Animo Possidere. Studi su animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico 9788892108196

"La ricerca si compone di tre capitoli. Nel primo si ricostruiscono in breve le diverse teorie emerse in dottrina s

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Animo Possidere. Studi su animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico
 9788892108196

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Dedica
Indice
Premessa
Introduzione
CAPITOLO I ‘ORTODOSSIA’ ED ‘ETERODOSSIA’ IN TEMA DI ANIMUS E POSSESSIO: UNA POSSIBILE ARMONIZZAZIONE
CAPITOLO II ANIMUS E POSSESSIO NEL PENSIERO GIURISPRUDENZIALE CLASSICO
CAPITOLO III LABEONE E LA POSSESSIO ANIMO RETENTA
INDICE DEGLI AUTORI
INDICE DELLE FONTI

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ANIMO POSSIDERE

Studi su animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico

In copertina:

Louis Janmot, Le Poème de l’âme - 16. Le vol de l’âme.

PAOLO FERRETTI

ANIMO POSSIDERE

Studi su animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico

G. Giappichelli Editore

© Copyright 2017 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it

ISBN/EAN 978-88-921-0819-6

Stampa: Stampatre s.r.l. - Torino

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/ fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

a Luca

2

Animo possidere

INDICE-SOMMARIO

pag.

Premessa

XI

Introduzione

XIII

CAPITOLO I

‘ORTODOSSIA’ ED ‘ETERODOSSIA’ IN TEMA DI ANIMUS E POSSESSIO: UNA POSSIBILE ARMONIZZAZIONE 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.

Animus e corpus: “i termini fondamentali della controversa materia del possesso” Animus secondo la ‘teoria ortodossa’ del possesso Animus secondo la ‘teoria eterodossa’ del possesso Una possibile armonizzazione delle due teorie: Labeone, Proculo e Nerazio Gaio e Pomponio Papiniano e Ulpiano Paolo

1 2 9 16 18 19 22

CAPITOLO II

ANIMUS E POSSESSIO NEL PENSIERO GIURISPRUDENZIALE CLASSICO 1.  Introduzione 2. Gaio 2.1. L’acquisto del possesso: animo possessionem adipisci non possimus

26  28 28

VIII

Animo possidere

pag. 2.2.

3.

4. 5. 6. 7.

8.

9.

Trebazio: la prima traccia di un acquisto del possesso in assenza di apprensione corporale 2.3. Labeone: l’acquisto animo del possesso di quaedam res 2.4. Proculo e Nerazio: l’acquisto animo del possesso del thensaurus 2.5. Nerva e Proculo: un altro caso di acquisto animo del possesso? 2.6. La conservazione animo del possesso degli immobili 2.7. Ancora Proculo e Nerazio: alle origini della conservazione animo del possesso degli immobili 2.8. La conservazione del possesso del servo fuggitivo Pomponio 3.1. La conservazione animo del possesso degli immobili 3.2. La conservazione animo del possesso degli immobili: ancora l’animus di non abbandonare il bene, ma di farvi ritorno 3.3. Proculo, Africano (Giuliano) e Pomponio: un caso di conservazione del possesso ‘senza animus’ 3.4. Nerva figlio e Pomponio: la conservazione e la perdita del possesso dei beni mobili, del servo fuggitivo e del servo (non fuggitivo) 3.5. Un testo verosimilmente interpolato Prima ricapitolazione: animus in Gaio e Pomponio Celso: alius quis clam animo possessoris intraverit Marcello: qui et corpore et animo possessioni incumbens Papiniano 7.1. Nec tamen eo pertinere speciem istam, ut animo videatur adquiri possessio 7.2. La conservazione del possesso corpore nostro e servi vel coloni corpore 7.3. La conservazione animo del possesso degli immobili 7.4. La perdita del possesso dei beni immobili 7.5. Nerva figlio e Papiniano: la conservazione e la perdita del possesso dei beni mobili Ulpiano 8.1. La conservazione sive corpore sive animo del possesso degli immobili 8.2. La conservazione animo del possesso dei beni immobili 8.3. La conservazione del possesso del servo fuggitivo 8.4. La perdita del possesso degli immobili 8.5. Un caso di perdita del possesso non animo, sed corpore 8.6. Il furto, l’eredità e il possesso, quae facti est et animi Seconda ricapitolazione: animus e corpus in Papiniano e Ulpiano

