuramento se, usando trattative legali, entrambe le parti faranno quei mutamenti che a entrambe le parti sembrino opportuni, agli Ateniesi e ai Lacedemoni» (Thuc. V 18, 11); secondo i dissidenti, «sarebbe stato giusto che da tutti gli alleati fosse sottoscritto ogni mutamento» (Thuc. V 29, 3; cfr. Diod. XII 75, 4). 86

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ratificare la pace di Nicia senza per questo trovarsi isolata e mise a rischio l’egemonia degli Spartani sulla Lega peloponnesiaca, prefigurando una possibile sostituzione di Sparta con Argo, non priva di titoli per aspirarvi87; è possibile che i Corinzi sperassero di poter dare un tono meno democratico alla coalizione includendovi stati oligarchici come Megara e la Beozia88. Che la preoccupazione principale degli Spartani riguardasse i Corinzi – i quali forse ricordarono in questa occasione la minaccia del 432 di volgersi a un’«altra alleanza» – è rivelato dal fatto che essi, di fronte alla crisi che dopo l’adesione di Mantinea alla coalizione antispartana investì la Lega peloponnesiaca (Thuc. V 29, 24), tentarono di prevenire l’alleanza di Corinto con Argo e di convincere i Corinzi a ratificare il trattato con gli Ateniesi, senza però ottenere successo (Thuc. V 30, 1-4). Tuttavia, anche le contestuali pressioni degli Argivi perché i Corinzi entrassero senza indugio nell’alleanza antispartana non sortirono effetti, come risulta da Thuc. V 30, 5: Si trovavano presenti a Corinto anche ambasciatori argivi, quali invitarono i Corinzi a entrare nell’alleanza e a non indugiare. Questi risposero di venire alla successiva riunione che sarebbe stata tenuta presso di loro.

Comincia, con questo episodio, a manifestarsi nei Corinzi una certa esitazione di fronte al progetto che pure essi stessi avevano avviato, e che Kagan ha collegato con il manifestarsi di un’opposizione interna89, mentre Seager preferisce attribuirla a prudenza90. Tuttavia, dopo che gli Elei, in disaccordo con Sparta per Lepreon91, entrarono nell’alleanza, anche i Corinzi, insieme ai Calcidesi di Tracia, vi aderirono (Thuc. V 31). Sebbene ne avessero intenzione, ne rimasero invece fuori Beoti e Megaresi, Cfr. H.D. WESTLAKE, Corinth and the Argive Diplomacy, AJPh, 61 (1940), pp. 413-421, 414; KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 91-92; SEAGER, After the Peace of Nicias, p. 254.

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88

Cfr. KAGAN, Corinthian Diplomacy, pp. 297 ss.

89

Cfr. ibi, pp. 299-300; ID., The Peace of Nicias, pp. 42-43.

90

Cfr. SEAGER, After the Peace of Nicias, pp. 254-255.

Su questa vicenda, cfr. per bibliografia recente C. BEARZOT, Panellenismo e  in età classica: il caso dell’Elide, in Das antike Asyl. Kultische Grundlagen, rechtliche Ausgestaltung und politische Funktion (Akten des Kolloquiums Villa Vigoni, Loveno di Menaggio, 13.-16. März 2002), Köln 2003, pp. 37-58.

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perché erano ben guardati dai Lacedemoni e pensavano che per loro, retti da una oligarchia, la democrazia di Argo fosse meno utile della costituzione dei Lacedemoni (Thuc. V 31, 6).

Il rilievo tucidideo, accanto a quello relativo ai Mantineesi in V 29, 2, conferma il carattere ideologizzato dell’alleanza, che appariva allettante per gli stati democratici, assai meno per quelli oligarchici; e può contribuire a spiegare l’ulteriore, progressivo disinteresse di Corinto, una volta appurato che non sarebbe stato possibile dare un’intonazione diversa alla coalizione92. Tale disinteresse emerge con maggior chiarezza dopo il fallito tentativo, condotto da Corinzi e Argivi insieme, di ottenere l’alleanza di Tegea (Thuc. V 32, 3-4): I Corinzi e gli Argivi, ormai alleati, vanno a Tegea per staccarla dai Lacedemoni, vedendo che costituiva una parte importante del Peloponneso e pensando, se Tegea si fosse alleata, di divenire padroni del Peloponneso. Ma poiché i Tegeati dissero che in niente avrebbero contrariato i Lacedemoni, i Corinzi, che sino allora avevano agito con alacrità (), abbassarono il loro ardore e temettero che nessun altro più si sarebbe accostato a loro.

Un ulteriore colpo alle aspettative dei Corinzi venne dal fatto che le trattative con i Beoti non ebbero successo (V 32, 5-7). Il resto del racconto tucidideo per l’anno 421 è occupato dalle trattative organizzate dai nuovi efori spartani Cleobulo e Senare, ostili alla pace, per ricucire i rapporti con Argo. Dopo il fallimento di trattative condotte a Sparta alla presenza di Ateniesi, Beoti e Corinzi, gli efori fecero ai Beoti e ai Corinti delle proposte a titolo personale, esortandoli a essere il più possibile concordi, ed esortando i Beoti a divenire prima alleati degli Argivi e a tentare poi di rendere gli Argivi alleati dei Lacedemoni insieme ai Beoti stessi (...) ché i Lacedemoni preferivano l’amicizia e l’alleanza con gli Argivi alla perdita dell’amicizia con Atene e alla rottuSi noti che, nonostante la raccomandazione dei Corinzi ai magistrati argivi di non mettere a parte il popolo del progetto, questi ultimi riferirono immediatamente «ai magistrati e al popolo» il contenuto delle trattative intercorse, provocando l’emissione di un decreto, peraltro conforme al progetto avviato. Ciò accentuava il carattere democratico del disegno, cosa probabilmente poco gradita ai Corinzi.

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ra della pace. Cleobulo e Senare sapevano che i Lacedemoni desideravano che Argo divenisse loro amica in modo soddisfacente. Pensavano che in tal modo una guerra fuori del Peloponneso sarebbe stata più facile (Thuc. V 36, 1).

Il piano del ‘partito della guerra’ però fallì per il rifiuto delle quattro boulai beotiche di ratificare le proposte dei beotarchi (Thuc. V 37-38); alcuni dei moderni hanno ipotizzato che siano stati i Corinzi a provocarne il fallimento, nel timore che Sparta, tranquillizzata dalla rinnovata amicizia con Argo, venisse indotta a mantenere la pace e l’alleanza con Atene93. Nelle complesse relazioni diplomatiche di questo concitato periodo, al timore che l’alleanza tra Sparta e Atene costituisse un pericolo per i popoli del Peloponneso (timore presente negli Argivi, nei Corinzi, negli Elei, nei Mantineesi) si intreccia il timore che una rinnovata amicizia tra Sparta e Argo offrisse un ulteriore incentivo al mantenimento dell’alleanza stessa (timore, in questo caso, soprattutto dei Corinzi, desiderosi di riprendere la guerra). All’inizio della stagione di guerra dell’anno 420 ci troviamo di fronte a una situazione nuova. Di fronte al fallimento delle trattative, gli Argivi temettero di essere lasciati soli e che tutta la lega si volgesse verso Sparta (...) e che non fosse più possibile per loro stringere un’alleanza neppure con gli Ateniesi, mentre prima, in seguito alle divergenze, speravano di poter essere almeno alleati degli Ateniesi, se il trattato tra loro e i Lacedemoni non fosse durato. In difficoltà da questo lato, gli Argivi, temendo di dover combattere al tempo stesso contro Lacedemoni e Tegeati, Beoti e Ateniesi, mentre prima non avevano accettato un patto coi Lacedemoni ma pensavano all’egemonia del Peloponneso, inviarono con la maggior fretta possibile a Sparta Eustrofo ed Esone come ambasciatori, che sembravano essere i più graditi, pensando che nelle presenti circostanze la cosa migliore era il fare un patto coi Lacedemoni a qualunque condizione e restarsene tranquilli” (Thuc. V 40).

Diversi sono i motivi che possono spiegare le preoccupazioni di Argo: la sostanziale tenuta dell’alleanza tra Sparta e Atene, che sotCfr. KAGAN, Corinthian Diplomacy, pp. 302 ss.; KELLY, Argive Foreign Policy, p. 92; KAGAN, The Peace of Nicias, pp. 54-55.

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traeva all’alleanza democratica da loro guidata il prezioso appoggio ateniese; il disimpegno di Corinto, conseguente al rifiuto di Tegea e all’esitazione dei Beoti; la presenza, in Argo, di forze filospartane, rappresentate qui dagli ambasciatori Eustrofo ed Esone, di cui espressamente si dice che «sembravano essere i più graditi» agli Spartani (Thuc. V 40, 1)94. Tra questi elementi, il venir meno dell’appoggio di Corinto mi sembra molto importante: non solo i Corinzi erano stati gli ispiratori della coalizione capeggiata da Argo, ma il loro ruolo era fondamentale per la mediazione con stati non democratici come la Beozia, che diffidavano di Argo proprio in quanto democratica. Il loro disimpegno, unito alla divisione dell’Arcadia, con Tegea fedele a Sparta, indeboliva fortemente la coalizione, lasciando prevalere il rischio dell’isolamento, sempre molto temuto dagli Argivi. Timorosa di vedersi sottrarre l’egemonia e di trovarsi a combattere contro un formidabile schieramento, Argo concluse un compromesso con Sparta sul tema del contenzioso per la Cinuria: si sarebbe firmata una tregua di cinquant’anni e le questioni relative alla Cinuria sarebbero state risolte attraverso un conflitto regolamentato, da rimandare a tempi più opportuni (Thuc. V 41). Nel frattempo, però, il conflitto sulla restituzione di Panatto incrinò le relazioni fra Sparta e Atene (Thuc. V 42); ad Atene riprese vigore il partito della guerra, guidato da Alcibiade (Thuc. V 43), che promosse l’alleanza ateniese con Argivi, Mantineesi ed Elei95. Proprio come era stata la paura dell’alleanza tra Sparta e Atene a spaventare Argo, ora il dissidio fra le due potenze riportò d’attualità l’ipotesi di una alleanza peloponnesiaca antispartana: gli Argivi trascurarono così le trattative da poco intraprese con Sparta e si volsero piuttosto verso gli Ateniesi, pensando che quella città da gran tempo loro amica, retta a democrazia come loro e notevolmente potente sul mare avrebbe combattuto dalla loro parte se fossero entrati in guerra (Thuc. V 44, 1).

Tra le motivazioni attribuite agli Argivi, troviamo il medesimo riferimento all’affinità costituzionale che Thuc. V 29, 2 attribuisce Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, p. 95; GEHRKE, Stasis, pp. 26-27. Cfr. C. FORNIS VAQUERO, Esparta y la Caudruple Alianza, 420-418 A.C., «Memorias de historia antigua», 13-14 (1992-93), pp. 77-103. 94

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ai Mantineesi («si volsero dalla parte degli Argivi, vedendo che la città era grande e sempre ostile ai Lacedemoni, e inoltre retta a democrazia come loro»): ancora una volta, affinità – e diversità – costituzionale sembrano svolgere un ruolo fondamentale nella diplomazia di questi anni. L’alleanza di Atene con la coalizione peloponnesiaca guidata da Argo andò a buon fine grazie all’intervento di Alcibiade e nonostante il tentativo di opposizione di Nicia (Thuc. V 45-47)96. Tuttavia, i trattati di pace e di alleanza sussistenti tra Sparta e Atene non furono denunciati; i Corinzi, da parte loro, non vollero aderire né alla nuova alleanza comprendente Atene, né a quella già conclusa in precedenza tra Argivi, Elei e Mantineesi, in quanto aveva carattere offensivo e difensivo, mentre essi intendevano mantenere la natura difensiva del precedente trattato («a condizione di difendersi reciprocamente le proprie terre»: Thuc. V 27, 2): I Corinzi, sebbene alleati degli Argivi, non entrarono in questo trattato; e, sebbene prima di questo fosse stata conclusa l’alleanza tra Elei, Argivi e Mantineesi, secondo la quale costoro dovevano essere in pace e in guerra con le medesime città, neppur in questa entrarono. Dissero che a loro bastava la prima alleanza difensiva, quella di reciproco aiuto, che non impegnava a unirsi per far guerra ad altri. Così i Corinzi si staccarono dagli alleati e si rivolsero nuovamente verso Sparta (Thuc. V 48, 2-3).

Con il ritorno dei Corinzi al versante spartano, la coalizione guidata da Argo perdeva un membro di eccezionale rilievo: Argo non vi si rassegnò facilmente, tanto che, dopo la crisi olimpica dell’anno 420 (narrata da Tucidide in V 49-50) e l’esclusione degli Spartani dai Giochi, gli Argivi inviarono ambasciatori ai Corinzi per convincerli ad aderire all’alleanza antispartana, ma anche questa volta senza successo (Thuc. V 50, 5)97. In tutta la vicenda sembra fondamentale, accanto al ricorrente timore dell’isolamento e alle questioni interne (oscillazioni dei Per i riflessi presenti nelle Supplici di Euripide, cfr. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis, pp. 720-721; PATTONI, Presenze politiche di Argo nella tragedia attica del V secolo, pp. 189 ss. Secondo SEAGER, After the Peace of Nicias, p. 163, Argo «despite the defection of Corinth (...) showed considerable enthusiasm and aggression throughout most of the duration of the alliance»; in realtà, fu la crisi olimpica del 420, che mise Sparta in grave difficoltà, a incoraggiare le speranze di Argo, che alll’inizio della stagione di guerra di quell’anno erano venute meno. 96

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rapporti di forza tra partiti, che talora le fonti permettono di intuire), il ruolo trainante di Corinto. L’importanza della potenza istmica sia nel promuovere, sia nell’indebolire la coalizione antispartana appare collegato col fatto che, se Argo poteva trattare autonomamente con gli stati democratici di tradizione antispartana, molto più difficile le risultava farlo con stati oligarchici, come i Beoti e i Megaresi; Corinto, città di tradizione oligarchica98 e non sospettabile di simpatie per gli Ateniesi, aveva invece un ruolo fondamentale di garanzia nell’organizzazione di una coalizione antispartana veramente orientata a garantire la libertà del Peloponneso, e non il passaggio, assai temuto, dal controllo spartano a quello ateniese. Per questo gli Argivi tentarono fino in fondo, nel 420, di ottenere l’appoggio corinzio; per questo, dopo l’arrivo di Alcibiade nel Peloponneso (Thuc. V 52), Argo attaccò Epidauro per impadronirsene non solo per comprensibili motivi strategici (assicurare le comunicazioni con l’Attica), ma anche, come espressamente Tucidide dice (V 53), «al fine di ottenere la neutralità di Corinto»99. Dopo un fallito tentativo di accordo al congresso convocato dagli Ateniesi a Mantinea (Thuc. V 55), nella successiva estate del 419 i Corinzi, con duemila opliti, appaiono ormai schierati con gli Spartani (Thuc. V 57), insieme ai Tegeati, agli altri Arcadi filospartani, ai Beoti e ai Fliasii, nell’esercito che attacca in massa Argo. Durante questa campagna, un episodio rivela, ancora una volta, la fragilità degli equilibri interni di Argo, dove il governo democratico mancava evidentemente dell’energia necessaria per condurre fino in fondo il progetto avviato nel 421. Due Argivi, «Trasillo, uno dei cinque strateghi, e Alcifrone, prosseno dei Lacedemoni» (Thuc. V 59, 5), trattarono una tregua di quattro mesi con Agide, dichiarandosi pronti a render conto su di un piano di parità dei torti che Sparta rimproverava loro, e a restare in pace per il futuro dopo aver fatto un trattato (…) ma questi Argivi, che così parlarono, parlarono per conto proprio e non per ordine del popolo (Thuc. V 60, 1:     ; cfr. 60, 5:   ). Cfr. SALMON, Wealthy Corinth, pp. 231 ss. Sulle relazioni fra Corinto ed Epidauro, cfr. LEWIS, The Origins of the First Peloponnesian War, p. 75.

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La tregua, che vanificò l’azione militare del blocco facente capo a Sparta e finì per determinare la caduta di Orcomeno d’Arcadia in mano alla coalizione antispartana, ebbe certamente motivazioni politiche, non militari100, e provocò sia a Trasillo, sia ad Agide non pochi problemi in patria (Thuc. V 60, 5-6; 63; cfr. Diod. XII 78, 4-6). La tregua ‘privata’ rende evidente la presenza, sia a Sparta che ad Argo, di una minoranza interessata alla pace: anche in questo caso le tensioni politiche interne interferiscono pesantemente con il quadro internazionale, frenando le capacità di iniziativa di Argo101. Non è certamente un caso se, dopo la presa di Orcomeno, si manifestarono dissensi all’interno dell’alleanza, perché gli Elei volevano attaccare Lepreo, mentre Mantineesi, Argivi e Ateniesi volevano attaccare Tegea, dove si preparava un colpo di stato democratico (V 61-62): tali dissensi esprimono anche il disagio legato all’ambiguità dell’egemone peloponnesiaco della coalizione. Argo mostrava chiaramente, priva dei Corinzi, la propria inadeguatezza, anche se, ancora sul campo di Mantinea, gli strateghi esortavano gli Argivi a combattere per l’antica egemonia e per l’uguaglianza di una volta all’interno del Peloponneso (    ): che non permettessero di esserne privati per sempre, ma si vendicassero sui nemici e sui vicini delle molte offese subite (Thuc. V 69, 1)102.

La sconfitta militare, che evidenziava il fallimento del progetto egemonico del 421103, fece esplodere in Argo le tensioni interne latenti e diede fiato ai nemici della democrazia. Secondo Tucidide (V 76), quando gli Spartani mandarono ad Argo proposte di accordo, già era in atto un’iniziativa antidemocratica:

Cfr. KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 214; D. GILLIS, Collusion at Mantineia, RIL, 97 (1963), pp. 199-226, 201 ss.; contra GEHRKE, Stasis, pp. 27-28 e 363 ss. A una compresenza di motivi diversi pensa U. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche. Argo ed Elide, Padova 1990, pp. 131 ss. 100

101

Cfr. KAGAN, Argive Politics and Policy, pp. 212 ss.; KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 96-97.

È il terzo riferimento tucidideo all’egemonia argiva sul Peloponneso: cfr. 40, 3.

102

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28, 2;

Contro l’ipotesi di una collusione oligarchica sul campo di Mantinea, proposta da GILLIS, Collusion at Mantineia, pp. 199-226, cfr. GEHRKE, Stasis, pp. 27-28, nota 27.

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Già da prima vi erano uomini favorevoli a loro, che intendevano abbattere la democrazia in Argo; questi, dopo che era avvenuta la battaglia, tanto più facilmente potevano spingere il popolo ad un accordo. Vollero dapprima far pace coi Lacedemoni e poi di nuovo anche un’alleanza, e così assalire in seguito i democratici.

Tale iniziativa va riportata all’azione del corpo speciale dei Mille, istituito nel 421 selezionando opliti sulla base della forza fisica e della ricchezza (Diod. XII 75, 7): di orientamento aristocratico, il corpo scelto costituì il nucleo dei rivoluzionari antidemocratici del 418 (Diod. XII 80, 2-3)104. Gli Argivi abbandonarono così l’alleanza con Atene, Mantinea e l’Elide (Thuc. V 78); venne formalizzata un’alleanza con Sparta, di cui è riportato il testo (Thuc. V 79)105; in seguito ad essa, Spartani e Argivi presero a svolgere una politica comune (Thuc. V 80), che riportò Argo sotto il pieno controllo spartano. Alla fine dell’inverno del 418/7, i Lacedemoni e gli Argivi fecero una spedizione in comune con 1000 uomini ciascuno; i Lacedemoni, entrati in città, rafforzarono di più l’oligarchia in Sicione e quindi entrambi insieme abbatterono il governo del popolo ad Argo, dove sorse un’oligarchia favorevole ai Lacedemoni (Thuc. V 81).

Come quello dei Trenta Tiranni in Atene, con cui è stata riscontrata qualche affinità, il regime dei Mille non durò a lungo. Secondo Thuc. V 82, già nel 417 il popolo rovesciò l’oligarchia: E il popolo di Argo, a poco a poco con giurando e prendendo coraggio, assalì gli oligarchi dopo aver aspettato le Gimnopedie dei Lacedemoni e, avvenuta battaglia in città, il popolo ebbe la meglio e gli uni uccise, gli altri mandò in esilio (82, 2).

Tucidide offre ben pochi particolari, attento com’è soprattutto al quadro internazionale: ma altre fonti (Diod. XII 80, 2-3; Plut. Alc. 15, 2; Paus. II 20, 2; Aen. Tact. 17, 2-4; Arist. Polit. V 1304a) aiutano a ricostruire un quadro di forti tensioni interne e di violen104

Cfr. KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 211; contra GEHRKE, Stasis, pp. 28-29 e nota 34.

105

Cfr. SILVESTRINI, Il conflitto fra Sparta e Argo nel 421-417, pp. 329-335, 332 ss.

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ze106, che spiega la dura reazione popolare e la fragilità del regime, del resto sostenuto con scarso impegno dagli Spartani. Intanto, i democratici argivi, temendo gli Spartani, si volsero nuovamente agli Ateniesi107 e iniziarono la costruzione di lunghe mura fino al mare (Thuc. V 82, 5-6), con l’aiuto delle donne e degli schiavi e il sostegno degli Ateniesi; aggiunge Tucidide che «anche alcune città del Peloponneso erano al corrente di questa costruzione» (V 82, 6). Gli Spartani, nell’inverno 417/6, intervennero per bloccare la costruzione con i loro alleati, tranne, precisa Tucidide, i Corinzi: infatti «tra alcuni cittadini del luogo e loro venivano condotte alcune pratiche» (Thuc. V 83, 1:          ). L’allusione, per quanto non facile da interpretare, è interessante perché le «pratiche» cui fa riferimento Tucidide sembrano certamente ostili a Sparta: anche in questo caso, è la presenza dei Corinzi, sullo sfondo, a sostenere gli Argivi, non meno di quella degli Ateniesi108. Negli anni successivi, i rapporti di Argo con Atene appaiono abbastanza stabili, ma ancora una volta poco produttivi. Atene aiutò certamente gli Argivi, dopo la restaurazione della democrazia, a tenere sotto controllo la vivace fazione filospartana: dopo che Argo ebbe attaccato Fliunte, che aveva accolto i fuorusciti argivi (Thuc. V 83, 3; cfr. 115, 1), Alcibiade nell’estate 416 sequestrò trecento filospartani argivi e li deportò nelle isole (Thuc. V 84, 1); in seguito, dopo che gli Argivi ebbero arrestato alcuni cittadini sospetti (Thuc. V 116, 1), e dopo che gli ospiti di Alcibiade ad Argo furono sospettati di trame antidemocratiche, gli Ateniesi consegnarono gli ostaggi delle isole ai democratici argivi (Thuc. Cfr. GEHRKE, Stasis, pp. 28 ss.; E. DAVID, The Oligarchic Revolution in Argos, 417 B.C., AC, 55 (1986), pp. 113-124; inoltre, C. FORNIS VAQUERO, La stasis argiva del 417 a. C., «Polis», 5 (1993), pp. 73-89 (segnalo che, curiosamente, l’autore attribuisce a M. Moggi il volume di F. SARTORI, Le eterie nella vita politica ateniese del VI e V secolo a.C., Roma 1967: cfr. pp. 82-83, note 47 e 48). 107 A una alleanza cinquantennale fra Atene e Argo, conclusa in questa occasione, fa riferimento un documento epigrafico assai lacunoso (IG I3, 86), datato all’arcontato di Eufemo (417/6). 108 Sulle possibili motivazioni (volontà di mantenere il ‘pericolo argivo’ per poter condizionare Sparta; ostilità all’interferenza di Sparta nelle questioni interne), cfr. KAGAN, The Peace of Nicias, pp. 141-142. 106

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61, 3; cfr. Diod. XIII 5, 1); infine, Sparta nell’inverno 416/5 installò Argivi filospartani a Ornea, da cui essi furono cacciati da Argivi e Ateniesi (Thuc. VI 7, 1-2). Atene aiutò inoltre Argo a fronteggiare attacchi spartani: dopo un primo attacco spartano all’Argolide nel 415, cui Argo reagì attaccando la Tireatide (Thuc. VI 95, 1), nel 414 Atene intervenne a favore degli Argivi, con trenta navi, in occasione di un secondo attacco spartano (Thuc. VI 105); nel 413 gli Ateniesi devastarono Epidauro e Prasie, partendo da Argo con trenta navi (Thuc. VII 18, 3)109. Da parte sua, Argo collaborò militarmente con Atene: nel 415 Argivi e Mantineesi seguirono la spedizione in Sicilia a motivo di Alcibiade (Thuc. VI 29, 3; 43; 61, 5; 67, 1; 68, 2; 69, 3; 70, 2;); nel 414 e nel 413, gli Argivi sono ricordati più volte accanto agli Ateniesi (Thuc. VI 100, 2; 101, 6; VII 20, 1-3; 26, 3; 44, 6); in VII 57, 9 la loro presenza accanto agli Ateniesi, non riconducibile a motivazioni etniche, è motivata «non tanto per dovere di alleanza quanto per odio verso i Lacedemoni». Nel 412, gli Argivi combatterono a Mileto con gli Ateniesi (Thuc. VIII 25 e 27, 6); nel 411 sostennero la democrazia ateniese (Thuc. VIII 86, 8-9). Tuttavia, non diversamente che dopo il 462/1, il rapporto con Atene non sembra apportare significativi vantaggi né ad Argo, né alla stessa Atene. Con Kagan, si deve concludere che la stasis interna («a luxury Argos could not afford») e la sconfitta di Mantinea, cui Argo era andata incontro dopo aver perso l’appoggio determinante dei Corinzi, l’avevano squalificata come forza «playing a leading part in Hellenic affairs»110. VI

Conclusioni Di fronte a questo quadro complessivo della storia di Argo nel V secolo, i moderni hanno concluso che l’elemento fondamentale della politica argiva è da ritenersi la ricerca della neutralità111. Legata a interessi prevalentemente locali, Argo avrebbe inteso Cfr. Diod. XII 81. KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 217. Cfr. PIÉRART - TOUCHAIS, Argos, p. 57: «le trait dominant paraît avoir été la recherche de la neutralité». 109 110

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soprattutto difendersi da Sparta: di qui alcune costanti, come l’esigenza di mantenere l’alleanza con gli Arcadi, in particolare con Mantinea, di recuperare il controllo della Tireatide e della Cinuria e di assicurarsi, quando possibile, l’aiuto esterno di Atene. La questione dell’amicizia con Atene è stata oggetto di dibattito, in quanto è stata ritenuta da alcuni un elemento costante della politica argiva, mentre altri l’hanno giudicata meno importante di quanto si ritenga di solito, perché, in molti casi, scarsamente produttiva di effetti significativi (come infatti risulta essere stata dopo il 462/1, ma anche nel periodo cruciale compreso tra 421 e 418 e negli anni successivi)112. Questo rapporto fu certamente favorito dall’affinità politica, come Tucidide (V 44, 1) rileva espressamente: tanto più che solo in regime democratico, quando può affrancarsi dalla dipendenza da Sparta e collegarsi con grandi forze democratiche e antispartane come Atene e come altri stati peloponnesiaci di analogo orientamento (Arcadi ed Elei), Argo può sviluppare ambizioni egemoniche che ripropongano il suo antico ruolo di guida del Peloponneso. Quando, invece, al suo interno prevalgono le forze oligarchiche e filospartane, Argo può ambire solo al controllo dell’Argolide, schiacciata com’è tra gli Spartani a sud e i Corinzi a nord, e a una politica locale, che le viene consentita nella misura in cui non diviene pericolosa per l’assetto tradizionale del Peloponneso. Per questo, la storia di Argo è molto condizionata dalla stasis interna, come rivelano i collegamenti, probabilmente nel 469-464 e nel 451 e certamente nel 417, tra l’affermarsi degli oligarchici filospartani a danno dei democratici e le svolte in politica estera: come Corcira, Argo è un esempio davvero significativo della divisione interna determinata nelle città greche dalla logica dello scontro dei blocchi, che si accentua durante la guerra del Peloponneso113. La debolezza di Argo deriva infatti dalla difficoltà di trovare unità di intenti tra le diverse componenti della cittadinanza: nonostante la tradizione locale parli di un antico amore Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, p. 98: «any characterization of fifth-century Argive foreign policy as unalterably and irrevocably anti-Spartan and pro-Athenian is a gross oversimplification». 113 Sulla stasis di Corcira, cfr. ora M. INTRIERI,   Guerra e stasis a Corcira fra storia e storiografia, Soveria Mannelli 2002. 112

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per l’uguaglianza e l’autonomia (Paus. II 19, 2:  ...]        Argo è, diversamente da Atene, una democrazia fragile e profondamente divisa, insidiata dalla costante attività di una fazione oligarchica tenace e mai doma, forse perché, alla sua origine, vi è l’assimilazione forzata e malsopportata di inferiori; l’idea di una inferiorità del demos, forse anche a motivo delle fratture etniche caratteristiche del Peloponneso e ignote al contesto attico114, si è così perpetuata, laddove in Atene l’unità intrinseca del corpo civico fa parte della coscienza comune e si esprime, anche sul piano istituzionale, certamente a partire dalla riforma di Clistene e forse fin da quella di Solone115. Si è accennato più sopra al problema dell’amicizia di Argo con Atene e della sua rilevanza politica. Io credo, senza volerla eccessivamente minimizzare, che in effetti questa costante non basti a spiegare le vicende di Argo nel V secolo. Ma neppure può bastare affermare che la politica di Argo nel V secolo fu «essentially proArgive»116: Argo mostrò, in diverse occasioni, una capacità di iniziativa troppo scarsa e troppo profonde divisioni interne perché si possa parlare di una coerente politica autonoma in chiave nazionalista. A me pare che gli eventi qui considerati lascino trasparire una forte influenza di Corinto, finora non sufficientemente rilevata dalla critica117: in molti momenti chiave della storia di Argo, la presenza dei Corinzi, sullo sfondo degli eventi, appare infatti fortemente condizionante. L’attacco di Cleomene Per la coesione etnico-sociale dell’Attica, espressa nel mito dell’autoctonia, cfr. C. BEARZOT, Autoctonia, rifiuto della mescolanza, civilizzazione: da Isocrate a Megastene, in Incontri tra culture nell’Oriente ellenistico e romano (Atti del Convegno, Ravenna 11-12 marzo 2005), in corso di stampa. Per il dibattito sull’origine etnica e sullo status sociale della popolazione integrata dopo la battaglia di Sepia, cfr. D. LOTZE, Zur Verfassung von Argos nach der Schlacht bei Sepeia (Aristoteles, Politik 5, 1303 a 6-8), «Chiron», 1 (1971), pp. 95-109. 115 Cfr. G. ANDERSON, The Athenian Experiment. Building an Imagined Political Community in Ancient Attica, 508-490 B.C., Ann Arbor 2003. 116 Cfr. KELLY, Argive Foreign Policy, p. 99; cfr. p. 93. 117 WESTLAKE, Corinth and the Argive Diplomacy, pp. 413-421, e KAGAN, Corinthian Diplomacy, pp. 291-310, analizzano attentamente ruolo e motivazioni di Corinto, giungendo a conclusioni parzialmente divergenti sugli obiettivi e sull’efficacia della diplomazia corinzia, ma non sembrano porsi il problema del perché, per Argo, l’atteggiamento della città istmica sia così condizionante. 114

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ad Argo, nel 494, può essere collegato con le relazioni di Argo con i Pisistratidi, ma anche con la vittoria su Corinto, tra 530 e 490, attestata da una dedica olimpica: qui Argo si fa pericolosa per gli equilibri del Peloponneso per l’instaurarsi di legami con Atene, ma anche e forse soprattutto per le velleità di estendersi in area peloponnesiaca a danno dei potenti vicini dell’Istmo. Forse, anche l’oscuro episodio relativo all’intervento dei mille volontari argivi, prima del 487, a favore di Egina potrebbe essere collegato con i contrastanti interessi di Corinto, che sosteneva attivamente gli Ateniesi contro gli Egineti. Benché non si sappia molto di Corinto fra 478 e 462/1, forse essa ebbe a che fare con la caduta del prestigio di Temistocle e la sua fuga dal Peloponneso, che mise in crisi la coalizione da lui promossa nel 470; Temistocle, infatti, aveva giudicato a danno dei Corinzi nell’arbitrato richiestogli per un dissidio con Corcira a proposito di Leucade (Plut. Them. 24, 1; cfr. Thuc. I 136, 1; Nep. Them. 8, 3)118. Negli stessi anni Micene, finché non cadde sotto controllo argivo (probabilmente nel 465/4), ebbe forse il ruolo di strumento della politica corinzia in Argolide, così come Cleone fungeva invece da avamposto argivo verso l’Istmo. In seguito, nel decennio 461-451, la scarsa produttività dell’alleanza Argo/Atene sul versante antispartano sembra in relazione con l’importanza prevalente, per le due parti, del contrasto con Corinto. Contatti di diverso tipo tra Argivi e Corinzi sono attestati in diverse occasioni: interessante, nel 425, il fatto che gli Argivi avvertirono i Corinzi in occasione di un attacco ateniese (Thuc. IV 42, 3). Furono forse le relazioni mantenute con Corinto, prima ancora del trattato con Sparta nel 451, a rendere difficile la collaborazione Argo/Atene durante la prima fase della guerra del Peloponneso. L’importanza del ruolo di Corinto risulta in particolare dalle vicende del 421-418. Gli Argivi, rifiutando di rinnovare la tregua del 451, appaiono all’epoca della pace di Nicia come un possibile strumento di pressione nei confronti di Sparta; il partito della guerra, rappresentato dai Corinzi, si rivolge così a loro dopo la 118 SALMON, Wealthy Corinth, p. 258, nota 5, lo pone dopo le guerre persiane; L. PICCIRILLI, Gli arbitrati interstatali greci, I, Pisa 1973, pp. 61 ss. (nr. 13), nel 483/2 (cfr. L. PICCIRILLI, Temistocle  dei Corciresi, ASNP, S. III, 3, 1973, pp. 317-355; ID., in Plutarco, Le Vite di Temistocle e di Camillo, Milano 1983, p. 270).

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conclusione del temuto accordo, aprendo trattative per indurre gli Argivi ad organizzare un’alleanza difensiva, destinata a «salvare il Peloponneso» (Thuc. V 27, 2). Sono dunque i Corinzi a riproporre Argo come egemone del Peloponneso in luogo di Sparta: la scelta è dovuta a motivi di propaganda (l’antico prestigio di Argo si prestava a delegittimare Sparta), alla necessità di coagulare il consenso dei democratici peloponnesiaci (che di Corinto non si sarebbero fidati)119, alla volontà di esporsi direttamente il meno possibile in un progetto comunque non privo di rischi. In seguito, l’atteggiamento dei Corinzi appare fondamentale nella crisi della coalizione e nella sconfitta del 418. Raffreddati dalla mancata adesione di Tegea e dalla riluttanza dei Beoti, i Corinzi si disimpegnarono dall’alleanza, dalla quale li divideva l’impronta democratica, e cessarono la loro opera di mediazione con gli stati oligarchici, primo fra tutti la Beozia. Con le sue consolidate tradizioni oligarchiche, Corinto rivestiva un ruolo fondamentale di garanzia nell’organizzazione di una coalizione antispartana veramente orientata a garantire la libertà del Peloponneso, evitando il temuto passaggio dal controllo spartano a quello ateniese. Argo, venendo meno l’appoggio corinzio, da un lato perse un prezioso mediatore, dall’altro vide crescere il pericolo dell’isolamento, accentuato dalla divisione dell’Arcadia (i Tegeati avevano dichiarato che «in niente avrebbero contrariato i Lacedemoni»: Thuc. V 32, 4), che rappresentava un elemento di sicurezza per Sparta. Non a caso, Argo cercò nuovamente, alla fine dell’estate del 420, di convincere Corinto ad aderire all’alleanza antispartana (Thuc. V 49-50) o, nel 419, di ottenerne almeno la neutralità (Thuc. V 53). E ancora non a caso, forse, Diodoro (XII 77, 2-3), sintetizzando le vicende del 420, ricorda da un lato l’alleanza tra Argo e Atene (omettendo il riferimento a Mantinea e all’Elide), dall’altro il fatto che gli Spartani convinsero i Corinzi 119 Si ricordi che nel 421 Mantinea aderì alla coalizione guidata da Argo «vedendo che la città era grande e sempre ostile ai Lacedemoni, e inoltre retta a democrazia come loro » (Thuc. V 29, 2); e che nel 420 gli stessi Argivi, che avevano avviato trattative con Sparta perché timorosi di restare isolati, «si volsero piuttosto verso gli Ateniesi, pensando che quella città da gran tempo loro amica, retta a democrazia come loro» (Thuc. V 44); mentre d’altra parte Beoti e Megaresi nel 421 erano rimasti fuori dalla coalizione guidata da Argo «perché erano ben guardati dai Lacedemoni e pensavano che per loro, retti da una oligarchia, la democrazia di Argo fosse meno utile della costituzione dei Lacedemoni» (Thuc. V 31, 6).

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a ritirarsi dalla coalizione e a stringere alleanza con loro, determinando nel Peloponneso disordine e anarchia: senza l’apporto determinante dei Corinzi, Argo non seppe svolgere in modo adeguato la funzione egemonica cui ambiva. A queste considerazioni possiamo aggiungere che allorché, nel 419, Corinto si trovò di nuovo sul versante spartano, con Megaresi e Beoti, la stessa lealtà di Argo verso la coalizione risultò indebolita, tanto che i filospartani Trasillo e Alcifrone trattarono con Agide una tregua di quattro mesi che cambiò le prospettive della campagna militare del 419 e costituì il primo passo del colpo di stato oligarchico che funestò Argo dopo la battaglia di Mantinea. Infine, si può ricordare che quando, nel 417, i democratici argivi, restaurata la democrazia, si volsero nuovamente agli Ateniesi e iniziarono la costruzione di lunghe mura fino al mare (Thuc. V 82, 5), gli Spartani, intervenendo per bloccare la costruzione con i loro alleati, non ottennero l’appoggio dei Corinzi, che stavano conducendo trattative non meglio precisate, ma certamente di segno antispartano, con gli Argivi (Thuc. V 83, 1): ancora una volta, dietro le vicende argive traspare, sullo sfondo, la presenza dei Corinzi. Se ne può concludere che spesso la politica estera argiva, oltre che dalle vicende interne e dalle relazioni con Sparta e Atene, appare condizionata, quando non addirittura ispirata, da Corinto: cosa ben comprensibile se si riflette sul fatto che Argo, bloccata a sud da Sparta (a maggior ragione con il controllo spartano della Tireatide, che fu stabile a partire dalla «battaglia dei campioni»), dalla parte dell’Istmo subisce la pressione di Corinto e rischia di rimanere schiacciata tra le due potenze, accomunate dalla tendenza oligarchica, anche se spesso divise da idee diverse in fatto di politica peloponnesiaca. Argo tentò talora di estendersi a danno di Corinto, verso Cleone; più spesso ne subì l’iniziativa e ne fu strumentalizzata, come avvenne certamente fra 421 e 418, quando Corinto cercò di organizzare stabilmente il Peloponneso sotto la guida di Argo, concepita come alternativa egemonica a Sparta sul continente, per poter condurre una politica che vedesse Corinto stessa alternativa egemonica ad Atene sul mare (una sinergia resa necessaria anche dal potenziale demografico comunque ridotto di queste ‘terze forze’, sia rispetto a Sparta e ad Atene, sia rispetto a uno stato federale come la Beozia). La politica estera di Argo nel V secolo appare così spesso

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come una politica ‘vicaria’ al servizio di Corinto, cui spesso si prestarono, all’interno, quelle stesse fazioni democratiche che cercavano, in odio a Sparta, un collegamento con Atene: talora per una inevitabile convergenza in senso antispartano, talora perchè abbagliate dal sogno di una nuova egemonia argiva sul Peloponneso, talora per l’impossibilità di rafforzare, senza la mediazione corinzia, un ruolo guida che gli stati oligarchici, anche quando erano disposti a sganciarsi da Sparta, le riconoscevano con difficoltà, pensando, come i Beoti, «che per loro, retti da una oligarchia, la democrazia di Argo fosse meno utile della costituzione dei Lacedemoni» (Thuc. V 31, 6). ABSTRACT This paper aims to identify the main features of Argos’ policy in the fifth century B.C. Modern scholars have underlined neutrality, defence from Spartan hegemony, and alliance with the Arcadians (especially with Mantinea) and with Athens. Friendship with Athens has been particularly discussed since, despite favourable premises, it was not very successful (as for example after 462/1 and between 421 and 418). Consequently, some scholars argue that Argive relations with Athens cannot explain the whole of Argos’ policy in the fifth century. Kelly states that this policy was «essentially proArgive». In my opinion, however, Argos often showed too little capacity of initiative and too great internal divisions, that did not permit a consistent ‘nationalistic’ policy. The relations with Athens were no doubt favoured by political affinity (Thuc. V 44, 1). Only a democratic government could, in fact, enable Argos to set herself free from Sparta, join democratic, anti-Spartan states (such as Athens, Arcadia and Elis), and aspire to restore her ancient hegemony on the Peloponnesos. On the contrary, with an oligarchic, pro-Spartan government Argos could only aspire to control Argolid and enforce a local policy. For this reason Argos was influenced by internal stasis. On several occasions (probably in 469-464 and in 451, and certainly in 417), the revival of the oligarchical faction caused a change in Argive foreign policy. Unlike Athens, Argos was a weak and disunited democracy, built from a forced assimilation of people of lower status (perhaps even of different ethnical origin) and often undermined by a strenuous oligarchical faction. Beside fear of isolation and internal divisions, historical events high-

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light, in my opinion, a strong influence of Corinth on Argos’ policy (perhaps not enough underlined by modern scholarship). We can identify several episodes from the end of the sixth century until 421; but Corinth’s role clearly emerges from the events of the years 421-418. After the conclusion of the alliance between Sparta and Athens in 421, the Corinthians tried to arrange a great Peloponnesian democratic coalition under the leadership of Argos, whose aim was to save the Peloponnesos from subjugation (Thuc. V 27, 2). The Corinthians evidently did not intend to claim Peloponnesian hegemony for themselves: they consciously left this leading role to the Argives, either because Argos had historical traditions that made it the best alternative to Sparta as Peloponnesian leader, or in order not to get too much involved in an uncertain and dangerous project. Furthermore, Argos’ leadership could obtain the approval of Peloponnesian democratic states, that did not trust the oligarchical Corinth, for the Corinthian project. Afterwards, Corinth’s attitude seems to have been fundamental in the crisis of the anti-Spartan coalition. When the Corinthians withdrew from the anti-Spartan front during the year 420, the Argives lost their interest in Peloponnesian hegemony. Being afraid of remaining isolated, they first tried to come to a compromise with the Spartans, and then reapproached the Athenians. In comparison with Corinth, Argive political and diplomatic initiative shows lack of consistency and impressive weakness after 421. Thus, Argos’ policy seems to have often depended on external initiative and to have been conditioned, or inspired, by Corinth. The great influence Corinth had on Argos’ choices also depended on the geopolitical situation of Argos that was under Spartan pressure on the southern side and Corinthian menace in the North. Sometimes Argos tried to extend her influence to the detriment of Corinth; more often she suffered Corinth’s initiative and became an instrument of Corinthian policy. Thus, in the fifth century Argive foreign policy seems to have been a ‘vicarious’ policy, actually led by the Corinthians.

MARIA PIA PATTONI

Presenze politiche di Argo nella tragedia attica del V secolo

1.1. Il ciclo mitico argivo era ricco di vicende e personaggi connaturatamente tragici: si pensi alla catena di delitti che caratterizzano la complessa saga degli Atridi, nonché alla funesta partecipazione argiva, al seguito di Polinice, nella spedizione dei Sette a Tebe, o anche al filone leggendario connesso con la persecuzione, ad opera di Era ed Euristeo, nei confronti prima di Eracle e poi dei suoi discendenti. Sono dunque numerosi i drammi a noi pervenuti che mettono in scena personaggi dell’Argo mitica. Tuttavia le situazioni tragiche in cui, dietro al filtro mitico, sia lecito intravedere con ragionevole certezza la polis argiva contemporanea non sono in definitiva numerose. In questa sede, la mia attenzione si concentrerà innanzitutto su due drammi eschilei che risultano, sia pure in misura diversa, ad alta ‘densità politica’: le Eumenidi, i cui espliciti riferimenti all’alleanza tra Argo e Atene costituiscono uno dei pochi casi assolutamente certi di riferimento alla contemporaneità all’interno della produzione tragica a noi pervenuta, e le Supplici, un dramma in cui, a differenza del precedente, il disegno politico dell’autore risulta assai più mediato, e dunque di più problematica interpretazione, com’è indirettamente rivelato dalle posizioni assai divergenti assunte dalla critica più o meno recente, in parte anche per effetto delle diverse datazioni proposte per questo dramma1. Tuttavia, come cercherò di dimostrare, a me Allo studioso che indaga sul rapporto tra testo tragico e realtà politica contemporanea si pongono, com’è noto, problemi metodologici di grande portata (per un’utile panoramica sugli approcci critici degli ultimi decenni, con individuazione sia delle aporie ed errori di metodo più diffusi, sia anche delle possibilità di percorso ancora praticabili, cfr. S. SAÏD, Tragedy and Politics, in D. BOEDEKER - K.A. RAAFLAUB [edd.], Democracy, Empire, and the Arts in Fifth-Century Athens, Cambridge-London 1998, pp. 275-295). Negli anni Cinquanta e Sessanta (ma con propaggini che arrivano fino ai giorni nostri) era diffusa la tendenza a vedere nella tragedia il ‘riflesso diretto’ di eventi o personaggi contemporanei. È così sovente avvenuto che alcuni 1

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sembra che un’analisi delle Supplici che sia attenta non solo al dato dell’ideologia politica ma anche all’aspetto formale, e più precisamente alla struttura drammatica in cui il disegno ideologico dell’autore trova più compiuta e intelligibile espressione, faccia emerstorici si servissero della tragedia come materiale documentario, e che parecchi filologi si avvalessero di presunti riferimenti a fatti storici per la datazione dei singoli drammi. Purtroppo, però, il concetto di rispecchiamento, che funziona abbastanza bene per la commedia antica, per la tragedia è assai più problematico a causa dei complessi fenomeni di riconversione e stilizzazione che i fatti storici inevitabilmente subiscono nel trasformarsi in mito. Di questa difficoltà sono prova le interpretazioni diverse e talora opposte che di uno stesso personaggio o azione drammatica sono state date da quanti hanno abbracciato il cosiddetto ‘metodo storico’. Ad esempio, la richiesta d’aiuto delle Danaidi nelle Supplici eschilee è stata interpretata come un’allusione a ogni possibile richiesta di aiuto ad Atene o ad Argo nel vasto arco di produzione teatrale eschilea che va dagli esordi all’Orestea, e dunque in riferimento all’anno 462 a.C., quando Cimone intervenne in assemblea a sostegno di Perikleidas (A.S. SOMMERSTEIN, The Theatre Audience, the Demos, and the Suppliants of Aeschylus, in CH. PELLING [ed.], Greek Tragedy and the Historian, Oxford 1997, pp. 63-79), oppure al 471 a.C., quando Argo accolse Temistocle dopo l’ostracismo (E. CAVAIGNAC, Eschyle et Thémistocles, RPh, 45 [1921], pp. 103-104; W.G. FORREST, Themistocles and Argos, CQ, n.s. 10, [1960], pp. 221-241; A.J. PODLECKI, The Political Background of Aeschylean Tragedy, London 19992 [Ann Arbor 1966], pp. 42-62), o al 499, quando Aristagora invocò l’aiuto di Atene a favore della rivolta ionica (G. MÜLLER, De Aeschyli Supplicum tempore atque indole, Diss. Halle 1908, pp. 66 s.; F. FOCKE, Aeschylus’ Hiketiden, NGG, 1922, p. 185), o persino al 510, quando Platea chiese aiuto agli Ateniesi contro Tebe (M. CROISET, Eschyle. Études sur l’invention dramatique dans son théatre, Paris 1928, p. 51). Questo approccio critico era già praticato nell’antichità: come attesta uno scolio ai vv. 903-906 dell’Oreste di Euripide, nell’oratore dalla bocca sfrenata, arrogante, che confida nel suo rozzo parlare, i commentatori antichi vedevano il demagogo Cleofonte, l’uomo politico che in quel tempo guidava la parte democratica radicale; si tratta tuttavia di un punto assai circoscritto del testo: da qui a trasformare un’intera tragedia in allegoria politica, secondo tendenze invalse in un certo filone della critica moderna, il passo è assai lungo. In realtà, suddetto metodo del ‘rispecchiamento diretto’ funziona bene solo in pochi casi circoscritti (dei quali il più eclatante è sicuramente rappresentato dalle Eumenidi, con le inoppugnabili allusioni all’alleanza argivo-ateniese). Numerose sono state invece le estensioni indebite, soprattutto quando si è voluto imporre il metodo storico ai drammi di Sofocle, che ad esso sono invece ampiamente refrattari. Pertanto, dopo alcuni decenni di grande proliferazione di simili indagini, è iniziata a partire dagli anni Settanta una radicale revisione. In particolare si è imposto – sia nei trattati di teoria letteraria, sia nel concreto delle singole analisi – il concetto di stilizzazione – ribadito da più studiosi di assai diversa matrice culturale, il quale rappresenta in sostanza una versione ammodernata e criticamente consapevole di quel che già Aristotele aveva enunciato nella Poetica come tratto distintivo della tragedia rispetto alla commedia (per gli ascendenti critici di questo concetto, cfr. ora G. AVEZZÙ, Mappe di Argo, nella tragedia, in P. ANGELI BERNARDINI [a cura di], La città di Argo. Mito, storia, tradizioni poetiche, Roma 2004, pp. 149-151, che in particolare rimanda a un’efficace puntualizzazione di Carola Greengard, in Theatre in Crisis: Sophocles’ Recostruction of Genre and Politics in ‘Philoctetes’, Amsterdam 1987, p. 9,

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gere una linea interpretativa che molti tratti in comune presenta con le Eumenidi, tale da avvalorare l’ipotesi – peraltro già validamente sostenuta dai molteplici indizi esterni e interni – di una prossimità cronologica dei due drammi2. sulla quale storici e critici letterari dovrebbero trovarsi d’accordo: «historical reality in the sense of particular political or military events and personnages is something different than historical reality in the sense of public attitudes towards those events and figures»). L’approccio interpretativo che vede nella tragedia il riflesso diretto di fatti storici precisi ha così lasciato il campo alla linea critica che vede nella tragedia il riflesso – naturalmente mediato attraverso il filtro del mito e delle esigenze drammatiche – di ideologie o importanti manifestazioni del pensiero politico ateniese. Per quanto riguarda specificamente le Supplici eschilee, di allusioni in senso proprio a eventi contemporanei non si può parlare, come del resto era già stato riconosciuto da uno studioso pur sensibile al metodo storico come V. EHRENBERG (Polis und Imperium, Zürich-Stuttgart 1965, pp. 266 s. e n. 3), ed è comunque altamente indicativa la diffusa preoccupazione, da parte di convinti sostenitori di implicazioni politiche contemporanee in questo dramma, di scagionarsi preventivamente dall’accusa di aver concepito le Supplici come «a political masquerade» (FORREST, Themistocles and Argos, pp. 239 s. e n. 7), «political allegory» (PODLECKI, The Political Background, p. 56), «un mero pamphlet politico» (G. SALANITRO, La data e il significato politico delle Supplici di Eschilo, «Helikon», 8 [1968], p. 336 e n. 72), «eine durchgefürte Allegorie» (CHR. GÜLKE, Mythos und Zeitgeschichte bei Aischylos. Das Verhältnis von Mythos und Historie in Eumeniden und Hiketiden, Meisenheim am Glan 1969, p. 74, n. 3); per un’attenuazione delle intenzioni politiche di Eschilo come reazione a taluni eccessi, cfr. anche C. MIRALLES, Sobre la interpretación política de las Supplicantes, «Bol. Inst. Estudios Helénicos», 4 (1970), pp. 49 ss. Se mancano allusioni dirette alla storia contemporanea, è tuttavia innegabile che dalla costruzione drammatica complessiva come pure dal dibattito costituzionale che si sviluppa sulla scena delle Supplici sia possibile ricostruire con una certa plausibilità l’approccio ideologico di Eschilo in relazione alle posizioni assunte in quel periodo dalla politica ateniese. Approcci interpretativi equilibrati sotto questo aspetto sono stati in particolare quelli di A.F. GARVIE, Aeschylus’ Supplices: Play and Trilogy, Cambridge 1969, pp. 141-162, P. BURIAN, Pelasgus and Politics in Aeschylus’ Danaid Trilogy, WS, 8 (1974), pp. 5-14, e, più recentemente, U. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche. Argo ed Elide, Padova 1990, pp. 51-87. 2 In riferimento alla cronologia delle Supplici, credo che non debbano sussistere ragionevoli dubbi circa la datazione bassa; né le pur ingegnose argomentazioni di S. SCULLION (Tragic Dates, CQ, 52 [2002], pp. 81-101), che ha recentemente riproposto la retrodatazione del dramma agli anni Settanta insinuando dubbi e perplessità anche nei pochi dati relativamente sicuri in nostro possesso, riescono a rimettere in discussione in modo convincente quanto già acquisito dalla critica a partire dalle scoperte papiracee e dall’equilibrato e solido riesame di Garvie. Concordo tuttavia con Scullion (p. 87, n. 24) nel respingere, al v. 1 del P. Oxy. 2256, fr. 3, l’integrazione ejpi; jAr[cedhmivdou di Lobel, che, accolta da molti, ha indotto a identificare l’anno di rappresentazione precisamente nel 463 a.C.: in realtà, l’unica integrazione validamente sostenibile è ejpi; a[r[conto" (suggerita dallo stesso Lobel). Il testo fornito da Snell (TrGF I2 DID C 4a-b, pp. 43-4) per l’incipit del fr. 2. del P. Oxy 2256, relativo all’ipotesi dei Sette, ovvero ejp j a[rcont(o") Qeag]enivdou ktl., è infatti decisamente miglio-

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1.2. È convinzione di molti, e da me condivisa, che il proponimento di Eschilo nelle Supplici sia quello di dare al suo pubblico un’immagine di Argo come città democratica speculare e alternativa ad Atene, una sorta di proiezione mitica dell’Atene attuale nel passato leggendario argivo, e lo scopo di questa sistematica

re della soluzione esperita da Lobel, ejdidavcqh ejpi; Qeag]enivdou, per almeno due ordini di motivi. Il secondo verso del fr. 2, come il corrispondente nel fr. 3, iniziava con ejnivka Aijscuvlou, e poiché, in entrambi i frammenti, l’inizio del v. 2 era allineato con l’inizio del v. 1, la stringa verbale ejdidavcqh ejpi; Qeag] risulta eccessivamente estesa rispetto allo spazio disponibile, come già Snell aveva giustamente osservato. Per contro, l’integrazione di Snell non solo è appropriata per la dimensione della lacuna, ma è anche corroborata dall’incipitario ejpi; a[r[ all’inizio del fr. 3. I due frammenti, infatti, essendo riconducibili alla stessa mano, e dunque probabilmente allo stesso autore, dovevano condividere anche le formule introduttive. L’assenza di ejdidavcqh al fr. 3 depone pertanto a favore della sua assenza al fr. 2; lo spazio disponibile al fr. 2 richiede ejp j a[rcont(o") anziché il solo ejpiv; quest’ultimo dato a sua volta è in sintonia con i resti ejp j ar[ all’inizio del fr. 3 e pertanto fornisce a sua volta sostegno – nello stesso fr. 3 – all’integrazione ejpi; a[rcont(o"). Quest’ultima integrazione, che Snell assai cautamente ometteva di stampare a testo, è invece riportata da M.L. WEST nella sua edizione eschilea (Aeschyli tragoediae, Stutgardiae 1990, p. 125), e resta senza dubbio la soluzione fra tutte più plausibile. Se si accoglie dunque per le Supplici l’ipotesi di una datazione compresa tra il 463 e il 460, ovvero in corrispondenza del trattato di alleanza tra Argo e Atene collocabile nel 462-461 (si veda, in questo volume, C. BEARZOT, Argo nel V secolo: ambizioni egemoniche, crisi interne, condizionamenti esterni, pp. 118 ss.) sarebbe più facile spiegare l’evidente interesse da parte di Eschilo per le istituzioni democratiche della città di Argo, che un forte rilievo ricevono nel corso di tutto il dramma. Per di più, in quegli anni si colloca la rivolta antipersiana scoppiata in Egitto e capeggiata dal re libico Inaro (variamente datata tra il 463 e il 461: cfr. in proposito SALANITRO, La data e il significato politico delle Supplici di Eschilo, pp. 328-329 e nn. 55-57, che propende per la datazione al 463/2, secondo la testimonianza di Diod. Sic. XI 71) e la conseguente richiesta d’aiuto ad Atene; è facile che tale evento abbia suscitato l’interesse del pubblico ateniese per la cultura egizia, interesse che emerge ripetutamente nel corso del dramma, a partire dalla sottolineatura dell’aspetto esotico delle fanciulle e del loro abbigliamento (in generale, sul colorito egizio, o più genericamente ‘barbarico’, delle Danaidi, cfr. W. KRANZ, Stasimon, Berlin 1933, pp. 99 ss., che si sofferma in particolare sull’uso di termini non greci, W. NESTLE, Menschliche Existenz und Politische Erziehung in der Tragödie des Aischylos, Stuttgart 1924, pp. 13 ss., e H.H. BACON, Barbarians in Greek Tragedy, New Haven 1961, pp. 15-63). La ‘pista egizia’ è stata, com’è noto, più volte e con esiti opposti invocata (per una rassegna bibliografica in merito, cfr. GARVIE, Aeschylus’ Supplices, p. 156 nn. 1-4, nonché BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche, p. 64, n. 21). Personalmente, dubito che si possa andare al di là di un generico riscontro tra interesse per la cultura egizia e il dato storico: né l’ipotesi di quanti leggono nel dramma il sostegno di Eschilo alla politica interventista di Pericle in Egitto (così ad es. J.T. SHEPPARD, The First Scene of the Suppliants of Aeschylus, CQ, 5 [1911], pp. 220-229; R.P. WINNINGTON-INGRAM, The Danaid Trilogy of Aeschylus, JHS 81 [1961], p. 149 e n. 44

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operazione appare quello di orientare il consenso degli Ateniesi nei confronti delle scelte di politica estera del partito democratico, ovvero l’alleanza con Argo in funzione antispartana3. Per raggiungere questo fine Eschilo ricorre a tutti i mezzi che un tragediografo aveva a sua disposizione: il riarrangiamento del mito, il plot drammaturgico e persino la componente scenica. Partiamo da quest’ultimo aspetto, che, legato all’opsis, era sicuramente il primo segnale che lo spettatore antico coglieva nelle modalità di rappresentazione del portavoce politico di Argo, che di questo dramma è anche il protagonista4. Benché Pelasgo sia un sovrano a tutti gli effetti, Eschilo fa in modo che sul piano immediato della percezione visiva la sua regalità non venga valorizzata, e questo si spiega in primo luogo con l’intento di attenuare il divario tra la monarchica Argo mitistorica e le strutture democratiche delle attuali poleis di Argo ed Atene, divario che avrebbe reso l’identificazione assai meno efficace. Innanzitutto, la scena ha luogo in corrispondenza di un pagos, una collinetta consacrata al culto di alcune divinità, al di fuori dal-

[ristampato in ID., Studies in Aeschylus, Cambridge 1983, pp. 55-72]; E. LUPPINO, L’intervento ateniese in Egitto nelle tragedie eschilee, «Aegyptus», 47 [1967], pp. 197-212; L. BRACCESI, Implicazioni politiche in Eschilo [Prom. 829-841], RIL, 106 [1972], pp. 44 ss. [già in La menzione di Naucrati in Aesch. Prom. 813-815, RIFC, 96, 1968, pp. 28 ss.]) né tanto meno l’ipotesi contraria secondo cui Eschilo cercherebbe di dissuadere gli Ateniesi dall’intervenire in aiuto degli Egiziani, in una prospettiva dunque antipericlea e filoconservatrice (così SALANITRO, La data e il significato politico delle Supplici di Eschilo, pp. 312-340), risultano di fatto saldamente suffragate dal testo. Assai più produttiva mi sembra, al confronto, la ‘pista argiva’, soprattutto se il trattamento drammatico del tema di Argo in questa tragedia viene posto in relazione con le Eumenidi eschilee (sulle connessioni fra i due drammi, cfr. infra par. 2.2-6.). 3 Il filone critico che ha collegato la composizione del dramma all’alleanza argo-ateniese ha inizio con le isolate intuizioni di A. BOECKH (Graecae tragoediae principum, Heidelberg 1808, p. 54), riprese da K.O. MÜLLER (Dissertations on the Eumenides of Aeschylus, Cambridge 1835, pp. 116 ss.), e ha naturalmente ricevuto grande impulso dopo la pubblicazione, nel 1952, del papiro ossirinchita 2256, 3, che ha confermato la datazione alla fine degli anni Sessanta. Una rassegna bibliografica sulla questione è riportata in E. DEGANI, Democrazia ateniese e sviluppo del dramma antico I. La tragedia, in Storia e civiltà dei Greci, II 3, Milano 1979, p. 267 e n. 152, il quale a sua volta ha bene colto ed espresso l’aura di comune idealità che avvicina Argo e Atene in questa tragedia (cfr. in part. p. 268). 4 A proposito di Pelasgo come personaggio specificamente ‘tragico’ delle Supplici eschilee, cfr., tra i vari, G.F. ELSE, The Origin and Early Form of Greek Tragedy, Cambridge, Mass. 1965, p. 95; BURIAN, Pelasgus and Politics, pp. 5 ss.; F. FERRARI, Il dilemma di Pelasgo, ASNP, 4 (1974), pp. 375-385.

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l’insediamento urbano vero e proprio5. Manca dunque il frontale scenico che rappresenta il palazzo reale e che avrebbe contribuito in maniera determinante non solo all’identificazione immediata della regalità del protagonista, ma anche a marcarla e a dilatarla nel corso dell’azione6. Il fatto che l’azione scenica non si svolga davanti alla reggia ha anche un’altra importante conseguenza sul piano drammatico: quella di ridurre la libertà d’azione individuale del re. Lo stesso Pelasgo farà notare alle Danaidi che esse non sono sedute presso il focolare della sua casa, e dunque presso la sua proprietà privata, bensì in luogo pubblico, e dunque l’intera città, sulla quale ricadrebbero le conseguenze di un eventuale contagio, è chiamata a elaborare in prima persona i rimedi necessari: a lui non è consentito impegnarsi con promesse, se non dopo averne messo a parte l’intera cittadinanza7. Pelasgo, insomma, appare più vicino al ruolo di rappresentante politico del demos attuale che non a un autocratico sovrano dell’età leggendaria. Ne costituisce un’indiretta conferma l’ossessiva ricorrenza del termine polis all’interno dei suoi interventi dialogici nel corso della tragedia (vv. 273, 357-358, 366, 401, 410, 942, 955). È anche possibile, benché naturalmente non dimostrabile, che lo stesso costume di Pelasgo e i suoi attributi scenici non fossero quelli tradizionali del re sulla scena tragica – come lo stephanos o altri particolari dell’addobbo, che ne avrebbero consentito un’immediata identificazione – o, quanto meno, è probabile che 5 Cfr. vv. 188-189, a[meinovn ejsti panto;" ei{nek j, w\ kovrai, / pavgon prosivzein tovnd j ajgwnivwn qewn~ . Sulla collocazione scenica del dramma, cfr. V. DI BENEDETTO - E. MEDDA, La tragedia greca sulla scena. La tragedia greca in quanto spettacolo teatrale, Torino 1997, pp. 83 s. («Nessun edificio è visibile alle spalle degli attori: nella tragedia non ci sono indicazioni che possano indurre a ipotizzarne la presenza», p. 83), e AVEZZÙ, Mappe di Argo, nella tragedia, pp. 151-157. 6 Come ad esempio si verifica nel caso dell’Edipo re, dove la scena di ikesía prologica ha luogo davanti alla reggia di Edipo, in corrispondenza con la forte valorizzazione del potere regale e della capacità di autonoma decisione che caratterizza questo personaggio nelle scene iniziali. 7 Cfr. vv. 365-369 [BA.] ou[toi kavqhsqe dwmavtwn ejfevstioi / ejmw~n. to; koino;n d j eij miaivnetai povli", / xunh/~ melevsqw lao;" ejkponei~n a[kh. / ejgw; d j a]n ouj kraivnoim j uJpovscesin pavro", / ajstoi~" de; pa~si tw~nde koinwvsa" pevri. Tale riduzione dell’incidenza del ‘privato’ a favore del ‘pubblico’ trova corrispondenza anche nella consapevole marginalizzazione da parte di Pelasgo del ruolo del gevno" (il rapporto di parentela delle Danaidi con la stirpe argiva) a favore del ruolo della polis, in merito alla decisione di accogliere le Supplici: cfr. infra 1.3.

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tali symbola non fossero particolarmente evidenziati sul piano performativo. È infatti assolutamente atipico che un sovrano al suo ingresso in scena non venga riconosciuto in quanto tale dagli altri interlocutori, siano essi greci oppure stranieri. Per contro, quando Pelasgo, subito dopo il suo arrivo, con l’autorità che gli proviene dal fatto di essere il re del paese invita le Danaidi a presentarsi e a chiarire la loro provenienza, costoro dimostrano di non aver affatto individuato l’identità del loro interlocutore e anziché dare immediata risposta, come avviene di norma altrove in contesti tragici davanti a un sovrano, gli rilanciano la domanda, chiedendogli di esplicitare a sua volta e preliminarmente il ruolo da lui rivestito, perché esse possano sapere se egli è un privato cittadino o un sacerdote oppure un alto magistrato della città (ejgw; de; pro;" se; povteron wJ" e[thn levgw, / h] thro;n iJerrovrabdon, h] povlew" ajgovn; vv. 247-248)8, e questo nonostante Danao avesse poco prima prospettato la possibilità che tra le persone in arrivo ci fosse per l’appunto il re9. È naturalmente vero che l’incapacità A proposito del termine e[th", cfr. I. RUTHERFORD, Pindar’s Paeans, Oxford 2001, p. 308, n. 8 (con ulteriori riferimenti bibliografici). Quanto al duplice hapax thro;n iJerovrrabdon, si tratta di una correzione congetturale di Bothe, accolta da gran parte degli editori, in luogo del tràdito thro;n hjerou rJavbdon, nel senso di «guardiano (throvn è glossato dallo scoliasta con fuvlaka) dal sacro bastone». La corifea, in assenza di segni esteriori distintivi, includerebbe, tra le varie ipotesi, quella che si tratti di un sacro ministro giunto a controllare che il luogo consacrato agli dèi non sia stato profanato. Un’aggiunta marginale in M (oi\mai h] JErmou~ rJavbdon) interpretava invece in riferimento a un messo, giunto evidentemente in funzione di rappresentante delle autorità locali; in questo caso nella formulazione della corifea sarebbe da cogliere una climax ascendente, che dal privato cittadino senza alcuna funzione pubblica arriva, attraverso l’intermediario del messo, fino al ruolo di esponente politico. Si noti che il primo sostantivo che compare nel dramma in riferimento al ruolo di leader di Pelasgo è ajgov", «guida»: un termine, dunque, decisamente generico. Di sostantivi che qualificano la funzione regale di Pelasgo ne compaiono vari, alcuni tecnici (come pruvtani", v. 371), altri invece poetici e d’impronta epicizzante (come a[nax, vv. 251, 328 et al.), mentre mai si trova utilizzato il termine tuvranno", che contrassegnava un potere assoluto legato al recente passato politico ateniese. Per contro, Eschilo fa talora ricorso ad arcaici composti (come ajrchgevth", vv. 184 e 251), che sembrano proiettare in un tempo mitico un modulo di monarchia costituzionale che precede le esperienze storiche delle tirannidi in Grecia e fuori della Grecia. 9 Questo naturalmente nell’ipotesi che si accetti, per i vv. 184-185, l’interpretazione corrente, sostenuta, sia pure con soluzioni testuali differenti, dagli ultimi editori (H. FRIIS JOHANSEN - E.W. WHITTLE, Aeschylus. The Suppliants, Copenhagen 1980, I, p. 87 e II, p. 149; WEST, Aeschyli tragoediae, p. 136; P. SANDIN, Aeschylus’ Supplices. Introduction and Commentary on vv. 1-523, Göteborg 2003, p. 123). Tuttavia, l’incertezza del coro nell’identificare in Pelasgo il sovrano della città si potrebbe anche spiegare, all’in8

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delle Danaidi di distinguere la sovranità di Pelasgo può derivare dall’ovvia circostanza che esse sono legate a un’immagine di regalità orientale, molto diversa da quella greca. Resta comunque un dato in sé significativo – in considerazione anche del convenzionale ruolo, rivestito dal coro tragico greco, di orientare la reazioverso, come influenzata dalla precedente presentazione di Danao, il quale dalla sua postazione di vedetta sul pagos non avrebbe fatto specifica menzione di re in arrivo. Purtroppo il testo tràdito in questo punto è quasi certamente guasto, a causa dell’oggettiva difficoltà sintattica di combinare il complemento di moto a luogo pro;" hJma~" al v. 184 con il predicato nominale ojpth~re" ei\en al v. 185 (un tale nesso, infatti, pur conservato ad es. da Page, West e Sandin, dovrebbe avere in realtà il significato di «guardare in direzione di noi», anziché l’atteso «venire verso di noi nel ruolo di osservatori»: cfr. in proposito le valide osservazioni di Friis Johansen - Whittle ad loc.). Nell’ipotesi che il senso da ricostruire sia dunque che i capi della regione, ricevuta notizia dell’arrivo di stranieri, hanno inviato uomini in qualità di osservatori, il testo tràdito può essere riarrangiato in uno dei modi seguenti: 1) con l’emendamento ojpth~ra" ei|en di Herwerden, già accolto a testo da Murray (tavc j a]n pro;" hJma" ~ ths ~ de gh" ~ ajrchgevtai / ojpthr~ a" ei|en ajggevlwn pepusmevnoi, «è probabile che i capi della regione, informati da dei messi, ci stiano inviando degli osservatori» [con l’ottativo potenziale del verbo i{hmi, nel valore di presente]); 2) postulando fra i vv. 184 e 185 lacuna di un trimetro, secondo quanto giù proposto da O. Foss ap. Friis Johansen - Whittle (tavc j a]n pro;" hJma~" th~sde gh~" ajrchgevtai / < x – U – x – U – x – U – > / ojpth~re" ei\en ajggevlwn pepusmevnoi), e in questa lacuna doveva essere contenuto un riferimento all’azione dell’‘inviare’ («i capi forse ci hanno inviato alcuni loro uomini perché siano osservatori ecc.»). Va precisato che l’ipotesi di lacuna viene accolta a testo nell’edizione di Friis Johansen - Whittle all’interno però di una diversa interpretazione del passo: gli editori correggono infatti il plurale ajrchgevtai nel singolare corrispondente e postulano nel trimetro caduto un riferimento all’azione del ‘venire’, integrando e.g.: < tagoiv i~ i{oien deu~ro, tw~n d j ejphluvdwn > («[l’ajrchgevth" di questa regione] e i capi forse stanno venendo qui e sono osservatori dei forestieri»). Sembra tuttavia improbabile che Danao, legato a un’immagine di regalità orientale, possa immaginare che al solo arrivo di stranieri il sovrano di una regione si muova all’istante per andare a controllare di persona; più naturale sembrerebbe che Danao ipotizzi soltanto che si tratti di ojpthr~ e" «mandati avanti» dal re, e dunque giunti «senza» il re, e questa sua previsione potrebbe aver favorito l’incertezza delle figlie nell’identificazione del sovrano (tra l’altro, negli Eraclidi e nelle Supplici euripidee, come nell’Edipo Coloneo di Sofocle, il primo contatto degli iJkevtai non è direttamente con il re, ma con altri personaggi o il Coro, che fanno da tramite). Va poi attribuito all’intento di sorprendere lo spettatore con una rappresentazione veramente ‘democratica’ di questo atipico re – tanto sollecito del bene comune e impegnato in prima persona da sembrare più un magistrato incaricato dal popolo della sorveglianza del territorio che sovrano assoluto - il fatto che Eschilo faccia arrivare Pelasgo, al fianco dei suoi attendenti e senza ricorso a intermediari, alla prima avvisaglia di pericolo, ancor prima di essere informato da altri ojpth~re" circa l’identità degli stranieri, o comunque senza esser stato esplicitamente convocato (come invece avviene per il Teseo sia nelle Supplici euripidee, dove sopraggiunge per iniziativa della madre [cfr. v. 36 s.], sia nell’Edipo a Colono, dove è lo stesso Edipo a mandarlo a chiamare [cfr. vv. 70 e 550]). Si noti che la conservazione, al v. 184, del plurale ajrchgev-

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ne emotiva e anche ideologica dello spettatore in corrispondenza dell’ingresso di un nuovo personaggio – il fatto che le Danaidi non dimostrino di distinguerlo da un privato cittadino, e dunque non ne vedano le differenze, nell’abbigliamento, rispetto al gruppo che lo scorta. Quanto all’ipotesi finale di ‘capo della città’, essa sembra determinata dal fatto che Pelasgo prende la parola a nome di tutto il gruppo, analogamente a quel che fa qui la Corifea nel suo ruolo di ‘capo del coro’, ovvero di portavoce del gruppo che ella rappresenta, senza che questo necessariamente comporti un addobbo scenico differente. 1.3. La risposta di Pelasgo ai vv. 250-270 si articola in tre momenti fondamentali. Il sovrano innanzitutto chiarisce la sua identità e dinastia: tou~ ghgenou~ " gavr eijm j ejgw; Palaivcqono" i\ni" Pelasgov", th~ sde gh~ " ajrchgevth". ejmou~ d j a[nakto" eujlovgw" ejpwvnumon gevno" Pelasgw~ n thvnde karpou~ tai cqovna10. Per comprendere il senso di questa incipitaria presentazione, è opportuno richiamare il fatto che nell’immaginario dei Greci la tai (ME), che Friis Johansen corregge nel singolare corrispondente, comporterebbe al v. 187 la correzione del tràdito stovlon in stovlo" (Todt): «Sia che la schiera di costoro muova (tw~nd j ejpovrnutai stovlo") senza intenzione di nuocere sia che invece (muova) acuita da cruda collera, è meglio in ogni caso, fanciulle, sederci sul colle di questi dèi riuniti» (così ad es. Murray). Friis Johansen - Whittle fanno del singolare ajrchgevth" (v. 184) il soggetto anche del periodo successivo: «sia che (il sovrano) invii questa schiera (tovnd j ejpovrnutai stovlon: tovnd j Turnebus, tw~nd j ME) senza intenzione di nuocere sia che invece (la invii) acuito da cruda collera, etc.». Benché la correzione di stovlo" non sia strettamente necessaria (l’accusativo tovnd j ... stovlon è ad esempio conservato, dopo West, anche da Sandin, secondo cui il soggetto sottinteso di ejpovrnutai sarebbe o[clo", mutuato dal v. 182, e stovlon diventerebbe una sorta di astratto nel senso di «spedizione, missione», come già lo scolio al v. 187 probabilmente intendeva: to;n pro;" hJma~" stovlon meta; oJrmh~" poiei~tai), mi pare che non sussistano validi motivi per dubitare del facile emendamento di Todt. Senza contare che, mentre sarebbe alquanto facile spiegare il passaggio di tw~nd(e) a tovnd(e) per attrazione del sostantivo corrispondente una volta che questo si sia corrotto in stovlon, meno naturale appare il procedimento contrario di dissimilazione di tovnd(e) stovlon in tw~nd(e) stovlon. 10 «Io sono figlio del terrigeno Palectone, Pelasgo, sovrano di questa terra. E giustamente prende nome da me, suo signore, il popolo dei Pelasgi che fa fruttificare questo suolo».

