Arcano 17

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ANDRÉ

BRETON

Arcano 17

A cura di Laura Xella

GUIDA E DIT O R I

Copyright 1985 Guida editori Napoli Grafica di Sergio Prozzillo

Introduzione

Sotto un cielo in cui brillano otto stelle (la maggiore, a otto punte,

è

la stella del m attino) una fanciulla inginocchiata in

riva a uno stagno sta versando acqua da due anfore rispettiva­ mente d'oro e d'argento . A destra della fanciulla, un ramo d'acacia, a sinistra una rosa sulla quale si farfalla. La carta che presenta questi tratti

è posata una è l'Arcano 17.

Situato in posizione mediana nella seconda fila del T arocco, esso segna nel percorso iniziatico, come ci fa sapere Oswald Wirth 1, la prima tappa dell'illuminazione mistica . M a

è

sufficiente scorrere l'elenco delle sue valenze nell'interpreta­ zione divinatoria per rendersi conto del fitto reticolo analo­ gico che instaura. Sempre citando Wirth : la Donna consola­ trice che risolleva l'uomo in preda alle sofferenze terrene; Eva; l'anima che collega la M ateria alla Spirito ; il corso della Natura; la Notte e i suoi misteri ; il sonno e le sue rivelazioni; il destino; la predestinazione; la speranza; la protezione oc­ culta; la giovinezza; la poesia .

l OSWALD WIRTH,

Paris, Tchou,

1982.

L e Tarot d es imagiers d u Moyen Age, préface d e Roger Caillois,

Dopo l'armistizio del giugno 1940, la situazione degli intellettuali antifascisti e in particolare di alcuni surrealisti si è fatta sempre più critica . Breton , sottoposto ad un arresto preventivo, lascia la Francia nel marzo

1941 e dopo un

passaggio nella Martinica si trasferisce negli Stati Uniti . A New York, lavora come speaker alla « Voix de l'Amérique » , riprende contatto con un gruppo di esuli (Duchamp, Ernst, Mass o n) e prosegue l'attività surrealista. Ma il soggiorno americano di Breton è intrapreso nel momento di una crisi al tempo stesso sentimentale (la rottura con la moglie Jacqueline e il conseguente distacco dalla figlia Aube) , politica (dramm a della guerra, rifiuto di impegnarsi direttamente nella Resi­ stenza, scelta dell'esilio) , intellettuale (declino delle istanze dinamiche del movimento surrealista) . Anche l'incontro d'a­ more, avvenuto nel 1943 , con l'ispiratrice di

Arcane 1 7 è

carico di risvolti dolorosi : Elisa aveva da poco perduto la figlia in un incidente, e questo trauma sconvolgente l'aveva spinta a tentare il suicidio . Nelle circostanze storico-bio­ grafiche del libro si intrecciano dunque diversi antefatti drammatici . Scritto in C anada nel

1944, quando sia la guerra

che le sofferenze intime stanno ormai volgendo al termine,

Arcane 1 7 si pone come il luogo dell'interpretazione e del superamento di quelle lacerazioni . Breton scriverà più tardi : « Il titolo

Arcane 17 si riferisce direttamente al significato

tradizionale della carta del Tarocco che ha nome 'La Stella' .

È l'emblema della speranza e della resurrezione ( . ) i nuovi . .

tempi che si annunciavano a partire dalla liberazione di Parigi, secondo le notizie estremamente amplificate che mi potevano pervenire, mi inducevano di per sé a farmi porre il libro sotto questo segno . Ma

è

certo che nella mia mente ess o

era sopradeterminato dalla presenza accanto a me di una persona infinitamente cara, per la quale, poco prima del nostro incontro, la vita aveva perduto ogni ragione d'es­ sere - e che desideravo con tutte le mie forze far 'tornare alla vita' . Nella congiunzione eccezionale di sentimenti così di­ versi in me, ho ricercato la spiegazione dell'altro significato di questo 'Arcano 17' , il quale, per gli occultisti, è la sensibilità come germe della vita intellettuale che stava per rinascere,

libera da costrizioni , così almeno si poteva sperare: si trattava di sapere quale sensibilità rinnovata, reintegrata nei suoi poteri primitivi fosse in grado di promuoverla. Alla fine di quell•estate 1944 in cui il mio sguardo si posava sulla costa della Gaspésie e, più lontano, sull·isola dal nome così invi­ tante di Bonaventure, le circostanze mi erano propizie per operare una ricognizione ai confini di quelle terre del deside­ rio, a lungo devastate ma bruscamente ammesse a recuperare la loro linfa, di cui non avevo mai cessato di sentire il richiamo, anche quando esse mi apparivano irraggiungibili : la poesia, l'amore, la libertà » 2• La costruzione analogica di

Arcane 17 prende l'avvio da

una base di sofferta attualità, e nella sua ricchissima trama intertestuale si configura come una chiamata a raccolta di luoghi, stagioni , vegetali, animali, minerali, colori, riferi­ menti mitologici , letterari , filosofici, storici, biblici che vanno a form are altrettanti anelli di una catena destinata a dare corpo alla figura cardine del libro: la figura della sintesi . Ad articolare la catena sono naturalmente, in primo luogo, alcuni topoi e procedimenti surrealisti, come il sogno, la

rencontre, la trasp arenza, fino a qualche traccia di automati­ smo . Vi si sovrappone, nelle pagine di Arcane 17, un apporto m ass iccio delle dottrine esoteriche. L'impianto delle metafore rinvia esplicitamente al principio dell' analogia universale, connesso alla teoria della unità cosmica;

dal rifiuto del

dualismo discendono le figure di trasmutazione. Tutta l'opera bretoniana, fin dagli inizi, è intessuta di m ateriali desunti dalla tradizione ermetica e dalla magia, di cui vengono ampiamente utilizzati il repertorio lessicale e l'apparato simbolico .

Ma in un primo tempo il modello

esoterico funzionava paradossalmente svincolato dalla sua essenza mistica, come elemento ulteriore di tensione nelle diverse esperienze (sogno,

hasard, scrittura automatica) di

superamento delle logiche acquisite; allo stesso modo, le immagini della trasmutazione alchemica venivano evocate per ciò che avevano di comune col potere germinativo del

2

ANDRÉ

BRETON,

Entretiens 1913-1952, Paris, Gallimard , 1952, pp. 201-202.

Manifesto, il « soccorso occulto» desi­

linguaggio. Nel primo

gna appunto l'energia, nascosta nella parola, che presiede al sorgere dell'immagine.

Dal

Secondo Manifesto in poi, il

richiamo all'occulto si accentua (non disgiunto, forse, da una tentazione metafisica, e in concomitanza, è il caso di dirlo, con il fallimento degli sforzi compiuti per saldare le rivendica­ zioni surrealiste alla lotta di classe).

Arcane 1 7 si colloca nella

fase in cui le risonanze esoteriche si fanno preminenti (e le riserve critiche con cui Breton prende distanza da esse assu­ mono quasi il carattere di denegazioni). Non si tratta più di « alchimie du verbe », ma di alchimia del reale e della storia; il tema ermetico della rinascita ingloba qui non solo la vita dell'individuo ma anche il lavoro artistico e il conflitto sociale . Così, nell'Ode à

Charles Fourier (1947), l'analogia

universale fonderà la revisione dei rapporti umani : « Parce que disposant de la pierre philosophale l Tu n'as écouté que ton premier mouvement qui était de la tendre aux hommes » ; e , più tardi, nell'Art

Magique (1957), verrà postulata una

linea comune magia-poesia-arte. All a base del pensiero analogico vi è una interiorizzazione del cosmo: « se tutto parla e tutto è collegato da una sorta di sintassi cosmica, tutto deve o può essere letto» 3• Con i suoi bestiari, lapidari, erbari, il microcosmo di Arcane

17 risponde

a un m acrocosmo nel quale trovano posto da un lato il divenire

storico,

dall'altro

la

dimensione

geologica

del

mondo . La sintesi si dispone in un movimento a spirale, attraverso percorsi privilegiati di senso; uno di questi

è

la

metamorfosi , nella quale convergono destino personale e . destino del mondo . La forma in cui si manifesta può essere ad esempio una rotazione di imm agini, come nel caso del Rocher Percé - una di quelle « zones ultra-sensibles de la terre»

(L 'Amour fou)

su . cui si esercita l'immaginario bretoniano

- che, nella narrazione e sotto gli occhi del lettore, diventa, successivamente, nave, organo, arcata;

o

nel caso della carta

del Tarocco, il cui riquadro è, al tempo stesso, la finestra 3 Ivos MARCONI, introduzione Mondadori, 1976, p. 31.

a

Per conoscere Breton e il Surrealismo,

Milano,

aperta sulla Notte. In Breton, « hanté par le perpétuel surgis­ sement du contradictoire »\ la metamorfosi avviene sempre a senso unico, come recupero del conflitto, ed esprime una tendenza al sacro, che qui è sempre un sacro di elevazione. Lo si può riscontrare a diversi livelli: sintattico, mitico-sim­ bolico, storico-politico. A livello sintattico, dove è frequente il ricorso a formule ottative e dove, a volte nell'arco di uno stesso periodo, vengono messe in scena la tesi (elemento di frattura) , l'antitesi (intervento di un secondo soggetto reale o mitico, o di una seconda istanza dell'io) e la sintesi (trasferi­ mento della frattura su un piano superiore) . A livello simbo­ lico, dove la linea metaforica della dissoluzione (la Medusa, l'orco, la strega, l'erosione del Rocher Percé, la maledizione biblica, il boa, la guerra, la morte, l'esilio, il deserto interiore, l'opacità del mondo) viene integrata e riassorbita nella linea della fusione sottesa a una religione della trasparenza 5 (la notte novalisiana, Elena, Mélusine, Iside, la stella del Ta­ rocco, Lucifero e la stessa scrittura poetica, figurata nelle pagine conclusive dalla lettera phé dell'alfabeto ebraico) . A sostegno della visione del mondo conness a a questa seconda linea, viene citata, secondo una prassi invalsa nel Surreali­ smo, una schiera di garanti che va dai trovatori ai romantici tedeschi, da Hugo a Rimbaud, chiamati a costituire attra­ verso il testo una sorta di osservatorio filosofico-poetico su tutti i versanti del reale. La figura centrale del libro è, in questa prospettiva, la donna - « femme-enfanb> ma anche e soprattutto grande mediatrice, incarnazione polimorfa e miracolosa. Alla donna è assegnata qui una vocazione chiaramente taumaturgica, come nel tragico itinerario spirituale di Nerval, in Michelet, o nelle speculazioni del socialismo mistico ottocentesco, dal 4

JULIEN GRACQ, André Breton, Paris, J. Corti , 1948, p. 83 .

5 «

(

• • .

) trasparenza intellettuale come risposta e sensibilità a una trasparenza del

mondo, fedeltà a una tensione critico-profetica . ( . . . ) Dopo la crisi politica del Surrealismo, l'idea di trasparenza si trova mescolata a quella di un 'mito collettivo': il tenace razionalismo di Breton si esprime ormai entro un orizzonte para-religioso».

(cumo

NERI,

p . XVII) .

introduzione a Manifesti del Su"ealismo, Torino, Einaudi, 1966 ,

Père Enfantin a Flora Tristan, fino all'Abbé Constant (Eli­ phas Lévi) al quale Breton per altri aspetti si riferisce più

Arcane 17: un libro come L 'Assomption de la jemme ou le Livre de l'amour (1841) contiene pagine

specificamente in

nettamente orientate in questa direzione : « Flétrie et humi­ liée, calomniée, enchainée et foulée aux pieds par un monde qui ne la comprend pas encore, la femme pourtant est bien belle dans sa résignation, elle est sublime dans son silence et terrible dans les cris que lui arrache la douleur .

( . . . ) Et toutes

les plaies de l'homme seront ouvertes, afin que la femme y répande tout le baume de son amour . C'est dans les grands dangers et au milieu des crises les plus violentes que la femme se révèle grande, magnanime et sublime » . I diversi e numerosi richiami a figure della cultura o del

mito non assumono in

Arcane 17 una particolare funzione

dimostrativa; si inseriscono piuttosto in una sorta di inedito ed imprevedibile « programma » dove, benché i singoli elementi costituiscano ciascuno una figura di sintesi, ciò che conta è il loro sotterraneo rim andarsi l'uno all'altro . Il percorso mitico in cui la stessa Elisa è completamente assorbita, è circolare, congiunge mitologie nordiche e mediterranee e tende a trac­ ciare la sintesi suprema dell'Androgino . A livello storico-politico, su un registro di scrittura che è peculiare a Breton - « il est dans ses livres, et à chaque page de ses livres, reveur et lucide, poète et théoricien » 6 - inter­ vengono nel testo anche gli spunti di un dibattito sui valori di libertà e di rivolta, di utopia e di anarchia: e qui i riferimenti obbligati a eventi come la Grande Rivoluzione, la

Commune,

o infine la Resistenza finiscono per costringere qualche volta il discorso in una reattività di tipo ideologico .

È il limite di un

libro che, più di altri di Breton, è un libro d'autore. Sottratti al dinamismo di un'esperienza (il

movimento surrealista) che

- forse fino agli anni della guerra di Spagna - beneficiava di una dialettica complessa, i temi della critica politica e delle speranze collettive si riassestano nei termini ristretti di una coe­ renza personale. Attraverso le concessioni e le successive messe 6

JULIENGRACQ, op.cit., p. 84.

a punto autocritiche, nell'ultima parte del libro (e nelle sue ap­ pendici), a proposito dei valori

nazionali circola un disagio che

sembra mostrare, a tratti, i segni di una « cattiva coscienza » . Momenti lirici e momenti dichiarativi si alternano in

Arcane 1 7, tenuti insieme da un io che rimanda a un tu non sempre precisabile nell'interlocutrice Elisa, e che corrisponde di volta in volta al narratore, all'autore letterario, al perso­ naggio . La m ass i ma suggestione poetica si condensa proprio dove l'io viene meno o non si presenta in modo esplicito : nelle pagine oniriche e nelle sequenze di immagini in cui il tono oratorio-profetico è al servizio della visione. La presenza in primo piano della figura femminile assimila

Arcane 1 7 a Nadja, l'ultimo e il primo dei « récits poétiques » di Breton . Ma Nadja è « celle qui toujours part » 7, l'enigmatica passante sempre incontrata e sempre da incontrare, « toujours soustraite dès qu'elle s'offre, promise à la dérobée, jusqu'à sa disparition aussi incertaine et plus obscure que sa manifesta­ tion, et qui n'abolit pas l'événement , mais a lieu dans le meme espace - le non-lieu - de la rencontre » ; Nadja sfugge alla riconciliazione magica e permette così il farsi del libro .

Arcane

1 7, invece, è il prodotto di una tensione verso quella

stessa riconciliazione m agica, in cui il desiderio riconduce a sé lo

ha3ard e gli fa prendere le forme di ciò che è desiderato,

annullando qualsiasi residuo attivo e aleatorio . Rim ane, in Arcane 1 7, il rapporto passione-evento poetico fondato su un « dépassement de soi » che è riconducibile all'ero­ tica trobadorica, dove, come ha scritto René Nelli, l'oggetto d'amore non è sulla terra né in cielo, e nemmeno completamen­ te nella persona amata, ma in un « vouloir aimer, comme sour­ ce de l'imaginaire, comme explosion de la nature dans le mon­ de transparent des images auxquelles la matière donne poids, m ais aussi notre esprit. Surréaliser l'objet érotique, ce n'est point l'idéaliser à faux, c'est achever le m onde selon ses lois » 8• Laura Xella 7

Questa e la citazione che segue sono tratte da:

joueur, 8

RENÉ

p. 30 4 .

MAURICE BLANCHOT,

Le Demain

«N.R.F. », 172, ler Avril 1967, pp. 879-880 . NELLI,

Des Troubadours

à

André Breton,

« Cahiers du Sud», 30 9 , 195 1 ,

Arcano 17

La vecchia zingara che nel sogno di Elisa mi voleva abbrac­ ciare, mentre io le sfuggivo, altro non era che l'isola Bona­ venture, uno dei più grandi santuari esistenti di uccelli ma­ rini . Ne avevamo fatto il giro proprio quella mattina sotto un cielo coperto, in un peschereccio dalle vele spiegate, e al momento della partenza ci eravamo incuriositi ad osservare la disposizione del tutto causale, ma alla Hogarth, dei galleg­ gianti costituiti da un barile giallo o rosso, sul cui fondo erano dipinti segni di un aspetto vagamente cabalistico, barile sormontato da una grande asta in cima alla quale sventolava una bandiera nera (probabilmente il sogno si è impadronito di quegli oggetti raggruppati sul ponte in fasci irregolari per ricavarne il vestito della zingara) . Lo sventolio delle bandiere ci aveva accompagnati col suo rumore lungo tutto il percorso, fino al momento in cui la nostra attenzione era stata catturata dallo spettacolo che ci offriva, sfidando ogni immaginazionè, la ripida parete dell'isola, frangiata a diverse altezze da una schium a di neve viva, di continuo rinnovata da larghi e capricciosi colpi di spatola azzurra. Sì, per quanto mi ri­ guarda, quella visione mi aveva abbracciato: per un buon quarto d'ora i miei pensieri si erano fatti di bianca avena in

quella trebbiatrice. A tratti, un'ala ravvicinata, dieci volte più lunga dell'altra, acconsentiva ad articolare una lettera, m ai la stessa, ma subito ero riafferrato dal carattere esorbi­ tante di tutta l'iscrizione . Qualcuno ha parlato di sinfonia a proposito dell'insieme roccioso che domina Percé, ma questa immagine prende forza solo a partire dal momento in cui scopriamo che il riposo degli uccelli sposa le anfrattuosità della muraglia a strapiombo, che il ritmo organico si sovrap­ pone puntualmente al ritmo inorganico, come se avesse bisogno di far presa su di ess o per mantenersi . Chi mai penserebbe di attribuire l'impulso delle ali alla valanga ! I differenti letti di pietra, che scivolano dalla linea orizzontale a una diagonale di quarantacinque gradi sul mare, sono descritti con un meraviglioso tratto di gesso in continua ebollizione (penso al copriletto ripiegato, di identico bian­ core, in pizzo filet , coi grandi fiori che durante la mia infanzia mi affascinavano al momento del risveglio) .

È mera­

viglioso che proprio le pieghe impress e sul suolo terrestre dai millenni servano da trampolino alla vita in ciò che ha di più invitante: il volo, la discesa radente e la lussuosa deriva degli uccelli di mare. C'è sempre il tremito di una stella al di sopra di chi tenta e subito evita selvaggiamente il contatto umano, come fanno le bambine piccole (e poco tempo fa, la figlia dei miei amici Arshile e Agnès Gorky, di undici mesi , un essere veramente fatato, che voltava le spalle con aria così offesa quando facevo il gesto di prenderle la mano, per poi tornare, volgendomi i suoi occhi sempre più risplendenti, a sollecitare con tutto il brio e la grazia di cui era capace ciò che prima rifiutava) oppure come quei visoni, alcuni bruni, altri bian­ chi , che abbiamo scoperto in un allevamento non lontano da qui e che, mentre passavamo davanti alle gabbie allineate, si andavano a rannièchiare nel loro rifugio, uscendone poi, non meno precipitosamente, dopo il nostro passaggio, per venire ad esaminarci da vicino . Il pensiero poetico, evidentemente, riconosce in sé una grande affinità con questa maniera d'agire .

È avverso alla patina, sta sempre in guardia contro

tutto ciò che è impaziente di fissarlo : in questo si distingue,

per definizione, dal pensiero ordinario . Per restare quello che deve essere, un conduttore di elettricità mentale, è prima di tutto necessario che accumuli la sua carica in ambiente

isolato . L"isolamento, sulla costa della Gaspésie, è oggi assoluto, insperato .

Questa regione del Canada, infatti, vive una

situazione particolare e nonostante tutto un po' ai margini della storia, poiché pur facendo parte di un dominion inglese, ha conservato della Francia non soltanto la lingua, in cui si sono prodotti anacronismi di ogni tipo, ma anche l'impronta profonda degli usi . Forse, per quanto drammatico, lo sbarco recente di tanti franco-canadesi sulla costa della Normandia contribuirà a ristabilire un contatto vitale che è mancato da quasi due secoli . Ma coloro che sono rimasti qui mostrano, nei gesti e nelle parole, di non essere mai riusciti a superare del tutto una fase in cui la loro vicenda, come gruppo, sbiadisce per mescolarsi in qualche modo con un'altra. Se in loro il rancore è probabilmente scomparso, l'integrazione in seno alla comunità inglese appare quanto mai illusoria. La chiesa cattolica, fedele ai suoi metodi oscurantisti, si avvale del seguito imponente di cui gode per prevenire la diffusione di tutto quanto non sia letteratura edificante (il teatro classico si riduce praticamente a

Esther e a Polyeucte che si trovano

esposti in grandi pile nelle librerie di Quebec, il diciottesimo secolo sembra non essere esistito, Hugo è introvabile) . Gli

chars, come chiamano qui le corriere, rare e lente, riprendono ' un po di spinta solo quando percorrono i vecchi ponts couverts . Questa stagione del resto non è stata favorevole al turismo.

Gli americani non si fanno vivi, tranne poche

eccezioni, da diversi anni . Le recenti elezioni nella provincia, facendo passare il potere dal partito liberale all'unione nazio­ nale,

determinano la ridistribuzione di tutte le funzioni

pubbliche e dissuadono da ogni progetto di vacanza tanto le persone in carica quanto coloro che aspirano a prenderne il posto . I giornali locali, che riportano le notizie dell'Europa con uno stile spess o apocalittico, sono pieni in compenso di

informazioni rese stridenti dalla presentazione a piena pagina (« Per venticinque notti consecutive una vera pioggia di meteore illuminerà il cielo d'agosto ») alternate con ricette in forma sibillina («Rotoli al fiordaliso » : ma sotto queste parole si nasconde semplicemente la torta ai mirtilli) . Tutto ciò produce nell'aria mirabilmente limpida uno schermo protet­ tivo molto efficace contro la follia attuale, una sorta di vapore che certe mattine si estende fino all'estremo orizzonte («A­ louette, tabacco naturale da fumo » dice candidamente il pacchetto sul quale è raffigurato un uccello che canta tra l'erba, e in questo inizio manipolato di canzone rispunta di colpo il vecchio Valois di Nerval per svanire altrettanto rapidamente: « Alouette, gentille alouette - Allodola, ti fu­ merò ») . Improvvisamente il sipario è caduto sulla colonia di uccelli che si estende sulla parte nord-est dell'isola. Non mi sarà stato possibile, questa volta, snidare con lo sguardo il pappagallo di mare, ma una sula è venuta a planare vicinissimo, ho avuto il tempo di ammirare la sua testa color zafferano, il duplice smeraldo degli occhi, tra le due attaccature delle ali bianche sfilacciate di nero (è la sula bassana che domina la scogliera di Bonaventure, dove la sua specie è rappresentata da sei o settemila individui. Contrariamente alla gavina dalle ali grigio perla e al cormorano dal ciuffo, non si fa vedere sulla costa di Percé per prendere parte allo squartamento dei merluzzi, quando tornano i pescatori) . Ma un capo è stato doppiato: non resta nulla, non solo del fantasmagorico ricamo gettato sull'immenso scrigno rosso e nero dalle serrature azzurre, affiorante appena dal mare, ma anche dell'orche­ strazione che lo accompagna, paragonabile secondo uno dei nostri compagni di viaggio solo a ciò che è possibile udire al di sopra di Fez . Di nuovo soltanto la frusta notturna delle bandiere. Gli occhi si chiudono, come abbagliati. Per quale strada va sferzando quella frusta? Dove va così tardi il cocchiere, forse ubriaco, che pare non avere nemmeno una lanterna? È vero che può averla spenta il vento. Chi mai

avrebbe creduto di vedere una tempesta simile! E i cavalli immaginari si lanciano dentro una faglia e questa si apre, all argandosi sempre di più sul fianco della roccia e, in un lampo, discopre il cuore suppliziato, il cuore grondante della vecchia E uropa che alimenta quelle grandi chiazze di sangue sparso . La fosca Europa, un istante prima così lontana. I vasti grumi rossi e ruggine si com binano ora sotto i miei occhi con delle macchie d'oro escrementizie in mezzo a cascate di affusti e di eliche azzurre. Ci sono anche, a insudiciare il tutto, larghi schizzi d'inchiostro, quasi ad attestare che una certa scrittura, apparentemente molto praticata, è un vero e proprio veleno mortale, un virus che attizza tutto il male . . . E tuttavia sotto il velo del significato lugubre ne appare, insieme col sole, un altro ben diverso . Tutte quelle striature che si articolano, quella distribuzione di strati geologici in ripiani ondulati e in gradoni interrotti, quelle brusche depressioni, quelle risalite spesso inattese, quelle zone tra rosa e porpora in equilibrio con altre tra il pervinca e il blu oltremare grazie alle fasce trasversali di volta in volta notturne o arroventate, ricalcano fedelmente la struttura dell'edificio culturale umano dove la stretta connessione delle componenti sfida qualsiasi velleità di detrarre l'una o l'altra di esse . Sotto la terra friabile - il suolo di questa scogliera coronata di abeti - corre un filo sottile che è impossibile spezzare: esso congiunge dei vertici, e alcuni di questi vertici sono un certo Quattrocento a Venezia o a Siena, un Cinquecento elisabettiano, una seconda metà del Settecento francese, un primo Ottocento romantico tedesco, un angolo di Novecento russo . Quali che siano le passioni che ai giorni nostri inducono a negare tale evidenza, tutto

l' avve­

nire concepibile dell'intelligenza umana si regge su questo substrato complesso e indivisibile. Altro sarà prevenire, se davvero lo si vuole, il ripetersi di catastrofi analoghe a quella che si è prodotta, eliminando antagonismi di ordine diverso; ma qualsiasi volontà di frustrazione in questo campo, a titolo di rappresaglie, avrebbe il solo effetto di impoverire chi la mette in atto . Sarebbe come defraudare se stess i . La civiltà, al di là dei conflitti non insolubili di interessi che la minano, è

una

come questa scogliera in cima alla quale è posta la casa

dell·uomo (dalla spiaggia di Percé se ne intravvede soltanto una nella notte, punto luminoso che vacilla sul mare) . Chi sarà? non importa. Nel punto luminoso si concentra quanto può esservi di comune alla vita. Raggruppate sopra di noi , le bandiere di finestre spente per sempre continuavano ad assorbire la loro porzione d·aria. Avevano la stessa grandezza di quelle bandiere di tela rossa che a Parigi si vedono accanto a certi lavori stradali, dove si staglia, a grandi lettere nere separate da punti, la scritta «

SADE » su cui tante volte mi sono trovato a fantasticare . La

bandiera rossa, spoglia di sigle e di emblemi - per essa ritroverò sempre lo sguardo che ho avuto a diciassette anni, quando, nel corso di una manifestazione popolare, alla vigilia dell·altra guerra, rho vista dispiegarsi a migliaia nel cielo bass o di Pré Saint-Gervais . E tuttavia - sento che razional­ mente non posso evitarlo - continuerò a fremere ancora di più evocando

il

momento in cui quel m are fiammeggiante, in

punti poco numerosi e ben circoscritti , è stato forato dal volo delle bandiere nere . Non avevo una grande coscienza politica allora, e devo ammettere che resto perplesso quando mi propongo di dare un giudizio sulle conseguenze che ciò ha avuto per me. Ma, più che mai, i moti di simpatia e di antipatia mi sembrano avere una forza tale da assoggettare le idee: so che il mio cuore ha battuto, continuerà a battere con lo slancio di quella giornata . Nei più profondi recessi del mio cuore, ritroverò sempre r oscillazione di quelle innumerevoli lingue di fuoco, .che qua e là si attardano a lambire un superbo fiore carbonizzato . Non è facile per le nuove generazioni rappresentarsi uno spettacolo come quello . Non si erano ancora verificate in seno al proletariato lacerazioni di ogni sorta . La fiaccola della Comune di Parigi era lungi dalressere spenta, restavano ancora molte delle mani che r avevano portata, unificava tutto con la sua grande luce resa più bella, più vera da alcune voiute di denso fumo . Tanta era la fede disinteressata dei singoli, tanta la determinazione, tanto r ar-

dore che si leggeva su quei volti , tanta la nobiltà sul volto dei vecchi . Intorno alle bandiere nere le devastazioni fisiche erano certo più sensibili , ma in certi occhi la passione aveva davvero aperto un varco, }asciandovi dei punti di incande­ scenza indimenticabili . Era come se la fiamm a fosse pass ata su tutti loro bruciando più o meno intensa, alimentando in alcuni solo la rivendicazione e la speranza più ragionevoli e fondate, mentre portava altri, meno numerosi, a consumarsi in un immobile, inesorabile atteggiamento di sedizione e di sfida. La condizione um ana è tale, indipendentemente dalla condizione sociale del tutto imperfetta cui l'uomo è perve­ nuto, che anche quest'ultimo atteggiamento - al quale nella storia delle idee non mancano illustri garanti, si tratti di Pascal , Nietzsche, Strindberg o Rimbaud - mi è sempre parso ampiamente giustificabile sul piano emotivo, pur fa­ cendo astrazione dalle ragioni di ordine utilitario che la società può avere per reprimerlo. Non si può evitare di riconoscere, almeno dentro di sé, che è il solo ad essere segnato da una infernale grandezza. Non dimenticherò mai il sollievo, l'esaltazione e l'intima soddisfazione suscitati in me, una delle prime volte in cui da bambino fui accompagnato in un cimitero - tra tanti monumenti funebri deprimenti o ridi­ coli - dalla scoperta di una semplice lastra di granito dov'era inciso in lettere m aiuscole rosse il superbo motto : NÉ DIO NÉ PADRONE. La poesia e l'arte avranno sempre una predile­

zione per tutto ciò che trasfigura l'uomo in questa ingiunzione disperata, irriducibile, che di tanto in tanto, come una sfida derisoria, egli rivolge alla vita. Perché al di sopra dell'arte e della poesia, lo si voglia o no, sventola una bandiera rossa e nera di volta in volta. Anche qui il tempo stringe: si tratta di far esprimere alla sensibilità umana tutto ciò che essa può offrire. Ma da dove viene l'apparente ambiguità, l'indecisione finale sul colore? Forse all'uomo è dato agire sulla sensibilità degli altri uomini per modellarla ed ampliarla solo a condi­ zione che egli si offra in olocausto a tutte le forze disseminate nell'anim a del suo tempo, le quali in generale si attraggono solo nel tentativo di escludersi a vicenda . In questo senso

l'uomo è, è sempre stato, e, per un misterioso decreto di tali forze,

deve essere la loro vittim a e insieme il loro dispensatore.