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Indice-sommario

IX 

pag. 10. Paolo 10.1. Il possesso nel liber quinquagensimus quartus ad edictum (D. 41,2,1). 10.2. Il possesso nel liber quinquagensimus quartus ad edictum (D. 41,2,3) 10.3. Segue 10.4. L’acquisto del possesso animo nostro e corpore nostro 10.5. L’acquisto del possesso animo nostro e corpore alieno 10.6. L’acquisto del possesso animo alieno e corpore alieno 10.7. L’acquisto del possesso animo 10.8. La conservazione del possesso animo nostro e corpore nostro 10.9. La conservazione del possesso animo nostro e corpore alieno 10.10. La conservazione del possesso animo alieno e corpore alieno 10.11. La conservazione animo del possesso dei beni immobili 10.12. La conservazione animo del possesso del servo fuggitivo 10.13. La perdita del possesso animo e corpore oppure animo solo 10.14. La perdita del possesso conservato animo 11. Terza, e ultima, ricapitolazione: animus e corpus in Paolo

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CAPITOLO III

LABEONE E LA POSSESSIO ANIMO RETENTA 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.

Ulpiano e un testo ‘non poco misterioso’ (D. 41,2,6,1) Un primo problema: retinet ergo possessionem is, qui ad nundinas abit Un secondo problema: verum si revertentem dominum non admiserit, vi magis intellegi possidere, non clam Le teorie del doppio possesso ‘anomalo’: la “possessio civilis” del proprietario e la “possessio naturalis” dell’occupante Segue. Il “ius possessionis” del proprietario e il possesso clam dell’occupante Segue. Il possesso incerto del proprietario e il possesso altrettanto incerto dell’occupante Le teorie del possesso esclusivo: il possesso animo del proprietario e il possesso clam e vi dell’occupante Segue. Il possesso clam dell’occupante (Labeone) contro il possesso animo del proprietario e il possesso vi dell’occupante medesimo (Ulpiano)

179 181 185 187 188 189 191 193

X

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pag. 9. Segue. Il possesso del proprietario e la detenzione dell’occupante 10. Alcuni indizi per una diversa interpretazione. La conservazione animo del possesso dei saltus: Proculo, Ulpiano, Papiniano e Paolo 11. La conservazione animo del possesso del fundus, dell’ager, della domus: Gaio, Pomponio, Paolo e Ulpiano 12. Ritorno a D. 41,2,6,1: Labeone citato da Ulpiano e la possessio animo retenta 13. Da Labeone a Proculo fino a Pomponio: un’ipotesi sugli sviluppi della possessio animo retenta

