Archeologia senza scavo. Geofisica e indagini non invasive 8869235890, 9788869235894

Un'archeologia senza scavo è davvero possibile? Non è di certo l'ultima ambizione degli archeologi, che oltre

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Archeologia senza scavo. Geofisica e indagini non invasive
 8869235890, 9788869235894

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Un'archeologia senza scavo è davvero possibile? Non è di certo l'ultima ambizione degli archeologi, che oltre a non poter fare a meno dell'innegabile fascino dd lavorare con "le maiù dentro la terra" necessitano del dato strati­ grafico per ricostruire, con metodo e recupero ordinato dei reperti, la storia e la cronologia di un luogo. Oggi però l'archeologia è in grado di conoscere, prevedere e raccontare quanto non è visibile dalla superficie anche senza scavare, ricorrendo alla geofisica o più in generale al telerilevamento (remote sensing). Archeologia senza scavo racconta di un approccio contem­ poraneo alla ricerca archeologica, che negli ultimi anni ha visto un intenso sviluppo di tecnologie e strumenti per l'indagine di paesaggi, siti e monumenti, anche grazie a un'attitudine sempre più multidisciplinare e al dialogo con scienze sussidiarie. Rivolto essenzialmente agli studenti di archeologia, il vo­ lume intende fornire un'introduzione ragionata alla di­ sciplina, dalle tappe principali della sua evoluzione alle nuove prospettive di ricerca, analizzando i metodi di indagine e le potenzialità anche attraverso casi di studio selezionati, ma sempre dal punto di vista dell'archeologo, delle sue esigenze di ricostruzione storica e topografica, oltre che di resa e interpretazione dei dati. In questa pro­ cedura, acquisisce estrema importanza anche lo scavo che, a dispetto del titolo del volume, deve restare il fine ultimo dell'indagine archeologica, ma possibilmente preparato, valutato e programmato con anticipo e consapevolez­ za. Il processo interpretativo innescato dal confronto tra scavo e non scavo viene così vicendevohnente alimentato, all'insegna di un reale intreccio interdisciplinare indiriz­ zato dalle tecniche non invasive ma che lo scavo permette di perfezionare nelle modalità di lettura e comprensione, nella conduzione del quale le competenze dell'archeolo­ go restano un punto fermo.

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Collana diretta da Giuseppe Sassatelli

La Collana nasce in primo luogo dall'esigenza di riempire alcuni vuoti presenti nella formazione universitaria, in particolare nei corsi di laurea triennali. Si articola in una serie di volumi agili, destinati prevalentemente agli studenti del triennio, ma adatti anche a fornire conoscenze di base agli studenti delle Lauree M:1Kistrali in Archeologia che non abbiano avuto occasione di seguire i necessari insegnamenti nel triennio precedente, in funzione di una alfabetizzazione di carattere generale. Le "Lezioni di Archeologia" sono inoltre pensate per intercettare l'interesse di un pubblico colto che voglia accostarsi all'archeologia avvalendosi di strumenti aggior­ nati, ma semplici e accessibili. 1 volumi, che prendono in esame problemi di metodo, specifiche fasi cronologiche e culturali, temi e aspetti settoriali dell'archeologia, hanno un'impostazione unitaria nella struttura e un taglio snello, adottano un linguaggio chiaro e sono riccamente illustrati.

Volumi di prossima uscita Enrico Cirelli, Archeologia della produzione nel Medioevo Simone Garagnani,Andrea Gaucci, Paola Moscati, Marco Gaiani, ArchaeoBIM. 11ieory, Processes and Digitai Methodologies for the Lost Heritage Volumi in preparazione

Metodologia della Ricerca Archeologica,Archeologia Romana, Archeologia del Mediterraneo tardoantico e bizantino, Archeologia Orientale, Archeozoologia; Etruscologia e Archeologia Italica; Introduzione alla lingua egiziana e alla scrittura geroglifica; La ceramica greca; Preistoria e Protostoria italiana.

FEDERICA BOSCHI

ARCHEOLOGIA SENZA SCAVO Geofisica e indagini non invasive

Bononia University Press

Bononia University Press Via Ugo Foscolo 7, 40123 Bologna tel. 1+39) 051 232 882 fax 1+39) 051 221 019 © 2020 Bononia University Press ISBN 978-88-6923-589-4 www.buponline.com [email protected] I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo !compresi i microfilm e le copie fotostatiche I. sono riservati per tutti i Paesi. Progetto grafico e impaginazione: Design People Foto di copertina: Rielaborazione di una foto di Pierluigi Giorgi. L.:originale è tratto da G. Sassatelli, E. Giorgi la cura dii, Pompei lntra-Extra. Archeologi dell'Università di Bologna a Pompei, Bononia University Press, 2017. Prima edizione: settembre 2020

SOMMARIO

INTRODUZIONE. VEDERE L"INVISIBILE CON GLI OCCHI DELL"ARCHEOLOGO

1. 1.1. 1.2. 1.3. 2. 2.1. 2.2. 2.3. 2.4. 2.5. 3. 3.1.

GEOFISICA E TELERILEVAMENTO IN ARCHEOLOGIA: UNA STORIA GIOVANE Ieri. I pionieri dell'archeologia senza scavare Oggi. I nuovi protagonisti Domani. Sfide e prospettive in archeologia COSTRUIRE L"INDAGINE L"importanza del contesto Il paesaggio naturale e antropizzato: geologia, pedologia, topografia e uso dei suoli Archeologia "ideale"? Sul campo. Dalla progettazione al survey In cerca di buone pratiche ESPLORARE IL SOTTOSUOLO DALLA SUPERFICIE: METODI E STRUMENTI Geoelettrica

7 15 16 31 37 45 45 54 59 62 66 75 78

3.2. 3.3. 3.4. 3.5. 3.6.

Ground-Penetrating Radar IGPRI Magnetometria Penetrating Elettromagnetometria Altri metodi di indagine geofisica Lo sguardo dall'alto: il telerilevamento in archeologia

95 114 130 137 139

4.

RACCONTARE LA STORIA SENZA SCAVARE. CASI DI STUDIO IN ARCHEOLOGIA Paesaggi urbani e città abbandonate Paesaggi costieri e città portuali Siti preistorici e protostorici Paesaggi funerari, tombe e sepolture Castra e fortezze militari Chiese e basiliche Case e spazi domestici Fornaci e luoghi di produzione artigianale Città a continuità di vita

159 160 177 191 203 210 221 226 231 237

4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6. 4.7. 4.8. 4.9. 5. 5.1. 5.2. 5.3. 5.4.

LA GEOFISICA PER L'ARCHEOLOGIA DEL PAESAGGIO E L'ARCHEOLOGIA PREVENTIVA Geofisica estensiva e continua Verso la design-led archaeology: archeologia preventiva e programmata Un caso di studio: il Progetto ArcheoNevola !Valle del Nevola, Marche Settentrionali] L'archeologo alla regia. Ruolo, funzioni e responsabilità nella "nuova" archeologia

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GLOSSARIO

285

259 259 263 267

Introduzione

VEDERE L'INVISIBILE CON GLI OCCHI DELL'ARCHEOLOGO

La premessa d'obbligo a questo volume è che in archeologia bisogna scavare. È necessario. Non riesco nemmeno a immaginare un'archeologia che non si sporca le mani di terra e che non redige diari di scavo su taccuini e notes. Vero è, però, che oggi sempre più si parla di "archeologia senza scavo" e che si fa un utilizzo sempre maggiore della diagnostica territoriale. Avendo dedicato ormai diversi anni di studio e ricerche a questo cam­ po, la mia convinzione è che l'archeologia non possa fare a meno dello scavo ma che lo scavo debba essere il più possibile programmato e pianificato a priori, selezionando con cura e attraverso una valutazione complessiva le aree di intervento, nel caso, anche limitandone l'esten­ sione. E questo non solo per un problema di costi delle indagini dirette ma anche per una questione di responsabilità morale nei confronti della nostra eredità culturale, i cui resti sono stati troppe volte riportati in luce senza pensare alle esigenze di protezione, restauro, manuten­ zione e valorizzazione conseguenti al disseppellimento o alla possibile distruzione delle fasi di vita più recenti di siti pluristratificati. A dire il vero, oggi i sistemi non invasivi offrono molto di più della capacità di sc9prire siti o descriverli nella loro planimetria ed estensione. Se utilizzati nell'ottica e al servizio di una strategia di ricerca densa di si7

gnificati e risvolti archeologici, sociali, ed economici, possono rappre­ sentare una fonte informativa di grandi potenzialità, certamente utile per affrontare problemi importanti e questioni complesse. Come prima cosa, la geofisica e le tecniche del telerilevamento (remote sensing), specie dopo il progresso tecnologico e informatico degli ultimi anni, rientrano tra i principali sistemi di valutazione della qualità e della quantità dei resti sepolti e sono abitualmente impiegati per decidere se e dove scavare. Appartengono a una "nuova" frontiera dell'archeologia, ormai da tempo affermata anche in Italia, che non si pone come un superamento dello scavo, quanto piuttosto come un'estensione delle sue premesse e delle sue procedure metodologiche, che individuano nella valutazione del deposito archeologico un aspetto determinante. Geofisica archeologica, Archeologia Aerea, Archeologia Digitale sono tutte de­ nominazioni di recente genesi che dimostrano quanto sia cambiato il mestiere dell'archeologo e il fatto che i metodi del non scavare si siano affermati e siano cresciuti talmente tanto da assurgere a vere e proprie discipline. Si tratta di terre di confine, dove il sapere storico e umani­ stico cede il passo al linguaggio tecnico e scientifico, e lo studio delle fonti e dei testi deve fare spazio anche ai rilievi strumentali sul campo e alle analisi computeristiche. Materie dove, soprattutto ora, ci sono figure eterogenee e trasversali per formazione ed esperienza, più spesso archeologi che hanno abbattuto "la paura" per le materie scientifiche (o che non l'hanno mai avuta) o scienziati che hanno maturato una profonda esperienza nel campo delle applicazioni archeologiche. Non ci sono idonei e non idonei, ci sono solo ricercatori che contribuiscono, ognuno a modo proprio, allo sviluppo di una nuova archeologia. La possibilità di "vedere" dalla superficie quanto si cela sotto i nostri piedi è qualcosa che fino a qualche decennio fa non era nemmeno pensabile. Ed è una delle grandi rivoluzioni a cui la storia della meto­ dologia archeologica ha assistito negli ultimi tempi. Sono passati quasi vent'anni anni dalla prima uscita della ricerca sulla città laziale di Falerii Navi condotta con straordinaria maestria da un' équipe br itannica che annoverava fra gli altri Simon Keay e Mar8

tin Millett (Falerii Novi. A new survey cif the walled area, 2000) . Un lavoro che personalmente mi aveva molto colpita e che ha indubbia­ mente esercitato un forte ascendente sul percorso poi da me intra­ preso. Nonostante il tempo trascorso e gli aggiornamenti più recenti, il progetto inaugurato con l'entrata nel nuovo millennio rappresenta ancora un mirabile esempio di ricostruzione di un paesaggio urbano antico, basato sull'integrazione di dati provenienti da differenti studi e lavor i sul campo, dalle prospezioni aeree alle ricognizioni di su­ perficie, fino alle analisi geomorfologiche, archeo-biologiche e della distr ibuzione dei materiali. All'interno di uno studio così ben conce­ pito, completo e organico, svettava la restituzione delle indagini ma­ gnetometriche e, ancora di più, l'interpretazione archeologica che ne veniva data. Questa linea di ricerca è stata poi perseguita con successo da molti archeologi, dimostrando come anche all'interno di progetti multidisciplinari e votati alle metodologie, il valore reale della ricerca e il passaggio alla sintesi interpretativa necessitino di un approccio globale di carattere storico-topografico che va oltre le scienze esatte e naturali. È andato così definendosi un metodo che, ricorrendo alle tecnologie come un mezzo più veloce per rispondere alle domande di partenza, non perde mai il fuoco sulle finalità stor ico-culturali del­ la ricerca, mantenendo la centralità archeologica dell'intero processo cognitivo. Alcuni dei progetti archeologici più esemplificativi in tal senso, e più volte richiamati all'interno del volume, dimostrano anzi come le nuove tecnologie, specialmente quelle del non scavare qui considerate, possano contribuire virtuosamente non solo nel trovare le risposte ma anche nel trovare il modo per porre nuove doman­ de. La "regia" dell'archeologo nelle ricerche che hanno per oggetto e per obiettivo la comprensione storica e archeologica è la chiave. O, ancora meglio, la conoscenza archeologica, topografica e storica è la matrice da cui partire e su cui impostare la strategia generale, definire gli approfondimenti e trarre forza per l'interpretazione dei dati. Se dunque è vero che il mestiere dell'archeologo è cambiato moltissimo negli ultimi vent'anni ed è stato per così dire facilitaVedere l'invisibile con gli occhi dell'archeologo 9

to dall'introduzione delle più avanzate tecnologie di diagnosi, ana­ lisi, documentazione e comunicazione del paesaggio antico, è anche vero che ha guadagnato di complessità. Nel senso che sono richieste ora competenze disciplinari ma anche abilità interdisciplinari, spes­ so estese a vari altri campi, dalla pianificazione alla comunicazione, dalla gestione alla valorizzazione. Una disciplina globale, come la de­ scrive Giuliano Volpe, che è quasi un modo di pensare, come ricorda Daniele Manacorda, che deve partire dal presupposto di un approc­ cio sistemico e di un'analisi complessiva del contesto, del paesaggio, dell'incessante rapporto tra l'uomo e l'ambiente, senza tralasciarne nemmeno i risvolti etici e sociali (Carver 2009). Questa maniera di fare e di conce?ire l'archeologia, questa consapevolezza culturale dei procedimenti, deve guidare anche le applicazioni più tecnologiche e metodologiche proprie della diagnostica. In questo senso dunque bisogna saper guardare le, spesso impressio­ nanti, restituzioni geofisiche o le immagini prodotte dai rilevamenti aerei con gli occhi dell'archeologo. Non soltanto per un fatto di back­ ground culturale e formativo, che porta a maturare una certa familiari­ tà e una buona esperienza nell'individuazione di tracce archeologiche, o per quella indispensabile consapevolezza sulla fisionomia storico-to­ pografica del contesto indagato a cui si è accennato, ma anche perché chi è abituato a "mettere la testa sotto terra" sa che aspetto può avere una stratificazione che contiene i segni antropici e naturali di un pas­ sato non più visibile al di fuori, sa quali possono essere le dinamiche di interazione e anche quanto possa essere complicato interpretarle correttamente senza tenere conto della complessità storica, socio-cul­ turale e geografica del contesto. Un archeologo ben formato su un de­ terminato territorio può estrapolare da una mappa geofisica ottenuta in quel luogo una miriade di informazioni, può tradurre un'immagine aerea in una complessa e dettagliata lettura del palinsesto sepolto, an­ cora di più se inserito all'interno di un'équipe collaudata di esperti e specialisti di vari aspetti della ricerca territoriale (geomorfologo, geo­ fisico, bioarcheologo, geologo ecc.). 10