Tale è la sorte riservata a un certo amore della libertà um ana che, chiamato ad accrescere anche in infime proporzioni lo spazio di ricettività di tutti, attira su un solo individuo tutte le conseguenze funeste dell'intemperanza. Se la libertà accon­ sente a sfiorare fuggevolmente la terra, è solo in omaggio a coloro che per averla amata

alla follia non hanno saputo

vivere, o hanno vissuto m ale. . . Ma lasciamo che gli uni rientrino Iiei loro tuguri di Charonne o di Malakoff e gli altri riprendano a scambiarsi battute nel bistrot . Che belle canne da pesca sono qui allineate, con cento ami nuovoi di zecca. Le bandiere non ci condurranno oltre: la scialuppa viene a prenderei per riportarci a terra. Pur godendo al massimo del momento presente, riesco solo in parte a superare il turbamento che mi coglie nel fondo dell'anima . Ciò che la mia situazione personale in questo stesso istante ha di più privilegiato mi rende ancora più consapevole, per contrasto, della parzialità del destino che altrove condanna tanti uomini al terrore, all'odio, alla carne­ ficina, agli stenti . La durezza dei tempi è tale che si osa appena dichiarare questo genere di cose perché non si vor­ rebbe aver l'aria di ostentare sentimenti elevati . Uno degli effetti più vistosi dell'etica di guerra è che vietando tali sentimenti per la loro azione debilitante, riesce a farli conside­ rare sospetti e, in ogni caso , gravemente sconvenienti . La mentalità che ne consegue deve essere più salda che mai , il giorno in cui si viene a sapere che gli eserciti alleati sono giunti alle porte di Parigi . Ma che fare, tanto più grande è il senso di dislivello che mi possiede; e lo ritengo confessabile nel solo mondo che mi interessi, il mondo guarito dalla sua follia . No, a dispetto di certe apparenze, non tutto ancora è sacrificato al Moloch militare . Quante volte, prima in Francia, poi in America, l'ho potuto rilevare con sollievo, che dico, con la gioia di una piena riconferm a, tra le quinte di questa guerra : mai la poesia - non parlo della poesia d i circostanza - è

stata così pienamente apprezzata . Si direbbe anzi che si siano aperti ad essa innumerevoli orecchi, i quali in altre circo­ stanze sarebbero rim asti sordi .

È facilmente riconoscibile in ritorno

tale fenomeno il manifestarsi della necessità di un

all'essenza, quale si prova ogni volta che viene messa in pericolo l'esistenza individuale o anche una qualsiasi ricerca personale nell'ambito dell'esistenza umana. Voglio dire che quando la natura degli avvenimenti tende ad imprimere ad essi una piega troppo dolorosa, i modi di sentire personali trovano,

loro m algrado,

un rifugio e un supporto nelle

espressioni più perfette dell'inattuale: quelle, intendo, in cui un « attuale » di tutt'altro genere ha fatto sgorgare, prima di esserne riasso rbito a distanza, qualcosa di eterno . E quel mattino, sul m are, in che cosa si traduceva nel suo punto culminante l'insieme di allegria e di apprensione suscitato dalJa sorte immediata di Parigi, combinandosi con l'avvici­ narsi e l'allontanarsi della roccia coperta di uccelli di Bona­ venture? Si traduceva nella dizione infervorata di strofe di Baudelaire . E non ero io a recitare. La sventura è così grande, così esclusiva quando la si vive, che pochi si provano a cercarle degli equivalenti nel passato, anche se ciò potrebbe far rinascere qualche speranza: «Parigi non è più il teatro delle scene tenere e galanti : si è perduto il gusto della battuta scherzosa; ognuno è preso dai propri dispiaceri e dalla propria miseria » . Il libro da cui prendo questa citazione dà un giudizio impietoso sul comportamento del capo dello Stato : « E gli concentra e consuma quanto gli resta di energia e di vitalità in penosi e limitati sforzi da vecchio, in piccoli gesti senili , nell'adempimento di volontà brevi e ingrate . . . Straccio umano incartapecorito e raggelato, egli continua a vivere la sua vita di sempre con una puntualità spaventosa . . . Vive un ultimo inverno nell'angoscia del suo castello dove i regali di Capodanno sono costituiti da minu­ scole fascine di legna, quasi si trattasse di gioielli » . Non si sta parlando qui delle vicende recenti della Francia, bensì delle sue condizioni durante l'ultimo anno del regno di Luigi XIV,

e ciò che l'autore, Virgile Josz, attingendo da Saint-Simon e da altri , riferisce ancora sul contegno deplorevole della mag­ gior parte dei potenti e sui ripugnanti intrighi che si tram ano a Corte, ci autorizza a proseguire nel parallelo . Ma l'interesse dello scrittore ora citato non si volge a questa somma di orrori : la sua intenzione è di far apparire su uno sfondo così tenebroso una luce destinata ad aver ragione di esso nell'a­ nimo degli uomini . La stella che fa dimenticare il fango è la personalità angelica di Watteau . L'opera di Watteau ha infatti il privilegio di riuscire a sventare con la sua sola forza tutto ciò che può avere di avvilente la considerazione dell'e­ goismo e della m alvagità umana nel tempo della disfatta. Per quanto a lungo si sia fatta attendere la liberazione dal regime . sotto il quale W atteau ha sofferto, mentre le angosce e le turpitudini del suo tempo non ci toccano più sul piano vitale,

è lui che continua a regnare sulla nostra affettività .

E

anzi :

tutta quell'epoca atroce, siamo sempre più portati a vederla attraverso il suo sogno. Se gli accade di sfiorare l'apparato guerresco del tempo : quei tricorni, quei finimenti, quelle falde, egli canta solo ciò che brilla agli occhi delle fanciulle e le invita a mettere in mostra la scioltezza della figura, la curva del seno . Ci tiene lontani dagli orrori della battaglia: lo scontro non ammette altra dimensione che quella dell'eterno torneo galante, ma ora le belle non fanno resistenza. Le privazioni, le sofferenze che precocemente compromet­ teranno la sua salute fisica, è meraviglioso vedere come si assorbono per intero in un inno alla gloria della natura e dell'amore. Così la tempesta , al primo riapparire del bel tempo, finisce per inabissarsi e negarsi in una perla. Sotto i suoi adorabili fogliami , troppo rigogliosi e troppo vivaci per risentire delle dispute umane, tutto tende, tutto

deve tendere

in fin dei conti a riorientarsi sulle deduzioni della vita. Una mano di donna, la tua mano dal pallore di stella solo per aiutarti a scendere, rifrange il suo raggio nella mia . Il suo lievissimo contatto si ramifica in me e descriverà in un istante

sopra di noi delle volute leggere dove ai vapori del pioppo o del salice il cielo capovolto unisce le sue foglie azzurre. A che cosa devo m ai , per quanto mi concerne, l'assoluzione da un castigo che tanti altri subiscono senza sentirsi più colpevoli di quanto non mi senta io oggi? Prima di conoscere te, avevo in­ contrato la sventura, la disperazione . Prima di conoscere te, ma no, queste parole non hanno senso . Sai bene che quando ti ho vista per la prim a volta, senza la minima esitazione ti ho riconosciuta. E da quale frontiera, più di ogni altra terribil­ mente sorvegliata, venivi a me, attraverso quale iniziazione, inaccessibile quasi, eri stata consacrata per quella che sei . Quanto ti ho vista, ne portavi ancora tutta la bruma, una bruma indicibile, nei tuoi occhi . Come si può, e soprattutto

chi si

può rinascere dalla perdita di un essere, di una bambina

che è l'unico oggetto d'amore, a maggior ragione se la morte è accidentale e se in quella bambina, quasi una fanciulla, si incarnavano oggettivamente (non l'ho sentito dire solo da te) tutta la grazia, i doni dell'intelligenza, l'avidità di sapere e di vivere che danno della vita una immagine incantatrice e sempre in movimento , attraverso un gioco sempre nuovo, follemente complesso e delicato, di sfumature e di prismi? Quel dramma, io lo ignoravo : ti vedevo solo circondata da un'ombra azzurra come quella in cui all'alba sono immersi i giunchi e non potevo immaginare che tu venissi da più lontano ancora, che del crollo di quell'avvenire a te così caro da sovrapporsi al tuo avevi voluto fare in te la notte pura, e quasi ti era riuscito : non fosse stato per uno spiraglio attra­ verso il quale eri stata insperatamente richiam ata . Quando ti accade di rievocare quelle atroci circostanze, non trovo nel mio amore altra risorsa che spiare furtivamente nel fondo dei tuoi occhi il segnale che ha imposto un brusco voltafaccia al terribile passaggio a livello nel momento in cui tu ti eri spinta ormai così avanti .

È per me il solo garante della tua onnipre­

senza al mio fianco e del graduale allontanarsi, assolutamente necess ario, delle zone la cui contemplazione a breve distanza fa riaprire le palpebre di Medusa.

È il solo che ha saputo

padroneggiare tutti i richiami dell'ombra. La sentenza che ti

recava era imprescrittibile e senza appello: che tu volessi o no, eri

assolta.

Poiché la vita ti ha voluto avere contro il tuo stess o proposito, non sarai tu ad offrirti ad essa solo a metà . Il dolore e il sogno di soccombere al dolore saranno stati per te una porta, aperta sul bisogno sempre risorgente di piegare, di rendere più sensibile e più bella questa vita crudele. Tu sai come la vedo attraverso di te, come piume di usignolo in una chioma di paggio . Il suo fremito ti pervade, ti ha ripresa tutta intera e non vi è nulla di più sconvolgente di questa idea. L'offesa era così grande che solo una tale capacità di perdono poteva esserle adeguata .

Più bella,

la soluzione dell'enigma

più di ogni altro temibile era essere più bella di quanto tu sia mai stata.

Più bella per aver messo dalla tua parte le

Dominazioni . Più bella per aver saputo ancora accogliere il giorno ora per ora, l'erba filo per filo. Più bella per aver dovuto riprendere il filtro, per essere stata cosi nobile da portarlo alle labbra senza esitazioni, ignorando ciò che in esso vi era di terribilmente am aro . Fu necessario il soccorso di tutte le forze che si m anifestano nelle fiabe perché dalla cenere sorgesse il fiore profumato, balzasse fuofi il bianco animale dai lunghi occhi che svelano i misteri dei boschi. Grande musica d'organo dell'amore umano portata dal mare, nel suo movimento astratto che affonda dentro la città, dal sole di mezzanotte che apre, anche nell'ultimo dei tuguri, le finestre sinuose dei castelli di ghiaccio, dalle vertigini che si lisciano le ali per prepararsi a sfiorare ora l'arco intero di una sera primaverile, ora l'eco interminabile annidata in un verso o nel frammento della frase di un libro, ora il gemito di quella stella di rame dal peso di diverse tonnellate che per un voto di genere insolito è stata fissata, a centinaia di metri di altezza, su di una catena tesa tra due picchi sovrastanti un paese delle Basses-Alpes: Moustiers-Sainte-Marie. Questo amore: niente mi impedirà di continuare a vedere in esso l'autentica pana­ cea, pur così osteggiata, denigrata e ridicolizzata a fini

religiosi o meno . Una volta esclusa ogni idea fallace, insosteni­ bile, di redenzione, è proprio e soltanto attraverso l'amore che si realizza al più alto grado la fusione dell'esistenza e dell'es­ senza; è solo l'amore che riesce a conciliare immediatamente, nella piena armonia e senza equivoco, queste due nozioni, le quali, al di fuori di esso, restano sempre inquiete e ostili . intendo parlare naturalmente dell'amore che prende tutto il

potere,

che pretende la durata intera della vita, che non è

disposto a riconoscere il suo oggetto se non in un unico essere. Su questo punto l'esperienza, anche avversa, non mi ha insegnato nulla. Per quanto mi concerne, è una istanza che continua ad essere in me altrettanto forte; sento che rinun­ ciarvi sarebbe come sacrificare tutto quanto mi fa vivere. Un mito saldamente radicato continua a vincolarmi , su cui nessuna apparente smentita inerente alla mia vicenda ante­ riore può prevalere.

« Trovare il luogo e la formula » si

confonde con « possedere la verità in un'anima e in un corpo » : aspirazione suprema, sufficiente a dispiegare davanti a s é il campo allegorico secondo il quale ogni essere umano è stato gettato nella vita alla ricerca di un essere dell'altro sesso, di un solo essere che gli sia in ogni senso rispondente, a tal punto che l'uno senza l'altro appaia come il prodotto della dissociazione, della dislocazione di un unico blocco di luce . Quel blocco, felici coloro che, fra tutti , riescono a ricostituirlo. L'attra­ zione, in sé, non può essere considerata una guida sicura. L'amore, perfino quello di cui parlo, deve anche, purtroppo, potersi recitare. Nella giungla della solitudine, un bel gesto di ventaglio può far credere a un paradiso . Ma essere il primo a denunciare l'amore significa confessare di non aver saputo mettersi all'altezza delle sue premesse . E non si parli delle difficoltà che ciò comporta: una volta ricomposto, il blocco annulla per la sua stess a struttura ogni fattore di divisione; la sua proprietà specifica è che tra le componenti esiste una aderenza psichica e mentale a tutta prova. Una concezione simile, benché possa ancora apparire audace, presiede più o meno esplicitamente alle lettere di Eloisa, al teatro di Shake­ speare e di Ford ,

alle lettere della Monaca portoghese,

all'intera opera di Novalis, illumina il bel libro di Thomas Hardy,

Giuda l'oscuro. Nel senso più generale l'amore vive di

reciprocità, il che non implica che sia necessariamente reci­ proco; può accadere infatti che un sentimento inferiore possa per un momento provare piacere a specchiarsi o ad esaltarsi in esso . Ma l'amore reciproco è il solo che condizioni la magne­ tizzazione totale, su cui nulla può incidere; in esso la carne si fa sole e splendida impronta per la carne, e lo spirito si fa sorgente perpetua, inalterabile e sempre viva, acqua che si orienta una volta per tutte tra la calendola e il timo . La giornata sarà bella, la vedo filtrare nei tuoi occhi dove ha cominciato, più offuscata, ad essere così bella. Essi sono fatti di quella stessa acqua, nei punti in cui scorre al sole sulle selci azzurre, e l'arco che dall'alto li sovrasta è fatto del più sottile, del più sensibile pennello di m artora, non dei riflessi che può carpire, ma il fremito di quel pennello distrae solo mentalmente dal manto del grazioso animale all'erta . Quanti spari ancora disseminati in lontananza! E, a sprazzi , l'imma­ gine obliqua della trappola che nella sua volontà avversa per due volte è stata inesorabile, imm agine ingrandita a dismisu­ ra nell'erba. Come la pupilla dei propri occhi - è questa l'espressione familiare che designa quanto ci sta a cuore sopra ogni cosa: così ci fu un giorno in cui più non ti poteva stare a cuore la pupilla dei tuoi occhi, quegli occhi nei quali il destino voleva che più tardi io venissi a cercare tutta la luce . E che magico nastro si sta ora srotolando . La vita, come la libertà, solo là dove è colpita e parzialmente sottratta prende co­ scienza di sé, si innalza alla consapevolezza totale dei suoi mezzi e delle sue risorse, diffonde tutto il suo splendore ad altri occhi. Il suo trionfo è in ogni istante candido e sconvol­ gente come i fiori che, alla fine dell'inverno, si risvegliano sulle macerie. Nei tuoi occhi c'è la prima rugiada di quei fiori; le tue labbra stringono con le parole affinità simili ai cerchi di iridescenza sempre nuova che danno ai vortici la loro magnifi­ cenza. E tu sei bella di quella bellezza che ha sempre soggiogato gli uomini , di quella bellezza che essi temono e

onorano nella persona di Elena, di quella bellezza su cui la fatalità stessa si accanisce invano e che, quand'anche ne avesse bisogno, ha come eterna giustificazione di fronte agli altri e a se stessa solo queste misteriose parole: « Io sono Elena » . E questa bellezza sembra aver dato a quanti sono capaci di riconoscerla, dei diritti su di te: non eri infatti libera di sparire e di riapparire con la maschera della sofferenza o della spossatezza e come prim a dovevi rendere conto alla vita del tuo ardore . Si direbbe che solo a questo prezzo la bellezza si esprima in tutta la sua intensità. Le mancherà sempre un accento, e il più sontuoso, se le circostanze le risparmiano di essere così duramente temprata. Solo nella bruma del tuo sguardo la vetta della montagna prende una forma veramente divina, solo grazie all'ala dell'aquila dorata che passa sui tuoi capelli . E ti amo perché l'aria del mare e l'aria della monta­ gna, qui confuse nella loro purezza originaria, non sono più inebrianti , più immuni da miasmi di quanto non lo sia l'aria della tua anima, dove è passata una immensa folata che ha confermato solennemente e rigorosamente la sua disposizione naturale a risolvere ogni cosa - e, per cominciare, le piccole difficoltà della vita - con l'effusione di una generosità senza limiti di per sé sufficiente a rivelare ciò che ti è proprio : il senso assoluto della

grandezza .

Ecco, sotto la levità del tuo piede, il parapetto così instabile che la notte deve essere rinforzato con pesanti pietre, il che non impedisce alla tempesta di trattarlo, a suo piacimento, come un giocattolo di paglia, ecco la sabbia fine costellata dalle infiorescenze delle orme degli uccelli . L'isola Bonaven­ ture, a una distanza di qualche miglio, conserva il suo miraggio : secondo la leggenda era il covo di un orco che, scavalcando d'un balzo il tratto di mare, veniva a fare man bass a delle donne e delle fanciulle sulla costa e se ne riempiva le enormi tasche. Al suo ritorno, dopo aver finito di mangiare, lavava i panni in una gran profusione d'acqua e li stendeva ad asciugare sugli alti scogli . L'immaginazione popolare non poteva trovare un modo migliore per spiegare la persistenza

accusatrice e diffusa delle macchie sulla roccia, e insieme gli sforzi sovrumani e la prodigiosa quantità di schiuma di sapone in continuo movimento figurata dalle piume bianche impotenti a farle scomparire . Quale altro e non meno labo­ rioso bucato riuscirà a cancellare dall' animo umano le grandi cicatrici collettive e i ricordi lancinanti di quest'epoca di odio! Quale sacro rifugio gli uomini dovranno offrire nel loro cuore a tutte le idee che, come le sule bassane nel loro nido, lotteranno per il superamento di quest'epoca o, col loro volo fastoso e libero, contribuiranno a trasfigurare questo lembo di tragica muraglia! Quale spazio privilegiato dovranno riservare all'espressione dell'amore, sull'esempio delle nicchie che ci venivano indicate nel fianco della roccia, e dove, chiave dello spettacolo generale, gli uccelli andavano a rifugiarsi a coppie! L'amore, la poesia, l'arte : solo grazie al loro impulso potrà tornare la fiducia e il pensiero umano riuscirà ancora a prendere il largo . Sarà possibile ricominciare a fare assegna­ mento sulla scienza solo quando avrà preso coscienza dei mezzi per porre rimedio alla strana m aledizione che pesa su di essa e sembra destinarla ad accumulare più disinganni e sventure che benefici . Al di là delle misure di risanamento morale che si impongono in questa oscura vigilia di due volte l'anno mille, misure di ordine essenzialmente sociale, per l'uomo in quanto individuo non può darsi speranza più valida e più vasta che nel colpo d'ala. Ed ecco di nuovo, perpendicolare alla cresta delle onde, a quella linea punteggiata appena sinuosa sul filo dell'acqua che ripercorrono ogni giorno in fila indiana i cercatori di agate, ecco il Rocher Percé, quale si staglia nel riquadro delle nostre finestre e nell'immagine che

a

lungo porterò con me. Mentre lo

stavamo aggirando poco fa, rimpiangevo, così da vicino, di non poterlo scoprire nel suo insieme e che nuovi scorci della sua massa facessero sorgere delle immagini diverse da quella che mi ero fatta.

È inevitabile conservare solo quest'ultima,

quando accade di rappresentarsi tali strutture complesse. D'al­ tronde, proprio da questa angolatura, vale a dire da ovest, si è

« Rocher Percé: 280 piedi 250 piedi nel punto più largo, 1420 piedi di

imposto all'attenzione dei fotografi . di altezza a prua,

lunghezza » , dice laconicamente una pubblicazione turistica e non esito a ricopiare queste cifre perché non mi stupirebbe che nel rapporto tra le dimensioni si manifestasse il

numero aureo,

tanto le proporzioni del Rocher Percé si presentano come un modello naturale di esattezza. Si compone di due parti che, dal punto in cui le osservo solitamente, sembrano dotate di un'esi­ stenza distinta: la prima suscita inizialmente !"immagine di un vascello a cui si sovrappone quella di uno strumento musicale antico, la seconda evoca una testa dal profilo incerto, una testa dal portamento altero, con una pesante parrucca stile Luigi XIV . A Nord la prua della nave si abbassa verso la spiaggia e un'ampia breccia si apre all a sua base, a livello dell'albero di poppa. Innalzandosi per una sessantina di piedi al di sopra del mare, quella breccia serviva pochi anni fa, prima che delle frane la ostruissero, come passaggio ai velieri . Essa rimane comunque un elemento essenziale nella percezione sensibile e conferisce al monumento la sua qualità veramente unica. Nonostante la sua relativa esiguità rispetto all'ampiezza dello scafo che corrode, essa determina l'idea che la nave immagina­ ria è anche

un' arcata;

è meraviglioso come le correnti spezzan­

dosi lungo le pareti vi trovino un'apertura dove inabissarsi, ancora più frenetiche . La breccia è sufficiente di per sé ad imporre una seconda rassomiglianza con una sorta di organo lontano, con questo strumento piuttosto che un altro dal giorno in cui, cercando di identificare il volto e l'atteggiamento della testa di pietra rivolta verso di esso , tu hai pensato che potesse ess ere Handel, per poi correggerti subito : Handel , ma no, Bach, certamente . I geologi e i paleontologi sono al settimo cielo in tutta la penisola di Gaspé dove esaminano gli slittamenti immemora­ bili dei terreni , di cui a volte un sasso in abito da arlecchino, uniformemente levigato dal m are, costituisce l'unica testimo­ nianza. Si pass ano di mano in mano i superbi frammenti trovati nei dintorni della Grande Grève dove si incrociano in

tutte le direzioni le torri alate delle code dei trilobiti, quei frammenti che evocano le piastre più finemente lavorate del Benin pur distinguendosene nettamente per il gioco delle luci beige, argento e lilla. C'è qui, in tutto ciò che si calpesta, qualche cosa che viene da molto più lontano dell'uomo e va molto più lontano . Naturalmente ciò è vero ovunque, ma si percepisce meglio in un luogo in cui ogni pass o ne arreca la conferma debitamente circostanziata . Ne consegue un'ottica molto diversa da quella, a corto raggio, che tende a prevalere nelle città . La grande nemica dell'uomo è l'opacità. Opacità che è al di fuori di lui ed è soprattutto in lui , coltivata dalle opinioni convenzionali e da ogni sorta di interdizioni sospette. Viene da pensare a volte che la sorte del genere umano sia stata giocata per sempre in una serie di mosse tutt'altro che fortunate, ma definitivamente omologate da una invincibile inerzia, la quale ha scoraggiato l'uomo dal rimetterle in questione . Resta l'impressione tuttavia che la partita avrebbe potuto svolgersi diversamente; le calamità sempre più gene­ rali che ne segnano il corso dovrebbero attestare che sotto diversi aspetti è stata cominciata molto m ale. In testa agli errori iniziali per noi tuttora più dannosi figura l'idea che l'universo abbia un senso apprezzabile solo per l'uomo, men­ tre non ne avrebbe alcuno, per esempio, per gli animali . L'uomo si gloria di essere il grande eletto della creazione. Tutto ciò che le teorie trasformiste gli hanno rivelato sull a sua origine e sulle necessità biologiche che assegnano un termine alla durata stessa della specie umana, resta di fatto lettera morta. Egli insiste a pensare e ad agire come se queste rivelazioni, intollerabili per il suo orgoglio, non avessero avuto luogo . Le stesse riserve che i filosofi gli hanno insegnato a fare sulle capacità dell'intelletto entrano nelle sue parole per pura forma e non lo dissuadono affatto, nell'intimo, dal disporre delle cause finali come se si riferissero obbligatoria­ mente a lui . Le sconfitte incessanti non sono mai valse a fargli prendere coscienza della pochezza dei suoi criteri . La facon­

dia che ha avuto in sorte e l'ottimismo stupefacente di cui è dotato lo portano a compiacersi rumorosamente dello stato

delle sue conoscenze, mentre la maggior parte degli individui vive in una vera e propria incuriosità crescente;

le sue

acquisizioni, sempre più centrate sul benessere immediato che

è

solo una parodia del progresso , si rivoltano immancabil­

mente e brutalmente contro di lui . Le sue idee sono una

somma,

sì, una somma di postulati privi di rigore, che

avrebbero potuto essere diversi e che continuano a dipanare in modo imperturbabile le loro conseguenze, mentre un gran numero di essi sono stati definitivamente invalidati . Il destino di tali idee sembra essere, qualsiasi cosa accada, di non poter risalire il corso che hanno seguito in precedenza. L'uomo nascendo le trova strettamente incanalate ed

è

libero di farle

progredire solo lungo un percorso già tracciato. Questo per­ corso

è

fiancheggiato da edifici - la chiesa, la scuola, la

caserm a, la fabbrica, la bottega, la banca, di nuovo la chiesa - e da statue tra cui, molto lentamente,

è

possibile

distinguere quelle piene, rarissime, che sono testimonianza di glorie autentiche, da quelle vuote, innumerevoli, che tendono a consacrare le glorie usurpate. (Queste ultime, d'altronde, non sembrano essere le meno incrollabili - basti citare l'esempio tipico di La Fontaine, detto come per antifrasi « le bonhomme » a dispetto - prima della mia - delle proteste di Jean-Jacques Rousseau e di Jean-Henri Fabre; La Fontaine che continua, senza alcun fondamento, a passare per poeta e a godere, in Francia, della sconcertante prerogativa di essere il primo educatore dei ragazzi) . Ma nella ressa dei piedistalli e delle stele si cercherebbe invano il posto dei grandi avventu­ rieri dello spirito, di coloro che hanno afferrato l'uomo e gli hanno ingiunto di conoscersi in profondità o gli hanno intimato di rispondere dei suoi presunti ideali - si chiamano Paracelso, Rousseau, Sade, Lautréamont, Freud, si chiamano Marat, Saint-Just . . . la lista sarebbe lunga . Eppure coloro che cito, tranne una o due eccezioni , hanno dato prova di essere rivoluzionari solo in senso relativo . A quando, infine, un nuovo laboratorio in cui le idee correnti,

quali che siano,

a

cominciare dalle più elementari, frettolosamente considerate fuori discussione, saranno accolte solo a condizione di essere

studiate ed esaminate

da cima a fondo, vale a dire fuori da

qualsiasi preconcetto? Mfermo che queste idee dovrebbero un giorno essere accolte e registrate solo con beneficio di inventa­ rio . In particolare, mi sembra, non si sarà mai

a priori troppo

severi nell'approccio alla logica, pervenuta ai nostri giorni al massimo dell'aridità; la morale non può, senza impudenza, prefiggersi altro scopo che di conciliare tra loro il maggior numero di interessi umani , ma ciò esige, per cominciare, che essa rinunci a fondarsi su considerazioni extraterrestri o sui miserabili cascami di queste. Sarebbe estremamente necessa­ rio e urgente rimediare a quanto vi è di limitante e angoscioso nel concetto di

tempo quale, almeno, è stato elaborato

dall'Occidente e parallelamente contrastare attraverso un'a­ nalisi più convincente della sua necessità, la tendenza nel­ l'uomo cosiddetto civilizzato a fare della morte uno spaurac­ chio, mentre su questo punto il selvaggio può offrirgli un esempio di dignità .