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Indice degli autori

205

Indice delle fonti

211

PREMESSA

Ogni libro ha una storia. La storia di questo libro ha origine nell’autunno di una decina di anni fa, allorché Pierpaolo Zamorani mi chiese la cortesia di sostituirlo, per un breve periodo, nelle lezioni di Diritto romano, lezioni che egli teneva, secondo una inveterata consuetudine, alternando lo studio di ‘Plebe genti esercito’ con quello di ‘Possessio e animus’. Era il preludio del suo anticipato congedo dall’Università e da un mondo che faticava sempre più a sentire, se non suo, quantomeno vicino. La richiesta, rivolta a me non per meriti, ma per un legame che da qualche anno si era fatto sempre più stretto, creò sentimenti contrastanti, gratitudine e timore allo stesso tempo. Gratitudine per la scelta del poeta romanista, come lo ha ben definito Arrigo Diego Manfredini 1, per la fiducia che riponeva affidandomi un tema a lui tanto caro, in cui ancora credeva e per cui continuava a battersi. Tuttavia, anche timore. Timore, perché del libro sul possesso – quello avrei dovuto spiegare – mai avevo approfondito l’impianto generale, pur avendolo sfiorato in qualche occasione e sentito parlare, tra l’altro non sempre bene. Sarei stato dunque all’altezza del compito? Sarei stato capace di seguirne i sottili ragionamenti e preparato a difenderlo da eventuali attacchi? Con questo stato dell’animo mi immersi nella lettura della monografia. Ricordo un susseguirsi di fonti e di esegesi legate l’una all’altra in un disegno sapiente, in cui tutto – o quasi tutto – sembrava ricevere la giusta collocazione. Ricordo un percorso affascinante e seducente, rispettoso dei testi, anche se talvolta eccessivamente rigido nel volervi scorgere il violento intervento di Giustiniano o di un precedente manipolatore. 1

A.D. MANFREDINI, Presentazione, in Per il 70° compleanno di Pierpaolo Zamorani. Scritti offerti dagli amici e dai colleghi di Facoltà, a cura di L. Desanti, P. Ferretti, A.D. Manfredini, Milano 2009, VII.

XII

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Poi la lettura terminò ed iniziarono le lezioni, al termine delle quali Pierpaolo Zamorani, come era solito fare, concesse agli studenti frequentanti un preappello e mi chiese di affiancarlo in commissione. Gli esami lo sorpresero, non tanto per l’ottimo esito degli stessi, quanto per la sincera condivisione, almeno così parve alla nostra ingenuità, che gli studenti manifestavano all’idea dell’animus quale entità esterna al possesso. Di questo era felice ed io, che mi sentivo come se avessi ‘passato’ l’esame, con lui. ‘Animo possidere’ nasce allora e da un senso di riconoscenza nei confronti di un professore che, con ‘animo’ gentile e umile, molto ha influito sulla mia formazione. Trieste-Ferrara, 19 marzo 2017

INTRODUZIONE

La ricerca si compone di tre capitoli. Nel primo si ricostruiscono in breve le diverse teorie emerse in dottrina sul significato e sul ruolo del termine animus in materia possessoria: dall’indirizzo ‘ortodosso’, che scorge nell’animus (insieme al corpus) un elemento costitutivo del possesso, all’indirizzo ‘eterodosso’, propenso a vedere nell’animus un fattore esterno e alternativo al corpus, mezzo attraverso cui possedere. Sempre nello stesso capitolo, si cerca di delineare, anticipando le conclusioni, come le due opposte interpretazioni possano trovare un momento di armonizzazione nel percorso seguito dalla giurisprudenza classica nell’elaborazione della nozione di possessio. Il secondo capitolo è dedicato all’approfondimento del percorso appena accennato. Lo studio è condotto ‘per giuristi’, ossia cercando di comprendere e di valorizzare il loro contributo riguardo al termine animus e alla formazione del concetto di possessio. Tuttavia, senza seguire in maniera rigorosa il criterio della successione cronologica, viene dato innanzitutto rilievo ai giuristi per i quali le fonti documentano un minimo di riflessione intorno alla complessa tematica, in particolare agli ambiti dell’acquisto, della conservazione e della perdita della possessio. Gli altri, poi, vengono inseriti nel piano dell’opera attraverso avanzamenti e retrocessioni temporali, a seconda del tipo di apporto offerto. Si inizia con Gaio e si prosegue con Pomponio, Papiniano, Ulpiano e, infine, Paolo. In questa cornice, come detto, trovano inoltre spazio Labeone, Proculo, Nerva figlio, Nerazio, Celso, Africano, Marcello e altri. Il terzo e ultimo capitolo concerne origini e sviluppi della possessio animo retenta. Il punto di partenza è un ‘misterioso’ testo di Ulpiano che cita Labeone [D. 41,2,6,1 (Ulp. 70 ad edict.)] a proposito del proprietario che, recatosi al mercato, si vede occupare la propria abitazione da un terzo. Il passo pone diversi problemi interpretativi, ma quello principale consiste nel fatto che Labeone ammetteva l’acquisto