Da tali presupposti è nato questo libro che, senza nessuna pretesa, spera di poter essere uno strumento di lettura per chi si avvicina, magari per la prima volta, al mondo dell'archeologia senza scavare, delle tecniche di indagine non invasiva applicate alla ricerca archeologica e, in parti­ colare, della geofisica. E che per i più giovani archeologi possa essere di ulteriore stimolo per costruire progetti, intraprendere ricerche e in­ seguire risposte, ma sempre con la capacità di interpretare criticamente risultati e mezzi utilizzati. I casi di studio richiamati nel testo, seppur riportati molto sinteticamente, dimostrano la varietà delle applicazioni, le differenti possibili scale di analisi, le diverse strategie adottate in rap­ porto alla sostenibilità e agli obiettivi della ricerca, rivelando un'ampia casistica di possibili soluzioni, anche a seconda delle condizioni spe­ cifiche e delle disponibilità economiche. Tanti diversi esempi che evi­ denziano, inoltre, un altro enorme vantaggio proprio dell'archeologo, che spesso tende a essere sottovalutato, ovvero l'opportunità della veri­ fica. Lo scavo, che come detto è un tassello imprescindibile dell'intero processo conoscitivo, offre la prova, il riscontro, la dimostrazione della fondatezza dell'interpretazione formulata sulla base del dato indiretto, permettendo al contempo di maturare l'esperienza interpretativa e di plasmare la nuova consapevolezza sul resto dell'analisi, attivando con­ tinui meccanismi di feedback che possono stimolare nuove letture e anche nuovi scavi. Un'ultima considerazione riguarda l'archeologia preventiva. La mo­ derna metodologia archeologica dispone ormai di nuovi strumenti che, se utilizzati con attenzione critica e con la giusta consapevolezza archeologica, possono facilitare e favorire anche le procedure di valu­ tazione dell'interesse archeologico all'interno di operazioni di archeo­ logia preventiva, superando le problematiche connesse alle esigenze di crescita dei paesaggi moderni e alle disponibilità economiche sem­ pre più limitate. In un momento di grave difficoltà economica come quello attuale, non è pensabile investire ingenti risorse economiche in progetti archeologici che non siano complessivi e unitari. Le tecniche di diagnosi pre-scavo assumono una particolare rilevanza proprio in Vedere l'invisibile con gli occhi dell'archeologo 11

tal senso, fornendo all'archeologia il terzo occhio descritto da Anthony Clark nel suo Seeing Beneath the Soil (1990) - il primo manuale della disciplina - il grande vantaggio della conoscenza archeologica antici­ pata e, dunque, di una progettazione consapevole e organizzata. Una visione allargata e complessiva, che può permettere la più corretta pro­ grammazione, con un considerevole risparmio di tempo e di risorse economiche e umane, o, quanto meno, una loro gestione migliore e più responsabile.

BIBLIOGRAFIA ESSENZIALE S. Campana (2017), Remote Sensing in Archaeology, in Encyclopedia oJ Ceoarchaeology, Springer. M.O.H. Carver (2009), Archaeological lnvestigation, Routledge. A. Clark (1990), Seeing Beneath the Soil. Prospecting methods in archaeology, Batsford. S. Keay, M. Millett, S. Poppy,J. Robinson,J. Taylor, N. Terrenato (2000), Falerii Novi: a new survey of the walled area, Papers of the British School at Rome, 68, pp. 1-93. D. Manacorda (2008), Lezioni di Archeologia, Bari. G. Volpe (2008), Per una "archeologia globale dei paesaggi" della Daunia. Tra archeologia, metodologia e politica dei beni culturali, in G.Volpe, M.J. Strazzulla, D. Leone (a cura di), Storia e archeologia della Daunia, in ricordo di Marina Mazzei, in Atti delle giornate di studio (Foggia 2005), Bari, pp. 447-462.

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RINGRAZIAMENTI Questo volume deve dire grazie a tante persone. In primis al professor Giuseppe Sassatelli, che ha voluto e creduto nella collana che lo acco­ glie e nel libro in sé, motivandone la stesura, consigliandola e sostenen­ dola con una sempre incoraggiante fiducia. Insieme a lui, grazie a chi mi ha insegnato tanto e che ancora sa indirizzare con spirito critico il mio percorso, i professori Andrea Augenti, Stefano Campana, Eli­ sabetta Govi, Enrico Giorgi, Giuseppe Lepore. Poi, a tutti coloro che negli anni hanno contribuito, con la loro ricerca, il loro lavoro, e il loro aiuto, ai progetti qui esposti nonché, secondariamente, alla mia cresci­ ta personale. I geofisici Iacopo Nicolosi, Gianfranco Morelli, Gianlu­ ca Catanzariti, Michel Dabas, Giovanni Bitella, Stefano Del Ghianda, Alexandre Novo, con i quali collaboro sempre con ammirazione e motivazione, e che hanno reso possibili le maggiori sperimentazioni raccontate tra le pagine che seguono, da Burnum a Civitalba, passando per Classe, Suasa e Marzabotto. Gli archeologi e docenti del Diparti­ mento di Storia Culture Civiltà e del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna che mi hanno coinvolta nelle loro ricerche, permettendomi di far parte delle esperienze raccontate nel testo o nelle immagini che seguono. Un ringraziamento sentito va poi ai tanti maestri e ai "pionieri" dell'archeologia senza scavo che ho avuto la fortuna di incontrare sulla mia strada, come Martin O.H. Carver, Chris Musson, FrankVermeulen, Helmut Becker, Larry Conyers, Darja Gro­ sman, Giuseppe Ceraudo, con i quali ho condiviso importanti espe­ rienze formative, costruttivi confronti e stimolanti indagini sul campo. Infine, grazie ai miei veri punti di riferimento nella vita di tutti i gior­ ni, ai miei genitori, Daniela e Luciano, al mio compagno Michele, e soprattutto, a mio figlio Giacomo, a cui dedico questo libro anche per­ ché, in qualche modo, mi ha permesso di scriverlo. E grazie dunque, un po', anche a Super Mario e a Luigi (Bros.) del famoso videogioco anni Ottanta, che in versione pupazzetto e Lego lo hanno tenuto oc­ cupato, di tanto in tanto. Vedere l"invisibile con gli occhi dell"archeologo

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Capitolo 1

GEOFISICA E TELERILEVAMENTO IN ARCHEOLOGIA: UNA STORIA GIOVANE

E difficile immaginare oggi l'archeologia senza tecnologia, il cui avvento ha cambiato il modo di intendere e di praticare il mestiere dell'archeologo. L'archeologia del nostro tempo fa cose che fino a qualche decennio fa erano estranee al pensiero e alla prassi comuni, sia perché non era concretamente possibile farle sia perché l'oggetto della ricerca era ben lontano dall'approccio che queste implicano. "Vedere" il sottosuolo prima di scavare è una conquista relativamente giovane, che affonda le sue radici nel secolo scorso. Lo sviluppo storico dei metodi del non scavare è strettamente con­ nesso alla storia delle tecnologie e degli strumenti coinvolti nei pro­ cessi di acquisizione, elaborazione e interpretazione dei dati. Se per il telerilevamento (remote sensing) la nascita della disciplina coincide pressoché in toto con lo sviluppo della fotografia aerea, e dunque fa i suoi esordi tra l'Ottocento e il primo Novecento, l'inizio della sto­ ria della geofisica è di poco successivo. Dalla metà del secolo scorso, però, la crescita tecnologica che investe tutti gli aspetti della società moderna, porta a una maggiore definizione dei vari settori della materia che cominciano anche a s vilupparsi in maniera autonoma. Ed è dagli anni Cinquanta del Novecento che si assiste all'utilizzo 15

sempre più convinto e convincente di queste tecniche nell'indagine archeologica. La geofisica archeologica, per tradurre alla lettera l'inglese archaeologi­ cal geophysics, ha meno di un secolo e ha assunto una fisionomia ben precisa soprattutto negli ultimi vent'anni, complici il perfezionamento di strumenti e tecniche, la presentazione e divulgazione dell'efficacia dei risultati ottenuti, e l'avvio di programmi sistematici di esplorazione archeologica anche territoriale. In questi decenni si è connotata come una vera e propria cerniera tra la sfera umanistica e quella scientifica, divenendo una proficua occasione di incontro di punti di vista e di conoscenze differenti. Le pagine che seguono passano in rassegna alcune tappe dell'evoluzio­ ne della disciplina, con la consapevolezza di non aver potuto elencare tutte le persone, le istituzioni, le ricerche, e gli sforzi che hanno singo­ larmente contribuito al suo sviluppo e alla sua affermazione.

1 . 1 . I ER I . I PIO N I ER I D ELL.:ARCH EOLOGIA SENZA SCAVARE L'aspetto più affascinante delle esperienze iniziali di geofisica applicata alla ricerca archeologica sta senza dubbio nel carattere sperimentale ed empirico dei primi utilizzi sul campo, che impiegano rudimentali strumentazioni ancora in via di definizione e lasciano trapelare pro­ fonde curiosità e aspettative per i risultati ottenibili. Le varie immagini e fotografie d'epoca dei pionieri della disciplina, ritratti sul campo con prototipi di georesistivimetri o magnetometri, ci raccontano tut­ ta l'emozione e la voglia di conoscere quale sarebbe stata la risposta strumentale alla domanda che, da allora, non ha mai smesso di animare ogni prospezione, ovvero "chissà cosa si vedrà?", unitamente in quel caso, anche a un probabile "chissà se funzionerà?" (Figg. 1 -2) . Seppur in modo un poco improprio, può essere annoverata tra le ri­ cerche ancestrali di indagini non invasive e preparatorie di uno scavo anche la famosa avventura archeologica del tenente e generale Augu16

Fig. 1 . M isure d i resist ività con Arnold Aspinall, Jim Pocock e John Gater ( 1 9701. Per cortesia di Chris Gaffney [dall'archivio dell' Università di Bradford].

Fig. 2. John Gater e Andrew David durante un test con strumentazione geomag netica ed elettromag netica ( 1 970] (da David, 20061. Geofisica e teleri leva mento i n a rcheolo g i a: una storia g i ova ne

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stus Pitt Rivers, da sempre considerato tra gli innovatori della meto­ dologia archeologica, che, nel suo report redatto tra il 1 893 e il 1 895, mentre si accingeva a indagare i monumenti di età Neolitica e del Bronzo a Cranborne Chase, riferisce di aver testato il bosing, una origi­ nale tecnica di esplorazione preliminare del sottosuolo che consisteva nel battere un'asta metallica nel terreno per la ricerca di resti archeolo­ gici sepolti, interpretandone la risposta a seconda del suono prodotto. Un sistema che possiamo considerare una sorta di antesignano della moderna tecnica sonar e che permette dunque di leggere quella di Pitt Rivers come un'embrionale prospezione. La prima vera indagine geofisica in un sito archeologico si data al 1 946, quando Richard Atkinson, in collaborazione con Anthony Clark, testò il metodo della resistività nel complesso funerario e cerimoniale neoli­ tico di Dorchester on T hames, nell'Oxfordshire, seguendo i rilievi ae­ rofotografici precedentemente realizzati dagli scopritori del contesto e pionieri dell'archeologia aerea, O.G.S. Crawford e il Maggiore G.WG. Allen. L'area, nota poi anche come Big Rings Henge, si è rivelata subito un luogo ideale per le tecniche di prospezione non invasiva. La mappa con curve di livello ottenuta con la prima geoelettrica, per quanto di resa grafica semplice, restituisce un'immagine precisa ed eloquente del fossato circolare di uno dei monumenti circolari oggetto dei rilievi, determinata dalle differenti proprietà conduttive del terreno in cor­ rispondenza del suolo umido che riempiva i tagli anulari nel sostrato ghiaioso (Fig. 3) . Questo traguardo importante ha ufficialmente aperto le porte alla geofisica in archeologia, che si è così presentata fin dalle prime manifestazioni come un alleato valido e molto promettente per le strategie di scavo e di valutazione archeologica del sottosuolo. Il suc­ cesso del sistema utilizzato da Atkinson, basato sul cosiddetto dispositivo Wenner, ebbe un'inevitabile ricaduta su molti archeologi europei, che furono stimolati a considerare e sperimentare il metodo della resistività come un sistema vincente per scegliere il punto migliore dove scavare. Oltre alla spinta propulsiva che caratterizza il mondo anglosassone nell'affermarsi della materia già prima della metà del secolo scorso, 18

Fig. 3. Il sito di Dorchester on Themes, a sinistra in traccia sulle fotografie aeree scattate dal maggiore George Allen ( 1 9381. e a destra come anomalie sulla mappa di resistività prodotta dalle indagini geoelettriche di Richard Atkinson e Anthony Clark ( 1 946] (da Clark, 1 990, p. 1 31.

anche negli Stati Uniti si registra un precoce fervore per le applicazio­ ni archeologiche, tanto da mettere in discussione il primato a lungo ri­ conosciuto all'Inghilterra nella storia della geofisica per l'archeologia. Fa parte della fase iniziale delle sperimentazioni lo studio sistematico della Chiesa di Bruton a Williamsberg, in Virginia, ad opera del cana­ dese Mark Malamphy che lavorava per la compagnia del geofisico sve­ dese Hans Lundberg. L'indagine di Malamphy mosse da un problema archeologico che da anni aveva focalizzato l'interesse di Marie Bauer Hall, un'insegnante dalla rigorosa educazione cattolica trasferitasi a Williamsberg dalla Germania, e presto appassionatasi alla ricerca della chiesa originaria di Bruton. La Hall era infatti convinta dell'esistenza nel sottosuolo dell'edificio più antico, che doveva essere sepolto a poca distanza da quello ancora oggi attivo del XVIII secolo, e che 3 metri sotto il limite occidentale del primo monumento ci fosse anche una vecchia volta in pietra. Con l'obiettivo di identificare questi target e di confermare la teoria della Hall, Malamphy intraprese un'indagine di resistività elettrica il 3 novembre del 1 938, una data considerata da molti come il vero inizio della geofisica archeologica. Le misure per­ misero di riconoscere una zona caratterizzata da alti valori di resistività Geofisica e teleri levamento i n archeolog ia: una storia giovane