È a tale prezzo e solo a tale prezzo che le

grandi istanze umane sempre oppresse, l'aspirazione alla verità , all a bellezza, oserei dire all a bontà , in ogni caso la capacità di amare, arriverebbero a prendere il sopravvento e a rigenerare il mondo con la stessa rapidità con cui sarebbe stato distrutto . Si aprirebbero così, immensi, dei campi di scoperta rispetto ai quali quelli che già conosciamo sarebbero magre concessioni orribilmente recintate. Secondo le strane parole di Apollinaire nella sua ultima poesia,

(( Nous voulons explorer la bonté, contrée énorme où tout se tait» Piegandosi alla press ione secolare, ha avuto in questa poesia il solo torto di chiederne perdono . Sarebbe opportuno, prima di tutto, abbandonare l'idea che la cultura umana, così come viene diffusa dai manuali , sia il prodotto di una attività ordinata e necessaria, mentre invece è stata edificata sull'arbitrio ed ha accettato di seguire il percorso generale che le assegnava l'abitudine. Non c'è assolu­ tamente niente di fatale nel fatto che essa sia pervenuta a questo o a quel livello, poiché nulla nell à sua essenza ne

ostacolava uno sviluppo, se non libero, almeno sottoposto a tutt'altri condizionamenti . Nessun valido determinismo, al­ l'interno del loro contesto, giustifica dunque la fissità della m aggior parte delle idee che si trasmettono da un'epoca all'altra; e le pochissime idee originali che si innestano su di esse si guardano dal trasgredirle se non in punti di dettaglio . L'educazione attuale è interamente difettosa nella misura in cui , spacciandosi per concreta, comincia col tradire la fiducia del bambino proponendogli come verità ciò che è soltanto apparenza provvisoria, o mera ipotesi, se non addirittura una manifesta controverità; e anche nella misura in cui impedisce al bambino di formarsi in tempo utile una opinione da solo, dandogli in partenza certe impronte che rendono illusoria la sua libertà di giudizio . Gli stessi fatti che gli sono presentati come vissuti , con i quali si provvede a riempire la sua memoria, che sono dati in pasto all a sua giovane esaltazione, vengono amplificati, o ridotti , oppure mischiati a finzioni , o quanto meno presentati in modo tendenzioso per le esigenze

di una causa che - per non dire altro - non è la causa dell'uomo ma quella di una certa casta di individui . Per esempio, non c'è che da sfogliare un corso elementare di storia della Francia - e non parlo delle edizioni rivedute ed espurgate diffuse negli ultimi anni - per cogliere in flagrante coloro che, attribuendosi scienze vergini , riescono

il

il

merito di intervenire sulle co­

più delle volte soltanto a storpiarle

per sempre . Abbasso Robespierre; Luigi XVI era in fondo un buon re, benché un po' debole (sic) , ma il vero eroe nazionale continuerà ad essere celebrato nella persona di Napoleone: erano queste le idee generalmente indelebili che la Repub­ blica francese lasciava fossero inculcate a dei bambini desti­ nati nella stragrande maggioranza a non andare oltre la licenza elementare. Fortunatamente la classe dei maestri - grazie al suo senso di responsabilità - si è presa tutte le libertà del caso nei confronti di certi aspetti del programma. Tuttavia, non sono tanto la scandalosa parzialità, lo spirito incorreggibilmente reazionario che più mi hanno colpito in questo caso, bensì tutto quanto, nel metodo, accomuna i

suddetti storici ai mitografi, con la sola differenza - tutta a loro svantaggio - che i primi presentano come esatto ciò che gli altri espongono come mitico . Se ci si sofferma in partico­ lare sulle illustrazioni di quei piccoli manuali scolastici illustrazioni il cui ricordo, insisto, ha ossessionato diverse generazioni - non si può evitare un simile accostamento . Quelle illustrazioni non aiutano in effetti a capire il libro e non ne commentano gli episodi salienti - osservazione che può essere applicata anche agli aneddoti volti a colpire le giovani menti, spesso caratterizzati da un tono singolarmente ozioso,

in ogni caso irrazionale e al tempo stesso molto

concreto : come un nastro sembrano scorrere completamente a lato dell'esposizione storica vera e propria e, a distanza, non riesco a non rilevare in ess i un carattere spiccatamente occulto . La loro trama è in larga misura diversa da quella del quadro generale e corrisponde solo in parte ai suoi contorni . Vi si insinuano inoltre, si direbbe, segrete intenzioni simboli­ che: dei vecchi vestiti di bianco racèolgono il vischio dalle querce per mezzo di falcetti d'oro, « Ricordati del vaso di Soissons » , Carlomagno visita una scuola e sgrida i fanciulli ricchi, Filippo il Bello fabbrica monete false, Carlo VI fa un incontro conturbante nella foresta di Le Mans , una pastorella inginocchiata riceve istruzioni da San Michele e da Santa Caterina, la stess a sul rogo, Enrico III e i suoi « favoriti » giocano al bilboquet, Enrico IV lungo una salita lascia senza fiato un certo Mayenne, l'Eminenza grigia, il Re Sole, Luigi XV bambino uccide gli uccelli in una voliera, l'ineffabile Luigi XVI si dedica nel tempo libero alla lavorazione del ferro (per quanto riguarda la Rivoluzione francese, si informa gentilmente lo scolaro che gli verrà raccontata quando sarà

più grande) , Napoleone in tutte le versioni possibili, il suo cappello, ecc. , ma dell'Ottocento appena quel che serve perché il libro si chiuda con una bella veduta di Piace de l'Opéra.

È

mai possibile immaginare un disprezzo più com­

pleto delle giuste proporzioni, non si direbbe forse che l'autore stia perseguendo uno scopo molto meno ingenuo di quanto il suo linguaggio bonario lascerebbe intendere, e che gli prema

non tanto di testimoniare in modo veridico . quanto di agire sull'inconscio con una parabola di cui possiede il senso e l'unità, soggiogando così coloro che saranno chiamati ad apprenderne semplicemente la

lettera .

Comunque sia, baste­

rebbe questo comportamento ambiguo, in un campo dove la norma dovrebbe essere l'autenticità più rigorosa, a destare la m assima diffidenza. Tra tutte le idee correnti, le idee stori­ che, fin tanto che la storia sarà scritta in termini nazionali, debbono suscitare le riserve più esplicite. In questo come in altri casi, ma soprattutto in questo caso, si imporrebbe a breve scadenza un bagno di scetticismo prolungato . Si potrà parlare di nuovo umanesimo solo il giorno in cui la storia, riscritta dopo essere stata concordata tra tutti i popoli e limitata ad una sola versione, accetterà di avere come proprio oggetto tutto l'uomo, nel raggio più ampio consentito dai documenti, e di rendere conto con piena oggettività delle imprese passate senza riguardi speciali per il luogo in cui ciascun uomo vive e per la lingua che parla. L'arte e la scienza, per quanto le concerne, conoscono più o meno un simile stato di grazia, e non si capisce perché esso non possa estendersi agli altri rami dell'attività intellettuale . Ma, non occorre dirlo, non si vede spuntare nulla che annunci una tregua di queste passioni più di tutte irragionevoli, tale da dare l'avvio a tempi meno crudeli . Care ombre prese a lungo tra fuochi incrociati e ieri quasi ripiegate, ombra frenetica di Charles Fourier, ombra sempre fremente di Flora Tristan, ombra deliziosa del Père Enfantin, la derisione che vi è stata prodigata non avrà ragione indefini­ tamente di voi e, aggiungo, sarebbe sufficiente a predisporre i poeti a vostro favore. Una solenne riparazione vi è dovuta, gli avvenimenti attuali la preparano e potrebbero renderla im­ minente: riparazione tanto più clamorosa quanto più sarà stata tardiva . La sociologia si dà oggi grande importanza, proclamando con eccessiva insistenza di essere diventata adulta; ma non vedo perché debba sentirsi autorizzata a tacciare di ridicola inconsistenza i vostri apporti, in cui

un'audacia che ancora non conosce limiti non ha mai cess ato di porsi al servizio della generosità estrema . In arte, i sarcasmi che hanno accolto, senza riuscire a scoraggiarlo, l'impegno del doganiere Rousseau nello sviluppare le proprie possibilità istintive di espressione al di fuori dei precetti della scuola, la persistente indifferenza, vagamente condiscendente da parte di alcuni, nei confronti del postino Cheval pervenuto, con la m assima povertà di mezzi, a dare corpo al proprio sogno, si ritorcono oggi o si ritorceranno domani contro quanti a­ vranno voluto dare prova di scetticismo di fronte a loro . Ciò che mi ha sempre appassionatamente attratto in opere come le loro, è che si producono come un'esplosione all'interno di un'epoca, completamente al di fuori della linea culturale che la caratterizza, rendendo al tempo stesso un più largo tributo alle aspirazioni e ai timori che formano il substrato comune dell'um anità . Se la rivendicazione umana, per avere qualche speranza di trionfare parzialmente sul piano pratico, deve applicarsi a punti precisi e a tale scopo mettere la scienza dalla sua parte, è pur vero che per sfuggire all'impoverimento affettivo che la renderebbe sterile e a dire il vero la sta già minacciando, essa deve ritemprarsi e rifondersi a volte nel desiderio

senza riserve

del m aggior benessere collettivo, su­

bito tacciato di utopia da coloro ai quali individualmente reca pregiudizio . Piaccia o no alle grandi figure così poco indul­ genti che presiedono alle sorti del socialismo scientifico e le cui sdegnose espressioni sono state esasperate a distanza di tempo da quanti si richiamano ad esse, un'acquavite pregiata non può indurci a commiserare i vini chiari . Attraverso i loro eccessi e attraverso quanto in essi procede dalla ebbrezza immaginativa, non possiamo non riconoscere agli scrittori riformatori della prima metà dell'Ottocento, così come agli artisti primitivi, il pregio di un'estrema freschezza. Di tale freschezza siamo particolarmente avidi oggi . Nel campo sociale e non soltanto in esso si può sperare che alla fine di questa guerra da una confusione ideologica senza precedenti sorgerà un gran numero di proposte radicali formulate

dagli schemi,

fuori

le quali , sfidando le accuse di ingenuità o di

anticipazione gratuita e irrilevante, faranno risuonare, di fronte alla carenza provvisoria del linguaggio intellettuale, il linguaggio del cuore e dei sensi . Ci si può aspettare che questo linguaggio riporti in auge i grandi temi che gli sono propri - quello ad esempio tendente a consacrare la carne allo stesso grado dell'anima e a considerarle non dissociabili; viene così in primo piano l'idea della salvezza terrena attraverso la donna, della vocazione trascendente della donna, vocazione sistematicamente oscurata, avversata o sviata fino ad oggi, ma che pure deve un giorno affermarsi trionfalmente, fa­ cendo appello al nome eccelso di Goethe. La geometria di un tempo non interamente compiuto esigerebbe per prendere forma il ricorso a un osservatore ideale, sottratto alle contingenze del tempo in questione, il che implica innanzitutto la necessità di un luogo di osserva­ zione ideale; se non mi è dato in alcun modo sostituirmi a quell'osservatore, è pur vero che nessun luogo mi è parso corrispondere alle condizioni richieste meglio del Rocher Percé, quale mi appare in certe ore del giorno . Al calare della sera o in certe m attine di nebbia, quando i particolari della sua struttura si velano, si delinea in esso l'immagine di una nave imperiosamente mantenuta in rotta. A bordo tutto rivela il colpo d'occhio infallibile del capitano, ma di un capitano che è anche un mago . Il bastimento, privo di attrezzatura poco fa, sembra improvvisamente allestito per il più vertiginoso dei viaggi di lungo corso . Ci spiegano, infatti, che l'acqua accumulatasi in autunno nelle crepe della roccia gela durante l'inverno, provocando la dilatazione continua della crosta, resa evidente da smottamenti di circa trecento tonnellate ogni anno . Naturalmente gli esperti in materia non ci hanno risparmiato la puerile operazione aritmetica che, una volta valutato il peso totale della rupe in quattro milioni di tonnellate, permette di dedurre il tempo globale che impiegherà a scomparire, ossia tredicimila anni . Per quanto poco fondato sia · questo calcolo, ha comunque l'effetto di mettere in movimento l'enorme bastimento, di fornirlo di

motori la cui potenza sia in rapporto col suo processo lentis­ simo e tuttavia nettamente sensibile di disgregazione.

È bello,

è emozionante che la sua longevità non sia illimitata e al tempo stess o che includa una tale successione di esistenze umane. Nella sua profondità c'è ben più che il tempo di vedere nascere e morire una città come Parigi dove in questo momento risuonano dei colpi d'arma da fuoco fin dentro Notre-Dame, il cui grande rosone ruota su se stesso . Ed ora il grande rosone sta virando e girando nella roccia: senza alcun dubbio quegli spari indicavano un segnale convenuto perché il

sipario si alza . È stato detto che, davanti al Rocher Percé, la

penna e il pennello devono confess arsi impotenti ed è vero che quanti sono chiamati a parlarne in modo meno superficiale crederanno di aver detto tutto quando avranno attestato la m agnificenza di quel sipario, quando la loro voce fattasi improvvisamente più grave avrà tentato di restituirne lo splendore oscuro, quando saranno riusciti a mettere un poco di ordine nelle modulazioni della m ass a d'aria che vibra nelle sue canne m agistralmente contrastate. Ma, non sapendo che quello è un sipario, come potrebbero indovinare che l'impo­ nente drappeggio nasconde una scena a più piani? E innanzi­ tutto, dietro di esso si sta montando, a guisa di un prologo, una fiaba per bambini che ha il solo scopo di regolare le luci : la rigida brina dai capelli bianchi non ci vede quasi più; la sua cucina di strega matricolata riesce a farla soltanto nelle pentole grandi, sulla porta di casa . Con tutta la rabbia che prova per non poter ridurre tutto in briciole, ogni volta che esce deve rinchiudere a doppia mandata la bambina, la quale ha in custodia la sua civetta delle nevi . Ma l'uccello ha conquistato la fiducia della piccola insegnandole le aurore boreali; in cambio della libertà, le ha dato il segreto di accendere all'istante, in qualsiasi angolo dell'acre stanza, un occhio scintillante e fisso come il suo - basta toccare un guscio vuoto di nocciola con una paglia umida della scopa. Poiché il gioco si rivela più appassionante di ogni altro e la bambina, ascoltando la civetta delle nevi , ha acquisito una vista così acuta da dare una intera festa da ballo dentro la

cruna di un ago, ess a non tarda a pass are la paglia incantata in tutti gli orifizi possibili, dai forellini della schiumaiola al buco della serratura, dall'occhiello di una vecchia scarpa fino all'ultima asola di un vestito . E tutto comincia, non solo a guardare,

ma anche a m andare luce,

e tutte le luci si

preparano a comunicare, pur conservando gli aspetti distin­ tivi delle loro fonti : alcune partono da una mandorla azzurra nella quale è praticata una finestra dietro cui si accende una lampada, altre da un grosso chicco di grandine che comincia a sciogliersi in una via polverosa, altre da una matass a di seta verde stinta sotto le unghie del gatto nero, altre dal sangue rappreso sul dito di una bella Araba punta da una rosa. Là dove io faccio intervenire la bambina, dove, per evocare una sola delle agate di Percé, vorrei farle saltare la corda all 'in­ terno delle pietre, i chimici si ostineranno a vedere soltanto la silice che, portata dall ' acqua, si deposita e si cristallizza nelle cavità minerali . Ma alla bambina è bastato dirigersi verso la scopa per metterli in fuga. Ed ecco: tutte le luci comunicano fra loro .

La vecchia stamberga è sparita, la scopa si è

trasformata in una egretta che fa la ruota su tutta la superficie della rupe. Il corpo dell'egretta è andato ad inserirsi in modo naturale nell'intaglio della breccia, proprio nel punto in cui mi è piaciuto di scegliere la visuale necess aria per vedere sorgere il sole, e quel corpo vaporoso regge l'intera arcata ora senza peso . Su una piattaforma girevole, gli elefanti bianchi incatenati al ritmo dei venti e dei flutti stanno con le ginocchia piegate e fanno girare a tempo le lune delle loro unghie, mentre le proboscidi levate verso il cielo suscitano con la loro oscillazione quasi insensibile l'immagine ora

traspa­

rente della roccia . Là dove prima si vedevano soltanto le striature serpentine del quarzo, le proboscidi si perdono a loro volta nella luce diffusa per cedere il posto a mille araldi muniti di orifiamme che si disperdono in tutte le direzioni . Nei chiari pavesi a frange dorate, non verrebbe in mente a nessuno di riconoscere il ruvido tessuto che tante volte si è innalzato e ancora si innalza sopra le temerarie imprese degli uomini. E tuttavia è l'ondeggiare di quei vessil li, provocato,

come si è visto, da un rigetto della bandiera pirata, e preso in una trasm utazione stupefacente, che si impadronisce della roccia e sembra ormai costituirne tutta la sostanza. E il messaggio, proclamato ai quattro venti, è in effetti di estrema importanza poiché dalle bocche radiose ornate di seta iride­ scente è la notizia di sempre che si diffonde ovunque: la grande m aledizione è annullata, è nell'amore umano che risiede la forza di rigerierazione del mondo . « E un angelo vigoroso sollevò una pietra simile a una grande macina di m ulino e la scagliò nel m are dicendo : - Con questo stesso fragore e con questa stessa violenza cadrà la grande Babilonia e nessuno più la vedrà » . Ma la profezia non dice che esiste un'altra pietra simile a una grande macina di m ulino la quale le fa da esatto contrappeso sulla bilancia dei flutti e si innalza tumultuosamente, impetuosamente quanto più l'altra spro­ fonda: è l'amore dell'uomo e della donna a cui la menzogna, l'ipocrisia e la miseria psicologica impediscono ancora di dare piena misura di sé, l'amore che, storicamente, per nascere ha dovuto eludere la vigilanza furibonda delle vecchie religioni e che comincia a balbettare così tardi , nel canto dei trovatori . E sulla pietra che risale,

tutt 'una con la roccia che sto contem­

plando, si tendono, attraversati dai raggi della luna, i con­ trafforti dei vecchi castelli d'Aquitania e di altre terre, e sullo sfondo il castello di Montségur, che brucia sempre . Là, quella finestra tra l'edera, dalle vetrate rosse striate di lampi, è la finestra di Giulietta. Quella camera, al primo piano di una locanda sperduta nella valle, dove la porta rimasta aperta è un passaggio per tutti i musici del torrente, è la camera in cui Kleist,

pronto a disarmare per sempre la solitudine, ha

trascorso la sua ultima notte. Quella pallida torre, lungo la quale si spande una bionda cascata che si perde nella sabbia è la torre di Melisenda, come se i suoi occhi grondaia di rondine d'aprile e la sua bocca alberi in fiore non fossero accanto a me nel palco da cui stiamo guardando . Nella pietra che risale, ora appannata di azzurro ma graffiata di vagabondi bagliori vermigli - tanto da far credere che buon sangue umano non mente - si vede la nave levare l'ancora, i fumaioli vomitare

in gran volute l'incantatore vinto, si

che non è affatto colui che dice, ma è il boa che si acciambellava nei meandri della

roccia pesante e che, quando il pensiero filava via verso altre regioni , lanciava il suo sibilo o veniva ad aprire le fauci triangolari nella fenditura .

È lui, c'è stato il tempo di

riconoscerlo, l'unico responsabile dell'opacità e del dolore, colui che trionfa senza lottare : « Né morto, né vivo . Nebbia. Fango . Senza form a » , colui che si presenta al giovane Peer Gynt come

il Gran Tortuoso . Senza alcun dubbio rinascerà

più impudente e più vile che mai dai falsi pentimenti e dalle derisorie velleità di miglioramento che saranno svenduti in medaglie di Giuda alla fine della guerra . Tuttavia l'arca permane - come vorrei che tutti la potessero vedere carica di tutta la fragilità ma anche di tutta la magnificenza del dono umano. Incastonata nel meraviglioso iceberg di pietra di luna, è mossa da tre eliche di vetro : l'amore, quando tra due esseri si innalza fino all'invulnerabile, l'arte, ma solo l'arte pervenuta alle sue più alte istanze, e la lotta ad oltranza per la libertà . Osservandolo più distrattamente dalla riva, il Rocher Percé appare alato solo dei suoi uccelli .

Mélusine dopo il grido , Mélusine dal busto in giù, vedo luc­ cicare le scaglie nel cielo autunnale . Ora la splendida spira­ le si avvolge tre volte intorno a una boscosa collina ondu­ lata secondo una partitura in cui tutti gli accordi sono re­ golati e si ripercuotono sugli accordi del nasturzio in fiore. Certi tratti del pendio sarebbero stati disboscati per essere adibiti allo sci , tale almeno è la versione adottata dall'inter­ pretazione profana ma allora bisogna convenire che, molto prim a della neve, le curve risplendono di una bellissima brina, di una brina azzurra la quale, quando si ha cura di errare evitando tutti i sentieri battuti o appena accennati - deve essere questa la sola regola dell'arte - viene ad imporre in un brillio diffuso le sue palme di disperazione del pittore dalle finestre mentali . Mélusine: è proprio la sua coda meravigliosa e drammatica che si perde tra gli abeti fino al laghetto facendogli assumere il colore e l'affilatura di una sciabola. Sì, è sempre la donna perduta, colei che canta nell'imm aginazione dell'uomo, ma al termine di quali prove, per lei e per lui, deve essere anche la donna ritrovata . E anzitutto la donna dovrà ritrovare se stessa, dovrà imparare a riconoscersi attraverso quell'inferno che, senza il suo inter-

vento più che problematico, le è riservato dall'immagine che l'uomo in generale si fa di lei . Quante volte, nel corso di questa guerra, come già della precedente, ho atteso che risuonasse il grido sepolto da nove secoli sotto le rovine del castello di Lusignan l La donna è, in fondo, la grande vittima di tutte le imprese militari . Non dimenticherò mai le braccia di donna in certe sere parigine, alla Gare de l'Est, la mirabile, sconvolgente imm agine che formavano . Non era tanto il volto, quanto le braccia ad avere nell·aria ormai rarefatta e falsa un accento inconfondibile . Le braccia di coloro che amavano veramente, che perdevano tutto, le braccia della Teti di Ingres, le braccia fatte per trattenere e per differire, le braccia rese così conturbanti e quasi inquietanti dal rilassarsi dell· articolazione del gomito, che arriva a piegarle un poco all·indietro (in quella circostanza la possibilità di un tale gesto diventa tragica) . Nel movimento lussureggiante, generoso di quelle braccia c· è tutta la donna, tutto quanto non è irrime­ diabilmente alienato nei modi di sentire che le sono propri; e ho ricordato ora lo strano termine assegnato a quel movi­ mento , quasi a significare che esse rischiano di slogarsi se insorgono . E tutto ciò viene sfidato, umiliato e negato al m assimo grado dall.ingranaggio di una guerra di cui nessuna donna degna di tale nome condivide l'eccitazione fisica, a meno che la sua vita o quella dei suoi cari non sia diretta­ mente minacciata. Mi ha sempre sorpreso che la sua voce allora non si facesse sentire, che non pensasse a trarre tutto il profitto possibile, un immenso profitto, dalle due inflessioni preziose e irresistibili che le sono date, l'una per parlare all·uomo nell·amore, l'altra per chiamare a sé la fiducia illimitata del bambino .

Che prestigio,

che conseguenze,

avrebbe avuto il grande grido di rifiuto e di allarme della donna, un grido sempre latente che per un maleficio, come in un sogno, tanti esseri non riescono a far uscire dalla virtualità, se nel corso degli ultimi anni fosse stato emesso, soprattutto in Germ ania, e se mai fosse stato così forte da non poter essere soffocato ! Dopo tante « sante » ed eroine nazionali che attizza­ vano la combattività dell·una e dell•altra fazione, a quando

una donna semplicemente donna che opererà il ben diverso

miracolo di stendere le braccia tra coloro che stanno per scontrarsi e dirà loro :

·

Siete fratelli .