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figura di Pelasgo, a prescindere dalla sua collocazione geografica, assai variabile nelle nostre fonti, era di per sé strettamente collegata con i primordi della storia greca: il poeta epico Asio di Samo considerava addirittura Pelasgo come il primo uomo: ajntivqeon de; Pelasgo;n ejn uJyikovmoisin o[ressi / gai~ a mevlain j ajnevdwken, i{na qnhtw~ n gevno" ei[h (fr. 8 Bernabé)11. Nelle Supplici Eschilo, facendo di Argo una città abitata da Pelasgi e retta da un re Pelasgo, intende precisamente rievocare quella mitica lontananza temporale, quasi a dire che Argo fin dalla sua origine fu governata da un ottimo re, dotato – come apparirà chiaro nel prosieguo dell’azione – di autentico spirito democratico: una città, dunque, che ha insita nel suo materiale genetico la vocazione al riconoscimento della sovranità del popolo e l’astensione da atteggiamenti autocratici e totalitari. Per di più Eschilo fa qui nascere Pelasgo da Palectone, generato dalla terra: tou~ ghgenou~ " gavr eijm j ejgw; Palaivcqono" / i\ni" (v. 250). Il raro termine Palaivcqwn non si trova altrove attestato come nome proprio: ricorre per contro come epiteto di Ares in Aesch. Sept. 105 s., in allusione al fatto che il dio è antenato dei Tebani12, nonché, ancora in funzione attributiva, in un epigramma citato da Eschine, in riferimento agli Ateniesi, dove appare a tutti gli effetti quale sinonimo di aujtovcqwn, come già lo scoliasta chiosava (cfr. Schol. Aeschin. III 190 palaivcqwn: wJ" aujtovcqwn): Touvsd j ajreth~ " e{neka stefavnoi" ejgevraire palaivcqwn dh~ mo" jAqhnaivwn, oi{ pote tou;" ajdivkoi" qesmoi~ " a[rxanta" povlio" prw~ toi katapauvein h\rxan, kivndunon swvmasin ajravmenoi (in Ctesiph. 190). Nelle Supplici il termine palaivcqwn passa da epiteto a nome proprio e l’aggettivo ghgenou~ " con esso concordato suona quindi come un’interpretazione (in realtà un’autentica glossa) del nome proprio Palectone: Palaivcqono" scilicet aujtovcqono", sulla stessa Sulle diverse genealogie di Pelasgo, cfr. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche, pp. 88 ss.

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Cfr. tiv rJevxei" prodwvsei", palaivcqwn [Arh", ta;n teavn; (circa l’interpretazione dell’epiteto, cfr. Schol. Aesch. Sept. 104f palaivcqwn [Arh". ejk pollou~ klhrwsavmeno" thvnde th;n gh~n, ibid. 104g palaivcqwn: oJ pavlai th;n gh~n katevcwn).

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linea dello scolio al sopra citato passo di Eschine. Nel rilievo conferito al tema dell’autoctonia affiora dunque il proponimento di Eschilo di stabilire un parallelo fra Atene e Argo, entrambe autoctone: non è un caso che la sequenza tou~ ghgenou~ " (...) Palaivcqono" sia perfettamente sovrapponibile alla stringa lessicale tou~ te ghgenou~ " / E j ricqonivou che in Eur. Ion 20-21 si trova applicata a un mitico re di Atene. Palectone è dunque l’omologo argivo di Erictonio, il simbolo dell’autoctonia ateniese, e Pelasgo è suo figlio13. È plausibile l’ipotesi14 che questa genealogia di Pelasgo, non altrove attestata, sia un’invenzione di Eschilo, il cui scopo è di rafforzare – già nella presentazione del personaggio mediante il riferimento ai suoi antenati – il parallelismo con Atene. Ma c’è di più. Secondo tradizioni mitiche antiche delle quali c’è traccia nella Biblioteca di Apollodoro15, l’eroina Io, da cui provengono le Danaidi, discende in linea diretta dal fondatore della stirpe argiva, variamente identificato nelle nostre fonti, e Pelasgo, laddove menzionato, si colloca rispetto a esse a un livello più antico16. 13 A proposito dei significati sottesi alla rivendicazione dell’autoctonia da parte di Atene, cfr. J.M. HALL, Ethnic Identity in Greek Antiquity, Cambridge 1997, p. 54: «Autochthony offered a number of advantages. Firstly, it served to distinguish the ‘ethnically pure’ Athenians from those whose descent from ancestors such as Pelops, Kadmos, Aigyptos or Danaos made them ‘barbarian’ by nature, even if nominally Greek. Secondly, by tracing descent back, through Erekhtheus, to the life-nourishing earth, Athenians subscribed to an ideology of equality in which social existence derived from one and the same territory rather than from differentiated human progenitors». Sul significato ideologico delle proclamazioni di Pelasgo, nonché sulle sue implicite connessioni con Atene, cfr. anche V.J. ROSIVACH, Autochthony and the Athenians, CQ, 37 (1987), p. 298, n. 15; E. HALL, Inventing the Barbarian. Greek SelfDefinition through Tragedy, Oxford 1989, pp. 170 s., e R. BERNEK, Dramaturgie und Ideologie. Der politische Mythos in den Hikesiedramen des Aischylos, Sophokles und Euripides, München-Leipzig 2004, p. 48 e n. 13, con ulteriore bibliografia. Eschilo appare qui in linea con le tradizioni locali, recepite e rielaborate dallo storico argivo Acusilao (cfr. infra, n. 16), che parlano di un’antica vocazione da parte di Argo per l’uguaglianza e l’autonomia (cfr. anche Paus. II 19, 2: jArgeio~ i ... ijshgorivan kai; to; aujtovnomon ajgapw~nte" ejk palaiotavtou). 14 Già formulata da BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche, pp. 81 e 86. 15 Cfr. Apollod. II 1, 1-35. 16 Cfr. in proposito V. VITALI, Esempi tragici di buon governo e mal governo ad Argo: Pelasgo ed Euristeo a confronto, in P. ANGELI BERNARDINI (a cura di), La città di Argo. Mito, storia, tradizioni poetiche, Roma 2004, pp. 177-178 e n. 4. Acusilao, ad es., faceva di Pelasgo e di suo fratello Argo i figli di Zeus e di Niobe, quest’ultima a sua volta figlia di Foroneo, il primo uomo. Sugli intendimenti propagandistici di questa genealogia si vedano le osservazioni di BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche, pp. 84 ss.

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Il Pelasgo eschileo, invece, non solo risulta contemporaneo delle Danaidi, come è richiesto dalla finzione drammaturgica17, ma pare addirittura estraneo alla linea genealogica che dall’eroina Io conduce alle Danaidi. In altre parole: la genealogia che interessa a Eschilo e che egli fa solennemente professare a Pelasgo è quella che lo collega a Palectone, perché introduce il tema dell’autoctonia, funzionale all’equiparazione con Atene, e non quella che lo collega, attraverso Io, alle Danaidi. Da ciò scaturisce un’altra significativa conseguenza. Benché il coro si richiami ripetutamente alle tematiche del gevno", e si attenda accoglienza in Argo prevalentemente sulla base di ragioni dinastiche18, Eschilo non voleva che l’accoglienza delle Danaidi da parte di Pelasgo fosse fatta dipendere da legami di parentela che coinvolgessero in prima persona il solo sovrano. Voleva invece che l’accoglienza si trasformasse in una questione politica, in cui a decidere fossero le istituzioni cittadine. Si tratta di uno sviluppo diverso del tema che su scala più ampia Eschilo affronterà nell’Orestea: la priorità del patto politico-sociale rispetto alle relazioni di sangue all’interno del gevno". Si noti che, come spesso avviene in Eschilo, l’introduzione di un motivo nuovo, avvertito come particolarmente importante, è sottolineata attraverso un’immagine. Per ribadire il tema dell’autoctonia di Argo, al v. 253 si dice che la stirpe pelasgica «fruttifica la terra»: gevno" Pelasgw~ n thvnde karpou~ tai cqovna. Si realizza così una corrispondenza fonica (ma anche logica) fra le clausole palaivcqono" al v. 250 e karpou~ tai cqovna al v. 253, rispettivamente al primo e ultimo verso di questa sezione introduttiva che illustra l’origine del re e del suo popolo. Gli Argivi, autoctoni, sono metaforicamente paragonati a piante radicate nel suolo: per sottolineare il loro legame con la terra Eschilo non esita ad ‘arborificarli’. 17 Alcuni studiosi, sulla base del fatto che nessuna fonte prima di Eschilo parla di un appello delle Danaidi a Pelasgo (dopo Eschilo gli unici riferimenti sono in Schol. Eur. Or. 857 e 932, e in Ov. Her. XIV 23, che potrebbero dipendere dalla versione eschilea), propendono a ritenere che si tratti di un’innovazione mitica del nostro tragediografo: cfr. in proposito BURIAN, Pelasgus and Politcs, p. 13, n. 23, che a sua volta rimanda a M.L. CUNNINGHAM, A Fragment of Aeschylus’ Aigyptioi?, RhM, 96 (1953), p. 228.

Per quanto riguarda il rilievo conferito dalle Danadi alle ragioni del clan, cfr. in particolare i vv. 15 ss. (kevlsai d j A [ rgou" gai~an, o{qen dh; gevno" hJmevteron th~" oijstrodovnou boo;" ejx ejpafh~" kajx ejpipnoiva" Dio;" eujcovmenon tetevlestai), 206 s., 527 s.

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1.4. Nella seconda parte del suo intervento, ai vv. 254-259, Pelasgo passa a definire l’estensione del suo regno: kai; pa~ san ai\an, h|" div j aJgno;" e[rcetai Strumwvn, to; pro;" duvnonto" hJlivou, kratw~ . oJrivzomai de; thvn te Perraibw~ n cqovna, Pivndou te tajpevkeina, Paiovnwn pevla", o[rh te Dwdwnai~ a. suntevmnei d j o{ro" uJgra~ " qalavssh". tw~ nde tajpi; tavde kratw~ 19. I confini di questi territori sono assai ampi e alquanto vaghi20. La frontiera settentrionale si estende approssimativamente dalla riva occidentale dello Strimone in Tracia: tocca le terre dei Perrebi, popolazione che in Il. II 749-51 è localizzata sulle rive del Titaresio e compare come alleata di Agamennone; poi sono menzionati i Peoni, anch’essi inseriti tra gli alleati di Agamennone in Il. II 848849, dove si dice che sono stanziati lungo il fiume Assio (di essi parla anche Erodoto come alleati degli Ateniesi contro i Persiani in V 12-15, VII 185 et al.); quindi si menziona la regione al di là (forse a nord o a ovest) del Monte Pindo, e il distretto montuoso di Dodona nell’Epiro meridionale, il cui oracolo era tradizionalmente ritenuto di origine pelasgica. L’intero territorio che da questo ventaglio settentrionale, dispiegato lungo l’asse est-ovest, si estende in direzione sud, fino a comprendere il Peloponneso, costituisce il regno di Pelasgo: la sua sfera d’influenza abbraccia dunque gran parte della Grecia propriamente detta. Podlecki coglieva in queste parole una presa di distanze da Sparta, che aveva aspirazioni espansionistiche che vengono così disconosciute dalle proclamazioni di Pelasgo21. Alcuni studiosi 19 «E domino su tutto il territorio che il sacro Strimone attraversa, a partire dalla sua riva occidentale. Ho come confine il paese dei Perrebi, e le terre del Pindo, vicino ai Peoni, e i monti di Dodona; l’umido mare ne delimita il confine: da questi a quei territori s’estende il mio dominio». Si noti la struttura anulare di questa sezione, con il ricorrere dell’identica clausola kratw~ ai vv. 255 e 259 (sul significato di questo stilema consapevolmente ‘arcaizzante’ cfr. infra, par. 2.6 e n. 80). 20 Relativamente ai numerosi problemi interpretativi posti da questi versi (in part. il senso da dare al verbo oJrivzomai al v. 256, se «includo all’interno dei miei confini», oppure «ho come confini esterni», nonché la trasposizione proposta da Friis Johansen fra Perraibw~n e Paiovnwn ai vv. 256-257), un’utile sintesi è contenuta nel commento di Sandin (pp. 148-149). 21 Cfr. PODLECKI, The Political Background, p. 60. A una sottesa polemica antispartana,

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hanno osservato che il rilievo dato dal re argivo alle terre tessaliche, all’interno dei suoi possedimenti, ben si concilia con il momento storico della triplice alleanza che, stipulata nel 462-461 tra Atene e Argo, fu quasi subito estesa alla stessa Tessaglia22. A parere di altri, tra cui la Gülke23, in queste parole di Pelasgo sarebbero adombrate nel complesso aspirazioni territoriali ateniesi; più specificamente alle mire espansionistiche della politica periclea ha pensato la Luppino24: il che, se vero, istituirebbe un ulteriore legame tra l’Atene contemporanea e la rappresentazione eschilea della mitica Argo. Tuttavia, sono probabilmente nel giusto quanti ritengono che il riferimento alla Grecia nella sua totalità sia sganciato da specifici fattori contingenti di polemica territoriale o politica; Eschilo più semplicemente avrebbe qui voluto evocare un passato indistinto e ancestrale, pelasgico appunto: una sorta di magma ancora indifferenziato dal quale, come gli spettatori ben sapevano, sarebbero derivate l’Atene e l’Argo contemporanee e le loro alleate, ovvero tutte le città che si riconoscevano nelle strutture democratiche e in opposizione a Sparta 25. 1.5. Nella terza e ultima parte del suo intervento, a partire dal v. 260, Pelasgo si sofferma a raccontare, con dovizia di dettagli, un lontano episodio mitico legato a leggende locali argive. Si tratta del mito di Apis, figlio di Apollo e, come il padre, medico-indovino (ijatrovmanti" v. 263), il quale purificò (ejkkaqaivrei v. 264) quei territori dai mostri che la terra aveva prodotto per essere stata contaminata da delitti orrendi: allo scopo di rivendicare la priorità delle pretese territoriali argive, pensa anche A. DIAMANTOPOULOS, The Danaid Tetralogy of Aeschylus, JHS, 77 (1957), p. 228, il quale però colloca la rappresentazione del dramma nel periodo successivo alla battaglia di Sepia. 22 A proposito del rilievo conferito da Pelasgo alla Tessaglia, e sulle sue connessioni politiche, cfr. BRACCESI, Implicazioni politiche, pp. 4 ss., in part. n. 5. 23 Cfr. GÜLKE, Mythos und Zeitgeschichte bei Aischylos, p. 69. 24 Cfr. E. LUPPINO, I Pelasgi e la propaganda politica del V secolo a.C., CISA 1, Milano1972, pp. 71-77. 25 Cfr. in part. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche, pp. 68-69. Del resto, nel fare di Argo un regno panellenico Eschilo aveva dalla sua l’autorevolezza del pater Homerus in cui il temine jArgei~oi contrassegnava tutti i Greci (inoltre Omero stesso in Il. II 681 aveva parlato di coloro che abitavano «Argo Pelasgica» all’inizio del catalogo degli Achei: nu~n au\ tou;" o{ssoi to; Pelasgiko;n [Argo" e[naion): colorito epicoarcaico e istanze di attualizzazione sono, anche in questo caso come spesso altrove nelle Supplici, in stretta connessione.

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aujth~ " de; cwvra" jApiva" pevdon tovde pavlai kevklhtai fwto;" ijatrou~ cavrin. \Api" ga;r ejlqw;n ejk pevra" Naupaktiva" ijatrovmanti" pai~ " jApovllwno" cqovna thvnd j ejkkaqaivrei knwdavlwn brotofqovrwn, ta; dh; palaiw~ n aiJmavtwn miavsmasi cranqei~ s j ajnh~ ke gai~ a mhnei~ tai a[kh drakonqovmilon dusmenh~ xunoikivan. touvtwn a[kh tomai~ a kai; luthvria pravxa" ajmevmptw" \Api" jArgeiva/ cqoni; mnhvmhn pot j ajntivmisqon hu{ret j ejn litai~ "26. La menzione di Apis assolve in questo contesto a un’importante funzione drammatica, quella di evidenziare il ruolo di civilizzazione svolto dagli antichi Argivi nei confronti dei territori in cui s’erano insediati (la liberazione dai mostri aveva nel mito, com’è noto, questo specifico significato: anche a Teseo, l’eroe civilizzatore attico, era stata attribuita un’analoga funzione)27. Dunque la terra in cui le Danaidi sono giunte è una terra che è stata ‘civilizzata’. C’è a questo proposito una corrispondenza interessante con le Eumenidi, e precisamente con il discorso della Pizia nel prologo, ai vv. 9 ss.: si tratta, tra l’altro, della prima menzione, all’interno della trilogia, di Atene, la città destinata a rivestire un ruolo risolutivo nel prosieguo della vicenda. Tale riferimento è introdotto a proposito del viaggio di Apollo dall’isola di Delo, nella quale ha avuto i natali, a Delfi, dove prenderà possesso dell’oracolo, e si realizza attraverso la significativa perifrasi degli Ateniesi come «i figli di Efesto», il che, accanto all’ovvio dato genealogico della provenienza divina, ne evidenzia soprattutto l’abilità di costruttori, e dunque di ‘civilizzatori’:

26 Aesch. Suppl. 260-270: «Per quanto riguarda la terra Apia in sé, questo suolo è così chiamato fin dal tempo antico in virtù di un medico. Apis, infatti, medico indovino figlio di Apollo, proveniente da oltre Naupatto, purificò questa regione da mostri sterminatori di uomini, dolori che la terra, contaminata dai contagi di antichi delitti, aveva generato spinta dall’ira, coabitazione funesta di draghi assembrati. Contro di essi irreprensibilmente agendo con rimedi drastici e risolutorî per la terra argiva, Arpis in contraccambio trovò allora ricordo nelle preghiere». 27 Cfr. infra, n. 35.

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lipw;n de; livmnhn Dhlivan te coiravda, kevlsa" ejp j ajkta;" naupovrou" ta;" Pallavdo", ej" thvnde gai~ an h\lqe Parnhsou~ q j e{dra". pevmpousi d j aujto;n kai; sebivzousin mevga keleuqopoioi; pai~ de" JHfaivstou, cqovna ajnhvmeron tiqevnte" hJmerwmevnhn28. Nell’inserire la terra attica nell’itinerario di Apollo da Delo a Delfi, Eschilo sta esponendo una versione mitica palesemente filoateniese. In realtà la tradizione più diffusa faceva sbarcare il dio in Beozia, al Monte Messapio29 oppure a Delio nel territorio di Tanagra30 (in ricordo di questo viaggio Apollo aveva a Delio, nella Beozia inferiore, un tempietto, com’è documentato da Tucidide)31. Secondo Eschilo32, invece, Apollo sarebbe sbarcato in Attica e da qui fino a Delfi scortato dagli Ateniesi, i quali gli aprirono il cammino per un territorio incolto e impervio, «rendendo civile un luogo prima selvaggio»33. Il passaggio di Apollo e degli Ateniesi ha dunque determinato la civilizzazione di quelle terre così come l’intervento di Apis, che di Apollo è figlio34. Si noti la 28 Aesch. Eum. 9-14: «[Apollo], abbandonando il lago e le rocce di Delo, dopo essere approdato alle rive portuose di Pallade, giunse a questa terra e alle sedi del Parnaso. Lo scortano, aprendogli il cammino, e grandemente lo onorano i figli di Efesto, rendendo civilizzato un territorio selvaggio». 29 Cfr. Hom. Hymn. Ap. 223 e il commento di A.H. SOMMERSTEIN, Aeschylus. Eumenides, Cambridge 1989, p. 82. 30 Cfr. Pind. fr. 286. Sn.-M. 31 Cfr. Thuc. IV 76, 4. 32 Secondo A.J. PODLECKI, Aeschylus. Eumenides, Warminster 1989, p. 130 si tratterebbe di un’invenzione da attribuire allo stesso Eschilo. 33 Il v. 14 costituisce il primo three word trimeter delle Eumenidi, una soluzione stilistica prediletta da Eschilo laddove si tratti di sottolineare concetti di un certo rilievo (si veda in proposito M. MARCOVICH, Three-Word Trimeter in Greek Tragedy, Königstein/Ts 1984, p. 35). Si tratta naturalmente del percorso attraverso cui gli Ateniesi conducevano a Delfi le loro sacre ambascerie, la celebre hJ iJrh; oJdov" (cfr. Eforo in FGrH 70 F 31b), e la menzione dei costruttori di strade (keleuqopoioivv) fornisce il supporto eziologico a un costume ateniese di cui fa menzione lo scolio a Eum. 13: le delegazioni sacre inviate a Delfi erano precedute da uomini e[conte" pelevkei" wJ" dihmerwvsonte" th;n gh~n. 34 La discendenza di Apis da Apollo è un motivo che si trova solo in Eschilo: cfr. FRIIS JOHANSEN - WHITTLE, Aeschylus. The Suppliants, II, p. 211 (n. ad vv. 260-270) e 214 s. (n. ad vv. 268-270); CH. ROHWEDER, Macht und Gedeihen. Eine politische Interpretation der Hiketiden des Aischylos, Frankfurt am Main 1998, pp. 142 s., n. 48; BERNEK, Dramaturgie und Ideologie, p. 49.

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corrispondenza, puntuale persino sul piano lessicale oltre che nella costruzione sintattica (aggettivo composto + riferimento alla paternità del dio + il temine cqovna), fra il trimetro con cui è menzionato Apis figlio di Apollo e il trimetro in cui sono menzionati gli Ateniesi figli di Efesto: ijatrovmanti" pai~ " jApovllwno" cqovna (Suppl. 263) keleuqopoioi; pai~ de" JHfaivstou cqovna (Eum. 13). Grazie all’evidenziazione di questi specifici dati mitici nei due drammi si coglie dunque un ulteriore parallelismo concettuale e tematico, nella comune funzione civilizzatrice, fra Atene e Argo35. Nelle Eumenidi questo dettaglio mitico, apparentemente digressivo nel contesto della preghiera prologica della Pizia, prelude in realtà alla risoluzione della vicenda drammatica rappresentata. Nel prosieguo dell’azione lo spettatore vedrà infatti riconfermarsi sulla scena la funzione civilizzatrice della polis ateniese a cui la Pizia accennava nel prologo: le animalesche e primitive Erinni, grazie all’intervento congiunto di Apollo e della comunità ateniese rappresentata da Athena, perderanno il loro carattere selvaggio e ferino, per inserirsi a pieno titolo nella comunità civile. Ma anche nelle Supplici, a ben vedere, la funzione dell’inserto mitico è analoga: Apis con rimedi drastici (a[kh tomai~ a kai; luthvria, v. 268) liberò in passato la sua terra, così come farà alla fine del dramma Pelasgo stesso, il quale dovrà anzi tutto evitare la contaminazione che le Danaidi, se non troveranno accoglienza, minacciano di gettare sulla città, impiccandosi alle statue degli dèi; quindi, s’impegnerà a liberare il territorio argivo dall’attacco degli Egizi. La corrispondenza fra questa digressione mitica e il plot drammaturgico è evidenziata, come spesso in Eschilo, dalla ripresa di analoghi nessi espressivi (griglia ideologica, griglia tematica e griglia lessicale appaiono a questo proposito strettamente intrecciate, come è dato sovente di riscontrare nel teatro eschileo): a) Pelasgo, come Api, deve ricorrere a rimedi drastici: l’ a[ko"La corrispondenza è resa ancor più evidente se si tiene conto che il sopramenzionato scolio a Eum. 13 pone in relazione la funzione civilizzatrice degli Ateniesi con l’eroe locale, Teseo (keleuqopoioi; pai~de": Qhseu;" th;n oJdo;n ejkavqhre tw~n lh/stw~n), il che rende ancora più stringente il parallelismo con Apis.

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Motiv, solennemente introdotto al v. 268 a proposito di Apis (touvtwn a[kh tomai~ a kai; luthvria), verrà ripreso da Pelasgo in riferimento alla situazione attuale, che richiede interventi incisivi da parte sua e dell’intero popolo argivo (ejkponei~ n a[kh, v. 367; phmonh~ " a[kh, v. 451). b) Apis deve porre rimedio al mivasma causato da ai|ma (v. 265); anche Pelasgo deve guardarsi dal mivasma delle Danaidi (vv. 366 e 473) e dallo ai|ma che si verserà in una battaglia contro gli Egizi (vv. 449 e 477). c) I serpenti da cui Api ha liberato la terra hanno il loro corrispettivo simbolico negli Egizi: cfr. v. 267, drakonqovmilon dusmenh~ xunoikivan e v. 511, drakovntwn dusfrovnwn (con l’equivalenza, sul piano semantico e fonico, dei composti dusmenh~ e dusfrovnwn). Si scorge dunque l’evidente intento, da parte di Eschilo, di istituire un sotterraneo parallelismo fra passato e presente mitico di Argo, come per l’appunto nelle Eumenidi avverrà a proposito di Atene. 1.6. A questa auto-presentazione iniziale segue ai vv. 274 ss. uno scambio dialogico in cui Pelasgo apprende che le Danaidi hanno una lontana origine argiva per il fatto di discendere da Io, e viene inoltre informato sul contenuto della loro richiesta: essere accolte nella città e protette dall’assalto degli Egizi. Il sovrano subito rimanda la decisione al popolo, giacché a lui non è possibile effettuare promesse se non dopo aver messo a parte dei fatti in questione i suoi concittadini: ejgw; d j a]n ouj kraivnoim j uJpovscesin pavro", / ajstoi~ " de; pa~ si tw~ nde koinwvsa" pevri (vv. 368-369). Comincia a delinearsi, attraverso gli interventi di Pelasgo, il ruolo non di sovrano assoluto, bensì piuttosto di primus inter pares, che lo caratterizza in questo dramma36. Il coro, legato a un’immagine di regalità orientale, reagisce vivacemente e rimarca con forza l’aspetto monocratico del comando di Pelasgo, rielaborando con una serie di originali composti i tradizionali e simbolici concetti di trono, scettro, altare, che associavano insieme potere divino e potere religioso: 36 A proposito del contrapporsi, all’interno dell’intero dramma, fra l’idea di dh~mo" al potere e quella di a[nax al potere, cfr. R.E. SARDIELLO, Il problema della datazione e il significato politico delle ‘Supplici’ di Eschilo, «Ann. Fac. Lettere Univ. Lecce» 5 (1969/71), p. 23 e n. 55.

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[Co.]

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suv toi povli", su; de; to; dhvmion. pruvtani" a[krito" w[n, kratuvnei" bwmovn, eJstivan cqonov", monoyhvfoisi neuvmasin sevqen, monoskhvptroisi d j ejn qrovnoi" crevo" pa~ n ejpikraivnei". (vv. 370-375)37

Il pruvtani", termine con cui esse al v. 371 apostrofano il loro interlocutore, è invero un ufficiale dello stato, e come tale Pelasgo stesso ha inteso presentarsi ai vv. 368-369. Ma le Danaidi, che sono solo agli inizi della loro paideutica democratica, recepiscono in forma ancora molto impropria il concetto, e con l’ossimorica locuzione pruvtani" a[krito" attribuiscono a Pelasgo il ruolo di supremo magistrato dotato di insindacabile giudizio, in netto contrasto con la procedura democratica per la quale ogni ufficiale era soggetto a rendiconto, uJpeuvquno"38. Pelasgo non può naturalmente confermare questa scorretta formulazione, e nei versi successivi ribadisce ripetutamente il proprio ruolo di alto ufficiale che s’appoggia non sul kratos ma sul consenso. Più avanti, ai vv. 397-401, egli ritorna sulle difficoltà di una decisione le cui conseguenze ricadrebbero sul popolo, ed esprime la propria preoccupazione di fronte alla prospettiva di incorrere nel biasimo dei concittadini39; e poco dopo, ai vv. 406-411, invocando la chia«Tu sei la città, tu il popolo: capo non soggetto a giudizi, governi l’altare, focolare della terra, con i tuoi cenni monovotanti, e su troni monoscettrati ogni necessario decreto tu imponi». A proposito di queste proclamazioni delle Danaidi (“L’État c’est toi!”), cfr. BACON, Barbarians in Greek Tragedy, p. 35; D. LOTZE, Zum Begriff der demokratie in Aischylos’ Hiketiden, in E.G. SCHMIDT, Aischylos und Pindar. Studien zu Werk und Nachwirkung, Berlin 1981, p. 212; H. DILLER, Die Hellenen-Barbaren-Antithese im Zeitalter der Perserkriege, in Grecs et barbares (Entretiens Fondation Hardt 8), Vandœuvres/Genève 1962, p. 47; BERNEK, Dramaturgie und Ideologie, p. 53. 38 In modo analogo, in Pers. 213, la definizione del Gran Re come oujc uJpeuvquno" povlei esprime l’essenziale divario fra il dispotismo del monarca persiano e il sistema democratico ateniese, dal quale viene mutuata la terminologia tecnica; cfr. in proposito DEGANI, La tragedia, p. 263. 39 Cfr. vv. 397-401: [BA.] oujk eu[kriton to; kri~ma: mhv m j aiJrou~ krithvn. / ei\pon de; kai; privn, oujk a[neu dhvmou tavde / pravxaim j a[n, oujdev per kratw~n, mh; kaiv pote / ei[ph/ lewv", ei[ pouv ti mh; toio~ n tuvcoi, / ejphvluda" timwn~ ajpwvlesa" povlin’. Al v. 399 c’è un ambiguo kratw~n come participio con valore condizionale di protasi: il significato oscilla fra «nemmeno se ne ho il potere» (protasi della realtà: periodo ipotetico misto), oppure «nemmeno se ne avessi il potere» (protasi della possibilità): e

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rezza di idee, perché la vicenda termini senza danno per la città, nuovamente dimostra di anteporre la polis a se stesso. Per contro, il coro insiste ancora sulla sua concezione orientale di potere assoluto, attribuendo a Pelasgo al v. 425 l’espressione w\ pa~ n kravto" e[cwn cqonov" che si trova usata in Erodoto precisamente per descrivere il ruolo della regina persiana Atossa (hJ ga;r [Atossa ei\ce to; pa~ n kravto" Her. VII 3, 4). Solo dopo che le Danaidi hanno minacciato di uccidersi sugli altari, gettando così il mivasma sulla città, Pelasgo decide di sostenere la loro causa davanti all’assemblea; prima però invita Danao a deporre ramoscelli su tutti gli altari perché i cittadini vedano con i loro occhi le testimonianze della supplica e le parole di Pelasgo non siano respinte: «giacché – egli afferma ai vv. 480 ss. – il popolo ama accusare il potere» (kat j ajrch~ " ga;r filaivtio" lewv", v. 485). Come Pelasgo è più leader democratico che monarca, così i suoi sudditi sembrano più il dh~ mo" di una polis democratica, maldicente e naturalmente avverso al potere, che sudditi. Il riflesso delle moderne istituzioni democratiche affiora ancora ai vv. 517 s. nelle parole con cui Pelasgo annuncia il suo intendimento di convocare le genti del luogo «per rendere bendisposta l’assemblea» (to; koino;n wJ" a]n eujmene;" tiqw~ , v. 518). La spiegazione tecnica del funzionamento di un’assemblea democratica viene fornita poco dopo da Danao, che in funzione di messaggero porta l’attesa notizia alle Danaidi: dhvmou devdoktai pantelh~ yhfivsmata (v. 601). La corifea domanda come si è svolta la votazione (vv. 602-604). È il celebre passo in cui è attestato per la prima volta, in attico, il termine «democrazia», ma con i due elementi del composto fra loro distinti: l’astratto si materializza qui nella mano alzata a esprimere il voto, autentica e tangibile manifestazione del potere popolare (dhvmou kratou~ sa ceivr, v. 604). Quasi a tutelarsi nei confronti dell’accusa di anacronismo, Eschilo, nel mentre rappresenta il democratico funzionamento di un’assemblea, ricorre sul piano lessicale a formulazioni arcaizzanti, coerentemente con il suo intento di trasporre nel passato mitistorico di Argo le strutture democratiche contemporanee40. questo lascerebbe intendere che tale potere egli di fatto non l’ha, o comunque non lo vuole assumere (il che è sostanzialmente la stessa cosa). L’anacronismo non potrebbe essere più evidente. 40 Secondo V. EHRENBERG, Origins of Democracy, «Historia», 1 (1950), p. 522, questo

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Alla domanda delle figlie Danao risponde con una descrizione di quello che potrebbe accadere in un’ideale assemblea democratica del V secolo. Nella sua rJh~ si" ajggelikhv, ai vv. 605-624, egli procede a ritroso, partendo dalla fine, ovvero dall’esito dalla votazione, che è precisamente quel che la corifea aveva chiesto (vv. 605-608); poi riferisce nei dettagli il contenuto della mozione che è stata votata (vv. 609-614); quindi chiarisce che a presentare tale mozione fu Pelasgo stesso (vv. 615-616a), e aggiunge che il re accompagnò questa sua proposta con un’esortazione di carattere religioso: che il popolo evitasse la duplice contaminazione, cittadina e straniera insieme (vv. 616b-620). Poi, per effetto della tecnica anulare, si ritorna a rievocare la votazione per alzata di mano che fece seguito all’arringa di Pelasgo, aggiungendo il particolare che non ci fu bisogno dell’araldo (toiau~ t j ajkouvwn cersi;n jArgei~ o" lew;" / e[kran j a[neu klhth~ ro" w}" ei\nai tavde, vv. 621622). Infine, a suggello della commossa rievocazione, l’epilogo finale, con il beneplacito di Zeus (vv. 623-624): i cittadini hanno ascoltato le suadenti volute del discorso di Pelasgo (il riferimento a peiqwv è una ripresa dal v. 523, in cui Pelasgo si augurava che «persuasione» fosse al suo fianco)41, e ha potuto così realizzarsi il volere di Zeus. Quel dio a cui le Danaidi si erano più volte appellate nella sua prerogativa di iJkevsio", viene ora menzionato per la sua qualifica di tevleio", «colui cha porta a buon fine». Il termine tevleio" in riferimento all’esito del voto ritornerà anche al v. 739: tevleia yh~ fo" jArgeivwn sono le rassicuranti parole di Danao alle figlie, quando queste, al vedere avvicinarsi gli Egizi, sono prese dal timore di subire da loro violenza. E infatti, con l’avvallo popolare, una decisione diviene incrollabile. Nell’ultima parte del dramma, quando sopraggiunge l’araldo egizio che tenta di strappare le Supplici dagli altari, riappare Pelasgo che non è più il titubante re di prima, ma appare ora solo passo basterebbe a indicare che la parola democrazia e così la sua idea specifica erano già note al poeta, giacché difficilmente Eschilo avrebbe parlato di dhvmou kratou~sa ceivr o di dh~mo" kratuvnwn se il concetto di dhmokrativa non fosse entrato nella coscienza dei cittadini e non avesse già trovato espressione. Quando Ehrenberg esprimeva queste considerazioni, non era stato ancora scoperto il P. Oxy 2256, e perciò egli datava la tragedia al 490. A maggior ragione, ora che il dramma si sa collocato alla fine degli anni Sessanta, queste sue conclusioni conservano una loro validità. 41 Cfr. dhmhgovrou" d j ... eujpiqei~" strofa;" (Suppl. 623) con peiqw; d j e{poito (v. 523).

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fermissimo nella sua volontà. Anzi, ai vv. 938 ss. egli impartisce all’araldo egizio un’autentica lezione di etica democratica, annullandosi, quasi, nel mandato della polis. L’araldo vuole infatti sapere il suo nome, per riferirlo ai propri sovrani, e Pelasgo gli nega l’informazione, ritenendola «non necessaria» (tiv soi levgein crh; tou[nom j ejn crovnw/ maqw;n / ei[sh/ suv t j aujto;" coij xunevmporoi sevqen, vv. 938-939), e passa invece a riferire la decisione popolare: toiavde dhmovprakto" ejk povlew" miva / yh~ fo" kevkrantai (vv. 942943). Per ribadire l’unanimità della votazione, Eschilo ricorre qui a un altro neologismo, dhmovprakto", che s’inquadra anch’esso all’interno della paideia democratica che Eschilo, attraverso Pelasgo, impartisce agli spettatori greci delle Dionisie; per di più, con l’efficace nesso miva / yh~ fo", in una tipologia di enjambement non molto frequente nella versificazione eschilea, Pelasgo riprende e capovolge il nesso monoyhvfoisi neuvmasin sevqen con cui le Danaidi al v. 373 avevano definito il suo potere monarchico. E per dimostrare che si tratta di una decisione irrevocabile, egli ricorre alla metafora del chiodo piantato stabilmente da parte a parte42. Ora che la decisione di accogliere i profughi è stata presa non da lui solo, ma dal demos intero, Pelasgo accetta serenamente anche l’ipotesi di una guerra, che prima tanto lo angosciava. La sua posizione di primus inter pares, alla stessa stregua degli ajstoiv, riceve infine pieno suggello nelle parole da lui pronunciate prima di abbandonare definitivamente la scena, quando invita le Supplici a scegliersi la dimora che loro più aggrada: [... ] prostavth" d j ejgw; ajstoiv te pavnte", w|nper h{de kraivnetai yh~ fo". tiv tw~ nde kuriwtevrou" mevnei"; (vv. 963-965)43 Il linguaggio di Pelasgo rimane ‘politico’ fino all’ultimo: la sua auto-definizione di prostavth" è infatti il punto di arrivo di un Cfr. Suppl. 944-945 tw~nd j ejfhvlwtai torw~" / govmfo" diampavx, wJ" mevnein ajrarovtw". Su questa e la successiva immagine delle parole occultate su tavolette e papiri, con le quali la proclamazione di Pelasgo, che risuona chiara e percepibile alle orecchie di tutti, è posta a contrasto, cfr. D.T. STEINER, The Tyrant’s Writ. Myth and Images of Writing in Ancient Greece, Princeton, N. J. 1994, pp. 166-167. 43 «Come prostátes avrete me e tutti i cittadini, il cui voto ora trova compimento. Che cosa puoi aspettarti di più autorevole di noi?».

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percorso che attraversa l’intera tragedia, e le cui tappe possono essere qui solo velocemente menzionate. All’inizio del dramma le Danaidi sono xevnoi – lo ricorda loro il padre Danao, che aggiunge l’ulteriore qualifica di fugav" (mevmnhso d j ei[kein. crei~ o" ei\ xevnh fugav", v. 202), e lo ribadisce Pelasgo stesso, incredulo alla prospettiva che esse siano greche (a[pista muqei~sq ,j w\ xevnai, kluvein ejmoiv v. 277) – e per di più esse mancano di un prosseno: ajprovxenoi (v. 239)44. Come loro provxeno" esse eleggeranno Pelasgo (cfr. vv. 418-420, frovntison kai; genou~ pandivkw" eujsebh;" provxeno" . ta;n fugavda mh; prodw/~ " e 490-491, pollw~ n tavd j hJmi~ n ejstin hjxiwmevna, / aijdoi~ on euJreqevnta provxenon labei~ n). Quando poi si scopre che una loro antenata era l’argiva Io, le Danaidi da xevnoi diventano ajstovxenoi (v. 356), un efficacissimo composto il cui limpido senso era già stato opportunamente illustrato dal relativo scolio: tw~ n nu~ n me;n xevnwn, prwvhn de; sunhmmevnwn tw~ / a[stei. Le Danaidi sono dette mevtoikoi per la prima volta all’interno del decreto votato dall’assemblea popolare ai vv. 609-610 (hJma~ " metoikei~ n th~ sde gh~ " ejleuqevrou" / kajrrusiavstou" xuvn t j ajsuliva/ brotw~ n); quindi, una volta che esse hanno definitivamente acquisito lo statuto di meteci, allorché si avviano verso le loro nuove sedi, Danao le esorta a comportarsi bene, ovvero con il pudore e la riservatezza che compete alla loro giovane età, in quanto tutti sono pronti a sparlare dei mevtoikoi, e ricorre a questo proposito a una massima che doveva esprimere un parere piuttosto diffuso tra i cittadini ateniesi in relazione a questa classe sociale: pa~ " d j ejn metoivkw/ glw~ ssan eu[tukon fevrei / kakhvn, tov t j eijpei~ n eujpete;" muvsagmav pw" (vv. 994-995)45. Anche da questa prospettiva, dunque, come rivela il ricorso assai puntuale alla terminologia tecnica in relazione all’accoglienza degli xevnoi fugavde", Argo diviene speculum della vita politico-sociale ateniese.

44 Cfr. vv. 238-240: o{pw" de; cwvran ou[te khruvkwn u{po, / ajprovxenoiv te, novsfin hJghtwn~ , molein~ / e[tlht j ajtrevstw", tout~ o qaumasto;n pevlei. Anche all’araldo egizio Pelasgo rivolge un’osservazione simile: cfr. v. 919 poivoisin eijpw;n proxevnoi" ejgcwrivoi"; (cfr. in proposito la n. ad loc. in FRIIS JOHANSEN - WHITTLE, Aeschylus. The Suppliants, III, p. 235). 45 Il riflesso dell’istituto contemporaneo della metoikiva è fortemente presente nei drammi eschilei: rimando in proposito (anche per le indicazioni bibliografiche) a quanto ho scritto in Eschilo, Coefore 969–971, RhM, 149 (2006), pp. 3-16.

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2.1. Mi pare, dopo quanto qui suggerito, che la tessitura ideologica del dramma, all’interno dell’intelaiatura mitica, traspaia con una certa chiarezza. Contravvenendo a quel che lo spettatore si sarebbe aspettato, data la trasposizione della vicenda agli albori della storia all’epoca dei mitici Pelasgi, Eschilo presenta non senza un certo compiacimento ai suoi cittadini uno stato molto simile all’Atene contemporanea, dove le decisioni sono prese dal voto del popolo seduto in assemblea. Il re appare come un demagogo, che si guadagna il consenso nell’assemblea con un discorso persuasivo: persuasivo non tanto per l’aspetto retorico – al v. 273 Pelasgo dice che il suo popolo non ama i lunghi discorsi (makravn ge me;n dh; rJh~ sin ouj stevrgei povli"), e anche ai vv. 615 ss. il discorso riferito da Danao è breve ed efficace – quanto piuttosto per la forza dei suoi contenuti, con l’incisivo richiamo ai valori etico-religiosi. E d’altra parte Pelasgo è un leader popolare di grande assennatezza: arriva alla decisione di aiutare le Danaidi in modo sofferto e consapevole delle responsabilità che gli derivano dal ruolo. Sa che egli non può far nulla senza l’approvazione del popolo, ma è anche consapevole che il popolo va guidato alla decisione: anche se la deliberazione conclusiva è del dh~ mo", quest’ultimo deve essere accortamente preparato e orientato al voto dal suo leader. È difficile sottrarsi all’impressione che l’intento di Eschilo fosse quello di suscitare nel suo pubblico viva ammirazione per lo spirito democratico di Argo: una vocazione alla democrazia che si trovava già instillata nel DNA di questa città fin dall’epoca del mitico Pelasgo. L’intento arcaizzante – che è ricercato da Eschilo anche nella struttura formale –46 congiura allo stesso fine: Argo è, come Atene, una città di antiche tradizioni democratiche e, allo stesso modo di Atene, degna di porsi come panellenica47. Tutto questo trova compiuta e facile spiegazione se la rappresentazione del dramma viene collocata nei mesi immediatamente precedenti o seguenti al trattato di alleanza tra le due città, al 46 A proposito dell’arcaicità sul piano formale delle Supplici, che è sicuramente ricercata da Eschilo per i suoi fini drammatici, cfr. infra, par. 2.6 e n. 80. 47 Sulla strategia politica sottesa a questa presa di posizione di Eschilo si è soffermata con alcune utili considerazioni SARDIELLO, Il problema della datazione e il significato politico delle ‘Supplici’ di Eschilo, p. 29.

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quale Eschilo fa riferimento post eventum in ben tre punti delle Eumenidi, in un’accorta e consapevole climax. Dapprima, ai vv. 287-291, è Oreste a introdurre il motivo, all’interno dell’invocazione ad Athena. Se la dea lo ristabilirà sul suo trono, ella, senza ricorso alle armi ma in modo totalmente pacifico, acquisirà in Oreste e nel popolo d’Argo un alleato fedele secondo giustizia, per tutto il tempo a venire: [ORESTE] Ed ora, con pure labbra, piamente invoco la Signora di questo paese, Athena, che venga in mio soccorso: senz’uso di lancia ella acquisirà me, la mia terra e il popolo d’Argo, che le sia fedele alleato secondo giustizia e per sempre (pisto;n dikaivw" ej" to; pa~ n te suvmmacon)48. Poi è la volta di Apollo, il quale nel corso del processo, appena prima che si passi alla votazione, riprende e conferma le parole di Oreste, proclamando anzi di aver inviato il suo supplice da Athena con lo specifico intento di procurare alla polis ateniese una fedele e sempiterna alleanza con Argo: [APOLLO] O Pallade, in tutto il resto, per quanto è in mio potere, io farò grande la tua città e il tuo popolo; e nel caso presente ho mandato costui come ospite della tua dimora perché ti fosse alleato fedele per tutto il tempo avvenire (pivsti" ej" to; pa~ n crovnou) e tu, o dea, acquistassi un alleato in lui e nei suoi posteri (tovnd j ejpikthvsaio suvmmacon ... kai; tou;" e[peita), e rimanesse stabilito in eterno che i loro discendenti serbassero fede a questa alleanza (tavd j aijanw~ " mevnoi / stevrgein ta; pista; tw~ nde tou;" ejpispovrou")49. Infine, subito dopo essere stato assolto, Oreste con molta enfasi conferma le sue precedenti promesse attraverso un vincolante giuramento, facendosi garante anche dopo la sua morte, come spirito tutelare della terra argiva, del mantenimento dell’alleanza:

48 49

Eum. 287-291. Eum. 667-673.

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[ORESTE] Ora io tornerò a casa dopo che a questa terra e alla tua gente avrò fatto un giuramento che valga per tutta la pienezza dei tempi futuri (to; loipo;n eij" a{panta pleisthvrh crovnon / oJrkwmothvsa"): nessun uomo reggitore del mio paese verrà qui con un esercito ben agguerrito. Noi stessi, infatti, che allora saremo nella tomba, contro quanti trasgrediscano i miei giuramenti di ora (tajma; ... nu~ n oJrkwvmata), agiremo con irreparabili sciagure, rendendo accascianti le marce e infausti i loro percorsi, finché abbiano a pentirsi dell’impresa affrontata. Ma se i patti resteranno inviolati, se sempre [scil. i miei posteri] onoreranno questa città di Pallade con armi alleate (povlin th;n Pallavdo" / timw~ sin aijei; thvnde summavcw/ doriv), molto viva sarà per loro la nostra benevolenza50. Come nelle Supplici lo spirito democratico di Argo viene fatto risalire all’epoca mitica, così qui l’allineamento politico Argo-Atene (che risaliva soltanto a pochi anni prima) è presentato come un accordo che continuativamente dura fin dall’epoca eroica, e agli Ateniesi è fornita piena garanzia che essi possono incondizionatamente contare sull’alleanza di Argo. È dato dunque per scontato che tale summaciva sia un’autentica benedizione per Atene. Naturalmente non tutti gli Ateniesi saranno stati d’accordo con queste proclamazioni (non lo sarà stata soprattutto la parte conservatrice e filospartana): ma resta in ogni caso evidente che Eschilo ha voluto assicurare il suo pieno appoggio alla politica estera condotta in quegli anni dalla parte democratica. Le Supplici, di alcuni anni anteriori all’Orestea, sono da inquadrare in questo stesso contesto storico filoargivo. A conferma di una vicina collocazione cronologica dei due drammi va a mio parere una serie di corrispondenze – sotterranee, ma nitidamente rintracciabili nel testo – che consentono di ricostruire, pur nella specificità delle vicende drammatizzate, un comune pattern – drammaturgico ed ideologico – sotteso ai due drammi, soprattutto in relazione alla parte ‘ateniese’ delle Eumenidi 51. Eum. 762-774. Tra gli studiosi che, favorevoli alla datazioni bassa delle Supplici, hanno fatto espresso richiamo alle Eumenidi vi furono anzi tutto gli stessi Boeckh e G. Müller (cfr. supra, n. 3), ma i riferimenti non sono andati al di là della segnalazione dei passi relativi 50

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2.2. L’analogia è anzi tutto percepibile già nell’azione drammatica principale: due città – Argo e Atene – danno accoglienza a dei supplici (la condizione di iJkevth" di Oreste, che dal v. 235 al v. 489 sta abbracciato al bretas di Athena, già evidente dalla stessa situazione scenica, è ripetutamente sottolineata dalla dea: cfr. in particolare Eum. 441, semno;" prosivktwr ejn trovpoi" jIxivono" [scil. jOrevsth"] e 474 iJkevth" prosh~ lqe"). Si tenga presente che Athena nelle Eumenidi occupa il ruolo che nei drammi di ikesia ambientati in Atene (come gli Eleusini di Eschilo, le Supplici di Euripide o l’Edipo Coloneo di Sofocle) compete propriamente a Teseo (o a suo figlio Demofonte, come negli Eraclidi euripidei), il che si spiega con la dimensione ‘divina’ di un dramma che vede coinvolti tra i suoi personaggi le Erinni e lo stesso dio delfico. Si noti tuttavia che Athena è non solo la dea, ma anche la sovrana a tutti gli effetti di Atene, in quanto concentra in sé potere politico e religioso, secondo una caratterizzazione che per vari aspetti ricorda il ruolo di Pelasgo in Argo52. Si realizza pertanto un articolato sistema di corrispondenze: - fra le due città (Argo e Atene); - fra i rispettivi leaders (Pelasgo e Athena); - fra le due categorie di iJkevtai che al loro aiuto ricorrono (da un lato Oreste, inseguito dalle Erinni che vorrebbero strapparlo dal bretas di Athena; dall’altro le Danaidi, inseguite dagli Egizi, che vorrebbero strapparle dagli altari degli dèi). all’alleanza fra le due città nelle Eumenidi, o tutt’al più al riscontro di alcune corrispondenze fra il terzo stasimo delle Supplici e le benedizioni finali del coro di Erinni (cfr. infra par. 2.5.). È mancata invece un’analisi sistematica delle due tragedie, che portasse alla luce la sottilissima filigrana drammatica e ideologica ad essi sottesa: e questo è per l’appunto lo scopo precipuo di questa sezione finale del mio lavoro. 52 La sostituzione Athena/Teseo si spiega con l’ovvio fatto che nella sua lettura di questo mito Eschilo ha conferito eccezionale rilievo (come non avverrà invece né in Sofocle né in Euripide) all’oracolo di Apollo, che aveva imposto il matricidio. Non si tratta nelle Eumenidi di giudicare solo Oreste (come avverrà nell’Oreste di Euripide), ma anche lo stesso Apollo, che infatti prende parte al processo. La difesa sul piano sociale del matricidio viene svolta da Oreste (l’uccisione della madre è stata dettata dalla necessità di vendicare il padre), ma quando le Erinni spostano il discorso sul piano etico-religioso, se cioè sia giusto, indipendentemente da ogni altra motivazione, versare il sangue materno, Oreste passa la parola ad Apollo, che prosegue la difesa contro l’accusa delle Erinni, e scompare interamente dal dibattito. È evidente che, date le proporzioni del processo, il rappresentante di Atene doveva necessariamente essere una divinità: una divinità che però ha in più i poteri di un re, ovvero che fa le veci di Athena e di Teseo allo stesso tempo, in quanto sia patrona che regina della città.

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Questa analogia di fondo fa scattare una serie di corrispondenze a catena, qui di seguito sintetizzate. 2.3. L’ingresso in scena di Pelasgo e di Athena. – Il discorso iniziale di Pelasgo e di Athena ricalca lo stesso schema: a) La reazione iniziale di entrambi è di vivo stupore: Suppl. 240 tou~ to qaumasto;n pevlei. Eum. 407 qau~ ma d j o[mmasin pavra53. b) Questo stupore è dal sovrano attribuito all’insolita oJmiliva che egli vede davanti a sé: Suppl. 234 o{milon tovnd j ajnellhnovstolon ... prosfwnou~ men. Eum. 406 kainh;n d j oJrw~sa thvnd j oJmilivan cqono;". La strana folla è costituita in entrambi i casi dal coro stesso, il quale, diversamente dalla composizione convenzionale dei cori tragici, di solito formati da cittadini del luogo o da servitori della casa, e che per questo motivo di norma non suscitano l’attenzione dei personaggi che entrano in scena, qui, al contrario, è costituito da straniere, per di più insolitamente addobbate. Pelasgo si sofferma a descrivere in modo dettagliato l’atipico aspetto delle Danaidi ai vv. 235 ss., mentre per le Erinni una prima descrizione era già stata data dalla Pizia nel prologo, ai vv. 46-5954: per questo motivo Eschilo fa in modo che Athena s’intrattenga con minore dovizia di dettagli sulle loro anomale sembianze. Entrano in gioco, tuttavia, in entrambe le descrizioni, analoghi procedimenti stilistici, come in particolare l’uso anaforico della negazione, per sottolineare una realtà così lontana dall’esperienza quotidiana, che si preferisce definirla ex contrario 55:

Analoga reazione era già da parte della Pizia nel prologo, ai vv. 46-47 provsqen de; tajndro;" tou~de qaumasto;" lovco" / eu{dei gunaikw~n ejn qrovnoisin h{meno", che costituiscono una sorta di ‘anticipo’ rispetto alla reazione di Athena; senonché, mentre la profetessa si ferma al puro dato della registrazione del terribile evento e ai suoi effetti emotivi, ‘delegando’ ad Apollo il compito di risolvere il problema, in Athena questo è soltanto il punto di partenza, ben presto superato. 54 E cfr. le parole di Apollo, nella prima scena del primo episodio, in Eum. 179-197. 55 Più avanti, ai vv. 279 ss., Pelasgo si lascia andare a varie congetture sulla prove53

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Suppl. 236-237 (le forestiere non indossano abiti né di donne argoliche, né di donne greche): [...] ouj ga;r jArgoli;" ejsqh;" gunaikw~n oujd j ajf j JEllavdo" tovpwn, ktl. Eum. 410-412 (le strane creature non sono simili a nessun essere generato, né dio né uomo): uJma~" d j oJmoiva" oujdeni; spartw~n gevnei, ou[t j ejn qeai~si pro;" qew~n oJrwmevna" ou[t j ou\n broteivoi" ejmferei" ~ morfwvmasi. c) L’unica cosa che il sovrano riconosce come appartenente al codice culturale greco – e dunque come gesto per lui intelligibile e in definitiva rassicurante – è l’atto di iJkesiva del supplice: Suppl. 241-243 klavdoi ge me;n dh; kata; novmou" ajfiktovrwn kein~ tai par j uJmwn~ pro;" qeoi" ~ ajgwnivoi": movnon tovd j JElla;" cqw;n sunoivsetai stovcw/. Eum. 409

brevta" te toujmo;n tw/~d j ejfhmevnw/ xevnw/56.

2.4. Il dialogo fra il sovrano e i supplici. – Il leader chiede dunque chiarimenti, e apprende nel corso del dialogo seguente il contenuto della richiesta dei supplici: essere accolto e giudicato, per quanto riguarda Oreste; essere accolte e difese dai cugini egizi, per quanto riguarda le Danaidi. Entrambe le categorie di iJkevtai, inoltre, invitano il sovrano a giudicare secondo princìpi improntati a giustizia: Suppl. 395-396 xuvmmacon d j eJlovmeno" Divkan kri~ne Eum. 468 kri~non divkhn (l’invito a giudicare secondo giustizia era già stato vivacemente rivolto dalle stesse Erinni ad Athena, al v. 433: ajll j ejxevlegce, kri~ne d j eujqei~an divkhn). nienza del Coro (sono simili a donne libiche, egizie, cipriote, indiane o a figure mitologiche come le Amazzoni), il che trova un parallelo nelle supposizioni, avanzate e subito negate, della Pizia a proposito delle Erinni ai vv. 48 ss. (hanno l’aspetto di Gorgoni, oppure di Arpie). 56 E infatti Oreste non crea stupore ad Athena, semmai preoccupazione per l’eventuale contaminazione di cui può essere portatore; cfr. infatti la risposta di Oreste in Eum. 443 ss.

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La risposta del sovrano è nelle due tragedie sostanzialmente la medesima: la questione è troppo complessa perché lui da solo la possa giudicare. C’è fra le due situazioni drammatiche la differenza che Athena, sentite le diverse parti, Oreste e le Erinni, arriva a decidere senza tentennamenti ed espone il proprio punto di vista in un unico discorso, articolato al suo interno ma anche molto lineare (vv. 470-489); Pelasgo invece è interiormente dibattuto (numerose sono tra l’altro le metafore a cui egli ricorre per tradurre in immagine il suo conflitto interiore), e assistiamo in scena, nel corso del suo dialogo con il Coro, all’elaborazione – molto sofferta – del suo progetto57. E così, se i motivi in cui si articola la risposta di Athena sono nella sostanza simili a quelli utilizzati da Pelasgo, nelle Eumenidi essi appaiono formulati una volta sola, mentre Pelasgo su alcuni di questi ritorna ripetutamente. Eccoli in sintesi: a) Alla richiesta d’intervento dei forestieri, Pelasgo e Athena reagiscono inizialmente nello stesso modo: «la questione è troppo complessa perché io possa decidere da solo»: Suppl. 397 452 468

oujk eu[kriton to; kri~ma: mhv m j aiJrou~ krithvn. h\ kavrta neivkou" toud~ j ejgw; paroivcomai. kai; pollach.~/ ge duspavlaista pravgmata.

Eum. 470 ss.

to; pra~gma mei~zon h[ ti" oi[etai tovde brotoi" ~ dikavzein. oujde; mh;n ejmoi; qevmi" fovnou diairei~n ojxumhnivtou divka".

b) I due sovrani spiegano le ragioni per cui è loro impossibile intervenire autonomamente: qualunque decisione si prenda, c’è il rischio di sbagliare, contravvenendo a norme religiose oppure scatenando l’ira di uno dei contendenti, con la conseguenza di recare grave danno all’intera città: 57 Per un’analisi di questi versi, cfr. FERRARI, Il dilemma di Pelasgo, pp. 379-385. Naturalmente tale dilemma interiore è funzionale alla rappresentazione che Eschilo ha voluto darci di Pelasgo come leader popolare di una ideale democrazia: il quale non agisce spinto dall’interesse personale o in modo avventato, ma si forma una propria idea con serietà e ponderazione, dopo avere attentamente vagliato tutti i pro e i contro, e poi la propone all’approvazione del popolo.

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PELASGO (Suppl. 472-479): «Se non concedo asilo alle supplici, attirerò un miasma esecrabile sulla città; se le accolgo, coinvolgerò la città in una guerra che causerà gran spargimento di sangue» (cfr. in particolare vv. 472-477: eij me;n ga;r uJmin~ mh; tovd j ejkpravxw crevo", / mivasm j e[lexa" oujc uJpertoxeuvsimon. / eij d j au\q j oJmaivmoi" paisi;n Aijguvptou sevqen / staqei;" pro; teicevwn dia; mavch" h{xw tevlou", / pw~" oujci; tajnavlwma givgnetai pikrovn, / a[ndra" gunaikw~n ou{nec j aiJmavxai pevdon;). ATHENA (Eum. 473-479): «Tu – dice la dea a Oreste – sei giunto al mio tempio come supplice, e per di più non hai commesso nulla contro la mia città, e dunque io ti devo accogliere. Però le Erinni sono detentrici di un diritto che non è facile liquidare, e se non riceveranno soddisfazione, il veleno stillerà dai loro cuori e cadrà al suolo, intollerabile eterno flagello (a[ferto" aijanh;" novso")». c) Anche la conclusione è la medesima: «Le cose sono giunte a questo punto: qualunque decisione si adotti, le conseguenze saranno comunque dolorose» (con analoga doppia formulazione: si noti in particolare il ricorrere di deu~ro in Suppl. 438 e Eum. 482, mentre l’ ajmfovtera di Eum. 480 costituisce l’equivalente semantico della coppia polare h] toi~sin h] toi~" in Suppl. 439): PELASGO (Suppl. 438-440): [...] deur~ o d j ejxokevlletai. h] toi~sin h] toi~" povlemon ai[resqai mevgan pa~s j e[st j ajnavgkh, kai; gegovmfwtai skavfo"58. ATHENA (Eum. 480-482): toiau~ta me;n tavd j ejstivn. ajmfovtera, mevnein pevmpein te, dusphvmat j ajmhcavnw" ejmoiv. ejpei; de; pra~gma deu~r j ejpevskhyen tovde, ktl. d) In entrambi i casi, la soluzione esperita dal sovrano è quella di «Si è arenati qui: o con gli uni o con gli altri è del tutto necessario sollevare una grande guerra: la nave è inchiodata come se fosse stata trascinata a riva da argani navali»; Eum. 480-482: «Così stanno le cose: entrambe le soluzioni, tanto l’accogliere quanto il respingere costui, sono irrimediabilmente motivo di dolore per me. Poiché questa situazione è precipitata a tal punto, ecc.».

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convocare un’assemblea di concittadini perché deliberi in merito alla difficile situazione. Nelle Supplici, essendo la questione politico-religiosa, si tratta dell’assemblea (una sorta di boulhv) formata da tutti gli Argivi, l’organo deliberativo della città: Suppl. 368-369: ejgw; d j a]n ouj kraivnoim j uJpovscesin pavro", ajstoi~" de; pas ~ i tw~nde koinwvsa" pevri. 398-400: ei\pon de; kai; privn, oujk a[neu dhvmou tavde pravxaim j a[n, oujdev per kratw~n, mh; kaiv pote ei[ph/ lewv" ktl59. Nelle Eumenidi, dove la questione è prettamente giuridica, si tratta di un tribunale d’eletti cittadini in funzione di giudici, ovvero l’Areopago, che Eschilo, com’è noto, innovando rispetto al mito, immagina istituito in quella stessa occasione da Athena, allo scopo di giudicare Oreste: Eum. 483-484: ejpei; de; pra~gma deu~r j ejpevskhyen tovde, fovnwn dikasta;" oJrkivwn aiJroumevnh qesmo;n to;n eij" a{pant j ejgw; qhvsw crovnon60. e) Pelasgo e Athena escono infine di scena con un’analoga formulazione: «io vado e tu intanto – dicono al Coro destinato a rimanere nell’orchestra – fa’ quel che ti ordino». Nelle Supplici, essendo il contesto eminentemente religioso, l’invito è di pregare gli dèi (e infatti lo stasimo immediatamente successivo ha le movenze dell’inno cletico)61; nelle Eumenidi, si tratta di organizzare argomenti e testimonianze valide ai fini processuali (e infatti lo stasimo immediatamente successivo contiene le riflessioni delle Erinni sulla causa in corso e sul loro ruolo di amministratrici di Divkh)62: 59 Suppl. 368-369: «Io non potrei farti promesse prima di aver messo i miei concittadini a parte di questi fatti»; vv. 398-400: «L’ho detto anche prima: senza il popolo non potrei farlo, pur avendo il comando, perché il popolo non abbia a dire: “Per onorare degli stranieri, ha portato alla rovina la città”». 60 Eum. 483-484: «Poiché questa situazione è qui precipitata, io sceglierò per gli omicidî giudici giurati e fonderò un istituto di giustizia che resterà saldo per sempre». 61 Suppl. 524-599. 62 Eum. 490-565.

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PELASGO (Suppl. 517 ss.): «Tu intanto (in riferimento al Coro) prega [...]; io andrò (ejleuvsomai) per fare quel che si deve».

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ATHENA (Eum. 485 ss.): «Voi intanto (in riferimento al Coro e ad Oreste) invocate testimonianze e prove, ausilii alla giustizia, consacrati da giuramento. Io ritornerò (h{xw) dopo aver scelto i migliori tra i miei cittadini perché decidano rettamente questa causa»63.

2.5. La deliberazione dell’assemblea e i suoi esiti. – Un’ulteriore analogia fra le due situazioni drammatiche si lascia cogliere nel fatto che nel dirimere la questione a favore degli iJkevtai è decisivo in seno all’assemblea l’intervento del leader. Pelasgo fa un’arringa iniziale che convince all’unanimità l’assemblea (vv. 615 ss.); Athena determina l’esito positivo della votazione con il suo intervento diretto a favore di Oreste (il cosiddetto voto di Athena: vv. 734 ss.). In entrambi i casi i supplici vedono esaudite le loro richieste. E in entrambi i casi, dopo la lieta risoluzione della vicenda, si sottolinea l’importante ruolo svolto da Peitho, la Persuasione, alleata del sovrano (cfr. Suppl. 523 peiqw; d j e{poito e 623 dhmhgovrou" ... eujpiqei~" strofa;" con Eum. 885 s. ajll j eij me;n aJgnovn ejstiv soi Peiqou" ~ sevba", / glwvssh" ejmh" ~ meivligma kai; qelkthvrion e 970 s. gavnumai. stevrgw d j o[mmata Peiqou~", / o{ti moi glw~ssan kai; stovm j ejpwvpa). Nelle Eumenidi, le Erinni, inizialmente indignate per l’esito del processo, vengono convinte da Athena a placare la loro collera e a risiedere, riappacificate, in Atene, dove avranno una loro sede di culto. A questo punto innalzano un inno di benedizione sul popolo ateniese (vv. 916 ss.), sviluppando la traccia che era stata loro suggerita dalla stessa Athena (vv. 903 ss.), e tale canto presenta analogie notevoli con le benedizioni invocate dalle Danaidi su Argo nel Segenslied ai vv. 625 ss64. Entrambi gli inni La differenza della direzione del movimento implicita nel verbo («andare» nelle Supplici, «tornare» nelle Eumenidi) si spiega naturalmente con il fatto che nelle Supplici l’assemblea è extra scaenam, mentre nelle Eumenidi il processo ha luogo nello spazio scenico, e dunque Athena sottolinea con maggiore evidenza il dato del ritorno, rispetto all’uscita di scena. 64 In entrambi i casi, Eschilo sta adattando alle esigenze drammatiche una formula rituale arcaica, che è complementare rispetto alla formula inversa di maledizione, 63

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augurali si reggono infatti su due tematiche complementari: la situazione politica della città e la sua prosperità economica; l’augurio delle Coreute coinvolge infatti sia la pace che la fertilità della regione in cui esse hanno trovato ospitalità. Vi sono tuttavia anche interessanti differenze, che si spiegano non solo con la diversa ambientazione drammatica ma anche con circostanze politiche contingenti. Nelle Supplici non si fa distinzione fra guerre esterne e guerre interne, essendo i riferimenti ad Ares generici; il tema della pace è inoltre il primo a essere introdotto dal coro, e occupa gran parte dello stasimo (cfr. in part. Suppl. 633-638 mhvpote purivfaton tavnde Pelasgivan [povlin] to;n a[coron boa~n ktivsai mavclon [Arh, to;n ajrovtoi" qerivzonta brotou;" ejnavlloi", 659-666 mhvpote loimo;" ajndrw~n tavnde povlin kenwvsai. mhd j ejpicwrivoi" (add. Hermann) ploutovcqwn eJrmaivan daimovnwn dovsin tivoi viene interpretata, come sembra plausibile, in riferimento all’argento del Laurion (cfr. PODLECKI, Eumenides, p. 189, che giustamente cita a confronto Pers. 237238 [BA.] kai; tiv pro;" touvtoisin a[llo; plout~ o" ejxarkh;" dovmoi"; / [Co.] ajrguvrou phghv ti" aujtoi"~ ejsti, qhsauro;" cqonov"), si avrebbe da parte di Eschilo un’adesione piuttosto esplicita alla politica imperialistica di Atene, che in parte si sosteneva sui proventi delle miniere: si veda in proposito quanto osserva DI BENEDETTO, L’ideologia del potere, pp. 200 ss. In questo ordine di idee si inserisce il richiamo, da parte delle Erinni, alla «ricchezza» di Atene, assente nel canto corrispondente delle Supplici: oltre al sopra menzionato v. 947 (ploutovcqwn), cfr. anche il v. 996 (caivret j ejn aijsimivaisi plouvtou). 69

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fulavssoi t j ajtremai~a tima;" to; davmion, to; ptovlin kratuvnei, promaqi;" eujkoinovmhti" ajrcav (Suppl. 698-700)70. Tale auspicio al mantenimento della democrazia in Argo in quanto vitale per il bene della polis ricorda, nelle Eumenidi, le parole con cui Athena, istituendo l’Areopago, aveva esortato al rispetto di questo venerando istituto, che avrebbe costituito un valido baluardo a difesa degli abitanti: toiovnde toi tarbou~nte" ejndivkw" sevba" e[ruma [te] cwvra" kai; povlew" swthvrion e[coit j a[n, oi|on ou[ti" ajnqrwvpwn e[cei, ou[t j ejn Skuvqh/sin ou[te Pevlopo" ejn tovpoi". kerdw~n a[qikton tou~to bouleuthvrion, aijdoi~on, ojxuvqumon, euJdovntwn u{per ejgrhgoro;" frouvrhma gh~" kaqivstamai (Eum. 700-6)71. Le Danaidi infine concludono con l’accorato auspicio che gli Argivi, prima di passare alle armi, cerchino assennati accordi diplomatici con gli altri popoli: xevnoisiv t j eujxumbovlou", pri;n ejxoplivzein [Arh, divka" a[ter phmavtwn didoi~en. (Suppl. 701-703).

In questo canto di benedizione, le Danaidi, nel momento della loro integrazione nel tessuto sociale della città, dimostrano di avere finalmente appreso la lezione paideutica di Pelasgo, e ora sanno chi veramente governa la città: al su; de; to; davmion, che esse rivolgevano a Pelasgo al v. 370 (cfr. supra, par. 1.6. e nn. 37-38), si sostituisce ora la formulazione corretta in senso democratico: to; davmion to; ptovlin kratuvnei (v. 699). 71 «Se voi rispetterete secondo giustizia questo venerando istituto, disporrete di un baluardo che salva il territorio e la città, quale nessuna gente umana possiede, né tra gli Sciti né tra le genti di Pelope. Incorruttibile al lucro, degno di reverenza, inflessibile d’animo, vigile scolta del paese a difesa di chi dorma: questo è il consesso che io istituisco». C’è un evidente fascio di relazioni tra i due passi (cfr. timav" Suppl. 698 con sevba" Eum. 700, promaqiv" eujkoinovmhti" Suppl. 700 con euJdovntwn u{per / ejgrhgorov" Eum. 705-706), ricostruibile sulla base di oggettive corrispondenze tematiche. 70

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Nel riferimento alle «sentenze» che siano «accorte e concordi» a un tempo (eujxumbovlou") e non «comportino danno» (a[ter phmavtwn), si coglie un velato invito al sistema dei foedera, e già molti critici, fin dall’Ottocento, hanno posto in relazione questi versi con i passi delle Eumenidi in cui è espressamente evocato il patto d’alleanza fra Atene e Argo72. In effetti, risulta difficile sottrarsi a questa suggestione, non tanto per autonoma capacità evocativa del passo delle Supplici, che resta molto generico nella formulazione (d’altra parte, solo per via di sfumate allusioni Eschilo avrebbe potuto richiamarsi al motivo degli accordi diplomatici fra le due città, per l’ovvio motivo che da questo mito delle Danaidi Atene era del tutto esclusa), quanto piuttosto in considerazione dell’articolata e complessa trama di relazioni tra Supplici e Eumenidi che siamo andati qui delineando, alla luce della quale il passo in questione, in sé non decisivo, può tuttavia acquistare un più pieno significato73.

72 Sulla base del fatto che tali formule di benedizione sono variamente attestate nei testi letterari prima e dopo Eschilo (cfr. supra, n. 64; per un elenco di questi motivi si può utilmente consultare MÜLLER, De Aeschyli Supplicum tempore, pp. 67-70), alcuni studiosi tendono qui a escludere la presenza di altri sovrasensi rispetto a quello puramente drammatico e contingente (così, ad esempio, GARVIE, Aeschylus’ Supplices, p. 150: «there is no reason to believe that it is anything other than a conventional prayer, fully explicable in its immediate dramatic context, as conventional as or more conventional than that of the Furies at Eumenides 916 ff.», con il quale si trova d’accordo anche BURIAN, Pelasgus and Politics, p. 11: «there is no reason to regard it as anything but a conventional prayer, well-adapted to its dramatic context»). Ora, è indubbio che la preghiera delle Supplici è assai più generica e sfumata rispetto alla corrispondente delle Eumenidi, dato che nella maggior parte delle formulazioni non si va al di là della topica ricorrenza; ed è anche vero che tale preghiera è qui fortemente contestualizzata (del resto, fa parte della grandezza intellettuale di Eschilo riuscire a coniugare i suoi fini etico-didattici in perfetta sintonia con il contesto mitico-drammatico: su questo ha scritto pagine illuminanti, in relazione specificamente all’Orestea, DI BENEDETTO in L’ideologia del potere, pp. 137-287); tuttavia, di fronte a una formulazione come questa dei vv. 701-703, soprattutto se si tiene conto dell’impianto complessivo della tragedia, siamo autorizzati a vedere il riferimento, se non a un evento storico preciso (il che non sarebbe qui dimostrabile), quanto meno a un clima di collaborazione ed amicizia tra Argo e Atene. E soprattutto – e questo mi pare un dato inconfutabile, perché suffragato dal testo – si ha qui conferma delle analogie strutturali intercorrenti tra Supplici e Eumenidi, che difficilmente possono essere interpretate in altro modo se non ipotizzando un medesimo contesto storico, politico e ideologico. 73 Un’altra possibile corrispondenza tra i due drammi è tra le parole finali delle Danaidi, in riferimento al rispetto dei genitori come legge di Dike (to; ga;r tekovntwn sevba" trivton tovd j ejn qesmivoi" Divka" gevgraptai megistotivmou Suppl. 707-709), e

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2.6. L’epilogo. – Simile è infine la conclusione dei due drammi, con una solenne processione della quale fanno parte, oltre alle coreute, anche personaggi scenici e rappresentanti della città ospitante, nonché un coro secondario che in entrambi casi intona il canto processionale. Le Supplici terminano infatti con il corteo delle Danaidi che, accompagnate dalle ancelle (vv. 975-979), da Danao e dagli armigeri che la città gli ha assegnato come scorta (vv. 985 ss.), escono di scena dirette alle nuove sedi che Pelasgo ha loro offerto come luogo di soggiorno nella città. Analogamente, le Eumenidi terminano con il corteo delle Erinni che, scortate da Athena, da ministre del culto della dea, dagli Areopagiti e da un seguito di fanciulle e donne del luogo, procede diretto alla nuova sede che Athena ha offerto loro74. E la situazione di metecia del

i vari passi, soprattutto corali, in cui nelle Eumenidi questo tema ricorre (cfr. in particolare Eum. 269-272). 74 Oltre alla situazione drammatica in sé del canto processionale con cui si chiudono entrambe le tragedie (cori principali e cori secondari si uniscono nell’uscita di scena che prelude all’insediamento delle forestiere nel tessuto sociale della città), si noti anche la corrispondenza fra Eum. 1007 s., dove Athena invita le Erinni a disporsi in processione (i[te kai; ktl.), con Suppl. 1018 s., in cui Danao svolge un ruolo analogo (i[te ma;n ktl.). Nelle Eumenidi, tuttavia, il modulo drammatico già presente nel finale delle Supplici viene ripreso in forma enfatizzata, con un affollamento maggiore di presenze sceniche, come si desume dal testo stesso. Non è un caso, infatti, che dopo l’ i[te diretto al coro di Danaidi perché si dispongano all’uscita, Danao rivolga un solo invito ai ‘servitori’ ( uJpodeivxasqe ãd jà ojpadoiv ktl. Suppl. 1021 ss., dove gli ojpadoiv sono stati variamente intesi come le ancelle delle Danaidi o come gli armigeri assegnati in qualità di scorta a Danao: per una discussione degli argomenti pro o contro ciascuna ipotesi cfr. FRIIS JOHANSEN - WHITTLE, Aeschylus. The Suppliants, III, p. 306 ss., n. ad vv. 1018-1073). Invece, il modulo dell’invito a unirsi al corteo è da Athena solennemente moltiplicato: cfr. Eum. 1010 s. uJmei~" d j hJgei~sqe, polissou~coi / pai~de" Kranaou~ (agli Areopagiti), 1022 ss. pevmyw ... ej" tou;" e[nerqe kai; kata; cqono;" tovpou" / xu;n prospovloisin ai{te frourou~sin brevta" / toujmovn (a sé e alle sue sacerdotesse), 1025-1027 o[mma ga;r pavsh" cqono;" / Qhsh/~do" ejxivkoit j a[n, eujkleh;" lovco" / paivdwn, gunaikwn~ , kai; stovlo" presbutivdwn (a fanciulle, donne e anziane della città, nelle quali alcuni hanno voluto identificare delle adepte al culto della dea: così ad esempio SOMMERSTEIN, Aeschylus. Eumenides, pp. 276 ss.). Questa importante componente ateniese doveva forse richiamare alla mente dello spettatore le processioni panatenaiche, anche per la presenza di offerte sacrificali (sfagivwn tw~nd j uJpo; semnw~n kata; gh~" suvmenai, vv. 1006-1007) e dei rossi addobbi indossati dalle Erinni (cfr. infra e n. 76), con il conseguente effetto di rafforzare la partecipazione del pubblico all’evento scenico rappresentato. È comunque un interessante elemento che accomuna i finali delle due tragedie il fatto che resti incerta l’identità di quanti intonano il canto processionale in Eum. 1032 ss. e in Suppl. 1034 ss. (qui in alternanza con il coro principale). E altrettanto interessante è il fatto che al corteo par-

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coro, che nelle Supplici è espressamente richiamata alla fine del dramma attraverso le parole di Pelasgo e di Danao75, nelle Eumenidi, data l’ambientazione in Atene, viene non solo menzionata da Athena (tais ~ de metoivkoi", v. 1011), ma anche sancita dal punto di vista scenico grazie ai rossi mantelli che le Erinni indossano al di sopra dei loro neri costumi (foinikobavptoi" ejndutoi~" ejsqhvmasi, vv. 1028), e che intendono rappresentare un evidente richiamo, in forma di aition, all’addobbo dei meteci ateniesi in occasione delle processioni panatenaiche76. Ora, chi ha sufficiente esperienza del teatro eschileo sa che una così fitta rete di relazioni non può essere casuale, ma sottintende, com’è tipico di questo tragediografo in cui dimensione ideologica e struttura drammaturgica sono strettamente interdipendenti, un disegno più profondo. Il pattern drammaturgico e ideologico prestato ad Argo pochi anni prima, Eschilo – trattando un diverso e cronologicamente più tardo episodio mitico della storia argiva, la saga di Oreste – lo riapplica stavolta ad Atene, facendola entrare in scena in difesa della stirpe reale argiva, e rendendo in questo modo ancora più forte – perché diretto – il legame fra le due città che nelle Supplici emergeva attraverso l’assai più mediata operazione di rispecchiamento Argo-Atene. Per di più, grazie alla protome delfica delle Eumenidi, in cui lo spettatore ode direttamente il solenne ordine di Apollo all’argivo Oreste di recarsi ad Atene per essere lì salvato (vv. 79-83)77, e gratecipino uomini e donne, quasi a suggerire, nel finale, il superamento della dicotomia maschio/femmina che in entrambe le tragedie è, sia pure per motivi drammatici diversi, fortemente evidenziata. 75 Si tratta dei vv. 963-965, prostavth" d j ejgw; / ajstoiv te pavnte" ktl. (Pelasgo) e 993-994, ejn metoivkw// (Danao), sui quali cfr. supra, par. 1.6. 76 Il nesso Erinni/metoikia era già stato correttamente evidenziato da G. THOMSON, Eschilo e Atene, trad. it., Torino 1949, p. 404. 77 «Non essere mai stanco di pascere quest’impegno: ma, giunto che tu sia nella città di Pallade, siedi stringendo tra le braccia il simulacro antico. E là, con giudici di questa tua vicenda e con discorsi che incanteranno, troveremo i mezzi per liberarti del tutto dai tuoi travagli». A Eschilo stava a tal punto a cuore presentare l’intervento di Atene nella risoluzione dei problemi argivi come emanazione diretta della volontà di Apollo, da non esitare a rappresentare sulla scena questa parte delfica (anziché, come pure sarebbe stato possibile, rievocarla retrospettivamente attraverso le parole di un personaggio), benché questa scelta drammaturgica comportasse di introdurre, tra il v. 234 e il v. 235, un cambio di scena, discostandosi dalla diffusa prassi teatrale delle cosiddette unità di luogo e di tempo.