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che venne, seppur in via cautelativa, interpretata dal geofisico come il prodotto della volta in pietra sepolta, attesa dalla Hall. Gli scavi che ne seguirono però non portarono in luce nessuna volta o struttura, lasciando un vago interrogativo sull'efficacia della prospezione e sul ri­ sultato ottenuto. A distanza di cinquant'anni dalla prima applicazione, il geofisico Bruce W Bevan venne invitato a ripetere la prospezione utilizzando la tecnologia moderna e strumentazioni evolute e anche con queste dotazioni registrò la stessa anomalia ad alta resistività nel medesimo punto rilevato da Malamphy. Le nuove indagini e gli sca­ vi di verifica tolsero ogni dubbio, dimostrando che l'interpretazione formulata da Malamphy, in qualche modo condizionata dall'oggetto della ricerca, era sbagliata ma la prospezione aveva comunque avuto un esito positivo, nei termini della capacità strumentale di rilevare i cam­ biamenti della stratificazione. I valori di alta resistività effettivamente registrati erano dovuti non alla volta in pietra ipotizzata dalla Hall ma alla geologia naturale, ovvero a differenti livelli di piccole conchiglie fossili nei sedimenti sabbiosi, che lo scavo attestò a circa 4 metri di profondità dal piano di campagna. Il caso della Parish Church di Bruton è così divenuto un emblema significativo nella storia della geofisica applicata, mettendo bene in chiaro che non è sempre possibile distinguere la natura delle sorgen­ ti di anomalia rilevate strumentalmente e, dunque, l'importanza del riscontro diretto, dello scavo. Dimostra inoltre che la geofisica non può essere considerata una sfera di cristallo capace di svelare "ma­ gicamente" il sottosuolo. L'interpretazione dei risultati deve sempre essere logica e basarsi sulla teoria della tecnica utilizzata ma deve an­ che, necessariamente, farsi forte di uno studio solido e complessivo del contesto in esame, preferibilmente da conoscere dettagliatamente sotto tutti i punti di vista, geologico, geopedologico, geomorfologico e archeologico-antropico. Tornando alla nascente esperienza anglosassone, ancora sulla scia dell'en­ tusiasmo per la primigenia ricerca di resistività di Atkinson, pochi anni dopo si assiste a un'evoluzione della tecnica con lo sviluppo di un nuovo

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georesistivimetro, messo a punto da John Martin e Anthony Clark avendo l'archeologia in mente. Il nuovo prototipo strumentale trovò la sua prima uscita archeologica nel 1 956 presso la città romana di Cunctio, nel Wilt­ shire, un altro promettente palinsesto che era stato recentemente scoperto dall'alto durante ricognizioni aeree che avevano immortalato i cropmarks delle strutture sepolte e, in particolare, dei bastioni delle mura urbane (Fig. 4). Proprio questi furono oggetto anche delle sperimentazioni geoelettri­ che, che contribuirono alla loro caratterizzazione in termini di profondità del deposito e di conservazione dei residui di fondazione. Un'altra importante rivoluzione è legata alla figura di Graham Webster che, seguendo gli scavi archeologici durante l'apertura dell'A 1 road

Fig . 4. La c ittà romana d i Cunetio [Wilts h i re l . A s i n i stra, c ropma rks d elle m ura u rbane, a destra , i nterpretazione dei risultati de lle prospezi o n i geoe lettriche di J o h n M a rtin ed Anthony Cla rk i n corri spondenza dei bast i o n i difensivi e confronto con la documentazione a rcheologica [da Clark, 1 9901. Geofisica e t eleri leva m e n t o in a rc h e o lo g i a : u n a storia g i ova n e

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nelle vicinanze del sito romano di Durobrivae (Water Newton) nella contea di Cambridge, ispirato da una lettura sulla datazione magnetica, si chiese se la tecnica geomagnetica avrebbe potuto essere trasferita al campo archeologico e risultare utile per l'individuazione di fornaci sepolte. Cercando di trovare una risposta pratica a questo problema, Webster contattò Martin Aitken ed Edward Hall del Research Labora­ tory for History of Art della Oxford University, che stavano progettan­ do un nuovo magnetometro a protoni pensato proprio per l'utilizzo sul campo. I rilievi nel sito con la strumentazione di fresco assemblag­ gio iniziarono nel marzo del 1 958, secondo i report accompagnati da una leggera caduta di neve, e coprirono una superficie di 5 ettari in 7 giorni. Oltre a tubi e rottami di metalli moderni, la strumentazione rilevò una fornace romana per ceramica e l'euforia della scoperta au­ mentò quando gli scienziati realizzarono di aver localizzato anche fosse e buche, tra cui antiche discariche di materiale. Il successo delle nuove acquisizioni, piuttosto sorprendenti per la co­ munità scientifica dell'epoca, ebbe subito una vasta eco nel mondo delle scienze archeologiche anche grazie alla pubblicazione dei risul­ tati nel primo numero della rivista «Archaeometry» nello stesso 1 958. Il fervore per le potenzialità delle applicazioni geofisiche cominciò a diffondersi rapidamente oltre le culle originarie, Inghilterra e USA, investendo Francia, Germania, Svizzera e Italia. In questi Paesi nacque­ ro centri di ricerca che conobbero in quegli anni una veloce crescita. Il Centre National de la Recherche Scientifique (CNRS) di Garchy (Francia) si dedicò allo sviluppo della geofisica archeologica anche nei suoi aspetti teorici oltre che pratici e produsse importanti pubblicazio­ ni in particolare grazie ad Albert Hesse, autore del primo manuale sulla disciplina ( 1 966), e ad Alain Tabbagh. Il Rheinisches Landesmuseum di Bonn, con la figura carismatica di lrwin Scollar, contribuì con altrettanto significativi progressi, che ri­ gu ardarono non solo gli aspetti strumentali e l'acquisizione delle misure sul campo ma anche l'elaborazione, in seguito all'introduzione e allo sviluppo di software specifici per il trattamento e il filtraggio dei dati. 22

Non meno esemplare in tal senso fu l'attività della Fondazione Lerici, istituita nel 1947 presso il Politecnico di Milano, sotto la guida di Car­ lo Maurilio Lerici e Richard Linington. La storia della Fondazione Lerici si inquadra in quella dell'Italia di fine anni Cinquanta, ovvero nella fase della ricostruzione post-bellica e del boom economico seguente. Ingegnere e industriale, Carlo Lerici si dedicò ad attività industriali e commerciali nel campo degli acciai speciali e inossidabili a partire dagli anni Venti. I frequenti contatti con la Svezia, da cui importava buona parte delle materie prime della sua produzione, lo portarono ad entrare rapidamente in contatto con i problemi e i metodi della prospezione geofisica che in quel Paese venivano impiegati soprat­ tutto per la ricerca di minerali solidi. Convinto dell'interesse che lo sviluppo di questa tecnologia avrebbe potuto avere anche in Italia, dopo essersi fatto promotore della creazione dell'Istituto Italiano di Cultura di Stoccolma, nell'immediato dopoguerra fu il fautore della trasformazione del Centro di Prospezioni Geominerarie del Politecnico di Milano in Istituto di Geofisica Applicata, che diven­ ne uno dei più avanzati centri italiani per le ricerche minerarie, su idrocarburi, acque e gas . Parallelamente, nel segno di un personale forte interesse per le discipline umanistiche, diede vita alla Fonda­ zione che porta il suo nome. La nuova istituzione si affermò subito come un punto di riferimento non solo sul territorio nazionale e, nei primi anni, conobbe un rapido s viluppo, perseguendo con con­ vinzione una linea di ricerca espressamente dedicata al campo ar­ cheologico, anche attraverso la messa a punto di strumentazioni ad hoc. Di particolare importanza sono le campagne di indagini geofi­ siche condotte nella necropoli etrusca dei Monterozzi a Tarquinia, i cui risultati permisero la localizzazione di molte delle più celebri tombe dipinte conosciute, e negli insediamenti di Cerveteri e Vulci (Fig. 5 ). Tra le più note procedure introdotte vi era l'esplorazione di tombe, una volta individuate, attraverso un piccolo periscopio che veniva calato all'interno delle camere sepolte da un foro appoGeofisica e teleri leva mento i n a rcheolog ia: una storia giova ne 23

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Fig. 5. Mappa con curve di livello dei valori d i resistività presso la necropoli d i Tarquinia a d opera della Fondazione Lerici [da Lerici, 1 9691.

sitamente praticato nella copertura. Un sistema, largamente pub­ blicizzato dalla Fondazione, che permetteva di valutare a priori la presenza di pareti dipinte oltre che l'esistenza e l'entità dei corredi contenuti. Anche grazie a una particolare capacità nel comunicare i propri sistemi innovativi, la Fondazione Lerici divenne uno dei più importanti centri di prospezione archeologica in Europa, richiesta in diversi Paesi per la realizzazione di campagne di esplorazione con finalità archeologiche. Forte di questo, nel 1 966 fu fondata la rivista «Prospezioni Archeologiche», che divenne la sede scientifica precipua per la divulgazione delle ricerche condotte, oltre a ospita­ re studi esterni sugli impieghi archeologici della disciplina, in Italia e all' estero. Nonostante però la felice e rapida ascesa, alla fine degli anni Sessanta la Fondazione cominciò a entrare in crisi, complici vari fattori tra cui l'incapacità di reggere la competizione di agguerriti gruppi stranie24

ri sostenuti dalle compagnie petrolifere multinazionali, una struttura organizzativa di tipo universitario inadeguata ai rapporti industriali e un bilancio insufficiente per sussidiare gli sviluppi tecnologici. Pre­ cocemente chiusa l'attività di prospezione industriale, nei primi anni Settanta l'organizzazione si trovò fortemente ridimensionata rispetto alla portata raggiunta durante l'apice del successo, ma continuò per qualche tempo a operare esclusivamente nel campo delle applicazio­ ni archeologiche. Nel 1974 cessò anche la pubblicazione della rivista promossa dalla Fondazione. Tra i centri di ricerca esteri più attivi, in questi anni va certamente menzionata l'attività della Geophysics Section nell'ambito dell'An­ cient Monuments Laboratory (AM Lab) di Londra, successivamen­ te confluita nel Centre for Archaeology dell'English Heritage, l'or­ ganismo pubblico incaricato della gestione del patrimonio culturale dell'Inghilterra. Alla sezione Geofisica dell' AM Lab, in particolare a Tony Clark, John Alldred e Frank P hilpot, vanno riconosciuti tra i maggiori progressi nell'evoluzione della geofisica archeologica, tra cui lo sviluppo del gradiometro fluxgate. Durante gli anni Sessanta il gra­ diometro fluxgate conosce una veloce trasformazione fino ad assume­ re la fisionomia ideale per il lavoro speditivo sul campo e la mappatura di estese superfici, grazie all'introduzione di strumentazioni compatte e di un sistema di registrazione delle misure in continuo. Dopo una fortunata e progressiva ascesa, tra gli anni Settanta e l'inizio degli anni Ottanta si assiste a un momento di inflessione nella storia della disciplina. Il virare dell'interesse del gruppo di Oxford verso le analisi e le datazioni, il collasso della Fondazione Lerici e il ritiro del­ la sua rivista, sono fattori che contribuirono a determinare una fase più complicata, specialmente per la realtà italiana ed europea. Tuttavia, questo periodo registra anche la genesi di una nuova agenda nelle università britanniche, e per la prima volta la geofisica applicata all'ar­ cheologia diventa protagonista di un corso di studi specialistico presso la Bradford University nel 1 97 1 (postgraduate course in Scientific Methods i11 Archaeology), successivamente affiancato da un corso di studi base, atGeofisica e teleri levamento in archeologia: una storia giovane

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tivo dal 1 975 (undergraduate course in Archaeological Science) . La scuola di Bradford si afferma presto tra le principali sedi della materia e diviene un punto di riferimento anche per la progettazione di strumenti di prospezione archeologica, tra cui il resistivimetro Bradphys e l'innova­ tiva configurazione "Twin-Probe". Negli stessi anni, il metodo geomagnetico conosce altri importanti sviluppi che lo consacrano come la tecnica più versatile e adatta per l'esplorazione territoriale su larga scala. Tra i principali protagonisti della tecnica e del suo utilizzo in archeologia vi è Helmut Becker, geofisico tedesco formatosi presso l'Università di Monaco di Baviera. Dopo aver diretto l'ambizioso progetto Archaeo-Prospection and Archae­ omagnetism, che rifletteva anche nella denominazione il suo proposito archeologico, dal 1 982 lavorò presso il Bayerisches Landsamt fiir Den­ kmalpflege (BLfD) dove, insieme a lrwin Scollar, fondò un laboratorio per l'elaborazione dei dati digitali da prospezioni aeree e geofisiche, affiancandosi alla direzione del Department for Archaeological Pro­ spection and Aerial Photography. Lasciò il laboratorio nel 2006 e di lì a poco divenne un ricercatore indipendente istituendo la Becker Archaeological Prospection, oggi ancora attiva. La magnetometria è stata da sempre il focus della sua ricerca, e in particolare la tecnica al cesio. Con Becker questo sistema ha raggiunto le massime espressioni, anche grazie alle innumerevoli indagini estensive da lui realizzate in tutto il mondo. Tra i suoi lavori più noti, la scoperta della città bassa di Troia (Turchia), le indagini ad Assur e Uruk (Iraq), a Palmyra, Resafa (Syria), Sashur, Giza, Saqquara, Luxor (Egitto), Cornesti-Iarcuri (Ro­ mania), fino ad arrivare alla città neolitica di Liangzhou e a Wah ze Gang, residenza dell'Imperatore Qin ze huang in Cina. In tutti questi casi Becker è stato autore di mappature territoriali di impressionan­ te estensione, dimostrando come la precisione nell'acquisizione delle misure, che lui ha sempre curato in maniera quasi maniacale, ha un'e­ norme importanza nella restituzione finale dei dati, e come l'elevata sensibilità propria del metodo al cesio si presti particolarmente alle ap­ plicazioni archeologiche. Oltre che per la precisione metrica e per l'al26

ta risoluzione delle sue prospezioni, Helmut Becker può considerarsi un precursore anche per la messa a punto di sistemi di rilevamento multisensore, che lui stesso ha progettato e realizzato negli aspetti mec­ canici e ingegneristici. Sono certamente famosi la sua configu razione di rnagnetometro-gradiometro duo-sensor, che colloca su una struttura lignea bilanciata con dispositivi accuratamente pensati, due sensori al cesio, che possono essere arrangiati in modo da misurare o il campo magnetico totale o il gradiente verticale, così come i suoi "carretti" a tre o quattro sensori, che replicano il medesimo concetto su distanze maggiori, con l'obiettivo di coprire superfici più estese da un'unica stazione di misura (cfr. par. 3.6). La stessa fiducia nelle possibilità dell'esplorazione su larga scala è quella che ispira la ricerca di D ominic Powlesland, dalla fine degli anni Ottanta. Fondatore e direttore del Landscape Research Centre, Powlesland conduce con intelligente lungimiranza l'Heslerton Parish Project (HPP) nel West Heslerton (Vale of Pickering), North Yorkshi­ re, avviando un programma estensivo di indagini geofisiche, prospe­ zioni aeree e scavi, nell'ambito di un approccio totale per lo studio del paesaggio. Da trent'anni a questa parte, l'esperienza dell'HPP rappresenta una delle più ambiziose e affermate, oltre che per i ri­ sultati conseguiti con la mappatura geofisica ad amplissimo spettro (500 ettari), anche per le significative ricadute sulle comunità locali, sulla moderna pianificazione territoriale e sul conseguimento di un concreto equilibrio fra la ricerca archeologica accademica e l'attività delle società professioniste. Esempio indiscusso dei più riusciti lavori di archeologia del paesaggio, il progetto di Powlesland è anche un precursore di quella che, da quel momento in poi, si è affermata come archeologia preventiva, secondo la denominazione italiana, me­ glio nota altrove come development-led archaeology, che trova qui una delle sue migliori espressioni (cfr. par. 5.1). Gli anni Ottanta del secolo scorso registrano un'altra rivoluzione, quella legata al metodo georadar. Introdotto con varie finalità esplo­ ra tive , originariamente connesse a problematiche belliche durante il Geofisica e telerilevamento in archeologia : una storia giovane