La donna:

bisogna

concludere che un giogo la opprime se in circostanze simili non trova nessuna opportunità di esprimere la sua funzione, se abdica per sempre di fronte alle forze che le sono così apertamente avverse . Questa crisi è talmente acuta che, per quanto mi riguarda, vedo soltanto una soluzione: è giunta l'ora di far valere le idee della donna a scapito delle idee dell'uomo, di cui vediamo consumarsi oggi il tumultuoso fallimento .

È compito dell'artista in particolare - anche solo

per protesta contro questo scandaloso stato di cose - far prevalere al m assimo grado tutto ciò che appartiene al sistema femminile del mondo in opposizione al sistema maschile, far riferimento esclusivamente alle facoltà della donna, esaltare, e anzi fare gelosamente proprio tutto ciò che la distingue dall'uomo nelle forme di conoscenza e di volizione. A dire il vero, la linea che vorrei poter assegnare all'arte non è nuova: da molto tempo vi si è sottoposta implicitamente in larga misura, e più ci si inoltra nell'epoca moderna, più si può constatare il manifestarsi di una predilezione che tende a diventare esclusiva . Remy de Gourmont non saprà· ricavarne che parole ingiuriose nei confronti di Rimbaud : « Tempera­ mento di donna » , diceva. Un simile apprezzamento dà oggi la misura di colui che l'ha espresso : sarebbe sufficiente a istruire il processo all'intelligenza m aschile alla fine dell'Ottocento . Da un lato il grande colpo d'ala, niente meno che « cambiare la vita » , dall'altro la bava del topo mangiatore di libri . Basti pensare a ciò che il tempo ha fatto di questi due atteggia­ menti : si potrà osservare lo spirito, da una parte in graduale e sempre più . sicura ascesa, dall'altra in perdita costante di energia. Dunque giustizia è fatta ormai : mi limito a chiedere che in futuro essa diventi ancora più rapida. Che l'arte faccia posto risolutamente all a presunta « irrazionalità » femminile, e strenuamente consideri nemico tutto ciò che, nella traco­ tanza di spacciarsi per sicuro, per fondato, porta in realtà il segno dell'intransigenza maschile, la quale, in materia di

rapporti umani su scala internazionale, oggi fa vedere chiara­ mente di che cosa è capace. Non è più tempo, ripeto, di limitarsi in proposito a velleità o a concessioni più o meno velate, ma di pronunciarsi senza equivoci, in ambito artistico, contro l'uomo e a favore della donna, di sottrarre all' uomo un .. potere di cui è ormai chiaro che ha fatto cattivo uso, di mettere questo potere nelle m ani della donna, di respingere tutte le istanze m aschili fino a quando la donna non abbia recuperato la giusta parte di tale potere, e non più nell'arte m a nella vita. Mélusine dopo il grido . . . Il lago scintill a , è un anello ed è sempre il mare che passa attraverso l'anello del Doge, occorre infatti che quella fede sia consacrata da tutto l'universo sensibile e che niente possa più spezzarla. Mélusine dall a vita in giù si indora di tutti i riflessi del sole sulle foglie d'autunno. I serpenti delle sue gambe danzano al ritmo del tamburello, i pesci della sue gambe si immergono e le loro teste ricom­ paiono altrove come sospese alle parole di quel santo che predicava loro tra i miosotis, gli uccelli delle sue gambe stendono sopra di lei una rete aerea. Mélusine per metà ripresa dalla vita panica, Mélusi'ne dalle caviglie di pietrisco o di erbe acquatiche o di lanugine di nido, è lei che invoco, solo lei può redimere quest'epoca selvaggia.

È la donna nella sua

interezza e insieme la donna quale è oggi, la donna che ha perduto il suo posto nell'umanità, prigioniera di radici mute­ voli quanto si vuole, ma proprio attraverso di esse in comuni­ cazione provvidenziale con le forze elementari della natura. La donna che ha perduto il suo posto nell'umanità, così vuole la leggenda, a causa dell'impazienza e della gelosia m aschile. Il suo posto, che solo una lunga meditazione dell'uomo sul proprio errore e una lunga penitenza proporzionata all'infeli­ cità causata, possono restituirle . Poiché Mélusine, prima e dopo la metamorfosi,

è Mélusine.

Mélusine non più sotto il peso della fatalità scatenata su di lei unicamente dall'uomo, Mélusine liberata, Mélusine prima

del grido che ne annuncia il ritorno, poiché il grido non potrebbe ess ere udito se non fosse reversibile come la pietra dell'Apocalisse e come tutte le cose. Il primo grido di Mélusine fu un mazzo di felci che cominciava a torcersi in un alto camino, fu la fragile giunca che rompeva gli ormeggi nella notte, fu in un lampo la spada resa incandescente sotto gli occhi di tutti gli uccelli dei boschi. Il secondo grido di Mélusine, deve essere l'altalena che scende in un giardino in cui non c'è altalena, deve ess ere la radura in cui giocano i giovani caribù , deve ess ere il sogno del parto senza dolore . Mélusine nell'istante del secondo grido : è emersa dai fian­ chi senza rotondità, il ventre è tutta la mess e d'agosto, il torso svetta come un fuoco d' artificio dalla vita arcuata, modellata su due ali di rondine, i seni sono due ermellini presi nel loro stesso grido, accecanti tanto li illumina il carbone ardente della loro bocca urlante. E le braccia sono l'anima dei ruscelli melodiosi e profumati . E sotto i capelli crollanti d'oro sbia­ dito , prendono forma una volta per tutte i tratti distintivi della donna-bambina, una varietà così particolare che da sempre ha soggiogato i poeti

perché il tempo

su

di lei non fa

presa . La donna-bambina . Il suo avvento in tutto l'impero sensi­ bile è ciò che l'arte deve preparare in modo sistematico. A lei deve riferirsi costantemente, a lei che nel suo trionfo mette in fuga i pipistrelli dal nauseante volo sillogistico, mentre le lucciole intessono dietro suo ordine il filo misterioso che solo può condurre al cuore del labirinto . Questa creatura esiste; benché non pienamente cosciente del suo potere, è pur sempre lei che vediamo di tanto in tanto apparire al posto di manovra e governare per breve tempo gli ingranaggi delicati del sistema nervoso . Ed è Balkis dagli occhi così lunghi che anche di profilo sembrano visti di faccia, ed è Cleopatra nel mattino di Azio, ed è la giovane strega di Michelet dallo sguardo di brughiera, ed è Bettina accanto a una cascata che ha la voce del fratello e del promesso sposo, ed è, ancora più obliqua

nella sua impassibilità, la fata del grifo di Gustave Moreau, e sei tu . Quali risorse di sensibilità felina, di chimere a cui la vita si arrende, di fuoco interiore capace di andare incontro alle fiamme, di m alizia al servizio del genio e, soprattutto, di strana calma percorsa da un lume di vigilanza, sono mai contenute in quegli istanti in cui la bellezza - quasi per far vedere più lontano - d'improvviso rende vana, lascia morire la vana agitazione degli uomini ! Di che forza esplos iva sono carichi quegli istanti ! La figura della donna-bambina dissolve intorno a sé i sistemi più elaborati perché nulla è mai valso ad assoggettarla o ad integrarla ad essi . La sua costituzione disarm a qualsiasi rigore, a cominciare - non mi stancherò mai di ripeterlo e a lei per prima - dal rigore degli anni . Perfino ciò che la colpisce le dà forza, la rende più dolce, l'affina ancora e per dire tutto la plasma come lo scalpello di uno scultore ideale, docile alle leggi di un'armonia prestabi­ lita, il quale non arriva mai a concludere perché, senza alcun rischio di passi falsi , è sulla strada della perfezione, una strada che non può avere fine . E la stessa morte corporea, la distruzione fisica dell'opera non è, in questo caso, una fine. L'irradiazione persiste, e anzi l'intera statua, ancora più bella se è possibile, risvegliandosi all'inalterabile senza perdere nulla delle sembianze carnali , trae la propria sostanza da un sublime incrocio di raggi . C hi restituirà lo scettro sensibile alla donna-bambina? Chi determinerà il processo delle sue reazioni, ancora sconosciuto a lei stessa, il processo dei suoi desideri sui quali viene gettato così frettolosamente il velo del capriccio? Qualcuno che l'avrà osservata a lungo davanti al suo specchio e che, prima di tutto, avrà dovuto respingere i modi di ragionare di cui gli uomini nel loro mediocre orgoglio sono miseramente vittime, fare tabula rasa dei principi sui quali si è egoisticamente costruita la psicologia dell'uomo,

che non è in nessun modo

valida per la donna, al fine di istruire il processo della psicologia femminile contro quella maschile nell'intento di una ulteriore riconciliazione . Scelgo la donna-bambina non

in opposizione all' altra donna, ma perché in lei e soltanto in lei mi sembra risiedere, allo stato di trasparenza asso­ luta,

l'altro prisma percettivo di cui ci si rifiuta ostinata­

mente di tener conto; esso obbedisce infatti a leggi ben diverse di cui il dispotismo maschile deve ad ogni costo impedire la divulgazione . Qalla testa ai piedi Mélusine è ridiventata donna . Dopo che la notte è orm ai caduta e in soffitta i romanzi cavallereschi hanno ripreso il loro inconfondibile e suggestivo odore di polvere, Mélusine è rientrata nella cornice vuota da cui era scomparsa anche la sua imm agine in piena epoca feudale. Ma poco a poco il tratto di parete delimitata dalla cornice sprofonda, scompare. Resta soltanto la cornice di una finestra che dà sulla notte. Una notte totale, come quella del nostro tempo.

Si trema al pensiero che la splendida Mélusine,

appena ritrovata, vi si sia completamente dissolta. Nient'altro che l'ululato dei lupi . La cornice è disperatamente vuota. G uardando fisso si vedono spuntare solo figure larvali in preda ai peggiori tormenti , ai peggiori desideri . Volti senza consistenza né colore di un Bosch cieco, dalle espressioni atroci , attraversati da trasformazioni ancora più orribili , si mostrano per pochi secondi prima di precipitare lugubre­ mente a destra e sinistra per cedere il posto ad altri in un crescendo di orrore - una mischia inaudita! Un cortometrag­ gio di notte stinta: sono ben lontani dall'aver fatto piazza pulita. Come m ai non ci sono lampioni nella strada stretta e scivolosa? Ahi sì, dimenticavo . . . le sirene d'allarme, la loro infame girandola, deve essere una di quelle brevi pause con cui esse esprimono la minaccia . Nelle due case laterali, delle donne in vestaglia devono ancora far scendere i bambini semiaddormentati, pieni di paura. Vietato proseguire: certo, non è più la vita. Il silenzio, ora, peggiore di ogni cosa. Mi passo la mano sulla fronte . Notte ingannevole. Si intravvede un'automobile in corsa, una botola o un mucchio di carbone? Deve essere ancora una

riunione che si sta preparando e dalle

altre finestre è sempre, scommetto, lo stesso spettacolo : un

mucchio di carbone, una botola o un'auto in corsa? Gli uni concorderanno progetti di mediocre portata mentre gli altri difenderanno o dissimuleranno interessi sordidi, poiché né gli uni né gli altri hanno capito : il loro stesso sistema comu­ ne di riferimenti è povero, è falso . Questo vale per il futuro, così come credono di poterne disporre, almeno . . . Da ven­ t'anni non sono cambiati e sono gli stessi che si prepara­ no a ricominciare.

È difficile provare interesse per loro e a

dire il vero forse non lo desiderano: sono gli specialisti della sepoltura . Ho chiuso gli occhi per richiamare con tutte le forze la vera notte, la notte libera dall a maschera d'incubo, la regolatrice e consolatrice suprema, la grande notte vergine degli Inni alla Notte. È stato necessario attendere che si dissipasse l'agita­ zione sulla sua superficie, !asciarle il tempo di calm arsi . Ora si è assestata entro la cornice e la riempie fin quasi a spezzarla delle sue infinite sfaccettature.

È senza fondo come il dia­

mante, e solo gli amanti che saranno riusciti ad isolarsi pericolosamente per chinarsi su di essa da una finestra gettata su un parco, mentre in lontananza la festa infuria tra giunchi di cristalli e bolle di musica sotto i lampadari, sapranno quali volte specchianti , quale rosa di lenti di faro in una notte simile fanno da scintillante offerta nuziale alla loro ebbrezza: po­ tranno testimoniare che in una notte simile e soltanto in essa gli slanci del cuore e dei sensi trovano una risonanza infinita. Vi è nella cornice tutta la notte magica, la notte degli incantesimi. I profumi e i fremiti traboccano dall'aria negli animi . La grazia di vivere fa vibrare in sordina i flauti di Pan alla base dei tendaggi . Ma il cubo nero della finestra non è più così difficile da penetrare: si è impregnato poco a poco di una luce diffusa a ghirlanda, una sorta di convolvolo di luce che si inerpica lungo i due spigoli trasversali in alto e ricade fino a un terzo della figura. Gradualmente l'imm agine si precisa e forma sette fiori che diventano altrettante stelle, mentre la parte inferiore del cubo resta vuota. Le due stelle più alte sono

di sangue, raffigurano il sole e la luna; le cinque in bass o , alternativamente gialle e azzurre come la linfa, sono gli altri pianeti conosciuti nell'antichità . Se l'orologio non si fosse fermato a mezzanotte, la lancetta delle ore avrebbe potuto, senza alcun cambiam ento, fare quattro volte il giro del quadrante prim a che lo Zenit emanasse una nuova luce che dominerà dall'alto le precedenti : una stella molto più lumi­ nosa si inscrive al centro delle prime sette, e le sue. punte sono di fuoco rosso

e

giallo, ed è la Canicola o Sirio, ed è Lucifero

Portatore di Luce ed è, in una gloria che sovrasta tutte le altre, la Stella del M attino. Solo nell'istante della sua appari­ zione il paesaggio si illumina, la vita ridiventa chiara, e proprio sotto il centro luminoso, da cui ora dipendono gli altri, si scopre nella sua nudità una giovane donna inginoc­ chiata sull a riva di uno stagno in cui versa con la mano destra il contenuto di un'urna d'oro mentre con la mano sinistra vuota sulla terra una altrettanto inesauribile urna d'argento . Ai due lati di colei che al di là di Mélusine è Eva ed è ora la donna, fremono a destra foglie di acacia , mentre a sinistra una farfalla oscilla su un fiore . Quando la sorte ti ha condotto ad incontrarmi, vi era una grande ombra in me, ed è in me - posso dire - che quella finestra si è aperta . La rivelazione che mi portavi, prima ,

ancora di sapere in che cosa consistesse , ho sentito che era una rivelazione. V edendoti , ascoltando le tue prime parole, ho capito che in un certo corso sfrenato, disperato e vertiginoso dei pensieri, quando la m acchina mentale è lanciata con tanta forza da

uscire di pista , dovevo aver toccato uno di quei poli

che generalmente restano irraggiungibili, azionando per caso il campanello nascosto che chiama i

soccorsi straordinari. Ho

sempre creduto a questi soccorsi : ho sempre pensato che una tensione estrem a nel modo di subire una prova morale, senza !asciarsene distrarre nemmeno impercettibilmente, senza ac­ cettare di limitare la sofferenza attraverso una qualsiasi attività, abbia il potere di provocare tali soccorsi, e penso inoltre di averlo verificato più volte. Che si tratti di prove da

cui sembra impensabile risollevarsi o di prove meno gravi, ritengo che la soluzione da adottare sia guardarle in faccia e

lasciarsi andare. Ciò vale sia per il dolore che per la noia. Sul piano intellettuale, proprio !asciandomi andare al fondo della noia mi è accaduto di trovare soluzioni insolite, del tutto inconcepibili in quel momento , che in qualche caso sono state per me delle ragioni di vita. Ma quando sei arrivata tu, era ben diverso. Gran parte della terra non offriva più che uno spettacolo di rovine . Dentro di me - lo avevo dovuto am­ mettere, senza per questo rass egnarmi - tutto quanto avevo considerato indefettibile sul piano del sentimento era stato travolto, e non arrivavo neppure a capire da quale bufera: restava come unico pegno una bambina alla quale mi è accaduto in passato di rivolgermi in preda ad una apprensione giustificabile. Quella bambina, tutta l'ingiustizia, tutta la durezza del mondo l'avevano separata da me, mi avevano privato dei suoi bei risvegli che erano la mia gioia, mi avevano fatto perdere il contatto meraviglioso di ogni giorno con lei, stavano per allontanarla da me ancora di più . Non avrei contribuito a formare la sua giovane intelligenza che veniva a me così sfavill ante, così aperta . Anche in me vi erano delle rovine, seppure abbellite per sempre da quella rosa. E le idee, attraverso cui l'uomo tende a mantenersi in un rapporto definito con gli altri uomini, nemmeno le idee erano rispar­ miate: ancora rovine, nient'altro che facciate rimaste in piedi , m uro di cinta della torre di Babele. Le parole che le designa­ vano,

come diritto,

giustizia,

libertà, avevano preso un

significato circoscritto, contraddittorio . Si era talmente spe­ culato, da una parte e dall'altra, sulla loro elasticità da riuscire a ridurle e ad estenderle a qualsiasi cosa, fino a far dire loro il contrario di ciò che vogliono dire . Certo, la dittatura militare aveva il proprio tornaconto nella distru­ zione di giorno in giorno più meticolosa del valore semantico, distruzione a cui era preposto il giornalismo più ottuso, più cinico, più venale. I pochi che conservavano lo scrupolo del significato autentico, capace con la sua carica emotiva di mobilitare positivamente l'uomo, erano costretti al silenzio,

posti nell'impossibilità di comunicare tra loro e perfino di contarsi . Non sarà facile, una volta di più, misurare a distanza la portata dei danni che l'ottica di guerra fa subire allo spirito critico generale . Niente di più sintomatico, a tale proposito, che l'asprezza del dibattito suscitato di recente da un libro di piccole dimensioni diffuso contemporaneamente in diversi paesi : parlo del «

Silence de la mer, firmato con lo pseudonimo

Vercors » e presentato come espressione del partito della

resistenza nella Francia occupata . I suoi lettori , innumere­ voli , si sono subito ripartiti in due campi avversi , quasi pronti a venire alle mani . Alcuni senza discussione considerano il libro un capolavoro e soprattutto acclamano in esso il risultato di uno sforzo inestimabile per sormontare il conflitto attuale senza smettere però di viverlo in tutta la sua durezza, e per riaffermare gli autentici valori umani, senza sofferm arsi più di tanto sulla loro negazione esteriore, episodica . Altri , con altrettanta passi one, lo denunciano come un vero e proprio falso, un esecrabile prodotto della propaganda tedesca, uno dei più perfidi ordigni destinati a minare il morale delle nazioni alleate . Mentre la tesi ambigua del libro e l'impossibi­ lità per il momento

di

verificare la sua origine richiedereb­

bero una estrema prudenza, gli uni e gli altri discutendone perdono completamente il loro sangue freddo . Si assiste , da entrambe le parti, a una medesima abdicazione critica. Di volta in volta esaltato e vilipeso, il libro vive una vita interamente scardinata, creando così un precedente deplore­ vole. Nei giudizi espressi, niente che risulti da un esame approfondito dei suoi procedimenti, e che si fondi su una valutazione comparata delle qualità e delle debolezze intrin­ seche. Si tiene conto soltanto dell'utilità che può avere o del danno che può arrecare in termini immediati . Come non vedere il pericolo che fa correre alla libera espress ione lettera­ ria e artistica questa maniera di considerare un'opera, dando libero corso a simili prevenzioni? Quale oscurantismo po­ trebbe provocare, se non si vigila attentamente, la sua gra­ duale estensione alle opere del passato? 1 •

Eppure è questa la situazione in cui eravamo , e in cui siamo tuttora. E chi può vantarsi di sfuggire completamente al contagio , di orientarsi, se non a tentoni , in questa nebbia? Lo spazio e perfino il tempo che costituivano le basi comuni di riferimento hanno assunto sotto i nostri occhi un aspetto discontinuo. Certo, ognuno effettua per proprio conto l'ope­ razione che consiste nel collegare i paesi tra loro più distanti per mezzo delle vecchie e anche delle future vie di comunica­ zione : ma è pur sempre vero che questi paesi sono vissuti a lungo ripiegati su loro stess i ignorando o quasi i sentimenti e le esperienze che si producevano al di là dei confini . In Europa, in Mrica, in Asia, gli stati di coscienza si sono ripartiti in nuclei nettamente isolati gli uni dagli altri . Delle masse um ane, prese in un primo tempo nell'orgia della conquista, hanno oppresso altre masse umane, infinitamente sofferenti in un primo tempo, che per anni hanno potuto soltanto fare appello a tutte le loro energie e, oggi, si risollevano straziate mentre le prime si preparano a subire la ritorsione. Ma chi può sapere, da lontano e forse anche da vicino, in che modo si risollevino quelle masse, chi può valutare il potenziale di energia accumulato in ess e e anche, occorre pur dirlo, la stanchezza, una volta passato il primo momento di entusia­ smo? Si fa presto a gettare un ponte tra la Parigi dell'inizio del 1940 e la Parigi del l944, ma solo una mente semplicista potrà adagiarsi nell'illusione che si tratti della stessa Parigi . La grande incognita è che cosa pensi la Parigi attuale e che cosa pensino alcune altre città europee. Questo pensiero non si è forse ancora m anifestato . Parigi , le sue strade, le sue piazze, stando agli ultimi documenti sono un enigm a totale: si tratta di sapere quali correnti riconoscibili siano già all'opera per impadronirsene, quali basi di discriminazione conformi alla sua fisionomia invariabile stia adottando Parigi, quale lezione trarrà dalla dura esperienza, nella sua qualità di organismo regolato da leggi proprie e non da ordini esterni . Tutto ciò che di diverso viene divulgato è soltanto un'immagine grossolana. Per farsi un'idea del meccanismo di assimilazione e di espul­ sione che mette in atto , occorre conoscere bene Parigi dall'in-

terno, o quanto meno richiamarsi a certe pagine magistrali che Balzac le dedica (a prescindere dalle puntualizzazioni rese necessarie dai suoi pregiudizi in materia sociale) , le pagine ad esempio con cui si apre

La Fille aux yeux d'or. Era essen­

ziale che Parigi si liberasse da sé. Per il futuro, non si può che avere fiducia nel suo destino, nell'attesa che, alla prima occa­ sione favorevole, torni a mostrare la fisionomia unica delle grandi giornate. Un'ombra immensa continua ad estendersi sul mondo da quando non si sente la voce di Parigi e non potrà essere naturalmente l'eventualità, più o meno remota, di una consultazione popolare, anche sottratta a qualsiasi pressione o manipolazione, a colmare questa lacuna, ma un lungo sondaggio delle opinioni in tutti i campi , a meno che non si producano fenomeni eruttivi in sé sufficientemente illuminanti . Approfitterò incidentalmente dell'occasione per chiarire meglio le convinzioni che nutriamo, i miei amici ed io, nei confronti di ciò che è francese. Un certo tono delle nostre dichiarazioni passate, che non avevamo temuto di rendere provocatorio, tendeva a far credere che noi ce ne dissociamo completamente, il che sembrerà contraddire quanto precede.

È certo che, già nel XIX secolo , poeti e scrittori francesi come Baudelaire, Rimbaud, Huysmans, hanno cominciato a co­ prire di sarcasmo lo « spirito francese » o ciò che nella loro epoca si imponeva come tale. Prima di proseguire, si può osservare che il loro contributo alla cultura di lingua francese compensa ampiamente l'offesa che essi hanno potuto arrecare in Francia o nel mondo al suddetto spirito, il quale a ben guardare è solo la

schiuma di quella cultura. Ferma restando

la ripugnanza che l'arte proverà sempre a collocarsi nel quadro nazionale, data la sua necessità di scambi continui e ad ampio raggio, gli attacchi di estrema virulenza da parte dei giovani scrittori contro lo « spirito francese » , giunti al parossismo tra il 1 920 e il 1 930 , fanno pensare che quello spirito costituisse allora un ostacolo e una minaccia intollera­ bile e che essi non potessero fare a meno di attaccarlo

frontalmente ricorrendo a tutte le armi disponibili . Non sempre ciò viene compreso all'estero, dove ci si fissa sulla libertà di espressione quasi illimitata di cui la Francia avrebbe goduto durante quel periodo. Ciò fa perdere di vista l'assenza di una risposta vitale da parte dell'immensa maggioranza del pubblico . Di fronte all'arte in particolare - ma l'atteggia­ mento verso l'arte è probabilmente il riflesso di un atteggia­ mento più generale - la reazione dell'opinione corrente, a quell'epoca, è quanto m ai deludente.

È fatta di saturazione,

di atonia profonda, dissimulate sotto la maschera della legge­ rezza, della sufficienza, del senso comune più trito scambiato per buon senso , dello scetticismo non illuminato, della « scal­ trezza » , in cui non traspare altro sentimento valido che la paura continua di farsi ingannare. Di tutto ciò è stato accusato ripetutamente lo « spirito francese » e non vedo come si possa negare che questi tratti siano reali e detestabili . Se abbiamo risolutamente proclamato il nostro disprezzo per tale spirito, non è stato forse nella misura in cui volevamo risvegliare un diverso spirito , che rischiava di esserne sopraf­ fatto - uno spirito che a troppo lunghi intervalli ha manife­ stato anche in Francia la sua vitalità, la sua forza, con ciò che vi è connesso di gravità, di passione della ricerca e del rischio, di insoddisfazione motrice e ancor più di

fiducia generosa,

inestirpabile, ansiosa di restare aperta a tutte le vie del progresso umano? Affermo che siamo stati noi i più fedeli a questo spirito e proprio nella misura in cui non perdevamo occasione di stigm atizzare l'altro, di metterlo di fronte alla precarietà che si nasconde dietro la sua finta sicurezza e il suo riso acido . C'è, ripeto, nella vera, nella grande tradizione francese, uno spirito che non abbiamo mai smesso di rivendi­ care, di fare nostro: percorre i Cahiers degli Stati generali, anima i decreti del '93 e, attraverso fluttuazioni di interesse da un problema all'altro, ispira sia il movimento di Port Royal, sia l' Encyclopédie, produce Benj amin Constant e Stendhal , così come lungo il secolo scorso dà la sua impronta caratteri­ stica al movimento operaio. Non si voglia vedere qui da parte mia una perorazione a sostegno di qualche umile richiesta

destinata ad abbreviare il tempo dell'esilio . Resto convinto che un popolo, quand'anche fosse stato storicamente il più grande portatore di libertà, non può in nessun modo adagiarsi nell'attesa che gli altri popoli raggiungano il suo livello, pena la perdita del proprio genio e il deterioramento delle idee a cui si ispira ormai solo retrospettivamente. Non soltanto è ammis­ sibile, ma, credo, è imperiosamente necessario che dal suo seno si levino delle voci a tormentarlo e ad esasperarlo, accusandolo senza tregua di venir meno alla sua missione. La finestra che aveva ruotato sul suo asse, portata lontano e annebbiata dalle immagini che Baudelaire ha immesso nel

Crépuscule du matin, torna a posarsi di fronte a me e si disvela lentamente. Comincio a sentire, sempre più distinte, le voci dei due ruscelli che scorrevano sul finire della notte allegorica . Ricondotto ai miei limiti, non le avvertivo quasi più o almeno si erano fuse per me in un mormorio . Ma quel mormorio, sentivo oscuramente che è altrettanto indispensa­ bile alla continuazione della vita quanto può esserlo il battito del cuore. Ero consapevole che non bastano un'arida legisla­ zione, dei programmi, dei piani, degli ordinamenti, per cambiare il mondo . Il mormorio ha lasciato il posto ora a due voci limpide, alternative. Dicono i ruscelli :

Ruscello di sinistra . l o brucio e risveglio, compio l a volontà del fuoco. Il vaso di fuoco trepidante da cui sgorgo: il vento non finirà m ai di srotolarne gli anelli di vapore. E in quel vapore si scorgono attraverso sottili membrane le città del futuro . Esse iniziano il loro movimento ascensionale non senza grandi esitazioni , e quelle che risplendono sono sempre le più iridescenti . Nella mia perpetua ebollizione, a ciò che è vivo non posso portare che rovina e mi consacro soltanto a ciò che rischia di cadere in letargo sulla superficie della terra. Scendo verso quel cupo stagno , dove, sotto cremose fosfore­ scenze, vanno a seppellirsi le idee quando hanno cessato di sollecitare l'uomo.