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zie anche alla proclamazione fatta dal dio nel corso del processo di avere lui stesso voluto l’alleanza tra Atene e Argo78, tale summaciva viene posta sotto l’egida delle massime autorità in campo religioso, Athena e Apollo, dei quali ripetutamente nel corso del dramma si sottolinea la comune nascita dallo stesso Zeus. Se per le Supplici si accoglie una datazione di alcuni anni anteriore al trattato di alleanza menzionato e addirittura esaltato nelle Eumenidi, sia lo spirito filoargivo, che traspare con tanta chiarezza da questo dramma, sia le notevoli analogie strutturali fra i due testi tragici si spiegano con assai maggiore facilità che con la datazione alla metà degli anni Settanta recentemente riproposta da Scullion79. La patina arcaizzante delle Supplici – macroscopica perché consapevole e anzi, a mio parere, pervicacemente ricercata – è il correlato formale dell’ambientazione del dramma alle origini di Argo, la cui funzione, come si diceva, è di dimostrare l’antichità della democrazia argiva, alla quale sono attribuite origini addirittura pelasgiche80. Ci si potrebbe a questo punto chiedere il motivo di tanta simpatia di Eschilo per Argo: se si tratta soltanto di un appoggio alla politica estera contemporanea della parte democratica della sua polis, oppure se c’erano motivi più profondi che facevano ben sperare nella sintonia tra le due città. Io che credo in un Eschilo democratico, e non filocimoniano81, non mi sentirei di escludere Cfr. supra par. 2.1. Cfr. supra n. 2. Non è un caso che i tratti arcaici esibiti dal dramma (sui quali si sofferma anche SCULLION, Tragic Dates, pp. 90-99) si riferiscano per l’appunto agli aspetti più vistosi e intenzionalmente riproducibili, come in particolare l’ampiezza delle parti corali, l’assenza del prologo, la frequenza della tecnica anulare, applicata con un certo qual geometrico rigore e, più in generale, la tendenza (già da vari critici rilevata, cfr. ad es. H. FRIIS JOHANSEN, Some Features of Sentence-structure in Aeschylus’ Suppliants, «Cl. et Med.» 15 [1954], pp. 1-59) ai parallelismi piuttosto meccanici. Invece, l’esame dei tratti stilistici inconsci (come, ad esempio, per quanto riguarda i trimetri giambici, le soluzioni, le cesure, le varie tipologie di enjambement, i three word trimeters, ecc.) non evidenzia nulla che contrasti con la datazione alla fine degli anni Sessanta, in una posizione dunque intermedia tra i Sette e l’Orestea (per tali rilevazioni statistiche, in riferimento al teatro eschileo, cfr. in part. GARVIE, Aeschylus’ Supplices, pp. 32 ss.; M. GRIFFITH, The Autenthicity of Prometheus Bound, Cambridge 1977; M.P. PATTONI, L’autenticità del Prometeo incatenato di Eschilo, Pisa 1987, pp. 122 ss., con ulteriori riferimenti bibliografici). 81 Per una panoramica degli interventi critici in merito, dall’Ottocento alla fine degli 78 79 80

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che una delle ragioni della simpatia del Nostro per Argo sia dovuta al fatto che in essa aveva trovato ospitalità nel 471 Temistocle, l’artefice della vittoria di Salamina: quella vittoria che era stata celebrata all’incirca dieci anni prima nei Persiani. Se è certamente fuorviante individuare nelle Danaidi, come si è talvolta fatto, la proiezione di Temistocle (si ricadrebbe nell’errore del metodo storico che interpreta le tragedie attiche come delle sistematiche allegorie politiche)82, credo sia invece legittimo ipotizzare che questo antefatto potesse essere percepito da Eschilo e dalla parte democratica come un significativo elemento di avvicinamento fra le due città. 3.1. Da ultimo, può fornire interessanti spunti di riflessione un confronto (peraltro senza pretese di esaustività) fra la prospettiva con cui Eschilo guarda all’alleanza argivo-ateniese degli anni 462/1 e le modalità con cui Argo è tratteggiata nelle Supplici di Euripide, la cui rappresentazione si colloca negli anni corrispondenti al rinnovo del trattato di alleanza fra le due città, alla fine della guerra archidamica83. anni Settanta, cfr. J. VÜRTHEIM, Aischylos Schutzflehende, Amsterdam 1928, pp. 70-100, E.A. WOLFF, The Date of Aeschylus’ Danaid Tetralogy, «Eranos», 56 (1958), pp. 6 ss.; GARVIE, Aeschylus’ Supplices, pp. 141-162. Il dibattito resta ancor oggi vivo, anche se la posizione di quanti ritengono Eschilo allineato con gli orientamenti democratici contemporanei resta la più condivisa. Per una lucida confutazione della tesi di un Eschilo conservatore, in relazione specificamente alla riforma dell’Areopago, cfr. C. BEARZOT, Ancora sulle Eumenidi di Eschilo e la riforma di Efialte (in margine a una pagina di Chr. Meier), «Prometheus», 18 (1992), pp. 27-35. Per quanto riguarda le Supplici, una rassegna ragionata degli ultimi interventi critici su questo tema, con particolare riferimento alla recente monografia di ROHWEDER, Macht und Gedeihen, è riportata in S. FÖLLINGER, Genosdependenzen. Studien zur Arbeit am Mythos bei Aischylos, Göttingen 2003, pp. 192-194. 82 Cfr. supra n. 1. 83 Relativamente a questo trattato, stipulato nel 420 e confermato definitivamente nel 417/6, dopo l’effimero colpo di stato oligarchico ad opera dei Mille, cfr., in questo volume, BEARZOT, Argo nel V secolo, par. 3, pp. 123 ss.; a proposito dei riflessi, nelle Supplici euripidee, dell’alleanza argivo-ateniese, cfr. L. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis: Atene, Argo e i Tessali - Atene e Megara - Sparta e Megara, ASNP, 3 (1973), pp. 720721. Per quanto riguarda la cronologia delle Supplici, c’è un consenso abbastanza generalizzato nel datare il dramma nel periodo intercorrente tra il 423, ovvero dopo la battaglia di Delio del novembre 424 (si veda a questo proposito la ricca e articolata argomentazione di G. MASTROMARCO, Per la datazione delle Supplici di Euripide, in AA.VV., Studi di filologia classica in onore di Giusto Monaco, Palermo 1991, I, pp. 241-250; relativamente alla campagna di Delio come motivo ispiratore del dramma cfr. inoltre

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Il dato che più impressiona è l’evidente diversità intercorrente a questo proposito tra le Supplici euripidee e l’omonimo dramma eschileo, uno degli ipotesti, insieme probabilmente ai perduti Eleusini 84, che il più giovane drammaturgo ha qui tenuto presente. Mentre l’Argo eschilea è città democratica ‘gemella’ di Atene, e dunque degna di porsi come sua alleata d’elezione, e il tragediografo fa affiorare (indirettamente nelle Supplici, in modo più esplicito nelle Eumenidi) la sua profonda fiducia in questa summaciva per la sostanziale uniformità di tradizioni e vedute fra le due città, un ben differente apprezzamento nei confronti di Argo trapela invece dall’omonimo dramma euripideo. La stessa scelta del mito e la collocazione dell’azione scenica costituiscono la prima spia significativa al riguardo. Il ruolo di primus inter pares, in cui s’incarna la tipologia ideale di leader democratico che Eschilo attribuiva a Pelasgo, qui ritorna a Teseo, come era già avvenuto negli Eleusini eschilei. Teseo si riappropria dunque del ruolo di difensore dei valori democratici che lo contraddistingue nella tragedia attica del V secolo85, e che Eschilo quarant’anni prima aveva prestato a Pelasgo allo scopo di fornire un supporto mitico a sostegno dell’ideologia politica filoargiva. Il vero avversario di Teseo-Atene, nel ruolo che in Eschilo fu degli Egizi, è qui la città-personaggio di Tebe che antiteticamente esprime la tirannide, l’anti-Atene, secondo la celebre definizione della Zeitlin86. In questa disputa ‘politica’ tra la democratica Atene e la tirannica Tebe, Adrasto (dietro cui si cela la città-personaggio di M. SORDI, Teseo-Pagonda nelle Supplici di Euripide, in L. BELLONI - G. MILANESE - A. PORRO (a cura di), Studia classica Iohanni Tarditi oblata, Milano 1995, pp. 931-937), e il 416 (così già W. SCHMID - O. STÄHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, I Teil, von W. Schmid: 3 Band, München 1940, pp. 454 s.); per una rassegna bibliografica in merito alle datazioni proposte, cfr. C. COLLARD, Euripides, Supplices, Groningen 1975, I, pp. 8-14. 84 Relativamente agli Eleusini di Eschilo, cfr. frr. 267-270 Mette (e, dello stesso, Der verlorene Aischylos, Berlin 1963, pp. 40 s.), e in particolare TrGF III, pp. 175-176 (= frr. 5354 Radt), con una rassegna delle ipotesi ricostruttive del dramma. 85 Sul processo di reinterpretazione politica, in chiave patriottica, del mito di Teseo nel V secolo, cfr. S. MILLS, Theseus, Tragedy and the Athenian Empire, Oxford 1997, con ricca bibliografia anteriore. 86 Cfr. F.I. ZEITLIN, Staging Dionysus between Thebes and Athens, in TH.H. CARPENTER-CHR. A. FARAONE, Masks of Dionysus, Ithaca-London 1993, pp. 147-182 (cfr. già in Thebes: Theater of Self and Society in Athenian Drama, in J.P. EUBEN [ed.], Greek Tragedy and Political Theory, Berkeley 1986, pp. 101-141).

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Argo) ha il ruolo del tritagonista: è la città che fu un tempo grande e valorosa, ma che, per via di gravi errori di cui nel recente passato si è resa colpevole, ha visto precipitare la sua antica grandezza, ed ora, dopo aver assunto lei stessa le vesti di supplice, si rivolge ad Atene per chiedere aiuto. Incapace di risolvere da sé la sua difficile situazione, ha bisogno dell’intervento della città che nella Grecia si è sempre distinta per la coerenza del suo atteggiamento a favore della giustizia: [ADRASTO] «Ma tu potresti forse dire: “Come mai, ignorando il Peloponneso, affidi ad Atene questa incombenza?”. È giusto che te lo spieghi. Sparta è crudele e di infidi costumi. Gli altri stati87 sono piccoli e deboli. La tua città soltanto può sobbarcarsi questa fatica: ha sempre guardato alle situazioni degne di pietà88, e possiede in te un capo giovane e valoroso. Per mancanza di questo molte città vanno in rovina, perché bisognose di una guida». (vv. 187-192). La reazione iniziale di Teseo di fronte alla richiesta di aiuto di Adrasto è di mal celato scherno: [TESEO] Sei venuto a chiedermi consiglio? O per quale altro motivo? [ADRASTO] Voglio che tu, Teseo, recuperi i figli degli Argivi! [TESEO] Ma dov’è finita la nostra famosa Argo? Si trattava dunque di inutili vanterie? (vv. 125-127). Teseo sottopone quindi Adrasto a un vero e proprio interrogatorio. Si tratta di una scena di cui già un antico commentatore aveva percepito la mancanza di ‘utilitità’ all’interno della tragedia, tanto da ipotizzare che l’inserimento fosse dovuto all’esigenza di tirare in lungo un dramma che altrimenti sarebbe potuto apparire troppo breve89; in realtà, proprio la scarsa pertinenza drammaSi tratta, come ha osservato COLLARD, Euripides, Supplices, p. 157, delle altre città greche, e del Peloponneso in particolare, a cui Argo avrebbe potuto rivolgersi per aiuto. Questo topos dell’encomiastica ateniese, diffuso soprattutto nell’oratoria, ricorre ripetutamente nelle tragedie di iJkesiva ambientate in Atene: cfr. vv. 339 ss., 379 s., 561 ss., Heraclid. 305 s., 329 ss., Soph. OC 260 ss. 89 Cfr. Schol. Soph. OC 220: ejn gou~n tai~" JIkevtisi (scil. di Euripide) to;n Qhseva uJpotevqeitai ta; peri; to;n [Adraston ajgnoou~nta, e{neka tou~ mhku~nai to; dra~ma. 87

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tica smaschera la funzione prettamente ideologica che i discorsi dei due personaggi assumono nelle intenzioni dell’autore90. Da questo interrogatorio emerge che gli errori di Adrasto sono stati quelli di aver prestato ascolto a dei giovani sconsiderati che per desiderio di gloria personale hanno trascinato la città in una guerra: [TESEO] Perché hai condotto Argo alla guerra? [ADRASTO] Per fare un piacere ai miei due generi (scil. Tideo e Polinice) (vv. 131-132). Quindi, Adrasto confessa di essere partito contro la volontà dell’indovino Anfiarao (v. 158), ovvero, come puntualizza Teseo (v. 159), contro il volere divino: al contrario, dunque, di quel che faceva nelle Supplici eschilee il sovrano di Argo, autenticamente eujsebhv" e rispettoso degli dèi. Alla ponderazione del riflessivo Pelasgo, che avvertiva la necessità di esaminare «a fondo» (dei~ de; baqeiva" frontivdo" Aesch. Suppl. 406, ej" buqo;n molei~n 407) la richiesta d’aiuto delle Danaidi91, si contrappone la «leggerezza» (rJadivw" v. 159) con cui Adrasto ha trascurato l’ammonimento divino. E questo sempre per compiacere i suoi due generi: ovvero per favori concessi a esponenti del clan familiare (vv. 160-162); si ricordi, per contro, la premura con cui Eschilo aveva eliminato dal suo dramma ogni legame dinastico diretto tra Pelasgo e le Danaidi92. In un suo recente lavoro, Giovanni Cerri ha posto giustamente in rilievo la connotazione oligarchico-aristocratica del riferimento, da parte di Euripide, ai capi argivi, a più riprese contras90 La carica ideologica della scena risulta evidente anche dall’inserzione del celebre passo sulle tre classi sociali (vv. 238-245), apparso ad alcuni critici (cfr. ad es. H. GRÉGOIRE, in Euripide III: Héraclès-Les Suppliantes-Ion, Texte établi et traduit par L. Parmentier et H. Grégoire, Paris 1923, p. 112) così avulso dal contesto drammatico da essere sospettato di interpolazione. 91 Si tratta della celebre metafora del kolumbhthvr, il nuotatore al quale prima dell’immersione venivano esaminati gli occhi, per assicurarsi che non fossero offuscati dall’ubriachezza: «C’è necessità di un profondo pensiero salvifico, a guisa di palombaro, perché penetri nella profondità un occhio che vede, non troppo offuscato dal vino, affinché questa vicenda termini senza danni anzitutto per la città, e per noi stessi positivamente» (Aesch. Suppl. 407 ss.). 92 Cfr. supra par. 1.3.

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segnati con il termine nevoi, che in questo contesto appare chiaramente marcato in senso ideologico93. Il dato era naturalmente congruente con il mito dei Sette. E tuttavia è difficile sottrarsi all’impressione che Euripide, insistendo su questi motivi, in una scena in sé non necessaria per l’azione drammatica, abbia voluto correggere l’immagine positiva del Pelasgo eschileo come di un leader costantemente preoccupato di rendere conto solo al dh~mo" riunito in assemblea, per proporre invece – attraverso Adrasto – l’immagine di un re che ha tralignato rispetto a quell’antico modello autenticamente democratico, in quanto, anziché preoccuparsi del bene di tutto il popolo (come fece il Pelasgo eschileo e come in sostanza farà in questo dramma il re ateniese Teseo, che del re Pelasgo riproduce il comportamento), ha dato ascolto a una fazione aristocratica di o[lbioi, a giovani di illustre famiglia e facinorosi, a cui stava a cuore più l’interesse personale che la stessa città. E questo ha portato Argo alla rovina. Chiarificanti sono a questo proposito i rimproveri di Teseo. Al v. 161 eujyucivan e[speusa" ajnt j eujbouliva", il re ateniese, se riconosce ad Adrasto l’ eujyuciva, ovvero l’animosità e assenza di paura, fondamentale requisito del protagonismo eroico-aristocratico che ha nell’ ajndrei~a e nelle virtù elettivamente correlate all’ambito militare il suo caposaldo etico94, gli nega invece la dote politica tipica del leader democratico, l’ eujbouliva, l’assennato e provvido consiglio (eujxumbovlou" divka" era per l’appunto l’augurio, in senso esplicitamente politico, che le Danaidi rivolgevano ad Argo ai vv. 701-702 del loro Segenslied)95. Più avanti, Teseo rimprovererà di nuovo Adrasto di dissennatezza (ouj sofo;" gegwv", v. 219) per il fatto di aver contratto legami di parentela con degli Cfr. G. CERRI, Argo e il dibattito costituzionale nelle Supplici di Euripide, in P. ANGELI BERNARDINI (a cura di), La città di Argo. Mito, storia, tradizioni poetiche, Roma 2004, pp. 193 ss. In particolare, secondo lo studioso, nel riferimento ai nevoi (cfr. in particolare, in questa scena, i vv. 160 e 232) potrebbe celarsi l’allusione ai civlioi logavde", una gioventù eletta (tw~n politw~n cilivou" tou;" newtevrou" kai; mavlista toi~" te swvmasin ijscuvonta" kai; tai~" oujsivai" li definisce Diodoro Siculo in XII 75, 7) che era anche in grado di esercitare un’efficace pressione politica, come avvenne in occasione del colpo di stato oligarchico del 418/7. 94 In Sud. e 3834 A., ad esempio, l’ eujyuciva costituisce l’omologo, in punto di morte di famosi condottieri, dell’ ajrethv da loro manifestata durante la vita, e viene inoltre definita come mancanza di paura in guerra di fronte al nemico. 95 Cfr. supra par. 2.5 e n. 72. 93

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stranieri «ingiusti», trascurando il saggio precetto che impone di non mescolare gli a[dikoi con i divkaioi e di accogliere in casa solo gli eujdaimonou~nta" fivlou" (vv. 223-225)96. Infine, in una forma ancora più esplicita, gli attribuisce la grave responsabilità politica d’essersi lasciato deviare da elementi faziosi, nemici del popolo: [TESEO] Quando guidasti tutti gli Argivi alla guerra, disprezzando i responsi dei vati e violando con prepotenza il volere divino, hai rovinato la città. Ti sei lasciato trascinare da giovani che per brama di onori si compiacciono delle guerre e senza giustizia le esaltano, danneggiando gravemente i cittadini: l’uno per comandare una spedizione; l’altro, impadronitosi del potere, per usare violenza; un altro ancora per guadagno, senza darsi pensiero se il popolo, che subisce questo, ne venga danneggiato (vv. 229-237). Adrasto, dunque, si è comportato in modo radicalmente antitetico rispetto al suo illustre predecessore, il Pelasgo eschileo, la cui linea di condotta appare invece più degnamente riflessa nello stesso Teseo. Di fronte alle richieste di Adrasto, la reazione iniziale di Teseo, che appare la diretta conseguenza sul piano politico di quanto da lui professato in relazione ai legami familiari ai vv. 223225 (ovvero, evitare di unirsi agli ingiusti), è naturalmente quella di respingere una simile alleanza97. Il sovrano ateniese inizialmente rifiuta persino di sottoporre la questione all’assemblea popolare: [TESEO] E dopo tutto questo io dovrei diventare tuo alleato? Quale valida ragione potrò addurre davanti ai miei concittadini? Addio, vattene. Se hai preso decisioni sbagliate, combatti da solo contro il tuo destino, e lasciaci stare (vv. 246-249).

96 Nell’accusa di Teseo di aver maritato le sue due figlie a uomini non del luogo, con il rischio di ‘corrompere’ la discendenza (vv. 221-222), è stato individuato un richiamo alla legge di Pericle del 451/2, che negava diritto di cittadinanza ai chi non fosse figlio di genitori entrambi ateniesi: cfr. in proposito COLLARD, Euripides, Supplices, p. 144 (n. ad v. 134) e CERRI, Argo e il dibattito costituzionale, pp. 194-195. 97 Più avanti, ai vv. 591-592, Teseo vieterà ad Adrasto di partecipare alla spedizione per il recupero delle salme, con un’analoga motivazione: non vuole che le sue sorti «si mescolino» a quelle di Adrasto: cfr. summeivxa" v. 221 con ajnameivgnusqai v. 591.

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Il re argivo non ha dunque persuaso Teseo. A indurlo al ripensamento saranno invece le madri dei Sette e soprattutto la stessa madre di Teseo, Etra, che delle Supplici si fa patrona. Le principali argomentazioni di Etra sono le seguenti: a) non ascoltare gli iJkevtai comporta il venire meno a una legge divina: il discorso si sposta dunque dal piano politico a quello religioso, come già nelle Supplici eschilee (vv. 301-302); b) bisogna fermare la violenta e malvagia Tebe, e impedirle di violare le leggi di tutta la Grecia, che impongono la restituzione delle salme e la loro sepoltura (vv. 306-313); c) Teseo ne ricaverà motivo d’onore, mentre, se rinuncia, apparirebbe un vile, e le sue passate imprese contro i mostri che infestavano l’Ellade saranno vanificate (vv. 306 e 314-319); d) contro il timore di Teseo di coinvolgere in una guerra la sua città, Etra risponde che Atene nei pericoli si rafforza (v. 323); e inoltre non c’è da avere paura di Tebe, se si agisce secondo giustizia (vv. 328-331). Teseo è indotto a intervenire soprattutto dalla motivazione che è sempre stato suo costume (ovvero costume di Atene) punire i malvagi (vv. 338-341): e quindi egli accetta di schierarsi a favore di Argo principalmente per fermare Tebe. Ma, preliminarmente, non manca di ribadire la sua profonda riprovazione nei confronti di Adrasto: [TESEO] Per me, madre, quanto ho detto nei riguardi di costui rimane giusto: ho mostrato per quali motivi secondo me ha sbagliato (vv. 334-336). Prima di impegnarsi attivamente, Teseo vuole però che sia la città intera a decidere: ovvero, egli fa proprio quel che aveva ripetutamente ribadito Pelasgo nelle Supplici eschilee98 – ma in modo decisamente perentorio e soprattutto con assai maggiore consapevolezza del suo ruolo di supremo magistrato che determina l’esito della decisione popolare (c’è alle spalle, naturalmente, l’esperienza storica della leadership di Pericle, di cui il personaggio Teseo serba per vari aspetti le tracce)99: 98 99

Cfr. in particolare Aesch. Suppl. 365-369, 392-396, 517-523, e supra par. 1.6. Sul nesso tra Pericle e il personaggio di Teseo, cfr. V. DI BENEDETTO, Euripide: teatro

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[TESEO] Voglio che l’intera città sia d’accordo su questo. Se lo voglio io, sarà d’accordo. Ma se gli dò la parola, il popolo mi sarà più favorevole. Io l’ho reso sovrano: a questa città ho dato la libertà e parità di voto. Prendo Adrasto a testimone delle mie parole e vado all’assemblea dei cittadini. E dopo averli convinti, riunirò giovani scelti tra gli Ateniesi e tornerò qui: armi alla mano, invierò ambasciatori a Creonte per richiedere le salme (vv. 349-358). Teseo è talmente sicuro di avere in pugno l’assemblea, da non nutrire il minimo dubbio sul suo esito: se Pelasgo invocava l’aiuto di persuasione (Aesch. Suppl. 522, peiqw; d j e{poito), Teseo dà per scontato che il popolo verrà da lui convinto (peivsa" tavde, v. 355), e proiettandosi al momento addirittura successivo alla deliberazione assembleare prefigura già l’azione militare da condurre contro Creonte. Come già faceva Pelasgo con Danao, anche Teseo porta con sé Adrasto, perché gli faccia da testimone per quello che dirà (labw;n d j A [ draston deig ~ ma twn~ ejmwn~ lovgwn / ej" plhq~ o" ajstwn~ ei\mi, vv. 354-355). Tuttavia, mentre l’esito della deliberazione nelle Supplici eschilee non è ritenuto ovvio, tant’è vero che Pelasgo si sente indotto a istruire Danao su quel che è opportuno dire (cfr. Aesch. Suppl. 519, «insegnerò a tuo padre [scil. Danao] che cosa deve dire»)100, in Euripide la presenza di Adrasto appare alquane società, Torino 1971, p. 180, che ha individuato una stretta corrispondenza tra i vv. 349-350 e il giudizio sullo statista ateniese espresso in Thuc. II 65. Sulla stessa linea cfr. anche H. HERTER, Theseus der Athener, RhM, 88 (1939), in particolare p. 318; R. GOOSSENS, Péricles et Thésée, «Bulletin de l’Association Guillaume Budé» 35 (1932), pp. 1-32 (Goossens ha ribadito le sue convinzioni in Euripide et Athènes, Bruxelles 1962, pp. 433-436); J. PODLECKI, A Pericles Prosôpon in Attic Tragedy?, «Euphrosyne», 7 [19751976], pp. 7-27 (in part. pp. 22 ss.). Il confronto tra Teseo e Pericle è stato spesso istituito anche a proposito del problema del rispetto delle leggi, a cui si richiama Teseo, e della necessità che esse abbiano una registrazione ufficiale (Suppl. 430 ss.): cfr. in proposito J.H. FINLEY, Euripides and Thucydides, «HSCPh», 49 (1938), pp. 36 ss.; G. CERRI, Legislazione orale e tragedia greca, Napoli 1979, pp. 65 ss.; M. DI MARCO, Il dibattito politico nell’agone delle Supplici di Euripide: motivi e forme, «Helikon», 20-21 (19801981), pp. 200 ss. Per un recente riesame della questione, con ulteriori indicazioni bibliografiche, cfr. MILLS, Theseus, Tragedy and the Athenian Empire, pp. 97 ss. 100 Pelasgo non solo istruisce Danao ai fini del processo, ma gli ordina anche di raccogliere i rituali ramoscelli delle figlie e di portarli in città, per distribuirli sugli altri altari, «affinché – precisa – tutti i cittadini vedano la testimonianza di questa vostra supplica (th~sd j ajfivxew" tevkmar) e le mie parole non siano respinte» (vv. 483-485).

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to estrinseca, poco più che un tributo al modello. Se la partecipazione di Danao alla boulhv aveva soprattutto la funzione di garantire un testimone autoptico alla decisione assembleare, consentendogli così di esporre un dettagliato racconto della votazione nella rJhs ~ i" ajggelikhv dei vv. 605-624101, qui Adrasto non svolge nessun ruolo analogo: la conduzione dell’assemblea viene infatti assai succintamente riferita da Teseo stesso, con il tono sicuro e compiaciuto di chi sa di avere il pieno controllo della situazione: [TESEO] Non appena saputo che io lo desideravo, la città ha accettato spontaneamente e volentieri questa impresa (vv. 393-394). Nel resoconto di Teseo, la prospettiva di una guerra appare addirittura motivo di adesione gioiosa (ajsmevnh, v. 393) per lo Stato ateniese, qualora il suo re sia ad essa favorevole (qevlontav me, v. 394). Tra la volontà del leader e la volontà della sua città c’è dunque un rapporto di diretta trasmissione: se di Pelasgo veniva ricordato il discorso, breve ma articolato, tenuto ai suoi concittadini102, Teseo non sembra nemmeno aver avuto necessità di articolare un discorso103: al re ateniese è bastata insomma la comunicazione dei suoi desiderata, perché la città con entusiasmo lo seguisse. 3.2. Se fin qui lo spettatore ha assistito alla presa di distanze, all’inizio piuttosto netta ma poi parzialmente superata, di Teseo nei confronti di Adrasto, dalla quale ha ricavato l’idea di una sostanziale differenza nel modo di gestire la cosa pubblica tra i due rappresentanti delle rispettive poleis, la scena successiva è quella del L’impostazione religiosa del dramma eschileo prevede che la «prova» fornita dal supplice negli spazi politici della civica assemblea (il dei~gma di cui parla Teseo) venga corroborata dalla «testimonianza» (tevkmar) dell’ iJkesiva negli spazi religiosi. Quest’ultima dimensione, nonostante l’ambientazione del dramma in Eleusi davanti al tempio di Demetra, viene invece da Euripide trascurata per quanto riguarda la sua efficacia persuasiva sulla popolazione: agli Ateniesi basta solo la garanzia fornita dal loro leader negli spazi politici. 101 Cfr. supra par. 1.6. 102 Cfr. Aesch. Suppl. 615-620. 103 Nessun riferimento c’è, del resto, al tema di peiqwv nel resoconto di Teseo, come invece avveniva in Aesch. Suppl. 615, e[peiqe e 623, dhmhgovrou" d j ... eujpiqei~" strofav" (cfr. supra, n. 41).

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celebre agone fra l’araldo tebano e Teseo, in cui il divario fra le due città-personaggio di Tebe e Atene appare irriducibile. Il focusing qui si sposta: se prima il contrasto era tra una forma di governo giusta (quella impersonata da Teseo-Atene: rispettosa degli dèi, rispettosa della volontà popolare, pronta a combattere i malvagi e a porsi come baluardo della giustizia e dell’Ellade) e una forma di governo imperfetta (quella rappresentata da Adrasto: non rispettosa degli dèi, non rispettosa della volontà popolare, fautrice di una fazione aristocratica incurante del bene del dh~mo", con la quale ha commesso l’errore di imparentarsi, ma pur tuttavia disposta a riconoscere i propri errori e a correggersi), ora il contrasto è tra due regimi opposti, democrazia e tirannide, e Argo resta in posizione nettamente decentrata. Il segnale di questa marginalizzazione di Argo è assai esplicito. Nel suo primo intervento l’araldo tebano comunica il diktat di Creonte a Teseo: scacciare Adrasto rinunciando al recupero dei cadaveri, altrimenti sarà guerra tra Atene, Tebe e i rispettivi alleati (vv. 467-475). Adrasto allora, sentendosi posta in gioco, s’intromette nel dialogo per rispondere all’araldo: l’apostrofe w\ pagkavkiste con cui egli attacca a parlare al v. 513 non vuole costituire, nelle intenzioni del personaggio, un’isolata esplosione di indignatio: si tratta, al contrario, dell’inizio di un discorso più lungo, che viene però bloccato da Teseo sul nascere. Lo rivela la stessa posizione del vocativo, dopo il distico convenzionale d’intermezzo del coro, esattamente nel punto in cui c’è di norma l’attacco della rhesis di risposta104. E indirettamente lo rivelano anche le irritate parole di Teseo che interviene a zittirlo in malo modo, dimostrando di aver correttamente interpretato l’intento di Adrasto: [ADRASTO] Maledetto... [TESEO] Taci, Adrasto, trattieni la bocca, e non mi precedere con le tue parole. Costui non è venuto in ambasceria da te, ma da me. Sono io che devo rispondere105! Questa perentorio invito di Teseo al siga~n avrà molta efficacia. Per un simile uso dell’apostrofe w\ pagkavkiste all’inizio di una rhesis di risposta, cfr. ad esempio Eur. Med. 465.

104

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Eur. Suppl. 513-516.

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Adrasto rimarrà in silenzio per più di duecento versi106, e prenderà a parlare ben dopo l’agone fra Teseo e l’araldo tebano, e precisamente alla fine della rhesis del messaggero relativa alla battaglia fra Ateniesi e Tebani, in un contesto drammatico in cui è l’unico attore in scena e dunque spetta a lui il compito di rispondere al messo. E la sua replica esprime quello che alcuni critici hanno voluto individuare come il fabula docet del dramma, tanto più efficace in quanto arriva dopo un protratto silenzio107: [ADRASTO] O Zeus, perché si dice che gli sventurati mortali hanno l’uso della ragione? Da te noi dipendiamo, e facciamo quel che tu vuoi. Ai nostri occhi Argo era indomabile, e noi eravamo in molti, e giovani di forze. Quando Eteocle, disposto alla mediazione, offrì un accordo, noi non accettammo e così ci siamo rovinati. Il dissennato popolo di Cadmo, allora favorito dalla sorte, poi, come un povero che s’è appena arricchito, divenne superbo, e per la sua arroganza fu a sua volta annientato. O stolti mortali, che tendete l’arco oltre misura e per questo ad opera di giustizia patite molte sventure, voi non date retta agli amici, ma alle circostanze sì. E voi, città, che potreste con le trattative evitare sciagure, non con il dialogo ma con le stragi risolvete le discordie108! A questo proposito è lecito parlare per Adrasto di un percorso di apprendimento che rappresenta per certi aspetti l’omologo della paideia democratica che alle Supplici eschilee (e attraverso il loro tramite agli spettatori delle Dionisie) era stata impartita da Pelasgo109. Sennonché qui, quel che apprende il nostro personaggio è un messaggio fondamentalmente antibellicista, che fa leva sulla indiscutibile priorità da assegnare alle trattative diplomatiche, nel risolvere le vertenze tra Stati, rispetto al ricorso alla guerSull’atipicità del prolungato silenzio di Adrasto in questa scena, si veda V. DI BENEDETTO, Eur. Phoen. 1335 sgg., RFIC 130, 2002, pp. 391 ss. 107 Cfr. anche i vv. 949-954. 108 Eur. Suppl. 734-750. Interpretato in chiave politica, il messaggio di Adrasto sembra costituire un rimprovero agli uomini di governo perché, anziché seguire un sistema di alleanze fidate, preferiscono lasciarsi trascinare dalle situazioni del momento (sullo slittamento semantico di toi~" ... pravgmasi al v. 747 da «circumstances» a «business», cfr. COLLARD, Euripides, Supplices, p. 300), e ancora perché, una volta scoppiate le contese, preferiscono ricorrere alla forza anziché agli accordi diplomatici. 109 Cfr. supra par. 1.6. 106

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ra. L’importanza che Adrasto assegna alla fiducia nei philoi (v. 746) ricorda in particolare l’invito delle Danaidi, ai vv. 701-703 del loro Segenslied, a ricorrere al sistema dei foedera 110: un invito che da Euripide viene ora dilatato e ritradotto in termini più esplicitamente pacifisti111. Poi Adrasto invita le madri a un canto funebre, del quale assume il ruolo di ejxavrcwn (non dissimilmente da quel che aveva fatto lo sconfitto Serse nell’esodo dei Persiani): perde dunque il ruolo di leader politico che decide delle sorti della sua città (giacché tale ruolo è stato fatto proprio dallo stesso Teseo) per assumere invece una funzione eminentemente rituale. Il leader politico indiscusso resta ora il re di Atene. E non è certamente un caso che Teseo, al momento di partire per il recupero dei cadaveri argivi, avesse espressamente estromesso Adrasto dalla spedizione, con la motivazione di non voler unire le proprie sorti alle sue (soi; de; prostavssw mevnein, / [Adraste, kajmoi; mh; ajnameivgnusqai tuvca" / ta;" sav", vv. 590 ss.)112, giacché intende porsi, insieme al suo daivmwn e con l’approvazione degli dèi, come il nuovo condottiero di quella nuova guerra (ejgw; ga;r daivmono" toujmou~ mevta / strathlathvsw kaino;" ejn kainw~/ doriv, vv. 592-593). Quando ritornerà in scena, Teseo affiderà ad Adrasto il compito di pronunciare l’elogio funebre sui caduti; dunque, restituisce ad Adrasto un suo ruolo di guida, ma soltanto in un contesto ritualizzato, in questo caso legato a una circostanza d’apparato, celebrativa ma non incisivamente ‘fattuale’113, e soprattutto non rinuncia a una Cfr. supra par. 2.5. (in particolare n. 72). Sulla Stimmung pacifista delle Supplici euripidee, su cui quasi tutti i critici concordano, una ricca ricognizione bibliografica si legge in DI MARCO, Il dibattito politico, pp. 174-175, n. 31. 112 A proposito della ricorrenza del verbo ajnameivgnusqai al v. 591 cfr. supra, n. 97. 113 Come ha sottolineato DI BENEDETTO, Euripide: teatro e società, pp. 168-169 (e cfr. anche CERRI, Argo e il dibattito costituzionale, pp. 195-196), anche il discorso funebre di Adrasto, che dedica a ciascun condottiero caduto un elogio specifico, è connotato in senso aristocratico: secondo quanto documenta Cicerone in Leg. II 64-65, nel Ceramico, in un non ben precisato periodo, posteriore comunque a Solone e molto probabilmente coincidente con l’età periclea, era invalsa la norma democratica secondo cui i caduti in battaglia dovevano essere celebrati collettivamente con un unico discorso, mentre non erano più consentite celebrazioni individuali di personaggi eminenti. Gli spettatori ateniesi avranno perciò colto la difformità dell’elogio funebre di Adrasto rispetto alle loro consuetudini. 110

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diretta supervisione. Per tutta la scena successiva, infatti, Teseo non desiste dal guidare e dal correggere il re argivo, e quest’ultimo esegue ogni volta docilmente gli ordini a lui impartiti, come avviene, ad esempio, ai vv. 941-948: [ADRASTO] Accostatevi, sventurate madri, ai vostri figli! [TESEO] Non è affatto opportuno, Adrasto, quello che dici. [ADRASTO] Come? Le madri non devono toccare i figli? [TESEO] Morirebbero nel vederli così sfigurati. [ADRASTO] È vero, crudele vista il sangue e le ferite dei morti. [TESEO] Perché dunque vuoi infliggere loro questa pena? [ADRASTO] Hai ragione: si deve attendere con pazienza. Teseo parla bene. Il ridimensionamento del personaggio di Adrasto appare dunque evidente non solo sul piano politico, ma anche all’interno dello stesso contesto rituale, che è pure quello in cui egli trova la sua più importante espressione all’interno del dramma. 3.3. Di nuovo, Adrasto non fa più sentire la sua voce fino ai vv. 1176 ss. E anche qui prende la parola per sollecitazione di Teseo: [TESEO] Adrasto, e voi donne di stirpe argiva, guardate questi figli che tengono tra le braccia i cadaveri dei valorosi padri, che ho raccolto. Io e la città gliene facciamo dono. E voi, memori di questo, serbateci gratitudine: quel che avete ottenuto da me è davanti ai vostri occhi. A questi figli ripetete le stesse parole: di onorare questa città, e ai figli dei figli tramandate per sempre il ricordo di quanto avete ricevuto. Zeus sia testimone con gli dèi celesti dei grandi benefici di cui vi abbiamo fatto dono. [ADRASTO] Teseo, siamo consapevoli di tutto il bene che hai compiuto per la terra argiva, quand’era bisognosa d’aiuto, e ne serberemo perpetua gratitudine. Dobbiamo ricambiare il nobile aiuto che abbiamo ricevuto da voi. [TESEO] C’è altro che debbo fare per voi? [ADRASTO] Addio, siate felici: tu e la tua città ne siete degni. [TESEO] Così sia. Possa anche tu godere della stessa sorte114. 114

Eur. Suppl. 1165-1182.

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Queste professioni di riconoscimento dei meriti di Atene da parte di Adrasto appaiono non poco lontane dalle parole di sempiterna alleanza pronunciate dall’Oreste eschileo subito dopo la sua assoluzione nel processo in Eum. 762-774115. L’eroe eschileo esprimeva sua sponte la propria riconoscenza ad Athena e alla sua città, senza che questa in nessun modo lo sollecitasse a farlo. Il ringraziamento di Adrasto è invece ‘indotto’ dal discorso introduttivo di Teseo, che impone la charis a lui e ai suoi figli (uJma~" de; tw~nde crh; cavrin memnhmevnou" / swv/zein, oJrw~nta" w|n ejkuvrsat j ejx ejmou~ ktl., vv. 1169 ss.): il re argivo appare dunque in una situazione d’inferiorità, che non ha confronto con il dramma eschileo, dove Argo aveva una sua dignità di alleata, spontaneamente propositiva e non passiva. Questo aspetto spontaneamente propositivo Euripide invece fa di tutto perché appaia obliterato. L’aiuto è infatti a senso unico: Teseo chiede se, dopo i suoi precedenti benefici, può fare ancora qualcosa per Argo, ma non si parla affatto di una ricompensa specifica di Argo per Atene, al di fuori di un generico senso di gratitudine che non prefigura nulla di concreto. Insomma, Adrasto non sembra intenzionato a offrire nulla di tangibile in cambio del decisivo sostegno ricevuto da Teseo. Tant’è vero che Euripide fa intervenire Athena in modo assai brusco e senza dubbio decisamente impositivo nei confronti di Argo, inducendo Teseo a esigere da Adrasto un giuramento di alleanza: [ATHENA] Ascolta, Teseo, queste parole di Athena, e ciò che devi fare per trarre giovamento da questa vicenda. Non concedere così facilmente a questi figli di portare le ossa nella terra argiva, ma in cambio delle fatiche tue e della città esigi innanzi tutto un giuramento (prw~ton lab j o{rkon). Adrasto deve fare questo giuramento (tonvde d j ojmnuvnai crew;n / [Adraston): egli ha il potere di giurare (kuvrio" ... oJrkwmotei~n) per tutta la terra dei Danaidi, poiché ne è il sovrano. Il giuramento sarà (oJ d j o{rko" e[stai): gli Argivi non porteranno mai le armi in guerra contro questo suolo, e impugneranno le lance ad impedire che altri l’attacchino. Ma se, violato il giuramento (o{rkon ejklipovnte"), un

115

Cfr. supra, par. 2.1.

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giorno marceranno contro Atene, prega gli dèi che la terra argiva malamente perisca116. Con evidente capovolgimento rispetto al modello, l’ o{rko" liberamente offerto da Oreste ad Athena (Aesch. Eum. 764, oJrkwmothvsa" nu~n e v. 764 e 768, tajma; ... nu~n oJrkwvmata) diviene qui un’ingiunzione della stessa Athena ad Adrasto. E le condizioni sono ben più dure. Oreste aveva promesso viva benevolenza (aujtoiv sfin hJmei" ~ ejsmen eujmenevsteroi, Aesch. Eum. 774), e dunque, in definitiva, vantaggi concreti, per quanti avessero rispettato il giuramento, mentre per gli Argivi che avessero mosso guerra ad Atene trasgredendo l’alleanza si prevedeva un infausto esito della loro spedizione. Athena, invece, non solo non prevede vantaggi per Argo dal rispetto dell’accordo, ma addirittura stabilisce che in caso di spedizione armata contro Atene a pagarne le gravose conseguenze sia tutta quanta la terra d’Argo, e non, come in Eschilo, l’esercito soltanto (h]n d j o{rkon ejklipovnte" e[lqwsin povlin, / kakw~" ojlevsqai provstrep j A j rgeivwn cqovna, vv. 1194-1195). Dopo aver dettato alcune pratiche rituali che Teseo deve compiere per solennizzare il giuramento e anche per assicurare alla sua città protezione e difesa contro i nemici (vv. 1197-1212)117, la 116 Eur. Suppl. 1183-1195. A proposito del ricco e puntuale formulario tecnico utilizzato in questo giuramento, che intende rifarsi alla terminologia dei trattati contemporanei, familiari agli spettatori ateniesi grazie alle iscrizioni pubbliche, si veda l’ampio materiale documentario riportato in G. ZUNTZ, The Political Plays of Euripides, Manchester 1955, pp. 73 ss. e in COLLARD, Euripides, Supplices, pp. 411 ss. (nn. ad vv. 1191-1193, 1194-1195). 117 Anche a questo proposito Athena si sta ispirando a pratiche in uso nella Grecia storica allo scopo di divulgare i testi dei trattati (per es. l’affissione in luoghi pubblici, in questo caso a Delfi stessa: cfr. COLLARD, Euripides, Supplices, pp. 415, n. ad vv. 1201-1204). Il coltello seppellito nel luogo del giuramento e delle pire dei Sette (vv. 1205-1207) ha la funzione di proteggere la città dall’assalto di nemici (fovbon ga;r aujtoi~", h[n pot j e[lqwsin povlin, / deicqei~sa qhvsei kai; kako;n novston pavlin vv. 12081209), come avveniva per la tomba di Oreste in Aesch. Eum. 767-771 (aujtoi; ga;r hJmei~" o[nte" ejn tavfoi" tovte / toi~" tajma; parbaivnousi nu~n oJrkwvmata / ajmhcavnoisi pravxomen duspraxivai", / oJdou;" ajquvmou" kai; parovrniqa" povrou" / tiqevnte", wJ" aujtoi~si metamevlh/ povno"). Le differenze tra i due contesti sono però notevoli, coerentemente con il diverso trattamento che l’accordo Argo/Atene riceve nei rispettivi drammi. La funzione protettrice è infatti qui stabilita da Athena, anziché essere espressa come spontaneo dono del supplice, come invece avviene, oltre che per Oreste nelle Eumenidi, anche per Edipo in Soph. Oed. Col. 574-628, 1522-1535 e per Euristeo in Eur. Heraclid. 1032-1036 (Euristeo, essendo stato risparmiato dagli

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dea passa a parlare della futura generazione argiva. La discendenza dei posteri era coinvolta anche da Oreste nella sua formulazione del giuramento (Aesch. Eum. 765-771)118: il riferimento era del resto inevitabile in contesti in cui la validità del trattato s’immaginava proiettata per tutto il tempo a venire119. Ebbene, Athena esprime con una serie di forme verbali al futuro quel che gli Epigoni faranno: sotto il comando di Egialeo piomberanno su Tebe e la distruggeranno120. Siamo naturalmente in un contesto di profezia, come spesso all’interno del discorso del deus ex machina nell’esodo. È interessante tuttavia il modo in cui Euripide ha legato la profezia sugli Epigoni sia al giuramento imposto ad Adrasto (dove le clausole del trattato sono analogamente espresse con forme verbali al tempo futuro)121 sia alle prescrizioni ordinate a Teseo per la validità del giuramento stesso (la connessione tra quel che la dea ha detto a Teseo e quel che essa dice agli Epigoni è sottolineata dalla formulazione sintattica rigorosamente parallela del v. 1213, dove al soiv me;n tavd j ei\pon del primo emistichio, in riferimento a Teseo, è fatto puntualmente corriAteniesi, promette che la sua tomba proteggerà Atene dagli attacchi di Argo, qualora quest’ultima dimentichi il suo debito di riconoscenza). Inoltre, il fatto che nelle Eumenidi il ‘talismano protettivo’ fosse ubicato in Argo (una probabile innovazione da parte di Eschilo: cfr. SOMMERSTEIN, Aeschylus. Eumenides, p. 237, n. ad v. 767) e non in Eleusi o nella stessa Atene come negli altri casi, doveva contribuire, nelle intenzioni del tragediografo, a rafforzare il legame tra le due città: legame che nelle Supplici euripidee risulta invece ulteriormente indebolito dal fatto che la funzione apotropaica sembra esercitarsi nei confronti di tutte le aggressioni esterne, e non solo argive (come appunto avveniva nelle Eumenidi e anche nel sopra menzionato caso degli Eraclidi). In altre parole, il dono apotropaico è presentato nel dramma euripideo come una ricompensa divina ad Atene per la sua generosità (e per questo agisce a tutto campo e contro ogni aggressore), e non un dono interpersonale fra Oreste e Athena, ovvero tra Argo e Atene. 118 E cfr. già la proclamazione di Apollo, che anticipa la promessa di Oreste, in Aesch. Eum. 671 s., kai; tovnd j ejpikthvsaio suvmmacon ... kai; tou;" e[peita. 119 Sull’eternità del patto, cfr. Aesch. Eum. 292, ej" to; pan~ ; 670, ej" to; pan~ crovnou; 672, aijanw~"; 763, eij" a{panta pleisthvrh crovnon; 773, aijeiv; Eur. Suppl. 1191, mhvpote; si tratta di un’eco della formula in uso nei trattati diplomatici eij" to;n a{panta crovnon, per la quale cfr. And. de pace 29 e H. BENGTSON, Die Staatsverträge des Altertums, Band 2: Die Verträge der griechisch-römischen Welt von 700 bis 338 v. Chr. (unter Mitwirkung von Robert Werner), München und Berlin 1962, Register I, s.v. ‘ewige Verträge’. 120 Cfr. Eur. Suppl. 214, porqhvsete e 1222, h{xete. 121 Cfr. mhvpot j... ejpoivsein polevmion panteucivan, vv. 1191-1192; qhvsein dovru, v. 1193.

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spondere, nel secondo emistichio, paisi; d j jArgeivwn levgw). Da questa peculiare presentazione dei fatti lo spettatore riceve l’impressione che le imprese future degli Epigoni facciano parte delle clausole del trattato: come se la storia a venire di Argo fosse stata imposta anch’essa da Athena, e rientrasse nelle prescrizioni. Non c’è dubbio, d’altra parte, che la dea abbia anche voluto suggerire che la nuova generazione, grazie all’impresa contro Tebe, riabiliterà la città di Argo, danneggiata dal comportamento errato del suo predecessore. Nel determinare questo sviluppo ‘positivo’ agisce naturalmente il sostrato mitico122; resta tuttavia a mio parere altamente indicativa la formulazione scelta da Euripide, a conclusione di una serie di prescrizioni date dalla divinità, e non nella forma di una promessa (più o meno circostanziata) o di un impegno reso spontaneamente da Adrasto (come pure, per il nostro drammaturgo, sarebbe stato possibile fare, sulla scorta di quanto si verificava a proposito dell’Oreste eschileo, che impegnava la sua parola anche per i posteri). Peraltro Adrasto, l’unico che abbia il potere di giurare (come osserva Athena ai vv. 1189-1190) non conferma e nemmeno commenta in prima persona gli ordini della dea: dopo che Teseo ha assicurato la sua obbedienza in relazione al giuramento (vv. 12271231, in particolare v. 1229, tovnd j ejn o{rkoi" zeuvxomai), è il coro, all’interno del convenzionale intervento anapestico a conclusione del dramma, a invitare se stesso e Adrasto, nella forma del congiuntivo esortativo, al giuramento (vv. 1232-1234, steivcwmen, [Adrasq j, o{rkia dwm ~ en / tw/d~ j ajndri; povlei t j a[xia d j hJmin~ / promemocqhvkasi sevbesqai)123. Le ultime parole del re argivo, in questo dramma, restano quelle da lui rivolte a Teseo al v. 1181: un Si tratta del mito di Egialeo, figlio di Adrasto e capo degli Epigoni, che dieci anni dopo la morte dei padri condusse una spedizione vittoriosa contro Tebe. La funzione eziologica di questo racconto, peraltro, è piuttosto marginale ai fini dello scioglimento dell’azione drammatica in corso. Anche in questo caso, come già s’era notato a proposito del primo incontro tra Adrasto e Teseo (cfr. supra, par. 3.1), il carattere ‘accessorio’ del riferimento è in realtà una spia dell’intento ideologico ad esso sotteso: un episodio ‘glorioso’ del complesso mitico argivo viene da Euripide attirato nell’orbita ateniese. 123 Questo appare peraltro coerente con i vv. 372 ss. del primo stasimo, dove era per l’appunto il coro ad auspicare una futura alleanza tra Argo e Atene: eij ga;r... (scil. Qhseuv") ga~n de; fivlion jInavcou qei~t j ojnhvsa", vv. 372-373; tiv moi povli" kranei~ pot(e) a\ra fivliav moi temei~..., vv. 374-375. 122

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solo trimetro di saluto, piuttosto convenzionale ([AD.] cair~ .j a[xio" ga;r kai; su; kai; povli" sevqen), a sua volta seguito dall’altrettanto convenzionale saluto di contraccambio da parte di Teseo ([QH.] e[stai tavd .j ajlla; kai; su; tw~n aujtw~n tuvcoi" v. 1182). S’impone inevitabile il confronto con l’assai più intenso saluto di Oreste al momento di congedarsi da Athena e dalla sua città: nelle Eumenidi l’augurio di prosperità, in corrispondenza di una fase ascendente dell’imperialismo ateniese, si traduce nell’auspicio di guerre vittoriose che la innalzino al di sopra degli avversari (kai; cai~re, kai; su; kai; polissou~co" lewv"./ pavlaism j a[fukton toi~" ejnantivoi" e[coi", / swthvriovn te kai; doro;" nikhfovron, Aesch. Eum. 775-777). È naturalmente vero che in bocca ad Adrasto, dopo le sue proclamazioni antibelliciste dei vv. 734-749 e 949-954, un simile augurio sarebbe apparso fuori luogo124. Resta comunque significativa, in riferimento al tema dell’alleanza, una certa ‘tiepidezza’ complessiva al riguardo, tanto più evidente se confrontata con l’ipotesto eschileo. 3.4. Nelle Supplici euripidee la politica estera di Argo appare dunque decisa dall’alto e imposta alla città. E non c’è dubbio che si tratta di un patto d’alleanza sfavorevole ad Argo e favorevole ad Atene. L’impressione che si ricava dalla lettura del dramma è che – a differenza di Eschilo – Euripide abbia voluto spostare l’ago della bilancia dalla parte di Atene, con il risultato di ridurre Argo ad alleata di rango inferiore. Tuttavia, attraverso il filtro mitico, ad Argo viene riconosciuta una forma di riscatto che si realizzerà in avvenire: Euripide lascia infatti intendere che, nonostante gli errori del passato, la generazione successiva potrebbe riabilitare la città, ripristinando gli antichi valori di cui Argo era portatrice. In definitiva, la chiave di lettura che si può proporre in relazione al tema di Argo in questa tragedia è la seguente. Nell’imminenza di un nuovo trattato fra le due città125, Euripide Naturalmente può esservi sottesa anche una certa disillusione di Euripide rispetto alla politica contemporanea, che investe a sua volta quel sistema di alleanze a cui l’Atene periclea aveva in parte affidato la propria ascesa. Per un’interpretazione del dramma in chiave di incipiente distacco dalla vita politica, cfr. DI BENEDETTO, Euripide: teatro e società, pp. 154-192. 125 È più probabile che il dramma precedesse anziché seguire il trattato di alleanza 124

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mette in scena un dramma per vari aspetti omologo a quello che Eschilo aveva composto in un simile contesto storico circa quarant’anni prima, e l’operazione è, da parte di Euripide, pienamente consapevole. Ma, secondo un approccio critico nei confronti del vecchio drammaturgo che caratterizza il suo teatro126, Euripide ha voluto evidenziare la profonda differenza che esiste tra l’Argo antica, la democrazia ideale vagheggiata da Eschilo, e l’Argo contemporanea, quale appare ai suoi occhi dopo il sostanziale fallimento dell’alleanza del 462/1 e soprattutto dopo i trascorsi della trentennale alleanza con Sparta nel periodo 451-421: «una democrazia fragile e profondamente divisa, insidiata dalla costante attività di una fazione oligarchica tenace e mai doma»127. Euripide dunque corregge Eschilo spostando il baricentro su Atene, e mostrando che il sistema democratico di Argo – celebrato utopisticamente da Eschilo – è in realtà imperfetto. Atene – e solo Atene – è degna di incarnare storicamente il modello democratico di città che si erge a difesa della giustizia e dei diritti degli offesi128, mentre l’Argo attuale, diversamente dalle luminose (come ha scritto recentemente M. TOHER, Euripides’ Supplices and the Social Function of Funeral Ritual, «Hermes» 123 (2001), p. 342, «it reflects a period when the issue of such an alliance was a topic of discussion rather than a completed agreement»); infatti, le condizioni che emergono dal testo tragico sono, come si è visto, decisamente a sfavore di Argo e di un tenore tale che potevano essere imposte solo a una città sottomessa. Risulta invece più difficile pensare che post eventum Euripide avesse potuto mettere in scena una vicenda mitica che alludeva in luce così sfavorevole a un episodio politico recentemente avvenuto; per contro, un simile trattamento del mito anteriore di qualche anno alla summaciva rispecchierebbe meglio la posizione ideologica di Euripide (o di quanti in lui si riconoscevano): nonostante i trascorsi ‘errori’ di Argo, le si riconosce la possibilità di riabilitarsi. 126 La correzione del modello eschileo è una costante del tragico più giovane: basti pensare alla parodia della scena di riconoscimento delle Coefore che Euripide ha imbastito ai vv. 510 ss. dell’ Elettra, con una straordinaria operazione di smontaggio nei confronti dell’autorevole modello. 127 Cfr., in questo volume, BEARZOT, Argo nel V secolo, p. 141 e n. 114 (cfr. anche p. 122 e nn. 67-68, a proposito delle tracce di scarsa lealtà da parte argiva verso gli Ateniesi, spesso dovute a iniziative di esponenti del partito filospartano, nel periodo della guerra peloponnesiaca, e questo nonostante la città avesse conservato le sue istituzioni democratiche e anche un rapporto di formale amicizia con Atene). Cfr. anche TH. KELLY, Argive Foreign Policy in the Fifth Century B.C., CPh, 69 (1974), p. 81 e, dello stesso, The Traditional Enmity between Sparta and Argos: The Birth and Development of a Myth, AHR, 25 (1979), pp. 971-1003, dove risulta molto ridimensionato il carattere coerentemente filoateniese e antipersiano di Argo. 128 Le programmatiche proclamazioni di Adrasto ai vv. 187 ss. sono a questo riguardo

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aspettative dei democratici ateniesi alla fine degli anni Sessanta, appare incapace di risolvere, senza l’aiuto di Atene, la problematica situazione in cui si è venuta a trovare a causa dei suoi stessi errori. Mi sembra insomma che nella correzione del modello eschileo delle Supplici – correzione che naturalmente non si limita allo specifico tema argivo, a cui il mio intervento è necessariamente legato, ma che coinvolge porzioni assai più ampie del testo – sia inevitabile cogliere un atteggiamento di latente sfiducia da parte di Euripide nella – pur necessaria –129 operazione diplomatica, imminente o in corso, tra Atene e la sua vecchia alleata democratica. In questa situazione, come sembrano suggerire le Supplici euripidee, non si può profilare un trattato alla pari, ma un accordo sostanzialmente sbilanciato a favore di Atene. ABSTRACT This paper addresses the relationship beetween the mythical and the contemporary Argos in some tragedies of the fifth century, which were composed a few years before or after the two Athens-Argos alliances in 462/1 and 420 a.C.: Aeschylus’ Supplices (an analysis of the drama in this perspective is found in par. 1.) and Eumenides, and The Suppliant Women of Euripides. Between the two Aeschylean dramas there are many correspondences, especially in the dramatic structure, which can be properly explained only if we suppose chronological contiguity (par. 2.). The treatment of Argos in the Euripidean tragedy is radically different from that of Aeschylus, particularly for what concerns the personage of Adrastus, both in the first scene with Theseus and in the exodos (par. 3.). The attitude of the younger dramatist towards the alliance with Argos seems not so optimistic as in Aeschylus; on the contrary, it reflects a substantial mistrust which can be explained with the different historical context. assai significative. Naturalmente, il fatto che ad Atene venga riconosciuto un ruolo di guida in Grecia, non esclude affatto lo sguardo critico e disincantato da parte di Euripide nei confronti del regime democratico pericleo, incarnato da Teseo, come molta critica ha posto in rilievo (cfr. supra, n. 99). È del resto ben nota caratteristica del più giovane tragediografo presentare in forma sfaccettata e problematica, mai univoca, i suoi personaggi, in cui qualità positive e atteggiamenti negativi sono quasi costantemente presenti. 129 Sulla priorità delle alleanze e degli accordi diplomatici rispetto alle soluzioni belliche si era espresso Euripide per bocca di Adrasto ai sopramenzionati vv. 734-749.

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Il regime politico di Argo e le sue istituzioni tra fine VI e fine V secolo a.C.: verso un’instabile democrazia 1. Premesse Lo studio delle istituzioni di Argo non è un tema nuovo: soprattutto nell’ultimo quarantennio vi sono state pubblicazioni di grande rilievo, tra cui soprattutto quelle di M. Wörrle e di M. Piérart, che hanno contribuito in maniera decisiva a una migliore conoscenza della realtà politica della città peloponnesiaca1. In questa sede si è scelto un taglio in parte diverso da quello degli studi di carattere propriamente istituzionale: dunque, non già un’analisi sistematica delle istituzioni argive, bensì uno studio cronologicamente ordinato delle fonti letterarie ed epigrafiche, nel tentativo di ricostruire un quadro complessivo dell’evoluzione della  argiva tra la fine del VI e la fine del V secolo. Ne emergerà la complessa e per molti aspetti oscura transizione dalla monarchia al regime aristocratico e infine a quello democratico;

M. WÖRRLE, Untersuchungen zur Verfassungsgeschichte von Argos im 5. Jahrhundert vor Christus [Diss.], Erlangen-Nürnberg 1964; M. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, in P. FLENSTED-JENSEN - T.H. NIELSEN - L. RUBINSTEIN, Polis & Politics. Studies in Ancient Greek History Presented to M.H. Hansen on His Sixtieth Birthday, August 20, 2000, Copenhagen 2000, pp. 297-314 (cfr. anche i seguenti contributi, per quanto meno sistematici: ID., L’attitude d’Argos à l’égard des autres citès d’Argolide, in M.H. HANSEN, The Polis as an Urban Centre and as a Political Community. Symposium August 29-31 1996. Acts of the Copenhagen Polis Centre, IV, Copenhagen 1997, pp. 321-351; ID., Qu’est ce qu’être Argien? Identité civique et régime démocratique à Argos au Ve s. avant J.-C., in S. CATALDI, Poleis e politeiai. Atti del convegno internazionale di Storia greca. Torino, 29-31 maggio 2002, Torino 2004, pp. 167-185). Si vedano anche: A. TOMLINSON, Argos and the Argolid, from the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London 1972, pp. 187-199; E.W. ROBINSON, The First Democracies. Early Popular Government outside Athens, Stuttgart 1997 (Historia Einzel. 107), pp. 82-88; F. RUZÉ, Déliberation et pouvoir dans la cité grecque de Nestor à Socrate, Paris 1997, pp. 241-275; H. LEPPIN, Argos. Eine griechische Demokratie des fünften Jahrhunderts v. Chr., «Ktema», 24 (1999), pp. 297-312. 1

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si tenterà di ricostruire le caratteristiche delle diverse istituzioni di quest’ultimo in base agli sporadici accenni contenuti nelle fonti e di fornire un’interpretazione in grado di cogliere i tratti che maggiormente connotano l’esperienza democratica di Argo e la distinguono da quella ateniese. È evidente che in un tale progetto di lavoro risulta impossibile scindere nettamente lo studio strettamente istituzionale da quello della vita politica interna della città, così come anche dalle vicende internazionali, alle quali, come si vedrà, l’evoluzione del regime politico appare strettamente legata: di qui la mole non esigua del presente lavoro, il cui obiettivo primario rimane comunque un riesame della documentazione di carattere istituzionale.

2. Il sesto secolo 1. Per il VI secolo, ad Argo è ben attestata dalle fonti letterarie la monarchia: secondo Erodoto (VI 127, 3) Leocede, figlio del tiranno Fidone, sarebbe stato tra i pretendenti della mano di Agariste, figlia del tiranno Clistene di Sicione, che poi invece andò in sposa a Megacle ateniese (VI 129-130); Plutarco (Mor. 89e) ci informa che Leocede fu accusato di mollezza () durante il suo regno2. Pausania (II 19, 2) ricorda il figlio di costui, Melta, e afferma che «il popolo, dopo averlo condannato, pose completamente fine al suo potere» (      ). Questa notizia, se da un lato è interessante perché ci informa dell’esistenza di una monarchia ancora ereditaria, dal2 Sulle nozze di Agariste, cfr. infra, par. 2.3 e n. 13. Parlando della data delle nozze del figlio di Fidone, si pone automaticamente il grave problema della cronologia di quest’ultimo: tuttavia, non intendo entrare in questa questione, per la quale rimando allo studio di G. RAGONE, Riflessioni sulla documentazione storica su Fidone di Argo, in questo volume, pp. 27-103. Su quelle che probabilmente sono da considerarsi diverse versioni del nome del figlio di Fidone, (Leocede: Her. VI 127, 3; Lacide: Plut. Mor. 89e; Laceda: Paus. II 19, 2), si veda P. CARLIER, La roiauté en Grèce avant Alexandre, Strasbourg 1984, n. 102, p. 393 (tra coloro che non accolgono tali identificazioni, cfr. ad esempio G. HUXLEY, Argos et les derniers Téménides, BCH, 82 (1958), pp. 588-601 e L.H. JEFFERY, The Local Scripts of Archaic Greece, Oxford 19902, n. 1 p. 157). A proposito del problema se davvero Leocede sia il figlio di Fidone, si veda ora L. SCOTT, Historical Commentary on Herodotus Book 6, Leiden-Boston 2005, pp. 422, 589, 593.

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l’altro appare del tutto sospetta per il ruolo che assegna in un’epoca così alta al ; inoltre, non è chiaro se con l’espressione   Pausania voglia alludere a una sorta di deposizione del re, o più radicalmente alla fine della dinastia temenide o persino della monarchia argiva. È generalmente ricondotto a Melta anche un frammento diodoreo (VII 13, 2)3 di probabile derivazione eforea4, in cui si dice che gli Argivi accusavano () il loro , per aver riportato numerose sconfitte subite in una guerra contro gli Spartani e per aver restituito alcune terre a esuli arcadi, anziché ripartirle tra loro; il malcontento originò una sollevazione popolare (     ), che costrinse il re a fuggire e a rifugiarsi a Tegea. 2. Di natura completamente diversa le testimonianze epigrafiche: sono note tre iscrizioni argive, ascritte dagli studiosi al secondo quarto del sesto secolo (575-550), nelle quali non si trova mai riferimento al re, bensì alla magistratura dei damiurghi5. a) In una di queste6, di cui è preservata solo la parte finale, è conservata una lista di nove nomi, alcuni dei quali con patronimico, introdotti dalla dicitura   . b) Un secondo testo7, ritenuto su base paleografica di poco successivo al Excerpta de insidiis, fr. 23 (C. DE BOOR, Excerpta de insidiis, Berlin 1905, p. 198). A. ANDREWES, Ephoros Book I and the Kings of Argos, CQ, 1 (1951), pp. 39-45; T. KELLY, A History of Argos to 500 B.C., Minneapolis 1976, p. 135; U. BULTRIGHINI, Pausania e le tradizioni democratiche. Argo ed Elide, Padova 1990, pp. 120-121. 5 Per un primo inquadramento del problema sui damiurghi, rimando a: WÖRRLE, Untersuchungen, pp. 61-70; TOMLINSON, Argos, pp. 189, 198; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305. Per la datazione delle iscrizioni, si veda soprattutto H. VAN EFFENTERRE - F. RUZÉ, Nomima. Recueil d’inscriptions politiques et juridiques de l’archaisme Grec, I, Roma 1994, pp. 322-327, 354-357. Segnalo che per comodità impiegherò sempre come edizione base per le iscrizioni quella di H. van Effenterre - F. Ruzé, dalla quale si potrà ricavare con completezza la bibliografia precedente: eventuali riferimenti ulteriori saranno segnalati, senza pretese di esaustività, solo in seconda istanza. 6 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 87 pp. 322-323 (cfr. IG IV 614; JEFFERY, The Local Scripts, nr. 7 pp. 156-158, 168). 7 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 88 pp. 324-327 (cfr. C.D. BUCK, The Greek Dialects. Grammar, Selected Inscriptions, Glossary, Chicago 1955, nr. 83; SEG, 11 (1954) 314; JEFFERY, The Local Scripts, nr. 8 pp. 158, 168; R. KOERNER, Inschriftliche Gesetzestexte der frühen griechischen Polis, Köln - Weimar - Wien 1993, nr. 25 pp. 74-77). 3

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primo8, elenca i nomi di sei funzionari incaricati della conservazione di materiale consacrato ad Atena Poliade: come si ricava dall’intestazione del documento (  )9, si tratta ancora dei damiurghi, dei quali vengono qui ricordati sei nomi. c) Un’altra iscrizione10, ampiamente mutila, riporta una serie di sanzioni, in relazione alle quali sono ricordati ancora i damiurghi: in questo caso, è contemplata l’ipotesi di una loro assenza (    ), probabilmente nel senso di una vacanza della magistratura in un periodo di crisi11.

3. Il dato più evidente che emerge da questa raccolta di testi è l’assenza di riferimenti alla monarchia nelle fonti epigrafiche e alla magistratura dei damiurghi nelle fonti letterarie: è probabile che nella seconda metà del VI secolo la monarchia abbia progressivamente perso vigore e sia stata affiancata da nuovi magistrati, i damiurghi, i quali, come attesta la documentazione epigrafica impiegando un verbo che testimonia tutto il loro potere, 12. Se si deve accettare per Leocede, figlio di Fidone, una collocazione grosso modo alla seconda metà del secolo, sulla base del fatto che Erodoto lo ritiene tra i pretendenti alle nozze di Agariste, che si datano attorno tra il 575 e il 56713, allora si deve necessariamente constatare una contemporaneità tra gli ultimi re JEFFERY The Local Scripts, p. 158; KELLY, A History, p. 131. Cfr. anche l. 13: . 10 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 100 pp. 354-357 (cfr. IG IV 506; SEG, 11 (1954) 302; JEFFERY, The Local Scripts, nr. 9 pp. 158, 168; KOERNER, Inschriftliche Gesetzestexte, nr. 29 pp. 83-86). 11 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 356. 12 Il verbo compare nella prima iscrizione citata (d’ora in poi, in questo par. 2.3, con ‘prima iscrizione’ alludo a quella citata alla lettera a; con ‘seconda’, a quella citata alla lettera b con ‘terza’ a quella citata alla lettera c). Esso è stato talora interpretato con valore più pregnante, nel senso di ‘regnare’: cfr. ad esempio JEFFERY, The Local Scripts, p. 157. 13 Date ascrivibili al periodo indicato sono proposte da: J.K. DAVIES, Athenian Propertied Families 600-300 B.C., Oxford 1971, pp. 371-372; P.J. BICKNELL, Studies in Athenian Politics and Genealogy, Wiesbaden 1972 (= Historia Einzel. 19), p. 55 e n. 19; ID., Athenian Politics and Genealogy; some Pendants, «Historia», 23 (1974), p. 146 e n. 4; BULTRIGHINI, Pausania, p. 119; M. BERTI, L’antroponimo Megakles sugli ostraka di Atene. Considerazioni prosopografiche, storiche e istituzionali, MEP, 5 (2001), pp. 22-25; M. KÕIV, The dating of Pheidon in antiquity, «Klio», 83 (2001), p. 327 e n. 11 (con ulteriore bibliografia). 8 9

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Temenidi e le prime iscrizioni che attestano la damiurgia, datate, come s’è detto, al secondo quarto del secolo. Tuttavia, sarebbe assai arduo voler stabilire una sorta di divisione di competenze tra il re e i damiurghi, ammesso che si debba parlare di una vera e propria convivenza tra queste due cariche istituzionali. In assenza di informazioni chiare e complete, è difficile ricostruire le caratteristiche della damiurgia: sulle modalità di designazione, sull’identità dell’eventuale elettorato e sulla durata dell’incarico14 si possono esprimere unicamente ipotesi; meno incerte sembrano le loro competenze, dal momento che dai testi epigrafici emergono incarichi connessi con l’ambito sacrale e con quello giudiziario, ma, come si diceva, rimane il problema dei rapporti con il re nell’esercizio del potere15. Inoltre, gli studiosi hanno discusso sulla natura collegiale o meno della magistratura: in favore di una damiurgia individuale sembrerebbero deporre il fatto che nell’ultima iscrizione citata il termine impiegato per identificare la carica si trova solo al singolare e il fatto che nei due testi precedenti i damiurghi compaiono in numero diverso (nove e sei), come se si trattasse di elenchi di individui che hanno ricoperto la carica in anni successivi; tuttavia, è difficile rinunciare all’ipotesi di una magistratura collegiale, come sembra esser suggerito soprattutto dalla seconda iscrizione16; del resto, l’espressione al singolare che compare nella terza non va necessariamente interpretata come allusione a una carica individuale, perché potrebbe semplicemente riguardare l’eventualità dell’assenza di uno dei damiurghi. Se si accoglie l’ipotesi di una magistratura collegiale, resta il problema del numero dei damiurghi: per spiegare la divergenza tra le fonti, è stata invocata la possibilità di una riforma da collocarsi nel periodo intermedio tra le due iscrizioni17; tuttavia, forse non è necessario pensare a un intervento di carattere ufficiale quale una vera e propria riforma, KELLY, A History, p. 134. L’Etymologicum Magnum (s.v. ; 265, 45-46; F. SYLBURGIUS, Etymologicon Magnum, Lipsiae 1816, col. 241) informa che i  ad Argo e in Tessaglia erano    : tuttavia, la notizia, del tutto generica, non aiuta a comprenderne le competenze. 16 Cfr. KELLY, A History, p. 134 e n. 11 p. 195. 17 L’ipotesi della riforma è stata avanzata, ad esempio, da CARLIER, La roiauté en Grèce, p. 394. 14 15

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poiché non è improbabile che verso la metà del VI secolo l’organizzazione istituzionale cittadina non avesse ancora una veste del tutto stabile. Altri studiosi hanno suggerito che la damiurgia che compare nella seconda iscrizione fosse una magistratura profondamente diversa da quella che compare nella prima, per la quale hanno fornito interpretazioni originali: Jeffery, valorizzando in senso pregnante il verbo , ha proposto che la prima iscrizione indicasse in realtà nove individui che avrebbero individualmente regnato nei nove anni successivi alla cacciata di Melta18; Carlier, sulla base di un’idea già di Vollgraff, ha suggerito di leggere nella lista di nove nomi un elenco di re ed eroi antichi, identificati con quello che all’epoca della redazione dell’iscrizione era il nome della magistratura principale19. Queste ultime ipotesi, pur suggestive, rimangono sostanzialmente a livello congetturale: tuttavia, anche se dovessero trovare accoglimento, non susciterebbe imbarazzo la necessità di rinunciare al collegamento dei nove damiurghi argivi con i nove arconti ateniesi, che da più parti è stato proposto20, dal momento che, a mio parere, il dato numerico più significativo che emerge è il ricorrere di numeri che sono multipli di tre; infatti, tre erano le tribù doriche fra cui era originariamente ripartita la cittadinanza21.