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secondo conflitto mondiale, poi a programmi di esplorazione spaziale promosse dalla NASA per l'investigazione del suolo lunare, la tecnica che diventerà nota come GPR (Ground Penetrating Radar) investe il mondo dell'archeologia dopo il 1 976. Questo è l'anno in cui vengo­ no pubblicati i primi risultati conseguiti a Chaco Canyon, nel New Mexico, da Roger Wickers, Lambert Dolphin e David Johnson, che per la prima volta utilizzarono con successo il sistema per la ricerca di strutture murarie sepolte alla profondità di circa un metro dalla superficie. Seguono di lì a poco le ricerche di Peter M. Fisher nella moschea di Hala Sultan Tekke a Cipro, e di Payson D. Sheets nel sito di Ceren in El Salvador che, grazie alla presenza di condizioni favore­ voli per la penetrazione in profondità delle onde radar, dimostrano le straordinarie potenzialità della tecnica per l'esplorazione archeologica del sottosuolo e la caratterizzazione delle strutture sepolte, anche in termini di profondità. L'entusiastica reazione che ne deriva spinge tra il 1 982 e il 1 983 Chris J. Vaughan a testare la prospezione GPR anche in un contesto meno adatto, ovvero nel villaggio basco impiantato nel XVI secolo a Red Bay, nella provincia canadese di Terranova e Labra­ dor. Nonostante la complicata stratigrafia e le difficoltà del sottosuolo marittimo, il caso di studio rappresenta un'emblematica sfida che viene tradizionalmente ricordata nella storia del metodo per le informazioni ottenute sulle strutture sepolte oltre 2 metri di profondità, anche se da dati di difficile interpretazione. Più o meno parallelamente, la nuova tecnica viene sperimentata con finalità archeologiche anche in Svezia, in particolare con Leif Bjelm e Sven Larsson, nel tentativo di mappatu­ ra delle sepolture mesolitiche e dell'insediamento di Skateholm, nella Scania, e con Goran Burenhult e Bjorn Brandt presso il sito preistori­ co di Aj vide, nell'isola di Gotland. La fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni Novanta vedono la crescita delle applicazioni archeologiche georadar in diversi siti giap­ ponesi, con le ricerche di T suneo Imai e successivamente di Dean Goodman e Yashushi Nishimura. Le scoperte di abitazioni sepolte di VI secolo, tumuli funerari e dei cosiddetti cultura/ layers, costituisco-

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no la motivazione per un nuovo scatto in avanti nell'evoluzione del metodo, che trasse benefici dal contestuale sviluppo tecnologico e in­ fonnatico. La maggiore novità in cui la situazione si tradusse riguarda l'elaborazione speditiva dei dati GPR e la creazione di software spe­ cifici per l'archeologia. I principali protagonisti di questo momento sono gli americani Dean Goodman e Lawrence B. Conyers che, oltre a condurre prospezioni georadar in aree archeologiche di diversi Paesi, danno il via alla rivoluzionaria tecnica di elaborazione tridimensionale delle misure nota come Time-slice, perfezionata sul finire del secolo scorso. Parallelamente, Goodman e Conyers diventano un riferimento per la principale manualistica sulla tecnica e per la formazione degli archeologi che decidono di approcciarsi al metodo radar. Il 1 994 rientra fra le date più significative di questo racconto. Nel di­ cembre di quell'anno viene pubblicato il primo numero della rivista «Archaeological Prospection» (da John Wiley and Sons), con Arnold Aspinall e Mark Pollard come primi redattori, a cui si uniscono ra­ pidamente diciassette associate editors dall'Europa, Nord America e Canada. Da allora la rivista rappresenta la sede privilegiata di diffusione e valorizzazione della disciplina, e oggi, con la versione digitale, è tra i principali luoghi dove segu ire gli aggiornamenti relativi ad attività sul campo, innovazioni tecnologiche strumentali e di trattamento dei dati, temi e prospettive di ricerca. Sul finire del secolo scorso alcune indagini integrate su contesti ar­ cheologici anglosassoni emergono per l'impostazione concettuale del progetto archeologico, nel quale la geofisica è parte costitutiva. Si tratta del programma Sutton Hoo, di Martin Carver dell'University ofYork, e del Wroxeter Hinterland Project, con le figure promotrici di Vincent Gaffney (University of Birmingham) e di Martijn van Leusen (Uni­ versity of Groningen) . Progetti che lasciano intravedere l'orizzonte am bizioso e denso di aspettative delle ricerche in corso di genesi per il nuovo millennio, e che dimostrano come fin dalle prime sperimen­ tazioni l'Inghilterra abbia mantenuto una posizione eminente nell'uti­ lizzo e nello sviluppo della geofisica archeologica. Accanto ad essa però Geofisica e telerilevamento in archeologia: una storia giovane

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si affermano in Europa altri centri di eccellenza, tra cui il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Lubijana, caratterizzato dall'utilizzo comparato di strumentazioni geofisiche e topografiche, dallo sviluppo di tecniche di elaborazione dei dati e per la forte connessione con gli altri sistemi di prospezione, come la ricognizione aerea. In tal senso le attività di ricerca e didattica svolte da Darja Grosman e Branko Music rappresentano certamente un modello per molti. In Italia, tra il vecchio e il nuovo secolo, l'Istituto delle Tecnologie Applicate ai Beni Culturali (ITABC) e il Centro Nazionale delle Ricerche (CNR) avviano un filone di ricerca dedicata alla geofi­ sica applicata all'archeologia, che ha tra i principali protagonisti il SCALA C80MA11CA � • -....._, S l4 at. 1.-c a D'ÙDft' mmpra,r n 1 5 e lt aha

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Fig. 6. Indagini geoelettriche realizzate nella città romana di Suasa da Gianfra nco B ruzi [Geolnvest srl, Piacenza] in collaborazione con l" U niversità di Bologna, già D i partimento di Archeolog ia I 19871.

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,Yeo fisico Salvatore Piro. La sua attività scientifica viene dedicata in pa rticolare allo sviluppo di tecniche di acquisizione, elaborazione e int erpretazione dei metodi geomagnetico, georadar e geoelettrico, e negli anni le numerose applicazioni delle tecniche geofisiche a i mpo rtanti contesti archeologici (tra cui Tarquinia, Veio, Selinunte, Foru m Novum) ne fanno presto un esperto della materia a livello in­ ternazionale, con un'affermazione crescente e continua. Fra i primi e principali progetti, l' IGAPS (lntegrated Geophysical Acquisition and Processing System) si basa proprio sull'integrazione di tecniche di ul­ tima generazione per l'indagine di contesti archeologici e affronta, fra gli altri, il caso di studio rappresentativo della Necropoli sabina di Colle del Forno, investigata combinando il metodo geoelettrico dipolo-dipolo con il sistema GPR. L'Università di Bologna, con l'allora Dipartimento di Archeologia, comincia ad avvicinarsi alla geofisica sul finire degli anni Ottanta, in particolare con le prime sperimentazione condotte a Suasa (cfr. par. 3 . 1 ). I risultati conseguiti con i metodi geoelettrico e geomagnetico hanno fornito indicazioni su estensione, profondità e articolazione interna di diversi degli edifici sepolti, indirizzandone il successivo sca­ vo e dimostrando l'efficacia delle applicazioni per lo studio della città antica (Fig. 6) . :,,

1 . 2. OGGI. I N U OVI PROTAGO N I STI Tracciare un confine tra la fase pionieristica della geofisica archeolo­ gica e i tempi moderni non è cosa semplice. Prima di tutto perché, in generale, la disciplina è così giovane che molti dei suoi padri fondatori sono ancora oggi un punto di riferimento attivo e vitale. Poi anche perché, nonostante l'innegabile progresso tecnico, tecnologico e me­ todologico, le esperienze attuali non si discostano troppo da quelle che le hanno precedute, essendo ancora fortemente connesse alla spe­ rimentazione sul campo e a un'attitudine forse più pratica che teorica. Geofisica e telerilevamento in archeologia: una storia giovane 3 1

In questa sede si è proposto di utilizzare il nuovo millennio come demarcazione tra il periodo originario della disciplina e le ricerche moderne, soprattutto considerando che gli anni Duemila si connotano specialmente in termini di rivoluzioni softwaristiche, trattamento dei dati, e di introduzione di sistemi di acquisizione automatizzati, oltre che per la fisionomia dei "nuovi" archeologi. Questi sono gli anni in cui, ormai acquisita la potenzialità della geo­ fisica per l'esplorazione archeologica, si comincia ad apprezzarne la capacità di produrre rappresentazioni della realtà sepolta di grande dettaglio e di facile comprensione anche per i non addetti ai lavori, oltre a raggiungere, nei casi più fortunati, restituzioni che possono risultare anche graficamente impressionanti per capacità descrittiva e comunicativa. La resa tridimensionale del sottosuolo è ora un traguardo possibile e l'integrazione con le altre fonti di dati e informazioni diventa quasi una consuetudine, grazie all'utilizzo generalizzato dei sistemi GIS per l'archiviazione e la gestione dei dati. Benché quasi tutti i protagonisti del nuovo tempo abbiano iniziato pr ima i loro studi e le loro ricerche, molto spesso affiancando pro­ prio i cosiddetti pionieri della disciplina, negli anni Duemila le loro figure emergono per le ricerche condotte e per le novità introdotte. Michel Dabas è certamente tra i maggiori rivoluzionari. Dapprima ricercatore del centro di ricerche nazionale francese, fonda e diventa direttore scientifico della società Geocarta, per poi riprendere dal 201 6 l'attività di ricerca scientifica e accademica presso l'École Nor­ male Supérieure di Par igi. Oggi è direttore di ricerca del CNRS e co-direttore dell'UMR 8546 CNRS-PSL Université (ENS-EPHE) - AOrOc - Archéologie & Philologie d'Or ient et d'Occident. Dabas è l'ideatore di nuovi sistemi per l'esplorazione del sottosuolo su larga scala, automatizzata e autotrainata (ARP©, AMP, EMP) , utilizzabili per vari scopi tra cui la ricerca archeologica, e di software per l'ac­ quisizione dei dati, la restituzione grafica e la condivisione sul web (webGIS) . Le sue invenzioni aprono nuovi or izzonti e si traducono

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11e] compromesso tanto ricercato tra "precisione, dettaglio, velocità", oltretutto rapportato alla mappatura estensiva (cfr. par. 3.2 e cap. 5 ) . Lo sviluppo di strumenti di prospezione multicanale e motorizzati, dot ati di avanzati sistemi di posizionamento e navigazione, rappre­ senta il focus principale anche del Ludwig Boltzmann lnstitute for Archaeological Prospection and V irtual Archaeology di V ienna, oggi tra i centri di ricerca più all'avanguardia. Diretto da Wolfang Neubau­ er, e con le attivissime figure di Michael Doneus e Geert Verhoeven, persegue un programma di ricerca che combina geofisica, imaging aereo, informatica e geomatica per la definizione di approcci efficaci e universalmente applicabili per il rilevamento non distruttivo e per la documentazione e visualizzazione dei paesaggi archeologici. L'ArchPro Carnuntum Project (cfr. par. 4.5) e il recentissimo Stonehenge Hidden Landscape Project (cfr. par. 5.1) condotto insieme all'Università di Bir­ mingham, sono l'espressione più evidente della qualità raggiunta e della mission specifica dell'istituto. La ricerca di dati qualitativamente migliori e la messa a punto di tecni­ che di indagine sempre più efficienti è favorita anche da alcune società commerciali, che si distinguono per la progettazione e realizzazione di apparecchiature di mappatura geofisica su larga scala con DGPS e odometro integrati, come la compagnia tedesca Eastern Atlas (di Cor­ nelius Meyer e Burkart Ullrich) oltre alla già citata Geocarta di Parigi. Tra i protagonisti dei nostri giorni, numerose sono anche le figure che afferiscono a centri di ricerca già da tempo attivi e che sviluppano bril­ lantemente la preziosa eredità di chi li aveva preceduti. Chris Gaffney, attuale direttore della School of Archaeological and Forensics Scien­ ces, rappresenta il nuovo corso della scuola di Bradford. Provenendo dalla geofisica archeologica commerciale (con la sua GSB Prospection fondata insieme a John Gater) riesce a combinare nella sua attività di studio e didattica gli aspetti della ricerca con quelli legati al mondo del lavoro. Nel 2007 è stato insignito di un dottorato onorario per la divulgazione della disciplina tramite il programma televisivo Time Team e altre opportunità media. Durante gli ultimi decenni ha pubblicato Geofisica e telerilevamento i n a rcheologia: una storia giova ne 33

moltissimi articoli e manuali sui vari aspetti delle scienze archeologiche, e dal 2004 è editore di «Archaeological Prospection», nonché presidente dell'ISAP-International Society for Archaeological Prospection. Stret­ tamente legata alla scuola di Bradford è l'altrettanto carismatica figura di Armin Schmidt , fondatore di ISAP, ca-fondatore dell'Archaeology Data Service (ADS) e del Bradford Centre for Archaeological Prospection (B-CAP). Anche a lui si devono, oltre a ricerche pionieristiche in Asia meridionale e Iran, i principali manuali dedicati alle applicazioni ar­ cheologiche e un incessante impegno nel mantenere viva la comunità internazionale degli archeo-geofisici (recentemente anche grazie all'i­ stituzione del giornale on line ISAPNews) . Jorg Fassbinder, a capo del Department for Archaeological Prospection and Aerial Archaeology di Monaco, è tra i principali contributori della circolazione e dello sviluppo delle prospezioni archeologiche soprat­ tutto in aria asiatica e orientale. I suoi più importanti progetti riguar­ dano siti e territori della Siberia meridionale, Kazakistan, Jemen, Iraq, Iran, Syria ed Egitto, e implicano cooperazioni politiche internazionali che comprendono l'UNESCO World Heritage Bavaria e l'Hermitage Museum St. Petersburg. Al mondo dell'archeologia orientale dedica la sua ricerca anche l'ar­ cheologo e geofisico Christophe Benech, che emerge tra le figure più interessanti degli ultimi anni. Ora Direttore dell'UMR 5 1 33 Ar­ chéorient (Maison de l'Orient et de la Méditerranée) presso il CNRS - Université Lyon 2, è noto soprattutto per i progetti condotti sui centri urbani della Syria antica, in Egitto e Iran. Basandosi su eccellenti risultati ottenuti con le prospezioni magnetiche ha proposto diverse ricostruzioni e analisi della topografia antica di siti patrimonio UNE­ SCO, tra cui Dura Europos, Apamea e Pasargadae. Tra le giovani promesse di oggi James Bonsall rappresenta un'altra brillante personalità capace di adattarsi alle esigenze dei tempi mo­ derni. Geofisico e archeologo di formazione, è coinvolto sia nella ri­ cerca accademica, all'Institute of Technology di Sligo, sia nel settore commerciale, fondatore e ca-direttore della compagnia EarthSound 34