È lo stagno dei dogmi che non hanno più

corso e che gli uomini continuano a onorare per abitudine e

pusillanimità .

È lo stagno delle innumerevoli esistenze ri­

chiuse su se stesse, dove il magma sprigiona, in certi momenti, un odore pestilenziale, ma che resta virtualmente capace di risplendere di un nuovo sogno; in esso io porto il ribollire incessante delle idee dissidenti, delle idee-fermento; attra­ verso di me ritrova in profondità il principio segreto dei suoi vortici .

Ruscello di destra . Io seduco e moltiplico . Obbedisco alla freschezza dell'acqua, capace di innalzare in una sola goccia il suo palazzo di specchi , scendo verso la terra che mi am a, la terra che senza di me non potrebbe mantenere le promesse del seme. E il seme si apre, e la pianta nasce, e si compie l'operazione meravigliosa grazie alla quale un solo seme ne produce tanti . Ed anche le idee cesserebbero di essere feconde se a un certo momento l'uomo non le impregnasse di tutta la chiarezza, la mobilità, la generosità e la freschezza di sguardo che individualmente ha potuto ricevere dalla natura . Al suolo dove cammina dò la fiducia che egli deve avere nell'eterno rinverdire delle sue ragioni di speranza, nel momento stesso in cui potrebbero sembrare distrutte . Gli restituisc9 intatto il motore della sua giovinezza, lo stesso che nella luce più giusta, la luce dell'amore, lo ha portato a sentirsi il signore della vita. Il vecchio stagno è sparito . L'acqua ha ripreso il suo ampio respiro sotto l'arco della luna e nella concavità delle onde si screzia di tutti i pesci dei mari caldi . Tra di essi si distinguono i « combattenti » color porpora e blu corvino che non soppor­ tano di vedersi l'un l'altro e sono pronti a lottare fino alla morte contro la loro immagine. Si affrontano con tanta foga che la loro luce permane dietro di essi e percorre in tutti i sensi, scintillante e flessuosa, le liquide e trasparenti conchi­ glie . Ma i flutti si calmano, il duello ha fine o si stempera in un'aurora, i due ruscelli scorrono senza rumore e dalla terra sale, a riempire tutto il campo sensibile, l'odore di una rosa. La rosa appena intravista dice con i suoi effluvi tutto l'Egitto sacro nella notte fremente . Vertiginosamente avvolta su se

stessa, la rosa è il collaretto dell'ibis, dell'uccello venerato, e da essa vengono tutti quegli attrezzi necessari al sogno umano per rimettersi in equilibrio sulla corda e far scivolare di nuovo la suola bianca, solcata nel senso della nervatura delle foglie, sul filo teso tra le stelle. La rosa dice che la capacità di rigenerazione non conosce limiti, afferma che l'inverno, con i suoi rigori e le sue brutture, non può essere considerato che transitorio, e anzi, le sue sferzate devono periodicamente abbattersi sulle strade per richiamare l'energia, per racco­ gliere con le loro punte le milie api dell'energia che a lungo andare si addormenterebbero nella melagrana troppo ine­ briante del sole. La farfalla volteggia. Durante quest'ultimo discorso, era rimasta di fronte, immobile, mimando una scure di luce piantata nel fiore. Il battito scopre ora la triplice ala strofi­ nata da un pulviscolo di pietre preziose. La sua pompa ha cess ato di funzionare, una pausa ha luogo nel corso dell' ope­ razione appena materiale, dagli strumenti imponderabili, che si sviluppa a partire dal nettare. E , prima di prendere il volo per andare a disseminare la sostanza fecondante, prima di riprendere la linea punteggiata e sinuosa che guida il suo volo, sembra esistere solo per segnalare allo sguardo la sontuosità dell'ala. E parla, a sua volta dice il consolante mistero delle generru;ioni che si susseguono, il sangue nuovo che circola ininterrottamente e, affinché la specie non debba soffrire per il logoramento dell'individuo, la selezione che si produce sempre al momento opportuno e riesce ad imporre nonostante tutto la sua legge. L'uomo vede tremare l'ala che è , in tutte le lingue, la prima grande lettera della parola Resurrezione. Sì, i pensieri più alti, i sentimenti più generosi possono conoscere un declino collettivo ed anche il cuore dell'uomo può spezzarsi e i libri invecchiare e tutto deve, esteriormente, morire, ma un potere in ness u n modo soprannaturale fa di questa stessa morte la condizione del rinnovamento. È il primo garante di tutti gli scambi grazie ai quali nulla di prezioso può perdersi interiormente e, attraverso oscure metamorfosi, di stagione in

stagione la farfall a riprende i. suoi colori sempre più sgar­ gianti. Ma ora vi invoco perché sono conscio di non potere più nulla senza un segno da parte vostra, geni che presiedete segretamente a questa alchimia, voi, signori della vita poetica delle cose. Una vita che è al di là della vita degli esseri e che pochi sono capaci di concepire come reale, e, a maggior ragione, di vivere, benché interferisca continuamente con la vita ordinaria. Quest'ultima è fatta per essere schiacciata, è terribilmente esposta e fragile: a volte se ne distaccano interi lembi, e mai lo si avverte così nettamente come quando si perde ciò che si ama di più al mondo, se l'avvenimento ci coglie alla sprovvista, aggravato dall'ossessivo enigma di un'esistenza colpita ancora in fiore. Non c'è niente di così crudele quanto la coscienza di questo vuoto atroce, che subentra senza la minima transizione alla pienezza del cuore. Nel sentimento improvviso di sfacelo generale, spetta a voi, geni, raggiungere quel cuore e, senza che nulla trapeli né al di fuori né a lui stesso, mettere in funzione i vostri alambicchi. E se l'operazione alla quale procedete richiede tempo ed è regolata dal prisma delle lacrime, il pericolo tuttavia è sventato, e si finisce, se non per ritrovare l'attaccamento alla vita, almeno per tollerarla. Ma allora non è più solo la vita a cui l'essere si abbandona e si affida ciecamente; è la vita carica di tutto quanto ha potuto attingere nel sentimento della sua negazione concreta, la vita che riesce a continuare dopo aver compiuto il giro completo su se stessa e che ha allargato il proprio spazio fino alle regioni in cui dimorano gli esseri indimenticabili che ci hanno lasciato, destinati, si direbbe, a mantenersi per noi all'apice di ciò che sono stati. Tali regioni, solo la poesia le esplora nella loro estensione, ma probabilmente nella fase attuale della mia vita era necessario - perché al di là della grande desolazione dei tempi e del mio smarrimento personale potessi ritrovare l'intelligenza poetica dell'universo - che si aprissero vicino a me degli occhi nei quali esse si disvelano fino in fondo. Geni che fate così pura ·

per me l'acqua di quegli occhi, sono lungi dall'aver dato un'idea del vostro potere: spettava meravigliosamente ancora a voi fare che il dono integrale di sé sopravvivesse all'oggetto amato, cercasse di ritrovare un uso, di restituirsi in qualche modo alla vita. Il più straordinario tra i vostri artifizi, geni, non è forse di esigere, nel nome di chi non è più - e ad esse attribuiva tanto valore - che siano. salvaguardate la bel­ lezza, la grazia, la vivacità, le risorse dello spirito e del cuore? Voi mostrate che la loro alterazione, il loro svilimento sareb­ bero frutto di una accettazione sacrilega. Sarebbe una vera, una imperdonabile perdita di contatto - doversi dire: non mi riconoscerebbe più! - sarebbe interrompere la comunica­ zione suprema con l'essere che l'immensità stessa del rim­ pianto non basta a contenere. Il dovere più bello verso quell'essere è di rimanere così come ti amava. Fu quella per me la chiave della rivelazione di cui ho parlato; non poteva venirmi che da te all'inizio dell'inverno. Nella strada ghiacciata ti rivedo plasmata su un brivido, con solo gli occhi scoperti. Con il bavero rialza:to, la sciarpa stretta con la m ano sulla bocca, eri l'immagine stessa del segreto, di uno dei grandi segreti della natura nell'istante in cui viene svelato, e nei tuoi occhi di fine temporale si vedeva spuntare un pallidissimo arcobaleno. Da allora ogni volta che mi sono voluto figurare fisicamente quella chiave, mi è apparsa la struttura del tuo occhio, sotto l'alta conchiglia dentellata del sopracciglio sinistro, a cui una sorta di imper­ cettibile luna nella parte superiore consente di tendersi impri­ mendo nella sua curva una o due oscillazioni all'altezza di quell'arco pallido e sospeso dove incomincia la tempia. Que­ sto segno misterioso, lo conosco soltanto a te: presiede a una specie di interrogazione palpitante che fornisce insieme la risposta e mi porta sempre alla fonte stessa della vita spiri­ tuale. Nel rapporto tra lo sguardo ancora troppo splendente di brillanti, e quel ponte estremamente vibratile sotto il quale si fa di madreperla e di ardE)Sia, al di sotto di quell'ala ' d'uccello, più liscia nella curva della fronte superba, prende

forma ed equilibrio per sempre una figura mobile che per me ha fatto subito tutt'uno con quella chiave. Quella chiave risplende di una tale luce che ci si sorprende ad adorare il fuoco stesso nel quale è stata forgiata. Non v'è trionfo se non in ciò che, sebbene in preda alla più sottile coscienza del dolore, si mostra profondamente ribelle per natura al dolore stesso . In una disposizione così contraddittoria risiede la virtù quanto mai singolare che emana dal tuo essere e che senza esitazione mi è accaduto di designare con le parole: « l'eterna giovinezza » , prima ancora di averne misurato la portata. Mi è bastato vedere te per convincermi che l'eterna giovinezza non è un mito. Il suo sigillo ha delimitato per me una volta per tutte la parte del tuo volto che ho disegnato in modo malde­ stro. Esiste infatti, tra gli elementi di cui è composta, una relazione che d'ora in poi niente deve riuscire a modificare: tale è la certezza miracolosamente intrinseca a quella stessa relazione. Tutto ciò non si può spiegare, così come non si può spiegare il diamante. C'è sopra di te una stella, e tu necessa­ riamente lo ignori . Posso solo localizzarla in modo approssi­ mativo. Del resto la sostanza di quella stella non è organica: è fatta della luminosità che la vita spirituale, pervenuta al grado più intenso, imprime all 'intera espressione di un volto umano. La stella riprende il posto d'onore tra i sette pianeti della finestra che attenuano le loro luci affinché essa si imponga come la pura cristallizzazione della notte. Nell'unico angolo ancora murato dalle tenebre, le unghie di mille linci lacerano tutto ciò che impediva di vedere, scoprendo un albero e andandosi a disporre lungo i suoi rami; il verde delle foglie esercita una tale fascinazione che sembra fatto degli occhi stessi delle linci. Attendo che tutto sia restituito alla serenità primitiva. La fanciulla continua a inclinare i due vasi sulla terra e sull'acqua, voltando le spalle all'albero spinoso. Ma la scena ruota impercettibilmente . . . che cosa accade? l'acacia si avvicina fino ad occupare tutto il campo visivo, non si direbbe forse che con le braccia stia allargando gli stipiti della

finestra? Prodigio! avanza verso di me, sta per rovesciarmi: faccio un sogno. Degli stagni da cui spuntano strane pietre (tra le quali forse delle fronti di coccodrillo?) . Una di esse erge fuori dall'acqua un volume piramidale e sembra fluttuare, a giudicare dal brandello di alghe appeso in cima, i cui lembi prendono nel vento forme geroglifiche. Le pareti tagliate obliquamente lasciano intravvedere resti di pittura tra i quali si consuma un sole verde, sostenuto da chele di scorpioni. Intorno, delle piume si posano volteggiando sull'acqua; sono azzurre con delle fioriture color ruggine e si alternano, nella loro caduta, con delle gocce di sangue. Risalendo il percorso delle gocce, si scopre, altissimo nel cielo, il volo immobile dello sparviero e l'occhio dello sparviero scruta lo stagno mentre nel suo cuore si accende un lume che consente di vedere tutto quanto avviene dentro di lui . Nel suo cuore si sta svolgendo con grande fasto il mistero del ricordo e dell'avvenire, ed io che in quell'istante lo contemplo sono il primo a temere di restarne accecato. Adesso è l'intero stagno a rovesciarsi nell'occhio dell'uccello, il quale sta lacerando se stesso, poiché la profon­ dità dello stagno è in lui, e questa profondità si scopre a sua volta. Nel riflesso aereo la piramide è restituita all'insieme che essa forma con la base sommersa e l'insieme è una lunga cassa: il grido dell'uccello rivela che è ermeticamente chiusa su una spoglia amata. Quella cassa, è rigorosamente necessario per lui continuare a vederla, contenderla con lo sguardo all'in­ trico delle erbe e al furore delle onde. Nell'istante, più critico di ogni altro, in cui l'ha scoperta, ed ha accolto con un grido di angoscia l'irrimediabile, infierisce col becco contro il proprio cuore e, in un supremo turbamento, riesce soltanto ad ingrandirlo . In uno spasimo che da solo fa la gloria del mondo, il suo cuore soccombendo su ciò che fu, tocca il limite repentino in cui si dilata per accogliere, al culmine dell'esalta­ zione opposta, ciò che sarà. Si apre allora nel cuore d'ombra un giovane cuore di luce, che da esso ancora dipende e sollecita il proprio alimento. È stata necessaria tutta la

vertigine dell'abisso perché il sangue rifluisse attraverso i canali della vita. L'antico Egitto non avrebbe potuto raffigu­ rare meglio le circostanze che accompagnano il concepimento di un dio. Ma la cassa è scivolata poco a poco fino al mare. È stata presa nell'ingranaggio delle correnti, è rotolata all'infinito nelle tortuose scale di vetro, ha sbattuto contro le porte dei palazzi capovolti esplorati dai pesci luminosi, poi è passata di braccia in braccia, sollevata sempre più in alto dalle colonne liquide. E solo allora è stata riportata sulla costa, per essere restituita intatta alla terra. E la terra è percorsa da un fremito perché nulla potrà mai profanare la cassa. È là, sempre perfettamente ermetica, irta di lepadi avvinghiate, dalla lunga criniera grondante. Ma sotto di essa, subito il suolo comincia a sollevarsi: radici dall a forza inaudita si attorci­ gliano e si espandono, al punto che sembrano raccogliere tutto il vigore eccedente delle foreste tropicali; da esse cresce a vista d'occhio fino alle dimensioni definitive l'albero al quale toccherà racchiudere la cassa nel proprio tronco, per ordine eccezionale della natura . Ma l'albero, lo riconosco: è lui che mi ha gettato a terra poco fai ora si è completamente richiuso sul suo segreto, così come l'ho intravisto all'inizio. Come specie non differisce dagli altri alberi che lo circondano: è soltanto più nobile. Sopraggiungono ora degli uomini vestiti di tessuti leggeri a righe, che recano delle scuri. Hanno un ordine da eseguire sul quale discutono a lungo. Devono essere degli schiavi. La loro scelta cade sull'albero sacro. Il tronco dell'albero a terra. Presenta, in sezione, i racemi che rivelano alla levigatura gli alberi pietrificati. Il tronco dell'albero dallo scultore del re. Ad ogni colpo lo scalpello si spezza, ma la colonna richiesta scaturisce comunque per incanto e rappre­ senterà di per sé uno stile che consacra un regno. La colonna eretta davanti al re . . . Ma, nei preparativi della festa, le voci che circolano insistono sulla presenza di una donna a corte. Quella donna, dove l'ho vista prima? Non le manca una grande somiglianza con colei che, inginocchiata, reggeva le

urne, ma il suo corpo incantevole è ora ricoperto da un velo intessuto di stelle, trattenuto da una luna sull'attaccatura delle cosce. Sui capelli ancora sciolti porta uno scintillante diadema di serpenti e di spighe, con la mano destra scuote un sistro il cui suono ne ritma l'incedere, meravigliosamente fluido. Da dove e in che modo sia giunta, nessuno lo sa. Lo scriba ha rilevato soltanto che il suo arrivo al palazzo è coinciso con la scomparsa di una rondine già notata per la sua insistenza nel descrivere intorno alla colonna, mentre la stavano innalzando, delle curve dall'apparenza augurale; ma il racconto divaga fino ad attribuirle una serie di incantesimi: cammina indifferentemente sulla terra e sull'acqua, ha co­ sparso di profumo le donne del seguito alitando su di esse, in assenza della nutrice è stata vista allattare con un dito il piccolo principe. Ma ormai l'ora della sua partenza è suonata e anche la m alinconia fa parte della festa. Il regalo della regina è proprio la colonna, che sta per essere adagiata insensibilmente a terra per mezzo di corde. Sembra ora restituita alla sua natura primitiva: di nuovo si potrebbero contare gli anelli dell'alburno. Colei che si accinge a pren­ derne possesso provvede allora agli ultimi preparativi : av­ volge col lino il tronco che appare tuttora tagliato di fresco e lo cosparge di balsami odoriferi, e gli effluvi si spandono per sempre nell'intero paese. Una lacuna nel sogno. Significa forse che niente è mai ritrovato? ma la certezza desolante richiama a sua volta una certezza che la compensa, che anzi è in grado di conciliare lo spirito con la prima, e questa seconda certezza è che niente è mai perduto. La scialuppa di papiro porta la dea su tutti i mari. Ma per quanto faccia, il corpo adorato di colui che fu lo sposo e il fratello non sfolgorerà più ai suoi occhi nell'equili­ brio sovrano . Di quel corpo che fu la sede della suprema bellezza e della suprema saggezza, è condannata a raccogliere solo i quattordici pezzi sparsi, e la mutilazione sarà stata ancor più implacabile poiché l'organo che trasmette la vita è stato preda dei pesci . Tremante, sono testimone dell'artificio

sublime attraverso il quale arriva a compiersi la legge enigma­ tica, imprescrittibile: ciò che è stato smontato in quattordici parti deve essere rimontato quattordici volte . La cera e le spezie che serviranno alla molteplice ricreazione sono ripartite intorno ai frammenti divini che occupano ciascun angolo del laboratorio, ossia ciascuna punta delle due stelle poste una so­ pra all'altra, l'una fatta di due triangoli equilateri, uguali e se­ canti alle basi p arallele, l'altra di due quadrati uguali e secanti ognuno dei quali ha due lati paralleli a una diagonale dell'al­ tro . Sono cosciente dell'operazione senza che mi sia permesso ass istervi: con gli occhi bendati, sto al centro della stella con i compassi . Mi vengono mostrati i quattordici dèi rigorosamente identici : la dea li accompagnerà nelle quattordici direzioni . Ad ogni sacerdote che l'attende, ciascuna delle statue viene pre­ sentata come l'unica e, in cambio della certezza che egli è il solo a possedere la verità e il segreto, deve promettere sotto giura­ mento di non rivelare quale reliquia vi sarà introdotta. La folla si raduna nei templi intorno alle statue rivali . Ma, nelle varie epoche, lo sguardo dei bambini , più perspicace, non riesce a staccarsi dalla testa che

è

a Memphis .

Apro gli occhi a mia volta. L'acacia rinverdita è ritornata nell'imm agine primitiva mentre dentro di me il mito splen­ dido lascia intravvedere poco a poco le curve del suo signifi­ cato dapprim a così complesso sui diversi piani . Quanto mi sembra più ricco, più ambizioso e anche più propizio allo spirito, rispetto al mito cristiano. sotto l'influenza

di

È penoso osservare come,

quest'ultimo, siano state sempre più ri­

mosse le grandi interpretazioni che presiedevano alle antiche credenze. Credenze sistematicamente ricondotte alla

di

lettera

ciò che contenevano : ci si è fermati soltanto all'affabula­

zione poetica, che concordemente è stata considerata bril­ lante e si è creduto di poter dare loro come unica garanzia l'enumerazione dei bisogni m ateriali dei popoli presso cui si sono formate . Così, l'opinione corrente si ritiene soddisfatta di apprendere che le cerimonie

hopi, di una eccezionale

varietà, dove interviene il maggior numero di esseri sopranna-

turali che l'immaginazione abbia dotato di un volto e di attributi distinti , hanno più o meno lo scopo di attirare tutta la protezione possibile sulle coltivazioni di queste tribù in­ diane, a cominciare dalla coltivazione del granoturco . Analo­ gamente, colei che l'E gitto dei Faraoni considerava la regina dei cieli , avrebbe goduto, nella mente di coloro che l'onora­ vano, dell'unica prerogativa di scatenare le inondazioni del Nilo, attese con impazienza ogni anno . Per quanto si presenti come materialista, una tale interpretazione positiva dei miti, che si limita a tener conto dell'elemento immediatamente utilitario e tende a una semplificazione eccessiva, resta tutta­ via insignificante . Chi accetterà di pensare che, sottoposte ad analisi , costruzioni tanto elaborate si risolvano e quasi si esauriscano nel bisogno di deificazione della pioggia e degli altri principi fertilizzanti necessari alle terre aride?

È ben più

stimolante e nobilitante per lo spirito assumere il punto di vista degli autentici mitografi, secondo i quali la condizione stessa dell'agibilità di un mito

è

di accogliere contemporanea­

mente diversi significati, tra cui sono stati individuati il significato poetico, il significato storico, il significato urano­ grafico e il significato cosmologico . L'interpretazione posi­ tiva, di cui vorrei denunciare il carattere esclusivo e intolle­ rante, può essere considerata solo una delle diramazioni dell'interpretazione storica generale, già di per sé restrittiva in rapporto all'interpretazione etnica che parte dallo stesso ceppo . Senza voler seguire, nel percorso spiritualista in cui si inoltrano, nessuno degli autori che hanno tentato di rendere conto dei miti non dall'esterno ma dall'interno e senza dunque accettare, punto per punto, la loro classificazione, devo riconoscere che solo tale classificazione si

è

mostrata finora

abbastanza ampia da abbracciare i diversi modi di penetra­ zione di una dottrina religiosa e da spiegare la fede persistente in ess a riposta . L'esoterismo, nonostante le riserve che si impongono sul suo stess o principio, presenta almeno l'im­ menso interesse di mantenere allo stato dinamico il sistema di comparazione, di estensione illimitata di cui dispone l'uomo, e che gli consente di mettere in rapporto fra loro gli oggetti in

apparenza più lontani, rivelandogli in parte la meccanica del simbolismo universale. I grandi poeti del secolo scorso l'hanno meravigliosamente compreso, a partire da Hugo del quale sono state da poco messe in luce le strette connessioni con la scuola di Fabre d'Olivet, passando per Nerval, i cui famosi sonetti fanno riferimento a Pitagora e a Swedenborg, per Baudelaire che notoriamente mutua dagli occultisti la teoria delle « corrispondenze » , per Rimbaud che all'apogeo della sua creatività si dedica a letture quanto mai significative - basti pensare all a lista già pubblicata delle opere prese in prestito alla biblioteca di Charleville - fino ad Apollinaire nel quale si alternano l'influenza della Kabbalah ebraica e l'influenza dei romanzi del ciclo bretone. Piaccia o no a certi spiriti che sanno godere solo di ciò che è chiaro e stagnante, in arte questo contatto non ha smesso né smetterà per molto tempo di essere m antenuto . In modo più o meno consapevole, il processo di scoperta artistica è sottoposto alla forma e ai modi di progressione che sono propri dell'alta magia, pur restando estraneo all'insieme delle sue ambizioni metafisiche. Tutto il resto è indigenza, piattezza intollerabile, rivoltante: cartel­ loni pubblicitari e rime obbligate. « Quando, scrive Eliphas Lévi, l'iniziato ai misteri eleusini aveva superato trionfalmente tutte le prove, dopo che aveva visto e toccato le cose sacre, se veniva ritenuto abbastanza forte da tollerare l'ultimo e il più terribile di tutti i segreti, un sacerdote velato gli si avvicinava correndo e gli gettava all'orecchio la formula enigmatica: Osiride è un dio nero » . Parole oscure e più brillanti del giaietto ! Sono le parole che, al termine dell'interrogazione umana, mi sembrano le più ric­ che, le più cariche di senso . Nella ricerca spirituale dove ogni port a che si riesce ad aprire conduce a un'altra porta che di nuovo ci si deve sforzare di aprire, solo queste parole, al momento di entrare in una delle ultime stanze prendono veramente il carattere di chiavi universali. Ma per assumerle interiormente occorre, in effetti, avere smesso di contare sulla bussola, essersi abbandonati all a danza dei cerchi eccentrici

delle profondità, avere fissato - cari al mio amico M arcel Duchamp - i « cuori volanti » della frenesia .

È allora, nel

momento straziante in cui il peso delle sofferenze subite sembra inghiottire tutto, che proprio la qualità estrema della prova dà luogo a un

cambiamento di segno, il quale tende a

convertire l'indisponibilità umana in una disponibilità e a conferire a quest'ultima una grandezza altrimenti non rag­ giungibile - è allora che quelle parole possono essere piena­ mente comprese. Occorre essere andati al fondo del dolore um ano, averne scoperto le strane virtù , per poter salutare con lo stesso dono illimitato di sé ciò che vale la pena di essere vissuto . La sola disgrazia definitiva in cui è possibile incorrere di fronte a un simile dolore, sarebbe di opporre ad esso la rasse gnazione che renderebbe impossibile il cambiamento di segno . Quali che siano stati i termini in cui mi hai esternato le reazioni scatenate in te dal più grande dolore che tu potessi concepire, ti ho sempre vista dare il rilievo più alto alla ribellione. Non v'è infatti menzogna più spudorata di quella che consiste nel sostenere, anche e soprattutto in presenza dell'irreparabile, che la ribellione non serve a nulla. La ribellione trova in se stess a la propria giustificazione, indipen­ dentemente dalle sue possibilità di modificare o meno lo stato di fatto che la determina .