18 JEFFERY, The Local Scripts, pp. 157-158. Sui problemi di interpretazione del verbo , si vedano anche KELLY, A History, p. 134 e VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 322. 19 CARLIER, La roiauté en Grèce, pp. 394-395 e n. 11, sulla base di almeno cinque dei nove nomi riportati, sostiene che i nove damiurghi non possano essere identificati con la medesima magistratura dei sei damiurghi: i primi sarebbero dei ed eroi mitici, mentre i secondi veri e propri magistrati cittadini. Cfr. W. VOLLGRAFF, De titulo Argivo antiquissimo anno MCMXXVIII recuperato, «Mnemosyne», 59 (1932), pp. 369-393. 20 Così, ad esempio: KELLY, A History, p. 134; ROBINSON, The First Democracies, p. 84. 21 La probabile connessione tra le tre tribù doriche e il numero dei damiurgi è stata notata, tra gli altri, da: N.L.G. HAMMOND, An Early Inscription at Argos, CQ, 10 (1960), p. 36; N.F. JONES, Public Organization in Ancient Greece: a Documentary Study, Philadelphia 1987, pp. 116-117. Sulle tre tribù doriche, attestate ad esempio da Steph. Byz. s.v. , si vedano soprattutto: M. PIÉRART, À propos des subdivisions de la population argienne, BCH, 109 (1985), pp. 345-356; ID., Argos. Une autre démocratie, pp. 297-298. La ricorrenza dei numeri a base tre nell’Argo arcaica è testimoniata anche da una dubbia e discussa notizia sulla triarchia, conservata da Paus. II 18, 4: su di essa, si vedano ora soprattutto: M. DORATI, Pausania, le Pretidi e la triarchia argiva, in P. ANGELI BERNARDINI, La città di Argo. Mito, storia, tradizioni poetiche. Atti del Convegno Internazionale (Urbino, 1315 giugno 2002), pp. 295-320; D. MUSTI, Argo, il “nuovo che avanza”, ibi, pp. 265-267.

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Comunque, come s’è detto, a una lettura attenta, le fonti testimoniano che la monarchia non terminò con Leocede e Melta: ciò sembra confermato da un passo di Plutarco (Mor. 340c), in cui, pur con connotati chiaramente favolistici, si allude, da un lato, a un’estinzione naturale della casa regnante e, dall’altro, alla scelta di un nuovo re22; ma la conferma definitiva proviene soprattutto dall’esistenza di accenni nelle fonti a un  ad Argo nel V secolo23. Piuttosto, le critiche di cui Leocede e Melta furono oggetto documentano le difficoltà in cui versava la dinastia Temenide, che, secondo Carlier24, si estinse tra il 570 e il 550. Tuttavia, come già anticipato, difficilmente il  dovette rivestire nell’indebolimento della monarchia quel ruolo così attivo che non solo, nel caso di Melta, gli attribuiscono Pausania (II 19, 2) e Diodoro (VII 13, 2), ma che, in termini più generali, è confermato anche da Plutarco (Lyc. VII 4-5)25; infatti, come da più parti è stato sottolineato, è probabile che sia stata la componente aristocratica a opporsi alla monarchia, anziché quella popolare26. Il passo, tuttavia, non nomina esplicitamente i Temenidi, né, tantomeno, fa riferimento a Melta; inoltre, a differenza di quanto emerge da Diod. VII 13, 2 e da Paus. II 19, 2 per Melta, la dinastia precedente terminò per estinzione naturale e non in seguito alla cacciata del re. Sulla testimonianza di Plutarco, cfr. CARLIER, La roiauté en Grèce, p. 394 e BULTRIGHINI, Pausania, pp. 122-123. 23 Sul  ad Argo nel V secolo, cfr. infra, par. 3. Su una linea diversa pare Platone, il quale, nelle Leggi (690d-691a), sembra parlare di una vera e propria estinzione della monarchia (       …  ): su questo passo, cfr. ad esempio KELLY, A History of Argos, p. 134, che nega qualsiasi valore storico a tale testimonianza, e ROBINSON, The First Democracies, p. 83, che lascia aperta l’interpretazione del passo. 24 CARLIER, La roiauté en Grèce, p. 395. 25 Plutarco, nella Vita di Licurgo, afferma che la stabilità che fu propria della costituzione spartana non caratterizzò Messene e Argo, le quali, al contrario, furono afflitte da       (VII 4); poco oltre (VII 5), egli aggiunge che Messeni e Argivi per l’arroganza dei loro re (   ) e per la riottosità delle folle all’ubbidienza (    ), sconvolsero le loro istituzioni (  ). Questo passo, che tra l’altro affianca Messeni e Argivi esattamente come Plat. Leg. 690d-691a (cfr. supra, n. 23), conferma il ruolo del  nell’‘abbattimento’ della monarchia, ma, a differenza di Pausania (II 19, 2) e Diodoro (VII 13, 2), non fa riferimento al caso specifico di Melta. 26 TOMLINSON, Argos, p. 189; KELLY, A History, p. 134; BULTRIGHINI, Pausania, pp. 113114 (cfr. pp. 120-123, dove lo studioso puntualizza opportunamente che Paus. II 19, 2 e Diod. VII 13, 2 su Melta devono avere una fonte base comune, cioè Eforo; mi domando se anche Plutarco, che in Lyc. VII 4-5 polarizza il conflitto tra re e componente popolare, non possa attingere alla medesima tradizione). 22

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È probabile che questo contrasto tra il  e l’aristocrazia abbia provocato un progressivo logoramento della monarchia, che vide limitati i propri poteri dall’istituzione di una nuova magistratura, quella dei damiurghi, e che, dopo la cacciata dei Temenidi, probabilmente divenne elettiva e non più trasmessa per via ereditaria27: dunque, se da un lato pare improprio parlare per l’ultimo quarto del VI secolo di un’Argo che tende verso la democrazia28, dall’altro sembra legittimo interpretare le vicende di questo periodo come una progressiva emancipazione dell’aristocrazia dal potere monarchico29.

3. I primi tre quarti del V secolo 1. Per i primi tre quarti del V secolo, aumentano le notizie sulle istituzioni argive provenienti sia dalle fonti epigrafiche, sia dalla tradizione letteraria. Partendo da queste ultime, desidero soffermarmi su tre momenti della vita politico-istituzionale argiva. Il primo riguarda la situazione politica di Argo dopo la battaglia di Sepia (494), nella quale lo spartano Cleomene aveva inflitto una grave sconfitta agli Argivi, riducendoli a uno stato di oligantropia30: Sul carattere elettivo della monarchia post-temenide, cfr. ad esempio CARLIER, La roiauté en Grèce, pp. 394-395. Tuttavia, il processo di affermazione della componente aristocratica nel suo complesso dovette conoscere uno sviluppo non sempre lineare: infatti, Pausania (II 23, 7) menziona un certo Perilao, che fu tiranno di Argo () e che visse proprio intorno alla metà del VI secolo (cfr. D. MUSTI, in PAUSANIA, Guida de la Grecia. Libro II. La Corinzia e l’Argolide, Milano 1986, p. 289; H. BERVE, Die Tyrannis bei den Griechen, I, München 1967, p. 35; BULTRIGHINI, Pausania, n. 181 p. 114); come osserva BULTRIGHINI (ibi, p. 114), notizie come queste testimoniano casi in cui singoli individui di particolare forza e carisma riuscirono a collocasi a capo dello stato cittadino, imponendosi anche su quella componente aristocratica, da cui forse essi stessi provenivano, che in quei decenni stava acquistando peso politico sempre maggiore. 28 Di componente democratica hanno parlato, sia pure con cautela: HUXLEY, Argos, pp. 599-600 (egli parla di una «reazione democratica e antieraclide» alla metà del VI secolo); ROBINSON, The First Democracies, p. 84 (egli considera come ipotesi più probabile un sistema di governo «misto», ma non esclude del tutto la possibilità di parlare di una democrazia argiva fin dalla fine del VI secolo). 29 Sulla natura aristocratica dell’Argo del VI secolo, si veda da ultimo SCOTT, Historical Commentary, p. 579. 30 Her. VI 76-80; cfr. 148, 2 per il numero di seimila caduti (sul quale G. NENCI, in 27

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Erodoto (VI 83), Aristotele (Polit. V 1303a), Diodoro (X 26)31 e Plutarco (Mor. 245f) ricordano, in modo del tutto contraddittorio, le conseguenze sociali e politiche di questo episodio, parlando di una presa del potere, secondo gli uni (Erodoto e Diodoro), da parte di  e, secondo gli altri (Aristotele e Plutarco), di  e connotandola con caratteristiche differenti. Questa notizia ha suscitato ampio interesse da parte degli studiosi32. Recentemente, C. Bearzot ha proposto con dovizia di argomentazioni di valorizzare la tradizione aristotelica, che, tra tutte, pare la più immune da tendenziosità ideologiche: in base ad essa, gli Argivi furono costretti ad accettare come cittadini alcuni perieci (    ), allargando dunque il corpo civico33. In ogni caso, questa vicenda mostra con chiarezza l’ingresso nella vita politica di Argo di individui che sono portatori di istanze democratiche34: mentre la lotta politica del VI secolo aveva fatto emergere la parte aristocratica, che aveva tentato di imporsi a scapito della monarchia, l’inizio del V secolo vede quell’ingresso della componente popolare che la tradizione eforea, a torto, anticipava al secolo precedente. Va comunque tenuto conto del fatto che non sembra di poter ricavare dalle fonti notizie sicure di mutamenti a livello istituzionale in seguito alla riorganizzazione civica: piuttosto, il cambiamento fu soprattutto di natura sociale e politica perché, come attesta la fonte più antica (Her. VI 83, 1), i nuovi cittadini «occuparono completamente il potere (   ), ERODOTO, Le storie, V. La rivolta della Ionia, Milano 1994, p. 245). In generale, rimando a C. BEARZOT, Argo nel V secolo: ambizioni egemoniche, crisi interne, condizionamenti esterni (in questo stesso volume, pp. 112-113) e soprattutto a EAD., I douloi/perioikoi di Argo: per una riconsiderazione della tradizione letteraria, «Incidenza dell’antico. Dialoghi di storia greca», 3 (2005), pp. 61-82. 31 Nel frammento del libro X della Biblioteca storica non è esplicito il richiamo al contesto post-Sepia, ma l’attribuzione degli studiosi è pressoché concorde fin da G. De SANCTIS, Argo e i gimneti, in Scritti minori, I, a cura di S. Accame, Roma 1966, pp. 49-52 (= Saggi di storia antica e di archeologia, a Giulio Beloch nel XXX dell'insegnamento nell’Ateneo romano, Roma 1910, pp. 235-239). 32 Per la bibliografia completa, rimando a quanto segnalato negli studi citati supra, n. 30. 33 BEARZOT, I douloi/perioikoi di Argo, pp. 70-71. Conclusioni simili sono ora state proposte anche da SCOTT, Historical Commentary, pp. 306, 580 ss. 34 Cfr. ora anche M. VALDÉS GUÍA, La batalla de Sepea y las Hybristika: culto, mito y ciudadanía en la sociedad argiva, «Gerión», 23 (2005), pp. 101-114.

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rivestendo le magistrature e amministrando la città (   )». Dunque, sebbene l’assenza di documentazione relativa a mutamenti di natura istituzionale non implichi necessariamente che questi non si siano verificati, probabilmente lo scenario post-Sepia comportò in primo luogo un processo di democratizzazione a livello sostanziale35, in ragione della nuova composizione del corpo civico, più che formale36: in ogni caso, sul carattere cruciale del periodo successivo a Sepia per l’evoluzione della  argiva si tornerà tra poco (par. 3.3) e ancora in sede di conclusioni (par. 5). La seconda testimonianza su cui intendo soffermarmi risale al contesto della seconda guerra persiana. Dopo il congresso dell’Istmo del 48137, i Greci inviarono messaggeri ad Argo per invitare la città ad aderire alla coalizione antipersiana (Her. VII 148, 1); gli Argivi decisero di consultare a questo proposito l’oraNon sono però mancate voci che hanno preferito ridimensionare la portata dell’ingresso della componente popolare nella gestione della cosa pubblica. M. ZAMBELLI, Per la storia di Argo nella prima metà del V secolo a. C. II. L’oracolo della battaglia di Sepia, RFIC, 102 (1974), pp. 450-451 ipotizza che comunque le magistrature siano rimaste per lo più nelle mani di quei pochi cittadini che erano sopravvissuti a Sepia: secondo lo studioso, la cui affermazione va considerata con prudenza, dal momento che contrasta con il citato Her. VI 83, 1, costoro non ebbero la volontà di effettuare una riforma costituzionale radicale, preferendo apportare al regime vigente «quei lievi mutamenti che sembravano inevitabili per sopravvivere» (ad esempio, come osserva M. MOGGI, I sinecismi e le annessioni territoriali di Argo nel V secolo a. C., ASNP, 4 [1974], p. 1263, i nuovi elementi immessi nella cittadinanza prestarono servizio nell’esercito, fattore essenziale in un momento di oligantropia come quello post-Sepia). SCOTT, Historical Commentary, pp. 582, 584 ritiene che ci fosse ancora un numero sufficiente di cittadini «originari» per ricoprire le magistrature e gestire politicamente lo stato. Tali considerazioni, soprattutto se affiancate alla notizia di Her. VI 92, 2 su un contingente di mille volontari partito alla volta di Egina pochi anni dopo Sepia (cfr. infra: par. 4.4 con n. 155; n. 160), non possono essere del tutto contestate, anche perché Erodoto quanto al regime che definisce «degli schiavi» ha, come s’è detto, interesse a enfatizzare la situazione. Tuttavia, mi pare difficile negare che l’ampliamento della cittadinanza abbia comportato la possibilità per tali nuovi cittadini sia di accedere alle magistrature, sia, più semplicemente, anche di partecipare all’assemblea popolare, influenzando dunque in modo non marginale la vita politica cittadina. 36 W.G. FORREST, Themistokles and Argos, CQ, 10 (1960), n. 5, p. 225 osserva opportunamente che non vi fu alcun cambiamento costituzionale, ma solo un mutamento nella leadership cittadina. A. LINTOTT, Violence, Civil Strife and Revolution in the Classical City, London 1982, p. 89 sostiene che il nuovo regime successivo a Sepia possa dirsi democratico in quanto basato su un’assemblea popolare «with generous qualification for partecipation». 37 Il congresso dell’Istmo (Her. VII 145) è generalmente datato alla tarda estate o 35

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colo di Delfi, che suggerì loro una posizione neutrale (148, 3); in seguito ( ), giunsero in città i delegati dell’Istmo, i quali [148, 3] si presentarono nel bouleuterion e ed esposero il messaggio loro affidato (       ). [148, 4] A tale discorso gli Argivi risposero di essere disposti a fare quanto richiesto solo dopo aver stipulato una pace trentennale con Sparta e aver ottenuto il comando di metà di tutte le truppe alleate […]. [149, 1] Così, raccontano gli Argivi, rispose la boulé (     ), benché l’oracolo vietasse loro di concludere un’alleanza con i Greci; ma pur temendo l’oracolo, desideravano che ci fosse una tregua di trent’anni con gli Spartani, affinché nel frattempo i loro figli diventassero adulti […].[149, 2] Alle dichiarazioni della boulé (    ) i messaggeri giunti da Sparta replicarono in questi termini: riguardo alla tregua, avrebbero riferito la proposta al popolo (   ); riguardo invece al comando dell’esercito, avevano ricevuto essi stessi l’incarico di dare una risposta, e cioè di spiegare che loro avevano due re, gli Argivi uno solo (       ): pertanto era impossibile che uno dei due re di Sparta rinunciasse al comando, mentre nulla impediva che oltre a loro ci fosse il re di Argo con parità di voto (). [149, 3] Allora gli Argivi, a quanto affermano essi stessi, non poterono tollerare l’arroganza degli Spartani, ma preferirono essere comandati dai barbari piuttosto che cedere agli Spartani [...]38.

In primo luogo, è da osservare che Erodoto dichiara apertamente di avere fonti argive per questa vicenda, dal momento che la introduce, in 148, 2, dicendo: «gli Argivi affermano che le cose che li riguardano si svolsero in questo modo» (       )39; ciò, se da un lato comporta la necesall’autunno del 481. Cfr. ad esempio: M. SORDI, La Tessaglia dalle guerre persiane alla spedizione di Leotichida, RIL, 86 (1953), p. 299, riubblicato in EAD., Scritti di storia greca, Milano 2002, p. 102 (autunno 481); F.J. FROST, Plutarch’s Themistocles. A Historical Commentary, Princeton 1980, pp. 98, 101 (tarda estate o autunno 481); J.F. LAZENBY, The Defence of Greece 490-479 B.C., Warminster 1993, p. 104 (autunno 481); J.M. BALCER, The Persian Conquest of the Greeks 545-450 B.C., Konstanz 1995, p. 233 (autunno 481); P. GREENE, The Greco-Persian Wars, Berkeley - Los Angeles - London 1996, p. 69 (autunno 481); J.L. MARR, in PLUTARCH, Life of Themistocles, Warminster 1998, p. 86 (autunno 481). 38 Traduzione di F. BEVILACQUA, in ERODOTO, Storie, II, Torino 1996, pp. 393-395; sono intervenuto modificando la traduzione dei termini  e . 39 Inoltre, Erodoto ripete poi più volte nel corso della narrazione verba dicendi

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sità di una particolare attenzione dal punto di vista storico, per il pericolo di eventuali deformazioni intenzionali da parte della fonte base, dal punto di vista istituzionale garantisce un ottimo grado di informazione40. Ciò premesso, a proposito delle istituzioni e del regime politico di Argo questo brano fornisce tre indicazioni. 1) La città di Argo ha una boulé, che si riunisce in un bouleuterion, e che sembra avere un ruolo piuttosto ampio: essa è il luogo in cui vengono accolti gli ambasciatori spartani (148, 3)41 e il luogo in cui si delibera quale risposta dare alle loro proposte (149, 1). È interessante osservare che, mentre i Lacedemoni presenti nel bouleuterion affermano di non essere in grado di decidere autonomamente su alcuni aspetti delle controproposte argive, ma di dover riferire all’assemblea (   ), Erodoto per Argo non accenna a nessun altro organismo deliberativo: tuttavia, in base al solo silenzio della fonte, sarebbe affrettato concludere che la boulé godeva di totale autonomia decisionale42. 2) Gli ambasciatori spartani affermano che Argo aveva un solo re: questa informazione riporta al problema della sopravvivenza della (, 149, 1; , 149, 3); infine, al termine della vicenda (150, 1), dopo aver ripetuto che «tali cose gli stessi Argivi raccontano su questi fatti» (      ), egli fornisce una seconda versione, dicendo che «c’è anche un’altra versione diffusa in Grecia» (       ). 40 Un problema è presentato dalla diversa versione fornita da Diod. XI 3, 4-5: secondo lo storico siceliota, il dibattito sull’egemonia argiva della coalizione antipersiana ebbe luogo al congresso dell’Istmo, dove i messi di Argo si erano recati per presentare la propria posizione (cfr. P. VANNICELLI, Eraclidi e Perseidi: aspetti del conflitto tra Sparta e Argo nel V sec. a.C., in ANGELI BERNARDINI, La città di Argo, pp. 284-285). Non intendendo entrare in questo problema, mi limito a osservare che se anche la versione erodotea fosse inventata da fonti argive, queste l’avrebbero modellata in modo realistico, prestando attenzione a indicare il coinvolgimento delle istituzioni più opportune per rendere più credibile la notizia: pertanto, non vedo problemi nell’impiego del passo erodoteo quale fonte fededegna sulle istituzioni argive. 41 Per un caso analogo, cfr. Her. VII 150: un araldo persiano giunge ad Argo, ma in questo caso non vi è alcun elemento per ipotizzare in quale organo istituzionale sia stato ascoltato. Tuttavia, anche ad Atene alla boulé competeva l’accoglimento delle delegazioni straniere: cfr. P.J. RHODES, The Athenian Boulé, Oxford 1972, pp. 20 (con n. 5), pp. 42-43 (con nn. 2-3 p. 43), p. 211. 42 Sull’espressione   , cfr. W.W. HOW - J. WELLS, A Commentary on Herodotus, II, Oxford 19282 , p. 189. Sul problema dell’autonomia decisionale della boulé e del suo eventuale ruolo probouleumatico, cfr. infra: par. 3.3 con n. 86; par. 5 con n. 181.

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monarchia, che si era affrontato in precedenza, e induce a concludere che, almeno in questo periodo, sopravviveva ancora un magistrato chiamato , con attribuzioni che lo studioso assegna ai campi militare, diplomatico e religioso e forse non più scelto su base dinastica43; il parallelo con l’arconte re ateniese, le cui funzioni in età classica si limitavano ad alcuni aspetti dell’ambito religioso e di quello giudiziario, sembra solo in parte calzante. 3) A livello più propriamente politico, è opportuno notare la motivazione addotta da Erodoto riguardo alla proposta argiva di una tregua trentennale con Sparta: gli Argivi desideravano questo accordo, perché durante quegli anni i loro figli diventassero adulti (     ). Tale giustificazione riporta ancora al contesto dell’oligantropia post-Sepia e pone il problema dell’identificazione di questi : il raffronto con Her. VI 83, 1, dove si dice che i figli di coloro che erano morti (    ) a Sepia recuperarono il potere dopo aver cacciato quelli che lo storico definisce sprezzantemente come , suggerisce che i figli di cui si attendeva la maggiore età erano quelli degli originari cittadini, caduti in battaglia44. Dunque, alla vigilia Sulle competenze militari, diplomatiche e religiose del re, si veda CARLIER, La roiauté en Grèce, p. 395; secondo HOW - WELLS, A Commentary, II, p. 189, il monarca probabilmente manteneva solo il potere religioso e altri onori formali, come forse la presidenza della boulé (ma sulla presidenza della boulé, cfr. infra, par. 2.2). Sull’abbandono del criterio dinastico per la designazione del re, si vedano ad esempio ROBINSON, The First Democracies, p. 84 e PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305. In generale, sulla sopravvivenza della monarchia ad Argo rimando anche a WÖRRLE, Untersuchungen, p. 76 ss. e a TOMLINSON, Argos, pp. 196-197. 44 A ben vedere, non mi sembra si possa dire del tutto chiaro se si tratti dei figli nati dai matrimoni conclusi dai nuovi elementi immessi nella cittadinanza dopo la battaglia, oppure dei figli degli antichi cittadini morti in combattimento. Tale aspetto è tutt’altro che irrilevante, poiché, nel primo caso, si dovrebbe concludere che a parlare fossero i nuovi cittadini, i quali evidentemente desideravano stabilizzare la propria influenza sul governo cittadino tramite la seconda generazione, mentre nel secondo, i superstiti tra i cittadini originari, i quali appunto, con spirito di vendetta, attendevano il raggiungimento della maggiore età da parte dei propri figli e degli altri orfani per poter avviare una epurazione del corpo civico, al fine di riprendere il controllo della città: dunque, in sostanza, nella prima ipotesi la boulé sarebbe la roccaforte dell’influenza politica dei nuovi cittadini, mentre nella seconda essa sarebbe la custode dell’antico potere dei cittadini originari. Tuttavia, il confronto con Her. VI 83, 1 depone fortemente a favore della seconda ipotesi. Sulla stessa linea anche la maggioranza degli studiosi (che tuttavia non si pone il problema), come ad esempio: FORREST, Themistokles, p. 225; TOMLINSON, Argos, p. 190; P. VANNICELLI, Erodoto e la storia dell’alto e medio arcaismo (Sparta-Tessaglia-Cirene), Roma 1993, p. 84. 43

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della seconda guerra persiana doveva essere ancora vivo quello spirito di vendetta che attendeva con ansia il raggiungimento della maggiore età dei figli dei caduti per ripristinare il regime precedente alla vittoria di Cleomene. Stando così le cose, sarebbe suggestivo poter collegare la presunta supremazia ‘aristocratica’ nella boulé che accolse la delegazione spartana con il fatto che la trattativa sembra interamente condotta dalla boulé stessa, senza l’intervento dell’assemblea, la cui prima menzione, come si vedrà, risale solo a un’iscrizione datata poco più tardi45, come se le famiglie di antico lignaggio avessero tentato di controllare autonomamente la vita politica cittadina, soffocando un’istituzione che in quegli anni stava probabilmente compiendo i suoi primi passi: tuttavia, non possedendo informazioni sulle modalità di desegnazione dei buleuti, né sulle circostanze dell’istituzione dell’assemblea e sui suoi poteri, sembra opportuno lasciare aperta la questione46. La terza notizia proveniente da fonti letterarie sull’evoluzione politica di Argo si trova ancora in Erodoto (VI 83, 1): i figli dei caduti a Sepia, divenuti adulti, recuperarono il controllo della città e i nuovi cittadini in fuga si rifugiarono a Tirinto; secondo Forrest, tale rivolgimento si deve datare al 46847. Dunque, quasi un trentennio dopo la battaglia di Sepia, la prima spinta verso la democratizzazione di Argo, dettata più dall’eccezionalità delle circostanze che da una ragionata decisione politica, si scontrò presto con la reazione di parte della vecchia cittadinanza. Tuttavia, considerata la tendenziosità delle fonti argive seguite VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 35, l. 1 (cfr. infra, par. 3.2.a):  . 46 Da un lato, se, come ritengono alcuni (cfr. supra, n. 35), i vecchi cittadini dovevano conservare ancora una buona fetta del controllo politico cittadino, non è improbabile che questo avvenisse in una istituzione come la boulé che forse, se vale il parallelismo con la realtà ateniese, doveva richiedere per l’accesso una soglia anagrafica superiore alla semplice maggiore età: sul problema dei requisiti di età e/o di censo per l’accesso alla boulé, cfr. anche infra, par. 3.3 con n. 109 e par. 5. Dall’altro lato, tuttavia, il caso analogo e all’incirca contemporaneo dell’inviato persiano Murichide che nel 479 fu ammesso a parlare di fronte alla boulé ateniese (Her. IX 5; cfr. il mio studio su Forme di manipolazione della volontà popolare nella democrazia ateniese: la boulé nel V secolo, «Sileno», 18-29 [2002-2003], pp. 146-150) non ha indotto a dubitare della democraticità, seppure ancora incompleta, del regime politico ateniese. 47 FORREST, Themistokles, pp. 226-229, 232. R.F. WILLETTS, The Servile Interregnum at Argos, «Hermes», 87 (1959), p. 499 colloca la cacciata dei nuovi cittadini da Argo e la conseguente occupazione di Tirinto da parte loro «non prima del 478» (tale ipotesi più alta è accolta da VANNICELLI, Erodoto, p. 85). 45

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dallo storico, questa notizia può essere per diversi motivi discussa. In primo luogo, come osserva C. Bearzot48, la democratizzazione di Argo non dovette essere rimessa in discussione dopo l’espulsione dei nuovi cittadini perché i matrimoni misti tra costoro e le mogli dei caduti a Sepia (cfr. Plut. Mor. 245f) dovevano aver ormai originato una nuova generazione di Argivi49. Inoltre, io credo ci si possa interrogare sull’entità dell’epurazione condotta intorno al 468: infatti, tra i giovani adulti dovevano esservi non solo i figli dei caduti a Sepia, ma anche i nati dai matrimoni misti di cui s’è detto; poiché è improbabile che questi ultimi abbiano espulso da Argo i loro stessi padri, mi sembra da ipotizzarsi che sia stata forse adottata una certa flessibilità nell’effettiva applicazione del provvedimento ricordato da Erodoto, o almeno che si sia generata una vivace dialettica interna in merito ai criteri di espulsione50. Un terzo argomento, a mio parere, può venire dallo stesso Erodoto (VI 83, 2), il quale ricorda che per un certo tempo tra Tirinto, dove i nuovi cittadini si erano ritirati, e Argo vi furono buoni rapporti (   )51 e che tale situazione si guastò soltanto con l’arrivo dell’arcade Cleandro, il quale persuase () gli abitanti di Tirinto ad attaccare gli Argivi: BEARZOT, I douloi/perioikoi, p. 68. BEARZOT, I douloi/perioikoi, p. 77 osserva che la controrivoluzione oligarchica non devette essere «né così radicale (espulsione da Argo di tutti i douloi/perioikoi) né così efficace (completa ripresa del controllo della città da parte aristocratica) come traspare da Erodoto». 50 Queste prime due considerazioni presuppongono che dopo il 468 i figli nati dai matrimoni misti non abbiano perso la cittadinanza e che non siano stati espulsi da Argo insieme agli altri «nuovi cittadini». Sebbene ciò non possa dirsi certo, né sia possibile invocare il silenzio delle fonti come argomento a favore di questa ipotesi, essa mi sembra comunque non improbabile per almeno due motivi: da un lato, i figli delle coppie miste avevano pur sempre una madre autenticamente argiva e dunque non erano considerabili alla stessa stregua degli elementi immessi ex novo nella cittadinanza; dall’altro lato, i problemi dovuti all’oligantropia potevano essere non ancora del tutto risolti, nonostante il raggiungimento della maggiore età da parte dei figli dei caduti a Sepia. 51 VANNICELLI, Erodoto, p. 85 ritiene che questo periodo di buone relazioni sia stato «non necessariamente breve» e ne ipotizza una durata quinquennale (accogliendo la cronologia di WILLETTS, The Servile Interregnum, p. 500, lo situa tra il 478 e il 473 o 472). Successivamente, secondo Her. VI 83, 2, gli abitanti di Tirinto attaccarono Argo e la guerra, durata lungamente (  ), si concluse con la vittoria degli Argivi (che WILLETTS, The Servile Interregnum, p. 500 e VANNICELLI, Erodoto, p. 85 datano al 468, mentre FORREST, Themistokles, p. 232 al 464). 48

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il fatto che soltanto un elemento esterno, per di più proveniente dalla democratica Arcadia, abbia causato lo scoppio del conflitto tra Tirinto ed Argo conferma l’ipotesi di partenza. Dunque, è del tutto probabile che, al contrario di quanto le fonti di Erodoto vogliono lasciarci intendere, la controrivoluzione dei figli dei caduti a Sepia non abbia comportato una radicale inversione di tendenza nell’evoluzione politico-istituzionale cittadina. 2. Fin qui le notizie di natura politico-istituzionale provenienti dalle fonti letterarie; vi sono poi alcune testimonianze epigrafiche che, pur nella loro frammentarietà, consentono di fornire un quadro più completo. Decennio 480-470 a) Un decreto di prossenia52, risalente alla seconda metà del decennio, è particolarmente importante perché vi compare per la prima volta l’assemblea di Argo, detta  (l. 1), che qui appare assolutamente sovrana nel processo decisionale, dal momento che non si fa alcun riferimento alla boulé; inoltre, nel testo è citato il nome del presidente dell’assemblea, con patronimico e filetico (    h, l. 4-7), elemento che ha indotto a ipotizzare la rotazione per tribù nella presidenza dell’assemblea53. b) Un’altra iscrizione54, sulla cui provenienza, tuttavia, non c’è sicurezza (Argo o la vicina Halieis?)55, informa che la città in questione aveva: una boulé ( ), la quale serviva a rotazione (l. 6)56 e aveva una sua VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 35 pp. 150-151. 53 Così, ad esempio: M. GUARDUCCI, Un decreto di Argo ritrovato a Pallantion, ASAA, 3-5 (1941-1943), n. 5 p. 144; JONES, Public Organization, p. 116; VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 150. Sul verbo impiegato per indicare la presidenza: L. DUBOIS, Actualités dialectologiques, RPh, 60 (1986), pp. 100-102. 54 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 107 pp. 380-383 (cfr. IG IV 554; M. ZAMBELLI, Per la storia di Argo nella prima metà del V secolo a. C., RFIC, 99 [1971], pp. 152-157). 55 Argo: ZAMBELLI, Per la storia di Argo, p. 152; H. BRANDT, IG IV 554. aus Argos oder Halieis?, «Chiron», 22 (1974), pp. 83-90; M.-F. BILLOT, Sanctuaires et cultes d’Athéna a Argos, OAth, 22-28 (1997/1998), p. 23. Halieis: M.H. JAMESON, A Treasury of Athena in the Argolid (IG IV, 554), in D.W. BRADEEN - M.F. MCGREGOR, Phoros: Tribute to B.D. Meritt, Locust Valley (N.Y.) 1974, pp. 67-75; VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 382; RUZÉ, Déliberation, p. 284. 56 L. 6: h  h. Segnalo che per i nomi delle istituzioni e delle magi52

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presidenza (l. 2)57; un’assemblea, probabilmente definita 58; alcune magistrature, una delle quali è definita   (l. 2)59, mentre le altre sono riassunte nel generico    (l. 3); una procedura rendicontale, indicata con il verbo  (l. 3). Inoltre, le pene dell’esilio e della confisca dei beni stabilite dal decreto per un  che accusi le figure istituzionali sopra elencate in merito alla gestione del tesoro di Atena hanno indotto gli studiosi a proporre un’analogia con la procedura ateniese dell’ 60. Decennio 460-450 c) Una placca di bronzo61, che riguarda la suddivisione di una somma di denaro all’interno di quella che Kritzas62 ha identificato come la tribù degli Hyrnathioi, elenca dodici gruppi, ciascuno con il proprio nome e con l’indicazione della cifra versata, e ricorda una magistratura, quella dei dodici ( , l. 1), con il suo presidente (indicato con l’abituale , l. 17); inoltre, sono citati gli 63, gli h  (l. 18), evidentemente magistrati finanziari64, e due «uditori» (l. 20),

strature, quando non si citano testi epigrafici, si rinuncerà al mantenimento della forma dorica. 57 Tuttavia, la formula impiegata per indicare la presidenza è diversa da quella che compare nell’iscrizione incontrata precedentemente:      (l. 2). 58 Il genitivo   (l. 5) rinvia a un nominativo  (cfr. ), generalmente interpretato come «decisione assembleare» (cfr. ad esempio VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 383; RUZÉ, Déliberation, p. 284). 59 Per gli  ad Argo in Thuc. V 47, 9, cfr. infra par. 4.3. Qualora l’iscrizione in questione provenisse da Ago, non è chiaro se le due magistrature siano da identificare, né quale ruolo avessero. 60 Si vedano ad esempio: VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 382; RUZÉ, Déliberation, p. 284. Sull’ cfr. ad esempio M.H. HANSEN, The Athenian Assembly in the Age of Demosthenes, Oxford 1987, pp. 15, 16, 17, 87. 61 La pubblicazione delle prime tre e delle ultime tre linee si trova in VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 65, pp. 272-274 (cfr. anche SEG, 41 (1994) 284). 62 C.B. KRITZAS, Aspects de la vie politique et économique d’Argos au Ve siècle vant J.-C., in M. PIÉRART, Polydipsion Argos. Argos de la fin des palais mycéniens à la constitution de l’État classique. Fribourg (Suisse), 7-9 mai 1997, Paris 1992, pp. 231-240. 63 La menzione di questa magistratura si trova nella parte non ancora pubblicata del testo; comunque, se ne dà notizia in KRITZAS, Aspects de la vie politique et économique, pp. 235-236, VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 272 e PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 306. 64 Cfr. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 302; ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 169.

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che fungevano probabilmente da testimoni per l’atto, ed è deducibile, per quanto il testo sia mutilo, la presenza di un segretario (l. 1). Gli studiosi hanno concluso che ognuno dei dodici gruppi politici citati corrisponde a una fratria e che dodici fratrie compongono una tribù; ogni tribù aveva una serie di magistrature proprie, una delle quali era formata da dodici individui, evidentemente scelti in ragione di una per fratria (forse i fratriarchi stessi), uno dei quali fungeva da presidente65. d) Un’altra iscrizione66, trovata all’Heraion di Argo, contiene una lista di quattro ieromnemoni (, l. 3), magistrati aventi evidentemente funzioni religiose: il primo è definito presidente (con l’abituale formula , l. 4), mentre ciascuno di essi è citato con l’indicazione del proprio filetico. L’importanza di questo testo consiste non solo nel fatto che ci permette di comprendere che gli ieromnemoni erano scelti uno per tribù67, ma soprattutto nel fatto che attesta per la prima volta i nomi delle quattro tribù tutte insieme: Dimani, Illei, Irnati e Panfili68. Metà del V secolo e) Il trattato tra Cnosso e Tilisso con la mediazione di Argo69 è composto da due distinte iscrizioni, la prima rinvenuta a Tilisso, sull’isola di Creta, e la seconda ad Argo, il rapporto tra le quali è oggetto di ampio dibattito da parte degli studiosi70. Nel testo di Tilisso, compare una clau-

KRITZAS, Aspects de la vie politique et économique, p. 235 riconnette il nome degli h  alla radice di /. 65 Cfr. da ultimo PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, pp. 298-300. Secondo VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 274, l’organizzazione interna della tribù era quella di una vera e propria comunità politica: le dodici fratrie dovevano fornire i diversi magistrati alla tribù secondo un meccanismo a rotazione su base mensile. 66 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 86, pp. 318-319 (cfr. IG IV 517). 67 Cfr. ad esempio VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 318. 68 Sulla questione delle tribù argive e dell’innalzamento del loro numero da tre a quattro, cfr. infra, par. 3.3. A margine, ricordo che al medesimo decennio a cui è ascritto il testo in esame risale l’iscrizione ateniese per i caduti della battaglia di Tanagra (ML 35; IG I3 1149), con una lista di Argivi in cui compare il nome della tribù degli Illei. 69 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 54 (I, II), pp. 224-233 (cfr. anche ML 42). Per la datazione al 450 circa, cfr. W.P. MERRILL,   in a Treaty Concerning the Affairs of Argos, Knossos and Tylissos, CQ, 41 (1991), p. 16 e n. 2 (con bibliografia). 70 Per un inquadramento del problema, si veda VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, pp. 226-232.

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sola assai controversa:         ô          71. Il  citato è stato variamente interpretato, ora come «maggioranza», ora come «assemblea di ciascuna delle tre città», ora come «assemblea federale delle tre città»; secondo l’interpretazione di Merrill, si tratterebbe invece dell’assemblea cittadina di Argo, la quale, in base a questa lettura, si sarebbe riservata il diritto di intervenire nelle decisioni di politica estera delle due città cretesi, ergendosi quasi a mediatrice e arbitro tra di esse72. Del testo rinvenuto ad Argo, è particolarmente interessante la parte finale: «questa stele è stata eretta quando Melantas era re (  ) e Licotadas della tribù degli Illei era presidente (  H). Decisione dell’assemblea riguardante le cose sacre (   ô ô). Era presidente della boulé Archistrato della fratria dei Licofronidi (   )»73. Da questa formula di chiusura si deduce che l’iscrizione era il testo di un decreto votato da una riunione assembleare ( ), riservata alle «cose sacre»74. Tuttavia, è ricordata anche la boulé, sia nella persona del suo presidente, sia, poche linee sopra75, in una clausola che le attribuisce poteri di tipo giuridico su eventuali violazioni al trattato. Tra le magistrature citate, particolare interesse è suscitato dall’accenno al , soprattutto se affiancato alla comparsa della medesima personalità un trentennio prima in Her. VII 149, 2: gli studiosi osservano che probabilmente il  aveva una funzione eponima, con competenze effettive assai

VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 54, I, ll. 6-11, p. 223. Per una discussione delle tre ipotesi sul termine  sopra citate (con la relativa bibliografia) e per le argomentazioni a favore dell’interpretazione di esso come assemblea cittadina di Argo rimando a MERRILL,  , pp. 16-25; cfr. anche VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 223, che tuttavia, nel contesto di una ricostruzione complessivamente diversa (ibi, pp. 226-232), propende invece per la prima interpretazione sopra segnalata (ibi, p. 228). 73 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 54, II, ll. 43-46, p. 227. 74 Cfr. RUZÉ, Déliberation, p. 246; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie…, p. 303 e n. 41 p. 313. Costoro osservano che questa dicitura non compare più nel IV secolo: in IG IV 557 (l. 2), un testo dedicato all’amministrazione del santuario di Apollo, l’ è indicata come , cioè dotata di pieni poteri; in SEG, 34 (1984), p. 282 (ll. 6-7)   occupano il primo posto in un’assemblea ordinaria. Sugli aggettivi (, dotato di pieni poteri; , rinviato) che compaiono su iscrizioni successive al V secolo per definire particolari assemblee, si vedano soprattutto: P.J. RHODES - D.M. LEWIS, The Decrees of the Greek States, Oxford 1997, pp. 70-71; RUZÉ, Déliberation, pp. 247249; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 303 (cfr. ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 168). 75 VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 54, II, ll. 40-42, p. 227. 71

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ridotte76. Inoltre, il decreto ricorda un certo Licotadas, presidente di un collegio che però non viene specificato: è curioso osservare che mentre costui è identificato, oltre che con il nome proprio, dal nome della tribù (l. 44), accanto al nome del presidente della boulé compare invece la fratria di appartenenza (l. 45)77. f) Un’altra iscrizione78 contiene il frammento di un decreto che prevede severe sanzioni per chi avesse reso inefficaci le decisioni che il testo doveva comprendere (         , ll. 5-7); sono citati gli ieromnemoni (, l. 2), ma non è chiara la loro relazione con il contesto, e un presidente di un collegio non specificato (è definito solo come h , ll. 4, 8), che avrebbe subito la stessa pena di colui che avesse proposto di invalidare le decisioni iscritte nella stele e cioè il trattamento riservato a chi introduceva in città un nemico79.

3. Il materiale epigrafico qui sommariamente presentato fornisce utili indicazioni per integrare le notizie provenienti dalle fonti letterarie. Non è noto con precisione quando sia stata introdotta l’organizzazione civica così come è emersa dalle due iscrizioni risalenti al 460-450, con la ripartizione in quattro tribù, ciascuna suddivisa in dodici fratrie. Si sa solo che originariamente, come ricorda Stefano di Bisanzio, citando Eforo, esistevano le tre tradi-

ROBINSON, The First Democracies, p. 83; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305. Da parte di VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 232 viene sottolineata una certa oscillazione nella terminologia impiegata dal testo rinvenuto ad Argo, sia per l’indicazione dei nomi propri (cfr. infra, n. 77), sia per la funzione eponima, attribuita ora al   (54, II, l. 43), ora al presidente della boulé (54, II, l. 45). Ci si può poi domandare quale rapporto intercorra tra queste ultime due formule di datazione e quella in base al nome della sacerdotessa di Era argiva, testimoniata da Thuc. in II 2, 1 (cfr. anche IV 133, 2-4; si veda ora U. FANTASIA, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso. Libro II, Pisa 2003, p. 215, con bibliografia) e derivante dall’elenco redatto da Ellanico di Lesbo (FGrHist 4 F 74-84): forse, in via del tutto congetturale, si può ipotizzare che quest’ultima costituisse una modalità alternativa, probabilmente non impiegata in contesti ufficiali civili.

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Il fatto che i nomi propri vengono precisati ora dall’indicazione della tribù, ora da quella della fratria può forse far pensare a un momento di transizione tra un criterio di rotazione basato sulla tribù e uno basato sulla fratria: VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 232.

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VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 110, pp. 390-391.

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Cfr. M.T. MITSOS, Une inscription d’Argos, BCH, 107 (1983), pp. 243-249, che collega

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zionali tribù doriche (Illei, Panfili e Dimani); ad esse, a partire da un certo momento sicuramente precedente al 450, fu aggiunta artificialmente la tribù degli Irnati80. Tuttavia, esiste un indizio più antico che permetterebbe di rialzare la data della ripartizione della cittadinanza argiva in quattro tribù: si tratta di un testo epigrafico (la base di una statuetta perduta, proveniente dall’Heraion di Argo) datato al 480-475 che riporta i nomi di quattro ieromnemni81 e che ha indotto a credere che la ripartizione in quattro tribù fosse stata già introdotta a quell’altezza cronologica82. Sulla base di questa fonte, sarebbe suggestivo poter collegare l’introduzione della nuova tribù con l’ampliamento della cittadinanza dopo la battaglia di Sepia83: sebbene non vi siano testimonianze cogenti a questo proposito, l’ipotesi, che conferirebbe ancor più importanza alle conseguenze della sconfitta del 494, è da tenere in seria considerazione; in questo caso, è probabile che tutti i nuovi cittadini siano stati introdotti nella tribù degli Irnati84. Comunque, il modello rigidamente geometrico con cui la cittadinanza appare divisa dalla prima metà del V secolo non può non richiamare alla memoria l’analoga e precedente riforma clisteniquesta iscrizione con eventualità simili al comportamento ‘traditore’ degli strateghi in Thuc. V 59, 6 - 63. 80 Steph. Byz., s.v. ; FGrHist 70 (Ephor.) F 15. Sulla suddivisione in tribù e sull’aggiunta di una quarta tribù, si vedano ad esempio: M. PIÉRART, Le tradizioni epiche e il loro rapporto con la questione dorica: Argo e l’Argolide, in D. MUSTI, Le origini dei Greci. Dori e mondo egeo, Roma-Bari 1984, pp. 282-284; ID., À propos des subdivisions de la population argienne, BCH, 109 (1985), pp. 345-356 (soprattutto pp. 345-348); KRITZAS, Aspects de la vie politique et économique, pp. 231-240; PIÉRART, L’attitude d’Argos, pp. 332-333; ID., Argos. Une autre démocratie, p. 298; ID., Qu’est ce qu’être Argien, pp. 167-168. Sull’esistenza di ulteriori suddivisioni della cittadinanza, attestate per epoche successive al V secolo, mi limito a rimandare a PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, pp. 300-301. 81 JEFFERY, The Local Scripts, nr. 21 p. 169. 82 Già in JEFFERY, The Local Scripts, p. 151, p. 161 si suggerisce che ciascuno dei quattro ieromnemoni forse proveniva da una tribù diversa. Tra gli altri, cfr. ad esempio: RUZÉ, Déliberation, p. 252; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 308. 83 Cfr. BEARZOT, I douloi/perioikoi di Argo, p. 71. PIÉRART, Qu’est ce qu’être Argien, p. 168 osserva che l’esistenza di quattro ieromnemoni ad Argo già verso il 480-475 induce a escludere un collegamento diretto tra la riforma democratica e l’introduzione della quarta tribù. Tuttavia, il fatto che la prima menzione di tale magistratura sia comunque successiva alla battaglia di Sepia permette di non escludere che l’istituzione della quarta tribù sia da collegarsi con l’immissione di individui nuovi nel corpo civico dopo la sconfitta subìta ad opera degli Spartani. 84 Per questa ipotesi sembra propendere anche SCOTT, Historical Commentary, p. 581.

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ca ad Atene85, dalla quale questa naturalmente si distingue sotto diversi aspetti, a partire dalla base numerica ad essa sottesa, ma con la quale essa ha in comune l’essenza di preludio all’avvento della democrazia. Quanto agli organismi deliberativi, Argo possedeva dunque una boulé (), attestata per via letteraria nel 481/80 e per via epigrafica almeno dalla metà del secolo, e un’assemblea (), testimoniata per via epigrafica dal 480-470. Per la prima, non è noto né quali fossero i criteri di reclutamento, la cui conoscenza sarebbe essenziale per verificarne il grado di rappresentatività, né se essa esercitasse una funzione probouleumatica86; è attestata l’esistenza di un presidente, forse in comune con l’assemblea, ed è stato ipotizzata una durata annuale con rotazione trimestrale per tribù87. Non è possibile comprendere per quali motivi talora compaia solo la boulé (come nelle trattative del 481/80 con gli Spartani), o solo l’assemblea (come nel decreto di prossenia del 480-470 circa); in ogni caso, mi sembra azzardato ricavare da queste presenze o assenze giudizi in merito al regime politico cittadino.

In alternativa, si potrebbe pensare che sia stata effettuata una vera e propria riorganizzazione della cittadinanza all’interno delle quattro tribù, ma questa eventualità mi pare meno probabile. Sulla questione, cfr. anche infra, par. 5. Ricordo anche il caso precedente, e per certi versi analogo, della peloponnesiaca Sicione: Clistene aggiunse alle tre tribù doriche tradizionali, alle quali cambiò nome, una quarta tribù, quella degli Archelai (Her. V 68). Su Clistene di Sicione e sulla sua riforma, rimando alla bibliografia citata da G. NENCI, in ERODOTO, Le storie, V. La rivolta della Ionia, Milano 1994, pp. 256-257; sul passo erodoteo, ibi, pp. 259-260. 85 Cfr. ad esempio PIÉRART, L’attitude d’Argos, p. 333. 86 In generale, cfr. TOMLINSON, Argos, p. 194. A favore di un ruolo probouleumatico della boulé: WÖRRLE, Untersuchungen, p. 44 ss.; A. ANDREWES, in A.W. GOMME - A. ANDREWES - K.J. DOVER, A Historical Commentary on Thucydides, IV, Oxford 1970, p. 58; RHODES-LEWIS, The Decrees, p. 476 (cfr. però p. 71, dove si afferma che non vi sono indizi a favore del ruolo probouleumatico prima dell’età romana); PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 303. Molto più cauti RUZÉ, Déliberation, pp. 274, 281 (cfr. però p. 282) e LEPPIN, Argos, p. 304 ss. Sul problema cfr. anche supra, par. 3.1 con n. 42, e infra, par. 5 con n. 181. 87 Per l’ipotesi di un presidente comune per boulé e assemblea, cfr. RUZÉ, Déliberation, pp. 270-275 (p. 271 e n. 15 per l’ipotesi opposta). Sull’ipotesi di una rotazione nella presidenza, cfr. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 304. Per la seconda metà del IV secolo, invece, è attestata una durata semestrale della boulé: cfr. IG XII.III.1259, con RHODES-LEWIS, The Decrees, pp. 71, 478.

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Le notizie relative alle magistrature provengono per questo periodo unicamente dalle fonti epigrafiche, eccezion fatta per i  inviati a Delfi nel 481, ricordati da Her. VII 148, 2. Sono citate diverse magistrature, per lo più apparentemente di carattere finanziario o religioso: particolarmente rilevante mi pare il fatto che il  sia attestato sia per via letteraria, sia soprattutto ancora alla metà del V secolo per via epigrafica88; inoltre, la comparsa, se l’iscrizione in questione proviene da Argo, dei , pone il problema dell’identificazione con gli artini testimoniati da Thuc. V 47, 989; la menzione di una procedura rendicontale per i magistrati nel medesimo testo in cui compaiono i  sarebbe un elemento importante per il giudizio sul regime politico argivo, ma i problemi relativi alla provenienza dell’iscrizione suggeriscono una certa cautela. Il panorama che si è cercato di ricostruire tramite il confronto delle fonti restituisce diverse informazioni che, tuttavia, difficilmente permettono di comporre un quadro completo. È evidente che gli anni immediatamente successivi alla disfatta di Sepia dovettero costituire il punto d’avvio di un cambiamento che investì la composizione della cittadinanza e, di conseguenza, la conduzione della vita politica argiva. Purtroppo la mancanza di informazioni precise sul regime politico argivo nella fase in cui l’aristocrazia soppiantò il potere assoluto della monarchia non ci consente di cogliere e di valutare l’evoluzione delle istituzioni: ad esempio, non è noto se qualche forma assembleare esistesse prima del 480, come pure non è improbabile, né soprattutto se e in che misura siano mutate le competenze o il funzionamento delle istituzioni preesistenti. Sempre nel cruciale decennio 480-470 si colloca la presenza nel Peloponneso di Temistocle, il quale, ostracizzato da Atene tra Non vi sono attestazioni successive. Invece, tra la fine del V secolo e l’inizio del IV si data SEG, 29 (1979), p. 361: una lista di caduti nella quale alla l. 2 compare un  . CARLIER, La roiauté en Grèce, pp. 383-384 (con bibliografia sul documento epigrafico in n. 50) propone tre ipotesi su di esso: può trattarsi di un «adjoint du roi», o di un «faisant fonction de roi», oppure più probabilmente di un magistrato annuale che, dopo un’eventuale abolizione della monarchia dopo il 450, abbia preso il posto del re, ereditandone le funzioni cultuali. Propende per la terza ipotesi anche PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305. 89 Sugli artini, cfr. infra, par. 4.3; sul problema dell’identificazione tra artini e  , n. 137. 88

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il 474/3 e 471/7090, riparò ad Argo91: è problema piuttosto controverso se il fautore della politica navale ateniese si sia adoperato per la democratizzazione del regime cittadino o se la sua presenza non abbia avuto nessuna ricaduta politica92. A me sembra difficile negare che Temistocle abbia continuato a giocare un ruolo politico dopo il suo ostracismo, anche nel periodo dei suoi viaggi nel Peloponneso documentati da Thuc. I 135, 3, com’è stato notato93. Tra le osservazioni di chi nega un ruolo dell’ateniese nell’evoluzione di Argo verso la democrazia, mi sembra condivisibile la valorizzazione di legami personali tra l’esule ed espo-

Segnalo alcuni interventi, senza pretese di esaustività. Per il 474/3: R.J. LENARDON, The Chronology of Themistokles’ Ostracism and Exile, «Historia», 8 (1959), p. 48 (cfr. ID., The Saga of Themistocles, London 1978, p. 106: tra 476 e 471); L. PICCIRILLI, in PLUTARCO, Le vite di Temistocle e di Camillo, Milano 1983, p. 266; L. PICCIRILLI, Temistocle, Aristide, Cimone, Tucidide di Melesia tra politica e propaganda, Genova 1987, p. 45. Per il 472/1: FROST, Plutarch’s Themistocles, p. 191; R.A. BAUMAN, Political Trials in Ancient Greece, London - New York 1990, p. 22 (ulteriore bibliografia in n. 36 p. 178). Per il 471/0: A.W. GOMME, A Historical Commentary on Thucydides, I, Oxford 19502, p. 408; M. SORDI, Atene e Sparta dalle guerre persiane al 462/1 a.C., «Aevum», 50 (1976), p. 33 e n. 24 con bibliografia (= EAD., Scritti, p. 350 e n. 24); E.W. CARAWAN, Eisangelia and Euthyna: the Trials of Miltiades, Themistocles and Cimon, GRBS, 28 (1987), p. 199; E. CULASSO GASTALDI, Temistocle e la via dell’esilio, in L. BRACCESI, Tre Studi su Temistocle, Padova 1986, p. 141 (= EAD., Le lettere di Temistocle, II. Il problema storico. Il testimone e la tradizione, Padova 1990, p. 225); L. SCHUMACHER, Themistokles und Pausanias. Die Katastrophe der Sieger, Gymnasium, 94 (1987), p. 240; MARR, in PLUTARCH, Life, pp. 130-131, 145; P. SIEWERT, Ostrakismos-Testimonien I, Stuttgart 2002, p. 521 (cfr. T 3, 8, 15, 25, 27); SCOTT, Historical Commentary, p. 585. A una data tra il 474/3 e il 471/0 pensa D. ERDAS, Cratero il Macedone. Testimonianze e frammenti, Tivoli 2002, pp. 151-152. P.J. RHODES, Thucydides on Pausanias and Themistocles, «Historia», 19 (1970), p. 398 manifesta la propria perplessità sulla possibilità di giungere a una datazione probabile (in n. 56 ulteriore bibliografia sul 471/70). 91 Thuc. I 135, 3; cfr. Diod. XI 55, 3; FGrHist 104 (Aristod.) F 6, 1; Nep. Them. II 8, 1; Plut. Them. XXIII 1. Cfr. anche [Them.] Ep. I; II. 92 Tra coloro che ritengono possibile un’influenza di Temistocle sulla democratizzazione di Argo ricordo: A. ANDREWES, Sparta and Arcadia in the Early Fifth Century, «Phoenix», 6 (1952), pp. 2-3; FORREST, Themistokles, pp. 221-241; TOMLINSON, Argos, pp. 103-104; PODLECKI, The Life of Themistocles, p. 37; PICCIRILLI, in PLUTARCO, Le vite di Temistocle, pp. 266-267; CULASSO GASTALDI, Temistocle, p. 140 (= EAD., Le lettere, II, p. 223); MARR, in PLUTARCH, Life, p. 133. Tra coloro che si sono espressi contro questa ipotesi ricordo: J.L. O’ NEILL, The Exile of Themistokles and Democracy in the Peloponnese, CQ, 31 (1981), pp. 335-246; FROST, Plutarch’s Themistocles, pp. 192-193. Tra chi preferisce non prendere posizione ricordo: S. HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides, I, Oxford 1991, p. 220. 93 Cfr. ad esempio: MARR, in PLUTARCH, Life, p. 133; T. BRAUN, The Choiche of Dead 90

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nenti delle famiglie locali più in vista94: tra l’altro, l’esistenza di legami di  tra Temistocle e tre argivi, che lo avrebbero invitato a soggiornare presso di loro, è testimoniata da una lettera pseudo-temistoclea (I 2)95. Se è vero che tali vincoli dovevano riguardare famiglie di nobile lignaggio, è però da tener presente che la situazione post-Sepia doveva aver condotto alla formazione di un certo meticciato96 che può aver contribuito a riorientare almeno in parte le tendenze politiche della nuova aristocrazia97. Dunque, non mi pare improbabile che Temistocle abbia trovato appoggio in queste sue amicizie nel suo tentativo di allontanare Politicians in Eupolis’ Demoi. Themistocles’ Exile, a Hero-cult and Delayed Rehabilitation; Pericles and the Origins of the Peloponnesian War, in D. HARVEY - J. WILKINS, Rivals of Aristophanes. Studies in Athenian Old Comedy, Swansea 2000, p. 195 e n. 12 p. 217. 94 O’ NEILL, The Exile of Themistokles, pp. 344-345. Su questo punto, mi sembrano fondate le obiezioni dello studioso alla ricostruzione di FORREST, Themistokles, p. 227, che individuava nei  gli amici di Temistocle. 95 Tale informazione è ritenuta fantasiosa da FROST, Plutarch’s Themistocles, p. 193; tuttavia, CULASSO GASTALDI, Le lettere, II, p. 260 nota la buona onomastica argiva degli amici di Temistocle ricordati nel passo citato. A me pare che non vi siano motivi fondati per escludere che Temistocle potesse avere legami di natura privata con cittadini di Argo. 96 Plut. Mor. 245f ; cfr. supra, par. 3.1. 97 Per quanto riguarda il soggiorno di Temistocle ad Argo va citata una curiosa notizia, di dubbia attendibilità, trascurata dagli studiosi delle istituzioni argive: secondo un passo della seconda lettera pseudo-temistoclea (II 2), gli amici argivi, incontrando la sua ferma opposizione, avrebbero voluto che l’esule accettasse presso di loro la  e che diventasse   . La notizia trova la sua unica conferma in un altro passo delle lettere pseudo-temistoclee (Ep. I 7), dove compare il più generico verbo . CULASSO GASTALDI, Le lettere, II, p. 261 osserva che non è possibile pronunciarsi sull’attendibilità storica della notizia (in generale, sulla genesi del falso delle lettere pseudo-temistoclee, sull’attendibilità storica delle notizie riportate e sulle possibili fonti in esse confluite, si veda ibi, pp. 253-288). Dunque, l’assenza di riscontri in altre fonti suggerisce di considerare la notizia con estrema cautela; tuttavia, l’eventuale infondatezza della stessa a mio parere non comporta necessariamente la totale inattendibilità delle informazioni di vario genere che la fonte preserva. Dal punto di vista istituzionale, è noto, come si vedrà, che ad Argo esisteva una strategia di natura collegiale (cfr. infra, par. 4.4). Meno chiaro è a cosa l’autore della lettera volesse alludere con il termine : potrebbe trattarsi di un riferimento a una carica pubblica altrettanto precisa, o anche di una sorta di commento alla magistratura citata precedentemente, quasi a dire che l’assunzione della strategia avrebbe di fatto messo Temistocle nella situazione di ‘capo’ dell’intera città. Nel primo caso, sarebbe difficile individuare una carica pubblica che possa adattarsi al termine impiegato (la presidenza di boulé e assemblea?); nel secondo caso, si dovrebbe dedurre un ruolo particolarmente rilevante degli strateghi (e forse in particolare di uno di essi) nel regime politico argivo (sull’influenza dei magistrati nella democrazia argiva, cfr. anche infra: n. 109 e par. 5).

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Argo da Sparta e da un regime politico ad essa gradito e per avvicinarla ad Atene e alla democrazia98. Un altro momento delicato nell’evoluzione politica di Argo fu quello tra il 470 e il 464, all’interno del quale sembrano da datarsi almeno tre avvenimenti di grande rilevanza: la fuoriuscita di parte della nuova cittadinanza da Argo (Her. VI 83, 1)99; la fuga di Temistocle dal Peloponneso, alla volta della Persia (Thuc. I 136, 1)100; la conquista di Tirinto, dove si erano rifugiati i fuoriusciti, 98 L. PICCIRILLI, Temistocle  dei Corciresi, ASNP, 3(1973), p. 331, nell’ambito di una più generale indagine sulla prima tappa del viaggio dell’esule verso la Persia (pp. 317-355), sostiene che Temistocle mirava ad appoggiare il «movimento democratico peloponnesiaco, capeggiato da Argo» nella prospettiva di giungere a costituire una sorta di unità nazionale guidata da Atene che unisse egemonia marittima e terrestre, basata sul trionfo della democrazia. Se così fosse, a mio parere, guadagnando Argo alla democrazia e, di conseguenza, all’alleanza ateniese, Temistocle forse ambiva a esser richiamato dall’esilio per tornare a rivestire un ruolo di primo piano nella politica ateniese e greca, vincendo su quella parte dei suoi concittadini che desiderava la sua uscita di scena o per imporsi più liberamente nella vita politica, o per ottenere un riavvicinamento di Atene a Sparta. Del resto, il ruolo dei Lacedemoni nella successiva condanna di Temistocle è ben attestato dalle fonti (cfr. ad esempio: Thuc. I 135, 2-3; Diod. XI 54, 2-3; 55, 5-7; Plut. Them. XXIII 4), così come l’esistenza di nemici del figlio di Neocle che si adoperarono per la sua rovina (cfr. ad esempio: Diod. XI 54, 4; Plut. Them. XXIII 1). Sul processo di Temistocle si veda ad esempio BAUMAN, Political Trials, pp. 22-28; sui rapporti tra Atene e Sparta in questo periodo, SORDI, Atene e Sparta, pp. 25-41 (EAD., Scritti, pp. 341-360). 99 Cfr. supra, par. 3.1 e n. 47 per la cronologia. 100 Una datazione precisa della partenza di Temistocle dal Peloponneso è assai ardua e, in verità, non sembra possibile stabilire con sicurezza se essa abbia preceduto o seguito la cacciata dei nuovi cittadini da Argo. I riferimenti cronologici che si possono impiegare sono molteplici, ma nessuno di essi è indiscusso. Ad esempio, Thuc. I 137, 2 indica che l’esule si fermò a Nasso mentre era in atto l’assedio ateniese, ma il sincronismo (accettato, ad esempio, da M.P. MILTON, The Date of Thucydides’ Synchronism of the Siege of Naxos with Themistokles’ Flight, «Historia», 28 [1979], pp. 257275) ha lasciato perplessi diversi studiosi (ad esempio: RHODES, Thucydides, pp. 392399; HORNBLOWER , A Commentary, I, p. 222; M. NAFISSI, Pausania, il vincitore di Platea, in C. BEARZOT - F. LANDUCCI, Contro le “leggi immutabili”. Gli Spartani tra tradizione e innovazione (CSA II), Milano 2004, n. 28 p. 61, con ulteriore bibliografia). Ancora, l’arrivo di Temistocle in Persia all’inizio del regno di Artaserse, come testimoniato da Thuc. I 137, 3 era oggetto di polemiche già presso gli antichi (cfr. ad esempio Nep. Them. II 9, 1 e Plut. Them. XXVII 1; per una comoda messa a punto del problema, cfr. FROST, Plutarch’s Themistocles, pp. 213-214). Tradizionalmente, la partenza di Temistocle da Argo è datata attorno al 470 (così, ad esempio, PODLECKI, The Life of Themistocles, p. 198: tra la fine del 470 e il 469), ma non sono mancate numerose e argomentate ipotesi ribassiste, che tendono a scendere verso il 468/7 o al 467/6: FORREST, Themistokles, pp. 221-241 (che lega strettamente il cambiamento politico

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da parte di Argo (Her. VI 83, 2)101. Tuttavia, non solo non vi sono attestazioni di una involuzione del regime politico cittadino, ma anzi mi pare ragionevole supporre che esso a livello istituzionale non abbia subito mutamenti radicali in questo periodo. Del resto, le parole di Her. VI 83, 1 lasciano intendere che dopo l’espulsione dei cosiddetti  il mutamento politico sia consistito non già nell’approvazione di riforme di carattere istituzionale, bensì nel fatto che maggior controllo sulla vita politica fu esercitato dalla nuova generazione che aveva ormai raggiunto la maggiore età. Essa doveva esser composta sia dai figli dei caduti di Sepia, sia dai figli nati dai matrimoni misti102. È possibile che questa duplice composizione si sia riflessa anche negli orientamenti politici: da un lato, i figli dei caduti di Sepia forse si fecero portavoci della tradizione oligarchica propria delle origini da cui essi discendevano, anche se comunque doveva permanere in essi un vivo risentimento nei confronti di Sparta che di quella forma istituzionale era la più importante espressione103; dall’altro, i nati dai matrimoni misti incarnavano forse una tendenza più aperta verso una forma che si potrebbe definire democratica, motivata anche dalla considerazione secondo cui l’adozione di un regime oligarchico

avvenuto in Argo attorno al 468 con la fuga di Temistocle); M.E. WHITE, Some Agiad Dates: Pausanias and His Sons, JHS, 84 (1964), pp. 146-147 (che inserisce questo elemento in una più generale ridiscussione della cronologia del periodo); CULASSO GASTALDI, Temistocle, pp. 133-142 e EAD., Le lettere, II, pp. 215-226 (che osserva come una data più bassa rispetto a quella tradizionale trovi numerose conferme indirette nelle fonti); MARR, in PLUTARCH, Life, pp. 144-145 (che propone il 468); SCOTT, Historical Commentary, p. 585 (che segnala la data del 466/5, ma sembra confondere il momento della fuga dal Peloponneso con quello della vera e propria partenza per la Persia); cfr. anche NAFISSI, Pausania, p. 62. Del resto, già GOMME, A Historical Commentary, I, pp. 397-398 osservava che adottando una data intorno al 470 si pone il problema di giustificare un lungo periodo di più anni trascorso dall’esule prima di arrivare alla corte persiana. 101 Cfr. supra, par. 3.1 e n. 51 per la cronologia. 102 SCOTT, Historical Commentary, pp. 582-586 propone una complessa ricostruzione anagrafica. A me pare che la situazione al 464 si possa riassumere come segue. I cittadini di ‘sangue puro’ dovevano essere costituiti dai più vecchi, che non avevano preso parte alla battaglia di Sepia, dai sopravvissuti ad essa e dagli ultimi nati dei matrimoni precedenti alla battaglia, i più giovani tra i quali, datando la battaglia al 494, dovevano avere circa trent’anni. Invece, i cittadini di ‘sangue misto’ erano i nati dai matrimoni misti successivi alla battaglia: i più vecchi tra loro dovevano avere circa 30 anni. 103 Un profondo sentimento antispartano negli Argivi traspare in Her. VII 149, 1.

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li avrebbe allontanati da Atene, verso la quale, dopo il soggiorno temistocleo, Argo si trovava naturalmente orientata. Sebbene la frammentazione politica del tempo dovette essere assai meno netta di quanto, per esigenze di semplicità, si è qui esposto, a mio parere è possibile che il nuovo ceto dirigenziale sia stato attraversato da divisioni al proprio interno. Inoltre, non si può escludere che inizialmente sia prevalsa la linea dei figli dei caduti di Sepia, i quali necessariamente raggiunsero la maggiore età prima dei nati dai matrimoni misti. Osservando gli orientamenti di Argo in politica estera per questo periodo, si nota una certa evoluzione. Inizialmente, nel giro di pochi anni gli Argivi non parteciparono alla battaglia di Dipea a fianco degli Arcadi, combatterono i fuoriusciti rifugiatisi a Tirinto e non approfittarono delle difficoltà in cui Sparta era caduta dopo il terremoto del 464104: questi tre elementi farebbero pensare alla prevalenza della prima delle due linee di pensiero. Tuttavia, non si deve dimenticare che anche ad Atene dopo l’ostracismo di Temistocle la situazione era cambiata: è probabile che l’Atene cimoniana, con il suo riavvicinamento a Sparta, abbia disorientato tra gli Argivi coloro i quali, avendo raccolto l’eredità di Temistocle, spingevano per l’adozione di un regime gradito ad Atene; ciò può aver momentaneamente indebolito gli orientamenti più filoateniesi. Questi ultimi, tuttavia, probabilmente tornarono ad acquisire vigore in seguito alla ben nota vicenda del rifiuto da parte di Sparta del contingente inviato da Atene in aiuto in seguito al terremoto del 464, episodio che sancì il nuovo allontanamento tra Sparta ed Atene e che causò l’inarrestabile declino del compromesso cimoniano105: infatti, di lì a poco, nel Cfr. BEARZOT, Argo nel V secolo, pp. 115-118. Sulla battaglia di Dipea: Her. IX 53; per la sua difficile collocazione cronologica, cfr. ibi, n. 41, p. 116. Sulla guerra tra Argo e Tirinto: Her. VI 83, 2, su cui cfr. supra. Sul terremoto: Thuc. I 102, 1; Aristoph. Lys. 11381144; Xen. Hell. VI 5, 33; Diod. XI 64, 2; Plut. Cim. XVI 8; Paus. I 29, 8. Si vedano: P. AUTINO, I terremoti nella Grecia classica, MIL, 38, 4, Milano 1987, p. 361 (dove si specifica che non si trattò di un unico terremoto, ma di uno sciame sismico di lunga durata, da collocarsi intorno al 465), p. 368 e n. 22 pp. 368-370 (con dovizia di argomentazioni sui problemi cronologici relativi alla crisi sismica, collocata tra il 466 e il 464), pp. 368-393 (sulle conseguenze di tali terremoti per Sparta); G. PANESSA, Fonti greche e latine per la storia dell’ambiente e del clima nel mondo greco, I, Pisa 1991, pp. 358-367 (per le fonti: T 56a-r) e 368-373 (per la loro discussione e per le problematiche cronologiche). 105 Per il rifiuto da parte degli Sparta degli aiuti inviati da Atene, cfr. Thuc. I 102, 3.

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462/1, fu conclusa un’alleanza tra Argivi, Ateniesi e Tessali, celebrata ad Atene nelle Supplici di Eschilo, probabilmente contemporanee al fatto, e ricordata da diverse fonti106; essa sembra segnalare il successo delle posizioni filoateniesi in seno al nuovo ceto dirigente argivo107. Dunque, Argo in questi anni doveva attraversare un momento di transizione, in cui le spinte oligarchiche si trovavano a essere controbilanciate da quelle democratiche, motivate dalla naturale ostilità verso Sparta e dalla volontà di un avvicinamento verso Atene. In questo clima di incertezza, mi sembra probabile che non sia stata introdotta alcuna modifica formale a livello istituzionale108. Il mutamento quindi apparirebbe non del tutto dissimile, ancorché di natura opposta, a quello avvenuto dopo la battaglia di Sepia: un mutamento nella composizione del corpo civi-

Su rapporti tra Atene e Sparta in questo periodo, si veda SORDI, Atene e Sparta, pp. 2541, soprattutto pp. 40-41 (= EAD., Scritti, pp. 341-360, soprattutto 359-360). Sul versante interno ateniese: L. PICCIRILLI, Opposizione e intese politiche in Atene: i casi di EfialteCimone e di Pericle-Tucidide di Melesia, CISA, 26 (2000), pp. 50-54. 106 Per l’alleanza: Thuc. I 102, 4; Diod. XI 80, 1; Paus. IV 24. Si veda L. PICCIRILLI, Su alcune alleanze fra poleis: Atene, Argo e i Tessali – Atene e Megara – Sparta e Megara, ASNP, 3 (1973), pp. 717-723. Sulle Supplici di Eschilo come come esaltazione della democrazia ateniese e argiva: E. LUPPINO, L’intervento ateniese in egitto nelle tragedie eschilee, «Aegyptus», 47 (1967), pp. 197-212, soprattutto pp. 209, 211; EAD., I Pelasgi e la propaganda politica del V secolo a.C., CISA, 1 (1972), pp. 71-77; EAD., Libici ed Egizi,  ad Argo nelle “Supplici” di Eschilo, CISA, 6 (1979), pp. 139-149; D. MUSTI, Demokratía. Origini di un’idea, Roma-Bari 1995, pp. 19-34; A. SABBI, Eschilo e le sconfitte degli argivi da parte degli Spartani a Sepia e a Tegea, RSA, 32 (2002), pp. 99-103; cfr. in questo stesso volume anche M.P. PATTONI, Presenze politiche di Argo nella tragedia attica del V secolo, pp. 147-208. 107 Sarebbe forse azzardato sostenere che l’evoluzione tra una Argo che inizialmente pare più ostile verso le aperture democratiche e una Argo che successivamente si schiera con la principale potenza democratica del tempo dipenda dal fatto che inizialmente la maggiore età era stata raggiunta soltanto i figli dei caduti a Sepia, mentre solo in seguito ad essa pervennero anche i nati dai matrimoni misti: se è vero che è probabile che questi ultimi fossero mediamente più giovani dei primi in quanto nati dopo Sepia, tuttavia da un lato non bisogna dimenticare che i cittadini di ‘sangue puro’ non dovevano essere costituiti unicamente dai figli dei vecchi matrimoni e dall’altro è assai probabile che non si possa ricondurre la spiegazione di questo mutamento a fattori unicamente anagrafici, che possono comunque costituire una concausa che va a inserirsi all’interno di quel quadro politico che si sta tentando di ricostruire. 108 Si vedano: LINTOTT, Violence, Civil Strife, p. 90, secondo il quale la costituzione formalmente non venne mutata e il potere rimase nelle mani dell’assemblea popolare, ma gli aristocratici ripresero le redini della gestione della vita politica; SCOTT,

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co (prima l’immissione di nuovi elementi, ora la loro almeno parziale espulsione) e un avvicendamento nel ceto dirigenziale (prima, costituito dai nuovi cittadini, ora nuovamente affidato agli esponenti delle famiglie di antico lignaggio). La differenza che, a mio parere, non consente di parlare di un ritorno al sistema precedente, e cioè a un regime propriamente aristocratico od oligarchico, sta nel fatto che alcuni dei giovani esponenti delle nobili famiglie erano nati da matrimoni misti ed erano cresciuti in un ambiente molto diverso da quello precedente alla sconfitta subita a Sepia e dunque erano più vicini ad Atene e al suo regime politico dei loro genitori. Ciò doveva aver creato la consapevolezza nel ceto dirigenziale del fatto che una restaurazione vera e propria sarebbe stata non solo difficilmente proponibile, ma anche ormai fondamentalmente priva di qualsiasi vantaggio: infatti, dal punto di vista della politica estera, essa avrebbe precluso la possibilità di avvicinamento ad Atene (verso la quale molti dei giovani argivi dovevano essere naturalmente orientati, per ostilità nei confronti di Sparta); dal punto di vista interno, il regime vigente doveva probabilmente consentire un certo controllo della cosa pubblica da parte dei magistrati o comunque da parte di quelle figure che, per estrazione sociale e per formazione culturale, erano in grado di esercitare un buon grado di influenza in sede assembleare109. In sostanza, a me sembra che sia almeno in parte improprio parlare di involuzione oligarchica della costituzione, anche se bisogna ammettere che, di fatto, a quasi un trentennio di distanza dalla battaglia di Sepia vi fu una certa ripresa del controllo della vita cittadina da parte di esponenti delle famiglie illustri.