Archaeological Geophysics. La sua tesi di dottorato presso la Bradford University è un esempio raro di perseguita integrazione e di lavo­ ro sinergico fra università e istituzioni pubbliche e private. Finanziata dall'autorità stradale nazionale irlandese (NRA), la ricerca, conclusa nel 20 14, ha riguardato la revisione delle indagini geofisiche archeo­ log iche preliminari ai progetti di realizzazione di corridoi stradali in Irlanda tra 2001 e 2010, e ha portato a redigere un documento di guida procedurale per lo staff dell'NRA sul commissioning e sull'ac­ quisizione di indagini geofisiche per progetti infrastrutturali. Venendo all'Italia, la situazione odierna vede un generale e crescen­ te interesse per l'applicazione di metodi di esplorazione archeologica non invasiva, pur dovendo fare i conti con il ritardo accumulato rispet­ to ad altri Paesi nell'adozione della pratica per la ricerca archeologica, con una limitata presenza nell'ambito dell'educazione universitaria e con uno scetticismo di fondo che spesso è ancora latente. Una forte spinta verso un'adozione più sistematica delle tecniche pro­ prie del telerilevamento e della geofisica nell'archeologia italiana viene dall'attività ormai pluridecennale di Stefano Campana e del Lap&T­ Lab dell'Università di Siena. Oltre che per i progetti sui paesaggi della Toscana, Campana si è affermato come indiscusso punto di riferimen­ to e un modello internazionale per la sperimentazione di sistemi e tecnologie innovative di indagine ed esplorazione territoriale, con­ tribuendo in prima linea a un nuovo modo di intendere la mappatu­ ra e la cartografia archeologica. La collaborazione con Salvatore Piro dell'ITABC CNR, e con diverse fi gu re pionieristiche del remote sen­ si11g come Chris Musson dell'English Heritage e Dominic Powlesland, lo porta a scrivere i principali manuali sull'argomento, a intraprendere progetti innovativi di mappatura e analisi di paesaggi pluristratifica­ ti e ad organizzare apprezzate Summer School, convegni e meeting, che oggi permettono nuovamente all' Italia di essere guardata anche da fuori come un significativo luogo di ricerca e di formazione. Ac­ c anto a Siena, che deve questa propulsione verso l'adozione delle in­ da gini non invasive per l'archeologia dei paesaggi anche alla mente Geofisica e tele r i leva mento i n a rc h eolo g i a : u n a storia g i ova n e

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lungimirante di Riccardo Francovich, vanno certamente menzionate le Università di Foggia, Lecce, Padova e Bologna, che parallelamente inaugu rano progetti e scuole di alta formazione dedicate ai vari aspetti della diagnostica archeologica. Gli anni Duemila vedono dunque, sempre di più, l'archeologia e gli archeologi al centro della disciplina. Archeologi di base che col tempo si sono avvicinati alle tecniche di prospezione geofisica e aerofotografica, spesso facendone poi il principale campo di appli­ cazione. Sono questi gli anni dei grandi progetti di archeologia del paesaggio, animati da un approccio globale al contesto di studio e da una marcata multidisciplinarietà, nei quali la geofisica e i metodi di indagine non distruttiva hanno un ruolo preponderante. Il Portus Project (2007-2011) e il rinnovato Portus in the Roman and Mediterra­ nean Project (2011-20 1 4), diretti da Simon Keay della Southampton University in collaborazione con la British School at Rome e con Martin Millett dell'University of Cambridge, il Potentia valley Survey Project (2000-20 1 5) coordinato da Frank Vermeulen dell'Università di Gent, il RadioPast Project (2009-2013), che vede la cooperazione tra diversi istituti sempre sotto la direzione di Vermeulen, e il proget­ to Emptyscapes di Stefano Campana dell'Università di Siena (attivo dal 2007) sono tra le migliori espressioni delle più ambiziose ricer­ che avviate da archeologi di Università italiane e straniere in area Mediterranea e oggi ancora in atto. Benché spesso note soprattutto per gli spettacolari risultati conseguiti attraverso prospezioni geofi­ siche e aeree, queste ricerche sono tutte governate da interrogativi archeologici e finalizzate alla comprensione e ricostruzione storica dei paesaggi antichi esaminati e della loro evoluzione. Strettamente connessi all'attività dei più innovativi progetti sono i cen­ tri di ricerca in questi anni istituiti, od orientati con sezioni specifiche, verso la geofisica archeologica, tra cui l' Archaeological Prospection Service of Southampthon (APSS), con i ricercatori Kristian Strutt e Sophie Hay, e il team della British School at Rome, con la figu ra di Stephen Kay, che dimostrano le crescenti potenzialità delle prospe36

zioni geofisiche soprattutto per lo studio dei paesaggi urbani antichi lavorando nei siti archeologici italiani più celebri al mondo (tra cui Portus, Pompei, Roma). Tra i protagonisti di oggi, l'Università di Bologna si afferma con l'i­ stituzione di un Laboratorio di Geofisica e Topografia per l' Archeo­ logia, presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà, e per la fidu­ cia crescente verso i metodi non invasivi che la portano a dotarsi di strumentazioni di rilievo e ad investire sul know-how del personale. All'interno degli innumerevoli progetti di ricerca che afferiscono all' a­ teneo bolognese, vengono condotte prospezioni geofisiche in molti e variegati contesti spesso in precedenza mai indagati con queste tecni­ che (cfr. capp. IV-V ) che da anni ormai contribuiscono allo sviluppo di una solida esperienza in questo tipo di applicazioni. Grazie anche a importanti collaborazioni internazionali, e soprattutto all'introdu­ zione di nuovi insegnamenti, all'organizzazione di summer school e programmi Erasmus dedicati alle indagini non invasive e all'archeo­ logia preventiva, Bologna e il suo campus di Ravenna sono oggi uno dei luoghi privilegiati per la formazione e la ricerca in quest'ambito, potendo contare anche su un'ampia trasversalità di progetti e di com­ petenze archeologiche.

1 .3. DOMANI. SFIDE E PROSPETTIVE IN ARCHEOLOGIA E il futuro? Con il nuovo millennio e l'entrata a gamba tesa dell'era digi­ tale su ogni aspetto della vita quotidiana, anche l'archeologia senza scavo è foriera di trasformazioni all'orizzonte. Di certo c'è che le prospettive e le nuove linee di ricerca avviate sono già moltissime, e riguardano tanto l'analisi dei dati quanto temi, luoghi e problematiche archeologiche. Le ultimissime sperimentazioni finalizzate alla messa a punto di tec­ nologie innovative e procedure sempre più avanzate di elaborazione dei dati da remote sensing stanno favorendo lo sviluppo di nuove soluzioni per la spettroscopia archeologica di immagini aeree, per Geofisi ca e telerilevamento in archeologia: una storia giovane 37

la produzione semiautomatica di ortofoto e di tecniche di rileva­ mento e calcolo a distanza. Il multisensor data fusion per la prototi­ pazione e la localizzazione automatica di tracce archeologiche è al centro di numerose ricerche oggi in atto, e rappresenta uno degli aspetti tecnologici più implementabili. Alcune sperimentazioni che mirano a fondere dati da fotografia aerea all'infrarosso con misure geofisiche a terra sono in corso nell'ambito di numerosi progetti di studio di paesaggi antichi, e lo dimostrano gli importanti risultati già conseguiti nell'analisi di diversi contesti archeologici urbani e protourbani (cfr. cap. 4) . Analogamente, l'evoluzione strumentale sta progredendo enormemente nel posizionamento topografico rigoro­ so delle misure, e sono in via di perfezionamento innovativi sistemi che puntano anche su questa perfetta combinazione per arrivare a restituire dati sempre più precisi e risoluti. Lo sviluppo dei nuovi sistemi GPR multicanale va in questa stessa direzione. Negli ultimi anni diversi costruttori si sono cimentati nella produzione di complessi insiemi di antenne che si stanno rivelando preziosissimi per le indagini archeologiche su vaste aree pianeggian­ ti. La miniaturizzazione delle antenne per poter garantire requisiti di campionamento spaziale, la restituzione tridimensionale dei dati e la loro combinazione con altre tecniche sono certamente tra i prossimi step che la ricerca in atto saprà percorrere. L'accuratezza e la precisione del posizionamento tramite sistemi robotizzati unita all'acquisizione delle misure con un'altissima densità di campionamento e a tecniche di filtraggio che migliorano la risoluzione laterale (JD migration) sono tra i più recenti importanti progressi registrati dal metodo, già speri­ mentati con ottimi risultati su alcuni celebri contesti archeologici, e su cui la ricerca futura continuerà a puntare (cfr. par. 5 . 1 ) . L'integrazione è al centro dell'attenzione generale e d è perseguita anche nel tentativo di combinare tecnologie differenti dando vita ad apparecchiature di prossima generazione. L'uso combinato della tomografia a resistività elettrica e del georadar, e in particolare l'a­ nalisi congiunta di dati 2D e 3D, potrà rappresentare una valida so38

Juzione nell'identificazione di bersagli archeologici all'interno di siti complessi, facilitando la complicata interpretazione e distribuzione spaziale delle evidenze. Tra le nuove e più promettenti idee vi è la magnetometria da drone, che unisce la tecnica geomagnetica con la tecnologia UAV (Unmanned Aerial Vehicle), alla quale sta lavorando l' Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (sezione Paleoma­ gnetismo, Roma). Più nel dettaglio, la combinazione delle tecniche geofisiche con la dronistica è un traguardo in parte già raggiunto dalla ricerca europea, che ha registrato le prime sperimentazi oni con sistemi georadar ad alta frequenza e sensori magnetici, specil! per la ricerca di metalli. Guardando infine le cose direttamente dal punto di vista dell'archeo­ logo, aldilà delle invenzioni ingegneristiche e meccaniche e delle in­ novazioni tecnologiche nell'acquisizione ed elaborazione dei dati, le maggiori sfide dell'avvenire della geofisica archeologica risiedono nei temi della ricerca e nei contesti di studio. Fra gli argomenti che stanno alimentando un nuovo fervore vi è l'in­ dagine sui siti protourbani e sugli agglomerati centrali precursori del fenomeno urbano vero e proprio, per lo più di età protostorica o delle fasi iniziali della romanizzazione, che sta trovando anche in Italia alcu­ ne importanti espressioni (cfr. par. 4.3). Siti complessi che necessitano di elevata precisione e accuratezza nelle tecniche di rilevamento su larga scala e nei processi di elaborazione e interpretazione dei dati, ma la cui comprensione contribuirà certamente al vasto dibattito stori­ co e archeologico sulla formazione della città antica e, in particolare, sull'urbanizzazione di età classica (etrusca, greca, romana). Complessità e problematicità sono le parole chiave che connotano anche lo studio dei paesaggi urbani e delle città a continuità di vita, e che rappresentano un'altra sfida per i metodi di indagine geofisica su cui sta vertendo la ricerca. Le difficoltà intrinseche dei contesti a bita tivi che hanno conosciuto una storia plurisecolare e ininterrotta derivano in particolare dal generale accrescimento del deposito se­ polto, che complica la ricerca in termini di profondità e complessità Geofisica e telerilevamento in archeologia: una storia giovane 39

stratigrafica, e dalla compresenza nel sottosuolo di elementi delle di­ verse fasi di vita della città che ostacolano l'interpretazione del dato. Spesso però le tecniche non invasive sono l'unica modalità possibile di esplorazione di questi luoghi e molti studi si stanno orientando proprio verso il superamento dei problemi imposti dalle specificità di casi, con la messa a punto di strumentazioni ad hoc e con la definizione di adeguate strategie (cfr. par. 4.9). Un altro cambiamento concettuale già in atto nella moderna ar­ cheologia dei paesaggi ma che ha aperto una nuova prospettiva di ricerca riguarda la ricostruzione del paesaggio antico inteso nel­ la sua totalità, cercando di creare un ponte tra i centri demici e le campagne, e che punta sulla geofisica per colmare i vuoti che generalmente caratter izzano la conoscenza dell'hinterland e delle zone rurali, molto spesso tralasciate in favore dello studio dei contesti urbani. Seguendo l'esempio del più volte menzionato progetto di D. Powlesland, sono ora in corso ricerche che si inter­ rogano proprio sul valore delle indagini a tappeto, condotte con i più evoluti sistemi di esplorazione speditiva su larga scala, anche nell'identificare la vita nelle campagne, le forme dell'agricoltura e l'uso dei suoli, e nel rapportarle ai poli principali del popolamento considerandone la stretta connessione (cfr. par. 5 . 1 ). I risultati in via di acquisizione sono già importanti e gli anni a venire saranno densi di considerazioni a tal r iguardo. Di argomento più generale è invece la situazione relativa all'archeo­ logia preventiva, e al ruolo che i metodi di indagine non distruttiva possono avere nella procedura di verifica preliminare dell'interesse archeologico (cfr. par. 5.2). In questo caso la sfida è forse più legata alla pluralità e diversità dei soggetti e degli interessi coinvolti nel­ le operazioni di pubblica valenza e, spesso, a problemi di carattere culturale. Per cui è opportuno, ma non scontato e facile, il raggiun­ gimento di un delicato equilibrio tra le varie esigenze, della ricerca, della tutela, della pianificazione e della trasformazione territoriale, ovvero tra interessi scientifici, culturali e commerciali. Come si dirà 40

più avanti, rispetto a molti Paesi europei che hanno disciplinato e normato da tempo l'archeologia preventiva e, accogliendo i dettami della convenzione de La Valletta, hanno dato largo spazio ai metodi di prospezione non-distruttiva all'interno dei programmi di opere pubbliche o dell'archeologia commerciale, in Italia l'assimilazione di qu esta prassi è ancora in via di definizione, e rappresenta una delle scommesse del futuro più prossimo.

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Geofisica e teleri leva mento i n a rc h eolo g i a : una storia g i ova ne

41

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Fig. 44. Magnetizzazione indotta e magnetizzazione termo-rimanente [da Clark, 1 990].

caratteristiche o funzione, abbiano subìto stress termici durante l'utilizzo (come forni, fornaci, focolari), in grado di generare anomalie del valore di centinaia di nanotesla (spesso nel range 60-1000 nT). 3.3.3. Fattori d i influenza della prospezione mag netica Pur essendo un metodo di misura nel complesso semplice e speditivo, ci sono diversi fattori che possono influenzare l'indagine geomagne­ tica. La composizione e le dimensioni della massa del target sono tra i principali, poiché il contenuto di materiali ferromagnetici e la gran­ dezza del bersaglio hanno un ruolo determinante. Anche la profondità dell'oggetto sepolto è di grande importanza, e strettamente connessa ai parametri precedenti. I campi magnetici deboli, prodotti da piccole masse, potranno essere rilevati solo se in prossimità della superficie. Al contrario, bersagli di grandi dimensioni, specie se caratterizzati da una composizione magnetica, sono potenzialmente rilevabili anche se posti a distanze superiori. Esplorare i l sottosuolo da lla superficie: metodi e strumenti

1 27

Il background, il materiale circostante e le sue proprietà magnetiche, in relazione a quelle del target, determinano il contrasto di suscettività e dunque incidono sulla capacità di misurazione. Analogamente, può risultare influente l'orientazione del bersaglio e sarà sempre preferibile disporre i profili, lungo i quali acquisire le misure, perpendicolarmente al suo sviluppo, in modo da incontrarlo con lo strumento un maggior numero di volte rispetto a un campionamento a basso angolo, e poter­ ne così ricostruire più precisamente la geometria. La qualità del dato della prospezione può, inoltre, dipendere dalle ca­ ratteristiche della strumentazione utilizzata, dalla scelta dei parametri di acquisizione, dalla fisiografia dell'area e da condizionamenti esterni, che possono generare delle perturbazioni accidentali del campo ma­ gnetico (passaggio di veicoli in prossimità dell'area del rilevamento, ferrovie, elementi metallici non oggetto del survey ecc. ) . Per questo motivo è necessario prestare attenzione affinché l'operatore che con­ duce il rilievo sia totalmente privo di oggetti metallici, ovvero sia "pu­ lito" dal punto di vista magnetico.