È la scintilla nel vento, ma la

scintill a che cerca la polveriera . Io venero il fuoco oscuro che pass a nei tuoi occhi ogni qual volta riprendi coscienza del torto indicibile che ti è stato fatto : fuoco che avvampa e si fa ancora più fosco al ricordo degli

ignobili preti i quali tenta­ vano di avvicinarsi a te in quell'occasione. E so che anche per me quel fuoco leva così in alto le sue fiamme chiare, le intreccia come vive chimere sotto i miei occhi . So che l'amore, se è capace a quel punto di contare solo su se stesso, è irrevocabile; e il mio amore per te rinasce dalle ceneri del sole. Così, tutte le volte che un'associazione

di

idee ti riconduce a

tradimento all'istante in cui per te ogni speranza un giorno è stata rinnegata, e, dalle altezze in cui allora ti trovi, minac­ cia, come una freccia che cerca l'ala, di farti precipitare di nuovo nell'abisso, sento anch'io la vanità delle frasi consolato-

rie e considero spregevole qualsiasi tentativo di diversione; mi rendo conto allora che soltanto una formula magica potrebbe essere operante. Ma quale formula potrebbe condensare in sé e restituirti all'istante la forza di vivere, di vivere con tutta l'intensità possibile, quando so che ti era tornata così lenta­ mente? Decido di attenermi all'unica formula che reputo accettabile per richiamarti a me quando ti accade di piegarti d'improvviso sull'altro versante: è racchiusa nelle parole con le quali quando cominci a distogliere il capo, sfioro appena il tuo orecchio: Osiride è un dio nero . Ma la virtù di questa formula oltrepassa l'ambito della vita individuale per estendersi a vasti insiemi umani. Nessuna epoca si presta, purtroppo, meglio della nostra, a dimostrare ciò che sto affermando. Nessuna epoca infatti è stata capace di nobilitare, di innalzare a tanto il contenuto della parola Resistenza. Quanto in essa si intraprende di più nobile, ed esaltante, quanto non obbedisce ad alcuna volontà o imposi­ zione esterna e non indietreggia di fronte al sacrificio della vita - solo allora si può essere certi che il sacrificio è volontario - è espressione dello spirito di resistenza quale si è manifestato nei paesi occupati d'Europa. È il caso qui di parlare di eroismo, di restituire un valore ad una nozione compromess a . Ci pensavo alcuni giorni fa davanti alla foto­ grafia di un giornalista francese, Pierre Brossolette, ex titolare della rubrica di politica estera al Populaire, di cui un giornale canadese segnalava la morte avvenuta in un ospedale di Parigi. Il mio sguardo andava e veniva dal volto giovane e sorridente alle poche righe di commento in cui si precisa che Brossolette era morto in seguito alle spaventose ferite ripor­ tate nel corso della lotta nell'« underground » . C'era tra i due documenti, la notizia e l'immagine, una contraddizione che se da un lato rendeva l'informazione più drammatica, dall'al­ tro tendeva a risolversi, paradossalmente, a favore della speranza e della vita. L'ultima parola, come dire? restava a quell'espressione spavalda e finemente scettica, dove pareva entrare quasi un'aria di sfida, molto parigina. Doveva essere

una di quelle persone che sanno vedere più in là di se stesse, che sanno a partire da quale punto la vita non vale la pena di essere vissuta, che liberamente e senza esitazioni sanno affron­ tare il rischio . Che sanno morire come hanno saputo vivere. Di fronte alla scomparsa, nella lotta, di un essere come questo, la fierezza umana contrasta l'afflizione e di volta in volta l'una prende il sopravvento sull'altra. Osiride è un dio nero . Se porto qui come esempio un singolo uomo, è per disporre di tutta l'efficacia concreta, ma è chiaro che devono essere compresi nel mio omaggio larghi raggruppamenti, quali si sono costituiti in tutti i paesi invasi . Qui tuttavia si impone una riserva. In base almeno a quel che si può presumere a distanza, lo spirito di resistenza inteso nel senso più ampio e a priori disinteressato, non sarà stato valorizzato per tutti quanto per alcuni . La parola resistenza è oggi come nuova, è stata talmente ringiovanita che la si considera, forse con un certa imprudenza, sottratta all'usura del vocabolario corrente: si rimane affascinati per avere scoperto una nuova virtù, senza nemmeno curarsi di osservare come essa non si possa lontanamente annoverare tra le « virtù cristiane » e, in ultima istanza, non sia conciliabile con alcuna di queste. Ma, per quanto mirabile e necessaria sia stata come fenomeno spontaneo, la volontà di resistenza non si potrà considerare in definitiva al di fuori di ciò che l'ha motivata negli uni e negli altri; su questo punto è bene cautelarsi contro eventuali disillusioni. È possibile che la reazione della mass a nelle sue componenti meno consapevoli - intendo con questo esclu­ dere la classe operaia - sia stata del tutto istintiva e si sia posta l'unico obiettivo di mettere fine a una oppressione intollerabile di cui percepiva immediatamente gli effetti nella sua stess a carne. Questo fenomeno quasi chimico di intolle­ ranza trovava qualche volta un complemento e una giustifica­ zione morale in senso meramente patriottico. Certamente, una volta liberati dal giogo, questi elementi rischiano di ricadere negli errori pass ati, di lanciarsi di nuovo alla ricerca egoistica del benessere, accentuando semplicemente la loro diffidenza aggressiva contro tutti quelli che non parlano la

loro lingua. Accanto a questa forma più episodica e terribil­ mente limitata di resistenza si pone la forma autentica e cosciente; si tratta di capire fino a che punto quest'ultima sarà riuscita ad educare la prima e a mantenerla in uno stato di allarme e di disponibilità . Una tale forma di resistenza, al di là dei compiti più urgenti di ordine diverso finalizzati al seguente obiettivo: cacciare l'invasore, si sforza di determi­ nare le cause profonde del conflitto attuale, e fuori dei tracciati abituali - disseminati a perdita d'occhio di nuove insidie - prepara i provvedimenti radicali capaci di impe­ dirne il ritorno. Sgomberare l'atmosfera dai nugoli abbietti di cavallette, affrancare il più elementare diritto alla vita dalle pesanti limitazioni imposte da una ingerenza chiaramente abusiva, risanare i luoghi esposti alla contaminazione elimi­ nando tutti coloro che sono scesi a compromessi col tallone oppressore: ancora una volta non v'è nulla di più necessario, e tuttavia ciò non costituisce di per sé un passo decisivo verso un mondo per sempre al riparo da ciò che lo ha infestato. Quanto era necess ario, e indiscutibilmente doveva avere la prece­ denza assoluta, è ancora ben lungi dall'essere sufficiente. Nell'intervallo che separa questa guerra dalla precedente, il concetto di libertà, che si era diffuso con uno splendore, un prestigio straordinari nei giorni della Rivoluzione francese, si andava alterando, si andava perdendo nella stessa Francia. Tutto ciò in cui si era affermato il genio di un popolo, si piegava sempre più sotto la pressione delle forze contrarie più o meno mascherate. Tutto ciò che poteva essere inscritto al suo attivo - lo statuto vitale di quel popolo così come, lo si volesse o no, emergeva nelle sue istituzioni - era lasciato nell'ombra per timore che l'idea di libertà, insofferente di una condizione di stasi, diventasse ancora più esigente. Le sue conquiste già antiche venivano menzionate ormai solo per prenderne atto, con precauzioni e riserve di ogni sorta, in modo che il loro ricordo fosse il meno esaltante possibile. Quel che è peggio, se ne parlava sempre col tono di volersene scusare, come di una malattia infantile che aveva messo a repentaglio la vita del paziente - il popolo stesso - ma che

fortunatamente era stata curata in tempo da eminenti esperti quali la Corday, Tallien, Napoleone Bonaparte o il signor Thiers. C'era evidentemente di che rassicurare i più delicati. Possano gli avvenimenti recenti avere insegnato alla Francia e al mondo che la libertà esiste soltanto allo stato dinamico, che essa viene snaturata e negata nell'istante in cui si crede di poterne fare un oggetto da museo. E basta con le discussioni bizantine sull a sua natura: sarebbe non solo vano ma nuova­ mente rischioso promuovere un dibattito di fondo sulla li­ bertà, al quale si affretterebbero a partecipare coloro che possono avere interesse a confondere le idee. Messa delibera­ tamente da parte l'accezione filosofica, qui fuori luogo, sulla quale i suoi avversari speculano di comune accordo per offusçarla, la libertà si definisce molto bene in opposizione a tutte le forme di schiavitù e di costrizione. Il solo punto debole di tale definizione è di rappresentare generalmente la libertà come uno stato , vale a dire nell'immobilità, mentre l'intera esperienza umana dimostra che l'immobilità ne comporta l'immediata rovina. Le aspirazioni dell'uomo alla libertà devono essere mantenute in condizione di riprodursi conti­ nuamente; essa va dunque concepita non come stato ma come forza viva che determina una progressione continua. È d'al­ tronde il solo modo in cui possa continuare ad opporsi alla costrizione e alla schiavitù le quali, dal canto loro, si ricreano continuamente e nelle forme più ingegnose. Si faccia atten­ zione: la libertà per il prigioniero è una cosa meravigliosa­ mente concreta, positiva finché egli sta dietro le sbarre, ma fuori, nella piena luce del giorno, le gioie che si aspettava, come si esauriscono rapidamente! Una volta passato il primo momento di sollievo e di eccitazione, si troverà a disporre della libertà senza veramente goderne - così come non si prova piacere a vivere in pace con i propri denti, dopo le crisi della prima infanzia! È già molto se egli non si domanda subito, con inquietudine, che uso fare di quella libertà. Sfortunatamente c'è il rischio che accada la stessa cosa a tutti coloro che nel movimento di Resistenza, in Francia e altrove, avranno limitato le loro prospettive alla liberazione del

territorio. Lo sforzo di liberazione coincide solo in modo parziale e fortuito con la lotta per la libertà. Una distinzione formale tra i due termini si impone oggi, nel momento in cui c'è chi si prepara a trarre vantaggio dalla loro confusione a scapito della libertà. L'idea di liberazione ha l'inconveniente di essere un'idea negativa, di valere solo momentaneamente e in rapporto a una spoliazione di fatto, ben definita, che occorre far cessare. Qualsiasi idea del genere, non costruttiva di per sé - lo si è visto bene con l'antifascismo dell'ante­ guerra, aggrappato al sentiero battuto dell'opposizione pura - è di mediocre portata. L'idea di libertà, al contrario, è un'idea che dispone pienamente di sé, che riflette una visione incondizionata di quanto qualifica l'uomo e dà un senso preciso al divenire umano. La libertà non è, come la liberazione, la lotta contro la malattia, è salute. La libera­ zione può far credere a un recupero della salute, mentre segna soltanto una remissione della malattia, la scomparsa del sintomo più evidente, più allarmante. La libertà invece si sottrae alla contingenza. La libertà, non solo come ideale, ma anche come ricreatrice costante di energia, quale è esistita per alcuni uomini e quale può essere presa a modello per tutti gli uomini, deve escludere qualsiasi idea di comodo equilibrio ed essere concepita come eretismo continuo. Il bisogno primor­ diale di liberazione così largamente sentito in questi anni e l'amore della libertà, che resta - occorre riconoscerlo ­ molto più elettivo, hanno potuto camminare fianco a fianco per effetto della durezza dei tempi. Hanno anzi accolto un criterio comune, il coraggio, il vero coraggio, che esige la libera accettazione del pericolo. È non di meno altamente auspicabile, una volta respinto e messo in condizione di non nuocere l'ultimo sgherro, e pass ato per le armi l'ultimo traditore, che nessuno tra quanti avranno dato il meglio di sé nella lotta più impari creda di potersi ritenere soddisfatto. Al fondo di ciò che lo ha spinto a ribellarsi scoprirà, se appena vi riflette, la scintilla della libertà che chiede di crescere e di diventare per tutti una stella. Quella libertà, io so che l'hanno vista sorgere e non avranno che da ricordarsene perché in

futuro, di fronte al loro sguardo, i più malintenzionati rinuncino a discettare su di ess a , a ricercare fino a che punto la loro concezione sia intellettualmente fondata; anche la storia, perfino quando è più reazionaria e faziosa, si astiene dal chiederne ragione ai soldati di Valmy. La stella ora ritrovata è quella del primo mattino, che tendeva ad eclissare gli altri astri della finestra. Mi svela il segreto della sua struttura, mi spiega perché essa conta il doppio di punte, perché le sue punte sono di fuoco rosso e giallo, come se si trattass e di due stelle congiunte dai raggi alternati . È fatta con l'unione di due misteri: l'amore chia­ mato a rinascere dalla perdita dell'oggetto d'amore e innal­ zato allora alla sua piena coscienza, alla sua totale dignità; la libertà destinata ad essere conosciuta ed esaltata solo a costo della sua perdita. Nell'immagine notturna che mi ha guidato, la doppia contraddizione si l:isolve sotto la protezione dell'al­ bero che racchiude i resti della saggezza morta, per mezzo degli scambi intercorsi tra la farfalla e il fiore, in virtù del principio dell'espansione ininterrotta dei fluidi a cui è legata la certezza del rinnovamento eterno. La soluzione di tali contraddizioni è d'altronde una soluzione unica poiché non richiede altro strumento che quello raffigurato dagli Ebrei in forma geroglifica con la lettera � (pronunciare: phé) la quale ass o miglia alla lingua dentro la bocca e nel suo significato più alto sta per la parola stessa. Tuttavia, la verità allegorica qui espressa mi sembra poter ass umere tutta la sua ampiezza solo a condizione di essere completata e ill u minata da un mito avventizio. In effetti, sussiste ancora una insufficienza di informazione sulle circo­ stanze che determinano, nella figura da me descritta, l'appa­ rizione della stella maggiore e che forse potrebbero permet­ tere di risalire alla sua origine. Ma la lacuna può essere colmata. Esiste, infatti, sulle pareti del tempo, un quadro molto affine al precedente per quanto riguarda il genere di intenzioni che esprime; e soltanto la diversità estrema di

fattura ha impedito che l'accostamento fosse fatto prima. Il quadro, che ha per soggetto la formazione della stella, costi­ tuisce ai miei occhi l'espressione suprema del pensiero roman­ tico, e in ogni caso resta il simbolo più vivo che esso ci abbia la­ sciato. A mettere in luce questo simbolo ha brillantemente contribuito Auguste Viatte nel suo libro recente Victor Hugo et les Illuminés de son temps, a partire da un parallelo tra il Te­ stament de la liberté dell'Ab bé Constant, pubblicato nel l845, e La Fin de Satan, uno degli ultimi componimenti lirici del poeta. « In Constant, come in Victor Hugo, scrive Viatte, assi­ stiamo innanzitutto alla caduta dell'angelo che, nascendo, ri­ fiutò di essere schiavo » , e che trascinò nella notte « una pioggia di soli e di stelle per l'attrazione della sua gloria » : ma Lucifero, l'intelligenza proscritta, genera due sorelle, Poesia e Libertà e « lo spirito d'amore ass umerà i loro tratti per sottomettere e salvare l'angelo ribelle » . Questa esposizione, necessariamente rapida e arida, non può dare la più pallida idea - a quanti, sfidando l'altro estremo, accetteranno di non fermarsi all'in­ continenza verbale - della grandiosità conferita all'episodio dal dono visionario di Hugo, come rivela in particolare la creazione dell'angelo Libertà: « L'Angelo Libertà, nato da una piuma bianca sfuggita a Lucifero durante la caduta, penetra nelle tenebre; la stella che porta in fronte diventa dapprima meteora, poi cometa, poi fornace » . Si può vedere come, da incerta che era, l'immagine si fa precisa: la rivolta, la rivolta soltanto è creatrice di luce. E questa luce si diffonde solo per tre vie: la poesia, la libertà e l'amore che devono ispirare un me­ desimo zelo e convergere, fino a farlo diventare il calice stesso dell'eterna giovinezza, sul punto meno scoperto e più illu­ minabile del cuore umano. 20

agosto -

20

ottobre

1944 .

Percé - S ainte-Agathe .

Note

l L'autore del Silence de la m er si è poi dichiarato, mettendo fine alle diffidenze di cui era oggetto e mostrando chiaramente da quale parte stesse la psicosi. Ma la sostanza di queste considerazioni resta valida (novembre 1 944) .

Ajours

I

Questo libro, il quale per un certo verso cede all'illusione di voler decantare un liquido non ancora sottratto ad alcune delle reazioni che l'hanno reso torbido e tenta irragionevol­ mente fin d'ora di incidere e di levigare una materia che presenta ancora dei punti di fusione, non è sfuggito alle vistose smentite del tempo, mostrando in questo senso quanto aveva in sé di contestabile. Tre primavere sono bastate per indurre, in particolare, a nutrire i più grandi timori riguardo alla vitalità del giovane albero della resistenza che, alla fine di una notte più di ogni altra fredda e vischiosa, si era creduto fosse scaturito dal suolo in risposta a una spinta e in virtù di una forza di espansione egualmente invincibili. Da quanti la salutarono allora come feci io, la resistenza era considerata il prodotto di un'esigenza che superava in ogni direzione la sua giustificazione immediata, un'esigenza finalmente in possesso dei mezzi per manifestarsi in vita ed essere appagata. È vero che l'occhio non tarda ad essere abbagliato quando indugia a fissare il fenomeno della germinazione. All'esigenza di cui parlo accadeva la stessa cosa che alla ghianda della quercia, a proposito della quale, e forse non è un caso, sia Claude de Saint-Martin che Fabre d'Olivet trovarono alcune delle loro

espressioni più alte. Mi limiterò a ricordare che per il primo l'emanazione della quercia nascente - come del bam­ bino -nella regione temporale manifesta il disegno trascen­ dentale di tutti gli esseri di « ritrovare la somiglianza col proprio principio » 1 e che, agli occhi del secondo, la ghianda nel processo di germinazione esprime in sé la conciliazione tra la « potenza di essere » , da lui chiamata anche « provvidenza » , e l a potenza d'essere ciò che è o potenza di esistere in quanto quercia, da lui definita « destino »; le due potenze possono poi essere occasionalmente subordinate a una terza, cioè la « vo­ lontà dell'uomo » . E Fabre d'Olivet chiarisce questo punto: « Ho la ghianda, posso mangiarla, e assimilarla così alla mia sostanza; posso darla a un animale che la mangerà; posso distruggerla schiacciandola sotto i piedi; posso seminarla e farle produrre una quercia. . . La schiaccio sotto i piedi: la ghianda è distrutta. Il suo destino è annullato? No, è cambiato; ha inizio per la ghianda un nuovo destino che è opera mia » 2• Queste ultime frasi tenderebbero a portarci su una china malinconica. Lo spirito di resistenza, con tutto ciò che in esso vi era di aperto, di generoso, di vivificante e di audace non è forse stato bestialmente « calpestato » ? Un rapido bilancio della situazione attuale lo farebbe credere, dai recenti massacri d•Indocina e dalle file interminabili davanti alle panetterie di Parigi, a tutto ciò che (da un altro punto di vista) ha gettato un'ombra di menzogna e derisione sui cosiddetti « obiettivi di guerra » fino alla certezza, ancora più amara, che nessuna corrente spontanea e di una certa consistenza accoglie le riserve fondamentali enunciate qui a pag. 35 , le quali, dopo Bacone, Condillac e Fourier, portavano alla conclusione che è necessa­ rio « rifare !"intelletto umano » . Tutto sommato sembrerebbe che, per spiegare !"arresto di sviluppo seguito dal rapido deperimento dell'organismo in questione, non sia necessario invocare una causa estrinseca quale può essere il piede dell'uomo per la distruzione della ghianda. Prima di incolpare il terreno o il clima sfavorevole, è il caso di verificare innanzitutto se questo organismo non fosse affetto da qualche vizio di costituzione. C'era un verme nel

frutto o un bruco ha intaccato i primi germogli? È più che cer­ to. Quale che sia, la larva ha un nome: si chiama nazionalismo . Uno dei punti deboli di Arcane 1 7 è di non aver messo sufficientemente in guardia contro le devastazioni di quella larva, di non aver intuito che essa minacciava da cima a fondo delle coscienze che credevo immerse nella sua stessa nega­ zione 3 . L'esasperazione stessa del sentimento nazionalista in molti di coloro che per esso avevano mostrato il più violento disprezzo autorizza, lo ammetto senza difficoltà, coloro che conservano come me lo scrupolo per l'integrità del pensiero a chiedermi ragione di certe oscillazioni (spero più apparenti che reali) . È vero che non ho preso tutte le precauzioni necessarie per mettere al riparo da equivoci il contenuto della digressione aperta a pagina 57 che ha momentaneamente al­ larmato un amico di cui mi sta a cuore la stima. Non bisogna dimenticare però che le mie parole giungono da oltre Atlan­ tico, ossia da un continente dove si ha facilmente tendenza a distinguere, anche solo per il comportamento esteriore, fra i vari tipi di europei, senza per questo stabilire delle gerarchie tra di essi . Mi sembrava e mi sembra ancora, che valorizzare ciò che porto in quella sede all'attivo dello spirito francese (in opposizione, del resto, a gravi difetti e anche a vizi che possono, fino a prova contraria, essere considerati inaccetta­ bili) così come, fin dalle prime pagine di Arcane 1 7, vanto l'apporto italiano, inglese, tedesco o russo per ciò di cui gli siamo universalmente debitori, non implicasse da parte mia la volontà di attribuire all a parola Francia alcun merito eccezio­ nale. Se mi lasciai andare un istante, fu, lo ammetto, nel parlare, cedendo all'ardore polemico che fa perdere a tratti il controllo delle parole, di « vera » tradizione contrapposta a un'altra che da allora non si è rivelata la meno valida. Può darsi inoltre che io abbia dato prova di candore asserendo, senza verifiche , in base a informazioni sicuramente frettolose e tendenziose, che Parigi era stata capace di trovare in sé energie sufficienti per liberarsi. Desiderando calmare fino in fondo le inquietudini di cui si è parlato, ma anche per mostrare che non credo di dovermi

lasciar andare a pentimenti più gravi, mi permetto di rinviare alla mia conferenza agli studenti di Y ale (Situation du Surréa­ lisme entre les deux guerres, 1942) 4 e riproduco qui il testo, praticamente sconosciuto (e sfigurato dai refusi nella sua prima versione) , datato maggio 1 943, e da me pubblicato nel numero 2 di Monde libre senza - credo - troppo piegarmi al tono ufficiale della rivista, che me lo aveva richiesto.

Note l

CLAUDE DE SAINT-MARTI N ,

2 FABRE 3

Tableau naturel_

D'OLIVET, Histoire philosophique du genre humain .

All e dichiarazioni già sufficientemente note di alcuni, è possibile, sfidando il

cattivo gusto, accostare quelle che seguono, in attesa del giorno in cui le passioni del momento si placheranno, restituendo all'uomo il lusso di giudicare:

«È

curioso. Il

mio bisnonno Eluard fece il soldato per quattordici anni durante la conquista dell'Algeria: sette anni per sé e sette anni al posto del fratello . Mio padre ha fatto il soldato per sei annL Ed anch'io per sei anni; dieci, con gli anni dell'occupazione. Siamo una famiglia di militari . Poeti militari . . . La poesia che si preclude certi temi è una poesia inferiore. Un tempo ho odiato la parola 'Boche' [Termine spregiativo per designare i tedeschi, in

uso

al tempo della I guerra mondiale. n . d . t . ] che mi sembrava

sleale. Ora non la odio più » . (Paul Eluard , intervistato da Paul Guth , La Gazette des Lettres, 2 febbraio 1946) . «---

Ancora oggi sono intorno a noi degli Abel Bonnard che si toglierebbero la

maschera solo se un nemico rimettesse il piede sul cuore della patria; dei disfattisti del sentimento nazionale, come è stato Giono , e non mi importa se sono di destra o di sinistra l dal momento che vogliono fermare il braccio dei Francesi al lavoro, impedire al minatore di estrarre il carbone o al rotativista di stampare

il giornale, sono miei

nemici, sono i nemici della Francia » . Aragon (Discorso pronunciato nel corso del Conseil National de l'Union Natio­ naie des Intellectuels, il 24 febbraio 1 946) .