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del possesso clam da parte dell’invasore e ne sosteneva la trasformazione da clandestino in violento nel momento in cui il medesimo invasore avesse proibito al proprietario di rientrare nell’immobile. Proprio in quest’ultimo passaggio sorge il problema. È infatti noto che deiectus poteva essere soltanto il possessore e tale non sarebbe forse stato il proprietario revertens, il quale avrebbe perso il possesso nel momento in cui il terzo si era immesso nel fondo lasciato incustodito. Le ipotesi avanzate in dottrina per trovare una possibile spiegazione al problema appena accennato, ossia al sorgere di una possessio vi nei confronti di un non possessore (e come tale non deiectus), hanno seguito due diverse strade: da un parte, si è parlato di un doppio possesso ‘anomalo’ – avrebbero posseduto sia il proprietario che l’occupante –, dall’altra, si è scritto di un possesso esclusivo – al possesso del proprietario sarebbe poi subentrato il possesso violento dell’occupante –. Nel lavoro si cerca di delineare una ulteriore ipotesi, la quale coinvolge non solo il momento originario della possessio animo retenta, ma anche i suoi possibili sviluppi. Chiudono il lavoro l’indice degli autori e delle fonti. Infine, desidero ringraziare Arrigo Diego Manfredini e Lucetta Desanti per la lettura del testo e i preziosi consigli.

CAPITOLO I

‘ORTODOSSIA’ ED ‘ETERODOSSIA’ IN TEMA DI ANIMUS E POSSESSIO: UNA POSSIBILE ARMONIZZAZIONE SOMMARIO: 1. Animus e corpus: “i termini fondamentali della controversa materia del possesso”. – 2. Animus secondo la ‘teoria ortodossa’ del possesso. – 3. Animus secondo la ‘teoria eterodossa’ del possesso. – 4. Una possibile armonizzazione delle due teorie: Labeone, Proculo e Nerazio. – 5. Gaio e Pomponio. – 6. Papiniano e Ulpiano. – 7. Paolo.

1. Animus e corpus: “i termini fondamentali della controversa materia del possesso” Et apiscimur possessionem corpore et animo, neque per se animo aut per se corpore… 1. E ancora Paolo: Ceterum animo nostro, corpore etiam alieno possidemus… 2. Il lessico di Paolo in tema di possesso è, come è noto, assai chiaro. Nella sua riflessione corpus e animus sembrano assurgere ad elementi costitutivi: dal loro sorgere e dal loro permanere dipende la vita della possessio 3. Tuttavia, è altresì noto che i termini corpus e animus hanno ricevuto in dottrina molteplici interpretazioni, a tal punto da far scrivere

1

D. 41,2,3,1 (Paul. 54 ad edict.).

2

D. 41,2,3,12 (Paul. 54 ad edict.).

3

Per una indicazione bibliografica sui vari aspetti della possessio, si veda, ad esempio, C.A. CANNATA, voce Possesso (Diritto romano), in NNDI XIII (1966), 323 ss.; A. BURDESE, voce Possesso (Diritto romano), in ED XXXIV (1985), 452 ss.; G. NICOSIA, voce Possesso nel diritto romano, in Dig. Disc. Priv. Sezione civile XIV (1996), 79 ss.; IDEM, Il possesso, I, Dalle lezioni del corso di diritto romano 1995-96, Catania 20082, 7 ss.