3.3.4. Output: leggere la magnetometria La natura stessa del fenomeno analizzato dalla magnetometria implica un certo grado di ambiguità, poiché sorgenti di natura completamente differente possono produrre lo stesso effetto magnetico, dunque un se­ gnale artificiale può non essere distinguibile da uno naturale (un vaso di terracotta può generare la stessa anomalia di una roccia dalla suscettività particolarmente elevata di simili dimensioni). L'analisi dei dati permette di riconoscere le anomalie magnetiche generate da oggetti isolati sepolti da quelle dovute a elementi caratterizzati da un certo sviluppo spaziale o anche lineare, come nel caso di strutture murarie o di canali e fossati. L'immagine risultante dalla prospezione magnetica può essere una counto11r map, nella quale vengono visualizzate le linee a uguale valore di campo, oppure una mappa in scala di colori o, più frequentemente, in scala di grigi, dove a determinate tonalità corrispondono determi­ nate intensità di valori magnetici (Fig. 45) . 1 28

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La differenza principale dell'output della magnetometria rispetto alle re­ stituzioni ottenibili con le altre tecniche geofisiche più impiegate in ar­ cheologia sta nel fatto di non fornire nessuna informazione sulla profon­ dità delle sorgenti di anomalia magnetica. La mappa risultante rappresenta una sorta di pianta composita o di "pianta complessiva" del sepolto, come se il sottosuolo sondato venisse proiettato e schiacciato su un unico piano. Non è dunque possibile con questo metodo ragionare in termini di rap­ porti stratigrafici o relativi fra le evidenze, tanto meno formulare ipotesi sicure sulla profondità dei targets (se non sommariamente e comunque sulla scorta di una solida esperienza interpretativa).

3.4. E L ETTROMAG N ETO M ETRIA Rispetto ai sistemi di prospezione geofisica finora considerati, il me­ todo elettromagnetico è nel complesso meno utilizzato in archeologia tanto da risultare frequentemente ignorato da chi decide di pianificare o commissionare un'indagine. Si tratta in verità di una tecnica che negli ultimi anni ha raggiunto una buona precisione nella lettura del sottosuolo e che, soprattutto, garantisce tempi rapidissimi di acquisizione delle misure e una grande versatilità nell'esplorazione territoriale. Benché non sia ancora parago­ nabile, per capacità descrittiva del sepolto, a quelli più frequentemente richiesti, è un metodo certamente utile da conoscere nelle sue poten­ zialità, poiché può risultare un valido alleato in particolari situazioni non affrontabili diversamente o come integrazione di tecniche più gettonate. Per tale motivo si è deciso di dedicargli un paragrafo a sé stante, per quanto breve e sintetico, e distinto dagli altri metodi di prospezione geofisica che trovano in archeologia un impiego davvero limitato (cfr. par. 2.2.5). La storia dell'elettromagnetometria è strettamente legata alla Francia e ai pionieri geofisici del Centre de Recherches Géophysiques del CNRS di Garchy, in particolare ad Alain Tabbagh e Albert Hesse, che 130

dagli anni Sessanta hanno dedicato la loro ricerca all'evoluzione del sistema, anche attraverso applicazioni archeologiche. Il metodo EM a induzione si basa sul principio fisico dell'induzio­ ne elettromagnetica, prodotta dalla strumentazione. L'apparecchiatura impiegata (elettromagnetometro) è costituita essenzialmente da due bobine, una trasmittente alimentata da una batteria e una ricevente, separate da una distanza fissa. La lunghezza totale dello strumento varia da 1 20 cm (GSSI, EMP-400 Profiler) a 400 cm (Geonics, EM3 1 ; Dual EM 4s) , a seconda del produttore e del modello. Gli elettromagnetometri sono generalmente strumenti portatili e ab­ bastanza leggeri, non richiedono un contatto con il suolo e sono facil­ mente utilizzabili da un solo operatore, consentendo di acquisire i dati in maniera continua e rapida, camminando lungo profili all'interno dell'area di lavoro (Fig. 46). Il suo funzionamento consiste nella misura dei campi magnetici pro­ dotti dalle correnti elettriche indotte nel terreno dalla bobina trasmit­ tente, attraverso un altro sistema di campi elettromagnetici generati artificialmente in superficie. Più precisamente, l'operatore trasporta lo strumento camminando a una velocità costante lungo linee di acquisizione parallele, opportu­ namente collocate in rapporto all'obiettivo dell'indagine. In modo continuo, la bobina trasmittente emette un segnale elettromagnetico a frequenza e ampiezza noti (le frequenze dei campi elettromagnetici variano da 1 a 1 6 kHz) che genera un campo magnetico (detto pri­ mario) che, raggiunto il sottosuolo e in contatto con esso, interagisce dando luogo a campi elettrici. I campi elettrici così prodotti generano a loro volta un campo magnetico (detto secondario) che si propa­ ga nello spazio e viene misurato dalla bobina ricevente (Fig. 47) . Il campo magnetico secondario generato è distorto, rispetto al primario, per via delle caratteristiche fisiche del sottosuolo, e il rapporto tra il campo elettromagnetico secondario e il campo elettromagnetico pri­ m ario consente di calcolare la conducibilità (apparente) del terreno. Di questo campo distorto, il metodo misura due componenti: la compoEsplorare il sottos u o lo da lla s upe rfi c i e : metodi e stru m e n ti

13 1

Fig. 46. Ri lievo elettromagnetico. GSSI Profiler in azione nella città etrusca di Kai n ua-M arzabotto [ Bolog na!.

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Fig. 47. Metodo elettromagnetico. Princi pio di funzionamento [da Reynolds, 201 1 ]. 132

n ente in fase rispetto all'onda elettromagnetica trasmessa e quella fuori fase (detta anche in quadratura), che rappresenta la componente sfasata di 90 ° rispetto al campo primario. La componente fuori fase fornisce una misura della conducibilità apparente del terreno, mentre la com­ ponente in fase è sensibile alla presenza di oggetti metallici sepolti e produce un dato sulla suscettività magnetica del mezzo. Per semplifi­ care, la componente in fase dipende dalla suscettività, mentre quella in quadratura dalla conducibilità elettrica. La capacità di penetrazione del terreno, ovvero la profondità di inda­ gine del metodo dipende da vari fattori, in particolare dalle caratteri­ stiche fisiche del suolo (la sua conduttività) , la distanza tra le bobine della strumentazione, la direzione del campo primario (del dipolo tra­ smettitore) e la sua frequenza. A seconda dei modelli e delle diverse configurazioni esistenti sul mercato, la profondità raggiunta dagli elet­ tromagnetometri varia da 0,50 a 30 m. Considerandone la risoluzione di indagine relativamente buona, la ra­ pidità del rilevamento e la conseguente economicità, in archeologia questa tecnica può essere utile per ottenere una mappatura estesa e u niforme dell'area di interesse, a costituire una base conoscitiva pre­ liminare sulla quale poi programmare analisi più dettagliate con altre tecniche di misura. Oppure, in rapporto al target della prospezione, è importante sapere che l'elettromagnetometria può essere vantaggiosa nella ricerca di oggetti metallici e nell'individuazione di zone carat­ teri zzate da valori anomali di conducibilità elettrica, che spesso nella stratificazione archeologica si traducono in evidenze negative come buche, cavità, fossati riempiti e altre zone di terra smossa o meno com­ p atta, generalmente a maggiore contenuto idrico. Dal punto di vista dell'output, i risultati del rilevamento delle profila­ ture elettromagnetiche vengono rappresentati come mappe planime­ tri che bidimensionali, sotto forma di reticolo con colori convenzionali o come isolinee, spesso normalizzate in scale di toni grigio. L'analisi s imultanea di più componenti produce due mappe, una relativa alla c o n ducibilità elettrica, l'altra alla suscettività magnetica del terreno. Esplorare il sottosu olo da lla s u pe rf i c i e : metodi e stru menti

1 33

Le immagini che seguono contengono un esempio delle uscite otteni­ bili, che dimostrano come il grado di risoluzione raggiungibile non sia equiparabile a quello di altri sistemi di prospezione. Tuttavia, l'efficacia del metodo è indubbia e resta tale anche se impiegato in contesti ur­ bani dove, al contrario, la tecnica geomagnetica risulta nella maggior parte dei casi inutilizzabile. Il caso di studio del sito neolitico di Viecht, in Bavaria, tra i più noti, ha messo a confronto i metodi di prospezione della suscettività magnetica, l' elettromagnetometria e la magnetometria, per l'analisi di un comples­ so sepolto di fossati anulari concentrici e buche di varie dimensioni. Considerando la minor densità di misure acquisite con il rilievo elettro­ magnetico, che per inverso ha garantito maggiori rapidità ed economia di impiego, i risultati sono parimenti positivi ed entrambi i sistemi ben evidenziano i fossati e le buche esistenti (Fig. 48). La definizione infe­ riore del dato da EM è probabilmente da imputare a un aumento della resistività apparente del suolo dovuta al livello di arativo. Anche nella città romana di Suasa il metodo elettromagnetico è stato combinato con altri sistemi di indagine, durante la Summer School Seeing Beneath the Soil - In Profondità Senza Scavare (edizione 2009). L'immagine in figura 49 mostra il confronto tra i dati da prospezio­ ne geoelettr ica ARP© system ed elettromagnetometria nella carat­ ter izzazione del teatro sepolto, identificato per la prima volta grazie a fotografie aeree scattate da aquilone (Giorgi, Boschi, Silani, 201 1 ; Boschi, 2009) . Le due tecniche permettono entrambe di riconoscere la curvatura della cavea, alcuni degli elementi radiali all'interno e lo spazio dell'orchestra. Occorre precisare che le condizioni del terreno al momento dei rilevamenti non erano propriamente adatte per la prospezione geoelettrica, data la scarsa conduttività del suolo tipica dei caldi mesi estivi, e questo spiega la modesta incisività del sistema ARP. L' elettromagnetometria evidenzia un netto contrasto di resi­ stività in corrispondenza delle strutture murarie sepolte, rispetto al terreno immediatamente circostante che appare comunque molto più conduttivo. 134

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Fig. 4 8 . I l caso di studio dell' insedia mento n eolitico d i Viecht (Germania I. Co nfronto d e i risultati della magnetometria ( i n alto) e d e l rilievo e lettroma gnetico, con due differenti filtraggi (in basso) (da Benech, Ta bbag, Desvi gnes, 20171. Esplora re i l sottosuolo d a lla s u pe rficie: m etod i e stru menti

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Fig. 49. Geoelettrica con sistema ARP (in alto] ed elettromagnetometria (mappa di conducibilità elettrica, in basso] a confronto sul teatro della città romana di Suasa (Ancona! . 136

3 . 5 . ALTRI M ETO D I D I I N DAG I N E G E O F I S I CA Le categorie di attivi e passivi nelle quali vengono suddivisi i metodi di prospezione geofisica sulla base del principio di funzionamento comprendono anche altre tecniche rispetto a quelle finora conside­ rate. Tra gli attivi vi sono la polarizzazione indotta e la sismica, tra i passivi la gravimetria e la termografia. Si tratta di sistemi prevalen­ temente utilizzati per applicazioni ambientali e di analisi geologica, mentre solo occasionalmente, anzi molto raramente, in archeologia. È comunque vero che questi metodi meno vicini alle esigenze degli archeologi possono in qualche caso risultare utili e fornire contributi alla ricerca, in particolare se in associazione ad altre fonti di informa­ zioni o nell'ambito di progetti di analisi di paesaggi antichi, dove le ricostruzioni del paleo-ambiente sono parimenti importanti. La polarizzazione indotta (Induced Polarization) è una tecnica di misu­ ra che viene applicata contemporaneamente al metodo della resistività elettrica. Infatti, i rilevamenti vengono effettuati utilizzando le configu­ razioni elettrodiche proprie dei rilievi geoelettrici, ma in questo caso si misurano gli effetti di polarizzazione del terreno legati all'iniezione di corrente elettrica. Il fenomeno della polarizzazione indotta si verifica quando l'inserimento di una tensione di corrente nel terreno genera (induce) una separazione di ioni (polarizzazione) nel mezzo. Deve la sua origine alla presenza nella struttura interna dei materiali di particelle di argilla e particelle metalliche che, sottoposte a corrente, danno luogo rispettivamente a meccanismi di polarizzazione di membrana e di pola­ rizzazione di elettrodo. Il rilievo consiste nell'osservazione della curva di decadimento del potenziale elettrico susseguente all'interruzione della corrente inunessa, ovvero nella misura della caricabilità residua tratte­ nuta dal mezzo indagato. Fornendo informazioni su presenza e natura di materiali polarizzabili, può trovare validi impieghi ad esempio per la caratterizzazione della stratificazione sepolta, per riconoscere sostanze che hanno analoghi valori di resistività ma differenti valori di caricabi­ lità (come alcune argille o acque dall'elevato contenuto salino) , oppure Esplorare il sottosuolo dalla superficie: metodi e stru menti

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all'interno di contesti a matrice argillosa per distinguere lo strato di argil­ la dalla falda, dal momento che l'acqua non subisce gli effetti della pola­ rizzazione indotta a differenza dell'argilla, che ha alti valori di caricabilità. Una recente sperimentazione archeologica del metodo è stata condotta nell'ambito del progetto ArcheoNevola, per cui si rimanda al par. 5.3. 1 . La prospezione sismica consiste nel misurare le perturbazioni sismiche prodotte artificialmente nel terreno dall'impatto di una massa battente o di una carica esplosiva, e rilevate da un apposito sensore chiamato geofono. Sono dunque analizzate le proprietà elastiche dei mezzi attra­ versati partendo dalla generazione e propagazione di onde acustiche. Sulla base della metodologia di acquisizione, si distinguono la sismica a riflessione e la sismica a rifrazione. La prima, registra le onde tornate in superficie dopo aver subìto una riflessione su una superficie di discon­ tinuità incontrata nella propagazione, quale ad esempio un'interfaccia di separazione tra due strati diversi a contatto. La seconda, misura le onde acustiche che hanno subìto un fenomeno di rifrazione lungo le discontinuità, fisiche o meccaniche, dei mezzi attraversati. In entrambi i casi vengono analizzati i tempi di arrivo delle onde riflesse o rifratte che, tramite opportuni calcoli, permetteranno di risalire alla profondità degli strati e di definirne la geometria e le caratteristiche strutturali, da cui dipendono i comportamenti meccanici ed elastici registrati. Tra i pochi casi di studio nella letteratura archeologica, l'indagine sismica realizzata a Senigallia nelle ricerche di archeologia urbana dell'Uni­ versità di Bologna (cfr. par. 4. 9) rappresenta una possibile applicazione della tecnica per la ricostruzione di un paesaggio urbano antico. Se la magnetometria è il metodo passivo in assoluto più utilizzato nella ricerca archeologica, la gravimetria e la termografia possono tro­ vare un utile impiego in alcune situazioni archeologiche particolari. Il metodo gravimetrico consiste nella misura delle anomalie di accelera­ zione di gravità prodotte da contrasti di densità tra corpi presenti nel sottosuolo, e che comportano una variazione del campo gravitaziona­ le. È dunque un sistema in grado di determinare la distribuzione delle masse nel terreno e le variazioni di quota della superficie terrestre. 138