Luce nera

Perdono di lesinare il mio omaggio, divinità insaziabile della guerra. So quanto oggi ti viene dato, so che per raccogliere non devi nemmeno chinarti. E se tuttavia io osassi parlare di ciò che ti viene rifiutato? Ancora una volta te ne stai là, stravolta, immonda, a fracass are i tuoi grandi giocattoli azzurri che si danno il cambio sempre più numerosi, perfezio­ nati, in un nugolo di mosche. Ne approfitti perché si dica che essendo sempre esistita, tu esisterai sempre; riconosco che nulla ti è così propizio quanto la filosofia dell'« eterno ritorno » dove l'ultima parola può solo essere « a che serve? » . Eppure non mi impressioni con la tua presenza e la tua virulenza; mi fai anzi sospettare che il segreto della tua definitiva soppres­ sione sia a portata dell'uomo, il quale è stato capace di sconfiggere la peste o la rabbia. Momentaneamente le circo­ stanze non consentono che di sognarlo: il male è troppo grande, ci stringe troppo da vicino, possiamo soltanto farvi fronte, ora che qualsiasi speranza di prevenzione è svanita'. Ritornerà il tempo in cui l'uomo essendosi buttato la guerra alle spalle, dovrà ad ogni costo convincersi che essa non deve necess ariamente ripresentarsi davanti a lui. A quel punto non si reprimeranno mai abbastanza energicamente gli intrighi

del fatalismo, dello scetticismo e del cinismo; ma prima sarà necessario togliere a coloro i quali ostentano simili atteggia­ menti il profitto economico o d'altro genere che si aspettano, senza di che non ci sarebbe, beninteso, nulla di fatto . Compito storico degno dei migliori; ma l'iniziativa e le modalità dipen­ dono dallo svolgimento ulteriore della guerra attuale e si possono appena congetturare. Al di là di qualsiasi anticipazione su questo piano, la guerra, come fenomeno di cui siamo testimoni, si presta a diverse interpretazioni che in prospettiva possono essere di grande interesse. Se tende ad essere considerata la forma estrema di soluzione imposta da certi conflitti tra i popoli, è innegabile che essa risponde a un insieme molto complesso di pulsioni individuali più o meno simili le quali vi cercano il loro appaga­ mento. La coscienza umana si è sempre espress a in termini inadeguati quando ha creduto di far giustizia della guerra . Non è sufficiente, per liquidare la guerra, revocarne il princi­ pio . Anche assimilando l'intera umanità a un corpo, chi arrive­ rebbe a sostenere che dalla generalizzazione dell'arcaico « sa­ lasso » ci si possa aspettare un sollievo ai suoi mali? E chi non sente quale distorsione la guerra opera rispetto alla nozione stessa di diritto {che è anche troppo facile per ciascuno dei contendenti ridurre a una nozione soggettiva, esaltata e con­ traddittoria) dal momento che, minacciato dalla forza bruta, deve chiamare in aiuto la forza bruta e dunque parzialmente cancellarsi di fronte ad essa? A priori, questi rilievi bastano ad allontanare qualsiasi indulgenza dall'idea di guerra. Se si è perpetuata fino a noi, col consenso o almeno con la rassegna­ zione dell'uomo, deve nascondere qualche oscura seduzione. Prevenire il ritorno della guerra: se ne potrà seriamente discutere solo nella misura in cui ci si proverà a considerarla, non nei suoi fini più o meno espliciti, ma in rapporto ai mezzi che mette in opera, non nella sua inconcepibile ragione d'es­ sere, ma nella sua struttura . Non nascondo che tutto ciò suscita riflessioni amare, ma penso che se ne possa assumere il peso se vi è in gioco una maggior chiaroveggenza, e ancora di più se ci si convince che il

rimedio può nascere soltanto da una valutazione meno superfi­ ciale del male. Sarà necessario cominciare col togliere all a guerra i suoi titoli di nobiltà. Ma non mi si fraintenda: nello scenario abominevole della guerra spesso si manifesta la grandezza morale. Grandezza che, quando è autentica, dà la misura, se pure teatrale, del valore di certi uomini. In tempi meno inclementi, il loro dispendio di generosità potrebbe essere uguale e, in media, meno vano. L'eroismo militare presenta almeno un inconveniente: nel corso della battaglia è a volte necessario riconoscerlo anche all'avversario, e ciò porta ad apprezzare singole parti , le più attive e senz' altro tra le più responsabili, di un tutto che si dichiara formalmente di aborrire. Punto estremamente nevralgico, in seno alle multi­ ple linee di interferenza che attraversano la guerra e che con la loro rete configurano nell'uomo la più crudele ambivalenza di sentimenti 1 • Le divergenze di ideale che animano una nazione contro un'altra, un gruppo di nazioni contro un altro gruppo, se da un lato sono abbastanza forti da provocare o da alleviare il sacrificio di milioni di esseri, dando una motivazione teorica alle guerre, appartengono pur sempre alla sovrastruttura . Al di qua funziona un sistema che mette a confronto non soltanto l'« io » e il « sé » come vuole Freud, ma anche, nell'ambito delle razze, degli Stati, dei regimi, delle caste, delle credenze, un « noi » (organico o di pura convenzione?) il quale si comporta come un ibrido dei primi due. Il noi restrittivo, irto di tutti gli aculei del « super-io » (o ideale dell'io) e anche, sembrerebbe, di alcuni altri, complica e snatura a tal punto la vita che si deve tentare il possibile per dissolverlo nel tutti, con l'uomo come unico termine .incondizionato di collegamento. Uno degli aspetti più nuovi di questa guerra è che vi si esprime scopertamente, dall a parte opposta alla nostra, il piacere della guerra per la guerra. Il fascismo non ha esitato a farne l'igiene mentale suprema. Fu, verso il l910, una trovata del futurismo italiano, espressione in apparenza del più grossolano clamore pubblicitario, ma che tuttavia doveva

fornire una base di codificazione ai teorici del nazional­ socialismo, il cui prototipo resta Ernst Jiinger: « Nelle discor­ die e nella guerra, quando l'uomo frantuma tutte le conven­ zioni e i trattati che sono soltanto gli stracci rattoppati di un mendicante, l'animalità sale dal fondo dell'anima come un mostro misterioso . . . la voluttà del sangue fluttua al di sopra della guerra come una vela rossa su un'oscura galera 2 » . Atroce mistica, che occorre però prendere in considerazione, se è vero che si lotta oggi perché il mondo ne sia purificato. La forma in Jiinger sarebbe forse così lirica - sia pure al servizio di un contenuto erroneo e per di più criminale - se non racchiudesse uno dei grandi momenti della disperazione umana? L'errore qui è il verme vittorioso, che dobbiamo scoprire al centro del bel frutto. È proprio vero, o piuttosto saremo certi, domani, che quell'errore sia specificamente, esclusivamente tedesco? Am­ metto che vi si può ravvisare la sopravvivenza di miti come quello dei Giovani Uomini-Animali dell'antica Germania. Eppure . . . Il pomeriggio in cui avrebbe avuto luogo la dichia­ razione di guerra, in Francia, osservavo da una finestra che dava sul cortile interno del forte di Nogent, i movimenti delle persone. La radio aveva annunciato che le ostilità avrebbero avuto inizio alle cinque. Impossibile vedere nei vari gruppi i segni dell'emozione che si immagina dovesse suscitare una simile notizia. Escludendo a dire il vero qualsiasi reazione apprezzabile adeguata all'avvenimento, si era avuta dap­ prima solo una vaga allegria, la quale prendeva sempre più consistenza mano a m ano che passava il tempo. Appena un'ora, appena cinque minuti. Il rumore crescente, i contor­ cimenti esagerati facevano pensare a una ricreazione scola­ stica. Negli angoli, i primi arrivati, coloro che fin dal giorno prima avevano indossato la divisa, si infervoravano nella loro partita a carte, a cui si aprivano prospettive interminabili. Davanti allo spettacolo di una così totale incoerenza, il medico che era affacciato alla finestra insieme con me, uomo peraltro piuttosto duro, si mise a piangere. L'euforia degli altri, sconcertante a tutta prima, non basta deplorarla,

occorre scoprirne le cause e, per quanto mi riguarda, non ho esitazioni ad attribuirle alla piattezza e alle oppressioni della vita sociale in tempo di pace . Una vita, per molti, limitata più o meno inconsciamente dalla necessi tà

di

un lavoro che essi

non hanno scelto, dai fastidi di una tutela familiare o dalle preoccupazioni di un focolare domestico senza il fuoco del cuore, che impediscono loro di disporre liberamente di sé; ma

di

limitata ancora più

frequente dal

tedio

di dover ripetere

oggi, all 'incirca , lo stesso percorso di ieri . Il profitto immenso che in pratica la guerra trae da questa forma così diffusa di insoddisfazione fa pensare che per prevenire nuove guerre sarà necessario in primo luogo combattere su scala universale e radicalmente tutto quanto genera tale insoddisfazione. Non si tratta di definire qui i mezzi per ottenere che m olti smettano di trovare nella guerra uno sfogo a quanto vi

è

di

monotono e di insopportabile nella loro esistenza individuale.

E

del resto la divulgazione di tali mezzi potrebbe essere

ritenuta prem atura. Purtuttavia, deve essere consentito dire che, fin da ora, dei

piani

in questo senso dovranno essere

elaborati e messi in mani sicure.

Il requisito principale

dovrebbe essere una estrema audacia .

E,

innanzitutto, nell'uomo u n terribile bisogno d i infanzia

prolungata chiede di essere soddisfatto . Pensate a quell'episo­ dio così sconvolgente del film « Vittoria nel deserto » : si vede per un'ora ciò che

è

stato l'inferno della Libia . Ed

ecco

dei

prigionieri italiani , stremati, spezzati nel morale e nel fisico, che sfilano di spalle , innumerevoli . Ma uno

di loro si è accorto Li vedranno

della cinep�;esa e tutti gli altri intorno si voltano .

sullo schermo !

Chi? Degli amici o dei nemici? non se lo

chiedono nemmeno, e

sorridono .

Altrove, probabilmente,

altri prigionieri in una situazione analoga hanno sorriso allo ·

stesso modo . Qui , il meccanismo di compensazione che al culmine della sofferenza può far elemosinare il piacere più innocente, più vano,

è

colto nel vivo . Non siamo lontani dalle reazioni

affettive paradossali descritte nella demenza precoce . A parte l'aspetto patologico, e naturalmente a prescindere dalle tante

azioni esemplari che nelle guerre ci colpiscono, la miseria morale del nostro tempo

è

infinita .

Occorre afferrarla alla gola, se si vuole davvero far cessare la collera immemorabile di demoni che si chiamano petrolio o salnitro. La vita umana deve essere

riappassionata,

valorizzata, se

necessario, nella prospettiva di ciò che verosimilmente

è

dato

solo una volta ad ognuno . Forse sarebbe necessario, di conse­ guenza, lasciarle ben altro spazio . Possano i cantastorie arabi di strada, che godono attualmente di un pubblico inusitato, formare degli emuli per un giorno non lontano sulle nostre piazze d'America, d'Europa. E che ovunque l'immagina­ zione, così vergognosamente costretta, segua il suo corso i Possano delle grandi feste, dove sia concesso a ognuno pren­ dere parte attiva, essere organizzate per esaurire periodica­ mente tutto il potere fosforico racchiuso nell'uomo. Nella nostra giovinezza se ne coglieva ancora la velleità in certe sere parigine del l4 luglio, in certe mattine del l maggio , quando, a dispetto della vigilanza crescente di chi chiudeva le finestre, passava a tratti l'aria della libertà. Qualsiasi tentativo di riass etto economico del mondo, per quanto possa apparirmi improrogabile, risulterà prima o poi insufficiente se non si prende in considerazione l'appetito di curiosità, di fasto e soprattutto di avventura personale da tentare nell'esistenza. Un amico pittore mi scrive dal Messico di non aver resistito alla tentazione di andare a vedere un vulcano attivo da una settimana nei dintorni di Uruapan . La nascita del vulcano

è stata

annunciata da circa trecento scosse

di terremoto . Da un cratere alto ora centocinquanta metri , erutta, tra grandiose fiamme all a M atta, dei blocchi di roccia grandi come case . « C'è, aggiunge il mio amico , una esplo­ sione più o meno ogni sette secondi, accomp agnata da scosse

di terremoto » . Ma la parte più interessante del suo racconto

è

come egli sia stato colpito dalla soddisfazione mista ad orgoglio di coloro che gli capitava di incontrare. Un nuovo vulcano, così dotato, proprio vicino a loro !

È vero che i

contadini indiani di Aj uno e degli altri villaggi sono defrau-

dati di tutto . Che cosa m ai gli si dovrà restituire,

d ovr à

in aggiunta, perché essi rimpianti dal loro vulcano? Mi proponevo soltanto, per oggi, di dare

che cosa

gli si

si allontanino senza invitare a una

rifles­

sione sull'aspetto più misconosciuto del problema dell'infra­

struttura .

al convinci­ più rigorosa e indi­

Resto fedele, per quanto mi riguarda,

mento che l'azione, anche nella forma

scussa che ass u me oggi per quanti com battono in nome della libertà, avrà

valore

soltanto

se

non verrà frenata parallela­

mente l'interpretazione del mondo, vale a dire se si continuerà

che cosa possa essere resto è oscurant is m o e, lo si voglia o no, filofascismo 3• Rispetto alle soluzioni che si richiedono a tutti noi , l'abitudine, per quanto ricoperta di velluto, è più pericolosa, l'abitudine cova sventura e morte più dell'appa­ rente utopia. Nella carenza totale delle idee acquisite, sarebbe proficuo che a quest'ultima fosse lasciata ampia licenza di esprimersi, pubblicamente o meno . Una giovane donna, bella e perduta in una di quelle fantasticherie di tono profetico che mi sono care, mi diceva l'altro giorno: « Vedi, in questo m omento , non bisogna dire nulla di duro . Che cos'è, il contrario di duro? Tutto ciò che si ha il diritto di scrivere, e solo di tanto in tanto, è una poesia. Oggi bisogna fare dei a ricercare, senza assurde illusioni, di

fatta quella libertà .

Tutto

bambini nuvolosi .

Capisci,

il

non dei bambini a form a di

nuvola , ma dei bambini fatti con delle parti di nuvola, sì : dei bambini nuvolosi » .

Note l Diffidiamo delle semplificazioni eccess ive nelle quali la guerra trova il proprio tornaconto, e che possono riservare in seguito le più gravi delusioni. Non serve a nulla, per esempio, dissimularsi che una comunanza di speranze e di interessi è tutt'altro che sufficiente, sul piano psicologico e morale, a unificare pienamente lo stato d'animo del fronte e quello delle retrovie, più in generale lo stato d'animo delle zone colpite e quello delle zone risparmiate . In mezzo c'è, nonostante tutto , un

fossato , a separare la percezione più acuta , più drammatica ed esclusiva, dalla rappresentazione m entale che, anche con l'ausilio di resoconti fotografici e d'altro genere, resta più o meno tenue, e lascia un margine enorme di incuranza, di distrazione, Q uesto fossato, occorre vederlo se si vuole evitare che vi si scavino, ancora una volta , delle riserve mentali. Dopo il l918 si è avuta a volte la sorpresa di assistere a un inizio di effusioni tra ex combattenti nemici, riconciliati, in mancanza di meglio, nel disprezzo per gli altri e nella nostalgia del tempo in cui si dilaniavano .

2 ERNST JÙNGER , La guerre notre mère (estratti in « Lettres françaises » , n. 5, luglio 1 942) .



la sola difesa efficace che si possa pensare di opporre a questo pericolo

supplementare, forse il più grave: trascinati, controvoglia, a compiere giorno per giorno una serie di atti in tutto e per tutto simili a quelli dell'avversario, come eviteremo di tendere, con lui, a u;:t limite com une? Dobbiamo stare in guardia: per il fatto stesso che siamo costretti ad adottare i suoi mezzi, rischiamo di essere . contaminati da ciò che crederemo di sconfiggere.

II

Di Iside, che ha promesso all'Asino d'oro di restituirgli la for­ m a umana, Apuleio dice splendidamente che « si ritrasse in se stess a » . Scrivevo nel 1933 : « la percezione e l a rappresentazione mentale - che all'adulto sembrano contrapporsi in maniera così radicale - non sono da considerare che i prodotti di dissociazione di una

facoltà unica, originaria . . di cui si .

trovano tracce nei primitivi e nei bam bini . Questo stato di grazia, tutti coloro che hanno a cuore la vera condizione um ana, più o meno confusamente aspirano a ritrovarlo . . . Si può lavorare, sistematicamente, al sicuro da ogni delirio, perché la distinzione tra soggettivo e oggettivo perda di necessità e di v alore » 1 • La ricerca di un tale « stato di grazia » alla quale

è

assegnato alla fine del testo il termine

estasi

(Teresa d'Avila, i medium) ha continuato, da allora, ad apparirmi come il supremo ricorso contro una vita che

è priva

di significato fin tanto che rimane asservita a una concezione del mondo

snaturato . Tuttavia, come molti altri, è in uno

slancio intuitivo che ho optato, in amore, per la forma passionale ed esclusiva, la quale tende a proibire intorno a sé quanto può essere imputato al compromesso, al capriccio e

allo sbandamento . So che una simile concezione

è

potuta

apparire ristretta e arbitrariamente limitativa e mi sono preoccupato a lungo di trovare validi argomenti per difen­ derla, quando accadeva che si scontrasse con quella degli scettici o dei libertini più o meno dichiarati . Cosa sorpren­ dente, ho potuto verificare

a posteriori

che la m aggior parte

dei dissidi sopravvenuti nel surrealismo, pur avendo preso a pretesto le divergenze politiche, sono stati sopradeterminati, non, come

è

stato insinuato , da questioni personali, ma da un

disaccordo irriducibile a tale proposito . Era in causa - anche se a volte lo dimenticavamo mentre su un certo piano percorrevamo la stessa strada - l'allontanamento crescente che su un altro piano rischiava di prodursi tra noi, nel corso delle nostre esistenze. Questo « stato di grazia » , a seconda che si scelga in partenza di ricercarlo attraverso il percorso arduo e accidentato che gli

è

proprio o che si preferiscano invece

- senza chiedersi dove portano - i sentieri piacevolmente ombreggiati, resta infatti il grande discriminatore e il grande regolatore delle sorti umane. A coloro che, una volta per tutte, hanno puntato su di esso o contro di esso non permette di ricredersi . « L'amore, dice Michelet,

è

altissimo e nobile

nella donna, che vi mette in gioco la sua vita » . Nulla potrà a lungo unire in una reciproca comprensione l'uomo che nell'a­ more mette in gioco altrettanto e l'uomo che rifiuta di farlo . Questo stato di grazia, affermo oggi con piena certezza che risulta dalla conciliazione

quanto ci si

può aspettare

in un solo essere di tutto dall'esterno e dall'interno : esiste

dall'istante

unico in cui nell'atto d'amore l'esaltazione al culmine del piacere sensuale non si distingue più dalla realizzazione folgorante di tutte le aspirazioni dello spirito . Tutto ciò che resta al di qua non può in nessun modo ambire al nome di amore ma

appartiene a una indulgenza deteriore verso

quanto noi surrealisti ci siamo proposti di combattere, e lascia presagire una abdicazione spirituale che non può tardare a m anifestarsi in tutti i suoi aspetti . Affermo che la riconcilia­ zione tra percezione fisica e rappresentazione mentale un obiettivo unitario e che non

è pensabile lesinare,

è

nel campo

dell· amore, ciò che si

è

pronti a riconoscere nel campo

dell•espressione . Nella misura in cui il surrealismo non esita a criticare senza riguardi la poesia o la pittura che continuano, ai giorni nostri, a fondarsi sulle pure risorse sensoriali o intellettuali ,

è

tenuto a mostrarsi altrettanto severo verso se

stesso per una frivolezza così

irreparabile.

L'atteggiamento

surrealista non può essere che il medesimo nei due casi . L'atto d• amore, proprio come il quadro o la poesia, si squalifica se non suppone da parte di colui che vi si dedica uno

stato di

trance. L'eternità

è

colta qui , come altrove non avviene, nell·i­

stante stesso . Il tremolante specchio lunare riappare sulla fronte della notte coronata di spighe e di tuberose che sole illuminano il volto e il seno divino coniugati al vento d•estate dalle vorticose volute dei riccioli biondi o azzurri . L'ibis , lo sciacallo, ravvoltoio e il serpente, assistiti da Nefte attendono il segnale. Sull a sabbia si inscrive ancora lina volta il segreto imperituro .

Note l

« Le Message automatique »

(Point du ]our, N.R.F. ) .

III

27 aprile, avevamo deci­ so con i m iei amici J acques Hérold e Victor Brauner di salire insieme in cima all a Tour Saint J acques L'idea ci era venuta alcuni giorni prima, mentre finivo di raccontare loro un'avventura enigmatica c apitata a un giovane p ittore il quale me l'aveva riferit a - Jacques Halpern , che conosco da poco ma che considero eccezionalmente ispirato . Perché nulla dell'atmosfera che emana da quella avventura vada perduto, cerco di riprodurre di nuovo le sue stesse parole: « Quel giorno, uscendo da casa mia - egli abita all'inizio di Boulevard Sébastopol - avevo imboccato contrariamente al solito rue des Lombards e avevo girato all'angolo di rue

Nel pomeriggio di domenica scorsa

-

.

Saint-Denis. « Attraversavo rue de Rivoli qu ando il mio sguardo si posò con i nsistenza sulla Tour S ai nt-Jacques (abitando nelle vici­ nanze, in generale faccio poca attenzione a questo monu­ mento) . Le parole Tour Saint-]acques mi tormentarono fin quasi alla Place du Chatelet dove, di nuovo, mi sorpresi a fissare intensamente il numero dell'autobus che si inoltrava in rue S aint-Denis : era il 21 . In quell'istante suonarono le 3 al Palais de Just ice .

« L'impossibilità di pensare ad altro era dovuta al fatto che i diversi elementi tendevano imperiosamente a combinarsi tra loro :

Tour Saint-]acques, il 21, ore 3 . « Pareva quasi un messaggio (quando m e n e resi conto , all'angoscia che avevo provato fino a quel momento, subentrò un piacevole senso di sollievo) . Mi tornò spess o in mente, quel giorno ed i giorni successivi, e mi liberai dalla sua ossessione solo accordandogli un valore di appuntamento . Il desiderio e l'attesa del giorno fissato si m anifestavano ad ondate fulminee e distanziate .

« Venerdì 21 marzo 1 94 7.

- Dopo essere entrato nello

square Saint-J acques alle 3 meno 2 minuti , mi siedo davanti alla torre, dalla parte di avenue Victoria. « Passano alcuni minuti . Non riesco a distogliere lo sguardo dalla sommità delle torre se non a partire dal momento in cui vi scorgo del sangue. « Vedo allora un uomo che si dirige verso di me (ci siamo solo noi nel giardino) . No : se ne va. Si ferma un poco più lontano . Ritorna indietro . Mi guarda. Gli occhi sono di un azzurro strano, - umidi . Si siede, parla,

mi dà del

tu .

(Il

collo nella regione vertebrale mi si era fatto di pietra, sentivo un ronzio alle tempie) . L'età, la voce: indefinibili . « > .

Del resto le scritte,

nel loro

insieme ancora inedite in quel momento, erano ben più conturbanti . Consistono, infatti , nelle seguenti parole: nel m argine superiore, a sinistra « Cygne allem and » , al centro « feu

G

rare >> , con un piccolo tratto di collegamento che mette

in evidenza lo stretto rapporto tra la lettera G e l'aggettivo . Il passaggio dalla G al « geai » [ghiandaia] , come nella mia dedica, è chiaramente indicato, a destra , dal disegno somma-

rio

di

un uccello in gabbi a 4 • A partire da questa

G,

non posso,

per quanto mi riguarda, non rilevare nel ritratto la curiosa posizione dell'indice pensosamente appoggiato al mento, e che, nell'immagine, si trova proprio al di sotto della lettera. Ma sono certo che gli appassionati dell'opera di Rimbaud proveranno un fremito, scoprendo nel margine inferiore le parole: « Je suis l'autre » precedute da un punto interrogativo e quasi firmate da un esagramma a punto centrale (ad esso si limitano i segni cabalistici che secondo Aristide Marie « orne­ rebbero » il ritratto) . Il famoso « JE est un autre » della

du Voyant

Lettre

assume di colpo una profondità temporale inaspet­

tata e pone un problema di fonte che esige un completo chiarimento 5 • Il libro che era arrivato a me per vie così traverse e insolite (e poco tempo dopo che in un testo dal titolo « Devant le rideau » 6 mi ero apertamente interessato alla « cabala foneti­ ca ») mi riservava, del resto, un'altra sorpresa non meno sconvolgente. Cosi come, alla fine del l 940, da un lungo arti­ colo di giornale ispirato ai peggiori risentimenti del momento ero venuto a sapere che l'itinerario attribuito ai « vendicatori dei Templari » attraverso Parigi si identificava con quello che inconsciamente avevo seguito in compagnia di Nadj a, non ebbi nessuna difficoltà, guidato dall'esegesi di Jean Richer,

a

convincermi che in questo frangente, sul piano puramente simbolico , avevo camminato con Nerval lungo il solco dorato . Mélusine, Esclarmonde de Foix, la Regina di Saba, Iside, la Fanciulla inginocchiata, le bellissime nel loro ordine e nella loro unità ne resteranno le più sicure garanti . L'eterna giovinezza . « 1 808 blicazione della

Paris,

1-3

1 7 » : Nascita di Nerval . Pub­

Théorie des quatre Mouvements et des Desti­

nées générales. La mia sola

=

stella

vive . . .

maggio 1947.

Note l

CHARLES FOURJER ,

Traité de l'Association tùJ mestique agricole.

2

Di Jean Richer, Ed. du G riffon d'or, 1 9 4 7 .

3

Librairie Hachette.

4

« Gérard, nota Richer, ha cercato di imparare la 'lingua degli uccelli' sul dizio­

nario di Dupont de Nemours, che concerne del resto solo la 'lingua corvo' » .

5

D a quando sono state scritte queste ri ghe, cioè nell'intervallo di alcuni giorni, è

stato fatto un grande pass o in tal senso, con la pubblicazione di un testo capitale dal titolo La Symbolique de Rimbaud (Ed . du Vieux-Colombier) . Questo libro chiarisce definitivamente che l'influenza di Eliphas Lévi , di cui Viatte aveva dimostrato la onnipotenza sull'evoluzione di Hugo, si è esercitata in modo non meno preponde­ rante su Rimbaud . Da tempo ne avevo la convinzione, e l'avevo espressa ad Haiti, in una conferenza sulle « Origini occulte del Romanticism o » (gennaio 1946) , ma la Symbolique de Rimbaud ne fornisce la prova irrefutabile. Se non fossi fondamental­ mente contrario a mettermi in contatto con l'autore - ·che poco tempo dopo è risultato essere un giovane Gesuita - cercherei di incoraggiarne le ricerche nel senso della mia investigazione personale; stando così le cose, escludo di farlo. Q uando, s ubito dopo aver letto il libro, che non mi aveva ispirato nessuna diffidenza nei suoi confronti, accennai a questa investigazione sotto forma di dedica su una copia dell ' Ode già citata (attiravo la sua attenzione sul fatto che l'Abbé Constant, alias Eliphas Lévi, era stato in continuo contatto con la Librairie phalanstérienne e che il sim bolismo dei colori, prim a che in Rimbaud , aveva trovato precisa espressione in Fourier) , egli mi rispose:

« Avete posto un interrogativo estremamente vasto :

'Occorre cercare il capolinea ancora più lontano?' Credo di sì . Fourier e Lévi si inseriscono in una immensa corrente di pensiero che possiamo far risalire allo Zohar e che si diversifica nelle scuole illum iniste del XVIII e del XIX secolo . La ritroviamo alla base dei sistemi idealisti, anche in Goethe

e,

in generale, in tutti coloro che si

rifiutano di porre come ideale di unificazione del mondo l'identità matematica » ( 12 maggio 1947) . Vi ritornò sopra una settimana più tardi:

c Ho

trovato un documento

che voi forse conoscete . . . Baudelaire scriveva a Toussenel , credo: « il poeta è sovranamente intelligente, egli è la più

scientifica

l 'inteUigenza per eccellenza - e l'immaginazione è

delle facoltà poiché essa sola comprende l 'a na logia universale, o

quello che una religione mistica chiama la conispondenza . . . Un'idea mi preoccupa da quando ho cominciato il libro, è che voi siete un autentico ingegno, confuso in una setta. In fondo - cosa dovete a Fourier? Niente, o ben poco . Anche senza Fourier voi sareste stato quel che siete. L 'uomo che ragiona non ha aspettato che venisse in terra Fourier per capire che la Natura è un verbo, un'allegoria , un calco, un rilievo

se

volete. Questo lo sappiamo, e non è per merito di Fourier che lo sappiamo; lo sappiamo grazie a noi stessi , e ai poeti » . (Lettres, Mercure, 1908, p . 83) .

È

ovvio che

per me, l'op�izione di Baudelaire a Fourier è prima di tutto di ordine sociale ( « L'unico governo ragionevole e sicuro è l'aristocrazia ») , e non mi può, di conse­ guenza, impress ionare più di tanto . (l giugno 6

Catalogo dell' Exposition Internationale

1947) . du Su"éali8me, Galerie Maeght, 1947.

Appendice biobibliografica

Nota biografica

André Breton è nato a Tinchebray (Ome) il 18 febbr aio 1896. Il suo esordio letterario avviene nel 1914, quando sulla rivista « La Phalange » escono tre poesie (una è dedicata a V aléry) . Tra le letture di quegli anni : Mallarmé, i simbolisti, Rimbaud. A Parigi compie studi di medicina. Mobilitato, presta servizio nella Sanità. In uno dei centri neuropsichiatrici dove lavora come interno e dove speri­ menta le teorie di Freud, è ricoverato J acques Vaché; l'eccezionalità dell'incontro e le sue conseguenze decisive sono rievocate dallo stesso Breton: « Sans lui j'aurais peut-etre été un poète; il a déjoué en moi ce complot de forces obscures qui mène à se croire quelque chose d'aussi absurde qu'une vocation . . » (Les pas perdus) . Scopre Apolli­ naire. Collabora a « Nord-Sud » la rivista di Reverdy, importante riferiment o per i futuri surrealisti . Letture: J arry, Lautréamont, Baudelaire. La prima raccolta di poesie Mont de piété esce nel 1 9 1 9 ; in quello stesso anno fonda con Aragon e Soupault la rivista « Littérature » (il titolo, ironico, era nato da un'idea di V aléry) . « Littérature » fu l'organo parigino del gruppo Dada, ma dopo la rqttura con Tzara (« Lachez tout, lachez dada . », Les pas perdus) , Breton divenuto direttore unico riunisce intorno a sé tina serie di nuovi collaboratori (Eluard, Ribemont-Dessaignes, Arp, Picabia, Ernst, Péret, Riga ut) . Intorno a Breton si va formando intanto .