Historical Commentary, p. 585, che parla di un cambiamento più di classe dirigente che di regime. 109 Poiché non è noto quali fossero i criteri di accesso alla boulé, non si può del tutto escludere che, qualora fossero richiesti particolari requisiti di censo, questa costituisse la voce delle famiglie più illustri: sul problema cfr. anche supra, par. 3.1 con n. 46, e infra, par. 5. Un ruolo particolarmente ampio delle magistrature nella argiva di questo periodo sembrerebbe a mio parere suggerito da [Them.] Ep. II 2, se non ci fossero dubbi sull’attendibilità della notizia (cfr. supra, n. 97). LEPPIN, Argos, pp. 307, 311 insiste sull’influenza dei magistrati argivi nella gestione della vita pubblica: questa considerazione se può essere condivisibile per il periodo cronologico studiato nel

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4. L’ultimo quarto del V secolo Il periodo successivo alla conclusione della pace di Nicia è il più felice per quanto riguarda le informazioni fornite dalle fonti letterarie per la storia di Argo: Tucidide, che si occupa diffusamente di questi avvenimenti nel quinto libro, fornisce indicazioni molto utili anche sulle istituzioni argive e sulle modalità di gestione della cosa pubblica. Si tenterà qui di passare in rassegna le informazioni in nostro possesso, organizzandole per lo più tematicamente e prescindendo in parte dall’ordine cronologico, che in questo paragrafo è scarsamente significativo, dal momento che viene considerato un periodo di tempo assai ristretto110. 1. Subito dopo la conclusione della pace tra Atene e Sparta tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 421111, la delegazione corinzia, evidentemente temendo per il nuovo assetto che si veniva a creare, prima di rientrare in patria da Sparta, dove si era siglata l’alleanza di cinquanta anni tra la città laconica e Atene, si fermò ad Argo, per proporre un’alleanza difensiva, aperta a chiunque dei Greci lo volesse. Come racconta Tucidide (V 27, 2), «gli ambasciatori intavolarono trattative con alcune delle autorità argive» (      ) e, dopo aver presentato le proprie proposte, suggerirono loro di «designare pochi uomini con pieni poteri» (     ) e «di non parlarne di fronte all’assemblea» (      ), affinché non fosse svelata (scil. agli Spartani)112 l’identità di coloro che presente capitolo, più difficilmente mi pare adattarsi all’ultimo quarto del V secolo (cfr. anche infra, par. 5 con nn. 183 e 191). 110 Poiché non mi occuperò delle vicende dal punto di vista strettamente storico, riporto una sommaria bibliografia: H.D. WESTLAKE, Corinth and the Argive Diplomacy, AJPh, 61 (1940), pp. 413-421; D. KAGAN, Argive Politics and Policy after the Peace of Nicias, CPh, 57 (1962), pp. 209-218 (cfr. anche ID., The Peace of Nicias and the Sicilian Expedition, Ithaca-London 1981, pp. 33-137); TOMLINSON, Argos, pp. 117-125; T. KELLY, Argive Foreign Policy in the Fifth Century B.C., CPh, 69 (1974), pp. 90-99; M. SILVESTRINI, Il conflitto fra Sparta e Argo nel 421-417, AFLB, 17 (1974), pp. 329-335; M. PIÉRARTG. TOUCHAIS, Argos. Una ville grecque de 6000 ans, Paris 1996, pp. 43-44, 56-58; PIÉRART, Qu’est ce qu’être Argien, pp. 178-181; BEARZOT, Argo nel V secolo, pp. 123-139. 111 Il testo della pace è conservato in Thuc. V 18-19. L’indicazione cronologica si trova in Thuc. V 20, 1. 112 Cfr. schol. in Thuc. V 47, 2 (C. HUDE, Scholia in Thucydidem ad optimos codices collatas, Lipsiae 1927, p. 302).

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eventualmente non fossero riusciti a persuadere il popolo (         ). Dopo la partenza dei Corinzi, Tucidide (V 28, 1) spiega che le autorità argive (    ) riferirono tali proposte alle magistrature e al popolo (         ) e dunque «gli Argivi votarono un decreto () e scelsero dodici uomini (  ) con i quali chi lo volesse tra i Greci avrebbe potuto concludere un’alleanza, tranne che con gli Ateniesi e gli Spartani; con nessuno di questi due sarebbe stato lecito stipulare un trattato senza il consenso del popolo degli Argivi» (    ). A conclusione della vicenda, Tucidide (V 28, 2) commenta che «gli Argivi accettarono queste proposte» (    ), poiché essi erano consapevoli che il loro trattato con Sparta stava per scadere e poiché desideravano ottenere l’egemonia del Peloponneso.

Questo passo fornisce numerose informazioni sulle istituzioni argive e sul loro funzionamento. In primo luogo, si parla di «autorità argive» con l’ambigua espressione    di V 27, 2 (cfr. anche     in V 28, 1). Fonti di natura lessicografica ricordano che     ad Argo e in Tessaglia erano chiamati 113: tuttavia, la notizia non aiuta, sia per la sua genericità, sia per l’assenza di riferimenti a damiurghi ad Argo dopo l’epoca arcaica. La locuzione    compare nell’opera di Tucidide dieci volte, delle quali due per identificare cariche istituzionali ateniesi, mentre otto con riferimento a realtà politiche esterne all’Attica, per le quali lo storico, a causa della sua scarsa familiarità, preferisce dare un’indicazione vaga114. Il fatto che per Argo essa sia impiegata un’unica volta non aiuta a comprendere a quale autorità si riferisca: tuttavia, poiché dietro alle due occorrenze in contesto ateniese si è soliti identificare gli strateghi o i pritani115, è possibile ipotizzare che, in un regime 113

Cfr. supra, n. 15.

Thuc. I 10, 4; I 90, 5; II 10, 3; III 36, 5 (Atene); IV 65, 2 (Atene); V 27, 2; V 60, 1; VI 88, 10; VII 73, 1; VIII 50, 4. La realtà extra-ateniese per cui è più frequentemente usata detta formula è naturalmente Sparta (I 90, 5; V 60, 1; VI 88, 10 ). Si aggiungano anche le occorrenze della locuzione  : I 58, 1; IV 15, 1; IV 86, 1; IV 88, 1; V 47, 9. Per un commento di tali locuzioni, si veda ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, pp. 23 (  ), 135 ( ). 114

115

A favore degli strateghi, si veda ad esempio A.W. GOMME, A Historical Commentary

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politico che si va definendo, sotto diversi aspetti, simile a quello ateniese, anche per Argo si possa pensare a magistrature analoghe. Da un lato, è attestata per anni assai vicini al 421 l’esistenza di strateghi ad Argo116; dall’altro, se è vero che Her. VII 148, 3 testimonia il ruolo della boulé nell’accogliere delegazioni straniere117, l’esame dei testi epigrafici suggerisce che la presidenza di assemblea e boulé fosse di carattere individuale, anziché collegiale come ad Atene118; pertanto, si dovrebbe escludere un riferimento al solo presidente, sebbene il successivo coinvolgimento dell’assemblea lasci presumere che questo individuo non fosse totalmente all’oscuro delle richieste avanzate. Inoltre, niente vieta di pensare che la locuzione impiegata da Tucidide alluda a un gruppo di magistrati diversi119. In mancanza di informazioni più chiare, la questione deve rimanere aperta120. In secondo luogo, è utile confrontare le richieste corinzie con il comportamento mantenuto dagli Argivi. Da un lato, si registra una certa continuità, perché, alla richiesta di scegliere    (V 27, 2) corrisponde l’elezione una commissione (V 28, 1), incaricata di stringere le alleanze con i Greci; significativamente, sono dodici gli uomini scelti per questo compito, probabilmente in base a un principio di rappresentanza tribale. Dall’altro lato, tuttavia, è da notare l’importanza riservata all’assemblea: le «autorità» contattate dai Corinzi non possono prendere alcuna iniziativa indipendente e, anzi, sono tenute a convocare l’assemblea, alla quale devono essere presenti anche i magistrati (), perché venga votato () un decreto che regoli il comportamento da seguire; inoltre, il decreto specifica on Thucydides, II, Oxford 1956, p. 298. A favore dei pritani: ANDREWES, in GOMMEANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 23; DOVER, ibi, p. 361; M. POPE, Thucydides and Democracy, «Historia», 37 (1988), p. 293; HORNBLOWER, A Commentary, I, p. 418; D. HAMEL, Athenian Generals. Military Authority in the Classical Period, LeidenBoston-Köln, 1998, n. 16 p. 10. 116 Thuc. V 59, 5; 65, 5-6. Cfr. infra. 117 Cfr. supra, par. 3.1 e n. 41. 118 Cfr. RUZÉ, Déliberation, pp. 270-274 (per l’ipotesi contraria, n. 15 p. 271). 119 RUZÉ, Déliberation, p. 282 ipotizza un coinvolgimento dei buleuti, degli Ottanta, degli artini. 120 Sulla delicata questione, rimando anche a: WÖRRLE, Untersuchungen, p. 44; LEPPIN, Argos, p. 305.

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chiaramente che le eventuali alleanze con Atene e con Sparta non possono essere concluse senza il consenso del popolo argivo (    ). Traspare, dunque, chiaramente l’orientamento profondamente diverso delle due città peloponnesiache: Corinto agisce per mezzo di ambasciatori, che si rivolgono non all’assemblea di Argo, né a tutti i suoi magistrati, ma solo ad alcuni di questi, per chiedere di scegliere   e di non coinvolgere nella stipula dei trattati l’assemblea; le autorità argive sottopongono l’intera questione al popolo, che vota, da un lato, l’istituzione di una commissione che è sì ristretta ma che, avendo base tribale, rispecchia l’intera cittadinanza e, dall’altro, l’obbligo di ulteriori consultazioni popolari qualora Ateniesi e Spartani avessero richiesto di entrare nell’alleanza. Non è questo il luogo per interrogarsi sulle modalità di azione dei Corinzi: tuttavia, è stato suggerito che la riservatezza richiesta dai Corinzi sarebbe dovuta all’incerta situazione interna di Argo, divisa al suo interno tra fazioni di orientamento diverso121. Il passo esaminato dipinge un regime che valorizza il voto popolare e che, dunque, può, almeno sotto questo aspetto formale, esser definito democratico. 2. Alcuni passi tucididei di poco successivi alla vicenda degli ambasciatori corinzi confermano, da un lato, la tendenza dello storico a definire le magistrature argive in modo assai vago e, dall’altro, l’importanza centrale dell’assemblea nel regime politico cittadino. In V 37, 2-3, ancora nel contesto delle febbrili trattative del 421/20 successive alla pace di Nicia, ad alcuni delegati beoti, che rientravano in patria dopo aver preso parte a un incontro a Sparta, si fecero incontro per la via «due uomini della maggiore magistratura» (     ) degli Argivi, i quali «si misero a parlare con loro per vedere se mai i Beoti avesCosì D. KAGAN, Corinthian Diplomacy after the Peace of Nicias, AJPh, 81 (1960), pp. 295-296. BEARZOT, Argo nel V secolo, p. 128 aggiunge l’intenzione da parte dei Corinzi di non esporsi a una rischiosa condizione di isolamento diplomatico qualora le trattative non si fossero concluse positivamente. A me paiono condivisibili sia la precisazione di Bearzot, che trova diretta conferma nel          del testo tucidideo (V 27, 2), sia l’ipotesi di Kagan, che opportunamente sottolinea l’esistenza di probabili divisioni interne in seno alla cittadinanza (cfr. anche KAGAN, Argive Politics and Policy, pp. 209-218, in cui si evidenzia molto questo aspetto, e le mie osservazioni nella conclusione del par. 3.3).

121

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sero potuto diventare loro alleati, come i Corinzi, gli Elei e i Mantineesi» (V 37, 2). Poiché i Beoti mostrarono di gradire l’offerta, i magistrati argivi (   ), dopo aver promesso che avrebbero inviato loro una delegazione, se ne andarono (V 37, 3). «Non molto tempo dopo, giunsero (in Beozia) gli ambasciatori argivi (  ), per sollecitarli a fare quanto era stato detto: i beotarchi approvarono le loro proposte e, dopo aver promesso di inviare ad Argo un’ambasceria per l’alleanza, li congedarono» (V 37, 5). Il progetto poi naufragò per l’opposizione delle quattro boulaí beotiche (V 38), ma ciò che qui importa è la comparsa ancora una volta di una magistratura di cui non si fornisce il nome, ma che Tucidide definisce come «la più importante» di Argo. Si ripresenta dunque il problema di identificare tale magistratura: sebbene sia stata avanzata la proposta degli artini122, di cui s’è parlato in precedenza, mi pare ci si debba domandare quale sia stato in questa vicenda il ruolo di quei «dodici», scelti con decreto assembleare poco prima e incaricati proprio di adoperarsi per l’allargamento dell’alleanza123. Molto significativi sono tre passaggi sulla centralità del ruolo dell’assemblea ad Argo, in cui essa è definita ora , ora 124. Nella primavera successiva (420), gli Argivi, trovandosi in difficoltà, poiché solo i Beoti non avevano stretto alleanza con loro come avevano promesso, ma anzi avevano concluso un’alleanza con gli Spartani (Thuc. V 39, 3), «inviarono il più rapidamente possibile a Sparta come ambasciatori Eustrofo ed Esone, i quali sembravano essere i più graditi a loro», per stipulare un patto con i Lacedemoni (V 40, 3). Dopo lunghe trattative, come narra Tucidide (V 41, 3), poiché gli Spartani volevano a tutti i costi stringere amicizia con Argo (      ), si addivenne a un accordo, le cui clausole furono messe per iscritto; «i Lacedemoni vollero tuttavia che, prima che avessero effetto, gli ambasciatori tornassero ad Argo e le riferissero al popolo» (     Cfr. A. ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary on Thucydides, V, Oxford 1981, p. 59. L’adesione all’alleanza da parte dei Mantineesi (Thuc. V 29) e degli Elei (Thuc. V 31, 1) non fornisce alcun suggerimento in merito al ruolo rivestito dai «dodici». 124 Sul termine  in questi contesti si veda anche MERRILL,  , pp. 23-25. 122

123

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            ); solo qualora esse avessero ricevuto l’approvazione popolare (  ), gli ambasciatori argivi sarebbero potuti tornare per fare il giuramento. Questo episodio mi pare assai significativo, in primo luogo perché conferma l’importanza imprescindibile dell’assemblea nel regime politico argivo. Inoltre, a differenza degli ambasciatori corinzi giunti ad Argo pochi mesi prima, i quali avevano evitato ogni contatto con l’assemblea, non solo presentando le proprie proposte a un nucleo ristretto di autorità cittadine, ma anche chiedendo che le trattative per ogni eventuale alleanza si svolgessero al di fuori dell’assemblea argiva, gli Spartani si mostrano ben consapevoli del ruolo di questa: proprio perché, come sottolinea Tucidide, desideravano «in ogni modo» () che l’alleanza con Argo andasse a buon fine, essi richiedono esplicitamente l’approvazione dell’assemblea, evidentemente nella consapevolezza che un atto non ufficialmente ratificato da questa poteva rischiare di essere messo in discussione o invalidato. Infine, non deve sfuggire l’attestazione dell’esistenza di una fazione filospartana in Argo, della quale Eustrofo ed Esone sembrano essere insigni rappresentanti: tale elemento, notato già altrove, può contribuire a determinare una certa debolezza della democrazia. Le altre due indicazioni si riferiscono al 418, nel contesto di una spedizione spartana guidata dal re Agide contro Argo. In un passo su cui si tornerà in seguito125, Tucidide (V 59, 5) racconta che nell’imminenza della battaglia, due Argivi, Trasillo, che era stratego, e Alcifrone, che era prosseno degli Spartani, si presentarono ad Agide, chiedendo di evitare lo scontro e di stipulare un trattato. «Ma gli Argivi che avevano formulato queste proposte avevano parlato per conto proprio e non per ordine del popolo» (              : V 60, 1). Infatti, di lì a poco, gli Argivi accusarono ( ) pesantemente «coloro che avevano concluso la tregua senza il consenso del popolo» (     ), dal momento che, al contrario, ritenevano che sarebbe stata un’occasione propizia per infliggere una pesante sconfitta ai nemici (V 60, 5): il comportamento arbi125

Cfr. infra, par. 4.4.

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trario di Trasillo è considerato talmente grave che egli rischiò persino la pena di morte (V 60, 6). Questa vicenda, che compare anche in Diod. XII 78, 4-5, dal punto di vista politico ricorda l’episodio dell’argivo Pollide che nel 430 si trovava  in Persia con ambasciatori provenienti da Corinto, Sparta e Tegea (Thuc. II 67, 1), elemento che di nuovo suggerisce l’esistenza di fratture in seno alla comunità cittadina; e soprattutto, dal punto di vista istituzionale, evidenzia, con duplice insistenza, il ruolo imprescindibile del  nelle deliberazioni cittadine126. Subito dopo questa vicenda, giunse in aiuto di Argo un contingente ateniese guidato da Lachete e Nicostrato; tuttavia, «gli Argivi (che comunque esitavano a violare la tregua con i Lacedemoni) ordinarono loro di andarsene e, sebbene quelli desiderassero discutere la questione, non li introdussero davanti al popolo» (    ); furono solo le preghiere dei Mantineesi e degli Elei, che si trovavano anch’essi ad Argo, a convincerli a farlo (Thuc. V 61, 1). «Dunque, gli Ateniesi, alla presenza di Alcibiade come ambasciatore, dissero agli Argivi e agli alleati (     ) queste stesse cose», e cioè che era stato ingiusto stringere una tregua separata con gli Spartani e che bisognava riprendere la guerra (V 61, 2): persuasi da tali discorsi (   ), ripresero le operazioni militari (V 61, 3). Questo passo, che, dal punto di vista politico, suggerisce ancora una spaccatura tra due distinti schieramenti nell’opinione pubblica argiva, l’uno filospartano, l’altro antispartano, dal punto di vista istituzionale fornisce due informazioni: in primo luogo, ancora una volta la centralità dell’assemblea, che qui appare come unico organismo istituzionale in Sull’episodio di Trasillo e Alcifrone, si vedano soprattutto: KAGAN, Argive Politics and Policy, pp. 209-218 (cfr. ID., The Peace of Nicias, pp. 96-102), che sottolinea la costante esistenza in Argo di una vivace fazione antidemocratica, che avrebbe mantenuto posizioni elevate in ambito politico e militare; BULTRIGHINI, Pausania, pp. 132133, che sottolinea l’appartenenza dei due alla fazione oligarchica e filospartana, ritenendo però che le decisioni dei due siano state motivate parimenti da ragioni di tipo politico e militare. Sull’episodio di Pollide, rimando a BEARZOT, Argo nel V secolo, p. 122; anche U. FANTASIA, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso. Libro II, Pisa 2003, p. 508 sottolinea che l’azione di Pollide testimonia una fazione filospartana ad Argo. A margine, osservo che ancor di più si comprendono alla luce della vicenda di Trasillo e Alcifrone nel 418 gli scrupoli degli Spartani nel 420, quando essi insistettero perché le clausole del patto che era in discussione venissero sottoposte dagli ambasciatori argivi  al per ottenere la ratifica definitiva (Thuc. V 41, 3).

126

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grado di modificare una decisione di politica estera; infatti, soltanto dopo il discorso ateniese in assemblea (così va interpretata la locuzione   ), alla presenza degli alleati, gli Argivi si mostrano persuasi e riprendono le operazioni militari. In secondo luogo, questo passo dimostra che gli stranieri che desiderassero parlare all’assemblea argiva dovevano necessariamente ottenere un permesso ufficiale: non è noto quale magistratura abbia, in prima istanza, rifiutato agli Ateniesi e ad Alcibiade il permesso di presentarsi in assemblea, tuttavia non è forse del tutto improbabile ipotizzare il ruolo della boulé127; del resto, dopo il congresso dell’Istmo del 481, ad Argo i delegati dei Greci furono ascoltati proprio nel bouleuterion128 e, analogamente, anche ad Atene la boulé deteneva il diritto di concedere la    129. Se così fosse, sarebbe assai significativo, poiché, come già allora, anche qui la boulé sembra espressione della componente aristocratica cittadina: alla vigilia delle guerre persiane per il fatto che i buleuti dichiarano di attendere la maggiore età dei figli; ora poiché essi tentano di evitare che l’assemblea popolare possa discutere di un riavvicinamento ad Atene. 3. L’ingresso di Alcibiade nello scenario politico internazionale modificò non lievemente quel quadro internazionale che, precario e mutevole, si era andato costituendo dopo la pace di Nicia. Egli inviò privatamente () un messaggio agli Argivi, per invitarli a presentarsi   ad Atene insieme a Mantineesi ed Elei per chiedere una ; costoro giunsero ad Atene poco prima dell’arrivo di un’altra delegazione ufficiale, proveniente da Sparta e composta da Filocarida, Leone ed Endio, tre uomini che erano considerati graditi dagli Ateniesi (    ), inviati col compito di dissuadere gli Ateniesi da un accordo con gli Argivi (Thuc. V 43, 3 - 44, 3). Com’è noto, Alcibiade, tramite un inganno, riuscì beffare gli Spartani e nella primavera del 420 riuscì a far stringere un’alleanza tra Ateniesi, Argivi, Mantineesi ed Elei, il cui testo è da Così anche ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, 87 e RUZÉ, Déliberation, p. 283. 128 Her. VII 148-149; cfr. supra, par. 3.1. 129 Cfr. supra, par. 3.1 con n. 41 e par. 4.1 con n. 117. 127

IV,

p.

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247

Tucidide riportato integralmente130. In V 47, 9 sono riportate, per ciascuno dei quattro contraenti, le istituzioni incaricate di prestare giuramento e di ricevere il giuramento, secondo il seguente schema131: giurano ( Atene       Argo       132  Mantinea          Elide          

ricevono il giuramento ()              

Compare qui per la seconda volta in una fonte letteraria la boulé argiva, dopo il passo di Erodoto (VII 148) sulle trattative tra Argo e i Greci dell’Istmo. È significativo osservare che, allo stesso modo, anche per Atene la boulé è incaricata di prestare giuramento. È citata poi una magistratura che finora non era apparsa nelle fonti considerate, gli Ottanta133. In passato essa era interpretata come un consiglio ristretto, una sorta di relitto dell’epoca a regime oligarchico, assimilabile all’Areopago ateniese134: tuttavia, non c’è alcun indizio che consenta di rimandare questa istituzione, che si incontra qui per la prima volta, a un passato oligarchico di Argo. 130 Il testo è preservato anche per via epigrafica: cfr. IG I3 83. Sulla vicenda si veda recentemente L. PICCIRILLI, L’invenzione della diplomazia nella Grecia antica, Roma 2002, pp. 54-56. 131 Cfr. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 304. 132 Sul problema del genere, maschile o femminile, cfr.: PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305; ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 168 e n. 9. 133 Per altre fonti sugli Ottanta, tuttavia molto incerte nella loro interpretazione e cronologicamente successive al V secolo, rimando a RUZÉ, Déliberation, p. 268 (cfr. anche n. 10, p. 269). 134 Cfr. ad esempio: WÖRRLE, Untersuchungen, p. 56 ss.; TOMLINSON, Argos, p. 196; ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 23. Contra, ad esempio: RUZÉ, Déliberation, pp. 267-269 (con ulteriore bibliografia); PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 304 (cfr. con maggiore cautela ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 168); LEPPIN, Argos, pp. 308-310.

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Piuttosto, oggi si preferisce collegare gli Ottanta alla quadruplice ripartizione tribale di Argo e interpretarli o come una sezione particolare della boulé, assimilabile ai pritani ateniesi, nel qual caso si dovrebbe pensare a un collegio che, nella sua interezza, conti trecentoventi membri, oppure, più probabilmente (dato che secondo questa prima interpretazione sarebbe un’inutile ripetizione stabilire che devono giurare «la boulé e gli Ottanta»), a una magistratura composta da venti uomini di ciascuna tribù, dotati di particolari incarichi di natura giudiziaria e forse finanziaria135. Degli artini s’era già parlato in precedenza, a proposito dell’iscrizione proveniente da Argo o da Halieis136, dove sono citati i , il rapporto con i quali non è chiaro137. Tra le diverse ipotesi formulate, è stato proposto di riconnetterli con le   ateniesi o ancora di considerarli una nuova magistratura, istituita dopo la battaglia di Sepia in sostituzione dei damiurghi, nel contesto della democratizzazione del regime cittadino138: tuttavia, si tratta di congetture. Il fatto che secondo Plutarco gli artini di Epidauro vadano identificati con i buleuti non aiuta; né aiutano la glossa di Esichio, che spiega il termine come , o l’etimologia proposta da Chantraine, che lo riconnette all’omerico  (predisporre, preparare)139. Stante queCosì PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, pp. 304-305; ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 168 e n. 9. Competenze giudiziarie sono attribuite agli Ottanta anche da RUZÉ, Déliberation, p. 269. Sulla composizione di venti membri per tribù, piuttosto che centoventi in totale si veda anche TOMLINSON, Argos, p. 196. 136 Cfr. supra, 3.2.b. 137 ZAMBELLI, Per la storia di Argo, p. 155 propone di identificare i due collegi. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305 (e ID., Qu’est ce qu’être Argien, n. 10, p. 169) ipotizza forse in modo più convincente che il termine  definisca l’insieme dei magistrati in carica. 138 Per la prima ipotesi: PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 305 e ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 168. Per la seconda: TOMLINSON, Argos, p. 198; ANDREWES, in GOMMEANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 59; VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, p. 382; SCOTT, Historical Commentary, n. 24 p. 581 (contra, ad esempio, JAMESON, A Treasury of Athena, p. 74, il quale invece, assegnando l’iscrizione di cui al punto 3.2.b ad Halieis, ritiene che in quel contesto i  fossero i presidenti della boulé). Sugli artini si vedano anche WÖRRLE, Untersuchungen, pp. 70-76 e TOMLINSON, Argos, pp. 195, 198. 139 Plut. Mor. 291d-e. Hesych. s.v.  (7546); K. LATTE, Hesychii Alexandrini Lexicon, I, Hauniae 1953, p. 239. P. CHANTRAINE, Dictionnaire étimologique de la langue grecque. Histoire des mots, I, Paris 19842, p. 102. 135

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sta situazione di grave incertezza, è forse meglio limitarsi a considerarli magistrati di alto livello. Ci si può comunque domandare se gli Ottanta e gli artini siano da considerarsi parte di quella   e di quegli individui caratterizzati come   , di cui si è parlato in precedenza. 4. Può essere utile passare in rassegna alcune informazioni sulle istituzioni militari di Argo140, così come ci vengono presentate da Tucidide per il periodo successivo alla pace di Nicia, soffermandosi soprattutto in primo luogo sulla principale magistratura militare, la strategia, e poi sull’organizzazione delle milizie cittadine. Il già considerato Thuc. V 59, 5 informa che Trasillo era «uno dei cinque strateghi» (  ), fornendo così l’entità numerica della magistratura. Il successivo capitolo 60, come s’è visto, mostra che essi non avevano completa autonomia decisionale, ma dovevano attendere le decisioni dell’assemblea popolare. Particolarmente interessante la conclusione di questa vicenda, in Thuc. V 60, 6: gli Argivi «iniziarono a lapidare Trasillo nel Caradro, dove essi, prima di entrare in città, giudicano le cause militari (                ); tuttavia, egli, rifugiandosi su un altare, si salvò, ma i suoi beni furono confiscati (            )»141. Poco oltre, Tucidide (V 65, 5-6) racconta che, nell’imminenza della battaglia di Mantinea, gli Argivi e gli alleati (    ) «di nuovo accusarono i loro strateghi (      ), perché la prima volta avevano lasciato partire i Lacedemoni che erano stati chiusi egregiamente presso Argo e ora nessuno li inseguiva mentre scappavano [...]. Gli strateghi dapprima si turbarono, poi [...], avanzatisi sul piano, si accamparono con l’intenzione di muovere contro i nemici»142. Per quanto riguarda l’organizzazione delle milizie cittadine, Cfr. anche WÖRRLE, Untersuchungen, pp. 89-100 e TOMLINSON, Argos, pp. 175-186. La stessa vicenda è riportata anche da Diod. XII 78, 5, che però parla genericamente di  dell’esercito, senza fornirne il titolo ufficiale, né il nome. 142 Traduzione di F. FERRARI, in TUCIDIDE, La guerra del Peloponneso, II, Milano 19976, p. 911. 140 141

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Tucidide (V 72, 4) ricorda che nel corso della battaglia di Mantinea i Lacedemoni piombarono sui più vecchi degli Argivi, che erano chiamati «i cinque lochi» (        )143. Inoltre, lo storico ateniese informa che vi era un corpo di mille soldati scelti (  ), citati più volte a proposito della battaglia di Mantinea (V 67, 2; 72, 3; 73, 4). Riferimenti a questo corpo dei Mille si trovano numerosi anche in Diodoro, che inoltre li caratterizza come giovani         (XII 75, 7),    (80, 2), che si segnalavano           (80, 3)144. Non è chiaro quando questo corpo scelto sia stato istituito: la notizia di Tucidide, il quale sotto il 418/7 racconta che Argo «da molto tempo ( ) forniva loro a spese pubbliche una esercitazione militare» (V 67, 2), è contraddetta Diodoro (XII 75, 7), il quale colloca la loro istituzione nel 421/20, e da Pausania (II 20, 2), che li presenta come nati nell’imminenza del colpo di stato del 418/7. Fin qui le informazioni sull’organizzazione militare di Argo, la cui interpretazione non è del tutto semplice. Lo stesso numero di cinque per gli strateghi suscita imbarazzo, se collegato con la quadruplice ripartizione tribale: poiché non ci sono indizi che consentano di ipotizzare una nuova ripartizione della cittadinanza145, è stato proposto di intendere il quinto stratego come il comandante del battaglione dei Mille146; tuttavia, tale ingegnosa ipotesi 143 Segnalo che talora gli editori scrivono , anziché  . Sulla questione, cfr. ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 121. Per la scrittura unita, si vedano ad esempio le edizioni di J. DE ROMILLY (Paris 1967) e di G.B. ALBERTI (Romae 1992); per quella separata, le edizioni di C. HUDE (Lipsiae 1925) e di H. STUART JONES riveduta da J.E. POWELL (Oxonii 1942). 144 Sul problema relativo all’identificazione dei mille uomini citati in Diod. XII 80, 23, se cioè essi effettivamente coincidano con il contingente dei Mille, cfr. infra. Altri accenni ai Mille al di fuori delle vicende relative al colpo di stato del 418/7 si trovano in Diod. XII 79, 4-7. 145 Così riteneva ad esempio ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 123, secondo il quale sarebbe stato attuato qualche mutamento istituzionale che avrebbe introdotto una suddivisione a base cinque; tuttavia, come osserva anche JONES, Public Organization, n. 22 p. 127, allo stato attuale della documentazione tale ipotesi sembra da accantonare. 146 PIÉRART-TOUCHAIS, Argos. Una ville grecque, p. 44; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, pp. 305-306; ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 169.

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né trova conforto nelle fonti, né risolve del tutto il problema della rappresentanza tribale; inoltre, il numero cinque ritorna anche nei battaglioni in cui erano inquadrati gli Argivi più anziani147. I passi considerati suggeriscono uno stretto collegamento degli strateghi con l’assemblea popolare e la loro autorità pare in quella sede spesso messa in discussione: questo dato può essere letto non solo come ulteriore prova dell’importanza dell’assemblea, ma anche come indizio di un certo filolaconismo degli individui ricordati da Tucidide che si trovavano a ricoprire la strategia in quelle circostanze148. Infine, la notizia relativa all’esistenza di un tribunale militare potrebbe essere letta, nella medesima direzione, come intenzione della democrazia argiva di controllare da vicino l’operato delle magistrature militari: a tal proposito, è difficile proporre un paragone con Atene, per la quale l’esistenza di tribunali militari è stata recentemente messa in discussione149; tuttavia, il caso specifico di Argo, in cui sembra vi fossero necessità particolari di controllo sull’operato degli strateghi e sulla loro fedeltà al regime democratico, spiegherebbe un’istituzione che differenzierebbe la città dalla democrazia ateniese. Tomlinson osserva che l’episodio di Trasillo dimostra che ormai Argo aveva una costituzione pienamente democratica150. Di grande rilevanza è poi il contingente scelto dei Mille, di cui è oscura non solo la circostanza della nascita, e in particolare se si tratti di una istituzione figlia della riforma democratica o se sia JONES, Public Organization, p. 116 conclude semplicemente che non è improbabile che fossero in uso due sistemi diversi, come del resto sembra accadere anche a Megara (ibi, pp. 94-95). 148 KAGAN, Argive Politics and Policy, pp. 209-218 sottolinea a più riprese il comportamento filospartano dei vertici militari argivi in questo periodo. Sull’orientamento dello stratego Trasillo, cfr. anche BULTRIGHINI, Pausania, p. 132. Invece, KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 81-99 (cfr. p. 93) ammonisce a non enfatizzare la contrapposizione tra orientamenti filoateniesi e filospartani all’interno di Argo. A me pare comunque che si tratti di una questione non marginale. Sul problema, si veda ora BEARZOT, Argo nel V secolo, pp. 136, 144. 149 Si veda soprattutto M. BERTAZZOLI, Tribunali militari in Atene?, «Aevum», 75 (2001), pp. 57-70 (su problemi analoghi anche EAD., Alcune annotazioni su Aristot. Ath. Pol. LXI.2, in . Materiali e appunti per lo studio della storia e della letteratura antica, II, a cura di D. AMBAGLIO, Como 2000, pp. 123-129); cfr. anche M. BETTALLI, La disciplina negli eserciti delle poleis. Il caso di Atene, CISA, 28 (2002), pp. 110-117 e soprattutto p. 112 con n. 17. 150 TOMLINSON, Argos, p. 199. 147

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ad essa precedente151, ma anche la composizione sociale e l’eventuale orientamento politico, se cioè i Mille possano essere considerati espressione di uno strato sociale di stampo agiato, conservatore e filolaconico oppure no152: le due questioni, com’è ovvio, sono strettamente collegate. Comunque, mi sembra significativo notare che accenni a contingenti di mille argivi si trovano anche in periodi precedenti a quello ora in esame: oltre a una comparsa a metà del VI secolo153, Erodoto (VI 92, 2) attesta un corpo di circa mille volontari (  ) partiti da Argo intorno al 490154 in aiuto degli Egineti, in guerra contro Atene; poiché Argo ufficialmente aveva rifiutato il proprio aiuto, è stato supposto che vi sia stata una frattura interna alla città e che i mille volontari partiti per combattere le truppe ateniesi siano stati individui di orientamento antidemocratico155. La notizia in sé è assai Mettono in dubbio l’attendibilità della notizia diodorea: ANDREWES, in GOMMEANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, pp. 105-106 (secondo cui Diodoro può aver frainteso quanto leggeva in Eforo); PIÉRART, Qu’est ce qu’être Argien, p. 169 (che ritiene l’istituzione dei Mille molto anteriore alla data riportata da Diodoro). Invece, tra coloro che considerano attendibile la data di Diodoro: KAGAN, The Peace of Nicias, p. 40 (che non discute il problema); BULTRIGHINI, Pausania, p. 130 (il quale ipotizza che i Mille siano stati istituiti dal corpo degli Ottanta, che egli ritiene di matrice oligarchica). 152 A questo proposito, si suole ricordare l’episodio della battaglia di Mantinea, durante la quale i Mille subirono perdite limitate: ciò è attribuito da Tucidide (V 73, 4) a una scelta tattica abitualmente adottata dagli Spartani, mentre da Diodoro (XII 79, 5-7) a una scelta politica, suggerita ad Agide dal suo consigliere Farace. Sul problema delle due versioni non prende posizione ANDREWES, in GOMME-ANDREWESDOVER, A Historical Commentary, IV, p. 125. Invece, tra coloro che, con diverse gradazioni, interpretano l’azione di Agide come una scelta politica, ricordo: KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 212 ss. (cfr. ID., The Peace of Nicias, pp. 131-132; sul carattere antidemocratico dei Mille, cfr. pp. 95, 135); D. GILLIS, Collusion at Mantineia. Retroscena politici della situazione peloponnesiaca nel 418 a.C., RIL, 97 (1963), pp. 199-226; BULTRIGHINI, Pausania, pp. 136-137 (con ulteriore bibliografia). Contra, H.-J. GEHRKE, Stasis. Untersuchungen zu den inneren Kriegen in den griechischen Staaten des 5. und 4. Jahrhunderts v. Chr., München 1985, pp. 27-28 e 363-365. 153 Secondo Erodoto (I 61, 4), soldati argivi qualificati come  aiutarono Pisistrato a tornare per la terza volta al potere in Atene. Aristotele (Ath. Pol. 17, 4) aggiunge che si trattava di mille uomini e che erano comandati da un tal Egesistrato. Che i soldati vengano qualificati come mercenari non è significativo, perché si tratta di un particolare assai sospetto (cfr. B.M. LAVELLE, Herodotos, Skythian Archers, and the Doryphoroi of the Peisistratids, «Klio», 74 (1992), pp. 78-97; M. BETTALLI, Mercenari nel mondo greco, I. Dalle origini alla fine del V secolo a.C., Pisa 1995, p. 89). 154 Per la data, cfr. FORREST, Themistokles, p. 225. 155 BEARZOT, Argo nel V secolo, pp. 113-114, 142. Cfr. anche SCOTT, Historical Commentary, 151

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interessante, perché permetterebbe di trovare un precedente per il carattere oligarchico del contingente dei Mille; tuttavia il contesto in cui la vicenda si situa è piuttosto oscuro e quindi impone particolare prudenza nel valutare la testimonianza. Sul delicato problema dei Mille si ritornerà in seguito, a proposito del colpo di Stato del 418/7. 5. Dopo aver presentato le informazioni relative al periodo successivo alla pace di Nicia, è opportuno elencare alcuni giudizi che Tucidide esprime sul regime politico argivo di questo periodo. Sotto il 421/20, dopo la pace di Nicia e dopo che gli Argivi, su consiglio dei Corinzi, ebbero eletto dodici uomini incaricati di gestire le future alleanze coi Greci156, Tucidide (V 29, 1) ricorda che i primi ad avvicinarsi ad Argo furono i Mantineesi, i quali agirono spinti da due motivi: essi temevano gli Spartani (  ), nei confronti dei quali gli Argivi erano sempre stati ostili (  ), e nello stesso tempo apprezzavano il fatto che Argo fosse una città grande ( ) e democratica come la loro (   ). Sotto lo stesso anno, Tucidide (V 31, 6) informa che Beoti e Megaresi preferirono non aderire all’alleanza argiva e se ne stavano tranquilli (), «perché ritenevano che per loro, che erano retti da un’oligarchia, la democrazia degli Argivi fosse meno conveniente del regime politico dei Lacedemoni» (            ). Sotto l’anno successivo (420/19), Tucidide (V 43, 3 - 44, 1) ricorda che Alcibiade inviò privatamente () un messaggio agli Argivi, invitandoli a presentarsi ad Atene per stringere un’alleanza. Costoro mostrarono di gradire tale proposta, considerando che «da tempo quella città era loro amica e che era retta da una democrazia come la loro e che aveva una grande potenza sul mare» (                 ). pp. 329-330, 585 (sui motivi del rifiuto ufficiale di Argo) e p. 332 (sull’impossibilità per il governo argivo di impedire a questi volontari di prestare aiuto ad Egina). 156

Thuc. V 28, 1: cfr. supra, par. 4.1.

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Questi tre passi concordano nel caratterizzare il regime politico di Argo come democratico. Mi pare molto significativo che tale giudizio provenga da tre prospettive diverse: nel primo caso, è espresso dai Mantineesi, che sottolineano la continuità della propria esperienza politica con quella di Argo, nel secondo, da Beoti e Megaresi, che riconoscono il regime di Argo come diverso dal proprio, nel terzo caso, particolarmente importante, il giudizio è frutto dell’autocoscienza degli Argivi, i quali rilevano di avere un’antica amicizia con Atene, che si basa proprio sul comune regime democratico. A questo triplice giudizio si lega strettamente quello espresso da Pausania (II 19, 2), il quale caratterizza gli Argivi come un popolo che fin dai tempi più antichi ( ) amava l’uguaglianza nell’esercizio della libertà di parola e l’autonomia (  )157. Mi pare che non si possa prescindere da queste valutazioni e autovalutazioni per valutare consapevolmente il regime politico di Argo e le sue evoluzioni nel tempo. 6. Nonostante queste numerose attestazioni sulla natura democratica del regime politico argivo, esso, in base ad alcuni indizi che sono emersi nelle pagine precedenti, non pare particolarmente solido e stabile. Infatti, tra l’inverno e la primavera del 417 è datato il colpo di stato oligarchico in Argo, ricordato da Tucidide (V 76-82), Aristotele (Pol. 1304a25-27), Diodoro (XII 80, 2-3), Pausania (II 20, 2) e Plutarco (Alc. XV 3) e forse anche da un discusso passo di Enea Tattico158. Poiché le fonti riportano versio157 Ai tre passi segnalati, vanno aggiunti quelli relativi al colpo di stato del 418 in cui si afferma esplicitamente che fu abbattuto il regime precedente, che era di carattere democratico: Aristot. Pol. 1304a25-27 (  ); Diod. XII 80, 2 ( ... ); Plut. Alc. XV 3 (  ). 158 In XVII 2-4, Enea Tattico ricorda avvenimenti relativi a un colpo di stato avvenuto ad Argo. Tuttavia, la vicenda ha suscitato qualche motivata perplessità, perché è identica, non senza alcune coincidenze verbali, a un passo di Polieno (I 23, 2) che descrive la presa del potere da parte di Policrate di Samo. A tal proposito si vedano: J. LABARBE, Un putsch dans la Grèce antique: Polycrate et ses frères a la conquête du pouvoir, AncSoc, 5 (1974), pp. 21-41; M. BETTALLI, in ENEA TATTICO, La difesa di una città assediata (Poliorketika), Pisa 1990, pp. 270-272; T. SCHETTINO, Introduzione a Polieno, Pisa 1998, p. 125. Si può forse aggiungere che il trafugamento delle armi da parte dei congiurati, ricordato per il colpo di stato argivo da Enea Tattico e per Samo da Polieno, ritorna in quest’ultimo anche nell’aneddoto relativo al terzo avvento al potere di Pisistrato (I 21, 2; cfr. Aristot. Ath. Pol. XV 4; sull’episodio, rimando al mio

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ni diverse dei fatti, complicandone la ricostruzione, le vicende storiche sono state ampiamente studiate159. Non è questo il luogo per ripercorrere i vari problemi che sono sorti; tuttavia, limitandomi a ciò che più da vicino riguarda questo lavoro, a me pare che non si possano né distinguere del tutto i mille cittadini che ebbero un ruolo rilevante nel colpo di stato dal contingente dei Mille di cui si è parlato in precedenza160, né respingere aprioristicamente le notizie che non sono conservate dalla fonte più vicina ai fatti, come ad esempio quella relativa al ricorso alla violenza da parte degli oligarchi nella presa del potere161. Ciò premesso, per quanto riguarda gli aspetti più vicini al campo d’indagine del presente lavoro, dalla narrazione di Tucidide mi sembra si possa dedurre una certa importanza delstudio su Pisistrato e il demos: tentativi di manipolazione della volontà popolare, RIL, 138 [2004], pp. 164-168). Perplessità sull’attendibilità del passo di Enea Tattico sono espresse anche da C. FORNIS VAQUERO, La stasis argiva del 417 a.C., «Polis», 5 (1993), pp. 80-81. 159 A titolo di bibliografia sommaria, ricordo: KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 217 (cfr. ID., The Peace of Nicias, pp. 135-136); TOMLINSON, Argos, p. 124; KELLY, Argive Foreign Policy, pp. 97-98; LINTOTT, Violence, Civil Strife, p. 114; GEHRKE, Stasis, pp. 27-31; E. DAVID, The Oligarchic Revolution in Argos, 417 B.C., AC, 55 (1986), pp. 113-124; BETTALLI, in ENEA TATTICO, La difesa, pp. 270-272; BULTRIGHINI, Pausania, pp. 140-141; FORNIS VAQUERO, La stasis argiva, pp. 73-89; PIÉRART-TOUCHAIS, Argos. Una ville grecque, p. 56; RUZÉ, Déliberation, pp. 285-286; PIÉRART, Qu’est ce qu’être Argien, p. 180. 160 Mentre da Diod. XII 80, 2-3 emerge senza possibilità di dubbio l’identità dei mille cittadini che diedero il via al colpo con i Mille che prestavano servizio nelle truppe scelte, in Tucidide (V 81, 2) la questione non è chiara, anche se probabilmente è da valorizzarsi la testimonianza diodorea. Sul ruolo dei , cfr. anche Paus. II 20, 2 e Plut. Alc. XV 3: Invece, Aristot. Pol. 1304a25-27 attribuisce genericamente la responsabilità del colpo di stato a  che avevano combattuto nella battaglia di Mantinea: ancora una volta le truppe scelte dei Mille? A me pare difficile distinguere del tutto i Mille del contingente scelto dai mille cittadini che maneggiarono per il rivolgimento oligarchico; inoltre non si deve dimenticare che mille sono anche gli Argivi volontari che attorno al 490 prestano aiuto a Egina contro Atene (Her. VI 92, 2; cfr. supra, n. 35 e par. 4.4 con n. 155). Anche qualora si preferisca ritenere che non vi sia completa sovrapposizione tra le truppe scelte e gli autori della rivoluzione oligarchica, mi sembra assai probabile che i due insiemi presentino un’ampia zona di intersezione. Si vedano: KAGAN, Argive Politics and Policy, p. 211; ANDREWES, in GOMMEANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 149; DAVID, The Oligarchic Revolution, pp. 115-118; BULTRIGHINI, Pausania, pp. 138-139 (ulteriore bibliografia in n. 249); FORNIS VAQUERO, La stasis argiva, pp. 77-80; PIÉRART-TOUCHAIS, Argos. Una ville grecque, p. 56; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 308; ID., Qu’est ce qu’être Argien, p. 180; BEARZOT, Argo nel V secolo, p. 137. Contra, GEHRKE, Stasis, n. 34 pp. 28-29. 161 Il resoconto di Tucidide non menziona atti di violenza compiuti ai danni dei

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l’assemblea popolare nel rovesciamento della democrazia. Dopo la sconfitta di Mantinea, lo spartano Lica, prosseno degli Argivi, portò due proposte, di proseguire la guerra o di concludere una pace: «dopo un lungo dibattimento (si trovava presente anche Alcibiade), gli individui di orientamento filospartano, che ormai agivano con audacia alla luce del sole, persuasero gli Argivi ad accettare la proposta di accordo» (                           , V 76, 3). Non molto tempo dopo (  ), gli stessi uomini (  ) fecero sì che (… ) i propri concittadini abbandonassero l’alleanza con Atene, Elide e Mantinea e ne stringessero una con Sparta (V 78). Ancora: esercitando ormai le due città una politica comune (     ), essi decretarono () di non accogliere ambascerie ateniesi finché i nemici non avessero abbandonato il Peloponneso e di non portar guerra a nessuno, se non insieme (       : 80, 1). Poco dopo, gli Spartani e gli Argivi abbatterono la democrazia ad Argo e fu instaurata un’oligarchia fedele a Sparta (          : 81, 2). Tucidide narra dunque tre stadi di progressivo avvicinamento a Sparta, parrallelamente al crescere dell’influenza dei filospartani. Si tratta di tre passaggi assembleari, il primo dei quali a mio parere vede ancora vitale la componente democratica: infatti, non solo il dibattito è vivace ( ), ma anche è presente il fautore dell’alleanza di Argo con Atene, Alcibiade. Il terzo e ultimo, nel quale non si registra più alcuna opposizione, stabidemocratici, mentre Diodoro (XII 80, 3) parla di condanne a morte dei capi popolari e di regime di terrore: tuttavia, bisogna considerare che Diodoro non contraddice, ma integra Tucidide e inoltre che il ricorso alla violenza è confermato da Pausania (II 20, 2: ) e, se ne accettiamo la testimonianza, da Enea Tattico (XVII 3-4). In generale, per una valorizzazione delle fonti alternative a Tucidide sul colpo di stato del 418/7, si veda DAVID, The Oligarchic Revolution, pp. 113-124. Il silenzio tucidideo su questo elemento è spiegabile non già con una simpatia dello storico per gli oligarchici di Argo (così sosteneva ANDREWES, in GOMME-ANDREWES-DOVER, A Historical Commentary, IV, p. 149), bensì con il suo sostanziale disinteresse per le vicende extraateniesi che non riguardino le relazioni internazionali (cfr. DAVID, The Oligarchic Revolution, p. 123; contra, FORNIS VAQUERO, La stasis argiva, p. 81).

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lisce invece quello che con prestito senofonteo si potrebbe quasi definire un forzoso  di Argo162, riassorbita all’interno della politica spartana: il risultato finale è il momento definitivo in cui avviene la   . A prescindere dal ruolo dei mille uomini che collaborarono con gli Spartani nel rivolgimento politico (81, 2)163, sono significativi i diversi accenni alla vivacità della componente antidemocratica164: in 76, 2, Tucidide informa che «già prima c’erano loro (scil. degli Spartani) amici, desiderosi di abbattere la democrazia ad Argo» (              ); in 76, 3 si citano      , ai quali si accenna ancora nel cap. 78 (  ). La costante e attiva presenza di questa fazione, che fin dall’epoca della maggiore età dei figli dei caduti a Sepia ha caratterizzato la vita politica di Argo, indebolendone la democrazia, si fa più attiva in seguito alla sconfitta di Mantinea: è proprio grazie a questa che gli antidemocratici       (76, 2), osando ormai agire    (76, 3). Dunque, un rivolgimento politico in cui l’opposizione abbandona la pratica della clandestinità, incoraggiata dalla situazione internazionale165; un rivolgimento politico che passa anche attraverso il , molto probabilmente in tutte le sue sfumature di significato, fino a comprendere azioni di intimidazione e di terrorismo, e che dunque vede tra i suoi teatri privilegiati proprio l’assemblea popolare. 162 Attingo dalla vicenda dell’unione tra Argo e Corinto: cfr. Xen. Hell. IV 4, 6. Sul termine: C. BEARZOT, Politeia cittadina e politeia federale in Senofonte, in S. CATALDI, Poleis e politeiai. Esperienze politiche, tradizioni letterarie, progetti costituzionali. Atti del Convegno Internazionale di Storia Greca. Torino, 29 maggio – 31 maggio 2002, Alessandria 2004, pp. 236-238, EAD., Federalismo e autonomia nelle Elleniche di Senofonte, Milano 2004, pp. 3235, 73-75, 120; si veda in questo stesso volume anche M. SORDI, Atene e l’unione fra Argo e Corinto, pp. 299-309. 163 Sul problema, cfr. supra e n. 160. 164 Su tale componente, si vedano le considerazioni di BULTRIGHINI, Pausania, p. 130: egli sostiene condivisibilmente che ad Argo, dietro a una «facciata stabile» che presenta istituzioni formalmente democratiche, esistono «centri interni di attiva opposizione», che potevano contare su «sbocchi istituzionali all’interno delle strutture democratiche» (ibi, p. 136). 165 Sulla clandestinità come elemento distintivo delle opposizioni, segnatamente antidemocratiche, in contesto ateniese, si veda soprattutto C. BEARZOT, Gruppi di opposizione organizzata e manipolazione del voto nell’Atene democratica, CISA, 25 (1999), pp. 266-269.

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Diodoro (XII 80, 3) conferma tale quadro che emerge da Tucidide e aggiunge alcuni particolari che non lo contraddicono e che non mi sembrano improbabili: si presenteranno qui solo tre aspetti della sua versione. (1) Innanzitutto, egli ricorda, accanto ai Mille, l’opera di  , i quali coincidono con i filospartani di cui parla Tucidide. (2) Inoltre, Diodoro presenta la duplice modalità attraverso le quali fu portato a termine il colpo di stato: in primo luogo, egli dice che costoro     . La notizia, che non compare in Tucidide, può essere variamente interpretata, a seconda che si preferisca intendere l’operazione come mascherata da una facciata di legalità, oppure come un atto puramente terroristico: nel primo caso, bisognerebbe pensare a una capillare infiltrazione degli antidemocratici nella macchina della giustizia, per essere in grado di eseguire arresti e di controllare i processi; ma forse è preferibile pensare a esecuzioni sommarie. In secondo luogo, Diodoro spiega che tale situazione gettò nel panico quei cittadini evidentemente di parte democratica che erano sopravvissuti (   ): tale ulteriore aggiunta alla versione tucididea è tuttavia coerente con essa ed è anzi preziosa perché consente di illuminarla, spiegando come gli antidemocratici siano riusciti a    (Thuc. V 76, 2). L’intimidazione e il terrorismo, naturalmente insieme alla reazione spontanea di quegli individui che, stante la situazione internazionale, non consideravano inopportuno un riavvicinamento a Sparta, spiegano come gli antidemocratici, attraverso i tre passaggi assembleari ricordati da Tucidide, abbiano potuto preparare il terreno per il colpo di stato vero e proprio166. (3) Infine, Diodoro informa che costoro «abrogarono le leggi e amministrarono la vita pubblica secondo i propri convincimenti» (        ), affermazione che allude in modo Naturalmente, non sorprende che dopo la battaglia di Mantinea vi sia stato un buon numero di Argivi favorevoli a un riavvicinamento a Sparta e quindi disposti a cedere alle richieste degli oligarchi, senza che costoro ricorressero a pressioni particolari (cfr. ad esempio KELLY, Argive Foreign Policy, p. 97). Tuttavia, non credo questo consenta di sminuire il ruolo delle operazioni di intimidazione e di terrorismo impiegate dai sostenitori dell’oligarchia, che pure sono testimoniate dalle fonti successive a Tucidide; del resto, la spontanea reazione alla sconfitta di Mantinea può aver indotto alla conclusione di una pace, ma è improbabile che abbia automaticamente convinto anche ad abbandonare l’alleanza con Atene e il regime democratico. 166

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generico all’attività di revisione dell’ordinamento sociale e istituzionale della città: non è noto in cosa sia consistito sostanzialmente il cambiamento di regime, se siano state cancellate alcune magistrature o se, forse più probabilmente, sia stato ridotto il numero degli aventi diritto alla cittadinanza; ma in assenza di indizi, è meglio astenersi da congetture. In conclusione, mi pare che Tucidide e Diodoro si completino e si illuminino a vicenda e che dalla loro lettura parallela emerga il quadro di una fase preparatoria al rivolgimento politico caratterizzata dalla ruolo centrale dell’assemblea popolare e dal ricorso, probabilmente mediante atti di terrorismo, all’eliminazione dei democratici più in vista e all’intimidazione: tutto ciò condusse al rivolgimento costituzionale in senso oligarchico, sulle effettive caratteristiche del quale tuttavia ben poco si può ipotizzare, poiché non ci sono giunte notizie che permettano di spiegare concretamente cosa dal punto di vista istituzionale abbia comportato l’abrogazione delle leggi voluta dagli antidemocratici. Come si è detto, è forse possibile supporre una limitazione della cittadinanza e dei diritti politici, ma si tratta di una pura congettura. Inoltre, non mi pare improbabile che alcuni tra i sostenitori dell’oligarchia avessero rivestito già durante la democrazia posizioni di rilievo in seno alle istituzioni e alle magistrature167, elemento che avrebbe certamente semplificato il ricorso alla via istituzionale per preparare il terreno al rivolgimento politico. Tutto ciò, com’è stato notato, non può non richiamare alla memoria analoghe vicende relative ai colpi di stato avvenuti ad Atene sullo scorcio del V secolo e soprattutto ai fatti del 411, distanti solo pochi anni da quelli qui in esame168.

167 Non abbiamo notizia di requisiti di censo per accedere alle magistrature argive, tuttavia, se vi fossero stati, quei cittadini che, secondo Diodoro (XII 75, 7; 80, 3), si distinguevano per le ricchezze avranno certamente occupato posizioni di rilievo nelle istituzioni. Inoltre, nella curiosa versione di Pausania (II 20, 2), si legge che il popolo non volle che fosse punita dai Mille (  ) la ragazza che aveva accecato il loro capo Briante: non è chiaro se si voglia alludere a una vendetta sommaria che i Mille volevano attuare o se invece si debba intendere che alcuni tra costoro, come semplici cittadini, erano inseriti nell’amministrazione della giustizia; in ogni caso, BULTRIGHINI, Pausania, pp. 140-141 difende l’attendibilità della notizia e osserva che essa conferma «l’evoluzione in senso politico di un’istituzione in partenza esclusivamente militare». 168 Sull’analogia, cfr. ad esempio DAVID, The Oligarchic Revolution, p. 124. Aggiungerei

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7. Le informazioni sul periodo tra la fine del colpo di stato e la fine del V secolo non sono abbondanti. È noto che l’esperienza oligarchica di Argo ebbe breve durata: secondo Tucidide (V 82, 2), nell’estate del 417 la fazione popolare (  ) uccise alcuni degli oligarchi e ne esiliò altri e così la democrazia fu restaurata169. Non sono noti dettagli istituzionali sul regime politico successivo alla parentesi oligarchica, ma non vi sono motivi per ipotizzare che esso differisse da quello precedente. Una continuità può essere ravvisata anche nell’instabilità della situazione politica interna: accanto alla vivacità degli esuli, ricordati più volte da Tucidide (V 82, 4; 83, 3; 115, 1; VI 7, 1), le fonti ricordano la persistente presenza di una componente antidemocratica e filospartana, che fu eliminata dalla città con l’aiuto di Alcibiade e di Atene (Thuc. V 84, 1; Diod. XII 81, 2-5); l’entità di essa, non definita da Diodoro, il quale afferma genericamente che i fautori dell’aristocrazia (   ), a causa dei quali la città si trovava ancora in disordine (…  ), erano  (81, 2), è precisata invece da Tucidide, che fornisce il numero di trecento individui. Il ruolo di Alcibiade nel sostenere la rinata democrazia argiva, che per certi versi ricorda l’operato di Temistocle, sia pure in un contesto diverso, è confermato anche da Plutarco (Alc. XV 4). Ancora, nell’inverno 416/5, gli Argivi arrestarono alcuni cittadini sospetti, ma altri riuscirono a fuggire (Thuc. V 116, 1); nel 415/4, caduto ormai che ad Atene probabilmente erano ben note le vicende del rivolgimento politico di Argo: secondo G. CERRI, Argo e il dibattito costituzionale nelle Supplici di Euripide, ANGELI BERNARDINI, La città di Argo, p. 196-197, nelle Supplici di Euripide la connotazione di Argo come città oligarchica, a differenza dal precedente eschileo, si spiegherebbe proprio alla luce delle vicende politiche interne che la città peloponnesiaca stava vivendo in quegli anni (sul problema della datazione della tragedia, che oscilla tra il 424 e il 416, cfr. ibi, n. 6 p. 190), dell’instabilità del regime democratico e forse anche delle vicende relative al colpo di stato (cfr. anche PATTONI, Presenze politiche di Argo, pp. 189-197. Per un’interpretazione politica delle Supplici di Euripide, si veda anche MUSTI, Demokratía, pp. 35-53. 169 Diodoro (XII 80, 3) fornisce un quadro simile, concordando anche sul ricorso alla forza per restaurare la democrazia, con due sole differenze rispetto a Tucidide: Diodoro, coerentemente con la sua narrazione del colpo di stato, afferma che vittime della controrivoluzione democratica furono i Mille; inoltre, egli non ricorda che alcuni dei personaggi compromessi con l’oligarchia furono esiliati. Anche Pausania (II 20, 2) afferma che i democratici, ripreso il potere, non risparmiarono nessuno degli avversari. Tuttavia, mi pare preferibile la versione tucididea per coerenza con il seguito del racconto.

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Alcibiade in disgrazia, alcuni Argivi a lui legati da vincoli di  furono sospettati tramare contro la democrazia (Thuc. VI 61, 3; Diod. XIII 5, 1)170. Tutte queste notizie testimoniano l’instabilità politica di Argo dopo la parentesi del 417, nonostante le successive epurazioni di individui compromessi con l’oligarchia. Colpisce in modo particolare l’insistenza sull’area semantica del sospetto (Thuc. V 84, 1: ; 116, 1: ), che mostra il permanere della componente oligarchica, ma con carattere di clandestinità: dunque, è evidente che essa, abbandonato l’agire    (Thuc. V 76, 3) che aveva caratterizzato il periodo che aveva condotto al colpo di stato, ritorna ora a un metodo di azione simile a quello che già aveva impiegato in precedenza, caratterizzato da una clandestinità che tuttavia ora è accentuata dal fatto che tale fazione si trova ridotta nei ranghi dalle epurazioni successive alla restaurazione democratica. Tornando al regime restaurato nell’estate del 417, come si diceva, non vi sono notizie di carattere istituzionale che consentano di confrontarlo con il precedente: tuttavia, è indubbio che nella sostanza si trattò di un ritorno alla 171. Un unico accenno potrebbe trovarsi in Thuc. V 82, 5, dove si legge che     stava di nuovo stipulando un’alleanza con gli Ateniesi: ciò potrebbe essere interpretato come notizia relativa all’assemblea popolare (), tra le cui prerogative c’era anche la gestione della politica estera. Il testo epigrafico che documenta questa alleanza172 concorda con la datazione tucididea (417/6) e documenta un’allenanza di durata cinquantennale: tuttavia esso, assai lacunoso, non fornisce alcuna notizia in merito alle istituzioni argive. Comunque, le vicende internazionali degli anni successivi documentano la vicinanza tra Atene ed Argo173 e lasciano

BETTALLI, in ENEA TATTICO, La difesa, pp. 248-249 (con bibliografia) ripropone l’ipotesi che a questa vicenda vada attribuito un passo discusso e poco chiaro di Enea Tattico (XI 7-10). 171 Il termine ritorna con una certa frequenza soprattutto in Diodoro: XII 81, 3 (due volte); XIII 5, 1. 172 IG I3 86. A.G. WOODHEAD, Inscriptions: the Decrees, Princeton 1997 («The Athenian Agora», 16), nr. 19 pp. 26-28. 173 Per i dettagli, rimando a BEARZOT, Argo nel V secolo, pp. 138-139. Tende invece a ridimensionare la portata dell’accordo tra Argo e Atene KELLY, Argive Foreign Policy, p. 98. 170

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dunque pensare che quest’ultima, nonostante le minacce interne alle quali si accennava, abbia mantenuto un governo democratico: ad esempio, è noto che nel 411 gli Argivi sostennero i democratici durante il colpo di stato ateniese dei Quattrocento (Thuc. VIII 86, 8-9). Infine, qualche rilievo sull’organizzazione militare di Argo dopo il 417. Tucidide informa che nel 415 Argo partecipò alla spedizione in Sicilia con un contingente di cinquecento uomini (VI 43); tre anni dopo, gli Argivi combatterono a Mileto a fianco di Atene con millecinquecento uomini, a cinquecento dei quali gli Ateniesi avevano fornito l’equipaggiamento da  (VI 25, 1). In primo luogo, è evidente il permanere della base cinque nell’organizzazione militare cittadina: per questo elemento dunque la democrazia restaurata si pone in stretta continuità con il periodo precedente, per il quale era documentata la suddivisione in cinque  (V 72, 4). Inoltre, non compaiono più accenni al discusso corpo dei mille: è vero che nel secondo caso il nucleo più significativo del contingente ammonta a mille unità, perché i restanti cinquecento uomini ricevono l’equipaggiamento da Atene, tuttavia mi pare che si tratti di un indizio troppo labile per dedurne una sopravvivenza del corpo dei mille. Piuttosto, mi pare preferibile ritenere che esso sia stato soppresso dopo la restaurazione democratica, dal momento che probabilmente molti dei suoi membri si erano compromessi con l’oligarchia.

5. Conclusioni In base all’indagine proposta, si è tentato di delineare un’evoluzione delle istituzioni e del regime politico di Argo, seguendo in parallelo le tappe principali della storia politica e sociale della città. Nel corso del VI secolo si è assistito a una progressiva e sotto diversi aspetti difficile da ricostruire transizione da un sistema su base monarchica a uno su base aristocratica: la figura del   probabilmente non venne soppressa, ma fu connotata in modo profondamente diverso; la magistratura principale sembra esser stata la damiurgia174. Il momento di svolta successivo va indi174

Prescindo da considerazioni sulla tirannide, sia perché la figura storica di Fidone

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viduato nelle conseguenze della sconfitta di Sepia e nell’allargamento del corpo civico che questa comportò175. Il decennio che sembra particolarmente decisivo per l’assestamento del nuovo regime è quello tra il 480 e il 470: in questo periodo sono attestati per la prima volta quattro ieromnemoni all’Heraion di Argo, cosa che ha fatto pensare all’introduzione di una quarta tribù per i neo immessi nella cittadinanza; inoltre, a questi anni risalgono le prime attestazioni sia epigrafiche, sia letterarie sulla boulé e sull’assemblea argiva. È assai probabile che sulla nuova suddivisione tribale, conseguenza dei mutamenti in seno alla cittadinanza nello scenario venutosi a creare dopo la battaglia di Sepia, col trascorrer del tempo sia stato rimodellato ad opera del corpo civico rinnovato un sistema istituzionale di stampo democratico. È noto che negli anni terminali di questo decennio si deve collocare la presenza nel Peloponneso di Temistocle, la quale ebbe probabilmente un ruolo catalizzatore nei confronti della democrazia argiva, che in quel periodo stava muovendo i suoi primi passi; sembra anche di poter stabilire una certa concomitanza tra la sua fuga dal Peloponneso e l’epurazione della cittadinanza, voluta dalla componente di «sangue puro». Questa operazione, tuttavia, non dovette apportare modifiche radicali nel regime politico di Argo, che di lì a pochi anni strinse la nota alleanza con Atene e i Tessali. Probabilmente al 451, l’anno in cui Atene concluse con Sparta una tregua quinquennale (Thuc. I 112, 1), si deve datare il passaggio di Argo nella sfera di Sparta, in seguito all’alleanza trentennale a cui si allude in Thuc. V 14, 4176: non è noto se questo riallineamento in politica estera abbia comportato mutamenti nelle istituzioni cittadine; tuttavia, quanto attestato per il periodo successivo alla pace di Nicia depone a favore di un regime che si può definire democratico e che come tale era classificato dai contemporanei. La fratpresenta le ben note difficoltà di collocazione cronologica (cfr. supra, n. 2), sia perché le scarne notizie in nostro possesso non consentono di inserire con chiarezza la figura di Perilao (cfr. supra, n. 27) nell’evoluzione del regime politico di Argo. 175 Come osserva PIÉRART, L’attitude d’Argos, p. 340, Platone nella Politica (1303a4-7), parlando di    che avvengono  , assimila l’allargamento della cittadinanza ad Argo avvenuta in seguito alla battaglia di Sepia con il caso di Taranto che, dopo le guerre persiane, divenne una  in seguito al fatto che molti  erano stati uccisi dagli Iapigi. 176 Per i problemi cronologici, cfr. BEARZOT, Argo nel V secolo, p. 120 e n. 59.

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tura del 417 è soltanto uno dei momenti in cui la componente oligarchica e filospartana raggiunge la massima capacità di influenzare la vita politica cittadina, fino al punto di determinare un rivolgimento politico; tuttavia, anche negli anni precedenti e successivi diversi indizi dipingono tale componente come vitale e attiva. Quanto agli aspetti più propriamente istituzionali, anche per il periodo sul quale la documentazione è più ampia, cioè la seconda metà del V secolo, e per il quale è comunemente attribuita dagli antichi la qualifica di democrazia al regime politico di Argo177, le informazioni non sono complete. Per l’, non è noto se fossero stabiliti requisiti di accesso: tuttavia la sua tendenza democratica, che pare possibile ricostruire dalle fonti esaminate, induce forse a ipotizzare che essa fosse aperta a tutti i cittadini maschi adulti178. Essa era guidata da un presidente, probabilmente secondo un meccanismo a rotazione tribale; fu grazie ad essa che gli individui immessi nella cittadinanza dopo Sepia riuscirono a modificare la configurazione del regime cittadino. Non è noto quali caratteristiche essa avesse nelle epoche precedenti, né, a rigore, quando sia nata e nemmeno con quale cadenza si riunisse179: tuttavia, è probabile che la sua rilevanza sia andata progressivamente aumentando nel corso del V secolo; soprattutto per il periodo successivo al 421 le testimonianze documentano per essa un ruolo particolarmente ampio. Per la boulé, consiglio forse di durata annuale, guidato dal medesimo presidente dell’assemblea, il meccanismo rappresentativo si basava sull’appartenenza tribale, ma permangono gravi dubbi sia sulla composizione e sulle modalità di accesso, sia sul rapporto con l’assemblea. Quanto al primo aspetto, il problema del rapporto con gli Ottanta complica la questione, anche se comunque un principio di rappresentanza tribale pare probabile: l’orientamento aristoCfr. par. 4.5. Così anche RUZÉ, Déliberation, p. 249. Contra, TOMLINSON, Argos, p. 193 pensa invece che avessero accesso all’assemblea soltanto coloro che possedevano un censo sufficiente per mantenere l’armatura oplitica. 179 A partire dal IV secolo, siamo in possesso di informazioni, soprattutto di provenienza epigrafica, più precise, che ci consentono di individuare diversi tipi di assemblea e di ipotizzare una cadenza mediamente mensile. Cfr. soprattutto: RUZÉ, Déliberation, pp. 245-266; RHODES-LEWIS, The Decrees, p. 504; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 303.

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cratico che alla vigilia della seconda guerra persiana sembra caratterizzare la boulé potrebbe concordare con l’esistenza di requisiti di età e forse anche di censo per l’accesso, ma in mancanza di prove è necessaria una certa cautela180. Quanto al secondo aspetto, non è chiaro se essa rivestisse un ruolo probouleumatico, poiché la documentazione epigrafica, che pure preserva per la metà del V secolo decreti i cui testi sembrano rimandare a un regime sostanzialmente democratico, non fornisce sufficienti indicazioni in merito181. Sulle magistrature insistono i medesimi problemi: per valutare il grado di democrazia raggiunto dal regime politico argivo sarebbe utile conoscere se fossero richiesti un’età minima o requisiti di censo, se esistessero retribuzioni per le cariche e in base a quali meccanismi avvenisse la designazione182. Nella seconda metà del V secolo le magistrature principali sembrano essere stati gli Ottanta, gli artini, il  e gli strateghi, anche se le iscrizioni riportano anche i nomi di altri magistrati di natura finanziaria o religiosa: per alcune cariche è possibile ipotizzare una rappresentanza tribale (ad esempio, per gli Ottanta e per gli ieromnemoni), per altre sembra più difficile (ad esempio, gli strateghi). Non mi pare si possa sostenere con sicurezza che il regime politico di Argo amplificasse particolarmente il raggio d’azione dei magistrati, almeno per il periodo su cui siamo più documentati, durante il quale vi sono parecchie testimonianze sulla necessità di ottenere la ratifica assembleare da parte di commissioni o magistrature, compresa quella degli strateghi183. Inoltre, qualora si voglia ascrivere ad Argo l’epigrafe in cui compare il verbo 184, l’esistenza di una procedura rendicontale testimonie180

Sul problema, cfr. già supra, par. 3.1 con n. 46 e par. 3.3 con n. 109.

Sull’eventuale ruolo probouleumatico della boulé, cfr. supra, par. 3.1 con n. 42 e par. 3.3 con n. 86. Sul testo dei decreti, è stato osservato (RHODES-LEWIS, The Decrees, p. 551) che lo stile richiama da vicino quello ateniese, anche se la terminologia impiegata è diversa.

181

182 Cfr. anche LEPPIN, Argos, p. 310, che sottolinea l’assenza di attestazioni sia sul ricorso al sorteggio o all’elezione, sia sull’esistenza di una retribuzione per le magistrature. 183 Di opinione opposta è LEPPIN, Argos, pp. 307, 311 (cfr. anche supra, n. 109, e infra, n. 191). 184

VAN EFFENTERRE - RUZÉ, Nomima, nr. 107 pp. 380-383 (cfr. supra, par. 3.2.b).

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rebbe una posizione subordinata dei magistrati rispetto al potere sovrano dell’assemblea185. Politicamente, diversi episodi narrati nel quinto libro di Tucidide sembrano far pensare a una non assoluta fedeltà degli strateghi ai meccanismi decisionali della democrazia: da ciò si potrebbe dedurre una designazione per elezione di questa magistratura e l’esistenza di restrizioni di qualche natura (censo, età) nell’elettorato attivo e passivo. Tale ipotesi può essere messa a confronto con l’ambigua affermazione in Her. VII 149, 1 dei buleuti argivi dopo il congresso dell’Istmo del 481, che ha indotto a ipotizzare una supremazia aristocratica all’interno della boulé. In verità, più di cinquant’anni separano i due contesti; tuttavia, poiché molti dettagli ci sfuggono, non si può escludere che sotto alcuni aspetti la democrazia argiva si differenziasse da quella ateniese. Altri aspetti, invece, sembrano accomunare Argo e Atene. Tra quanto già osservato, ricordo solo due elementi: il fatto che ad Argo nel 417, come ad Atene nel caso dei due colpi di stato della fine del V secolo, la democrazia venne scardinata facendo leva sulle istituzioni cittadine e in particolare di quelle di carattere assembleare186; e soprattutto il fatto che all’inizio del V secolo ad Argo la spinta verso la democratizzazione deve essere nata con una riforma territoriale e della cittadinanza per certi aspetti analoga a quella promossa da Clistene in Atene sullo scorcio del secolo precedente187. A queste e alle altre considerazioni già in precedenza allegate, si aggiunga il fatto che gli Argivi erano ritenuti ; inoltre, da Aristotele sappiamo che essi praticavano l’ostracismo; e ancora, un’iscrizione datata al V secolo testimonia che accanto ai cittadini esisteva anche una componente metecica188. 185 PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 308 osserva che questo dato non autorizza di per sé a definire democratico il regime di Argo: pur condividendo tale considerazione, mi pare che comunque la notizia dell’esistenza di una procedura rendicontale permetterebbe di comprendere meglio la natura del regime politico cittadino, nei suoi rapporti tra le magistrature e l’assemblea popolare. 186 Cfr. i verbi  (Thuc. V 76, 3) e  (Thuc. V 80, 1) impiegati per la descrizione delle fasi preparatorie del colpo di stato. Sullo scardinamento della democrazia dall’interno delle sue stesse istituzioni, si veda ancor più palesemente per il caso ateniese BEARZOT, Gruppi di opposizione, pp. 265-307 (soprattutto 266, 272, 280, 282, 306). 187 La contiguità con la riforma clistenica è notata anche da PIÉRART, L’attitude d’Argos, p. 333. 188 Per la prima notizia, Hesych., s.v.   (A7017; Latte, I, p. 272); cfr.