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a Pietro Bonfante che “la nozione del possesso è la più controversa nozione del diritto” 4 e che corpus e animus sono i “termini fondamentali della controversa natura del possesso” 5. La riflessione di Paolo, infatti, è il punto di arrivo di un lungo ed ininterrotto lavorìo giurisprudenziale, sul quale si è assistito ad un costante profluire di studi. Nonostante questo, l’intera storiografia in materia può forse essere distinta in due opposti indirizzi. Da una parte, l’indirizzo che, benché con diversi accenti e precisazioni, sostiene (sono ancora parole di Bonfante) la “teoria ortodossa del possesso” 6, imperniata sulla “ricostruzione ordinante savigniana del possesso come situazione di fatto modellata dall’elemento materiale del corpus e dall’elemento spirituale dell’animus” 7. Contrapposto a questo, un altro indirizzo storiografico 8, più recente e del tutto minoritario, il quale ha portato avanti una teoria che potremmo chiamare, in opposizione alla prima, ‘eterodossa’. Questo indirizzo nega, con varie e differenti letture, che corpus e animus siano elementi costitutivi del possesso, almeno fino ad un determinato momento, da alcuni individuato nella tarda età classica, da altri nell’età postclassica e giustinianea. Al dibattito appena accennato è opportuno dedicare una brevissima ricostruzione, per linee generali e senza alcuna pretesa di esaustività, per poi esporre, in forma di sintesi, alcune riflessioni sulla formazione del concetto di possessio, riflessioni che tendono ad una possibile armonizzazione dei due indirizzi appena visti.

2. Animus secondo la ‘teoria ortodossa’ del possesso Iniziamo dalla teoria ortodossa del possesso. Punto fermo da cui partire, cosa del resto a tutti nota, è il famosissimo Das Recht des Be4 P. BONFANTE, Corso di diritto romano, Parte I, Teoria del Possesso (Anno 1905-906 – Primo Semestre), Lezioni, Pavia 1906, 11, che così continuava: “… la genesi, la ragione della sua difesa, il più grande rovello della storia e della dottrina”. 5

P. BONFANTE, Corso di diritto romano, III, Diritti reali, Milano 1972 (rist. corretta della I ed., a cura di G. Bonfante e G. Crifò), 178. 6 P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 171. 7 A. MANTELLO, Tematiche possessorie e ideologie romanistiche nell’Ottocento italiano, in Recordationes. Riflessioni ottocentesche in materia possessoria, in Supplementum a SDHI 66 (2000), 128. 8

Si veda par. 3.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio



sitzes di Friedrich Carl von Savigny 9, “libro che ha aperto una nuova epoca” 10 grazie all’impostazione ‘binaria’ che ricostruisce il possesso come la somma di due elementi: l’uno materiale, il corpus 11, l’altro spirituale, l’animus domini. Dunque, la disponibilità materiale del bene, associata all’intenzione di comportarsi come il proprietario del medesimo bene, avrebbero connotato la fattispecie possessoria. Punto debole della teoria dell’illustre maestro si rivela fin da subito la nozione di animus domini. Tale animus, ricostruito sulla base di alcuni passi di Teofilo 12 in cui compare l’espressione yuxh\ despo/zontoj, si dimostra infatti inidoneo ad abbracciare le figure del precarista, del creditore pignoratizio e del sequestratario, né convincente appare l’artificio del possesso derivato. Da qui il sorgere di vari indirizzi interpretativi, volti, tutti, a tentare di armonizzare i tre casi appena menzionati con il requisito soggettivo che, al di là della sua criticata configurazione, resta comunque saldo. Alcuni 13 preferiscono leggere i casi del precarista, del creditore pignoratizio e del sequestratario come ipotesi eccezionali di possesso privo di animus domini; altri 14, invece, avanzano una spie9 La prima edizione apparve nel 1803; l’ultima, la settima e curata da A.F. Rudorff, nel 1865 (a questa faccio riferimento nelle successive citazioni). Su questo lavoro e, più in generale, sull’opera di Savigny, si veda, da ultima e con ricca bibliografia, C. VANO, Della vocazione dei nostri luoghi. Traduzioni e adattamenti nella diffusione internazionale dell’opera di F.C. von Savigny, in Historia et ius 10 (2016), 1 ss. (cito dall’ediz. tratta da www.historiaetius.eu). 10