,

. .

il nucleo surrealista. Nel 1920, Les Champs magnétiques scritto con

Soupault, è il prodotto di una esperienza cardine di quel periodo: la scrittura automatica. Del 1921 è l'incontro con Freud a Vienna. Nel 1924 furono pubblicati : il primo numero di « Révolution Surréali­ ste » diretta da Naville e Péret e, dal 1925, da Breton; Les pas perdus, raccolta di scritti tra Dada e Surrealismo. È dello stesso anno il primo Manifeste du Surréalisme dove vengono proposti i temi, i metodi e le scelte del movimento: primato dell'immagina­ zione, del sogno, del desiderio, dettato automatico, poetica del merveilleux e dello hasard, nozione di rivolta, definizione del '« surreale » . A partire dal 1925 vi fu una convergenza tra il gruppo surrealista e il comunismo che si traduss e nella collaborazione dei surrealisti a « Clarté » e in un manifesto comune, La Révolution d'abord et tou;ours. La posizione di Breton è espressa in Légitime défense (1926) . La sua adesione al partito comunista (1927) non attenuò i contrasti ideologici e politici. Nel 1928 escono il sorpren­ dente e suggestivo Nad;a : testo, secondo le parole di Blanchot, sulla « rencontre de la rencontre » , e Le Surréalisme et la peinture, un saggio più volte ripubblicato con importanti aggiunte, fondamen­ tale per la comprensione della pratica e della riflessione surrealista nel campo delle arti figurative. Intorno alla fine degli anni '20, il movimento surrealista vive lacerazioni di ogni sorta che culminano in espulsioni e dissidenze (N aville, Soupault, Artaud, Vitrac, Que­ neau, Desnos, Leiris, Aragon) . All a crisi della sua leadership Breton reagisce con la pubblicazione di una nuova rivista « Le Surréalisme au service de la Révolution » (1930- 1933) . Nel corso degli anni '30 escono Les Vases communicants (1932) e L 'A mour jou ( 1937) in cui trova ulteriore espressione creativa la compless a ricerca bretoniana, e la raccolta di interventi teorici Point du ;our (1934) . Con Position politique du Surréalisme ( 1935) Breton motiva il dissenso che lo porta a lasciare il partito. Collabora nel frattempo anche a « Mino­ taure » ( 1933-1939) . Durante un viaggio in Messico incontra Diego Rivera e Trockij e con essi firma il manifesto della Fédération de l'art révolutionnaire indépendant, Pour un art révolutionnaire indépendant. Nel 1940 esce, ostacolato dalla censura di Vichy, L 'Anthologie de l'humour noir. Nel 1941 Breton si reca negli Stati Uniti : l'esilio, alquanto sofferto sul piano etico-politico, si rivela

proficuo sul piano delle idee e delle iniziative . Insieme con Du­ champ e Max Ernst dà vita all a rivista « VVV » , tiene una impor­ tante conferenza agli studenti di Yale (1942) , pubblica Arcane 1 7 (1944) . Ritorna a Parigi nel 1946. Vengono intanto ripubblicati i Manifesti a cui si aggiungono i Prolégomènes à un Troisième manifeste du SuN"éalisme ou non. L'Ode à Charles Fourier (1947) riprende la rivendicazione lirica dei valori dell•utopia sul terreno della critica sociale. Il volume Poèmes (1948) contiene una vasta scelta delle varie raccolte poetiche pubblicate in precedenza. L'ul­ tima parte dell'itinerario bretoniano è caratterizzata da una serie di interventi in campo non solo culturale ma anche politico, e dal tentativo di prolungare lo spirito dell'avventura surrealista attra­ verso la formazione di gruppi più o meno minuscoli riuniti intorno a pubblicazioni e riviste come « Néon » , « Médium » , « Le Surréalisme meme » , « Bief » , « La Brèche » , « L'Archibras » . Alla fine dell'estate del 1966 Breton è colpito da una crisi cardiaca : muore il 28 settembre successivo . È sepolto al cimetière des Batignolles accanto a Benjamin Péret. La biografia intellettuale di Breton non si esaurisce nelle sue opere e nella risonanza che hanno tuttora nella nostra cultura, ma offre la testimonianza di una sfida critica e propositiva capace di dilatarsi oltre i limiti di una singola genera­ zione e oltre le forme specifiche dei linguaggi artistici.

Opere di Breton pubblicate in volume

Mont de Piété, Paris, Au Sans Pareil, 1919. (con Ph. Soupault) , Les Champs magnétiques, Paris, Au Sans Pareil, 1920 . Clair d e terre, Paris, Collection Littérature, 1923 . Les Pas perdus, Paris, N . R . F . , 1924 . Manifeste du Surréalisme. Poisson soluble, Paris, Editions du Sagittaire chez Simon Kra, 1924 . Légitime défense, Paris, Editions Surréalistes, 1926. lntroduction au discours sur le peu de réalité, Paris, N . R . F. , 1927 . L e Surréalisme et la peinture, Paris, N . R . F . , 1928 (nuova ed . ampiamente accresciuta, Paris, Gallimard, 1965) . Nadfa, Paris, N . R.F. , 1928 . (con Paul Eluard e René Char) , Ralentir Travaux, Paris, Editions Surréalistes, 1930 . Second Manifeste du Surréalisme, Paris, Kra, 1930 . (con Paul Eluard) , L 'Immaculée Conception, Paris, Editions Sur­ réalistes, 1930. L 'Union libre, senza nome dell'autore né dell'editore, Paris, 1931 . La R evolver à cheveux blancs, Paris, Editions des Cahiers libres, 1932 . Les Vases communicants, Paris, Editions des Cahiers libres, 1932 . Misère de la poésie - L 'cc Affaire Aragon '' devant l'opinion publi­ que, Paris, Editions Surréalistes, 1932.

Qu 'est ce que c 'est que le Surréalisme?, B rux el l es, René Henriquez, 1 934 . Point du four, Paris, N . R . F. , 1934 . L 'Air de l'eau, Paris, Editions des Cahiers d'art, 1934 . Position politiq u e du Surréalisme, Paris, Editions du Sagittaire, 1935 . Au lavoir noir, Paris, G . L . M . (Guy L évis Mano) , 1936. (con Paul Eluard) , Notes sur la poésie, Par is , G . L . M . , 1936. Le Chéìteau étoilé, Paris, Editions Minotaure, 1937. L �mour fou, Paris, N . R . F. , 1937. Trajectoire du reve. Documenta recueillis par André Breton , Paris, G . L . M . , 1938 . (con Paul Eluard) , Dictionnaire abrégé du surréalitm e, Paris, Editions G alerie Beaux-Arts, 1938 . Anthologie de l'humour noir, Paris, Editions du S agittaire, 1940. Fata Morgana, Buenos Aires, Editions des Lettres françaises, 1942. Arcane 1 7, New York, Bret ano s, 1944 . Situation du Surréalisme entre les deux guerres (conferenza tenuta agli studenti francesi delYUniversità di Yale nel 1942) , Paris­ Alger, Editions de la Revue Fontaine, 1945 . Young cherry trees secured against hares. !eunes cerisiers garantis contre les li èvres (ed . bilingue) , New York, View Editions, 1946. Yves Tanguy (ed . bilingue) , New York, Pierre Matisse , 1946. Ode à Charles Fourier, Paris, Editions de la Revue Fontaine, 1947. Martinique charmeuse de serp ents , Paris, Editions du Sagittaire, 1948. La Lampe dans l'horloge, Paris, Editions Robert Mario, 1948 . Poèmes, Paris, N . R . F . , 1948 (ampia scelta dalle raccolte poetiche precedenti) . Flagrant délit, Paris, Editions Thésée, 1949 . Au regard des divinités, Paris, Editions Messages, 1949 . E n tretiens , Paris, Gallimard, 1952. La Clé des champs, Paris, Editions Sokolova, 1953. (con Lise Deharme, Julien Gracq e Jean Tardieu) , Farouche à quatre feuilles, Paris, Grasse t, 1954. (con Gérard Legrand) , L 'Art magi q ue, Paris, Club Français du Livre, 1957. Constellations, New York, Pierre Matisse, 1959 (introduzione e 22 testi che accompagnano altrettanti guazzi di Joan Miro) . Poésie et autre, Paris, Le Club du Meilleur Livre, 1960 (scelta di testi presentati in ordine cronol ogico da Gérard Legrand) . Perspective cavalière, Paris, Gallimard, 1970 (scelta postuma di testi critici, a cura di M arguerite Bonnet) . -

-

'

Traduzioni italiane

Storia del Surrealismo, Milano, Schwarz, 1964, vol . I (Entretiens) . Il Surrealismo e la pittura, Firenze, De Marchi, 1966. Manifesti del Surrealismo, seguiti da Lettera alle veggenti, Posi­ zione politica del Surrealismo (estratti) , Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo o no, Del Surrealismo nelle sue opere vive, trad. di Liliana Magrini, introduzione di Guido Neri, Torino, Einaudi, 1966. Poesie, con il testo originale a fronte, trad. di Giordano Falzoni, con una nota di Guido Neri, Torino, Einaudi, 1967. Antologia dello humour nero , a cura di Mariella Rossetti e Ippolito Simonis, Torino, Einaudi, 1967 . ANDRÉ

BRETON

ANDRÉ

BRETON

e PAUL ELUARD , L 'immacolata concezione, trad. di Giorgio Agamben, Milano, Forum editoriale, 1968. e PH . SOUPAULT, S 'il VOUS plait e Vous m 'oublierez, in Teatro Dada, a cura di G . R . Morteo e L Simonis, Torino, Einaudi, 1969 .

Nad;a, trad. d i Giordano Falzoni, con una nota di Lino Gabellone, Torino, Einaudi, 1972. L 'A mour fou, trad. e nota di F. Albertazzi , Torino, Einaudi, 1974.

Ampi estratti dalle opere di Breton si trovano in Per Conoscere Breton e il Surrealismo, a cura di lvos Margoni, traduzioni di Liliana Magrini, Concetta Scognamiglio, Giordano Falzoni, Mi­ lano, Mondadori , 1976. È riportata, tra l'altro , la traduzione a cura di Concetta Scognamiglio della prima parte di Arcane 1 7, pp . 672-695 . Point du ;our, a cura di Sandro Toni, Bologna, Cappelli, 1983. Diversi testi di Breton e di altri surrealisti si trovano inoltre in Storia del surrealismo, Milano, Mondadori, 1973.

MAURICE NADEAU,

Studi su Breton pubblicati in volume (scelta)

ALEXANDRIAN

SARANE ,

André Breton par lui-meme, Paris, Seuil,

197 1 . Breton, Paris, Gallimard, 1970 . BALAKIAN ANNA, André Breton Magus oj Surrealism, New York, Oxford Univ. Press , 1971 . BÉDOUIN JEAN-LOUIS, André Breton , Paris, Seghers, 1950 . BINNI LANFRANC O , Breton, Firenze, La Nuova Italia, 197 1 . BONNET MARGUERITE, André Breton et la Naissa nce de l'aventure surréaliste, Paris, J . Corti, 1975 . BROWDER CLIFFORD , André Breton , Arbiter oj Surrealism, Genève, Droz, 1967. CARROUGES MICHEL , André Breton et les données jondamentales du surréalisme, Paris, Gallimard, 1 950. CRASTRE VICTOR, André Breton, Paris, Arcanes, 1952. - , Trilogie surréaliste - Nadja, Les Vases communicants, L 'Amour jou, Paris, Société d'édition d'enseignement supérieur, 1971 . DUROZOI c . e LECHERBONNIER B . , André Breton, Paris, Larousse, 1974. EIGELDINGER MARC (a cura di) , André Breton, Essais et témoignages, Neuchatel, La Baconnière, 1970 2 (saggi di Péret, Paulhan, Car­ rouges, G. Schaeffer, A. Rolland de Renéville, Gracq, Eigel­ dinger, Crastre, H . Pastoureau, B . Gheerbrant; testi di André Breton) . AUDOIN PHILIPPE ,

GALATERIA

DARIA,

Invito alla lettura di Breton, Milano, Mursia,

1977. GRACQ JULIEN,

André Breton, quelques aspects de l'écrivain, Paris,

J. Corti, 1948. André Breton et le mythe, Paris, J . Corti , 1985. MARCONI IVOS (a cura di) , Per conoscere Breton e il surrealismo, Milano, M ondadori, 1976. > d �rcane 1 7, c< Mélu­ sine » , n. 2, 1981 (numero monografico su Occulte-occultation) , pp. 152- 174; PASCALINE MOURIER-CASILE , Mélusine OU la triple en phase: Fée, Lilith, "Phé dans Arcane 1 7, « Mélusine » , .ci t. , pp . 175-202. ANNA BALAK IAN ,

Letture astrologico-numerologiche: LYDIE CHANTRE LL ,

Arcane 1 7, « Les Pharaons » , 24, 1975, pp . 1 1 - 16;

Breton dans la joret des signes, in Aspects ésotériques de l'oeuvre littéraire, Paris, Dervy-Livres, 1980, pp. 287-294 .

JEAN RI CHE R ,

Analisi testuali: BAN C Q UART , Lecture d 'Arcane 1 7 , in AA . vv . , Le Surréalisme dans le texte, Publications de l'Univ. de langues et lettres de Grenoble, 1978, pp. 28 1-292 (analisi di un brano tratto dal paragrafo 17) ; JEAN-DANIEL GOLLU D , Arcane 1 7, in AA . vv . , Le Surréalisme dans le texte, cit. , pp 297-307 (analisi del primo paragrafo) ; GEORGES MARY , Mélusine, ou le lieu d'un change. La dynamique des jigures dans «Arcane 1 7 » , « Poétique » , 60, novembre 1984, pp. 489-498 . MARIE-CLAIRE

.

Per il rapporto di Breton con la cultura catara: NELLI, Des Troubadours à André Breton, « Cahiers du Sud » , 309, 1951 , pp . 303-309; ANNA BALAKIAN , André Breton et l'héritage mediterranéen, in AA.vv Actes du VIe Congrès de l'Association lnternationale de Li ttérature Comparée, Erich . B ieber , Stuttgart , 1 97 5 , pp. 561-564 .

RENÉ

..

Per il tema della donna bambina: « Obliques » , 14-15, 1 977 (numero dedicato alla Femme surréalis­ te) , in particolare: GÉRARD LEGRAND , A propos de la Femme­ enjant: contribution à une typologie de la jemme surréaliste, pp . 9-12; JEAN PFEIFFER, La Médiatrice, pp. 13- 17; ROBERT B RÉ ­ CHO N , Le Mythe de la jée Mélusine, pp . 33-38; e,

in termini di accesa contestazione:

SIMONE

DE BEAUV OIR,

·voli . ;

Le Deuxième sexe, Paris, Gallimard, 1949 , 2

·

Surréalisme et sexualité, Paris, Gallimard, 1971 (tr . it. Surrealismo e sessualità , Milano, Sugar Editore, 1973) .

XAVI È RE GAUTHIER,

Interessanti spunti critici e polemici di discussione sulla posizione etico-politica di Breton in Arcane 1 7 sono espressi in: SEGHERS , Quelques poètes, « Poésie 47 » , n. 37, janv. -fév. 1947, pp . 126- 133.

PIERRE

Altri contributi critici (scelta) : HENE I N , André Breton, Arcane 1 7, « Valeurs » , 5, avril 1946, pp . 88-91; ETIEMBLE , André Breton, Arcane 1 7, « Valeurs ll , 5, avril 1946, pp . 91-93; GEORGES BATAILLE, Le Surréalisme et sa différence avec l'existentia­ lisme, « Critique » , I, 2, juillet 1946, pp. 99- 1 10; MICHEL BEAUJ O UR , André Breton ou la trasparence, postfazione a A. , B R E T O N , A rcane 1 7 enté d 'ajours , Paris , U . G . E . , 1 9 65 , pp . 161- 183; MICHEL BEAUJOUR, André Breton mythographe, in AA . V V . , André Breton, Essais et témoignages recueillis par Mare Eigeldinger, Neuchàtel, La Baconnière, 1970, pp. 221-240; ANNA BALAKIAN, Arcane 1 7, in André Breton Magus of Surrealism, New York, Oxford Univ. Press , 197 1 , cap. XIII ; MARIE-CLAIRE BANCQUART , Surréalisme et génie du lieu, « Cahiers du XXe siècle }} , 4, 1975, in particolare pp. 84-88; MICHELINE TISON BRAUN , Scientist and Poet: Two Views of Chance, « Dada/Surrealism » , 7, 1977, pp . 66-75 (analisi comparata di due brani incentrati su descrizioni paesaggistiche, tratti rispettiva­ mente da Lévi-Strauss, Tristes tropiques e Breton, Arcane 1 7) ; DANIELLE DELTE L , Visions et imagination dans Arcane 1 7 de Breton. Une transmutation éblouissante, « Annales de la Fac. cles Lettres et Sciences humaines de Yaoundé }} , IX, 1979, pp. 103- 1 17; MARe E I GE LDINGER , Structures mythiques d'Arcane 17 e Poé.Yie et langage alchimique chez André Breton, in Lumières du mythe, Paris, P. U . F . , 1983. GEORGES

Note al testo

pagina 16 Arshile Gorky

« Vosdanig Adoian, detto Arshile Gorky, nato a Khorkom Vari (Armenia turca) nel 1905, dopo un'infanzia povera si trasferì negli Stati Uniti. Professore di disegno, era un onesto discepolo di Picasso quando l'arrivo di Breton, durante la guerra, determinò in lui una spinta verso nuove ricerche » . (René Passeron, His to ire de la peinture surréaliste, Paris, Les Livres de Poche, 1968) . A proposito dell'opera di Gorky, Breton scrive nel 1945: « Per la prima volta la natura viene trattata come un crittogramma sul quale le impronte sensibili anteriori dell'artista appongono la loro griglia, alla scoperta del ritmo stesso della vita » . (Le Surréalisme et la peinture) . Dopo essere stato vittima di un disastroso incidente automobili­ stico, Gorky si uccise nel 1948 . pagina 18 Alouette, gentille alouette

Allusione alla canzone popolare. Breton modifica il secondo verso che nell'originale è: « Alouette, je te plumerai » . pagina 18 Fez

Città del Marocco: all'epoca era un posto pieno di cicogne.

pagina 20 Sade

La sigla che per Breton evoca il marchese de Sa de corrisponde in questo caso a: « Soc . aux. de distribution d'eau » . pagina 21 Né Dio né padrone

degli anarchici. La formula fu coniata da Auguste Blanqui che nel 1880 pubblicò un giornale così intitolato, e pochi anni dopo fu adottata dagl i ana rchici . Motto

pagina 22 Charonne

e Malakojj Luoghi della Parigi popolare situati nella banlieue. pagina

24

Virgile ]osz Letterato e critico d'ar te francese (1859-1904) . È noto soprattutto per gli studi su Fra gonard e W atteau . Breton trae la citazione da Wa tteau, moeurs du X VIII" siècle, Pa ri s , Mercure de Fr a nce, 1903 .

pagina 26 Moustiers-Sainte-Marie

IL villaggio (m. 631) è diviso in due parti da una sorta di crepaccio i cui bordi sono collegati da una catena in ferro battuto chiamata « chaine de l'Etoile » lunga 227 m etri . Sospesa a metà della catena d i ferro si trova una stella dora ta dall'origine ignota. L 'i po tesi più verosimile è che si tratti dell'ex-voto di un ba rone di Blacas, fatto prigioniero ne lla battaglia di D amiette (73 croci ata , 1249) . Inform azi oni desunte da: Guide bleu, Provence- Cote d 'azur, Paris, Hachette, 1964 . pagina 27 Trovare il luogo

e

la formula

Citazione da Vagabonda, un tes to delle Illuminations di Rimbaud: « J'avais en effet, en toute sincérité d'espri t, pris l'engagement de le re ndre à san état primitif de fils dtf Solei l , - et nous errions, nourris du v i n des cavernes et du biscuit de la route, moi pressé de trou ver le lieu et la formule » . pagina 27 Possedere la verità in un 'anima e in un corpo Citazione da Adieu , testo conclusivo di Une Saison en enfer di Rimb a ud: « Que parlais-je de m ain arnie! Un bel avantage, c'est que je p uis rire des

vieilles amours mensongères, et frapper de honte ces couples menteurs, - j 'ai vu l'enfer des femmes là-bas; - et il me sera loisible de posséder la vérité dans une éìme et un corps » . pagina 32 Benin

Civiltà africana sviluppatasi a partire dal XII secolo fino alla fine del XIX secolo; a Ovest del delta del Niger. Ne restano importanti testimonianze artistiche: statue, bassorilievi in bronzo, sculture d'avorio . Dopo il periodo coloniale il nome Benin è stato ass unto dall'ex Dahomey. pagina 33 ]ean-Henri Fabre

Studioso di scienze naturali e scrittore (1823-1915) i cui libri di divulgazione scientifica ebbero grande fortuna fino a tutta la prima metà del '900 . I suoi Ricordi di un entomologo sono stati riproposti di recente in una nuova t r aduzione (Torino , Einaudi, 1972) . pagina 34

I versi di Apollinaire sono tratti dalla poesia La ]olie Rousse (Calligram­ mes) .

pagina

36

Ricordati del vaso di Soisso ns

L 'aneddoto, divenuto proverbiale in Francia , è riportato da Gregorio di Tours: nella città di Soissons (Aisne) Clodoveo fracassò la testa a un guerriero franco che aveva preferito rompere un vaso piuttosto che resti­ tuirlo al vescovo di Reims . pagina 38 Cheval

Ferdinand Cheval, detto il postino. Architetto e scultore autodidatta (1836- 1924) . Impiegò trentatrè anni per costruire il suo stravagante Palais Idéal a Hauterives (Drome) . La sua opera fu una delle scoperte dei su rr ealisti che ne valorizzarono la vena fantastica. Una foto del Palais Idéal si trova fra le illustrazioni all'articolo di Breton, Le Message automatique, « Minotaure » , 3-4, 1933, pp. 55-67. Al Facteur Cheval è dedicata una delle poesie della raccolta Le Revolver à cheveux blancs. pagina 40 Civetta delle nevi Harjang, nel testo . Uccello rapace notturno dalle piume bianche che vive nelle regioni boreali . Nome scientifico nyctea . Di un harjang si parla in Indes Noires di Jules Verne. Un Harjang des neiges di Valentine Hugo si

trova al Musée Eluard a Saint-Denis.

pagina 42 Montségur

La fortezza di Montségur nel sud della Francia , nella quale si erano rifugiati gli albigesi, fu assalita e distrutta dai croci ati nel l244. Era l'ultima piazzaforte della setta catara . pagina 42 .Giulietta

Breton pensa al personaggio di Shakespeare, Sader

ma forse anche

alla Juliette di

pagina 43 Medaglie di Giuda

Il termine di botanica non trasmette il sottinteso ironico anti-cristiano di « se solderont en m onnaie de pape » elaborato a partire da « payer en monnaie de singe » (fare promesse vane a qualcuno a cui si deve del de n a ro) .

pagina

45

Mélusine Fata di una leggenda medievale radicata nel Poitou. È considerata la fon­ datrice del feudo di Lusignan. In lette ratura compare alla fine del XIV secolo, nel Ro m an de Mélusine di Jean d'Arras . Oltre a B reton, ha ispirato Goethe, Nerval , Franz Hellens. In Mélusine, condannata a trasformarsi periodicame nte in donna-serpent e trovano espressione il m i to rurale della fecondità e della fe rtilità, i temi dell'eterno femminino, del segreto, della Femme-fée . (J . Le Goff e E. Le Roy Ladurie , Mélusine maternelle et défricheuse, « A nnales » , M ai ao O.t 1971 ) . ,

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pagina 47 Temp erame nto di donna

Cfr. Remy de G ourmont, Le livre des m08ques, portraits symbolistes, gloses et docum en ts sur les écrivains d'hier et d'aujourd'hui (1896- 1 898) . pagin a 49 La donna-bambina

In ambito surrealista, la formula « femme-enfanh app are forse per la prima volta scritta da Dali nell'incisione che costituisce il frontespizio del Second Ma nifeste du SurTéalisme (1 930) . pagina 49 Balkis

Nome col quale, dal Corano in p oi, è designata la regina di

Sab a .

pagina 49 Bettina

Elisabeth Von Amim, detta Bettina Brentano (1785- 1 859) . Scrittrice, sorella di Clemens Brentano e moglie di Achim Von Arnim , fu la musa del romanticismo tedesco. pagina 68 Due stelle poste una sopra l 'altra

La prima figura corrisponde all'emblema cabalistico chiamato anche sigillo di Salomone: due triangoli equilateri formano una stella a sei punte in cui si inscrive il tetragramma divino . I due triangoli rappresentano l'unione dei principi generativi : Maschio e Femmina, Attivo e Passivo, Fuoco e Acqua, Spirito e Materia, Osiris e Isis . Questa figura ritorna negli Aiours di Arcane 1 7 col nome di « esagram ma » . La seconda figura corrisponde alla stella a otto punte. pagina 68 Hopi

Indiani d'America che Breton visitò nel 1 945 . pagina 70 Osiride è un dio nero

Formula iniziatica riportata sia da Eliphas Lévi, Histoire de la magie (1859) , che da Fulcanelli, Le Mystère des cathédrales (1957) . pagina 7 1 Cuori volanti

Si tratta dei Fluttering hearts di Marcel Duchamp, opera del 1936 che costituisce un esperimento nel campo delle illusioni ottiche. « Cuori volanti (che venne usato come copertina per i 'Cahiers d'Art') ottiene il suo effetto creando forti contrasti fra zone di colore contigue. Due cuori di carta azzurri e uno rosso, ognuno più grande del precedente, sono incollati uno sopra l'altro alternando i colori; si ha l'impressione che si distacchino dalla superficie della carta e volino verso lo spettatore» (A. Schwarz, La Sposa messa a nudo in Marcel Duchamp, anche, Torino, Einaudi, 1974 , p. 68) . pagina 72 Underground

Il termine designa qui la lotta clandestina, la Resistenza.

pagina 97 Jacques Hérold

Pittore francese di origine rumena, nato nel 1910. Aderisce al surrealismo nel 1934. Durante la guerra fa parte del gruppo L a main à plume. Breton lo definisce « bucheron dans une goutte de rosée » . (René Passeron, Histoire de la peinture surréaliste, cit . ) . pagina 97 Vietar Brauner

Pittore rumeno (1903- 1966) trasferitosi a Parigi nel l930 . Nel 1933 incontra i surrealisti. Dopo un soggiorno di quattro anni in Romania, nel 1938 è di nuovo a Parigi. È intorno a quella data che si situa la fase dei « crepuscoli » (La Vie intérieure e Chimère) . « Questo periodo di Brauner, uno dei più ricchi di poesia, risponde a certi slanci del surrealismo per la bellezza della femme-fée, per la ricerca della sintesi erotica o magica tra l'anima e il corpo, per i rituali occulti » . (René Passeron, op . cit . ) . pagina 97 ]acques Halpern

Faceva parte del gruppo dei « surréalistes révolutionnaires » a Parigi nel 1946-1948, che comprendeva Richard Mortensen, fondatore di Linie nel 1934 a Copenhagen, e Asger Jorn, uno degli ispiratori del gruppo Cobra . (René Passeron, op. cit . ) . pagina 100 Eloge de la Paress e

Il pamphlet di Paul Lafargue, socialista e genero di M arx, è intitolato in realtà Le Droit à la paresse (1 880) . pagina 101 L'espressione Cygne allemand (letteralmente « cigno tedesco ») suggerisce per omofonia la parola signalement, che significa « connotati » . L'espres­ sione success iva feu G rare si presta analogamente a essere letta feu Gérard, vale a dire « il fu Gérard » (de Nerval) . La parola geai (« ghiandaia») ha a sua volta un suono paragonabile a quello della lettera G con cui viene qui messa in rapporto. Nella stessa serie di assonanze vanno probabilmente inserite anche le formule ]e suis l 'autre ( «