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A conclusione di questo breve profilo storico-istituzionale, rimane da rispondere a due interrogativi: in quale momento è possibile collocare la nascita della democrazia di Argo e in che modo è possibile caratterizzarla, cogliendone le differenze con quella ateniese. Sulla prima questione, le risposte dei moderni sono state differenti: c’è chi ha insistito sugli anni intorno al 490 e chi ha preferito individuare una data più bassa189. Tuttavia, le due interpretazioni non sono di per sé contrastanti: la prima mette in risalto il momento cruciale dell’introduzione della quarta tribù e della revisione della cittadinanza, che molto probabilmente diede l’avvio a una gestione più ampia e partecipata della vita pubblica; la seconda, invece, preferisce sottolineare il momento in cui la riforma democratica può dirsi conclusa e il nuovo regime pienamente attuato. Personalmente, ritengo che da un lato sia da valorizzare l’importanza dello scenario successivo a Sepia e dall’altro non si possa scendere molto al di sotto del decennio 480-470 per considerare attuata la riforma democratica, perché proprio a quel periodo risalgono le prime attestazioni letterarie ed epigrafiche di istituzioni quali la boulé e l’assemblea. Naturalmente l’esistenza di queste ultime, che a rigore non può essere esclusa per il periodo precedente, non è di per sé sufficiente né per qualificare come democratico il nuovo regime politico cittadino, né per escludere che le famiglie di antico lignaggio abbiano continuato a rivestire una certa influenza sulla vita pubblica, trovandosi all’interno dei due organi deliberativi in una posizione di particolare autorevolezza e occupando posti di rilievo nelle magistrature (come dovette avvenire soprattutto a circa un Pausan. Attic. apud Eustath. in Hom. Il. II 559. Per la seconda, Aristot. Pol. 130b18. Per la terza, l’iscrizione Inv. E 86 del catalogo del Museo di Argo (citata in PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, n. 7 p. 312), nella quale compare il termine  (dove  è evidentemente la forma dorica per : cfr. ad esempio V. PISANI, Manuale storico della lingua greca, Firenze 19732, p. 105); cfr. anche IG IV 615. 189 Tra i primi, ad esempio: GEHRKE, Stasis, pp. 24-26 (cfr. 361-363); VALDÉS GUÍA, La batalla de Sepea, pp. 101-114. Tra i secondi, ad esempio: PIÉRART, L’attitude d’Argos, p. 333 (cfr. ID., Argos. Une autre démocratie, p. 307), il quale colloca la riforma democratica nel decennio tra 470-460; ROBINSON, The First Democracies, p. 82, che colloca l’istituzione della democrazia ad Argo entro la rappresentazione delle Supplici di Eschilo, che egli (ibi, p. 86 e n. 82) data al 464/3 (cfr. però anche p. 88, dove afferma che fu lo scenario creatosi dopo la battaglia di Sepia a dare origine alla democrazia argiva del V secolo).

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trentennio di distanza dalla battaglia di Sepia, quando parte dei nuovi cittadini fu allontanata da Argo, ma anche in epoche molto più recenti); tuttavia, le prime attestazioni dell’attività della boulé e soprattutto dell’assemblea costituiscono pur sempre un importante indizio del cammino verso l’assestamento della democrazia, in modo particolare se si tiene conto dell’importanza che le fonti attribuiscono all’ per l’ultimo quarto del V secolo. In secondo luogo, ci si può domandare a questo punto quale sia il tratto che contraddistingue la democrazia argiva e che la differenzia da quella ateniese. Gli studiosi hanno avanzato diverse proposte interpretative. Secondo Tomlinson e Piérart, quella di Argo sarebbe una democrazia moderata190. Leppin, invece, sottolinea sia l’importanza del ruolo dei magistrati nella democrazia argiva, sia la caratterizzazione agraria e non navale della stessa191. Le due proposte, tra loro non molto distanti, mi sembrano almeno in parte condivisibili: è evidente che la democrazia argiva della seconda parte del V secolo è diversa da quella ateniese coeva, radicale e connotata dalla presenza della flotta e dei teti. Tuttavia, alcuni aspetti richiederebbero forse maggiore cautela. La prima proposta riposa soprattutto sull’ipotesi dei requisiti di censo per la partecipazione alla vita pubblica: però, ancorché in linea del tutto congetturale, mi pare che questi ultimi, plausibili per le magistrature e per la boulé, siano meno probabili nell’, che invece nella seconda metà del V secolo riveste un ruolo centrale. La seconda proposta insiste in modo, a mio parere, eccessivo sul ruolo dei magistrati argivi: come si è già sottolineato, il periodo sul quale la documentazione è più ampia, cioè l’ultimo quarto del secolo, insegna al contrario che questi ultimi, sebbene talora riottosi, erano sottoposti a stretto controllo da parte dell’. Dunque, quello che emerge, almeno per il periodo successivo alla pace di Nicia, è un carattere fortemente assembleare del regime politico argivo, sviluppatosi nel tempo forse anche in risposta ad alcuni tentativi da parte dei magistrati di agire con eccessiva auto-

TOMLINSON, Argos, p. 199; PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, p. 308. LEPPIN, Argos, pp. 307, 311 (sul ruolo dei magistrati, cfr. già supra, nn. 109 e 183). Cfr. anche PIÉRART-TOUCHAIS, Argos. Una ville grecque, p. 43, dove si parla dei contadini come componente principale della cittadinanza e dell’esercito argivo.

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nomia192. Tuttavia, queste considerazioni richiedono grande cautela per la documentazione frammentaria su cui si basano. In tale panorama di incertezza, è forse meglio spostare l’attenzione su un altro fattore come qualificante la democrazia argiva del periodo più maturo: la sostanziale instabilità193. Il caso eclatante del colpo di stato del 417 è infatti preceduto e seguito da ripetuti accenni nelle fonti che documentano la vivace attività di fazioni antidemocratiche: mi limito qui a ricordare il caso di Trasillo e il permanere in città di individui ‘sospetti’ anche dopo le epurazioni condotte dalla democrazia restaurata; tale clima di instabilità si protrae ben oltre la fine del secolo, come testimonia l’ambiguo episodio del cosiddetto scitalismo194. I motivi profondi di questa situazione vanno, a mio parere, cercati nella situazione sociale di Argo, nella quale ai problemi comuni derivanti dal diverso grado di stato economico-sociale dei cittadini doveva assommarsi la peculiarità della genesi del regime democratico: l’ampliamento della cittadinanza dopo Sepia con la introduzione di una nuova tribù costituisce un esperimento non pienamente riuscito proprio per il fatto che esso, anziché sanare conflitti sociali, come nel caso del rimescolamento avvenuto nell’Atene clistenica, origina una situazione di tensione tra vecchi cittadini e nuovi cittadini; tali attriti molto probabilmente andarono affievolendosi con il tempo, ma rimasero latenti nella frattura tra la fazione più aperta alla democrazia e ai vantaggi da questa arrecati da un lato e quella più conservatrice e incline a una gestione meno collegiale del potere dall’altro. Che il tempo abbia indebolito il ricordo dell’originario conflitto, peraltro ancora vivo un trentennio dopo Sepia, al momento della conquista di Tirinto, è dimostrato in modo palese dal fatto che gli antidemocratici del 417 non esitarono ad appoggiarsi apertamente a quegli Spartani che, avendoli gravemente sconfitti nel 494, avevano di fatto determinato la necessità dell’ampliamento della cittadinanza per far

E viceversa: è anche vero che talora i magistrati cercano di evitare il confronto con l’assemblea, evidentemente perché ne temono il potere e l’orientamento. Un accenno in questo senso si trova anche in RUZÉ, Déliberation, p. 244. 194 Sullo scitalismo, si veda in questo stesso volume il contributo di M. BERTOLI, Argo nel IV secolo: forza militare, debolezza politica, pp. 273-297.

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fronte ai rischi dell’oligantropia: tale apparente paradosso si spiega alla luce della polarizzazione della lotta politica cittadina tra democratici, che traevano la loro forza da un regime che può dirsi almeno per l’ultimo quarto del V secolo assembleare, e antidemocratici, che seppero inserirsi abilmente all’interno delle istituzioni democratiche. Questi ultimi, infatti, si collocarono in posti di rilievo, grazie un sistema istituzionale che forse, attraverso la probabile esistenza di requisiti di censo per l’accesso ai canali della vita politica diversi dalla semplice partecipazione all’assemblea popolare, favoriva tale possibilità, e dunque diedero vita a un’opposizione particolarmente efficace. La conseguenza di tale situazione, in un contesto sostanzialmente democratico, come riconosciuto dai contemporanei e dagli Argivi stessi, non poteva che essere un clima connotato da forti divisioni a livello sociale e politico, che determinò l’instabilità della democrazia argiva. ABSTRACT 1. Introduction. 2. The sixth century. 2.1 Literary evidence. 2.2 Epigraphical evidence. 2.3 According to Pausanias (II 19, 2), the king Meltas was deposed by the demos: however he was not the last king of Argos, as we have evidence about a basileus still in charge in the fifth century; it was just the end of the Temenid dynasty. Approximately in the same time, inscriptions attest a board of damiorgoi at Argos: probably, the Argive kings had lost their effective power and thus a transition occurred in the first half of the century from a monarchic rule to an aristocratic one. 3. The first three quarters of the fifth century. 3.1 Literary evidence. 3.2 Epigraphical evidence. 3.3 The introduction of the fourth tribe may be connected to the enlargement of the citizenship after the battle of Sepeia, providing the first step towards democracy. Although we know very little about democratic institutions, inscriptions often record resolutions of the council and particularly of the assembly. The ‘new citizens’ were partially thrown out of the city about 468 but this did not imply a change in the institutions: also as a consequence of mixed marriages between widows of the fallen at Sepeia and the ‘new citizens’, Argos was from that time on its way to democracy.

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4. The last quarter of the fifth century. 4.1 The Corinthian embassy to Argos after Nicias’ peace (Thuc. V 27-28). 4.2 Additional proofs of Thucydides’ inaccuracy about institutional matters (Thuc. V 37, 2-3); and about the importance of the Argive assembly (Thuc. V 40-41; 59,5; 60,6; 61, 1). 4.3 Alliance between Argos, Athens, Mantinea and Elis (Thuc. V 47, 9). 4.4 Military organization: the generals; the martial court; the five lochoi; the Thousand. 4.5 Evaluations of the Argive government (Thuc. V 29, 1; 31, 6; 44, 1). 4.6 The oligarchic revolution of 417. 4.7 The restoration of democracy and the last part of the fifth century. 5. Conclusion. The evidence we have about democratic institutions is not complete. Nor can we safely assess when democracy was born: Sepeia was definitely a turning point, but no evidence of democratic institutions can be traced before about 480. We can say something more about years between 421 and 417. At that time Argos was a democracy, possibly a moderate one. But what is clear is that Argive democracy was unstable, because of the persistence of a strong oligarchic faction, whose members were able to occupy important offices.

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Argo nel IV secolo: forza militare, debolezza politica

Contrariamente a quanto accade per il V secolo, le fonti a disposizione per uno studio dettagliato della storia della città di Argo nel IV sono alquanto scarse; sono essenzialmente Senofonte e Diodoro che forniscono il maggior numero di dati, ma pur nella loro accuratezza essi non sempre permettono di ottenere un quadro di insieme organico.

1. Argo, Tebe e la resistenza ateniese Un primo dato interessante in merito alla posizione di Argo a cavallo tra V e IV secolo proviene da due passi di Lisia e di Diodoro. La notizia si inserisce nel clima del periodo immediatamente successivo alla fine della guerra del Peloponneso: ad Atene sotto il governo dei Trenta numerose persone che si opponevano al nuovo ordine costituito o potevano in qualche modo essere una minaccia furono costrette a lasciare la città, alcuni in seguito a condanne esplicite generalmente formulate su false accuse, altri per autonoma decisione1; altri ancora, che in un primo momen-

Vi è da dire a questo proposito, come ricorda C. BEARZOT, Esilii, deportazioni, emigrazioni forzate in Atene sotto regimi non democratici, CISA 20 (1994), pp. 152-153 e nota 35, che gli esilii comminati, pur attestati (Lys. XII 21; Diod. XIV 32, 1), sembrano non costituire la maggioranza; pare che più facilmente gli oppositori del regime scegliessero volontariamente la via dell’esilio, anche per il fatto che più frequentemente i vari processi intentati su false accuse sfociavano in una condanna a morte, con conseguente e ben più vantaggiosa confisca dei beni, più che in una semplice condanna all’esilio. E. BALOGH, Political Refugees in Ancient Greece from the Period of the Tyrants to Alexander the Great, Johannesburg 1943, pp. 31-32 insiste sul motivo economico più che su quello politico-religioso nell’individuazione di una causa per gli esilii. Sulla reazione delle città greche all’estradizione si veda J. SEIBERT, Die Politischen Flüchtlinge und Verbannten in der Griechischen Geschichte, I, Darmstadt 1979, p. 93.

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to erano rimasti in città, si videro poi costretti a lasciarla per rifugiarsi prima nella chora e poi in un demo periferico come il Pireo. Era, questo dei trasferimenti forzati, uno dei metodi adottati dai Trenta, insieme alla condanna a morte e alla confisca dei beni, per ridurre o addirittura eliminare l’opposizione al proprio regime. Le notizie che si possono ricavare dai due passi di Lisia e Diodoro dimostrano che il ricorso all’eliminazione fisica di potenziali oppositori era, e si capisce il motivo, di gran lunga preferibile ad altre soluzioni. Lisia (XII 95-98) ricorda infatti la richiesta di estradizione rivolta dai Trenta alle città che ospitavano esuli. Diodoro (XIV 6) è forse più utile perché più particolareggiato. Lo storico siceliota fa menzione di un decreto emesso dalle autorità spartane e indirizzato a tutte le città della Grecia: in esso si imponeva di estradare e consegnare ai Trenta gli esuli ateniesi che si erano rifugiati nelle varie città, pena una multa di cinque talenti a chi avesse impedito di applicare l’ordinanza2. La formulazione di un decreto di questo tipo da parte di Sparta, che appoggia apertamente la politica dei Trenta, rivela la volontà dei tiranni di eliminare fisicamente i propri oppositori politici, preferendo questa via a quella dell’esilio3. Il dato della notizia diodorea che però qui interessa più da vicino è quello relativo alla reazione suscitata dal decreto spartano. Diodoro, infatti, ricorda che Argo e Tebe ignorarono tale decreto; in particolare, a proposito dei cittadini di Argo, si dice che essi, per primi (cosa che fa pensare che la loro reazione fu seguita da altre città), in odio alla crudeltà spartana, accolsero gli esuli con spirito di umanità4; i Tebani fecero lo stesso, decretando addirittura una multa per chi, potendo venire in soccorso a un esule, si rifiutasse di farlo5. Da questa noti       [...]                            («I Lacedemoni si rallegrarono di vedere umiliata la città di Atene [...] e manifestarono apertamente il loro atteggiamento»; Diod. XIV 6, 1). 3 Su ciò si veda ancora BEARZOT, Esilii, p. 154. 4                   («gli Argivi, che odiavano la crudeltà dei Lacedemoni e avevano pietà della sorte di quegli sventurati, accolsero per primi benevolmente gli esuli»; Diod. XIV 6, 2). 5           2

ARGO NEL IV SECOLO: FORZA MILITARE, DEBOLEZZA POLITICA

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zia si può ricavare quindi che Argo, accanto a Tebe e forse anche ad altre città della Grecia, costituiva uno dei luoghi verso cui si dirigevano gli esuli ateniesi sotto il governo dei Trenta: la loro scelta si indirizzava, considerata la loro opposizione al regime, verso città di orientamento almeno tendenzialmente filodemocratico e antispartano, non lontane da Atene in vista di un possibile prossimo rientro in città. La scelta di una città come Argo appare pertanto opportuna, dal momento che la sua tradizione filodemocratica e antispartana è ben nota, come è confermato anche dalle parole di Diodoro, che parla per questo di odio degli Argivi nei confronti degli Spartani e di spirito di umanità nei riguardi degli esuli ateniesi. La posizione di Argo nella questione degli esuli rivela piena continuità con la situazione successiva al 417, quando Atene aveva sostenuto coerentemente i democratici argivi contro la fazione oligarchica6. La notizia di Diodoro permette quindi di inquadrare, seppur in linea del tutto generica, l’orientamento della città di Argo all’alba del nuovo secolo, nel periodo immediatamente successivo alla guerra del Peloponneso: tendenzialmente filodemocratica e convinta antispartana, meta di quanti si opponevano al duro regime instaurato dai Trenta ad Atene.

2. Lo scoppio della guerra di Corinto All’inizio del IV secolo Argo partecipa alla cosiddetta ‘guerra di Corinto’. Non entro nei particolari delle vicende, peraltro note, della guerra7; in questa sede interessa verificare la presenza della        («Anche i Tebani stabilirono con un decreto il pagamento di una multa per chi, vedendo condurre via un esule, non avesse fatto il possibile per aiutarlo»; Diod. XIV 6, 3). 6 Per questo aspetto rimando, in questo volume, a P.A. TUCI, Il regime politico di Argo e le sue istituzioni tra fine VI e fine V secolo: verso un’instabile democrazia, pp. 254-259, dove viene discussa la questione relativa al colpo di stato oligarchico del 417; esso costituisce una parentesi nella storia del regime politico argivo che, almeno dalla metà del V secolo, può dirsi sostanzialmente democratico. 7 A causa del malcontento dovuto all’aggressivo atteggiamento spartano negli anni successivi alla resa di Atene dopo la fine della guerra del Peloponneso, Corinto manifestò la propria volontà di opporsi a Sparta, trascinando con sè altre città tra cui Argo. Sulla guerra di Corinto si vedano I.A.F. BRUCE, Internal Politics and the Outbreak of the

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città di Argo e la misura con cui prese parte alle operazioni militari per capire quale peso ebbe nella coalizione per la quale si schierò. 2.1. Il ruolo di Argo nello scoppio della guerra Tra le cause che Senofonte ricorda a proposito della guerra di Corinto, vi è un episodio che riguarda anche la città di Argo; si tratta dell’oro che Timocrate, su iniziativa di Titrauste (satrapo della Lidia, successore di Tissaferne), consegnò in Grecia ad esponenti di spicco di alcune città con il fine di costringere Agesilao, occupato in Asia, a tornare in patria per far fronte alle minacce della neonata coalizione antispartana8. Senofonte narra questo episodio in Hell. III 5, 1-2: destinatari dell’oro di Timocrate furono alcuni personaggi in vista delle città di Tebe, Corinto e Argo; in particolare, per quanto riguarda Argo viene ricordato il nome di un certo Cilone, sulla cui identità è difficile avanzare ipotesi. Anche Pausania (III 9, 8-11) ricorda questo episodio dimostrando di seguire il racconto di Senofonte: le varianti a tal proposito, infatti, non sono molte e, per quanto riguarda Argo, accanto al nome di Cilone viene ricordato anche quello di Sodama, per il quale, come già per Cilone, è complicato giungere a una precisa identificazione. Considerando gli altri nomi menzionati (Androcleide, Ismenia e Galassidoro/Anfitemide per Tebe; Timolao e Poliante per Corinto; Epicrate e Cefalo per Atene, che però compaiono solo in Pausania, mentre Senofonte precisa che gli Ateniesi non ricevettero nulla), è facile pensare che, trattandosi di esponenti di parte democratica (benché non tutti possano definirsi tali), anche gli Argivi nominati, su cui nulla è dato sapere, potrebbero appartenere alla stessa area politica. Corinthian War, «Emerita», 28 (1960), pp. 75-86; D. KAGAN, The Economic Origins of the Corinthian War (395-387 B.C.), PP, 16 (1961), pp. 321-41; S. PERLMAN, The Causes and the Outbreak of the Corinthian War, CQ, 14 (1964), pp. 64-81; C.D. HAMILTON, The Politics of Revolution in Corinth, 395-386 B.C., «Historia», 21 (1972), pp. 21-37. 8 Come precisa P. KRENTZ (ed.), Xenophon. Hellenika II 3, 11 – IV 2, 8, Warminster 1995, p. 194 sarebbe un errore la critica mossa a Senofonte da A. ANDREWES, Two Notes on Lysander, «Phoenix», 25 (1971), pp. 206-226, secondo la quale l’autore delle Elleniche avrebbe ascritto lo scoppio della guerra di Corinto unicamente alla corruzione di Titrauste; in realtà, precisa Krentz, Senofonte compie un’analisi di più ampio raggio, come dimostra il discorso tenuto dai Tebani in III 5, 8-15.

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Anche l’Anonimo di Ossirico si sofferma su questo episodio (Hell. Oxy. VII [II]), ma sembra non conoscere, o comunque non la mette in primo piano, la responsabilità di Titrauste nell’invio di Timocrate9. La versione di Pausania sembra in ogni caso di ispirazione senofontea, pur con qualche correttivo o aggiunta, che possono essere o frutto di un intervento personale oppure dovuti a collazione con altre fonti (Eforo, Teopompo o l’Anonimo di Ossirinco)10. La città di Argo compare quindi a pieno titolo sin dall’inizio nella coalizione antispartana. 2.2. Il peso della partecipazione di Argo alla coalizione In Diodoro le vicende relative alla guerra di Corinto sono narrate in XIV 81-84, 2: gli Argivi vengono ricordati a proposito dell’alleanza stretta con i Beoti, gli Ateniesi e i Corinzi, ma poi, nel corso della narrazione, che peraltro non appare ricchissima di particolari, non vengono più ricordati. Più interessante, invece, appare il racconto che ne fa Senofonte nelle Elleniche in IV 2, 1423 e 3, 15-21: esso appare molto più ricco di dettagli e trovano ampio spazio le descrizioni delle battaglie di Nemea prima e di Coronea poi (394), con le quali gli Spartani sconfissero, grazie anche al richiamo delle truppe di Agesilao dall’Asia, la coalizione nemica di cui Argo faceva parte. Senofonte ricorda la presenza di Argo in entrambe le battaglie a fianco di Ateniesi, Corinzi e Beoti, ma prima di entrare nei dettagli di come si svolsero queste due battaglie dedica un passo all’elenco degli effettivi schierati dalle due parti: in IV 2, 16 vengono elencate le forze della coalizione spartana (la sola Sparta fornì circa seimila opliti e seicento cavalieri); in IV 2, 17 quelle nemiche e, in particolare, vengono ricor9 Quest’ultimo dato pare in ogni caso in linea con lo spirito dell’autore delle Elleniche di Ossirinco, che tende a enfatizzare il ruolo di Farnabazo. Per la missione di Timocrate e, in generale, il periodo della guerra di Corinto nelle Elleniche di Ossirinco rimando a I.A.F. BRUCE, An Historical Commentary on the ‘Hellenica Oxyrhynchia’, Cambridge 1967, pp. 56-61 e 117-126; G. BONAMENTE, Studio sulle Elleniche di Ossirinco. Saggio sulla storiografia della prima metà del IV secolo a.C., Perugia 1973, pp. 59-74 e 103-120. 10 Cfr. PAUSANIA, Guida della Grecia. Libro III. La Laconia (testo e traduzione di D. MUSTI; commento a cura di D. MUSTI e M. TORELLI), Milano 1991, pp. 186-187, che osserva anche come la vicinanza di Pausania all’Anonimo sia confermata dall’attribuzione ai Locresi occidentali delle responsabilità degli scontri di confine che portarono all’effettivo scoppio della guerra di Corinto (cfr. Hell. Oxy. XVIII [XIII]).

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dati seimila opliti ateniesi, settemila Argivi, circa cinquemila Beoti (mancavano le truppe di Orcomeno), tremila Corinzi e non meno di tremila da tutta l’Eubea. È interessante notare che il numero dei soldati argivi, oltre ad essere decisamente cospicuo, è il più alto rispetto a tutti gli altri, superando anche quello degli stessi Spartani nella coalizione nemica. Inoltre, da un computo generale si ricava che la coalizione spartana raccoglie in totale circa quindicimila unità, quella nemica circa venticinquemila, di cui quasi il trenta per cento di soli Argivi11. Questo dato numerico, in sé apparentemente insignificante, può forse permettere di riflettere sull’importanza del potenziale militare degli Argivi: all’inizio del IV secolo essi costituiscono, come sembra, un serbatoio da cui attingere forze militari se, come appare da Senofonte, all’interno della coalizione che combatte contro Sparta nel 394, essi detengono il primato quanto a effettivi militari. Nella stessa unione Argo-Corinto del 393 si manifestò una prevalenza degli Argivi, dovuta principalmente a motivi militari12. La potenzialità della forza militare argiva all’inizio del IV secolo dovette essere considerata come una reale minaccia se si considera che, come risulta dalle fonti antiche, a più riprese negli anni successivi all’unione di Argo con Corinto l’esercito spartano condusse alcune spedizioni in territorio argivo; inoltre, l’unione delle due città costituiva per Sparta una forma di isolamento che le impediva un facile accesso al resto della Grecia. Senofonte

Tale superiorità numerica si fa sentire soprattutto nella fase iniziale della battaglia di Nemea: in IV 2, 14 Senofonte dice che gli Spartani si trovavano in difficoltà; anche se poi l’esito sarà ribaltato, questo dato conferma che la coalizione di cui Argo faceva parte aveva un buon potenziale se, come dice Senofonte, riesce a condizionare le prime fasi della battaglia al punto da mettere in crisi le forze spartane. Per quanto riguarda la battaglia di Coronea (IV 3, 15-21) Senofonte non è altrettanto preciso: non viene riportata alcuna cifra degli effettivi, cosa che ci si sarebbe aspettata in ragione dell’importanza della battaglia, «che non fu simile a nessun’altra della nostra epoca»; vengono citati invece solo i nomi dei popoli che fanno parte di ciascuno dei due schieramenti senza alcun dettaglio numerico. Questo può forse far pensare che l’entità dei due schieramenti fosse simile: l’unico riferimento che Senofonte fa è relativo ai peltasti, riguardo ai quali precisa che erano più numerosi quelli di Agesilao; i cavalieri invece erano di uguale entità. 12 Ho intenzionalmente tralasciato di affrontare il tema dell’unione Argo-Corinto, per il quale rimando all’intervento, in questo volume, di M. SORDI, Atene e l’unione fra Argo e Corinto. 11

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menziona a questo proposito tre spedizioni. Nel 392 Agesilao guida una spedizione contro gli Argivi. In realtà secondo il progetto iniziale intendeva marciare contro il Pireo, un promontorio tra Corinto ed Egostena, dove si diceva che i Corinzi della città tenessero al sicuro tutti gli armenti per poter così sostenersi senza problemi in caso di attacco da parte di Sparta. Prima però di raggiungere il Pireo, fermatosi all’Istmo, dove gli Argivi erano riuniti per offrire sacrifici a Posidone in occasione delle Istmie, Agesilao dovette pensare di attaccarli se, come riferisce Senofonte in IV 5, 1-2, appena essi vennero a sapere che il re spartano stava per avvicinarsi si rifugiarono dentro la città13. In questo caso, quindi, non vi fu un vero e proprio attacco, ma il timore dimostrato dagli Argivi, che abbandonarono le vittime già consacrate e i banchetti per sfuggire ad Agesilao, fa riflettere sulle reali intenzioni spartane. In IV 4, 19, sotto il 391, ricorda un’altra spedizione con a capo Agesilao: «Gli Spartani – dice Senofonte – resisi conto che gli Argivi, potendo raccogliere i prodotti della loro terra, non pativano le conseguenze della guerra, compirono una spedizione contro di loro». Questa spedizione, promossa e condotta da Agesilao, nacque, come dice chiaramente Senofonte, con il proposito di «disturbare» gli Argivi, che dagli scontri fin qui sostenuti a fianco della coalizione antispartana non avevano subito grandi danni, al punto che potevano tranquillamente godere dei frutti del loro territorio. Resosi conto di questo, Agesilao ritenne opportuno condurre una spedizione contro i loro territori e, solo dopo averli saccheggiati, si diresse verso Corinto con l’intenzione di impadronirsi delle mura della città. Senofonte non dà largo spazio a questa spedizione, forse anche per il fatto che nella logica dei fronti contrapposti tali scontri risultavano ovvi, ma è interessante notare, in base alle motivazioni portate dallo storico per giustificare l’iniziativa spartana, che Sparta, che pure si trovava in una posizione privilegiata e di comando in questi anni, comunque temesse la potenza argivo-corinzia, come dimostra l’attacco diretto contro i suoi territori. I moderni generalmente collocano le Istmie ripetute nel 390, ma, come ha dimostrato la Sordi nell’intervento Atene e l’unione fra Argo e Corinto in questo stesso volume, esse possono essere anticipate al 392.

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L’ultima spedizione, che Senofonte ricorda in IV 7, 2-7, sotto il 388, è forse la più significativa14. Lo storico ateniese riferisce dell’intenzione degli Spartani di intraprendere una spedizione contro Ateniesi e Beoti, considerando però il rischio ad essa connesso se non si fosse prima provveduto a neutralizzare «una città nemica e importante come Argo» (   ) e che si trovava proprio ai confini con Sparta. Da qui l’esigenza di decretare una mobilitazione contro la città, sotto la guida di Agesipoli. La narrazione di Senofonte si dilata molto sui particolari precedenti l’avvio della spedizione e relativi alle consultazioni oracolari di Agesipoli prima a Olimpia e poi a Delfi per sapere se fosse opportuno intraprendere quella spedizione, ignorando la richiesta degli Argivi che avevano addotto il pretesto di una tregua sacra. Entrambi gli oracoli diedero il medesimo responso, che cioè la spedizione sarebbe stata legittima, in quanto la tregua era stata chiesta quando gli Spartani avevano già invaso il territorio argivo e pertanto risultava pretestuosa. Agesipoli allora prese il comando dell’esercito radunato nel frattempo nei pressi di Nemea e penetrò in territorio nemico. Gli Argivi, che ormai non potevano più impedire l’invasione, chiesero una nuova tregua, che però il re spartano rifiutò motivando il suo rifiuto con la giustificazione che anche gli dei non ritenevano validi i motivi da loro addotti. Così invase il territorio «provocando gravi difficoltà e sgomento non solo nelle campagne, ma anche nella città» (ibi, 7, 4). La sera stessa in cui era avvenuto il passaggio in territorio nemico, ma quando ancora non era avvenuta alcuna devastazione del territorio, si verificò un forte terremoto, che venne letto dalla maggior parte delle truppe spartane come un monito divino e fu suggerito di lasciare il campo e tornare in patria; Agesipoli però li persuase a rimanere, convincendoli che in realtà il terremoto non fosse altro che un segno di incitamento a proseguire dal momento che essi avevano già dato inizio alla devastazione e dunque non vi era nulla da rimproverare a loro da parte del dio Anche Diod. XIV 97, 5 ricorda cursoriamente una spedizione spartana in territorio argivo, ma sembra far confusione con quelle precedenti di Agesilao: nel passo citato infatti riporta sotto la guida di Agesilao, nel 391/90, il racconto di una spedizione che per la descrizione, seppur sommaria, che viene data sembra assomigliare a quella che Senofonte attribuisce ad Agesipoli nel 388. In ogni caso non fornisce particolari ulteriori rispetto a quelli già in nostro possesso.

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fino a quel momento. La spedizione proseguì secondo il piano del re spartano, che si spinse fin sotto le mura della città, in aperta competizione, come sottolinea Senofonte, con le precedenti incursioni di Agesilao (ibi, 7, 5)15. Infine, in seguito a una serie di sacrifici che ritenne avversi, decise di abbandonare il paese e di congedare l’esercito. È significativa la continua insistenza sul tema del divino che sostiene gli Spartani, ma è interessante notare che nonostante l’insistenza su questo aspetto, che in parte potrebbe derivare dalla fonte utilizzata, gli Argivi non vengono mai sconfitti definitivamente; le incursioni e gli attacchi spartani sembrano mirare solo a indebolire le loro potenzialità. La serie di spedizioni conferma inoltre, proprio sulla scorta anche di quest’ultima osservazione, che anche se Argo forse non poteva da sola essere considerata una grande potenza militare, sebbene gli effettivi che forniva fossero, come si è visto, cospicui, certamente costituì sempre un pericolo e una minaccia per Sparta, viste le frequenti incursioni nei suoi territori; l’unione con Corinto, inoltre, la rendeva pericolosa perché impediva il passaggio attraverso l’Istmo. Per quanto riguarda gli anni immediatamente precedenti la pace di Antalcida (386) mi limito a segnalare, sulla base del racconto senofonteo, la presenza di Argo, come alleata di Atene, di Corinto e della Beozia, alla serie di trattative intavolate già dal 392 che portarono alla stipula della pace. Tale pace portò, come è noto, allo scioglimento di tutte le leghe create in precedenza, compresa l’unione tra Argo e Corinto: inizialmente Argo mantenne, come racconta Senofonte in V 1, 34-36, una propria guarnigione sul territorio corinzio, ma prontamente gli Spartani intervennero, intimando agli Argivi che se non avessero smobilitato in tempi ragionevoli il presidio essi sarebbero stati costretti ad intervenire. Ma Argo seguì i dettami della pace e Corinto riacquistò la propria autonomia.

Sulla rivalità tra Agesilao e Agesipoli, cfr. C. BEARZOT, Spartani ‘ideali’ e Spartani ‘anomali’ in C. BEARZOT - F. LANDUCCI (a cura di), Contro le ‘leggi immutabili’. Gli Spartani fra tradizione e innovazione, Milano 2004, pp. 25-30. In generale sui due generali cfr. D.G. RICE, Agesilaus, Agesipolis and Spartan Politics, 386-379 B.C., «Historia» 23 (1974), pp. 164-82.

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3. Argo dopo il 386 È possibile che proprio a cominciare da questi anni Argo, a motivo anche delle conseguenze che su di essa ebbe la pace del Re, abbia vissuto momenti di difficoltà, se è corretto, nella generale modestia delle fonti, l’accenno che Senofonte fa in V 3, 27 quando parla per questi anni di umiliazione per Argo e di egemonia consolidata per Sparta. Questa visione sembra corrispondere a quella disegnata da Diodoro che in XV 23, 4, presentando la situazione della Grecia sotto il 380/79, parla di Corinto e di Argo come di «città ancora umiliate dalle precedenti guerre», mentre Sparta era al culmine della propria potenza, egemone sia sul mare che sulla terra e perciò rispettata dalle più grandi dinastie del tempo, il re di Persia e Dionisio di Sicilia. 3.1. La guerra civile del 370/69 Circa una decina di anni dopo i fatti ricordati, si verificò per la città di Argo un episodio piuttosto significativo, che divenne poi famoso con il nome di «scitalismo», dal termine skytale («bastone») con il quale avvennero le esecuzioni dei presunti colpevoli. Fonti per questo episodio sono Diodoro, Plutarco e Dionigi di Alicarnasso e, da considerare separatamente rispetto agli altri, Enea Tattico16. Il racconto più dettagliato e che offre maggiori informazioni è quello di Diodoro: in XV 57, 3-58, 4 lo storico siceliota racconta, sotto il 370/69, che Argo fu teatro di una rivolta a cui seguì una strage tanto sanguinosa che rimase a lungo impressa nella memoria dei Greci e difficilmente se ne sarebbe potuta ricordare un’altra simile. Diodoro prosegue spiegando i motivi per cui la rivolta scoppiò: la città era retta in quel momento da un governo democratico (    ), ma vi erano alcuni demagoghi che incitavano il popolo contro i personaggi più ricchi e più illustri. Questo provocò una reazione in alcuni di essi, che quindi si coalizzarono con l’intenzione di abbattere la democrazia (   ). Il complotto non durò a lungo e alcuni di quelli che erano stati sospettati di farne 16

Diod. XV 57, 3-58, 4; Plut. Mor. 814b; Dion. Halic. VII 66, 5; Aen. Tact. XI 7-10.

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parte furono torturati, altri, temendo la tortura, si suicidarono; uno di essi, sotto tortura ed essendogli stata promessa l’impunità, decise di confessare accusando trenta fra i cittadini più insigni. Il popolo, sulla base delle accuse formulate da costui, senza procedere con ulteriori accertamenti, condannò a morte tutti gli accusati e ne confiscò i beni (                ). Poiché i demagoghi continuavano a lanciare accuse e sospetti nei confronti di altri personaggi, il popolo, esasperato, condannò a morte altri uomini fra i più ricchi: in totale sembra furono uccise più di milleduecento persone influenti e alla fine non vennero risparmiati nemmeno i demagoghi, anche una volta smessa l’attività delatoria (                 ). Diodoro stesso sottolinea la gravità della situazione (     ) e conclude con un giudizio sui demagoghi giustiziati, che meritarono una punizione di tal genere come se si fosse trattato di una vendetta divina; dopo questi fatti «il popolo depose l’ira e tornò alla ragione» (          ). Vi sono altre fonti in cui l’episodio dello scitalismo viene considerato, ma solo in modo cursorio. Plutarco (Mor. 814b) si limita a ricordare che con lo scitalismo «gli Argivi uccisero millecinquecento tra i propri coincittadini» (       ) e ordinarono per questo un sacrificio purificatore intorno all’assemblea. Dionigi di Alicarnasso si limita a un brevissimo cenno quando ricorda, genericamente, una  verificatasi presso gli Argivi (VII 66, 5). Fino a questo punto, come si è potuto vedere, la fonte base è costituita dal racconto diodoreo: gli altri resoconti non forniscono elementi di novità rispetto a quello dello storico siceliota, tranne che per quanto riguarda la cifra delle vittime della strage. Anche solo partendo da questo dato, si può ricavare che fu una ribellione di grandi dimensioni, come del resto lo stesso Diodoro sottolinea in due occasioni (57, 3 e 58, 4), affermando che si trattò di una rivolta senza precedenti che rimase a lungo nella memoria dei Greci. Il numero delle persone giustiziate è lì a dimostrarlo: lo storico di Sicilia parla di più di milleduecento persone ucci-

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se; la cifra non dovette essere molto lontana da quel che accadde nella realtà dal momento che anche Plutarco (814b) ricorda circa millecinquecento vittime17. Benchè il testo di Diodoro sia parzialmente corrotto, credo non si possa negare che in ogni caso si ha a che fare con cifre di grande entità e, pertanto, dovette trattarsi di una strage dalle dimensioni notevoli. Il racconto di Diodoro si sofferma in modo particolare sulla crudezza con cui il popolo, in preda all’ira provocata dai demagoghi, si lasciò andare nell’esecuzione delle condanne a morte, che avvennero tutte senza regolari processi solo sulla base di false accuse. È pur vero che la rivolta vera e propria ebbe origine da un complotto che alcuni fra i personaggi più potenti dell’aristocrazia organizzarono, ma ciò avvenne solo in risposta all’atteggiamento aggressivo della fazione democratica nei loro confronti. Diodoro insiste più volte sul ruolo giocato dai demagoghi in questa occasione, non tralascia di ricordare le loro condanne sommarie e, infine, li descrive vittime loro stessi della violenza del popolo inferocito che «meritatamente»,    , li giustiziò. L’episodio dimostra, quindi, che, pur essendo Argo una città retta da una democrazia, gli attriti fra il demos e gli aristocratici erano evidentemente ancora molto vivi e che probabilmente era ancora lontana dall’aver trovato una soluzione per un governo democratico stabile; ciò risulta ancora più facile pensarlo soprattutto in virtù dell’esito assai crudo in termini di vittime che la rivolta del 370 ebbe. La sensazione che si ricava dal racconto di Diodoro è senza dubbio quella di una situazione di disordine che a un certo punto si creò in seno al popolo, ma un dato sicuramente incontestabile è l’ostilità alla fazione democratica che traspare dalla fonte che Diodoro utilizzò per questo episodio: fu la violenza dei demagoghi che provocò il complotto degli oligarchici e la conseguente reazione18. 17 Il testo di Diodoro in realtà è corrotto; le edizioni critiche riportano due ricostruzioni possibili: la prima è appunto , l’altra . 18 Per la questione di Eforo come fonte base di Diodoro XI-XV rimando a E. CAVAIGNAC, Réflexions sur Éphore, in Mélanges G. Glotz I, Paris 1932, pp. 143-145; G.L. BARBER, The Historian Ephorus, Cambridge 1933, pp. 31-35; 125-27; 156; G. SCHEPENS, Historiographical Problems in Ephorus, in Historiographia Antiqua, Comm. in honorem W. Peremans, Leuven 1977, pp. 101-102. In generale sul problema delle fonti di Diodoro si veda D. AMBAGLIO, Diodoro Siculo, in R. VATTUONE (a cura di), Storici greci d’occidente,

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Da questa prospettiva risulta particolarmente interessante un passo di Enea Tattico: nell’XI libro dei suoi Poliorketikà (7-10) ricorda le misure prese ad Argo contro gli oppositori che, con l’aiuto di mercenari, per la seconda volta stavano tentando di rovesciare il governo democratico della città. Prima però che questi attaccassero, il   , intuito ciò che sarebbe accaduto, si guadagnò la collaborazione segreta di due avversari che lo informarono sui particolari del complotto. Costui poi convocò un’assemblea del popolo al quale ordinò di armarsi e di rimanere a disposizione se fosse stato necessario, ciascuno inquadrato nella propria tribù; evitò di riferire il motivo di tale emergenza per non mettere in subbuglio l’intera città (     ). Se qualcuno poi avesse deciso di non prepararsi come era stato ordinato o si fosse fatto trovare fuori posto, sarebbe stato trattato come un traditore (9). Il progetto che il  elaborò andò a buon fine: il complotto «venne ottimamente sventato, con intelligenza e senza alcun rischio» (         ; 10). Il confronto fra questo racconto e la versione diodorea dei fatti permette di rilevare alcune importanti differenze, che consentono di sollevare dubbi sul fatto che qui Enea faccia riferimento alla stasis del 370, come invece la maggior parte dei moderni ritiene. Entrambi descrivono eventi che si verificarono sotto un governo democratico, ma Enea parla di un solo  che ricopriva un ruolo influente, Diodoro fa riferimento invece a una serie di demogoghi. Inoltre, seguendo ancora Enea, il  cercò in ogni modo di sventare il tentativo di rovesciamento della democrazia, riuscendovi positivamente e avendo la massima cura affinché il popolo non venisse a conoscenza dei motivi reali della situazione di emergenza che si stava pianificando, Diodoro al contrario riferisce in modo preciso il numero di quanti furono giustiziati. Inoltre, in Enea Tattico la stasis non sembra originata, come invece accade in Diodoro, dalle provocazioni dei demagoghi, ma cresce spontaneamente in ambiente oligarchico. Infine, quello che in Enea rimane un tentativo di ribellione, sventato  dal , in Diodoro si consuma in una strage di uomini degna Bologna 2002, pp. 334-335 con bibliografia e M. SORDI, L’egemonia beotica in Diodoro, libro XV, in C. BEARZOT - F. LANDUCCI (a cura di), Diodoro e l’altra Grecia. Macedonia, Occidente, Ellenismo nella Biblioteca storica, Atti del convegno Milano, 15-16 gennaio 2004, Milano 2005, pp. 3-15.

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di essere ricordata per il numero elevato di persone uccise senza un regolare processo. Il quadro relativamente dubbio che nasce dall’evidenza di tali differenze è ulteriormente complicato dall’assenza nel passo di Enea di qualsiasi riferimento cronologico preciso. Il solo indizio per un’ipotesi in questo senso è costituito dall’affermazione secondo la quale «i ricchi stavano per mettere in atto il secondo tentativo per rovesciare il governo democratico con l’aiuto di un contingente di mercenari» (            ; XI 7). Per quanto riguarda le staseis di Argo, Tucidide in V 81-82 ricorda quella che avvenne nel 418/7; in VI 61, 2-3, nell’anno 415, ne ricorda un’altra, che trova riscontro nel racconto di Diodoro di XIII 5, 1. Il «secondo tentativo» di cui parla Enea dovrebbe quindi in teoria riferirsi all’episodio del 415, ma è impossibile ipotizzare ciò, come giustamente fa Bettalli19, anche solo per il fatto che degli avvenimenti del 415 si ignora pressoché tutto. La maggior parte dei moderni è concorde nel legare la versione di Enea agli eventi del 370 e, quindi, al racconto diodoreo20; M. BETTALLI, in ENEA TATTICO, La difesa di una città assediata (Poliorketika), Pisa 1990, pp. 249. R.A. TOMLINSON, Argos and the Argolid from the End of the Bronze Age to the Roman Occupation, London 1972, p. 193; G.A. LEHMANN, Krise und inneren Bedrohung der hellenischen Polis bei Aeneas Tacticus, in Festschrift Friedrich Vittingholf, Köln 1980, p. 77; H.J. GEHRKE, Stasis. Untersudhungen zu den inneren Kriegen in der griechischen Staaten des 5. und 4. Jahrhunderts v.Chr., München 1985, pp. 31-33; L.P. MARINOVIC, Le mercenariat grec au IVe siècle avant notre ère et la crise de la polis, Paris 1988, p. 221. Cfr. M.T. MITSOS, Une inscription d’Argos, BCH, 107 (1983), pp. 243-249 che ipotizza un collegamento tra il testo di Enea e un’iscrizione argiva. Ricordo anche la posizione di E. DAVID, Aeneas Tacticus 11, 7-10 and the Argive Revolution of 370 B.C., AJPh, 107 (1986), pp. 343349 che propone di identificare l’episodio raccontato da Enea Tattico con un complotto oligarchico, diverso da quello di Diodoro proprio per le differenze che presenta, da collocare poco prima della battaglia di Leuttra, in un momento in cui era logico pensare che ad Argo potesse verificarsi un tentativo di colpo di stato antidemocratico, che invece sembra curioso dopo Leuttra nel 370, cioè dopo la sconfitta di Sparta. In quest’ottica, sempre secondo David, la ribellione del 370 di Diodoro, ispirata dalla fazione democratica fortemente avversa agli oligarchici, andrebbe letta come una sorta di rivendicazione per i fatti del precedente complotto (per una visione generale del dopo Leuttra si veda E. DAVID, Revolutionary Agitation in Sparta after Leuctra, «Athenaeum», n.s. 58 [1980], pp. 299-308). Più recentemente perplessità sull’attendibilità del passo di Enea sono state espresse da C. FORNIS VAQUERO, La stasis argiva del 417 a.C., «Polis», V (1993), pp. 80-81. A margine si segnala che il racconto narrato da Enea Tattico ha suscitato notevoli perplessità anche in ragione della sua somiglianza (con riprese anche di carattere verbale) con un passo di Polieno (I 23, 2) relativo alla presa di potere da parte di Policrate di Samo; per questo argomento si rimanda a J. LABARBE, Un putsch dans la Grèce antique: Polycrate et ses Frères a la conquête du pouvoir, AncSoc, V (1974), pp. 21-41; BETTALLI, in ENEA TATTICO, La difesa di una città assediata, pp. 270-272; T. SCHETTINO, Introduzione a Polieno, Pisa 1998, p. 125. 19

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credo che la questione relativa alle numerose differenze esistenti tra le due versioni, che andrebbe a indebolire l’ipotesi dell’identificazione del racconto di Enea con i fatti del 370, possa essere risolta richiamandosi alla evidente diversa tendenza delle due fonti: Diodoro è chiaramente antidemocratico; Enea invece sembra valorizzare con una singolare esaltazione l’elemento democratico (la congiura viene sventata con abile mossa dal prostates); è possibile però che entrambi facciano riferimento allo stesso episodio, forse quello del 370, e i particolari diversi sarebbero allora da imputare alla fonte base differente. Non ci sarebbe, quindi, bisogno di pensare a una collocazione diversa dal 370 per gli avvenimenti ricordati da Enea. Questa lettura confermerebbe per Argo un quadro di estrema instabilità a livello politico intorno agli anni Settanta del IV secolo, sintomo di una frattura interna molto viva che condizionò e forse anche frenò l’ascesa della potenza argiva; questa instabilità doveva essere ben chiara agli occhi di Diodoro se, come dimostra in un passo poco oltre quello appena considerato, in XV 60, 2, dice che gli Argivi erano indeboliti da lotte interne e da stragi fratricide. 3.2. Argo sotto l’egemonia tebana Negli stessi anni in cui viene ricordato lo scitalismo, Diodoro parla delle prime due spedizioni di Epaminonda nel Peloponneso, alle quali parteciparono anche gli Argivi (XV 62 ss. e 68, 1). A proposito della prima spedizione (370/69)21, Diodoro riferisce che gli Arcadi, che si erano riuniti in una confederazione guidata da un’assemblea federale formata da diecimila membri (Diod. XV 59, 1), temevano la potenza degli Spartani ma, nello stesso tempo, non si ritenevano in grado si sostenere una guerra da soli contro di loro22. Per questo motivo, come precisa Diodoro, convinsero Argivi ed Elei a passare dalla loro parte e ad affiancarli nelle opeLe fonti parallele sono Xen. Hell. VI 5, 22-32; Plut. Vita di Pelopida 24 e Vita di Agesilao 31-2; Paus. IX 14; Corn. Nep. Vita di Agesilao 6. In relazione al ruolo degli Arcadi per questi anni rimando a J. ROY, Arcadia and Boeotia in Peloponnesian Affairs, 370-362 B.C., «Historia», 20 (1971), pp. 569-599; più recentemente C. BEARZOT, Federalismo e autonomia nelle Elleniche di Senofonte, Milano 2004, pp. 41-43 e 119-138 (con bibliografia). 21

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razioni contro Sparta. Mandarono poi ambasciatori ad Atene perché anch’essa si unisse alla coalizione antispartana, ma l’invito venne respinto. Fu così che essi rivolsero la propria attenzione alla ormai consolidata potenza tebana: inviarono anche ad essi un’ambasceria persuadendoli a concludere un’alleanza in funzione antispartana. Tutti i Beoti, mobilitato l’esercito, avanzarono verso il Peloponneso al comando di Epaminonda e Pelopida e le forze della coalizione (Arcadi, Elei, Argivi e, ultimi, anche i Tebani) si trovarono e riunirono in Arcadia, formando un esercito composto da più di cinquantamila uomini23 che si diresse contro la città di Sparta con l’intenzione di devastare tutta la Laconia. Seguono poi, sempre nel racconto di Diodoro, le operazioni militari, nelle quali gli Argivi in ogni caso non sembrano distinguersi in modo particolare rispetto agli altri membri della coalizione. Gli Argivi compaiono, sempre a fianco di Arcadi ed Elei, anche nella seconda spedizione che Epaminonda guidò contro il Peloponneso (369/8)24. In entrambe le spedizioni le fonti non menzionano i numeri degli effettivi militari impiegati nei vari scontri, se non nel caso visto sopra della coalizione antispartana nella prima spedizione, ma si tratta del numero complessivo, quindi non è possibile avere un’esatta stima dei contingenti di ogni singolo membro; si può però ipotizzare, sulla base del numero totale dei soldati impiegati, che l’apporto di ciascun membro fosse piuttosto rilevante, confermando così quanto si è scritto in precedenza relativamente all’impegno argivo nel settore militare. 3.3. Argo ed Eufrone di Sicione Nello stesso anno della seconda spedizione nel Peloponneso, il 369/8, è ricordata l’instaurazione della tirannide di Eufrone a Sicione ai confini con l’Acaia25. Questo episodio risulta essere di

Diodoro stesso parla altrove (81, 2) di circa settantamila uomini, cifra che viene riportata anche da Plutarco (Vita di Agesilao 31, 1; Vita di Pelopida 24, 2) e che quindi può essere ritenuta di una certa attendibilità. 24 Cfr. Xen. Hell. VII 1, 15-22. 25 Su Eufrone si vedano P. MELONI, La tirannide di Eufrone I in Sicione, RFC, 19 (1951), pp. 10-33; A. GRIFFIN, Sikyon, Oxford 1982, 67-77; D.P. ORSI, La persuasione nelle relazioni internazionali. Eufrone di Sicione e Tebe, «Invigilata Lucernis», 24 (2002), pp. 167-171; 23

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particolare interesse perché, come dice Diodoro (XV 70, 3), Eufrone riuscì a prendere il potere nella città grazie all’appoggio dato dagli Argivi. Il racconto di Diodoro è molto sintetico e rapido; più ricco di particolari è invece quello senofonteo (Hell. VII 1, 44-46 e 3, 1-5). Sicione, prima dell’avvento di Eufrone, era governata «secondo le leggi tradizionali», espressione generica per indicare un governo oligarchico; la città, liberatasi dalla tirannide nel 418/7 con l’aiuto di Sparta, era infatti da sempre rimasta fedele ad essa. Fu proprio Eufrone, approfittando del particolare momento storico che vedeva vicini Argivi ed Arcadi, a far notare ad entrambi che se Sicione avesse continuato la propria politica filospartana avrebbe ben presto costituito una minaccia; diversamente, se vi fosse stata instaurata una democrazia, avrebbero avuto la sicurezza di un governo amico ed egli stesso si propose come garante del nuovo ordine politico, giustificando la propria iniziativa con l’odio nei confronti degli Spartani e la volontà di sottrarsi alla loro schiavitù. Alla luce delle sue intenzioni, Arcadi e Argivi assicurarono il proprio appoggio. Il passaggio costituzionale viene descritto senza particolari spargimenti di sangue: venne riunita un’assemblea alla presenza di Argivi e Arcadi in cui fu annunciata la nuova costituzione, basata sulla ‘parità dei diritti’; vennero esiliati tutti quelli che furono accusati di filolaconismo e con i loro beni confiscati si pensò di pagare i mercenari assoldati oltre che di ricompensare gli alleati che avevano aiutato Eufrone. La vicenda di Eufrone prosegue più oltre nel racconto senofonteo, ma si discosta dai nostri interessi perché gli Argivi non sembrano più coinvolti. L’episodio che vede protagonista il tiranno di Sicione è interessante perché permette di riflettere sul senso dell’intervento argivo: Argo, dopo le spedizioni tebane nel Peloponneso, che miravano tra gli altri obiettivi a indebolire sempre più la potenza spartana, si trovò a favorire l’affermazione della democrazia presso un popolo che, per il suo tradizionale filolaconismo, avrebbe potuto costituire una minaccia per la propria affermazione nel Peloponneso. Inoltre, anche in questo caso troviamo Argo schierata accanto agli Arcadi, la cui confederazioE. CULASSO GASTALDI, Eroi della città: Eufrone di Sicione e Licurgo di Atene, in Modelli eroici dall’antichità alla cultura europea, Atti del Convegno Internazionale in onore di Ph. Stadter, Bergamo 2001, Roma 2003, pp. 65-98.

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ne si basava su principi di natura democratica; questi aspetti permettono di affermare, benché nelle fonti non si trovi alcun cenno specifico in tal senso, che in questi anni Argo stava ancora perseguendo una politica di orientamento tendenzialmente filodemocratico e antispartano, vicina a un popolo, come quello degli Arcadi, che nutriva forti speranze di aumentare il proprio prestigio nel Peloponneso (si veda, in Senofonte VII 1, 23-24, la rivendicazione all’egemonia fatta da Licomede) e forse fu proprio questo elemento che, nel concreto, non permise ad Argo di rivestire un ruolo primario. 3.4. Argo e gli Arcadi Il sodalizio con gli Arcadi è ricordato anche da un’altra vicenda che coinvolse la città di Fliunte, al confine tra Arcadia e Argolide e che, per la sua fedeltà a Sparta, costituiva più che una minaccia per entrambi i popoli. Anche in questo caso, mentre Diodoro si sofferma rapidamente sulla vicenda (XV 75, 3), Senofonte (Hell. VII 2, 1-23) si dilunga maggiormente, dedicando spazio anche alla spiegazione dei motivi della grande fedeltà dei Fliasi nei riguardi degli Spartani. Significativa è l’affermazione dello storico ateniese in 2, 2, quando, parlando dei fatti degli anni successivi alla sconfitta spartana a Leuttra e alla fedeltà mantenuta dai Fliasi a Sparta, definisce l’Arcadia e Argo come i due stati più potenti del Peloponneso (         ); questo conferma che la vicinanza di Argo agli Arcadi, possibile grazie anche al simile orientamento politico e forse voluta dagli Arcadi in virtù del potenziale militare argivo, appariva come un dato di fatto e non un episodio isolato e limitato. Rimane da stabilire se questo aspetto favorì Argo più di quanto non ne potesse limitare la sua affermazione nel Peloponneso. Tornando alle vicende narrate da Senofonte, credo che il passo di maggiore interesse sia quello relativo all’episodio accaduto nel 368 (VII 2, 10), quando Argivi e Arcadi unirono nuovamente le proprie forze per invadere il territorio di Fliunte. Il motivo che li spinse contro questa città era costituito dall’«odio che nutrivano nei suoi confronti» e insieme «il fatto che il territorio dei Fliasi si trovava in mezzo al loro ed essi speravano sempre di ridurli in proprio potere per mancanza di viveri»; anche in questa occasione però, come già in altri casi in

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passato, i Fliasi seppero resistere, dimostrando il proprio valore e la propria fedeltà a Sparta. Fliunte, quindi, come bene dimostra quest’ultimo episodio ricordato, costituiva una reale minaccia, vista anche la sua posizione geografica e filolaconica, per entrambe le potenze, Argivi ed Arcadi, che miravano ad affermare il proprio prestigio nel Peloponneso. La battaglia di Mantinea26, che vide la fine dell’egemonia tebana, conferma questo quadro, dal momento che anche in quest’occasione Arcadi e Argivi vengono ricordati uno accanto all’altro (Diod. XV 84, 4). La collaborazione fra i due popoli dovette continuare anche negli anni successivi: sotto il 353/2 Diodoro (XVI 34, 3) accenna brevemente a una guerra scoppiata fra Argivi e Lacedemoni, che culminò con una battaglia che ebbe luogo presso la città di Orne, in Argolide ai confini con l’Arcadia, vinta dai Lacedemoni i quali, dopo la battaglia si ritirarono in patria. Più oltre, a 39, 1-5 (sotto il 352/1) Diodoro riprende l’episodio dandogli maggiore spazio e precisa che il contrasto nacque tra i Lacedemoni e gli abitanti di Megalopoli in Arcadia. Di fronte all’invasione dei propri territori, i Megalopolitani, impossibilitati a resistere da soli, sollecitarono l’intervento degli alleati: subito, come dice Diodoro, accorsero in forze Argivi, Sicioni, Messeni e Tebani. L’esercito lacedemone avanzò fino alla città argiva di Orne e la espugnò; gli Argivi accorsero immediatamente e provocarono uno scontro da cui uscirono sconfitti. La battaglia ebbe poi un seguito, ma alla fine sembra che la vittoria sia rimasta dubbia e ciascuno abbia fatto ritorno nelle rispettive città. Al di là dell’esito della battaglia e della guerra, su cui comunque vi è da dire che Diodoro dà una versione differente nei due passi in cui affronta la vicenda (in 34, 3 attribuisce la vittoria ai Lacedemoni; in 39, 5 parla di vittoria dubbia)27, il che fa pensare all’uso di una diversa fonte, il dato che a noi interessa da vicino è l’accostamento ancora una volta di Argivi ed Arcadi: di fronte al pericolo dell’invasione lacedemone, i Megalopolitani chiamano in soccorso gli alleati, fra cui vi sono Xen. Hell. VII 5, 18-27; Diod. XV 84-87. Diod. XVI 34, 3:         ; 39, 5:                  . 26

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gli Argivi che subito accorrono. La collaborazione fra i due popoli quindi, cominciata, come si è visto, nel periodo successivo alla battaglia di Leuttra, continuò almeno fino alla metà del secolo, come questo episodio dimostra chiaramente. Sempre relativamente agli stessi anni, intorno alla metà del IV secolo, Diodoro riporta le vicende della riconquista dell’Egitto da parte del Re di Persia28. Costui inviò delegazioni nelle principali città della Grecia per chiedere di unirsi ai Persiani nella spedizione contro l’Egitto (XVI 44, 1). Ateniesi e Lacedemoni rifiutarono, precisando comunque che avrebbero mantenuto rapporti di amicizia con il Persiano; i Tebani mandarono circa mille opliti; gli Argivi tremila soldati e lasciarono la scelta del comandante al Re, il quale optò per lo stratego Nicostrato29, che si distingueva, come precisa Diodoro, per il suo valore nonché per la sua stravaganza (sembra che durante i combattimenti facesse di tutto per assomigliare a Ercole, indossando anche una pelle di leone e portando con sé una clava)30. Infine, i Greci d’Asia mandarono circa seimila soldati. Argo quindi, insieme con Tebe, è l’unica città della Grecia continentale che accetta di fornire un proprio contingente e, rispetto ai Tebani, anche ben più consistente. È possibile inoltre, considerato l’obiettivo persiano, che questi soldati siano stati mandati come mercenari piuttosto che per l’adesione della città alla linea politica persiana31; anche la scelta del comandante lasciata al Re potrebbe confermare questa ipotesi. Quanto al numero degli effettivi, si fa osservare che certo non si è in presenza dei settemila opliti forniti, come già si è visto, nel caso della guerra di Corinto, ma tremila appare comunque una cifra cospicua, alla luce anche del fatto che, tranne i Tebani, nessuna altra città della Grecia continentale partecipò alle operazioni. Forse, dunque, Argo deteneva ancora una certa fama come forza militare pur avendo perso gran parte della potenzialità di un tempo. Si segnala, comunque, che il contingente argivo di Nicostrato si disDiod. XVI 44 ss. (in particolare per Argo 44, 2; 46, 4; 47, 3; 48, 3). 29 Diod. XVI 44, 2:                      30 Cfr. Aten. VII 289b e Plut. Dialogo sull’amore 760a. 31 Cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, p. 144. 28

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tinse nella spedizione d’Egitto, riportando anche significative vittorie in più di un combattimento (in particolare si veda l’episodio dell’uccisione di Clinio di Cos in 48, 3-5).

4. Argo e Filippo II A partire dalla seconda metà del secolo Argo, così come altre città della Grecia, dovette guardare con relativa simpatia, come osserva anche Tomlinson, all’arrivo sulla scena politica di un uomo che sembrò sin dall’inizio poter riportare l’ordine tra i Greci, Filippo, re di Macedonia32. Non è possibile stabilire con certezza il momento dal quale Argo cominciò a essere amica e alleata di Filippo; un qualche rapporto dovette però essere già stabilito nel 343, quando Demostene ad Atene accusò il proprio rivale politico Eschine con il discorso Sulla falsa ambasceria. In esso Demostene precisa che il favore nei confronti del re di Macedonia si era già manifestato in alcune città del Peloponneso, aveva causato un massacro in Elide (probabilmente un massacro di oligarchici da parte di democratici) e ovunque egli giungesse era ben accolto. Argo viene esplicitamente ricordata da Demostene come una delle città che lo accolse benevolmente (Demosth. XIX 260-1). Il favore tributato dagli Argivi divenne più evidente dopo Cheronea (338) e il successivo congresso di Corinto (337): le guide tradizionali della Grecia (Sparta, Atene, Tebe) avevano perso completamente la propria autorità e da questo punto di vista Argo, così come le città dell’Arcadia, non poterono far altro che vedere in Filippo una garanzia. Per Argo stessa, che sosteneva la politica di Filippo, non tardarono ad arrivare i vantaggi: la lega di Corinto si mise al lavoro per regolare alcune dispute di confine tra le varie città del Peloponneso e Sparta; per Argo si fece sempre più concreta la possibilità, poi realizzatasi, di tornare in possesso della regione della Tireatide (cfr. Polyb. IX 28, 7 e XVIII 14, 7)33. Sembra quindi che Filippo riuscì a garantire e restaurare l’integrità territoriale delCfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 144-146; per uno studio più dettagliato e la bibliografia del periodo Filippo II/Alessandro rimando in questo volume all’intervento di F. LANDUCCI, Argo post-classica: dalla democrazia alla tirannide, pp. 311-337. 33 Cfr. in questo volume F. LANDUCCI, Argo post-classica. 32

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l’Argolide, compiacendo gli Argivi a danno degli Spartani. Comprensibile è, dunque, il favore che essi tributarono al Re di Macedonia. La ‘simpatia’ per la Macedonia, però, non durò a lungo e con la morte di Filippo nel 336 e l’avvento del figlio Alessandro la situazione in Grecia mutò: molte città tentarono di ribellarsi e, tra di esse, anche Argo che sperava in una forma di autonomia, come afferma Diodoro in XVII 3, 5. Poco oltre, in 8, 5, nel resoconto delle vicende della ribellione di Tebe, Argo è ricordata tra le città chiamate in soccorso dai Tebani (l’aiuto però non diede alcun risultato dal momento che le truppe argive si fermarono all’Istmo). A proposito di questo episodio, il Tomlinson sostiene la teoria secondo la quale dopo la morte di Filippo qualcosa nella politica cittadina, che fino a quel momento aveva appoggiato la Macedonia, era cambiato, forse per la presenza di qualche personaggio influente che determinò un cambiamento nell’opinione pubblica, cosa facile da supporre in una città come Argo da sempre vittima della propria instabilità politica34. Credo però che, come sottolinea la Landucci in questo stesso volume, la ragione del comportamento argivo vada ricercata nell’antica amicizia con la città di Tebe, che nel dopo Leuttra si trovò vicina ad Argo nella lotta contro Sparta e che quindi esso vada letto non come un voltafaccia verso la Macedonia, ma come un segno di lealtà e di amicizia verso la città beotica35. A parte questo episodio, le fonti riservano quasi completamente la propria attenzione alle imprese del sovrano macedone e Argo in questi anni rimane solo una delle tante realtà poleiche della Grecia continentale. Risulta impossibile, quindi, come conclude anche la Landucci, tentare per questi anni una ricostruzione dettagliata della situazione interna e della politica estera di Argo a causa dei rari accenni delle fonti.

Nota conclusiva Si è visto come alla fine del V secolo, subito dopo la fine della guerra del Peloponneso, Argo si presentasse come una città tendenzialmente filodemocratica e antispartana (Diodoro parla di 34 35

TOMLINSON, Argos and the Argolid, p. 147. Cfr. in questo volume F. LANDUCCI, Argo post-classica.

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«odio» degli Argivi nei confronti degli Spartani a proposito della questione degli esilii forzati sotto il regime dei Trenta). Negli anni successivi, durante la guerra di Corinto, Argo ebbe modo di dimostrare le proprie potenzialità militari detenendo il primato degli effettivi forniti alla coalizione per la quale si schierò e trovò in Corinto un valido appoggio nella lotta contro gli Spartani, i quali in quegli anni condussero una serie di spedizioni in territorio argivo a dimostrazione del fatto che l’unione di Argo con Corinto costituiva per loro una seria minaccia. Risulta pertanto che, almeno fino alla pace di Antalcida, che ruppe l’unione di Argo con Corinto, la città argiva fosse effettivamente una potenza militare di non poco conto, ma che forse da sola non poteva competere con le grandi potenze e vide quindi in Corinto, i cui rapporti con Sparta dopo la guerra del Peloponneso non erano certo buoni, la possibilità di contrastare il nemico spartano. La ribellione del 370, ricordata dalle fonti come «scitalismo», che si verificò poco dopo la sconfitta di Sparta a Leuttra, conferma l’impressione di una frattura presente in seno alla classe politica argiva. Già in precedenza si erano verificate ribellioni simili (417) e forse fu proprio questa instabilità di fondo, che impedì alla città di assumere, nonostante le proprie potenzialità militari, un ruolo di comando e di egemonia nel Peloponneso. Ciò non significa, però, che Argo non si fosse impegnata in questa direzione. E infatti, se prima del 386 essa aveva trovato in Corinto un appoggio per contrastare gli Spartani, ora, negli anni dell’egemonia tebana, trovò negli Arcadi, che ambivano alla supremazia nel Peloponneso, dei validi alleati. Lo dimostrano le due spedizioni tebane nel Peloponneso, l’aiuto fornito a Eufrone di Sicione, il caso di Fliunte e la battaglia di Orne, tutti episodi che ricordano gli Argivi accanto agli Arcadi in funzione antispartana. È pur vero, però, che Argo risultò sempre in secondo piano e anche gli anni successivi, nella seconda metà del IV secolo, la videro in un relativo anonimato. La consonanza con Corinto prima e con gli Arcadi poi, in funzione antispartana, sembrò non produrre grandi risultati, nonostante Argo potesse contare su una buona forza militare, forse anche a causa di quella instabilità di fondo che pare in più momenti abbia caratterizzato la storia argiva. Quanto all’ultima parte del secolo, si è visto che, a parte il cambiamento di orientamento nel passaggio dal favore dato a Filippo alla resistenza

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dimostrata per Alessandro ascrivibile alla lealtà nei confronti di Tebe, non è possibile formulare ipotesi sulla situazione politica della città a causa della mancanza di fonti in proposito. Rimane invariato in ogni caso il giudizio verso una città forte militarmente, ma altrettanto instabile politicamente, come pare confermato da ciò che Isocrate nel Filippo dice riguardo agli Argivi: «quando i nemici smettono di tormentarli, essi stessi (scil. gli Argivi) massacrano i più illustri e ricchi dei loro concittadini e provano tanto gusto a far ciò quanto nessun altro a uccidere i propri nemici» (                              ; Phil. 52).

ABSTRACT The ancient sources for a detailed study about Argos’ history in the fourth century are relatively few. In the years after the end of the Peloponnesian war it is possible to assume a democratic orientation for Argos: the town was the destination of all those who were against the hard regime that the Thirties had set up in Athens. In the period of the Corinthian war Argos seems to have an important role by the military point of view: Argos belongs to the antispartan coalition from the beginning (it was one of the receiver of the Timocrates’ gold) and then in the course of the war the sources clearly show its military power (in 392, 391 and 388 Agesilaos performed three expeditions in the Peloponnese). Up to the King’s peace Argos has a significant military power which finds a support in Corinth for its struggle against Sparta. Its internal politics, however, was instable, as the 370’s civil war (scitalism) shows; probably, because of this internal instability, Argos really did not succeed to develop his leading role of the Peloponnese, as instead it could have done by virtue of its military strength. In the years of the Theban hegemony, Argos is close to Arcadians, who wanted to get the command of the Peloponnese. The two Theban expeditions in the Peloponnese, the help supplied to Euphron of Sikion, the case of Phlyus and the battle of Ornai are all examples in which Argos fights near Arcadians against the Spartans.

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In the last years of the century, we notice the passage from the favour given to Philip II to the resistance to Alexander, owed to the ancient loyalty of Argives to Thebes that had risen against Alexander. The lack of the sources does not allow to formulate an hypothesis about the internal political situation of Argos for this period. The total judgement is, however, that of a strong power by the military point of view, but politically unsettled; and this element, probably, conditioned a great part of its history in the fourth century.

MARTA SORDI

Atene e l’unione fra Argo e Corinto

1. Sull’unione fra Argo e Corinto fonti principali sono Senofonte (Hell. IV 4, 1-7; 5, 3; 8, 34; V 1, 34), il cui racconto deriva certamente, come è stato giustamente osservato1, dai Corinzi filospartani, e Diodoro (XIV 86, 1; 92, 1; XV 40, 3), che pur contenendo particolari diversi da Senofonte, deriva anch’egli da una fonte filospartana; Demostene, nella   (XX 51-53) non ricorda l’unione, ma riferisce le premesse per l’unione e deriva, come egli stesso afferma, da fonti orali ateniesi, «il racconto dei vecchi udito da lui stesso»; Andocide nella Pace (III 27-27 e 40) fornisce indizi interessanti per la cronologia e la natura dell’unione; Pausania (III 9, 8 e 10, 1) accenna solo alla vicenda delle Istmie. Per la data e le fasi della vicenda le fonti forniscono dati di interpretazione contrastanti: da Senofonte, che racconta di seguito la strage dei filospartani e la realizzazione dell’unione, sembra che ambedue si siano compiute fra l’agosto del 394 (battaglia di Coronea, con lo spostamento della guerra intorno a Corinto), la celebrazione della Eucleie (marzo del 393), durante le quali avvenne il massacro dei filospartani corinzi, e il congedo delle truppe peloponnesiache, nell’agosto dello stesso anno2. Diodoro spezza il racconto dei fatti fra il 394/3 e il 393/2, separando il massacro dall’unione, ma è noto che la collocazione sotto i rispettivi arconti è opera sua e non deriva dalla sua fonte Eforo, che scriveva  ; Demostene colloca l’antefatto al tempo di Nemea, «la grande battaglia di Corinto» del luglio 394, quando i Corinzi chiusero fuori delle porte gli alleati (cfr. anche Xen. Hell. IV 2, 23). Da Pausania (III 9, 8)sembra che l’intesa fra una parte N. DI GIOIA, L’unione Argo-Corinto, CISA, 2 (1974), p. 41; C. BEARZOT, Federalismo e autonomia nelle Elleniche di Senofonte, Milano 2004, p. 32, n. 7.

1

2

DI GIOIA, L’unione Argo-Corinto, p. 38.