Lo strumento di misura delle piccole oscillazioni di gravità prende il nome di gravimetro, ed è costituito da un complesso sistema di pesi e molle concepito per la rilevazione delle variazioni di densità di massa, anche minime, che caratterizzano il sottosuolo e che possono cor­ rispondere, ad esempio, alla presenza di vuoti e cavità. La deficienza di massa propria di vuoti e cavità comporta valori di densità minori rispetto a quelli del terreno inglobante e produce anomalie di gravità negativa. Ragionando in termini di bersagli archeologici, questa tec­ nica può essere efficace nella ricerca di camere ipogee, cripte, cunicoli cd evidenze negative in genere, specie se caratterizzate da spazi vuoti. La termografia consente di misurare a distanza il calore rilasciato dalle ra­ diazioni infrarosse emesse dai materiali e di acquisire immagini nel campo dell'infrarosso rappresentative della temperatura superficiale dell'oggetto analizzato. La tecnica si basa sulla misura dell' emissività naturale di un corpo, ovvero la capacità di emanare raggi infrarossi in funzione della propria temperatura. Per il rilievo viene utilizzata una termocamera che, inquadrando l'oggetto del rilievo e ricevuti adeguati parametri informa­ tivi, ne calcola la temperatura di superficie. È un metodo probabilmente ancora da sviscerare a fondo nelle sue potenziali applicazioni archeolo­ giche, che possono risultare ancora maggiori in associazione a modalità veloci di rilevamento a distanza, come le tecniche aerofotografiche. Inne­ gabili sono i contributi nel campo dei beni architettonici e monumentali, nella valutazione dello stato di conservazione di strutture e architetture, nell'individuazione di componenti nascoste (es. aggrappi metallici, vuoti, ma anche elementi morfo-strutturali murati o differenti tessiture murarie) o nell'analisi di cedimenti, lesioni, distacco di intonaci, ristagno di umidità.

3.6. LO SGUARDO DALL.:ALTO : I L TELERI LEVAMENTO I N ARC H EO LOGIA Le poche pagine che seguono contengono una sintesi semplificata degli studi esistenti sull'argomento, per la quale si rimanda alla nota Esplorare i l sottos u o lo d a lla s u perf i c i e : metodi e st rumenti

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bibliografica finale. Consapevolmente non esaustiva e per questo pas­ sibile di imprecisioni, la sezione contiene le coordinate base delle tecniche del telerilevamento utilizzate in archeologia, tanto connesse alla geofisica a cui il volume è più strettamente dedicato, per meglio orientare il lettore nella comprensione dei casi di studio discussi e per ribadire l'importanza di combinare differenti fonti di informazioni per l'analisi integrata dei paesaggi, fermo restando l'invito ad appro­ fondire la tematica sui testi di riferimento. Guardare il territorio dall'alto può rivelare molte informazioni sulla sua storia e spesso riservare vere e proprie sorprese che riguardano il suo passato più lontano. Non solo, l'osservazione a distanza offre un punto di vista privilegiato e certamente utile per una comprensione sinottica dell'area analizzata, nei suoi aspetti geografici, topografici e antropici costitutivi. I vantaggi del prendere le distanze dal suolo per lo studio di paesaggi e contesti sono stati intuiti in fretta anche dagli archeologi e dagli studiosi della topografia di antiche città sepolte, inaugurando, già dalla fine dell'Ottocento, alcune sperimentazioni pionieristiche di rilievi fotografici al di sopra di aree archeologiche per mezzo di palloni frenati e mongolfiere che hanno gettato le basi per la nascita di una vera e propria disciplina, oggi nota come archeologia aerea. Le riprese degli scavi a Persepoli (1 879) con Franz Stolze, nel Foro Romano ad opera di Giacomo Boni (1 899) e i rilievi aerofotografici su Pompei (1 910) e su Ostia antica (1 91 1 ) costituiscono le prime importanti esperienze in ar­ cheologia, sufficienti ad alimentare tra gli archeologi una solida fiducia nella fotografia aerea per il suo valore documentale, da quel momento mai venuta meno e, anzi, progressivamente consolidatasi. Tra i precur­ sori vanno poi annoverati Padre Antoine Poidebard, che condusse rico­ gnizioni aeree sul limes siriano individuando le antiche vie carovaniere che collegavano le postazioni militari romane di frontiera e apportando nuovi dati sulla lettura topografica delle principali città di Palmira e Chalcis, e Alfred Kidder che volando sopra i territori dello Yucatan, in Messico, scoprì antichi villaggi Maya fino a quel momento sconosciuti. 140

Negli anni a seguire, questo tipo di pratica si legò sempre più al mon­ do militare e, in particolare nel Regno Unito, il riconoscimento aereo si evolse ed affermò proprio durante la Grande Guerra, per incontrare i bisogni dell'intelligence. La fotografia aerea costituì una parte im­ mancabile della formazione della Royal Air Force e, negli anni dei due conflitti mondiali, furono gli stessi aviatori inglesi a intuire le straordi­ narie potenzialità delle riprese dall'alto nella comprensione dell'evolu­ zione storica e nella lettura dei paesaggi sepolti. I n Italia, nonostante la percezione lungimirante di personaggi come Giuseppe Lugli, che già negli anniVenti propugnava l'efficacia della tec­ nica aerofotografica per gli studi di topografia archeologica, la fotografia aerea e la fotogrammetria si affermarono solo dopo la seconda guerra mondiale, certamente grazie alle attività dell'Istituto Geografico Milita­ re di Firenze, promosse da Giulio Schmiedt, dell'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma La Sapienza, con l'opera di Ferdinando Castagnoli, e dell' Aerofototeca Nazionale nata a Roma nel 1 958 sotto la spinta di Dinu Adamesteanu. Le splendide immagini, per aspetto do­ cumentario e in molti casi per ricchezza di informazioni archeologiche, acquisite durante le guerre dalla RAF inglese, dall'USAAF america­ na e dalla Luftwaffe tedesca, rappresentano ancora oggi collezioni di straordinaria importanza, un'autentica memoria storica del territorio itali ano prima delle trasformazioni del paesaggio agrario determinate dalle grandi opere infrastrutturali, dall'urbanizzazione e dall'introduzio­ ne dell'agricoltura meccanizzata a partire dagli anni Cinquanta. Alla fotografia aerea e a vere e proprie prospezioni aeree sono legate alcune delle principali scoperte archeologiche della storia dell'arche­ ologia italiana, basti solo pensare ai villaggi neolitici della Puglia iden­ tif icati da John Bradford e Williams Hunt (1945- 1 946), alle necropoli etrusche di Cerveteri e Tarquinia con le campagne della Fondazio­ ne Lerici (1 947- 1 950) e all'abitato di Spina nelle valli di Comacchio ( 1 957), con i lavori di Nereo Alfieri e V itale Valvassori. Queste espe­ ri enze rivoluzionarie hanno aperto la strada a quel campo di ricerche e applicazioni che, più di recente, ha preso il nome di telerilevamento, Esplorare il sottosuolo dalla superficie : metodi e stru m enti 141

formatosi soprattutto in relazione all'osservazione a grande distanza del nostro pianeta e all'acquisizione di immagini digitali operate da satelliti artificiali orbitanti. Una denominazione che ha poi finito per comprendere tutti i sistemi di documentazione e analisi da remoto del territorio, capaci di acquisire informazioni su fenomeni che si svol­ gono a distanza e senza contatto con l'oggetto del rilievo, incluse la fotografia aerea o da drone e le prospezioni geofisiche. Il telerilevamento (o remote sensing), inteso come l'insieme delle me­ todologie di acquisizione, elaborazione e interpretazione di immagini digitali o analogiche rilevate da aereo, satellite o altra piattaforma più prossima all'oggetto da studiare, costituisce da ormai quarant'anni un supporto informativo indispensabile per la conoscenza e la gestione del territorio. Le prime applicazioni hanno r iguardato il campo delle scienze della Terra ma il passo verso lo studio del paesaggio, spesso antropizzato e ricco di emergenze archeologiche, è stato breve e le tecniche del telerilevamento sono divenute rapidamente un elemento cardine della ricerca archeologica e una base insostituibile per ogni applicazione GIS e di analisi spaziale. Il largo favore della comunità archeologica nei confronti di tali metodologie deriva inoltre dalle loro proprietà non distruttive, che rappresentano una grande risorsa per la realizzazione di carte del potenziale archeologico e di modelli preditti­ vi territoriali, nonché da una peculiare marcata multidisciplinarità che trova nell'archeologia un terreno particolarmente fertile. Il rilevamento a distanza si fonda sullo studio delle proprietà spettra­ li degli oggetti riconosciuti come entità con caratteristiche morfolo­ gico-spettrali unitarie in un quadro visivo complesso e differenziato. Per individuare tali proprietà si utilizzano sensori, cioè apparecchia­ ture capaci di registrare onde elettromagnetiche riflesse o emesse da punti oggetto. I sensori possono essere passivi, come apparecchiature fotografiche e scanner, o attivi, come il radar. Il supporto fisico su cui vengono posizionati uno o più sensori è rappresentato dalla piattafor­ ma di ripresa. L'insieme di sensore e piattaforma costituisce il sistema di telerilevamento, che può quindi essere terrestre, aereo e spaziale. 142

I l processo conoscitivo è completato dalla fase di interpretazione vera e propria delle immagini, ovvero di qualsiasi supporto visivo risultante dall'interazione fra l'energia elettromagnetica proveniente da una generica superficie e un sistema di registrazione, che può essere fotosensibile, come nel caso di un'immagine fotografica, o non fotografica, come un'immagine termica o radar. Attraverso l'in­ terp retazione morfologica e morfometrica dei cosiddetti indicatori di .wperficie, quali ad esempio il microrilievo, la vegetazione o l'umidità dei suoli, è possibile individuare e descrivere evidenze sepolte, na­ turali e antropiche. Esistono infatti proprietà spettrali, di riflettanza, forma e dimensione che possono essere il risultato epidermico di un elemento archeologico, di un singolo insediamento o di un paesag­ gio antropico antico. Le prime applicazioni archeologiche delle tecniche di telerilevamento, inteso nel senso più lato del termine, risalgono agli inizi del secolo scorso con le esperienze condotte da diversi studiosi come Poidebard, Crawford, Baradez, Schmiedt e, più recentemente, da Agache, Cheva­ lier, Guy, Goguey, Dassiè e altri ancora, che vengono tradizionalmente considerati i fondatori dell'archeologia aerea. Il telerilevamento spa­ ziale propriamente detto si è affermato a partire dagli anni Sessanta, con l'introduzione del primo satellite scientifico per lo studio delle risorse terrestri. 3 . 6. 1 . Le i m m a g i n i satellitari

La fase più importante della ricerca nel campo del telerilevamento è stata quella in cui dalla semplice osservazione analogica di immagini satellitari o aeree, si è passati all'elaborazione di dati digitali e multi­ spettrali. Questo ha permesso anche agli archeologi di cominciare a gestire e processare i dati da satellite direttamente su personal compu­ ter e, soprattutto, di servirsene come base di studio e di interpretazione grazie agli applicativi GIS. La storia delle applicazioni delle immagini telerilevate all'archeologia inizia negli anni Settanta del secolo scorso, con i primi utilizzi dei dati Esplo ra re i l sottos u olo da lla s u p e rfi c i e : metodi e strumenti

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della serie Landsat MSS per lo studio di aree di pianura finalizzato a ricostruzioni paleografiche. Gli anni Ottanta sono caratterizzati dalla messa in orbita dei satelliti della serie Landsat TM e SPOT a maggiore risoluzione spaziale e spet­ trale, che registrano un largo impiego nelle analisi geomorfologiche e paleoambientali, favorendo il riconoscimento diretto di siti archeolo­ gici sepolti. Sono celebri le ricerche di Pope e Dahlin, che identifi­ carono campi coltivati e insediamenti precolombiani nello Yucatan, di Cox, che scoprì numerose aree umide nelle Wetlands inglesi, di Madry e Crumley, che partendo dall'analisi stereoscopica di immagini SPOT arrivarono al modello tridimensionale del terreno delle valli di Arroux e della Loira in Francia, e di Guy e Delézier che individuarono antichi sistemi di parcellizzazione in Cina. Il decennio seguente ha registrato un considerevole passo in avanti nell'impiego archeologico del dato da satellite, grazie alla comparsa sul mercato di immagini con una risoluzione spaziale sempre più det­ tagliata e alla disponibilità di nuovi sensori sempre più evoluti, sia nel campo del visibile, sia delle microonde radar (con i satelliti Corona, Cosmos, IRS) . Le maggiori potenzialità applicative in archeologia sono state offerte dai più recenti satelliti americani Ikonos, Quickbird e GeoEye, in­ trodotti col nuovo millennio, per l'elevato grado di dettaglio e per l'impiego di sensori pancromatici e multispettrali che consentono di apprezzare particolari di dimensioni comprese tra 0,40 e 1 m. Il progressivo miglioramento della qualità dei prodotti satellitari, unito all'ottimizzazione dei processi di accesso agli archivi sul web, rende oggi le immagini da satellite una componente importante del toolkit dell'archeologo aereo. E questo è particolarmente vero per l'analisi a distanza di territori che risulterebbero altrimenti difficili da coprire con la fotografia aerea convenzionale a causa delle restrizioni dello spazio aereo, se non proprio impossibili da sorvolare per l'esistenza di ambienti potenzialmente ostili. Si pensi a tal proposito ai Paesi in stato di guerra, nei quali molto spesso anche l'archeologia si trova in 1 44

una situazione di costante minaccia. Il progetto EAMENA (Endan­ .!!crcd Archaeology in the Middle East and North Africa) rappresenta dal 20 1 5 un eccellente esempio di utilizzo, gestione e accesso facilitato di immagini satellitari relative a siti e paesaggi archeologici a rischio. Supportato dalla fondazione Arcadia e coordinato dalle Università di Oxford, Leicester e Durham, ha dato vita a un database pubblico con piattaforma open source, utilizzabile via web da ricercatori e pro­ fessionisti del patrimonio archeologico e monumentale considerato, sottoposto a forme di per icolo come i conflitti militari, l'espansione u rbana moderna e incontrollata, l'erosione naturale e gli scavi clan­ destini. I casi di studio di Cirene (Libia) o della regione di Homs (Syria), fra i tanti, dimostrano l'importanza del confronto tra tutte le immagini satellitari raccolte e rese fruibili dagli anni Sessanta fino alle più risolute di oggi (WorldView, GeoEye, Pléiades), sfruttando le po­ tenzialità di Google Earth e Bing, per verificare l'impatto di situazioni e fenomeni sull'archeologia e sul paesaggio, e da qui, valutare possibili soluzioni di mitigazione. Riguardo ai dati satellitari acquisiti con sistemi radar (SIR,AIRSAR e TOPSAR), sono ben note le immagini che hanno svelato inediti set­ tori del sito di Angkor, in Cambogia, con quartier i che si sviluppano attorno all'area dei templi e sistemi di drenaggio e suddivisione dei campi nell'immediato hinterland, che ne dimostrano un'estensione e una complessità decisamente superiori a quanto in precedenza noto. O ancora, in Cina, nel territorio di Xi'an, dove gli archeologi hanno utili zzato le immagini telerilevate per investigare la tomba dell'Impe­ ra tore Qin Shi Huang Di, dopo la scoperta del famoso esercito di sta­ tue in terracotta all'interno di fosse che dovevano costituire una sorta di avamposto per il nucleo centrale dell'enorme complesso funerario. Qui campeggiava un tumulo, ancora da esplorare direttamente, ma per lo studio del quale e del suo stato di conservazione, il remote sensin,R e la geofisica stanno fornendo importanti contributi. Riguardo all'Italia, tra le maggiori esperienze di impiego sistematico di dati da satellite per l'analisi archeologica, anche per verificarne le Esplorare i l sottosuolo da lla s u pe rf i c i e : metodi e strumenti