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dei Corinzi e gli Argivi datasse dal tempo di Timocrate, da cui presero i soldi        . In Andocide, che scrive nel 392/1, appare che l’unione non era ancora pienamente realizzata al tempo delle trattative di pace. I moderni sono divisi sia sulla data sia sulle fasi attraverso le quali l’unione fu realizzata3. 2. Al di là del problema cronologico c’è un fatto, oscurato da Diodoro e dalla sua fonte, ma ben chiaro sia a Senofonte che a Demostene, che pure partono da punti di vista completamente diversi, e fondamentale, a mio avviso, per comprendere l’intera vicenda: il tentativo dei filospartani di Corinto di tradire, con una pace separata con Sparta, gli alleati della coalizione. Demostene, a differenza di Senofonte, che parlando di Nemea si limita a dire che «i Corinzi non fecero entrare gli alleati nelle mura», aggrava il gesto compiuto da costoro con la decisione di trattare la pace con gli Spartani (XX 52-53:                    ) ed esalta invece il comportamento di coloro (che dopo la pace di Antalcida furono poi accolti esuli in Atene) che «non tradirono e non deliberarono di pensare solo alla propria salvezza, ma aprirono le porte    e preferirono subire qualsiasi sventura con voi che allora combattevate al loro fianco, piuttosto che salvarsi da soli senza rischio. Così salvarono voi e gli alleati». Demostene anticipa all’indomani di Nemea un tentativo di pace separata dei Corinzi, che ci fu, forse, solo più tardi e lo presenta come un atto ufficiale () di «quelli della città». Senofonte colloca invece nel periodo dopo Coronea, quando la guerra ristagnava ormai fra Corinto e Sicione, il desiderio di pace e gli scambi di vedute (  ) dei    CH. TUPLIN, The Date of Union of Corinth and Argos, CQ, 32 (1982), pp. 75 ss. valorizza contro il Griffith, che distingueva due fasi dell’unione fra il 392 e il 390/89, la versione di Senofonte e colloca l’unione subito dopo le Eucleie del 392; M. WHITBY, The Unione of Corinth and Argos, «Historia», 33 (1984), pp. 295 ss. esamina nuovamente tutte le fonti considerate dal Tuplin e ritiene che l’unione sia stata completata solo nel 390; la BEARZOT, Federalismo e autonomia, p. 31 (a cui rimando per una più completa bibliografia) colloca l’unione fra il 393 (o 392) e il 386. 3

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 fra i Corinzi: non è escluso, pertanto, che quelli che volevano la pace fossero in quel momento la maggioranza e avessero il governo della città. In definitiva, però, la reazione dei democratici fu, per l’uno e per l’altro, la fedeltà alla coalizione e ad un’alleanza che era stata scelta da tutti: Demostene sottolinea soprattutto la fedeltà agli Ateniesi, che dopo la pace di Antalcida mostrarono giustamente agli esuli che non li avevano traditi la loro riconoscenza; Senofonte (IV 2) dice che «gli Argivi, gli Ateniesi, i Beoti e quelli dei Corinzi che avevano preso i soldi del re ed erano stati responsabili della guerra, sapendo che, se non avessero eliminato quelli che volevano la pace, avrebbero rischiato che la città passasse di nuovo agli Spartani, decisero la strage». Egli si diffonde poi a condannare l’empietà di un massacro durante una festa, senza un regolare processo, nell’agorà e nel teatro, mentre Demostene tace significativamente ogni particolare limitandosi a un’allusione:   . Non c’è dubbio che la versione di Senofonte, per quanto tendenziosa, non nasconde il tentato tradimento che provocò la strage stessa, a differenza di Diodoro (XIV 86, 1), che parla solo della strage, compiuta con la complicità degli Argivi (  ) dagli aspiranti alla democrazia (     ) mentre Ateniesi e Beoti correvano in aiuto degli assassini ( ). 3. Fin qui dell’unione fra Argo e Corinto non si parla, ma solo dei preliminari di essa, a cui sono interessati tutti i membri della coalizione, non i soli Argivi: da Demostene, anzi, risulta chiaramente che gli Ateniesi nel 386, quando gli autori della strage (o della   ) furono mandati in esilio, furono tra i primi ad accogliere gli esuli per riconoscenza dell’azione che avevano compiuto: non della strage, di cui Demostene non parla, ma per aver sventato il tradimento dei filospartani nei riguardi loro e degli altri alleati; da Diodoro (XV 40, 3, sotto il 375/4) sappiamo d’altra parte che una parte degli esuli corinzi si trovava ad Argo e non ad Atene. Che filoateniesi e filoargivi, e, con essi, interessi di Atene e di Argo, esistessero a Corinto anche al tempo in cui l’unione fra Argo e Corinto era, in qualche modo, già in atto, risulta da Senofonte, da Diodoro e da Andocide. Senofonte (Hell. IV 5, 3), subito dopo la celebrazione ripetuta dei sacrifici e delle Istmie

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del 392 o del 3904 – prima da parte degli Argivi, poi da parte degli esuli corinzi e poi ancora da parte degli Argivi – dice che i Corinzi «temendo che la città fosse tradita da alcuni, mandarono a chiamare Ificrate con i peltasti». La disfatta della mora spartana a Lechaion indusse i Beoti, che già si preparavano a chiedere la pace (Hell. IV 5, 6) ad annullare ogni trattativa (IV 5, 9). Più tardi però, dopo la morte di Trasibulo, gli Ateniesi mandarono in Ellesponto Ificrate con 8 navi e 1200 peltasti, la maggior parte dei quali erano quelli che aveva comandato a Corinto, e Senofonte spiega: «gli Argivi infatti, quando avevano trasformato Corinto in Argo, avevano dichiarato di non aver bisogno di loro; infatti egli aveva ucciso alcuni degli argolizzanti; egli pertanto se ne era andato ad Atene e si trovava a casa» (Hell. IV 8, 34:                         ). Diodoro (XIV 92, 1-2) pone le stesse vicende sotto il 393/2, dopo la disfatta della mora spartana per opera di Ificrate (XIV 91, 2-3) e dopo aver ricordato per la prima volta l’occupazione da parte degli Argivi dell’Acropoli di Corinto e la riduzione a chora argiva del territorio corinzio (che Senofonte ricorda subito dopo la strage): «tentò anche l’Ateniese Ificrate di occupare la città, che era utile per l’egemonia sulla Grecia: ma, avendo il popolo impedito questo, egli depose il potere e gli Ateniesi mandarono Cabria al suo posto a Corinto» (                                    ). Non è chiaro se demos sia qui il popolo ateniese o il governo democratico di Corinto5. Andocide, che scrive nel 392/16, al tempo delle trattative con Sparta, accenna all’intenzione dei Beoti di fare la pace e si domanda se, nel caso che tali trattative andassero in porto, sarebbe possibile ad Atene continuare la guerra senza i Beoti (III 2425): «Sì – dicono alcuni – purchè custodiamo Corinto e abbiamo I moderni collocano generalmente queste Istmie nel 390 (ma vedi infra). Demos viene inteso generalmente, qui, come demos di Atene (trad. Loeb). 6 Per la data della Pace di Andocide, vedi TUPLIN, The Date of Union, p. 79. 4 5

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alleati gli Argivi. Ma in questo caso – egli continua – dovremmo aiutare Argo se verrà attaccata da Sparta. Ma con quale utilità? Per perdere, in caso di sconfitta, oltre a Corinto, anche il nostro territorio, o per fare, in caso di vittoria, Corinto possesso degli Argivi (III 26:      )?». Ricorda infine i discorsi degli Argivi, che invitano gli Ateniesi a unirsi a loro e ai Corinzi nella guerra, ma si sottraggono poi, grazie ad accordi privati con gli Spartani, a combattere nel loro territorio (III 27). E Andocide conclude l’orazione osservando (III 41):           : «Anche Argivi e Corinzi vengono per convincerci a fare la pace. Ma gli Ateniesi devono decidere secondo i loro interessi». Ciò che accomuna i tre autori è il punto di vista ateniese dal quale il rapporto fra Argo e Corinto è guardato, ossia un punto di vista dal quale, in generale, i moderni non hanno considerato il problema: il momento al quale Andocide si riferisce corrisponde a quello descritto da Xen. Hell. IV 5-6 quando, dopo l’attacco di Agesilao e la duplice celebrazione delle Istmie (con il sacrificio a Poseidone degli Argivi    ; Hell. IV 5, 1), i Beoti, insieme ad altri, avevano cominciato a trattare la pace (Hell. IV 5, 6:          ) e i Corinzi, temendo che la città fosse tradita, avevano chiamato Ificrate e i suoi peltasti (IV 5, 3:         ). La distruzione, ad opera di Ificrate, della mora spartana a Lechaion, indusse subito dopo i Beoti a interrompere le trattative di pace (IV 5, 9:      [...]       ). L’accenno alle trattative di pace dei Beoti e alla presenza di altre ambascerie ci permette di datare al 392/1 questa vicenda e al 392 (giugno-luglio) e non al 390 le Istmie ripetute. Questo è il momento a cui Andocide si riferisce: la successiva distruzione della mora spartana ad opera di Ificrate bloccò le trattative con gli Spartani e rimise in discussione la posizione ateniese a Corinto. Nell’alternativa posta da Andocide prima della vittoria di Ificrate, Atene rischiava, se sconfitta, di perdere, oltre a Corinto, il proprio territorio, se vincitrice, di lasciare che il territorio di Corinto divenisse argivo. All’indomani della vittoria, nello stesso 392 o nella primavera

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del 391, Ificrate tentò un’altra via: eliminare ogni controllo argivo su Corinto e porre la città sotto il controllo ateniese, ma fu richiamato. È quello che ci dicono, con particolari diversi per il richiamo (su richiesta degli Argivi o per iniziativa del demos di Atene), Senofonte e Diodoro e che portò al ritorno di Ificrate ad Atene, che non va datato, a mio avviso – e ciò come risulta con chiarezza da Senofonte (IV 8, 34), che parla di una sosta di Ificrate , immediatamente prima del suo invio in Ellesponto – dopo la morte di Trasibulo, ma parecchio tempo prima. Col ritiro degli Ateniesi l’unione fra Argo e Corinto, che era già in atto negli anni precedenti, indubbiamente si rafforzò: Diodoro (XIV 92, 1) parla ora di occupazione, da parte degli Argivi, dell’acropoli di Corinto (l’Acrocorinto), mentre Senofonte non accenna affatto a questa occupazione tra le ‘malefatte’ degli Argivi dopo la strage delle Eucleie e l’unione: anzi egli ricorda che erano stati i filospartani a rifugiarsi in quell’occasione all’Acrocorinto (IV 4, 5) e a ottenere poi per intercessione delle madri, dei fratelli, degli amici l’impunità. L’occupazione argiva dell’Arocorinto e il ritiro degli Ateniesi fu dunque un fatto nuovo e segnò certamente una svolta nell’unione fra Argo e Corinto, caratterizzata fino a quel momento dalla contemporanea presenza nella città di forze militari ateniesi accanto a quelle della vicina Argo e di un forte partito filoateniese. 4. Si pone a questo punto il problema della natura dell’unione, che per certi aspetti, come risulta da Senofonte ed è confermato da Andocide, doveva essere già in atto fin dal 393: i moderni parlano talora di sinecismo7, talora di isopoliteia 8. Io credo che si debbano tenere presenti due considerazioni: 1) l’unione fra Argo e Corinto, comunque sia stata realizzata, avvenne in periodo di guerra, all’interno di una coalizione militare, impegnata alla difesa di Corinto: se i Beoti si defilarono presto, gli Ateniesi si impegnarono invece fortemente e con successo nella ‘custodia’ della città istmica a fianco degli alleati Argivi con essa confinanti, almeM. MOGGI, I sinecismi interstatali greci, I, Pisa 1976, nr. 39. DI GIOIA, L’unione Argo-Corinto, p. 44, n. 31 propende con altri per l’isopoliteia e valorizza anche gli aspetti monetari dell’unione (pp. 43-44); all’isopoliteia pensa senz’altro anche BEARZOT, Federalismo e autonomia, pp. 31 ss.

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no fino al 392/1; 2) i democratici corinzi, che avevano allora il governo, erano divisi fra i filoateniesi e i filoargivi e fino a un certo momento essi operarono insieme: l’uccisione di alcuni ‘argolizzanti’ da parte di Ificrate produsse una rottura. Di questo contesto militare e dell’atteggiamento dei democratici corinzi bisogna tener conto per capire la natura dell’‘unione’ fra Argo e Corinto: a) essa comincia con un tentativo di tradimento ai danni dell’intera coalizione fin dal 394 (Senofonte e Demostene) e con l’accoglienza delle truppe della stessa coalizione dentro le mura cittadine (Demostene); continua con il timore di un nuovo tradimento e l’invito a Ificrate di custodire la città (Senofonte); con l’occupazione argiva dell’Acropoli (Diodoro) e l’invito degli Ateniesi a ritirare Ificrate con i suoi peltasti (Senofonte e Diodoro, che parla dell’invio di Cabria); termina con l’imposizione spartana ai Corinzi nel 386 di espellere il presidio argivo e agli Argivi di andarsene da Corinto (Xen. Hell. V 1, 34). Solo così, afferma Senofonte (ibidem),        . b) Erano stati i Corinzi a chiamare Ificrate e gli Ateniesi (Senofonte); furono Corinzi ed Argivi, nel 392/1, al tempo delle trattative di pace a chiedere agli Ateniesi di  Corinto (Andocide III 26 e 41); furono i Corinzi che, dopo la pace di Antalcida,   il presidio argivo (Xen. Hell. V 1, 34). c) C’è un’espressione che Senofonte, Andocide e Diodoro, pur nelle loro divergenze, usano per esprimere l’unione: «trasformare Corinto in Argo». Senofonte, che è il più ricco di particolari, usa a più riprese questa espressione o espressioni analoghe: in Hell. IV 4, 6, dopo l’impunità concessa dai Corinzi a quelli che si erano rifugiati nell’Acrocorinto, dice che alcuni, essendosi accorti che       , fuggirono presso gli Spartani e Prassita, che era il loro polemarco; a IV 8, 15, al tempo delle trattative di pace del 392/1, dice che gli Argivi non volevano un trattato in base al quale         ; a IV 8, 34 ricorda che Ificrate e gli Ateniesi furono rinviati        ; Andocide nel 392/1, per indurre gli Ateniesi alla pace, dice, usando il futuro, che, vincendo,     (III 26); Diodoro (XIV 92, 1) ricorda, sotto il 393/2, che gli Argivi occuparono l’acropoli di Corinto e     .

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«Trasformare Corinto in Argo», fare del territorio di Corinto il territorio di Argo, è la formula per definire l’unione, probabilmente non ufficiale, ma certamente molto diffusa fra i contemporanei ostili alla nuova esperienza associativa messa in atto fra Argo e Corinto fra il 394 e il 386. Ma che cosa si nasconde sotto questa formula? Senofonte, riferendo il diktat di Agesilao ad Argivi e Corinzi dopo la pace (Hell. V 1, 34), si limita a dire che, se i Corinzi non avessero cacciato gli Argivi e se questi non se ne fossero andati da Corinto, avrebbe portato la guerra contro di loro. L’unica imposizione riguarda, dunque, l’espulsione del presidio argivo, quello che, secondo Diodoro (XIV 92, 1) gli Argivi avevano posto sull’acropoli di Corinto: e Senofonte continua (Hell. V 1, 34): «essendosi spaventati tutti e due (Argivi e Corinzi)»,            . Se l’unione si fosse limitata solo alla presenza stabile di un presidio argivo sull’Acrocorinto, essa non differirebbe dall’occupazione della Cadmea, a cui ricorsero gli Spartani nei riguardi di Tebe nel 382, con la sola differenza della maggior vicinanza, anzi della contiguità, di Argo con Corinto. Da Senofonte, e solo da Senofonte, sembra però che l’unione sia stata qualcosa di più complesso della presenza di un presidio argivo sull’acropoli di Corinto: il passo più ricco di particolari è quello che riferisce le valutazioni dei superstiti della strage delle Eucleie, che si erano rifugiati sull’Acrocorinto e che, per le preghiere degli amici, delle madri e dei fratelli, erano stati convinti a ritornare con la promessa di non subire alcuna violenza e che poi, rifugiatisi presso gli Spartani, li aiutarono a occupare Lechaion. Analizziamo ora queste valutazioni (Hell. IV 4, 6):                                                 . Il ragionamento dei Corinzi filospartani è presentato – vale la pena di notarlo – con simpatia, ma come una serie di valutazioni soggettive («vedendo... essendosi accorti... credettero») di un gruppo piuttosto ristretto («ci furono alcuni tra loro che credet-

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tero che così non si potesse vivere»), anzi di pochissimi. È interessante l’uso del duale per le azioni di Pasimelo e di Alcimene che compirono l’impresa e fuggirono presso Prassita. Erano solo in due? Gli altri rifugiati nell’Acrocorinto restarono in città e si adattarono alla situazione? Vale la pena, comunque, di esaminare una per una le considerazioni di coloro che ritennero di non poter vivere in tale situazione: a) «vedendo che quelli erano tiranni»: Diodoro (XIV 86, 1), pur essendo ostile agli autori della strage delle Eucleie e al nuovo governo di Corinto, dice che essi erano    . Il nuovo governo di Corinto era dunque costituito dai democratici: la definizione di tiranni nasce solo dall’ostilità dei filospartani; b) «essendosi accorti che si stava facendo scomparire la loro città»: l’uso di  non indica qui la distruzione fisica, ma solo la perdita di identità che consegue all’abbandono della politeia cittadina tradizionale9 ed è giustificato, nella versione dei filospartani, dall’eliminazione dei confini fra Corinto ed Argo e dal fatto che Corinto si chiama ormai Argo. Dello spostamento dei cippi di confine non sappiamo altro; ma della scomparsa del nome di Corinto sappiamo con certezza che è falsa: Andocide parla di Corinzi nelle trattative del 392/1 e Senofonte parla di Corinzi nella chiamata di Ificrate (che portò alla distruzione della mora) e nelle trattative con Agesilao col rifiuto di espellere gli Argivi nel 386. c) La partecipazione alla politeia in Argo, l’unico dato presentato come oggettivo, a cui i Corinzi sarebbero stati costretti, non porta dunque alla eliminazione di organi decisionali e di rappresentanze corinzie. Il potere «meno dei meteci» di cui i filospartani si lamentano è dunque una valutazione soggettiva e del tutto tendenziosa di una situazione di fatto, non la constatazione di una limitazione di diritto, definito invece dalla partecipazione alla cittadinanza (  [...]  [...] ). Non è vero quindi che Corinto si chiamò Argo e che i Corinzi persero la loro identità di polis. d) È vero invece che quando, col consenso dei democratici di Corinto, un presidio argivo fu instaurato nell’acropoli e gli Ateniesi furono definitivamente allontanati, la prevalenza di Argo su Corinto divenne reale. 9

BEARZOT, Federalismo e autonomia, p. 34.

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Concludendo, io credo che l’unione fra Corinto e Argo non possa essere in alcun modo definita come un sinecismo o una sympoliteia: fra il 393 e il 386 Corinto non cessò di esistere e non ci fu mai la possibilità che un Corinzio si definisse «Argivo da Corinto», secondo la formula ben nota del federalismo greco. L’unica formula giuridica che può corrispondere alla situazione, peraltro atipica e contraddistinta dallo stato di guerra in corso, è quella della isopoliteia: le due città mantengono la loro identità di poleis indipendenti, ma, quando si trova a Corinto, un Argivo ha tutti i diritti civici e lo stesso vale per il Corinzio in Argo. Ma a Corinto c’è un presidio argivo, ad Argo non c’è un presidio corinzio: qui sta la differenza. Questa formula permette anche di spiegare la rivendicazione degli Argivi alle Istmie del 392: avendo gli stessi diritti dei Corinzi potevano celebrare i sacrifici e i giuochi, come secondo tutte le nostre fonti essi fecero realmente10. Non c’è dubbio che nell’unione si determinò, per motivi soprattutto militari, una prevalenza di Argo su Corinto: era Corinto, divenuta teatro della guerra, ad aver bisogno della ‘custodia’ degli alleati, Ateniesi e Argivi; ai motivi militari si aggiunse però fin dall’inizio un motivo politico: la presenza in Corinto di un forte partito oligarchico e filospartano, e il timore, presente fin dal 394, di ‘essere traditi’ dalle quinte colonne interne; quando Atene, dopo le trattative di pace fallite nel 392/1, decise di acconsentire alle richieste di Argivi e Corinzi e ordinò a Ificrate di ritirarsi, la prevalenza argiva aumentò: ma non cambiò, io credo, la natura dell’unione, che rimase quella che era stata all’inizio e che aveva a suo favore la contiguità geografica delle due città. ABSTRACT This paper opens with a short survey of the sources on the merging of Argos and Corinth and on its chronology; then, it focuses on the charge of betrayal brought against the pro-Spartan element in Corinth. According to Xenophon and Demosthenes, the Corinthian oligarchs had already intended to betray the alliance after August 394. This charge is supposed to have caused the massacre of the pro-Spartan Corinthians in the Eukleia. The paper also highlights Athenian interest 10

Xen. Hell. IV 5, 1; Plut. Ages. 21; Diod. XIV 86, 5; Paus. III 9, 8.

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in Corinthian loyalty to the alliance: Athenian and Argive troops stayed together in Corinth until the Athenian general Iphicrates was removed from Corinth and the Argives were able to seize the Corinthian citadel. As for the precise form of the Argos-Corinth Union, two aspects must be considered: 1) the Union was organized in wartime; 2) there were pro-Athenian and pro-Argive democrats in Corinth. In this context, we must rule out both synoikismos and sympoliteia and assume a form of isopoliteia (which may explain the Argive involvement in the Isthmian Games in 392).

FRANCA LANDUCCI GATTINONI

Argo post-classica: dalla democrazia alla tirannide*

La storia della Argo post-classica non può non iniziare con un’analisi dei rapporti della città con Filippo II, non solo perché nei suoi vent’anni di regno egli divenne egemone della Grecia, imponendo quindi la sua presenza a tutte le comunità locali, ma anche perché egli aveva con Argo un legame particolare: almeno fin dalla prima metà del V secolo1, infatti, la sua dinastia, detta appunto degli Argeadi o dei Temenidi, rivendicava la propria Grecità, in quanto discendente da Temeno, l’Eraclide al quale la tradizione attribuiva proprio Argo e l’Argolide nella spartizione del Peloponneso avvenuta all’epoca della cosiddetta invasione dorica2. Che durante i regni di Filippo II e di suo figlio Alessandro fosse ancora vivo il dibattito sull’origine argiva dei Temenidi è dimostrato, a livello storiografico, sia, e contrario, dall’invettiva pronunciata da Demostene intorno al 341, nella III Filippica, nella quale l’oratore ateniese, in maniera del tutto apodittica, proclaTutte le date del testo, salvo diversa indicazione, devono essere considerate a.C. Cfr. Hdt. V 22, 2, il quale ci informa che Alessandro I, detto Filelleno, per ottenere il diritto di partecipare ai Giochi Olimpici, riuscì a dimostrare di essere di origine argiva, perché discendente di Perdicca, figlio di Temeno, emigrato in Macedonia dal Peloponneso. Per una lunga digressione sui primordi della dinastia, cfr. anche Hdt. VIII 137-139 (per un commento aggiornato, cfr. A. CORCELLA ET AL. [a cura di], Erodoto, Le Storie. Libro VIII. La vittoria di Temistocle, Milano 2003, pp. 345-355). 2 Sull’origine argiva dei sovrani di Macedonia, cfr. anche le, pur brevi, osservazioni di Thuc. II 99, 3; V 80, 2, in un contesto del tutto indipendente da quello erodoteo (sul primo dei due passi, cfr. i puntuali commenti ad locum di S. HORNBLOWER, A Commentary on Thucydides. Volume I. Books I-III, Oxford 1991, p. 375, e di U. FANTASIA [a cura di], Tucidide, La Guerra del Peloponneso. Libro II, Pisa 2003, pp. 590-591). Per una riflessione moderna sulla questione, cfr. in generale N.G.L. HAMMOND, The Macedonian State. The Origins, Institutions and History, Oxford 1989, pp. 2-4; E.N. BORZA, In the Shadow of Olympus. The Emergence of Macedon, Princeton 1990, pp. 80-84; M. MARI, Al di là dell’Olimpo. Macedoni e grandi santuari della Grecia dall’età arcaica al primo Ellenismo, Atene 2002 («Meletemata», 34), pp. 19-22; 60-66; 159-163. *

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ma che Filippo non era né greco, né di origine greca3, sia dalle notazioni di Arriano, che, per due volte4, accenna alla convinzione, condivisa da Alessandro e dal suo seguito, che la casa reale macedone discendesse dagli Eraclidi di Argo. Di recente, però, la tenace persistenza di un legame ideale tra la dinastia degli Argeadi e la città di Argo è stata confermata, al di là di ogni ragionevole dubbio, anche da una importante testimonianza archeologico-epigrafica ritrovata nella tomba II del grande tumulo di Vergina, che il suo scopritore M. Andronikos ha sempre considerato la tomba di Filippo II, anche se oggi sono ormai parecchi gli studiosi che la ritengono luogo di sepoltura di suo figlio Filippo III Arrideo. Si tratta di un grande tripode di bronzo, con un cerchio superiore del diametro di 30,5 cm., sul quale è incisa una iscrizione, [par'] he¢raj ' Argei¢aj e¡mi£ to^n a¡#e¢qlon5, che, per motivi paleografici, sembra avere come terminus ante quem il 410 e che, con il suo stesso contenuto, sottolinea, a fortiori, l’interesse dei sovrani macedoni per il mondo argivo6. Se il testo, in alfabeto argivo, costruito nella forma del cosiddetto ‘oggetto parlante’ e analogo a quello inciso su altri oggetti di bronzo ritrovati in contesti e tempi diversi7, dimostra che il tripode era uno dei premi dati ai vincitori dei giochi che si tenevano ad 3 Cfr. Demosth. IX 31, il quale sostiene, inoltre, che Filippo non era neppure un barbaro di un paese degno di stima, ma uno sporco Macedone, di una terra cioè, dove non era neppure possibile comperare uno schiavo di buon livello. 4 Cfr. Arr. Anab. II 5, 9 (con commento ad locum di F. SISTI [a cura di], Arriano, Anabasi di Alessandro, I, Milano 2001); IV 11, 6. 5 Sul testo dell’iscrizione, cfr. anche le note in SEG 29 (1979), n. 652. 6 Per la descrizione del tripode, cfr. M. ANDRONIKOS, Vergina. The Royal Tombs and the Ancient City, Athens 1984, pp. 165-168. Per la datazione dell’iscrizione intorno al 420, cfr. P. AMANDRY, Sur les concours argiens, in AA. VV., Études argiennes, Paris 1980 (BCH, Suppl. 6), pp. 211-253, in particolare pp. 211-217 e 251, il quale si occupa della questione in uno studio che costituisce, ad oggi, la più completa disamina delle problematiche relative ai giochi argivi. L’opinione di Amandry è accettata, oltre che da ANDRONIKOS, Vergina, pp. 165-168, anche da M. PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide): les frontières du partage des Héraclides, in R. FREI STOLBA - K. GEX (éds.), Recherches réecentes sur le monde hellénistique. Actes du colloque international organisé à l’occasion du 60e anniversaire du P. Ducrey (Lausanne, 20-21 novembre 1998), Bern - Berlin New York 2001, pp. 27-43. 7 Per un catalogo di questi oggetti, cfr. AMANDRY, Sur les concours argiens, pp. 211-217, con l’aggiornamento di PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), p. 27 e n. 7 (su questo aggiornamento, cfr. anche SEG 39 [1989], 1061; 42 [1992], 921).

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Argo in onore di Era e che sono noti come Heraia o Ecatombie8, la presenza di questo bronzo nella camera della tomba reale, come prezioso cimelio della famiglia, qualunque fosse il motivo della sua acquisizione, a noi purtroppo ignoto, segnala in maniera indiscussa e indiscutibile che, all’epoca della costruzione della tomba II del grande tumulo di Vergina, databile con certezza tra il 335 e il 315, la dinastia macedone, come nota Andronikos9, «era orgogliosa della sua origine, argiva, dalla famiglia dei Temenidi, che in definitiva risale allo stesso Eracle». Ma, a prescindere da questi legami metastorici tra casa reale macedone e città di Argo, dal punto di vista politico - militare, l’incontro degli Argivi con Filippo II era sicuramente già avvenuto nel 343, quando Demostene, nel De falsa legatione, sottolineava che anche gli Argivi, come gli Arcadi, gli Elei, i Tessali, grazie soprattutto alla cosiddetta Geldpolitik macedone10, erano ormai proni di fronte a Filippo11: nel Peloponneso, Argo, Messene, Megalopoli e l’Elide contribuirono allora ad accentuare l’isolamento di Sparta, utilizzando l’appoggio loro offerto da Filippo, così come, nei decenni precedenti, si erano serviti dell’alleanza con Tebe per scardinare definitivamente l’egemonia dei Lacedemoni sul territorio12. Sui giochi argivi, cfr. AMANDRY, Sur les concours argiens, pp. 211-253; piuttosto generica e poco problematica l’esposizione di S.G. MILLER, Ancient Greek Athletics, New Haven - London 2004, pp. 105-112. 9 ANDRONIKOS, Vergina, p. 166. 10 A questo proposito, cfr. da ultimo, oltre a P. CARTLEDGE - [A. SPAWFORTH], Hellenistic and Roman Sparta. A Tale of Two Cities, London - New York 2002², p. 13, F. LANDUCCI GATTINONI, Sparta dopo Leuttra: storia di una decadenza annunciata, in C. BEARZOT F.LANDUCCI (a cura di), Contro le ‘leggi immutabili’. Gli Spartani tra tradizione e innovazione, «Contributi di Storia Antica» (= CSA) 2, Milano 2004, pp. 161-190; sui rapporti tra Archidamo e Filippo II, cfr. Ch. D. HAMILTON, Philip II and Archidamus, in W.L. ADAMS - E.N. BORZA (eds.), Philip II, Alexander the Great and the Macedonian Heritage, Washington DC 1982, pp. 61-83; per un’analisi delle vicende della terza guerra sacra e di quelle immediatamente successive da un punto di vista macedone, cfr. la sintesi di J.R. ELLIS, Philip II and Macedonian Imperialism, London 1976, pp. 158-159, e il dettagliato racconto di J. BUCKLER, Philip II and the Sacred War, Leiden 1989, pp. 85-99. 11 Cfr. Demosth. XIX 260-261, dove si legge che gli Argivi, come gli Arcadi, «ammirano Filippo, gli erigono statue di bronzo e lo incoronano, e infine hanno decretato di accoglierlo nella loro città, se dovesse andare nel Peloponneso» (la traduzione è di I. Labriola, in L. CANFORA ET AL. [a cura di], Discorsi e Lettere di Demostene. Volume II. Discorsi in tribunale. Tomo I, Torino 2000, p. 389). 12 Cfr. supra, in questo volume, l’articolo di M. BERTOLI, Argo nel IV secolo, dove si mette in evidenza il ruolo giocato nel Peloponneso da Tebe nell’appoggiare le rivendicazioni autonomistiche degli Arcadi e degli Argivi. 8

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L’amicizia nei confronti di Filippo spinse poi gli Argivi (e gli altri popoli del Peloponneso) a una distaccata neutralità al momento della battaglia di Cheronea13, neutralità che fu adeguatamente ricompensata dopo la schiacciante vittoria macedone sulla coalizione dei Greci guidata da Atene14: in quel frangente, infatti, Agide, appena divenuto re di Sparta, si trovò a fronteggiare pesanti richieste da parte di Filippo, che pretendeva di imporre agli Spartani una serie di rettifiche territoriali a favore dei più ostili tra i popoli con loro confinanti (Messeni, Argivi e Arcadi di Megalopoli). Di fronte alla resistenza di Agide, il Macedone invase la Laconia e impose con la forza gli aggiustamenti di confine già proposti per via diplomatica15, concedendo finalmente ad Argo Per l’elenco delle comunità neutrali a Cheronea, cfr. Demosth. XVIII 64, mentre a XVIII 63 sono citati coloro che, come i Tessali, combatterono al fianco di Filippo; a XVIII 237 sono, invece, elencati gli alleati di Atene. A questo proposito, cfr. C. ROEBUCK, The Settlement of Philip II in 338 B.C., CPh, 43 (1948), pp. 73-92, in partico13

lare pp. 75-76. Per un’analisi dei provvedimenti di Filippo, con particolare riguardo alla situazione di Sparta, cfr., oltre all’ormai classico studio di ROEBUCK, The Settlement of Philip II in 338 B.C., pp. 73-92, HAMILTON, Philip II and Archidamus, pp. 81-83; M. JEHNE, Koine eirene. Untersuchungen zu den Befriedungs-und Stabilisierungsbemühungen in der griechischen Poliswelt des 4. Jahrhunderts v. Chr., Stuttgart 1994 («Hermes» Einzelschriften, Heft 63), pp. 146-148. Centrate, invece, sulle problematiche argive sono le riflessioni di PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 27-43, il quale, come già ROEBUCK, The Settlement of Philip II in 338 B.C., pp. 91-92, e A. MAGNETTO, L’intervento di Filippo II nel Peloponneso e l’iscrizione Syll.³ 665, in S. ALESSANDRÌ (a cura di), ‘Istori¢h¢ . Studi offerti dagli allievi a G. Nenci in occasione del suo settantesimo compleanno, Galatina (Le) 1994, pp. 283308, discute a lungo anche su una delicata questione giuridica, domandandosi se Filippo abbia operato militarmente nel Peloponneso prima o dopo una decisione in proposito del sinedrio della Lega di Corinto, riunito come supremo arbitro delle controversie all’interno del mondo greco. Qualunque sia la risposta dei singoli studiosi, la critica è concorde nel sostenere che de facto ciò che avvenne nel Peloponneso fu l’applicazione della volontà di Filippo, ormai indiscusso egemone della Grecia. 15 Su questa invasione della Laconia, ignorata dalla oratoria ateniese contemporanea agli avvenimenti, la tradizione più antica è quella di Polibio (IX 28, 6; 33, 8-11) che in flash-back descrive la situazione del Peloponneso dopo Cheronea, tradizione poi ripresa da fonti più tarde di matrice erudita (cfr., in particolare, Plut. Apophtheg. Lacon. 16 [Mor. 216b]; Apophtheg. Lacon. 53 [Mor. 235a-b]; Paus. III 24, 6; V 4, 9), ma del tutto assente nella storiografia più direttamente legata al nome di Filippo, che ha al centro il libro XVI della Biblioteca storica di Diodoro, dove, a partire dagli avvenimenti successivi alla pace di Filocrate del 246, non ci sono più accenni alla situazione peloponnesiaca: è evidente che la nuova fonte utilizzata da Diodoro per il dopo Eforo-Demofilo, con chiunque essa sia da identificare, non era interessata alle questioni interne peloponnesiache (sulla tradizione storiografica del libro XVI di Diodoro, cfr. F. LANDUCCI GATTINONI, Duride di Samo, Roma 1997, pp. 170-189, con ampia analisi della bibliografia precedente). 14

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l’agognato dominio sulla Tireatide16, sulla base di quegli «antichi confini» che, secondo una ben nota tradizione erudita, sarebbero stati descritti da Aristotele in un trattato sui diritti (dikaiw¢ mata) delle città greche, che Filippo avrebbe usato per regolare molte questioni territoriali ancora in sospeso, così da poter affermare orgogliosamente di aver «delimitato i confini della terra di Pelope»17. A questo riguardo, il Piérart18 non esclude che questi confini fossero stati individuati nelle frontiere che si riteneva fossero state fissate, ab origine, dagli Eraclidi nella spartizione del Peloponneso, visto che sia una assai mutila iscrizione databile intorno al 16419, sia un breve passo di Tacito20, accennando, pur in contesti assolutamente diversi, a questioni confinarie nate tra Sparta e i suoi vicini Arcadi e Messeni, si rifanno ancora esplicitamente proprio a questa mitica spartizione, quasi che essa fosse un imprenscindibile punto di riferimento: dato l’orgoglio con il quale gli Argeadi sottolineavano la loro discendenza da Temeno di Argo, sembra possibile ipotizzare che Filippo II abbia inteso ‘nobilitare’ (e legittimare) le sue decisioni sull’assetto del Peloponneso con il richiamo alle scelte dei suoi antenati Eraclidi. Dati i guadagni ottenuti da Argo grazie alle decisioni peloponneDato che Polibio (IX 28, 6; 33, 8-11) non specifica quali territori andarono ad Argo, l’individuazione della Tireatide è legata in particolare ad un confronto tra due passi di Pausania (II 20, 1 e II 38, 5), nel primo dei quali si accenna a una pace tra Sparta e Argo raggiunta grazie a Filippo, che aveva ricostituito gli antichi confini, mentre nel secondo si nomina la Tireatide, rientrata in possesso di Argo grazie ad un arbitrato (cfr. Paus. II 20, 1: Lakedaimoni¿oij poleme‹n pro\j ¹Argei¿ouj a)rcame/noij ou)demi¿a hÅn eÃti

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^j h)na/gkasen o( ¹Amu/ntou me/nein e)piì toi^j kaqesthko/sin a)pallagh/, priìn hÄ Fi¿lippoj sfa ^tin e)ne/monto e)c a)rxh^j oÀroij th^j xw¯raj. Paus. II 38.5-6: ta\ de\ e)p' e)mou^ th\n Qurea ¹Argei^ oi: fasiì de\ a)nasw¯sasqai di¿kv nikh/santej). Per una approfondita discussione

delle problematiche collegate alle acquisizioni territoriali di Argo, cfr. PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 27-43, che riprende e amplia quanto aveva già detto in ID., L’attitude d’Argos à l’égard des autres cités d’Argolide, in M. H. HANSEN (ed.), The polis as an urban centre and as a political community. Symposium August, 29-31 1996, Copenhagen 1997, pp. 321-351, in particolare pp. 337-338. 17 Vita Aristot. Marciana 4 (p. 29 I, 28-33 Gigon; fr. 276, 611 xlvi, p. 386 Rose). Cfr. JEHNE, Koine eirene, pp. 147-148; PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 33-34. 18 PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 31-33. 19 Cfr. Syll.³ 665, con il commento di MAGNETTO, L’intervento di Filippo II nel Peloponneso, pp. 283-308, e di PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 31-33, spesso piuttosto critico nei confronti della studiosa italiana. 20 Tac. Ann. 4.43, con il commento di PIÉRART, Argos, Philippe II e la Cynourie (Thyréatide), pp. 31-33.

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siache di Filippo21, il Tomlinson22 parla apertamente di ingratitudine a proposito dell’appoggio che, secondo Diodoro23, gli Argivi, assieme ad Arcadi ed Elei, avrebbero dato ai Tebani al momento della loro insurrezione contro il neo-sovrano Alessandro, anche se, come lo stesso storico siceliota sottolinea24, l’aiuto promesso non ebbe alcun risultato pratico, perché le truppe peloponnesiache si fermarono all’Istmo, in attesa dello sviluppo degli avvenimenti, lasciando Tebe in balìa dei Macedoni. A mio avviso, però, il comportamento tenuto dagli Argivi (e dagli altri Peloponnesiaci) può essere letto non solo e non tanto come un vero e proprio voltafaccia rispetto alla Macedonia, quanto piuttosto come un segno di lealtà e di attaccamento all’antica amicizia con Tebe, che, dopo Leuttra, aveva apertamente appoggiato tutte le loro istanze antispartane25. In effetti, che, per gli Argivi, anche dopo la morte di Filippo II, fosse ancora e sempre prioritaria l’esigenza di ribadire la propria ‘alterità’ rispetto a Sparta, sembra dimostrato dal fatto che essi non sono elencati tra gli alleati della città lacone all’epoca della guerra combattuta (e persa) da Agide III contro i Macedoni nel

Per marcare ancora di più l’importanza delle azioni di Filippo, si è ipotizzato che, dopo gli ampliamenti territoriali da lui concessi ad Argo, la città avesse introdotto una nuova tipologia onomastica, probabilmente legata a una suddivisione territoriale (?) della popolazione, che nella documentazione argiva appare a partire dall’ultimo terzo del IV secolo e scompare già all’inizio del II secolo e segue lo schema del nome personale seguito dal ‘kometico’, accanto (o al posto) del tradizionale patronimico; l’esempio più antico è in una iscrizione oggi perduta, IG XII.3 1259, un arbitrato argivo tra le due località di Melo e Cimolo, poco dopo il 337, dove i due arbitri argivi sono indicati con il nome personale. Su questa problematica, cfr., di recente, A. MAGNETTO (a cura di), Gli arbitrati interstatali greci. Volume II. Dal 337 al 196 a.C., Pisa 1997, nr. 1, pp.1-8, con una edizione del testo epigrafico sopracitato; M. PIÉRART, Argos. Une autre démocratie, in Polis & Politics. Studies in Ancient Greek History, Presented to M.H. Hansen on His Sixtieth Birthday, August 20, 2000, Copenhagen 2000, pp. 297314, in particolare pp. 297-301. 22 R.A.TOMLINSON, Argos and the Argolid, London 1972, p. 147. 23 Cfr. Diod. XVII 3, 5; 8, 5-6. 24 Diod. XVII 8, 6: oi¸ me\n e)n Peloponnh/s% stratiw¯taj e)ce/pemyan e)piì to\n ¹Isqmo\n

21

kaiì diatri¿bontej e)karado/koun, prosdoki¿mou

tou= basile/wj oÃntoj.

Cfr. supra, in questo volume, l’articolo di M. BERTOLI, Argo nel IV secolo: forza militare, debolezza politica, dove, come abbiamo già detto (cfr. supra, n. 12), si mette in evidenza il ruolo giocato nel Peloponneso da Tebe nell’appoggiare le rivendicazioni autonomistiche degli Arcadi e degli Argivi.

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331/3026. Durante il regno di Alessandro, però, al di là di questo episodio, nulla ci viene detto della situazione argiva: Argo, di fatto, non è che una delle tante realtà poleiche della Grecia metropolitana, del tutto trascurata dalle nostre fonti storiografiche, che sono interessate alla narrazione delle grandi imprese del giovane sovrano macedone e che, a proposito della città peloponnesiaca, si limitano a sottolineare la presenza in Asia di un contingente argivo, certo inquadrato tra le truppe inviate al seguito di Alessandro dalla Lega di Corinto, a testimoniare l’adesione ufficiale della città alla spedizione contro la Persia27. Se, allo stato attuale delle nostre conoscenze, non è facile tentare una ricostruzione articolata e coerente della politica estera di Argo durante i regni di Filippo e di Alessandro, se non accennando, ancora e sempre, a una lettura antispartana degli avvenimenti, risulta praticamente impossibile l’impostazione di una qualsivoglia discussione sulla sua situazione interna, perché nulla sappiamo delle dinamiche politiche della città, visto che i rari accenni alle prese di posizione argive nei confronti della realtà circostante sembrano sempre riferirsi a scelte condivise da tutto il corpo civico. L’eventuale ipotesi che la politica antispartana di quegli anni potesse avere matrice democratica sarebbe, dunque, una semplice petizione di principio, basata sul fatto che, all’epoca delle lotte per l’egemonia, in genere gli oligarchici erano filospartani, mentre i democratici erano antispartani28. Ancora nel quadro di una vera e propria ‘alterità’ rispetto a Sparta potrebbe essere letta la notizia di Diodoro sulla partecipazione di Argo alla cosiddetta guerra lamiaca29, visto che gli Spartani rifiutarono di entrare nella symmachia faticosamente Per l’elenco degli alleati di Agide III, cfr. Aeschin. III 165; sulla guerra di Agide come estremo tentativo spartano di recuperare almeno in parte i territori perduti, cfr. LANDUCCI GATTINONI, Sparta dopo Leuttra: storia di una decadenza annunciata, pp. 187-189. 27 Come prova della attiva partecipazione di Argo alla spedizione asiatica di Alessandro, in qualità di membro della Lega di Corinto, cfr. Arriano Anab. I 17, 8, il quale cita un contingente di Argivi lasciato da Alessandro a presidiare la rocca di Sardi appena conquistata. 28 Cfr. supra, in questo volume, gli articoli di C. BEARZOT, Argo nel V secolo: ambizioni egemoniche, crisi interne, condizionamenti esterni; M. SORDI, Atene e l’unione fra Argo e Corinto; e di BERTOLI, Argo nel IV secolo. 29 Cfr. Diod. XVIII 11, 2. 26

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costruita dagli Ateniesi con il fondamentale apporto degli ex-mercenari guidati da Leostene30; in questo estremo tentativo panellenico di rivendicare piena autonomia dalla Macedonia, non sappiamo né quale sia stato il reale contributo degli Argivi alle azioni militari, fino alla sconfitta subita dai Greci a Crannon, nell’autunno del 322, né quando e a quali condizioni essi abbiano firmato la pace con Antipatro31, anche se non è da escludere che Argo sia da annoverare tra quelle anonime città che, secondo Diodoro32, per meglio garantire la propria sicurezza33, chiesero e ottennero una pace separata. Argo torna alla ribalta nel convulso periodo seguito alla scomparsa di Antipatro34, quando Poliperconte, il nuovo reggente, Su questa problematica, cfr. F. LANDUCCI GATTINONI, I mercenari nella politica ateniese dell’età di Alessandro. Parte II. Il ritorno in patria dei mercenari, AncSoc, 26 (1995), pp. 5991; sulla possibile importanza dello svolgimento dei Giochi Nemei del 323 nella preparazione della guerra lamiaca, cfr. da ultimo MARI, Al di là dell’Olimpo. Macedoni e grandi santuari della Grecia dall’età arcaica al primo Ellenismo, pp. 263-267. 31 Per una breve descrizione delle fasi principali della guerra lamiaca, cfr. Diod. XVIII 16-17. 32 Diod. XVIII 17, 8: e)mpesou/shj o(rmh^j ei¹j ta\j po/leij i¹di¿# pori¿zesqai th\n swthri¿an ^ sai th^j ei¹rh/nhj eÃtuxon. taxu\ pa 33 Sulla conclusione della guerra lamiaca, cfr. da ultimo LANDUCCI GATTINONI, L’Etolia nel protoellenismo: la progressiva centralità di una periferia ‘semibarbara’, in G. VANOTTI - C. PERASSI (a cura di), In limine. Ricerche su marginalità e periferia nel mondo antico, Milano 2004, pp. 105-130, in particolare p. 120 e nn. 59-60. 34 Non è qui il luogo per affrontare compiutamente i problemi cronologici dell’età dei Diadochi, sui quali negli ultimi cinquant’anni si è sviluppata una ampia discussione critica, che ha visto gli studiosi dividersi tra i sostenitori di una cronologia alta, che è tradizionalmente legata al nome del Beloch (cfr. K.J. BELOCH, Griechische Geschichte, IV.1, Leipzig 1927², pp. 73-115) e che ha come punto di partenza la datazione del congresso di Triparadiso all’estate del 321, e i sostenitori di una cronologia bassa, che è fondata, in primis, sulle acute osservazioni del Manni (cfr. E. MANNI, Tre note di cronologia ellenistica, RAL, s. VIII, vol. IV [1949], pp. 53-85) e che ha come punto di partenza la datazione del congresso di Triparadiso all’estate del 320. Per una ricapitolazione delle ragioni a favore di una cronologia alta, cfr. A.B. BOSWORTH, Philip III Arrhidaeus and the Chronology of the Successors, «Chiron», 22 (1992), pp. 55-81; ID., The Legacy of Alexander. Politics, Warfare and Propaganda under the Successors, Oxford 2002, in particolare pp. 279-284; per una ricapitolazione delle ragioni a favore di una cronologia bassa, cfr. R.A. BILLOWS, Antigonos the One-Eyed and the Creation of the Hellenistic State, Berkeley-London 1990, pp. 82-84; F. LANDUCCI GATTINONI, in EAD. - C.F. KONRAD (a cura di), Plutarco. Sertorio - Eumene, Milano 2004, pp. 383-384. T. BOIY, Late Achaemenid and Hellenistic Babylon, Leuven 2004 (Orientalia Lovaniensia Analecta, 136), p. VIII, in una premessa intitolata «Chronological corrigenda», sottolinea di non poter più condividere in toto la «cronologia bassa» da lui adottata nel volume, 30

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nominato in articulo mortis da Antipatro, fu costretto a fronteggiare la ribellione di Cassandro, figlio del defunto, apertamente spalleggiato da Tolemeo di Lago e da Antigono Monoftalmo35, e, per rafforzare la propria posizione, emanò, in nome dei re, un diágramma con il quale proclamava la sua volontà «di liberare le città della Grecia e di rovesciare le oligarchie che in esse erano state stabilite da Antipatro»36. La città peloponnesiaca, infatti, è citata in maniera esplicita nella Biblioteca diodorea come destinataria privilegiata della lettera scritta da Poliperconte pro¢j te th£n Argei¢wn po¢lin kai£ ta£j loipa¢j, con l’ordine «di esiliare coloro che avevano avuto responsabilità di governo al tempo di Antipatro, prevedendo per alcuni anche la condanna a morte e la confisca del patrimonio, affinché questi personaggi, privati di ogni potere, non potessero in alcun modo collaborare con Cassandro»37. Il passo in questione di Diodoro, che espressamente include Argo tra le poleis ‘interessate’ a esiliare uomini eminenti a causa della loro fedeltà ad Antipatro, mi sembra non lasci dubbi sul fatto che, al termine della guerra lamiaca, nel 322/1, alla città fosse stato imposto un governo oligarchico filoantipatride, analogo a quello che, secondo la tradizione, era stato insediato ad Atene38 ma di aver maturato questa convinzione troppo tardi per modificare il testo della sua monografia, e rimanda alle riflessioni da lui presentate al convegno La transition entre l’empire Achéménide et les royaumes hellénistiques, tenutosi a Parigi nel novembre 2004 e i cui atti sono in corso di stampa nella collana «Persika»: prendiamo dunque atto di queste affermazioni di Boiy e restiamo in attesa di leggere le sue argomentazioni, continuando nel frattempo a seguire le linee cronologiche da me indicate, oltre che nel commento sopracitato alla Vita di Eumene di Plutarco, anche in F. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere. Vita e opere di Cassandro di Macedonia, Stuttgart 2003 («Historia» - Einzelschriften, 171), pp. 13-25. 35 Per una lettura globale degli avvenimenti di quel periodo, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 27-56. 36 Diod. XVIII 55, 2-3. Su questo provvedimento, cfr. E. PODDIGHE, Il diágramma di Poliperconte e la politica in Grecia nell’anno 319/8 a.C., AFLC, 53 (1998), pp. 15-59; LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, p. 41, n. 72. 37 Diod. XVIII 57, 1: eÃgrayen o( Polupe/rxwn pro/j te th\n ¹Argei¿wn po/lin kaiì ta\j loipa/j, ^ n politeuma/twn fugadeu^sai, prosta/ttwn tou\j a)fhghsame/nouj e)p' ¹Antipa/trou tw ^ n de\ kaiì qa/naton katagnw ^ nai kaiì dhmeu ^ sai ta\j ou)si¿aj, oÀpwj tapeinwqe/ntej ei¹j tinw te/loj mhde\n i¹sxu/swsi sunergei^n Kasa/ndr%. 38 Sulle decisioni di Antipatro alla fine della guerra lamiaca, cfr. la recente monografia di E. PODDIGHE, Nel segno di Antipatro: l’eclissi della democrazia ateniese dal 323/2 al 319/8 a.C., Roma 2002, con ampia discussione della bibliografia precedente.

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e che fu poi sostituito da un governo democratico dopo l’emanazione del rescritto di Poliperconte, quando la città attica si schierò dalla parte del nuovo reggente, contro Cassandro, e condannò a morte Focione, capo dei collaborazionisti filomacedoni che avevano favorito la resa ateniese dopo la sconfitta di Crannon39. Da quanto abbiamo appena detto, appare evidente che, a differenza di quanto era accaduto durante i regni di Filippo e di Alessandro, quando, all’interno delle comunità poleiche, tra le quali spiccava ancora per importanza la realtà ateniese, sempre privilegiata dalla tradizione, i democratici, in nome della libertà e dell’autonomia40, avevano in genere preso una posizione apertamente antimacedone, nel dopo-Alessandro, finita tragicamente l’esperienza della guerra lamiaca, fu data per scontata la presenza di un vero e proprio ‘protettorato’ macedone sulle comunità statali della Grecia metropolitana: per questo, all’interno di ciascuna polis, sia i democratici che gli oligarchici cercarono di arrivare al potere con l’appoggio dell’uno o dell’altro dei Diadochi, che, ormai in lotta tra di loro per la spartizione dell’impero che era stato di Alessandro, si contendevano l’alleanza di ogni singola città41. In questo quadro si inserisce anche Argo, dove, dopo l’esperienza oligarchica vissuta all’epoca di Antipatro, dovette verificarsi una svolta democratica, visto che, secondo Diodoro, unica fonte superstite realmente utile per la ricostruzione del continuum A proposito del passaggio di Atene dalla parte di Poliperconte, cfr. Diod. XVIII 6468, 1; per una lunga descrizione della fine di Focione, cfr. Plut. Phoc. 34-37 (note e commento ad locum di C. Bearzot in C. BEARZOT - J. GEIGER - L. GHILLI [a cura di], Plutarco, Vite parallele. Focione - Catone Uticense, Milano 1993, pp. 259-269. Per una riflessione su Focione, cfr. oltre alle tre monografie uscite negli anni Settanta e Ottanta del Novecento (H.J. GEHRKE, Phokion. Studien zur Erfassung seiner historischen Gestalt, München 1976; C. BEARZOT, Focione tra storia e trasfigurazione ideale, Milano 1985; L.A. TRITLE, Phocion the Good, London 1988) anche il recente studio, di taglio giuridico, di C. MOSSÉ, Le procès de Phocion, «Dike», 1 (1998), pp. 79-85. 40 Sul concetto di libertà e autonomia delle poleis all’inizio dell’età ellenistica, cfr. ora M. BERTOLI, Sviluppi del concetto di ‘autonomia’ tra IV e III secolo a.C., in C. BEARZOT - F. LANDUCCI - G. ZECCHINI (a cura di), Gli stati territoriali nel mondo antico, CSA 1, Milano 2003, pp. 87-110. 41 Per una ancora valida sintesi della situazione delle poleis greche negli ultimi venti anni del IV secolo, nel quadro degli scontri che nello stesso periodo divisero i Diadochi, cfr. ED. WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, Nancy 1979², pp. 4583; sulla realtà ateniese, cfr. CH. HABICHT, Athens from Alexander to Antony, Cambridge (Massachusetts) - London 1997 (= München 1995), pp. 36-66. 39

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storico dell’ultimo quarto del IV secolo42, tutto il Peloponneso, con l’unica eccezione di Megalopoli, aderì al rescritto del nuovo reggente, abbandonando precipitosamente l’alleanza con Cassandro: «gli amici di Antipatro vennero eliminati, i governi ripresero la libertà che nasce dall’autonomia e cominciarono a stringere alleanza con Poliperconte»43. Ma l’ostinata resistenza di Megalopoli all’assedio condotto da Poliperconte, il cui ammiraglio Clito, nel frattempo, era stato eliminato da Lisimaco, dopo essere stato rovinosamente sconfitto da Antigono44, provocò un altro voltafaccia della maggior parte delle città greche (ai ¥ plei^ stai po¢leij), che, tradito il nuovo reggente, si schierarono ancora una volta dalla parte di Cassandro45, Atene compresa, dove, come plenipotenziario del dinasta macedone, fu insediato Demetrio Falereo, il quale, rovesciato il governo democratico, instaurò un regime oligarchico, che garantiva il potere a chi avesse un censo di almeno dieci mine46. Dato il silenzio delle fonti, è impossibile stabilire se Argo fosse compresa tra le poleis tornate allora al fianco di Cassandro, anche se un, pur criptico, passo diodoreo autorizza l’ipotesi che anche nel Peloponneso il fronte anticassandreo si fosse almeno parzialmente incrinato47: lo storico di Agirio, infatti, a proposito del momento in cui Cassandro, informato della morte di Filippo III

42 Per una rapida sintesi sull’importanza di Diodoro per la storia del primo ellenismo, cfr. F. LANDUCCI GATTINONI, Per un commento storico al libro XVIII di Diodoro: riflessioni preliminari, in Epitomati ed epitomatori: il crocevia di Diodoro Siculo. Atti del Convegno, Pavia, 21-22 aprile 2004, Como 2005, pp. 175-190, con discussione della bibliografia precedente. 43 Diod. XVIII 69, 5; per un primo esplicito riferimento alla fedeltà di Megalopoli a Cassandro, cfr. Diod. XVIII 68, 3. 44 Cfr. Diod. XVIII 72, 2-9. Su questi avvenimenti, cfr. F. LANDUCCI GATTINONI, Lisimaco di Tracia, Milano 1992, pp. 106-108; EAD., L’arte del potere, pp. 39-43. 45 ^ n ¸Ellhni¿dwn po/lewn a)fista/menai tw½n basile/wn Cfr. Diod. XVIII 74, 1: ai¸ plei^stai tw pro\j Ka/sandron a)pe/klinan. Lo stesso concetto è ribadito anche a XVIII 75, 2, dove Diodoro chiude la sezione greca del libro XVIII della Biblioteca sottolineando che Cassandro, con un comportamento cortese ed energico, aveva guadagnato molti appoggi alla sua dunastei¢a. 46 Cfr. Diod. XVIII 74, 2-3. Sul governo in Atene di Demetrio Falereo e sul suo rapporto con Cassandro, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 111-117. 47 Cfr. Diod. XIX 35, 1.

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Arrideo e di sua moglie Euridice, decise di tornare in Macedonia48, se, da un lato, con la notizia che l’Antipatride stava allora assediando Tegea, sottolinea la presenza di comunità ancora fedeli a Poliperconte, dall’altro, con l’indicazione che la partenza del dinasta lasciò i suoi alleati e)n pollÍ taracÍ, poiché Alessandro, figlio di Poliperconte, ‘insidiava’ le città del Peloponneso, conferma che era almeno in via di ricostituzione quella rete di alleanze filoantipatridi sfaldatasi circa due anni prima in conseguenza della pubblicazione del rescritto del nuovo reggente. Argo fu, invece, sicuramente coinvolta nelle lotte tra i generali macedoni nel 315, quando scoppiò la cosiddetta III guerra dei Diadochi, combattuta da Antigono e da suo figlio Demetrio contro una coalizione formata da Cassandro, Lisimaco, Tolomeo e Seleuco49, visto che il nome della città è citato per ben due volte da Diodoro, nel quadro delle manovre militari messe in atto da Cassandro, all’inizio della guerra, per rinsaldare la sua posizione nel Peloponneso50. Nel primo caso, la città fu costretta a tradire l’alleanza con Alessandro, figlio di Poliperconte, mentre nel secondo caso, descritto dallo storico con una certa accuratezza, Argo fu teatro di un fallito tentativo di ribellione da parte di coloro che erano ostili all’Antipatride, i quali, approfittando dell’assenza di un aliter ignotus Apollonide51, stratego nominato in loco da Cassandro, aveSu queste mosse di Cassandro, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 39-43. Per una sintesi sulla III guerra dei Diadochi, cfr. WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 54-65; BILLOWS, Antigonos the One-Eyed, pp. 109-134; LANDUCCI GATTINONI, Lisimaco di Tracia, pp. 110-121; per un aggiornamento bibliografico, cfr. ora EAD., La tradizione su Seleuco in Diodoro XVIII-XX, in Diodoro e l’altra Grecia. Milano, 15-16 gennaio 2004, Milano 2005, pp. 155-181. 50 Diod. XIX 54, 3-4; 63, 1-2. I due passi in questione, nel contesto della Biblioteca, sono inseriti in due diverse spedizioni di Cassandro dalla Macedonia al Peloponneso; come ho già notato altrove (cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 13-25), il problema dell’interpretazione delle mosse di Cassandro è complesso, anche a causa di una serie di incongruenze cronologiche, peraltro più volte segnalate dalla critica (sull’aspra discussione ancora oggi viva tra i moderni per una precisa definizione della cronologia dei quindici anni successivi alla morte di Alessandro, cfr. supra, p. 318 n. 34), ma, in questa sede, a noi interessa soltanto notare il coinvolgimento di Argo nelle manovre dell’Antipatride, a prescindere dall’individuazione di una soluzione definitiva dei problemi sopra citati. 51 Il nome Apollonide era piuttosto diffuso tra i Macedoni, come dimostra l’elenco citato in A.B. TATAKI, Macedonians Abroad. A Contribution to the Prosopography of Ancient 48 49

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vano mandato a chiamare Alessandro, promettendogli di consegnargli la città; questi, però, tardò ad arrivare e fu preceduto da Apollonide stesso, che «sorprese gli oppositori riuniti a consiglio nel pritaneo in cinquecento e, serrate le vie d’uscita, li bruciò vivi. Esiliò i rimanenti per la maggior parte, pochi li fece arrestare e uccidere»52. Argo rimase così sotto il controllo di Cassandro, controllo che, poco dopo, fu definitivamente stabilizzato dall’accordo stipulato tra l’Antipatride e Alessandro, figlio di Poliperconte, che, in cambio del titolo di stratego del Peloponneso, accettò di cessare le ostilità e di siglare un trattato di alleanza in funzione antiantigonide53; anche se Diodoro, che pure si era dilungato a descrivere il regime oligarchico organizzato da Demetrio Falereo in Atene54, nulla ci dice sulla natura della politei¢a di Argo sotto il patronato cassandreo, è facile ipotizzare, per analogia con la città attica, la presenza in loco di un governo oligarchico, che avesse, comunque, come suo primo obiettivo il mantenimento di un rapporto privilegiato con il dinasta macedone, da cui dipendeva la sua stessa sopravvivenza, come dimostra, ancora una volta, il caso di Atene, dove il Falereo fu costretto all’esilio quando, nel 307, la città passò sotto il controllo di Demetrio Poliorcete55. Macedonia, Athens 1998 «Meletemata», 26, p. 257; in questo elenco, oltre allo stratego di Cassandro citato nel passo di Diodoro che stiamo esaminando, è presente solo un altro personaggio con qualche rilevanza storica, citato da Plut. Demetr. 50, 3-4 come ex-collaboratore di Demetrio passato al servizio di Seleuco, ma ricordato, ancora nell’entourage antigonide, in un decreto ateniese (IG II² 492) e in una iscrizione onoraria di Efeso (Syll.³ 352 = IK 15, Ephesos V 1448, linea 11) (su questo personaggio, cfr. le note biografiche presenti in BILLOWS, Antigonos the One-Eyed, pp. 369-370; il suo nome non è presente negli elenchi compilati da C. CARSANA, Le dirigenze cittadine nello stato seleucidico, Como 1996). Difficile pensare a una identificazione dei due Apollonide, perché in base al decreto ateniese sembra inevitabile ipotizzare una costante presenza del secondo nell’entourage antigonide prima della battaglia di Ipso. 52 Diod. XIX 63,1-2 (la traduzione è di P. MARTINO in Diodoro Siculo, Biblioteca Storica. Libri XVI-XX, Palermo 1992, p. 258). 53 Cfr. Diod. XIX 64, 3-4. 54 Cfr. Diod. XVIII 74, 2-3. 55 Sull’ingresso del Poliorcete in Atene e sulla conseguente caduta del regime di Demetrio Falereo nel 307, cfr. Diod. XX 45-46; Strabo IX 1, 20 (C398); Plut. Demetr. 89; Diog. Laert. V 78; Suid. D429 s.v. Dhmh¢trioj Fanostra¢tou. Per un’analisi della questione, cfr. BILLOWS, Antigonos the One-Eyed, pp. 147-150; HABICHT, Athens from Alexander to Antony, pp. 67-74; LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 117-118.

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La situazione di Argo deve essere rimasta invariata per più di un decennio, visto che la città era ancora saldamente in mano a Cassandro nel 303, quando, secondo Plutarco56, fu ‘liberata’ da Demetrio, insieme a molte altre località, negli scontri che il giovane Poliorcete, padrone di Atene dal 307, combatté appunto in quell’anno per eliminare dal Peloponneso l’influenza dell’Antipatride; a questo episodio è stata riferita anche un’iscrizione ritrovata ad Argo, presso il santuario di Apollo Pizio, con una dedica a Latona in ricordo della cacciata di Plistarco, fratello di Cassandro, dalla città57. Che l’impresa citata in questo titulus vada datata al 303 circa, è dimostrato da un decreto ateniese, pubblicato per la prima volta nel 1948 dal Ferguson58, ma poi integrato con un secondo frammento e riletto con maggiori margini di sicurezza dal Woodhead59; in questo decreto, infatti, sono ricordate le imprese di Demetrio Poliorcete che, negli anni compresi tra il 304 e il 302, portarono alla liberazione di molte città del Peloponneso60, e vi è citato con certezza il nome di Plistarco61, in un contesto purtroppo troppo lacunoso per ricostruire con precisione l’episodio di riferimento. Se queste due prime iscrizioni ci testimoniano la partecipazione di Plistarco alla sfortunata difesa del Peloponneso, attaccato dal Poliorcete, da parte delle forze armate di Cassandro tra il 304 e il 302, altri due documenti epigrafici attestano la presenza di Plut. Demetr. 25, 1-2. Cfr. il testo in L. MORETTI (ed.), Iscrizioni storiche ellenistiche (= ISE), I, Firenze 1967, 39, pp. 89-90; a proposito di questa iscrizione, confermando l’identificazione del Plistarco ivi citato con l’omonimo fratello di Cassandro, M. PIÉRART, Note sur l’alliance entre Ahènes et Argos (Thuc. I 107-108), «Museum Helveticum», 44 (1987), pp. 175180, e, in particolare, p. 177 e n. 20, accenna a una iscrizione, ancora inedita, di Argo, che, a suo avviso, attesterebbe la presenza in città di una guarnigione macedone all’epoca del dominio cassandreo sulla città. In generale, su Plistarco, fratello di Cassandro, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 73-77. 58 W.S. FERGUSON, Demetrius Poliorcetes and the Hellenic League, «Hesperia», 17 (1948), pp. 112-136 (cfr. ISE 5, pp. 8-10). 59 A.G. WOODHEAD, Athens and Demetrios Poliorketes at the End of the Fourth Century B.C., in Ancient Macedonian Studies in Honor of C.F. Edson, Thessaloniki 1981, pp. 357-367. 60 Per un rapido sommario di queste vicende, cfr. BILLOWS, Antigonos the One-Eyed, pp. 170-173. 61 Cfr. il testo di WOODHEAD, Athens and Demetrios Poliorketes at the End of the Fourth Century B.C., pp. 359-360, l. 6. 56

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Plistarco nello schieramento ostile all’Atene antigonide del 304, durante gli scontri avvenuti nel corso della cosiddetta guerra dei Quattro Anni62: un decreto ateniese del 304/3 onora un certo Medone, collaboratore dei re (Antigono e Demetrio), per aver annunciato al demos le buone nuove che riguardavano le piazzeforti poco prima conquistate da Cassandro e Plistarco63, mentre una defixio di piombo, ritrovata negli scavi degli anni ’60 del Novecento in un pozzo nella zona del Ceramico64, invoca la maledizione degli dèi inferi su quattro personaggi, Cassandro, Plistarco, Eupolemo e Demetrio Falereo, cioè su quanti, legati al potere antipatride, potevano costituire una minaccia per l’Atene antigonide di quegli anni. Argo, dunque, alla vigilia della battaglia di Ipso, era, come Atene, controllata da Demetrio e, come la città attica, proclamava apertamente la sua avversione a Cassandro, che del Poliorcete era nemico acerrimo: come abbiamo già accennato65, a vent’anni dalla morte di Alessandro Magno, per Argo, come per tutte le poleis greche, era ormai diventato normale sottolineare in maniera esplicita il proprio schieramento, non più a favore o contro la Macedonia, ma a favore o contro l’uno o l’altro dei Diadochi, che, una volta eliminato il giovane Alessandro IV, avevano già da qualche tempo assunto ufficialmente il titolo regio. Per quanto riguarda, invece, gli avvenimenti posteriori alla battaglia di Ipso, resta un mistero che cosa sia successo ad Argo nei primi trent’anni del III secolo66: perduti i libri della Biblioteca diodorea successivi al XX, la ricostruzione di un quadro, se non completo, almeno coerente, delle vicende greche dell’epoca appare Sulla cosiddetta ‘guerra dei Quattro Anni’, cfr. HABICHT, Athens from Alexander to Antony, pp. 74-77, e LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 118-120. Cfr. A.P. MATTHAIOU, jAttiko£ yh¢fisma tou^ 304-3 p.X., «Horos», 4 (1986), pp. 19-23 (= SEG 36 [1986], n. 165). 64 Cfr. K. BRAUN, Der Dipylon - Brunnen B1, Die Funde, MDAI(A), 85 (1970), pp. 129-209, in particolare pp. 197-198; D.M. JORDAN, Two Inscribed Lead Tablets from a Well in the Athenian Kerameikos, MDAI(A), 95 (1980), pp. 225-239. 65 Cfr. supra, p. 320. 66 A questo proposito, cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 151-152, il quale, in poche parole, sintetizza con efficacia gli avvenimenti del primo, tumultuoso, trentennio del III secolo, sui quali, in generale, è ancora fondamentale l’analisi di WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 85-110. 62

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molto difficoltosa, perché l’unico continuum storico è rappresentato dall’epitome delle Historiae Philippicae di Pompeo Trogo, compilata da Giustino Giuniano in età tardo-imperiale, alla quale si aggiungono due Vitae di Plutarco, la biografia di Demetrio Poliorcete e la biografia di Pirro, e una serie di notizie, spesso parzialmente o totalmente decontestualizzate, presenti in una pletora di fonti, più o meno tarde, di matrice erudita e/o paremiografica. In questo panorama di estrema povertà storiografica, il nome di Argo è citato solo a proposito della morte di Pirro, che avvenne proprio nella città peloponnesiaca, nel 272, e che è descritta da Giustino, Plutarco e Pausania67, anche se solo gli ultimi due ci offrono una serie di utili indicazioni sulla situazione politica argiva68. Pausania, dopo aver sottolineato che gli Argivi si erano schierati accanto agli Spartani del re Areo, attaccati da Pirro per istigazione del pretendente Cleonimo69, accenna all’arrivo in loco di Antigono Gonata, in qualità di nemico dell’Epirota, e si limita ad affermare che, «mentre il sovrano macedone era sul punto di trasferire l’esercito da Argo in Laconia, Pirro era già arrivato ad Argo»70, senza alcun esplicito riferimento ad una ‘alleanza’ tra Argo e il Gonata, della quale nulla dice anche Giustino71; Plutarco, invece, si addentra nell’analisi delle problematiche argive, informandoci del fatto che «ad Argo era in corso una contesa tra Aristeo ed Aristippo. Poiché Aristippo aveva fama di godere l’amicizia di Antigono, Aristeo si affrettò a chiamare in Argo Pirro prima di Antigono»72. In base a quanto afferma Plutarco, è, dunque, evidente che ad Cfr. Iust. XXV 4, 6-5, 2; Plut. Pyrrh. 30-34; Paus. I 13, 6-8. Per una recente riflessione sulla situazione di Argo all’epoca della morte di Pirro e sulla genesi della tradizione storiografica giunta sino a noi, cfr. M.PIÉRART, La mort de Pyrrhos à Argos, EC (Luxembourg) 1 (1990), pp. 2-19. 69 Cfr. Paus. I 13,6; sulla trattazione che Pausania dedica a Pirro, cfr. C. BEARZOT, Storia e storiografia ellenistica in Pausania il Periegeta, Venezia 1992, pp. 227-259. Sulla problematica spartana di questi anni, cfr. CARTLEDGE -[SPAWFORTH], Hellenistic and Roman Sparta, pp. 31-34; per un’analisi particolareggiata della figura di Areo, cfr. G. MARASCO, Sparta agli inizi dell’età ellenistica: il regno di Areo I (309/8 – 265/4 a.C.), Firenze 1980, passim. 70 Paus. I 13, 7. 71 Iust. XXV 4, 6-5, 2. 72 Plut. Pyrrh. 30, 1-2. 67

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Argo, per l’ennesima volta, si contrapponevano due diversi schieramenti, l’un contro l’altro armati e pronti anche alla guerra civile pur di eliminare la fazione concorrente: dato che lo scontro tra Pirro e Antigono terminò con la totale vittoria del sovrano macedone, che proprio in questa occasione si liberò definitivamente dell’Epirota73, è facile ipotizzare che nella contesa argiva tra due personaggi, Aristeo ed Aristippo, non altrimenti noti, abbia avuto la meglio Aristippo, la cui autorità ad Argo sarebbe stata assicurata, secondo Tomlinson74, dal predominio militare allora conquistato, nella Grecia continentale, dal suo protettore Antigono Gonata75. Di questo Aristippo non abbiamo ulteriori esplicite citazioni nelle fonti e al suo nome, nel contesto della descrizione dell’attacco di Pirro ad Argo, non è associato alcun epiteto, tantomeno quello di ‘tiranno’ della città, ma il passo plutarcheo che ne ricorda la posizione di capo della fazione filoantigonide è stato considerato motivo sufficiente per annoverarlo tra gli esponenti di un’influente famiglia argiva che dominò la città, nei decenni immediatamente precedenti la sua definitiva inclusione nella Lega achea guidata da Arato di Sicione76, attraverso una serie di personaggi che le fonti storiografiche ricordano come i «tiranni» di Argo77. In particolare, l’Aristippo schierato al fianco del 73 Sul comportamento ‘da filosofo’ di Antigono Gonata in questa, come in altre occasioni, cfr. S.COCCIOLO, Enigmi dell’ h'^ qoj: Antigono II Gonata in Plutarco e altrove, in B. VIRGILIO (a cura di), Studi ellenistici III, Pisa 1990, pp.135-190; ID., Lancia, diadema e porpora. Il re e la regalità ellenistica, Pisa 2003², pp. 68-69, (proprio a proposito della morte di Pirro, Pausania, a I 13, 9, accusa Ieronimo di piaggeria nei confronti del Gonata, suo grande protettore; su tale problematica, cfr. da ultimo LANDUCCI GATTINONI, Per un commento storico al libro XVIII di Diodoro: riflessioni preliminari, pp. 175-190). 74 TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 154-155. 75 Sul ‘protettorato’ di Antigono Gonata in Grecia, che uscì rafforzato anche dal tentativo di ribellione che è noto con il nome di guerra cremonidea, cfr. la concisa sintesi di J.J. GABBERT, Antigonus II Gonatas: A Political Biography, London - New York 1997, pp. 33-53. 76 Non è qui il luogo per una riflessione sull’esperienza politico-militare di Arato di Sicione: per un approccio complessivo a queste problematiche, cfr., oltre alla, ormai datata, monografia di F.W. WALBANK, Aratos of Sicyon, Cambridge 1933, l’analisi di R. URBAN, Wachstum und Krise des Achäischen Bundes, Wiesbaden 1979 («Historia» Einzelschriften, 35); per un breve aggiornamento G. MARASCO (a cura di), Plutarco, Vite, V, Torino 1994, pp. 543-559, con bibliografia. 77 Su questi ‘tiranni’ di Argo, cfr. le notizie, ampie e particolareggiate, di Plut. Arat. 2529; 35; 44-45; Polyb. II 44, 6; 59-60. Per quanto riguarda i moderni, cfr. oltre alla ormai classica trattazione di H. BERVE, Die Tyrannis bei den Griechen, München 1967, I, pp. 396-

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Gonata nel 272 è stato identificato come il padre di un Aristomaco, che è chiamato esplicitamente da Plutarco tiranno di Argo78, perché alla morte di questi, avvenuta intorno al 24179, il potere fu preso da un altro Aristippo, «tiranno più funesto dell’altro»80, il quale viene ritenuto figlio del suo predecessore e, data la tradizione onomastica greca, che privilegiava per il primogenito il nome del nonno paterno, nipote dell’omonimo personaggio vissuto all’epoca della scomparsa di Pirro81. In questo quadro ‘dinastico’ sembra inserirsi anche un decreto ateniese, inciso non stoichdo¢n, per un totale di circa 40-45 caratteri per linea, su una pietra di cui oggi sopravvivono tre frammenti (a.b.c.), di cui il primo gravemente mutilo, il secondo spezzato nella parte destra e il terzo privo della parte finale82: in esso viene onorato un Aristomaco di Argo, non solo per essere sempre stato benevolo nei confronti degli Ateniesi, ma soprattutto per essere stato lealmente al loro fianco durante una guerra combattuta dalle due città contro un Alessandro, figlio di Cratero, nel quale gli editori hanno riconosciuto il nipote del Gonata, che, dopo la morte del padre, plenipotenziario macedone di Corinto, rimasto fino alla fine leale collaboratore del fratellastro Antigono83, proclamò la sua indipendenza dalla monarchia di Pella, schierandosi frontalmente contro lo zio paterno84. 400, II, pp. 710-712, anche lo studio, a volte un po' approssimativo, di J.MANDEL, A propos d'une dynastie de tyrans à Argos, «Athenaeum», 67 (1979), pp. 293-307. 78 Cfr. Plut. Arat. 25, 1. 79 Terminus post quem per la morte di Aristomaco e l'inizio della tirannide di Aristippo (II) è la presa di Corinto nel 243, descritta da Plutarco nei capitoli precedenti della Vita di Arato; terminus ante quem è invece la morte di Antigono Gonata nel 239, poiché Plutarco dice che Aristippo (II) tramava contro Arato «con l’appoggio di Antigono», che dunque in quel momento era ancora sicuramente in vita. 80 Cfr. Plut. Arat. 25, 4 (la traduzione è di V. Antelami in M. MANFREDINI - D.P. ORSI V. ANTELAMI [a cura di], Plutarco, Le Vite di Arato e di Artaserse, Milano 1987, p.59). 81 Cfr. BERVE, Die Tyrannis bei den Griechen, II, pp. 711. 82 IG II² 774 (il decreto è presente anche in ISE 23, ma preferisco usare come riferimento la versione di Kirchner, del 1903, delle IG, perché nell’edizione, pur molto più recente [1967], del Moretti non è più leggibile la distinzione dei tre frammenti [a.b.c], dalla cui collazione ha avuto origine il testo da utilizzare in sede storica). 83 Sull’origine di questo Cratero, nato dalle nozze di Fila, madre del Gonata, con il Cratero stretto collaboratore di Alessandro Magno, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 77-78, con bibliografia. 84 Sulla ribellione di Alessandro, ricostruibile e databile con difficoltà, dato lo scarso