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potenzialità e i limiti in contesti geografici come quelli della nostra penisola, vanno certamente segnalate le ricerche decennali condotte in Toscana dall'Università di Siena e quelle tra Basilicata, Puglia e Ca­ labria dall'Università del Salento e CNR. 3 . 6 . 2 . La foto g rafia aerea

Si parla di fotografia aerea nel caso di qualunque immagine scattata dall'alto, acquisita da un apparecchio di ripresa non a contatto con il suolo. È la tecnica che permette di documentare i risultati della ricognizione aerea ma che da qualche anno sta conoscendo enormi potenzialità anche tramite l'ausilio di droni e velivoli comandati a di­ stanza (UAV ) . Dalle prime esperienze pionieristiche fino ad arrivare agli ultimi progressi che fanno dell'immagine digitale lo strumento di utilizzo quasi esclusivo, l'evoluzione della disciplina è per lo più legata alla disponibilità di nuovi strumenti e al progresso tecnologico, mentre la metodologia alla base della ricerca resta quella delineata fin dal principio, che riconosce in maniera inalterata il grande valore della documentazione dall'alto indipendentemente dalla modalità di acqui­ sizione, ovvero sia alle fotografie zenitali sia a quelle oblique. In ambito archeologico è ben noto come la combinazione di prese verticali e di prese oblique risulti efficace per colmare molti dei ri­ spettivi limiti e ciò comporta la necessità di non prescindere dall'una o dall'altra tecnica di ripresa quando è possibile disporre di entrambe. In Italia, a causa delle restrizioni aerofotografiche vigenti fino al 2000, agli archeologi è venuta meno per molto tempo la facoltà di acquisire fotografie oblique e dunque di sperimentare i benefici della ricogni­ zione in volo e dell'integrazione di differente materiale aerofotogra­ fico. Mentre la fotografia verticale ha raggiunto significative punte di eccellenza, è mancata a lungo l'opportunità di volare e fotografare paesaggi ed emergenze nel momento giusto dell'anno e del giorno, e questo ha generato un inevitabile ritardo nello sviluppo e affermazio­ ne della disciplina. Negli ultimi due decenni fortunatamente, complice l'abrogazione della legge del 1 939, le cose sono cambiate e migliorate 146

a nche nel nostro Paese. Sono stati avviati importanti programmi di esplorazione e documentazione aerofotografica, e l'aerofotografia ha cominciato a entrare nei corsi universitari e a essere protagonista di Summer School e Master specializzati. In questa direzione le Universi­ d di Siena, Lecce e Foggia sono state le principali fautrici di una nuova stagione di ricerche, attivando anche importanti collaborazioni con professionisti internazionali della materia afferenti all'English Heritage o all' AARG (Aerial Archaeology Research Group) . I n seguito a queste prime importanti esperienze, si è cominciato a dare il giusto peso e valore al concetto di "to be in the right piace in the right time", che determina, di fatto, la vera scelta di quando vo­ lare. Scelta essenziale per la ricognizione aerea finalizzata all'indagine archeologica. Ma dunque quando e perché volare? Oltre che per il privilegio di osservare il paesaggio dall'alto, l'esplora­ zione aerea di un territorio ha in genere lo scopo di cercare "tracce". Per traccia si intende, in archeologia aerea, il risultato per cui un ele­ mento archeologico impressiona la lastra fotografica non per sé stes­ so ma per gli effetti che produce su componenti del terreno che lo circondano e lo occultano, quali umidità, humus, vegetazione, rilievo. Da qui deriva la classificazione di scuola inglese ma oramai universal­ mente adottata di cropmarks, soilmarks, earthworks, per distinguere i segni nel suolo e nelle colture, a cui vanno aggiunte le cosiddette tracce di sopravvivenza, che possono riscontrarsi nel paesaggio moderno ma a ricalcare situazioni passate (si pensi ad esempio a Piazza Anfiteatro o del Mercato di Lucca, che nella sua forma preserva il ricordo di uno dei più importanti monumenti di età romana, l'anfiteatro, dall'alto per­ fettamente apprezzabile). L'individuazione di tracce è dunque il principale obiettivo della ripresa aerea ai fini archeologici e da essa dipende generalmente l'impostazio­ ne del programma di volo e la scelta del momento in cui volare. Oltre a prediligere tutte le condizioni favorevoli di luce e visibilità, il quando dipende soprattutto dalla possibilità di leggere i segni della storia del Esplorare il sottosuolo dalla su perficie: metodi e stru menti

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paesaggio nelle colture o nei terreni privi di vegetazione. Quando questa possibilità sarà più concreta, allora saremo nel momento giusto. Ecco perché diventa fondamentale, specie lavorando su territori estesi, che l'archeologo raggiunga una buona conoscenza non solo dell'ar­ cheologia che si potrà aspettare in quel contesto, nella forma di tracce, ma anche dell'utilizzo e destinazione dei suoli, delle colture presenti, dei ritnù di coltivazione e di maturazione delle piante, poiché da tutti questi fattori dipenderà la possibile formazione di segni riconoscibili, e dunque la loro visibilità e la relativa finestra temporale. Negli ultimi vent'anni, in particolare, la ricerca e individuazione di informazioni archeologiche dall'alto ha portato a riconoscere la ricognizione aerea e le fotografie aeree oblique come prezio­ sissimi strumenti di esplorazione e lettura. I lavori di Rog Palmer nel Bedfordshire, di Chris Musson in diversi paesi d'Europa, e sul territorio italiano di Stefano Campana per la Toscana o di Frank Vermeulen per la valle del Potenza, ne hanno dimostrato l'efficacia per meglio apprezzare le variazioni del microrilievo o nell'altezza delle colture dovute ai resti sepolti. Accanto a queste esperienze, alcuni studiosi, tra cui Jessica Mills, preferiscono riconoscere alle fo­ tografie aeree verticali un maggior valore rispetto alle prese oblique, criticandone l'approccio eccessivamente selettivo dovuto alle scelte soggettive dell'archeologo in volo che conduce la ricognizione. Pur nella validità delle differenti scuole di pensiero, l'opzione vincente è probabilmente ricorrere a entrambi i sistemi di acquisizione inte­ grandoli il più possibile mentre vengono interrogati sulla storia del paesaggio analizzato. Le attività avviate dall'Università di Bologna tra Enùlia Romagna (Classe e territorio a sud di Ravenna) e Marche (Valli dei fiunù Cesano, Nevola e Misa) si basano sull'utilizzo integrato di fotografie verticali e oblique, ma permettono di considerare le prospezioni aeree come uno straordinario metodo di conoscenza, dal quale sono derivate alcune delle novità archeologiche degli ultinù anni (cfr. capp. IV-V) . Inoltre, è pur vero che per quanto le fotografie oblique riproducano soltanto 1 48

u n campione ridotto del territorio rispetto alle immagini verticali, è :il trettanto vero che comportano costi contenuti e un'organizzazione più semplice. A partire dalla strumentazione fotografica, non necessa­ ria m ente professionale, e dai mezzi di volo, che possono consistere in comuni aerei da turismo. Parlando di costi contenuti, la nuova frontiera nell'evoluzione della disciplina è oggi rappresentata dai droni. La recente 2nd International Co1iference cifAerial Archaeology. From Aerostats to Drone: Aerial Imagery in . ..J. rdiaeology, tenutasi a Roma (201 6), è stata largamente dedicata alle potenzialità offerte dai sistemi aeromobili a pilotaggio remoto. Paral­ lelamente, negli ultimi anni il LabTAF dell'Università del Salento ha organizzato rinomate Summer Schools sul tema presso l'area archeo­ logica di Aquinum, e dunque con la possibilità di condurre esperienze pratiche su target archeologici con importanti ricadute formative. Il crescente interesse verso questa nuova tecnologia è ben giustifi­ cato dalle prospettive di una corretta e più speditiva attività di mo­ nitoraggio, rilevamento e mappatura rispetto alla fotografia e foto­ grammetria aerea tradizionale, e, con costi ancora più contenuti. In particolare, dal punto di vista della restituzione cartografica finaliz­ zata è una soluzione fortemente competitiva, che permette di abbat­ tere i costi della fotogrammetria aerea. La praticità ed economicità in termini di competenze richieste per il loro utilizzo, fa dei droni strumenti di grande valore per la conoscenza di siti, monumenti, scavi, fino ad arr ivare al monitoraggio e alla mappatura di porzioni di terr itor io, il tutto attraverso un sistema di controllo a distanza. Per quanto i modelli esistenti sul mercato, ad ala fissa e multi-rotore, de bbano ancora evolvere in termini di autonomia di volo, durata e sic urezza, e dunque non permettano ancora di progettare autentici programmi di ricognizione aerea su aree molto estese, alcuni la­ b oratori e centri di ricerca hanno cominciato a sperimentarne le P ote nzialità di utilizzo per la scoperta di nuovi dati dal territor io, e co n ogni probabilità questo sarà il prossimo rivoluzionar io punto di ar rivo della metodologia. Esplorare il sottosuolo dalla superficie: metodi e stru menti 149

3 . 6 .3 . La tecn o logia Light Detection and Ra n g i n g I L i DARI Airborne Laser Sca n n i n g IALSI

La tecnologia nota come LiDAR o ALS è una delle più grandi innova­ zioni del nostro tempo nell'ambito del telerilevamento, e sta dimostran­ do enormi potenzialità anche per la raccolta e interpretazione dei dati in archeologia. Nell'ultimo decennio, infatti, l'acquisizione di informa­ zioni archeologiche 3D derivanti da rilievi Lidar, fotogrammetrici e da scanner terrestri, è cresciuta esponenzialmente, con implicazioni im­ portanti in termini di documentazione, valorizzazione, e conservazione, oltre che di studio e interpretazione di complessi set di dati digitali. La tecnologia si basa sull'utilizzo di un laser scanner montato su un aereo. Mentre il velivolo segue la sua rotta e lo trasporta, lo scanner emette impulsi di luce laser a una velocità di centinaia di impulsi al secondo, e misura il tempo necessario agli impulsi per essere riflessi e ritornare allo strumento. Un dispositivo GPS garantisce il posizio­ namento automatico, in termini di coordinate assolute, di ciascuna misurazione. Il prodotto del rilievo Lidar è un insieme di dati tridi­ mensionali, la cosiddetta "nuvola di punti", da cui è possibile ottenere una rappresentazione dettagliata della superficie del terreno e della topografia rilevata, nota come modello digitale del terreno o DT M (Digitai Terrain Mode◊ . In genere i dati LiDAR sono utilizzati in due formati: "first return data" e "bare earth data" . Come le stesse denominazioni lasciano in­ tendere, il primo formato si basa sul primo fattore di riflessione incontrato dall'impulso laser, per cui il modello del terreno com­ prenderà qualunque elemento riflettente, inclusi edifici, alberi e ce­ spugli. Il secondo, invece, prevede di considerare il suolo nudo, e che dunque il modello venga spogliato della copertura vegetazionale. Questo aspetto è particolarmente importante anche in archeologia, senza dubbio il più rivoluzionario, e ha aperto le porte alla pos­ sibilità di risolvere, a volte radicalmente, l'annoso problema della visibilità nelle fitte aree boschive o nelle grandi foreste. Tra i risultati più significativi in tal senso vi sono le recenti scoperte di città e 1 50

vil laggi perduti tra Messico, Guatemala, Belize e Honduras, che rap­ p res entano gli ultimi maggiori successi dell'archeologia delle civiltà p recolombiane. Progetti in corso come il Maya ForestAtlas, del Mesa Americam Research Center, o il Pacunam Lidar Initiative, finanziato e coordinato dalla Fondazione Pacunam, sono alcuni esempi delle at­ tività in corso e della potenzialità della tecnologia in questi territori che, fino al suo avvento, apparivano inesplorabili. Rispetto all'archeologia del Mesoamerica o a quella dell'estremo Oriente, in area mediterranea ed europea il LiDAR sta co11oscendo da anni sperimentazioni e applicazioni, specialmente efficaci e per­ formanti in alcune zone boschive dell'Europa continentale (Ger­ mania, Austria, Romania) , dell'Inghilterra e, benché in misura assai minore, dell'Italia settentrionale e centrale. La diversa intensità e regolarità di utilizzo rispetto al Nuovo Continente è certamente da imputare a differenti tradizioni, scuole e approcci , ma soprattutto a una minore possibilità di successo della tecnica nei paesaggi del Mediterraneo, per densità e qualità della vegetazione che meno si addicono alle capacità di rilevamento del sistema, e che tendono a renderlo poco necessario specie se rapportato ai costi richiesti, co­ mu nque ancora elevati . l3enché dunque rappresenti un indiscutibile gigantesco passo in avanti anche nell'esplorazione archeologica, il LiDAR garantisce prestazioni ottimali in presenza delle giuste condizioni, che riguar­ dano morfologia e dimensioni dei resti sepolti (o nascosti) , copertu­ ra vegetale, topografia sottostante, oltre alla densità del rilevamento e alla configurazione del sistema di raccolta dei dati, che incidono sulla spesa. Ricerche condotte sugli insediamenti rurali dello Yuca­ tan Centrale, con aree caratterizzate da morfologia bassa, ondulata e affioramenti rocciosi, dimostrano come anche in questi conte­ sti apparentemente favorevoli, l'identificazione di resti archeologi­ ci strutturali, anche fuori terra, può rappresentare una sfida, specie q uando questi coincidono con le emersioni di roccia naturale. La pro duzione di DEM ad alta risoluzione del suolo nudo e la progetEsplorare il sottos u o lo da lla s u perfi c i e : metodi e stru menti

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tazione di rilevamenti con parametri che massimizzino le capacità di penetrazione con la sovrapposizione di più strisciate di misurazioni possono rappresentare le uniche strategie per far fronte alle proble­ maticità imposte.

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