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Anche se, allo stato attuale delle nostre conoscenze, è molto difficile datare con precisione il momento e la durata della ribellione di Alessandro, gli studiosi, pur non arrivando a una soluzione univoca, collocano il decreto ateniese in un arco di tempo compreso tra il 250 e il 24385, autorizzando così l’ipotesi che l’Aristomaco citato nel testo sia da identificare con l’omonimo personaggio ucciso nel 241. Questi, dunque, all’epoca della rivolta del figlio di Cratero, così come il suo (ipotetico) padre Aristippo all’epoca dell’attacco di Pirro nel Peloponneso, sembra essere rimasto, per quanto possibile, fedele ad Antigono: secondo gli Ateniesi86, infatti, egli non solo avrebbe cercato di resistere alle pressioni del ribelle, che lo invitava a una tregua separata, ma, una volta costretto alla pace (forse perché il Gonata, perduta Corinto, non riusciva a inviare aiuti oltre l’Istmo), si sarebbe mostrato capace di contrattare al meglio le condizioni sulla cessazione delle ostilità, senza lasciarsi convincere ad abbandonare Atene al suo destino. Se nella seconda, ed ultima parte superstite del decreto ateniese in onore di Aristomaco, che corrisponde al fr. c della pietra, sono elencate le sue benemerenze nei confronti della città attica, nella prima parte del decreto, gravemente mutila sia nell’intero fr. a, sia nella parte destra del fr. b, sembra si ricostruissero i rapporti pregressi della famiglia di Aristomaco con Atene, in un periodo che ha come terminus ante quem il 297, perché nel fr. a, rilievo ad essa dato dalle poche fonti superstiti, cfr. la sintesi di WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 316-325. Cfr. da ultimo, Ch. HABICHT, Untersuchungen zur politischen Geschichte Athens im 3. Jahrhundert v. Ch., München 1979 («Vestigia», 30), p. 125, che data il decreto non prima del 249/8 (della stessa opinione, S.V. TRACY, Two Attic Letter Cutters of the Third Century. 286/5-235/4 B.C, «Hesperia», 57 [1988], pp. 303-322, in particolare pp. 309310); sulla base delle riflessioni di Habicht, B.D. MERITT, Mid-third Century Athenian Archons, «Hesperia», 50 (1981), pp. 78-99, in particolare pp. 91-92, ha ripreso quanto aveva già sostenuto molti anni prima (cfr. B.D. MERITT, Greek Inscriptions, «Hesperia», 4 [1935], pp. 525-590, in particolare pp. 551-552; ID., Greek Inscriptions, «Hesperia», 7 [1938], pp. 77-160, in particolare pp. 144-145), datando il decreto al 249/8 (della stessa opinione, D.P. ORSI, La rivolta di Alessandro, governatore di Corinto, «Sileno», 13 [1987], pp. 103-122); molto articolata la posizione di M.J. OSBORNE, The Chronology of Athens in the Mid Third Century B.C., ZPE, 78 (1989), pp. 209-242, in particolare pp. 221-225, che ritiene Lisiade l’arconte citato nel prescritto del decreto in questione e data il suo arcontato al 243/2. 86 Cfr. IG II² 774 fr. c, ll. 14-21. 85

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linea 11, sono ancora leggibili le prime quattro lettere del nome di Cassandro, morto appunto nel 29787, in evidente connessione con una azione ‘strategica’, cioè di ambito militare, di un personaggio, citato, nel medesimo frammento, alla linea 9, dove, dopo il prescritto, iniziavano le motivazioni del decreto. Secondo tutti gli studiosi, le poche lettere ancora leggibili (-oj o( ) Ari-) nella suddetta linea 9 del fr. a sarebbero un lacerto dell’onomastica di un antenato di Aristomaco stesso, da identificare con il padre o il nonno paterno del nostro, a seconda dell’integrazione proposta: [< jAri¢stipp]oj o( ) Ari[stoma¢cou path£r- - -] oppure [ ' Aristo¢macoj o( pa¢pp]oj o( ) Ari[stoma¢cou- - -]88. Pur non essendo pochi gli studiosi che, su questo punto, preferiscono non prendere posizione89, credo abbia ragione chi pensa non al padre, ma al nonno di Aristomaco, perché, come sottolinea il Moretti90, «comporta qualche difficoltà ammettere che Aristippo (I), che era a capo dei filomacedoni di Argo nel 272 (Plut. Pyrrh. 30), fosse tra i maggiorenti di quella città già nel 303 circa, ai tempi di Cassandro», quando, dai pochi lacerti superstiti del fr. a del decreto, sembra possibile pensare a una qualche azione (immaginiamo in favore di Atene) compiuta da questo antenato di Aristomaco. L’esplicita datazione al 303, da parte di Moretti, dell’episodio citato nel decreto è, naturalmente, dovuta al fatto che in quell’anno, come abbiamo già accennato91, Argo si Sulla morte di Cassandro, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, pp. 82-83. La prima integrazione, fatta propria da J. Kirchner in IG II² 774 fr. a, linea 9, era già stata proposta in precedenza da U. Köhler, in IG II 5, 371c, linea 9. La seconda integrazione, proposta, in primis, da A. WILHELM, Attische Urkunden, SBAW, 202/5 (1925) pp. 15-34 (= in ID., Akademieschriften, I, Leipzig 1974, pp. 475-494), è stata accolta in ISE 23, linea 9. 89 Cfr., ad esempio, le riflessioni di due storici, scritte a distanza di quasi sessanta anni le une dalle altre: G. DE SANCTIS, Atene dopo Ipso e un papiro fiorentino, RFIC, 64 (1936), pp. 134-152, in particolare pp. 141-144, che, a proposito dell’antenato di Aristomaco, ricorda (p. 142) «i meriti di Aristippo, figlio di Aristomaco, il padre di Aristomaco I, ovvero del nonno di Aristomaco I, Aristomaco figlio di Aristippo», senza alcuna nota di riferimento; P. CHARNEUX, En relisant les décrets Argiens (II), BCH, 115 (1991), pp. 297-323, in particolare p. 315, il quale scrive che «l’on a d’abord rappelé, dans une première partie, les mérites de son père Aristippos, ou de son grand-père et homonyme», anche qui senza alcuna nota di riferimento. 90 Cfr. MORETTI, ISE 23, p. 50, n. 1. 91 Cfr. supra, p. 324. 87

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liberò dal protettorato di Cassandro e, come già Atene, entrò nell’orbita del Poliorcete, il cui figlio, Antigono Gonata, era ancora il patronus di entrambe le città all’epoca del decreto ateniese in onore di Aristomaco: il contesto filoantigonide in cui si compiva, in Atene, la celebrazione di questo personaggio imponeva, infatti, l’esaltazione di quanto era avvenuto nei momenti in cui Argo ed Atene erano entrambe allineate alla politica dei discendenti del Monoftalmo. Su queste basi, il Moretti, in ciò che rimane del fr. b, legge che, durante una spedizione militare inviata dalla città (degli Argivi?), l’antenato di Aristomaco, in qualità di stratego, invitò «il comandante dei fanti e dei cavalieri a dar dimostrazione della cordialità dei rapporti e dell’amicizia che hanno gli Argivi verso il popolo degli Ateniesi; e dopo questo invio, non appena accadde che i (soldati lasciati in Atene da ????) si allontanassero, venuto assieme agli Argivi restituì in piena sicurezza il popolo degli Ateniesi nel possesso delle Lunghe Mura e del Pireo»92. La datazione di questo episodio di stretta collaborazione tra Argo e Atene, di cui non resta alcuna traccia nella tradizione storiografica, è legata all’integrazione, alla linea 6, del nome, completamente in lacuna, del comandante dei soldati, lì citati: l’integrazione più antica, u ([po£ Kassa¢ndrou, ancora proposta dal Kirchner93, è oggi considerata inaccettabile perché era costruita su una diversa lettura del testo, che presupponeva il riferimento a una spedizione, organizzata, non da Argo ad Atene, ma da Atene ad Argo, in appoggio alla campagna peloponnesiaca di Demetrio Poliorcete del 303, lettura respinta con autorevolezza dal Wilhelm94, la cui opinione, su questo punto, è ormai divenuta canonica95. Molto dubbia appare anche l’integrazione u([po£ Dhmhtri¢o ¢ u, proposta dal Wilhelm contestualmente al rifiuto di quella sopra citata96, Cfr. ISE 23, linee 24 - 31 (cfr. IG II² 774 fr. b, ll. 1-9, con integrazioni diverse delle parti mancanti). Cfr. l’integrazione di Kirchner IG II² 774 fr. b, l. 6. 94 Cfr. WILHELM, Attische Urkunden, pp. 15-34. 95 Cfr. ad esempio DE SANCTIS, Atene dopo Ipso e un papiro fiorentino, p. 142; MORETTI in ISE 23, p. 49; CHARNEUX, En relisant les décrets Argiens (II), p. 315, n. 118. 96 Cfr. WILHELM, Attische Urkunden, pp. 15-34. 92

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integrazione che daterebbe l’episodio intorno al 301, quando gli Ateniesi abbandonarono Demetrio dopo la battaglia di Ipso; come nota opportunamente il Moretti97, «al tempo del decreto Atene è alleata (e sottoposta) ad Antigono Gonata: non è credibile che in quelle circostanze gli Ateniesi ricordassero in un loro decreto la ritirata delle guarnigioni che erano state loro imposte da Demetrio Poliorcete, padre del Gonata». Resta la terza e ultima integrazione, u ([po£ Laca¢rouj, proposta dal De Sanctis e accettata dal Manni98, in base alla quale l’episodio in questione andrebbe collocato intorno al 295, nel momento in cui Atene, con l’aiuto del Poliorcete, si liberò dalla tirannide di Lacare, che si era imposta pochi anni prima con la benedizione di Cassandro99 e rientrò così nell’orbita demetriaca; quest’ultima ipotesi non sembra, in effetti, avere controindicazioni cogenti, poiché ben si inquadra in un contesto che si qualifica come prettamente filoantigonide ed è anche posteriore agli avvenimenti ‘cassandrei’ già ricordati nel fr. a, i cui contenuti, però, nello stato attuale della pietra, sono purtroppo perduti. Nel decreto ateniese per Aristomaco, viene, dunque, celebrata la persistenza, intorno alla metà del III secolo, di un solido legame tra Argo ed Atene, nato tra la fine del IV e l’inizio del III secolo nel segno del protettorato di Demetrio Poliorcete e consolidatosi (ad Argo dopo le vicende di Pirro, ad Atene dopo la guerra cremonidea)100 in una piena fedeltà al Gonata, che nella città peloponnesiaca sembra si concretizzasse nel rapporto privilegiato tra il sovrano macedone e gli esponenti di quella dinastia di ‘tiranni’, che, come abbiamo già accennato101, assume notevole rilevanza nelle pagine che la tradizione storiografica dedica alle MORETTI in ISE 23, p. 49. Cfr. DE SANCTIS, Atene dopo Ipso e un papiro fiorentino, pp. 141-144; E. MANNI, Demetrio Poliorcete, Roma 1951, pp. 107-108. 99 A proposito di Lacare, sulle cui vicende sono poche le notizie giunte sino a noi e molte le problematiche di difficile, se non impossibile, soluzione, cfr. LANDUCCI GATTINONI, L’arte del potere, p. 122 n. 176, con ampia discussione della bibliografia. 100 Sulle complesse problematiche della guerra cremonidea, cfr. la recente, ma fin troppo concisa, sintesi di GABBERT, Antigonus II Gonatas: A Political Biography, pp. 4553; molto più articolata e attenta all’analisi delle fonti la pur breve esposizione di WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 219-233. 101 Cfr. supra, pp. 327-328. 97 98

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interrelazioni tra Argo, Arato di Sicione e la Lega achea nel terzo quarto del III secolo. Plutarco, infatti, riserva ben otto capitoli della Vita di Arato alle vicende di tre ‘tiranni’ argivi102, l’Aristomaco morto intorno al 241 che abbiamo identificato con il destinatario del decreto ateniese IG II² 774, il (figlio e) successore Aristippo e, di nuovo, un Aristomaco, detto Aristomaco il Giovane103, probabilmente fratello del suo predecessore Aristippo e figlio minore del suo omonimo, già onorato dagli Ateniesi104. Polibio, invece, all’interno della sezione del libro II delle Storie incentrata sulla genesi della Lega achea, appunta la sua attenzione solo sul cosiddetto Aristomaco il Giovane e, in aperta polemica con Filarco, la cui opera è purtroppo perduta, ne fa il prototipo del traditore e dell’oppressore dei propri concittadini, meritevole, per questo, delle punizioni più atroci105. Anche Plutarco giudica con severità i ‘tiranni’ di Argo, specie dove dipende da fonti chiaramente favorevoli ad Arato, loro nemico giurato106, ma, al di là di invettive e/o descrizioni spesso fastidiosamente moralistiche, egli sottolinea più volte l’esistenza del loro legame privilegiato con i sovrani antigonidi, dandoci nel contempo informazioni sufficienti a costruire un sommario della storia della dinastia nella seconda metà del III secolo107. Cfr. Plut. Arat. 25-29; 35; 44-45. Cfr. Cfr. Plut. Arat. 29, 6. 104 Che Aristomaco il Giovane non fosse figlio del suo predecessore Aristippo ma di Aristomaco (II) è dimostrato da due iscrizioni, a lui dedicate, nelle quali egli è citato appunto come Aristomaco, figlio di Aristomaco: si tratta di una iscrizione di Tegea (Syll.³ 510), in cui gli abitanti della città onorano con una panoplia e l’isopoliteia Aristomaco, figlio di Aristomaco, Argivo, e di tre basi, ritrovate ad Epidauro (IG IV².1.621 = ISE 45), che dovevano sostenere le statue del tiranno e di due suoi familiari, a sinistra la nipote Apia, figlia di Aristippo, a destra un personaggio dalle generalità perdute, al centro il nostro Aristomaco, figlio di Aristomaco. 105 Cfr. Polyb. II 44, 6; 59-60. A proposito delle invettive polibiane, F.W. WALBANK, A Historical Commentary on Polybius, I, Oxford 1957, pp. 265-267, cita le invettive antitiranniche di Cicerone (de re pub. II 48), dove il tiranno, in generale, è considerato l’animale in assoluto più inviso agli dèi e agli uomini. 106 Sulle fonti della Vita di Arato di Plutarco, cfr. le riflessioni di D.P. ORSI in MANFREDINI-ORSI-ANTELAMI, Plutarco, Le Vite di Arato e di Artaserse, pp. ix-xv, e di MARASCO, Plutarco, Vite, V, pp. 543-556. 107 Per una sintesi della storia di Argo nella seconda metà del III secolo, fino all’ascesa al trono di Filippo V, cfr. TOMLINSON, Argos and the Argolid, pp. 155-161; per una sintesi di più ampio respiro, al di là degli stretti confini argivi, cfr. WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 343-401. 102

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Se Aristomaco (il destinatario del decreto ateniese sopracitato) e il suo (figlio e) successore Aristippo erano ‘amici’ di Antigono108, Aristomaco il Giovane riuscì a mantenersi al potere, dopo l’uccisione di Aristippo da parte di Arato, solo grazie all’aiuto delle truppe di un re, che non può non essere identificato con Demetrio II, figlio e successore del Gonata, salito al trono nel 239 e, a quanto ci risulta, rimasto fedele al sistema paterno di alleanze109. Aristomaco il Giovane, però, non molto tempo dopo essere divenuto tiranno, si allontanò dalla politica dei suoi predecessori, caratterizzata dall’amicizia con gli Antigonidi e dall’ostilità con Arato: egli, infatti, decise di fare entrare Argo nella Lega achea, ancora ferocemente anti-macedone, in un momento che non è per noi facilmente precisabile, data la vaghezza cronologica in proposito di Polibio e di Plutarco, nostre uniche fonti sull’argomento, ma che è in genere fissato intorno al 239, anno della morte di Demetrio II e dell’inizio della reggenza di Antigono Dosone, in nome e per conto dell’ancora minorenne Filippo V110. Questo ‘tradimento’ dell’amicizia antigonide da parte di Aristomaco portò a una rottura definitiva e insanabile tra le due parti, tanto che il tiranno di Argo, in odio agli Antigonidi, si schierò al fianco di Cleomene di Sparta, nuovo nemico di Arato, quando, pochi anni dopo, lo stratego acheo, proprio per timore di Sparta, si alleò con Antigono Dosone, cancellando in un colpo molti anni di ostilità nei confronti della Macedonia111. Stritolato dalla nuova e, per lui esiziale convergenza tra Arato e Antigono Dosone, intorno al 223 Aristomaco fu catturato, torturato e annegato per ordine dello stratego acheo a Cencree, il porto di Corinto, dopo che l’Acrocorinto era di nuovo caduto in Cfr. Plut. Arat. 25-26, 1. Cfr. Plut. Arat. 29, 6. Data l’estrema scarsità di fonti sul regno di Demetrio II e il sostanziale disinteresse dei moderni sul personaggio, il più utile riferimento bibliografico è ancora a WILL, Histoire politique du monde hellénistique, I, pp. 343-354. 110 Sulla fissazione della morte di Demetrio II al 229, cfr. il sincronismo di Polyb. II 44.2, che la dice avvenuta dopo soli dieci anni di regno, all’epoca della prima spedizione dei Romani in Illiria. Sullo scoraggiamento dei tiranni del Peloponneso dopo la morte di Demetrio II e sulla loro decisione di passare dalla parte di Arato, cfr. Polyb. II 44.3-6 (cfr. anche Plut. Arat. 35, 1-7). Per un riepilogo di tutta la problematica, cfr. S. Le BOHEC, Antigone Dôsôn roi de Macédoine, Nancy 1993, pp. 173-177. 111 Cfr. LE BOHEC, Antigone Dôsôn roi de Macédoine, pp. 363-453, per una lettura ‘antigonide’ degli avvenimenti; cfr., invece, CARTLEDGE - [SPAWFORTH], Hellenistic and Roman Sparta, pp. 49-58, per una lettura ‘spartana’ dei medesimi fatti.

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mano macedone: se Plutarco sottolinea la crudeltà mostrata in questo caso da Arato, ricordando il biasimo che gliene era derivato, anche perché era opinione comune che Aristomaco «non fosse un uomo malvagio»112, Polibio difende a spada tratta il comportamento dello stratego acheo, polemizzando con Filarco, che, invece, ne aveva stigmatizzato il comportamento. L’antica amicizia tra gli Antigonidi, da un lato, e la dinastia dei ‘tiranni’ di Argo, dall’altro, non fu però del tutto dimenticata da Antigono Dosone, che, secondo Plutarco113, una volta entrato in Argo, ordinò che fossero innalzate di nuovo le statue dei tiranni, da poco fatte abbattere da Arato: mentre Argo entrava, ormai in maniera definitiva, nell’orbita della Lega achea, in queste statue rialzate da terra si eternava il ricordo di un’alleanza che, nel corso del III secolo, aveva caratterizzato la storia della città peloponnesiaca, assicurandole quella stabilità politica che si non era mai davvero realizzata nel V e IV secolo. Dopo che Aristippo, grazie al supporto del Gonata, nel 272, riuscì a sconfiggere la fazione del suo avversario filoepirota Aristea, Argo appare sostanzialmente unita intorno ai ‘tiranni’, che si succedettero, senza soluzione di continuità, l’uno dopo l’altro114. Anche i molteplici tentativi di Arato di spingere gli Argivi alla rivolta caddero nel vuoto: Aristomaco, Aristippo, Aristomaco il Giovane non furono mai abbandonati dai loro concittadini, che, evidentemente, vedevano in loro non tanto gli oppressori, quanto piuttosto i difensori, dei loro diritti. Solo il tradimento dell’amicizia antigonide da parte di Aristomaco il Giovane segnò la fine della dinastia: gli Argivi, pur spettatori passivi della morte del loro ultimo ‘tiranno’, non è da escludere che, in cuor loro, fossero grati ad Antigono Dosone per aver voluto onorare il ricordo dei dinasti che li avevano governati per parecchi decenni. Cfr. Plut. Arat. 44, 6. Cfr. Plut. Arat. 45, 5. 114 Sulla base di quanto abbiamo detto finora, potremmo così schematizzare la successione dei ‘tiranni’ di Argo: Aristomaco (I) – attivo tra la fine del IV e l’inizio del III secolo a.C. (cfr. IG II² 774 fr. a-b) Aristippo (I) – attivo nel 272 a.C. (cfr. Plut. Pyrrh. 30, 1-2) Aristomaco (II) – attivo intorno alla metà del III secolo a.C. (cfr. Plut. Arat. 25, 1-4) Aristippo (II) – attivo tra il 243 e il 235 a.C. (cfr. Plut. Arat. 25, 4-29, 5) Aristomaco (III) – attivo tra il 235 e il 223 a.C. (cfr. Plut. Arat. 2, 6; 35, 1-7; 44, 5-6; Polyb. II 59-60). 112

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ABSTRACT Starting from the 5th century BC, the Macedonian kings claimed to be Argives, the offspring of Temenos, the ‘child of Herakles’, who won the Argolid, when the Herakleides made themselves masters of the Peloponnese, eighty years after the Troyan War. However, the history of post-classic Argos is linked with Philip II, the Temenid king of Macedonia. Without considering these mythical connections, the Argives were already friends and allies of Philip II in 343, when at Athens Demosthenes, in De falsa legatione, pointed out that the Argives, like other Peloponnesian peoples, were prone to Philip’s will. After the battle of Cheroneia in 338, Philip satisfied Argive territorial claims to Sparta’s detriment, but Argos’ gratitude for the Macedonian king did not last: at the news of Philip’s death in 336, the city, along with most of the Peloponnese, tried to break from the Macedonian alliance. However, after Thebes’ destruction, Argos, like the other Greek cities, did not pursue the rebellion further: as long as Alexander lived, it was faithful to Macedonian power. After Alexander’s death in 323, the Argives were involved in twentyyear Diadochean Wars; in those terrible years, they often changed sides and suffered heavy losses: during the Second Diadochean War, in 316/5, 500 citizens, who were opponents of Cassander, were burnt alive in the town hall by a Macedonian commander: as it was often happened in classic Argos, Argive politics had achieved a bloody outcome once more. In the 3th century, we hear of Argos in the late 270s, when Pyrrhus, the ambitious king of Epirus, decided to fight against Antigonos Gonatas in the Peloponnese: supporters of Pyrrhus were to be found in all the Peloponnesian cities, including Argos, where Aristeas, the friend of Pyrrhus, was in feud with Aristippos. According to Plutarch, Aristippos appeared to be a friend of Antigonos, but in effect he was tyrant of Argos and founder of a dynasty which ruled Argos until the city joined the Achaean League in 229. Pyrrhus was killed in Argos by Macedonians soldiers who fought on behalf of Aristippos: Antigonos’ victory proved sufficient to ensure the continued maintenance of Aristippos at Argos. For many years the tyrants of Argos were faithful to Macedonian kings: only in the 220s, the last offspring of the dynasty, Aristomachus the Younger, changed side and became a friend of Aratos, the leader of the Achaean League. When Aratos, in his turn, became a friend of the Macedonian regent, Antigonos Doson, out of hatred for Kleomenes III, king of Sparta, Aristomachos changed side once more and was seized, tortured and killed by Aratos.

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Antigonos Doson did not like at all Aratos’ act: in fact, according to Plutarch, when the Macedonian regent arrived in Argos, the statues of Aristippos’ dynasty, which had been overthrown, were reinstated on Antigonos’ orders.

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Argo e la conquista romana

Il momento cruciale della storia di Argo in età romana è la seconda guerra macedonica: la città allora, nel momento in cui la Lega achea, di cui faceva parte, passò con Roma, si schierò con Filippo V e dopo Cinoscefale, nel 195, fu il casus della guerra panellenica contro Nabide di Sparta1. All’inizio della seconda guerra macedonica, nell’autunno del 200 a.C., la Lega achea si era riunita ad Argo per decidere quali misure adottare contro Nabide, che ne minacciava i territori e le città. In questo frangente Filippo offrì alla Lega il suo aiuto, a patto che gli Achei si schierassero dalla sua parte contro Roma; ma gli Achei preferirono mantenere la loro neutralità. Due anni più tardi, nell’autunno del 198 a.C., la Lega, nella synkletos di Sicione, persuasa da Aristeno, si schierò con Roma, provocando una frattura al suo interno: Argo si distaccò dalla Lega, espulse il presidio acheo e accolse quello macedone comandato da Filocle che, insieme a un parte degli Argivi, occupò la Larissa. A questo punto Filippo, dovendo ridistribuire le sue forze, decise di cedere momentaneamente Argo a Nabide in funzione antiachea e dunque antiromana, fintantoché la situazione non si volgesse al meglio per la Macedonia. Ma, una volta ottenuto il controllo di Argo nell’estate del 198/7, a Micene Nabide negoziò una tregua con la Lega achea e l’alleanza con Roma, fornendo a quest’ultima un contingente di truppe nello scontro decisivo con Filippo. Dopo Cinoscefale, il controllo di Nabide su Argo non fu messo in discussione e soltanto l’anno dopo, nel 195, fu al centro del conflitto con Roma2. Già nel 208 si registra una sortita di Macanida re di Sparta, che minacciava i territori della Lega, presso Argo, risoltasi tuttavia in un nulla di fatto.

1

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Liv. 32, 32-40. La traduzione italiana dei passi liviani è di L. CARDINALI (a cura di),

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Le ragioni del conflitto possono essere rintracciate in primo luogo nei discorsi, conservati da Livio (34, 31-32, molto probabilmente derivati da Polibio)3, di Nabide e di Flaminino, allorquando il re spartano (significativamente chiamato tyrannus)4 dopo l’assedio di Giteo, vistosi circondato dagli accampamenti romani e dalle forze loro alleate (quelle degli Achei di Aristeno e quelle navali di Eumene di Pergamo e del rodiese Sosila), chiese un colloquio con il generale romano: Nabide per parte sua rivendicava innanzitutto il fatto che tra Roma e Sparta c’era «un antichissimo trattato» (par. 5: vobiscum vetustissimum foedus sit) e, recentemente, tra Nabide e Roma era stata rinnovata, in occasione della guerra contro Filippo, «un’amicizia e un’alleanza a titolo personale» (ibi: et meo nomine privatim amicitia ac societas, nuper Philippi bello renovata) che, a dire di Roma, sarebbe stata infranta per il fatto che Nabide manteneva Argo in suo possesso; in realtà, secondo Nabide, Argo gli era stata consegnata dai cittadini (par. 7: nam et ipsis vocantibus ac tradentibus urbem eam accepi, non occupavi), quand’era dalla parte di Filippo (et accepi urbem cum Philippi partium non in vestra societate esset) e, quando aveva stretto alleanza con Roma, egli già occupava Argo e Roma, in cambio dell’aiuto di Nabide, non aveva imposto l’allontanamento del presidio spartano dalla città5. Anche il titolo di tiranno («perché chiamo i servi alla libertà e faccio stanziare nelle campagne la plebe indigente»)6 era, secondo Nabide, improprio, poiché quando egli strinse alleanza con Tito Livio. Storia di Roma dalla sua fondazione, con un saggio di J. BRISCOE, vol. IX (libri XXXIV-XXXV), Milano 19942; quella dei passi polibiani di M. MARI in D. MUSTI - M. MARI - J. THORNTON (a cura di), Polibio. Storie (libri XII-XVIII), vol. V, Milano 2003 e CANALI DE ROSSI in D. MUSTI - F. CANALI DE ROSSI - J. THORNTON (a cura di), Polibio. Storie (libri XIX-XXVII), vol. VI, Milano 2004. 3 J. BRISCOE, A Commentary on Livy, Books XXXIV-XXXVII, II, Oxford 1981, pp. 97-98. 4 Su cui C. MOSSÉ, Un tyran grec à l’époque hellénistique. Nabis «noi» de Sparte, CH, 9 (1964), pp. 313-323. 5 Un’alleanza era stata stipulata tra Roma e Sparta nel 210; successivamente gli Spartani erano stati inclusi nella pace di Fenice (205): a una di queste date dovevano risalire i rapporti di amicizia vantati da Nabide, rinnovati poi nel 198 (cfr. infra). 6 Sulla rivoluzione di Nabide a Sparta cfr. F. POZZI, Sparta e i partiti politici tra Cleomene III e Nabide, «Aevum», 44 (1970), pp. 389-414; P. OLIVA, Sparta and her social Problems, Amsterdam-Prague 1971, pp. 274-298; B. SHIMRON, Nabis-Aemulus Lycurgi, SCI 1 (1974), pp. 40-46; L. TONEATTO, Lotta politica e assetto sociale a Sparta dopo la caduta di Cleomene III, «Index», 5 (1974-1975), pp. 179-248; D. MENDELS, Polybius, Nabis, and Equality, «Athenaeum», 57 (1979), pp. 311-333.

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Roma lo fece in qualità di re; infine, circa la liberazione degli schiavi7 e la distribuzione di terre, erano cose già avvenute al tempo dell’alleanza ed era ingiusto che Roma giudicasse i provvedimenti presi a Sparta «secondo la vostra legge e le vostre istituzioni» (par. 17: nolite ad vestras leges atque instituta exigere ea quae Lacedaemone fiunt)8. La replica di Flaminino (cap. 32) fa leva in primo luogo sul fatto che Nabide era per Roma un usurpatore, poiché il trattato con Sparta era stato stipulato con Pelope, il legittimo re spartano9, il cui trono sarebbe stato usurpato da Nabide, mentre Roma era impegnata con Filippo: Roma, afferma solennemente Flaminino, paladina della libertà della Grecia, non avrebbe mai stipulato un trattato di amicizia con un tiranno (par. 3: Nam quid minus conveniret quam eos qui pro libertate Graeciae adversus Philippum gereremus bellum cum tyranno instituere amicitiam?); Nabide inoltre aveva preso Argo con l’inganno e aveva tolto la libertà a Sparta, per cui un intervento romano era comunque necessario; era pur vero che Argo era dalla parte di Filippo (par. 6: At enim cum Philippo Argivi senserunt), ma questa ‘colpa’ era da imputare a due o tre persone al massimo (satis compertum habemus duorum aut summum trium in ea re), così come la chiamata di Nabide non era avvenuta in seguito a una pubblica deliberazione della città; Nabide era colpevole non tanto di aver diviso la terra tra gli indigenti e di aver liberato gli schiavi10, quanto di soffocare la libertà ad Argo e Cfr. B. SHIMRON, Nabis of Sparta and the Helots, CPh, 61 (1966), pp. 1-7; G. TEXIER, Nabis et les Hilotes, DHA, 1 (1974), pp. 189-205. I. G. TAIFACOS, Tito Livio e una fonte antiromana di Polibio, «Latomus», 41 (1982), pp. 817-832, ritiene che qui Livio dipenda, attraverso Polibio, da Sosilo di Sparta, fonte antiromana. 9 Pelope era figlio del tiranno Licurgo, morto nel 212, cui era successo ancora giovinetto sotto la tutela di Macanida. Morto Macanida nel 207, combattendo a Mantinea contro gli Achei guidati da Filopemene, gli era subentrato nella tutela Nabide il quale, fatto uccidere Pelope, aveva assunto il titolo di re (Diod. 27, 1). Discussa è l’uccisione di Pelope da parte di Nabide. Cfr. R. A. TOMLINSON, Argos and the Argolid from the end of the Bronze Age to the Roman occupation, London 1972, p. 164; M. J. FONTANA, Nabide tiranno tra Roma e i Greci, in  . Miscellannea di studi classici in onore di Eugenio Manni, III, Roma 1980, pp. 917-945, 923-927. 10 Cfr. Liv. 34, 35, 4. Stando a Pol. 16, 13, 1-2 (sotto il 202) Nabide a Sparta aveva liberato gli schiavi per unirli alle mogli e alle figlie dei padroni esiliati: non è forse azzardato ipotizzare che ad Argo Nabide avesse preso la stessa iniziativa, dal momento che sappiamo (cfr. infra) che le mogli degli esuli erano rimaste ad Argo e di loro si occupò Apia, moglie di Nabide (Liv. 32, 40, 11). 7

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a Sparta: mentre Pitagora, genero di Nabide, aveva compiuto una strage ad Argo, Nabide si era macchiato della stessa colpa a Sparta, pertanto era invitato a liberare coloro che aveva gettato in catene durante l’assemblea; per quanto concerneva l’amicizia con Roma essa andava considerata rotta in virtù del fatto che Nabide si era impadronito di Messene, alleata e amica di Roma allo stesso titolo di Sparta, ed aveva stipulato amicizia con Filippo, mantenendo stretti contatti con Filocle11; Nabide infine, a detta di Flaminino, si era reso responsabile di atti di pirateria, catturando e uccidendo numerosi cives Romani in numero «quasi superiore a quello catturato e ucciso da Filippo» (par. 18: et plures prope cives Romanos quam Philippus cepisti atque occidisti). Il giorno successivo Nabide dichiarò che si sarebbe ritirato da Argo e avrebbe condotto via la guarnigione restituendo prigionieri e disertori (34, 33, 3). Tuttavia nell’assemblea con gli alleati convocata da Flaminino, venne decisa in un primo momento la guerra; dopodiché, di fronte alle difficoltà prospettate dal comandante romano in vista dell’assedio di Sparta, gli alleati preferirono rimettere la decisione sul conflitto a Flaminino stesso, il quale, convocati i suoi tribuni, dettò condizioni di pace inaccettabili per Nabide; a questo punto il re spartano, a fronte anche della reazione indignata degli Spartani, decise per la guerra, risoltasi nello stesso 195 con l’affermazione romana12. Allontanato il presidio spartano, Flaminino poté entrare da trionfatore ad Argo; gli fu affidata la presidenza delle Nemee e la città tornò nella Lega achea (34, 41, 3-4): l’anno dopo, nel 194, fu ratificata in senato la pace voluta dal proconsole romano. La fitta trama degli eventi sin qui delineata solleva, come è naturale, numerose questioni: qui intendo concentrarmi tuttavia su un aspetto, che cercherò poi di articolare meglio, e cioè se dai discorsi di Nabide e di Flaminino sia possibile tentare di ricostruire una sequenza degli eventi anteriore al conflitto che consenta non solo di gettare luce sui motivi che portarono al conflitto stesso – come è già stato ampiamente fatto13 – ma, soprattutto, quale fu il Cfr. Liv. 33, 38. Nabide disse agli Spartani che aveva con sé sufficienti forze per resistere e contava anche sull’aiuto degli Etoli e di Antioco (Liv. 34, 37, 5). 13 Cfr. E. S. GRUEN, The Hellenistic World and the Coming of Rome, II, Berkley-Los Angeles, 1984, pp. 448-475. 11 12

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ruolo giocato da Argo nel conflitto, vale a dire quale fu la posizione assunta dalla popolazione argiva in seno alla città stessa, che nelle fonti risulta oscurata dalla sovrapposizione degli opposti punti di vista, ora quello spartano, ora quello romano. Recentemente i due discorsi sono stati oggetto di due puntuali analisi: Doron Mendels14 ha evidenziato come essi siano l’esito di due ideologie differenti («polarized views»): da una parte quella del rivoluzionario sociale Nabide, dall’altro quella dell’aristocratico romano Flaminino; i discorsi sarebbero in ultima analisi un espediente impiegato da Livio per drammatizzare lo scontro tra Roma e Sparta. Arthur Eckstein15 per parte sua ha rilevato come Livio tenda a porre in cattiva luce la figura di Nabide e le sue simpatie siano – nonostante qualche riserva – a favore del generale romano, il cui discorso appare vincente rispetto a quello del suo avversario. Io vorrei innanzitutto evidenziare una serie di circostanze significative, così come emergono dai due discorsi, a partire dalle quali sarà poi più agevole innestare le considerazioni sull’atteggiamento assunto da Argo. I punti di criticità che prenderò in considerazione possono essere così brevemente sintetizzati: 1. Qual era la natura dei rapporti tra Roma e Nabide prima dello scoppio della guerra del 195 che ebbe al centro la contesa per Argo. 2. Se il possesso di Argo da parte di Nabide fosse legittimo o meno. 3. Qual era stato infine l’atteggiamento degli Argivi di fronte a Nabide e a Roma. 1. I rapporti tra Roma e Nabide possono essere fatti risalire con certezza a una data precisa, il 205 a.C.: il nome del re spartano compare infatti tra gli adscripti della pace di Fenice (Liv. 29, 12, 14): in eas condiciones cum pax conveniret, ab rege foederi adscripti Prusiae Bithyniae rex, Achaei, Boeoti, Thessali, Acarnanes, Epirotae, ab D. MENDELS, A note on the Speeches of Nabis and Quinctus Flamininus, SCI 4 (1978), pp. 38-44. A. M. ECKSTEIN, Nabis and Flamininus on the Argive revolution, GRBS, 28 (1987), pp. 213-233. 14

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Romanis Ilienses, Attalus rex, Pleuratus, Nabis Lacedaemoniorum tyrannus, Elei, Messenii, Athenienses16. Stando ad Appiano (Mac. 3) il trattato di Fenice comprendeva i philoi di Roma: ora, non si può escludere che l’amicitia che Nabide vanta con Roma sia un riferimento allo stesso trattato di Fenice in cui Nabide non solo era tyrannus degli Spartani, ma anche amicus del popolo romano; a me sembra però che la Sparta di Nabide si trovi tra gli adscripti della pace del 205 perché già da tempo amica di Roma: Nabide infatti vanta come un antico foedus l’amicitia con Roma; essa insomma potrebbe risalire al trattato romano-etolico del 212 o 211: una clausola di questo trattato infatti prevedeva espressamente che altri potessero legarsi ai partecipanti con gli stessi diritti di amicitia e tra gli altri compaiono significativamente gli Spartani (Liv. 26, 24, 9: additumque ut, si placerent vellentque, eodem iure amicitiae Elei Lacedemoniique et Attalus et Pleuratus et Scerdilaedeus essent, Asiae Attalus, hi Thracum et Illyriorum reges); ciò peraltro spiegherebbe il riferimento di Flaminino al fatto che il trattato con Roma fosse stato siglato con Pelope (sebbene fosse sotto tutela) e non con Nabide, che salì al trono solo nel 207. Nel 197 Nabide decise che sarebbe stato sconveniente continuare ad appoggiare Filippo17, nonostante avesse già ricevuto Argo in consegna dal sovrano macedone appena un anno prima, e offrì il suo sostegno a Roma e alla Lega achea: in tale frangente Roma dovette rinnovare il patto di amicitia con Sparta18; tuttavia nel 198, quando Nabide era ancora con Filippo e aveva ricevuto Argo, nonostante Attalo si fosse espressamente lamentato con Flaminino dell’occupazione di Argo da parte del re spartano (Liv. 32, 39, 1-40, 2), Roma non alzò un dito contro di lui e si guardò bene dal denunciare l’amicitia che la legava al re spartano. Analogo appare il discorso relativo a Messene: la città peloponnesiaca, che era tra gli adscripti della pace di Fenicie, al pari Cfr. Pol. 18, 1, 14:    ; App. Mac. 3:          . Sulle ragioni che spinsero Nabide ad appoggiare Roma in vista di Cinoscefale, cfr. G. DE SANCTIS, Storia dei Romani, IV. 1, Firenze 19692, pp. 69-71. 18 Liv. 34, 32, 16: nam et Messenen, uno atque eodem iure foederis quo Lacedaemonem in amicitiam nostram acceptam, socius ipse sociam nobis urbem vi atque armis cepisti. Su Messene Pol. 9, 30, 6; a 32, 1, Flaminino sostiene che il patto era stato stipulato con Pelope. 16

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del re spartano, fu occupata da Nabide nel 201, senza che Roma facesse alcuna rimostranza19: nonostante Flaminino rinfacci a Nabide l’occupazione stessa come segno della violazione del trattato di amicitia (Liv. 34, 32, 16), Roma in tal caso aveva preferito che fossero gli Achei a regolare la questione di cui, a malincuore, si occupò Filopemene20. Vale la pena notare che al momento in cui offrì il suo sostegno a Flaminino nel 197 Nabide era chiamato ancora col titolo di rex, come rivela un decreto di Delo di quell’anno (Syll 3. 584, ll. 1-10):                                                                      21. Nel 195, prima e dopo il conflitto per Argo, il re spartano è chiamato semplicemente Nabide; in ogni caso non è mai tyrannus: basta leggere Syll 3. 594, relativa agli onori concessi a Protimo di Gortina, che era intervenuto a favore degli efebi di Micene condotti a Sparta da Nabide in quell’anno (ll. 4-10):  [] []      []            ; nonché Syll 3. 595, relativa ai donativi di Eumene di Pergamo nella sua città dopo la sconfitta di Nabide nel 195:             Iust. 31, 1, 5: Eodem tempore et Nabis tyrannus multa Graeciae civitates occupaverat. L’occupazione di Messene potrebbe essere letta come un tentativo da parte di Nabide di allargare la base popolare del suo potere: così J. G. TEXIER, Nabis, Paris 1975, p. 59. 20 Pol. 16, 13; 16-17; 21, 9, 3; Plut. Philop. 12-13; Liv. 34, 32, 16; 35, 6; Paus. 4, 29, 10; 8, 50, 5. 21 Per la datazione, cfr. Dittenberger ad loc.: «Deinde vero a Deliis Nabin his honoribus affici non potuisse nisi per ea tempora, quibus cum Philippo Macedone aut Romanis, quibus Deliorum respublica per totum illius regnum obnoxia erat, ei amicitia intercederet ac simul Lacedaemoniorum classis magna in mari Aegaeo potentia atque auctoritate uteretur. Quod utrumque coniunctum non cadere nisi in annum 197, quo inter T. Quinctium Flamininum et Nabin de amicitia ac societate ineunda convenit». 19

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                ). Viceversa nella tradizione polibiana/liviana Nabide compare sempre come tyrannus 22. La posizione di Polibio si spiega con il fatto che la Lega achea non aveva alcuna simpatia per Nabide insediato ad Argo23, il quale per giunta nel 205/4 era entrato in contrasto con Megalopoli (Pol. 13, 6, 8); la denigrazione di Nabide in Livio, così come appare soprattutto nel discorso del 195, è invece da imputare sia a ragioni propagandistiche, in funzione del conflitto che stava per scoppiare, sia al fatto che, molto probabilmente, Livio doveva vedere in Nabide, sulla scorta di quanto leggeva in Polibio, il prototipo del rivoluzionario sociale: basterà a questo proposito menzionare la conclusione del resoconto liviano relativo all’ingresso di Nabide ad Argo e ai suoi provvedimenti rivoluzionari (32, 38, 9): «Poi Nabide convocò un’assemblea e fece affiggere in pubblico delle proposte di legge, una in merito alla cancellazione dei debiti, l’altra sulla distribuzione individuale di terre, proposte che sono, per chi aspira a dei rivolgimenti, le due torce atte a infiammare la plebe nei confronti dei nobili» (duas faces novantibus rebus res ad plebem in optimates accendendam). Alla luce di ciò, è evidente che Nabide aveva più di una ragione per rivendicare a buon diritto la sua amicitia coi Romani nel 195 e denunciare il loro improvviso voltafaccia nei suoi confronti all’indomani di Cinoscefale: Flaminino, in effetti, nel suo discorso lasciò cadere il riferimento di Nabide all’accordo di Micene (quando Nabide era passato con Roma), forse per timore che la guerra che stava per muovere potesse apparire ingiusta, soprattutto sotto il profilo formale. Nabide inoltre aveva buon gioco nel dimostrare che egli aveva ricevuto Argo quando la città era nelle mani dei nemici di Roma, cioè di Filippo (Liv. 34, 31, 9: non vestram urbem, sed hostium accepi; cfr. 32, 19, 25).

Cfr. Pol. 13, 6, 8; 16, 13; Liv. 34, 31-32; per altri autori che fanno capo a Polibio cfr. Diod. 27, frg. 1; Plut. Flamin. 13; Mor. 809e. Sull’elaborazione della figura di Nabide tyrannus, cfr. FONTANA, Nabide tiranno, pp. 917-945. 23 A. PASSERINI, Studi di storia ellenistico-romana. VI. I moti politico-sociali della Grecia e i Romani, «Athenaeum», 11 (1933), pp. 309-335, 315-318; MENDELS, Polybius, Nabis, pp. 332-333.

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Flaminino, all’argomento di Nabide, sa solo opporre che, qualsiasi lagnanza Roma potesse avere con gli Argivi, non era affare di Nabide (Liv. 34, 32, 6: ne nostram vicem irascaris); più delicata appare la valutazione dell’affermazione del generale romano, che intendeva in qualche modo giustificare l’intervento di Roma quale paladina della libertas argiva, secondo cui il distacco dalla Lega achea, schieratasi con Roma nell’autunno del 198, a favore di Filippo «era stata opera di due o al massimo tre uomini, non della maggioranza degli Argivi» (ibi: satis compertum habemus duorum aut summum trium in ea re, non civitatis culpam esse; cfr. 34, 32, 8: Argivi, qui insontes publici consilii sint). Tuttavia questa versione, oltre a contrastare con le parole di Flaminino stesso, il quale non può non ammettere che Argo era schierata con Filippo (34, 32, 6: at enim cum Philippo Argivi senserunt), appare soprattutto divergere da quanto Livio stesso racconta sugli eventi del 198 ad Argo: secondo lo storico romano (32, 25), che qui dipende da Polibio24, avvenne un vero e proprio colpo di mano ad opera di una parte dell’aristocrazia argiva (quidam principes) che spianò la strada all’ingresso del presidio macedone capeggiato da Filocle. La cosa più importante è che questo colpo di mano avvenne con l’appoggio della maggioranza degli Argivi, non solo per il concorso «di due o al massimo tre uomini», come vuole far intendere Flaminino nel suo discorso. Il resoconto liviano afferma infatti espressamente che i principes non si sarebbero mossi se non fossero stati sicuri di essere seguiti dalla plebs (32, 25, 1: temptatis prius animis plebis); Livio riferisce che fu da principio una moltitudo a invocare il nome di Filippo (par. 3) e che una tale manifestazione incontrò ingens consensus (par. 4), spingendo i principes a sollecitare l’intervento di Filocle; la guarnigione achea, formata da cinquecento uomini, comandata da Enesidemo di Dime, non fu in grado di opporsi agli argivi filomacedoni (par. 7: neque enim oppidanis solis, qui idem quod Mecedones sentirent), soprattutto dopo che si erano aggiunti i soldati di Filocle (ibi: nedum adiunctis Macedonibus esse); gli Argivi erano senz’altro un magnum agmen (par. 8: post paulo, ut Argivos quoque armatos ex parte altera venientes magno agmine viderunt)25. 24

BRISCOE, A Commentary, pp. 1-3.

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Liv. 34, 25, 12 afferma che alcuni degli Argivi antimacedoni ripararono presso i

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2. Circa la legittimità del possesso di Argo da parte di Nabide mi sembra opportuno prendere le mosse di nuovo dalle parole del sovrano spartano nel discorso con Flaminino: Nabide afferma (Liv. 34, 31, 7) che furono gli Argivi a chiamarlo e a consegnargli la città (nam et ipsis vocantibus ac tradentibus urbem eam accepi; cfr. par. 9: quod volentem, non vi coactam, accepi); lo stesso argomento era già stato peraltro impiegato da Nabide in occasione della conferenza di Micene nel 197 (32, 40, 1: ille ab ipsis Argivis se defenderet accitum) in risposta alle lagnanze di Attalo, secondo il quale Argo era stata consegnata a tradimento da Filocle a Nabide e questi la occupava con la forza (32, 40, 1: de Argis quoque disceptatio ab Attalo rege est mota, cum fraude Philoclis proditam urbem vi ab eo teneri argueret), motivo per cui il sovrano pergameno chiedeva che si convocasse una libera assemblea degli Argivi per poter appurare il fatto (par. 2: contionem rex Argivorum postulabat ut id sciri posset, nec tyrannus abnuere): tuttavia l’assemblea non ebbe luogo per il rifiuto di Nabide di ritirare i suoi presidi (ibi: sed deductis ex urbe praesidiis liberam contionem non immixtis Lacedaemoniis declaraturam quid Argivi vellent praeberi debere dicebat rex; tyrannus negavit deducturum). Le accuse di Attalo sono peraltro identiche a quelle formulate da Flaminino, per il quale Nabide si era impadronito di Argo con l’inganno (34, 32, 4: etiamsi Argos nec cepisses per fraudem nec teneres) e nulla era stato fatto per pubblica deliberazione (par. 7: in te quoque praesidio accersendo accipiendoque in arcem nihil esse publico consilio acto); identica infine è la richiesta di concedere una libera assemblea ad Argo per decidere della legittimità del suo possesso (par. 10: exhibe liberam contionem vel Argis vel Lacedaemone, si auidre iuvat vera dominationis impotentissimae crimina). I moderni sono divisi: mentre Aymard, Texier e Mendels sono convinti della legittimità del possesso di Argo da parte di Nabide, essa è contestata vigorosamente da Eckstein26.

Romani: quando Flaminino dice (34, 32, 6) di aver accertato (satis compertum habemus) che la responsabilità della rivoluzione argiva fu di due o tre persone, potrebbe alludere a informazioni ricevute dagli esuli antimacedoni. 26 A. AYMARD, Les premiers rapports de Rome et de la confédération acaienne, Bordeaux 1938, p. 138; TEXIER Nabis, p. 55; ID., Un aspect de l’antagonisme de Rome et de Sparte à l’époque hellénistique. L’entrevue de 195 avant J.C. entre Titus Quinctius Flamininus et Nabis, REA, 78-79 (1976-1977), pp. 145-154; MENDELS, A Note, p. 40; ECKSTEIN Nabis and Flamininus, p. 219.

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L’illegittimità del possesso di Argo da parte di Nabide, si può argomentare in base alle seguenti considerazioni: a. Non vi è alcuna menzione di un assemblea argiva che sancì il potere di Nabide ad Argo; anzi, gli Argivi si opposero espressamente all’ingresso di Nabide in città (Liv. 32, 38, 5: non aspernatos modo sed abominatos etiam nomen tyranni). b. La versione di Attalo, secondo cui Nabide occupò Argo con la forza, coincide sia con quella della parte narrativa di Livio (32, 38) sia con quella di Flaminino nel suo discorso (34, 32). c. L’assemblea che rigettò Nabide era molto affollata (Liv. 32, 38, 5: frequenti contione): è dunque da respingere la tesi di alcuni secondo la quale essa era rappresentativa solo di una parte degli aristocratici o dei possidenti, segnatamente quelli ostili a Nabide; Nabide inoltre andò al potere con una sortita notturna che colse tutti di sorpresa (32, 38, 6: nocte ignaribus omnibus). Tuttavia è da osservare che la compattezza del racconto polibiano/liviano, diversamente da quello relativo agli eventi del 198, nonché alcuni punti non del tutto chiariti del resoconto relativo ad Argo, lasciano spazio a qualche perplessità, puntualmente rilevata dai moderni, alcuni dei quali ritengono che non sia da escludere che Nabide ricevette una legittimazione ad Argo: sintetizzo anche questi argomenti, apponendo accanto alcune osservazioni personali. a. Livio, desideroso di accentuare l’usurpazione di Nabide, può aver omesso dal racconto (cfr. 34, 31, 9: quod volentem, non vi coactam) un’assemblea che diede immediata legittimazione alla consegna della città da Filippo V a Nabide27. In effetti lo stesso Nabide insiste di aver ricevuto la legittimazione, sebbene fosse ancora al di fuori della città: di fatto Nabide, una volta entrato in città, convocò un’assemblea e fece affiggere le sue proposte in merito alla cancellazione dei debiti e alla distribuzione individuale di terre. Ora, Livio nel riferire la notizia, commenta solo le proposte di Nabide, che giudica tipiche dei rivoluzionari sociali (par. 9: «proposte che sono, per chi aspira a dei rivolgimenti, le due torce atte a infiammare la plebe nei confronti dei nobili»), ma non fa parola circa l’assemblea convocata da Nabide. Ciò lascia aperta la possibilità che in quell’occasione 27

MENDELS, A Note, pp. 41-42.

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Nabide avesse effettivamente richiesto la legittimazione, subito dopo il suo ingresso in città: sia nella parte narrativa sia nel suo discorso, Nabide afferma infatti di aver in qualche modo ricevuto questa legittimazione (Liv. 32, 40, 1; 34, 31, 7): che l’assemblea ci fosse stata, sebbene un’assemblea poco ortodossa, mi sembra peraltro emerga anche da quanto afferma Flaminino, quando accusa Nabide di aver messo in catene gli oppositori proprio durante l’assemblea, a cui erano presenti tutti i cittadini Argivi (34, 32, 12: Agedum, quos in contione comprehensos omnibus audientibus civibus tuis te in custodia habiturum esse pronuntiasti, iube vinctos produci: miseri parentes quos falso lugent viverent sciant). b. Nonostante Livio, probabilmente seguendo Polibio, tenti di ritrarre Nabide come un usurpatore in Argo, Nabide era senz’altro popolare in città: egli nella conferenza di Micene accettò di mettere alla prova la sua popolarità ad Argo radunando un’assemblea di Argivi (Liv. 32, 40, 1), malgrado non avesse comunque alcuna intenzione di evacuare la città per timore che gli esuli (Liv. 32, 38, 7; 39, 9-10; 40, 10) avrebbero tentato di impadronirsene (come del resto Damocle avrebbe tentato di fare nel 195 [Liv. 34, 25, 7]). Per parte mia credo che sulla base della sola documentazione letteraria sia difficile stabilire la legittimità o meno del possesso di Argo da parte di Nabide: intendo dire che la questione lasciata ai soli argomenti avanzati da Flaminino e da Nabide rischia di essere inficiata da tematiche riconducibili a interessi puramente propagandistici; in buona sostanza a me sembra che, alla luce di quanto afferma la tradizione a nostra disposizione, e cioè quella polibiana/liviana, chiaramente ostile a Nabide, bisogna cercare di stabilire perché Nabide fosse riuscito a insediarsi ad Argo. 3. Nabide afferma che furono i filomacedoni a consegnargli la città. In effetti, al di là delle modalità di tale consegna, le parole di Nabide corrispondono a quanto afferma Livio stesso a 32, 38, 1-2, ove l’iniziativa di cedere Argo a Nabide nel 197 fu senz’altro di Filippo. Pur considerando che forse Filippo sperava che Nabide si schierasse dalla sua parte, ciò avvenne per due ragioni: una legata a esigenze strategiche, vale a dire il fatto che il sovrano macedone, in difficoltà nella lotta contro Roma «vedendo che si doveva decidere con le armi e che doveva radunare da ogni parte le sue forze, preoccupato soprattutto per le città dell’Acaia, regione lontana da lui, e ancor più per Argo piuttosto che per Corinto,

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ritenne che la miglior decisione fosse quella di affidarla, per così dire, in deposito a Nabide, tiranno di Sparta, perché gliela restituisse, nel caso in cui fosse risultato vincitore, o la tenesse, se gli fosse accaduta qualche sventura» (Liv. 32, 38, 1-2); in secondo luogo con questa mossa Filippo intendeva creare difficoltà alla Lega achea, che aveva visto Argo uscire dalla Lega sottraendosi all’alleanza con Roma; nella valutazione di Filippo non doveva essere estraneo infine il fatto che Nabide si era sposato con Apia/Apega discendente da una nobile famiglia Argiva28. Roma, dal canto suo, non dovette intervenire, poiché non era affatto desiderosa di scatenare gli appetiti achei prima su Argo e successivamente su Sparta: la priorità in quel momento era sottrarre alleati a Filippo e sconfiggerlo una volta per tutte. In ultima analisi a me sembra che la consegna della città da parte di Filippo a Nabide e l’accordo di questi con Roma nel 197 sancirono de facto l’appartenenza di Argo a Nabide. Dal resoconto di Livio, nonostante le palesi reticenze, si desume che ad Argo ci fosse terreno adatto perché l’azione ‘rivoluzionaria’ di Nabide potesse in qualche modo dispiegarsi: sembra infatti che alcune circostanze consentano di gettare luce su questi aspetti che assumono un’importanza decisiva per la comprensione e la valutazione dell’atteggiamento di Argo. C’è innanzitutto da considerare, in linea generale, l’instabile situazione sociale che perdurava ormai da circa venticinque anni, cioè a partire dalla sconfitta di Cleomene III a Sellasia nel 222; nell’immediato, il precedente del 198, quando la città mostrò di essere spaccata al suo interno: la fuoriuscita di Argo dalla Lega achea, nonostante il tendenzioso racconto di Livio (32, 25), mostra che la plebs di Argo rappresentava una massa di manovra sufficientemente pericolosa da opporre validamente all’oligarchia antimacedone e che pertanto chi avesse saputo intercettare questo consenso avrebbe potuto senz’altro contare su un solido appoggio29. Il precedente del 198 mi sembra non sia affatto da sottovalutare30, perché in qualche modo aiuta a comprendere anche il clima dell’anno successivo in cui cade l’arrivo di Nabide ad Argo. Figlia di Aristippo II e nipote di Aristomaco Commentary on Polybius, III, Oxford 1979, p. 421. 29 Cfr. Pol. 10, 26; TEXIER, Nabis, p. 53. 30 Cfr. ECKSTEIN Nabis and Flamininus, p. 222. 28

III;

F. W. WALBANK, A Historical

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Una prima circostanza significativa, che rivela quanto il regime di Nabide potesse contare su un consenso piuttosto esteso, è rivelato, a mio avviso, dal fallito tentativo di scatenare una rivolta a favore di Roma da parte dell’argivo Damocle nell’estate del 195 a guerra già in corso (Liv. 34, 25, 7-12). Sebbene vi sia chi ha voluto imputare questo fallimento a motivi esclusivamente militari, nonché alla sprovvedutezza del promotore e all’intempestività del tentativo stesso31, effettivamente sottolineate nel racconto liviano, a me sembra che la consistenza del presidio di Nabide mostra che la città era ben difesa dal re spartano (entrambe le rocche della città, l’Aspis a nord-est e la Larissa a ovest, erano saldamente nelle mani di Pitagora suo genero, capo dei presìdi) e che egli poteva contare su una buona base sociale a seguito delle ‘riforme’ da lui promosse a partire dal 197 (redistribuzione delle terre e abolizione dei debiti): ad Argo cioè esisteva senz’altro un blocco sociale – spalleggiato dai principes filomacedoni - palesemente favorevole a Nabide. Non credo poi sia da escludere che Roma, scoppiato il conflitto, avesse voluto saggiare da subito con Damocle la consistenza del partito a lei favorevole, per poi intervenire in forze (sui motivi dell’intervento romano, tornerò tra breve): in questo senso un indizio, anche se a dire il vero piuttosto tenue, mi sembra sia rintracciabile nel fatto che Damocle «propugnava la libertà e li avrebbe guidati (scil. quanti avrebbero aderito alla sua iniziativa) a ottenerla (par. 9: ut qui salvam rem publicam vellent auctorem et ducem se libertatis sequerentur)»; sono le stesse parole che Flaminino (34, 32, 13) utilizza quando afferma di essere intervenuto in difesa di Argo per concedere la libertas alla città in mano al tiranno. In effetti, quando Roma decise di intervenire, Nabide si rese subito conto che la situazione non sarebbe stata delle migliori per lui e le sue forze, e preferì così dirottarne il grosso a Sparta, al comando di suo cognato Pitagora, noto per le sue efferatezze (e a cui Livio concede ampio spazio onde accentuare il carattere dispotico e violento della tirannide di Nabide a Sparta [cfr. ad es. 34, 32, 11]): ciò che colpisce è che le forze che Nabide dirottò a Sparta erano composte da ben 2000 Argivi (Liv. 34, 29, 14)32 che poi, al Ibi, p. 223. Vale la pena notare che quando Nabide nel 197 passò con Roma, fornì per la lotta contro Filippo soltanto cento dei seicento mercenari cretesi a sua disposizione e si guardò bene dall’appoggiare Roma con truppe spartane o argive.

31 32

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termine della guerra, rientrarono insieme a tutti gli esuli sotto il regime filoromano di Archippo (34, 40, 6-7), il quale riuscì a prendere Argo insieme ai filoromani, solo quando quest’ultimi seppero (par. 6) «che Sparta era pressoché conquistata e al tempo stesso Pitagora se ne era andato insieme alla maggior parte valida del presidio»; solo allora «presero coraggio e, disprezzando l’esiguo numero di quanti si trovavano nella rocca, sotto la guida di un certo Archippo cacciarono la guarnigione» (simul eo quod Pythagoras cum parte validissima praesidii excesserat, contempta paucitate eorum qui in arce erant, duce Archippo quodam praesidium expulerunt). Un’ultima circostanza da tenere in considerazione è il fatto che Flaminino, dopo la vittoria su Nabide, si sentì in dovere di perdonare gli autori del colpo di stato filomacedone del 198: essi infatti, come apprendiamo dalle parole di Livio (32, 41, 3) «rivedevano dopo lungo intervallo la libertà e quei Romani che l’avevano promossa, per i quali erano stati essi stessi il motivo della guerra con il tiranno» (libertatem ex longo intervallo libertatisque auctores Romanos, quibus causa bellandi cun tyranno ipsi fuissent, cernebant): il gesto di Flaminino, oltre a essere dettato dal desiderio di Roma di ristabilire la concordia civica sotto le insegne della libertà recuperata, trova, a mio avviso, una spiegazione, alla luce del fatto che il proconsole intendeva recuperare ad Argo il più vasto consenso possibile, promuovendo un’autentica riconciliazione civile. Perché dunque Roma decise di intervenire ad Argo? Per Aymard33 Roma intervenne perché bisognava tenere pronte le truppe in Grecia in vista della guerra contro Antioco di Siria e assicurare stabilità nel Peloponneso34. Per Shimron, Texier e Mendels35 la ragione fondamentale risiede nel fatto che Nabide era un rivoluzionario e Roma non desiderava affatto che ci fosse qualcuno in Grecia che alimentasse moti radicali di rinnovamento sociale36. 33 AYMARD, Les premiers rapports, pp. 194-203, 206, sulla base di Pol. 18, 45, 10-11; Liv. 33, 31, 4-6, 10; 43, 6; 44, 6-9.

Su una linea non molto differente anche J. BRISCOE, Rome and the Class Struggle in the Greek states, 200-146 B.C., P&P, 36 (1967), pp. 3-20 il quale parla di ricerca di un equilibrio di potenza da parte di Flaminino.

34

35 B. SHIMRON, Late Sparta. The Spartan Revolution 243-146 B.C., Buffalo 1972, pp. 7990, 95-99; TEXIER, Nabis, 1975, pp. 28-36, 54-61; MENDELS, Polybius, Nabis, pp. 311-333. 36

Ma cfr. contra già PASSERINI, Studi di storia, pp. 309-335.

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Lo Harris37 spiega l’intervento di Roma con le ambizioni personali di Flaminino, il quale temeva, avvicinandosi la scadenza del suo mandato, che la gloria dell’affermazione della libertà, e dunque della vittoria su Nabide, venisse attribuita al suo successore (cfr. soprattutto Plut. Flamin. 13). Sebbene tutte queste ragioni contengano in sé alcune buone spiegazioni (soprattutto se si tiene conto che Nabide aveva ucciso numerosi romani con le sue azioni di pirateria), a me sembra che l’ipotesi più soddisfacente – alla quale desidero tuttavia apportare alcune correzioni – resti quella avanzata da Erich Gruen: secondo lo studioso, Roma intervenne in un conflitto panellenico per l’egemonia nel Peloponneso, in quanto garante della libertas in Grecia: insomma, dopo Cinoscefale e la proclamazione di Corinto non si poteva più tornare indietro. Che le cose stessero così sembrerebbe confermato da una serie di indizi. Il senato, dopo la relazione dei decem legati nell’inverno del 196/5, lasciò la decisione della guerra a Flaminino38, il quale tuttavia non prese subito su di sé la responsabilità della guerra, ma indisse un congresso panellenico a Corinto per discutere della guerra: al congresso intervennero Achei, Etoli, Macedoni, Tessali, Pergamo e Rodi, che si schierarono alla fine tutti contro Nabide, votando la guerra contro di lui (Liv. 34, 24, 6-7; 26, 10-11). Per quanto ci riguarda, vale a dire le sorti di Argo, mi sembra degno della massima attenzione il fatto che Flaminino, rivolgendosi agli alleati in quella circostanza, dichiarò che il destino della città era nelle mani dei soli Greci, ai quali spettava di decidere l’intervento contro Nabide, rivelando così la natura intragreca del conflitto (34, 22, 10-13): «La decisione odierna dipende interamente da voi. W. V. HARRIS, War and Imperialism in Republican Rome, Oxford 1979, 218-219; cfr. J. BRISCOE, Flamininus and Roman Politics, 200-189 B.C., «Latomus», 31 (1972), pp. 22-53, 32-35. 38 Cfr. Liv. 33, 45, 2-4: cum diu disceptatum esset, utrum satis iam causae videretur, cur decerneretur bellum, an permitterent T. Quinctio, quod ad Nabim Lacedaemonium attineret, faceret, quod e re publica censeret esse, permiserunt, eam rem esse rati quae maturata dilatave non ita magni momenti ad summam rem publicam esset. Formalmente la guerra fu poi decisa da un senatus consultum (Liv. 34, 22, 5): senatus consultum quo bellum adversus Nabim Lacedaemonium decretum erat adfertur. Gli Ateniesi significativamente dichiararono che i Romani di loro iniziativa si offrirono di far guerra a Nabide (34, 23, 3: non rogatos ultro adversus tyrannum Nabim offerre auxilium). 37

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Rimetto infatti al vostro giudizio se siete disposti a sopportare che Argo, occupata, come voi stessi sapete, da Nabide, resti sotto il suo controllo, oppure ritenete giusto che quella gloriosissima e antichissima città, situata nel cuore della Grecia, riacquisti la libertà e goda della medesima condizione in cui si trovano le altre città del Peloponneso e della Grecia. Questa decisione che riguarda interamente voi, non riguarda affatto i Romani, se non nella misura in cui la schiavitù di una città non permette che sia completa e intera la gloria di aver liberato la Grecia. Ma, se non ha alcun peso su di voi la preoccupazione per la sorte di quella città, né il precedente che si viene a creare né il pericolo che l’esempio contagioso di quel male si diffonda maggiormente, quasi senza che nessuno se ne accorga, noi non abbiamo nulla da ridire. Io chiedo il vostro parere su questa questione, deciso ad attenermi a quanto la maggioranza deciderà». Per gli Etoli, scontenti delle mancate ricompense dopo la fine della guerra, ai quali dunque «non poteva essere a lungo gradita la quiete» (Liv. 33, 22, 4), la situazione appariva chiara: per bocca del loro stratego Alessandro, senza mezzi termini, chiesero a Roma di andarsene dalla Grecia, facendo intendere che Nabide e Argo erano faccende di pertinenza esclusivamente greca e che, come tali, andassero dunque risolte (Liv. 34, 23, 10-11): «e infine perché adducevano Argo e Nabide come pretesto per restare in Grecia e per trattenervi l’esercito, dovevano riportare, disse, le legioni in Italia; gli Etoli promettevano che Nabide avrebbe ritirato la propria guarnigione alle condizioni da loro imposte e di sua spontanea volontà o essi l’avrebbero costretto con la forza delle armi a uniformarsi al volere unanime della Grecia»39. Vale la pena notare che Alessandro, in apertura del suo discorso, afferma che la riconquista di Argo era l’unico obiettivo della Lega achea e che non vi erano altri interessi (sebbene agli Etoli stessi non sarebbe affatto dispiaciuto mettere le mani sulla città peloponnesiaca... [cfr. par. 11]): «poi (scil. Alessandro) si lamentò che gli Achei, un tempo soldati di Filippo, da ultimo, quando la sorte gli aveva girato le spalle, disertori, avessero recuperato Corinto e si stessero sforzando per ottenere Argo». Gli Achei dal canto loro, non potevano che confermare le considerazioni di Alessandro, giacché non volevano certamente gli 39

Cfr. Pol. 18, 45, 9; cfr. anche Liv. 33, 31, 8.

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Etoli nel Peloponneso, come ebbe a dichiarare Aristeno nel suo intervento (Liv. 34, 24, 1-4): «Queste vane chiacchiere provocarono innanzitutto il risentimento del pretore degli Achei, Aristeno: “Che Giove Ottimo Massimo e Giunone Regina, sotto la cui protezione è Argo, disse, impediscano che quella città sia posta, come premio fra il tiranno spartano e i predoni Etoli, in una situazione di rischio tale che la riconquista da parte di voi Etoli significhi per essa una sofferenza maggiore di quanto lo fu la conquista da parte di Nabide. Il mare che si frappone fra noi e loro non ci protegge, o Tito Quinzio, da codesti predoni; e, se essi si procureranno un baluardo nel cuore del Peloponneso, che cosa sarà di noi? Dei Greci essi hanno soltanto la lingua, come degli uomini hanno soltanto l’aspetto; ma hanno costumi e usanze di vita più selvaggi di quelli di tutti i barbari, anzi di quelli delle stesse belve feroci. Perciò vi chiediamo, o Romani, di riprendere Argo a Nabide e di organizzare le cose in Grecia in modo tale da lasciare questa terra e i suoi abitanti ben protetti anche dalle scorrerie ladronesche degli Etoli”». Da parte romana è sintomatico che Flaminino tentò dapprima una mediazione con Nabide, che fu ostacolata dai Greci (34, 26, 4-8), dopodiché, nella tregua che tentò di negoziare con Nabide, non comparivano né gli Achei (34, 35, 2), né gli Etoli, che volevano ad ogni costo la deposizione di Nabide (34, 41, 4-7). In ultima analisi, credo che l’obiettivo di Flaminino non fosse tanto la rimozione di Nabide, che infatti al termine della guerra rimase al suo posto40, quanto la liberazione di Argo (Liv. 34, 24, 67; 26, 5-7; 41, 1-3), onde sottrarla agli appetiti delle parti avverse: la riprova di questo disegno è nel fatto che non appena Nabide se ne andò da Argo, Flaminino inclinò alla pace (34, 33, 3-9); dal canto suo Nabide nel 193, non appena Roma ritirò i suoi presidi dalla Grecia, attaccò Giteo, minacciando nuovamente l’integrità dei possedimenti Achei, spalleggiato in ciò dagli Etoli, che l’anno seguente però lo tradirono uccidendolo (Liv. 35, 12, 6-10; 13, 1; 18, 5)41. Nabide mantenne il trono fino al 192 quando venne ucciso: Liv. 34, 41, 4-7; Plut. Flam. 13, 1; Iust. 31, 3, 1. 41 Cfr. Iust. 31, 3, 2: cum Romanus exercitus in Italiam reportatus esset, velut vacua rursus possessione sollicitatus multas civitates repentino bello invasit. Cfr. TEXIER, Nabis, pp. 94-96; GRUEN, The Hellenistic World, pp. 462-465. 40

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Del resto che Roma, senza andare troppo per il sottile, non avesse interesse a rovesciare Nabide in quanto capo di un regime tirannico, è rivelato anche dal coerente atteggiamento assunto nella successiva politica condotta dagli Scipioni in Grecia: nel 190 l’Africano e suo fratello scrissero a Prusia di Bitinia per rassicurarlo sulla garanzia offerta dal sostegno romano, ricordando il caso di Nabide. Polibio, che conserva il testo della lettera, scrive (21, 11, 4-10): «Publio e il fratello nella lettera lo invitavano alla fiducia facendo uso di molti e chiari esempi; difendevano non solo la loro politica, ma anche quella dei Romani in generale, e con ciò mostravano come non solo non avessero privato del potere alcuno dei re originari, ma anzi, alcuni li avevano essi stessi insediati come dinasti, mentre altri avevano allargato e ingrandito di molto i dominii. Tra questi citavano Andobale e Colicante in Iberia, Massinissa in Libia, Pleurato in Illiria; notoriamente – dissero – avevano innalzato tutti costoro alla condizione di re, da dinasti deboli e trascurabili quali erano. Ugualmente in Grecia Filippo e Nabide: a Filippo, dopo averlo vinto e costretto a dare ostaggi e tributi, ricevuta ora una piccola dimostrazione di buona volontà, avevano restituito il figlio e gli altri giovani che erano in ostaggio con lui, lo avevano sollevato dal tributo, gli avevano ridato molte delle città che avevano preso in guerra; pur potendo annientare completamente Nabide, poi, non lo avevano fatto, ma lo avevano risparmiato, sebbene fosse un tiranno, prendendo solo le usuali garanzie» (                 ). Si consideri infine che, al termine della guerra, il proconsole si limitò a soddisfare soltanto alcune delle richieste greche, senza risolvere i problemi una volta per tutte, senza cioè imporre soluzioni radicali42: già nell’estate del 194 di fronte al ritiro delle 42 Riguardo a Nabide fu lo stesso Flaminino a dichiarare che «gli era sembrato meglio lasciare un tiranno indebolito e incapace di nuocere, in quanto gli erano state sottratte pressoché tutte le forze per farlo, piuttosto che permettere che tutta la città (scil. Sparta) perisse a causa di rimedi troppo duri e insopportabili, destinandola così ad andare in rovina proprio mentre riconquistava la libertà» (Liv. 34, 49, 2-3: satius visum esse tyrannum debilitatum ac totis prope viribus ad nocendum cuiquam ademptis relinqui quam intermori vehementioribus quam quae pati possit remediis civitatis sinere, in ipsa vindicta libertatis perituram).

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legioni, gli Achei si lamentarono del fatto che Nabide era ancora sul trono43 e, rientrata Argo nella Lega achea, Flaminino ritenne molto probabilmente esaurito il suo compito e non volle scatenare gli appetiti achei su Sparta. Insomma, se dal punto di vista formale, cioè delle sedi e delle procedure in cui fu dichiarata, la guerra contro Nabide per Argo ebbe sì caratteri di una guerra panellenica, in realtà fu un conflitto Acheo-Spartano – con gli Etoli a fare da terzo incomodo – per l’egemonia sul Peloponneso, a cui Roma era chiamata come arbitro e garante, e particolarmente accesa fu l’ostilità Achea giacché, di fronte all’attivismo e alla popolarità di Nabide, gli Achei vedevano minacciati i loro progetti egemonici sul Peloponneso: Argo, a detta delle parti in causa, era uno dei cardini di tale egemonia, e ciò non era sfuggito neppure a Flaminino, che ripetutamente aveva fatto cenno alla posizione strategica della città44. Volendo ora dare una risposta alla domanda posta all’inizio, vale a dire quale fu l’atteggiamento di Argo durante la guerra tra Roma e Nabide, mi sembra che si possano avanzare le seguenti considerazioni conclusive: 1. La città a partire dal 198, dal momento in cui si sfila dalla Lega achea per allearsi con Filippo, appare profondamente divisa al suo interno: a partire da questo momento mi sembra sia possibile parlare di una progressiva ascesa delle forze radicali che preparano il terreno all’avvento di Nabide45. 2. Nabide può affermarsi con successo ad Argo perché Roma non lo ritiene una minaccia e, soprattutto, perché è impegnata su fronti più caldi. Nel momento dello scontro tra Roma e Filippo, Nabide si schiera accortamente dalla parte di Roma, sapendo che

Liv. 34, 41, 4-7; 48, 5-49, 3; Plut. Flamin. 13, 3; Diod. 28, 13. 32, 39, 3: Quinctius ut eo quoque praesidio (scil. Argo) Philippum nudaret. Dell’importanza strategica di Argo sono consapevoli anche Filippo (32, 38, 1: et magis tamen de Argis quam de Corintho sollicitus), nonché i dieci legati romani in Grecia (33, 44, 9: cui si Argos velut arcem Peloponneso impositam tenere liceat, deportatis in Italiam Romanis exercitibus nequiquam liberatam a Philippo Graeciam fore, pro rege si nihil aliud longinquo vicinum tyrannum dominum habituram). 45 Filippo del resto, come è stato autorevolmente rilevato (D. MUSTI, Storia Greca, Roma-Bari 19932, p. 810) era diventato, come successivamente Antioco III e poi Perseo, «il punto di riferimento delle aspirazioni e delle attese delle masse di indebitati». Cfr. ad es. Pol. 10, 26.

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avrebbe avuto così mano libera su Argo su cui gli Achei non potevano recriminare. 3. Roma decise di intervenire contro Nabide solo dopo la vittoria su Filippo, quando gli alleati e in primis gli Achei – soccorsi dallo scontento etolico – non sono più disposti ad accettare l’espansione spartana nel Peloponneso. Argo, in sostanza, diventa il centro di uno scontro all’interno del mondo greco per l’egemonia del Peloponneso a cui Roma è chiamata a dare una risposta: Flaminino, sotto la bandiera della libertas, in realtà, una volta ricondotta Argo nella Lega achea, si accontentò di assicurare la fedeltà della città a Roma; prova ne è la clementia concessa agli esuli e a quanti avevano combattuto con Nabide e il fatto che il generale romano non intendeva risolvere il contenzioso in modo decisivo, dal momento che Nabide continuerà a regnare a Sparta fino al 192 riprendendo, già a partire dal 194 con l’assedio di Giteo, i suoi attacchi contro i possedimenti achei. La soluzione finale da parte di Roma avverrà pertanto solo col 146, in un contesto panellenico radicalmente mutato. ABSTRACT In accordance with Flamininus’ and Nabis’ speeches (Livy 34, 31-32 ) on the brink of war in 195 B.C., Rome’s intervention at Argos was requested by the Greeks themselves for internal purposes: first, the long clash between the Achaean League and Sparta, secondly the different aims of the Greeks involved. Flamininus made war against Nabis only to give freedom to Argos and to restore the city to the Achaean’s League, which Argos in 198 had departed from. Nevertheless Flamininus, after the Roman’s victory at Cinoscefale, didn’t want to resolve completely the Greek internal conflicts.