C. FADDA, Il possesso, Lezioni, Napoli 1911, 5.

11

Nota, tuttavia, G. NICOSIA, Il possesso, cit., 36 n. 16, che Savigny impiega “costantemente il termine ‘Factum’ e solo una volta, e del tutto occasionalmente, a proposito dell’acquisto del possesso dice ‘corpus oder Factum’”. Sul punto, si veda anche I. PIRO, Damnum ‘corpore suo’ dare. Rem ‘corpore’ possidere. L’oggettiva riferibilità del comportamento lesivo e della possessio nella riflessione e nel linguaggio dei giuristi romani, Napoli 2004, 223 ss. 12 ParI. 2,9,4; 3,29,2. In D. 6,2,13,1 (Gai. 7 ad edict. prov.) si legge: eo animo… ut credat se dominum esse; in D. 9,4,22,1 (Paul. 18 ad edict.): … licet enim iuste possideant, non tamen opinione domini possident; infine, in C. 6,2,21,3 (Imp. Iustinianus A. Iuliano pp.): Cum igitur bona fide possessor domini cogitatione furem possidet … . 13 Cfr., ad esempio, F.K. ROSSHIRT, Zu der Lehre vom Besitz und insbesondere von der quasi-possessio, in ACP 8 (1825), 1 ss.; C.F.F. SINTENIS, Beiträge zu der Lehre vom juristischen Besitz überhaupt, und dem Pfandbesitz im Besondern, in Zeitschrift für Civilrecht und Prozeß 7 (1834), 223 ss. e 414 ss. 14

A dare origine a questo indirizzo storiografico è stato I. ALIBRANDI, Teoria del possesso secondo il diritto romano, Roma 1871, ora in IDEM, Opere giuridiche e storiche del prof. Ilario Alibrandi, raccolte e pubblicate a cura della Accademia di conferenze

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gazione volta ad individuare nella evoluzione storica la possibile causa dei possessi cosiddetti derivati 15. Altri 16, ancora, pensano di risolvere l’antinomia intervenendo sulla nozione di animus, dilatandola al punto da ricomprendervi anche le ipotesi di possesso che Savigny qualifica come derivato. Tra questi ultimi, ma con significative differenze, Rudolf von Jhering 17 ricopre un ruolo di assoluto rilievo. L’autorevole studioso, instorico-giuridiche, I, Roma 1896, in particolare 225 ss.: “Quanto all’altro elemento animi, questo presso gli antichi non si trova espresso che colle voci animus possidendi, ovvero affectus o propositum possidendi, affectus tenendi, animus retinendi: il che non dice altro, se non che il detentore della cosa non debba essere come un automa, ma che abbia volontà e intenzione di fare quello che fa. L’espressione animus dominantis, che sarebbe stata acconcia per indicare quello che voleva il Savigny, cioè l’intenzione di esercitare la proprietà, non si trova presso gli antichi. Essa comincia soltanto a trovarsi presso i greci colle parole yuxh\ despo/zontoj, che esprimono a meraviglia la cosa; poiché l’animo di padroneggiare prescinde dalla qualità del possesso, sia giusto sia ingiusto, mentre l’animus domini menzionato dagl’interpreti posteriori non ha lo stesso valore ... perché se gli antichi avessero presupposto l’animo di padroneggiare e di esercitare un dominio in ogni vero possessore, non avrebbero potuto considerar come tale il concessionario di un fondo pubblico, né il creditore pignoratario” (227 s.). 15 Altri studiosi [E.I. BEKKER, Das Recht des Besitzes bei den Römern, Leipzig 1880; F. KLEIN, Sachbesitz und Ersitzung, Berlin 1891; C. FERRINI, Manuale di Pandette, IV ediz. curata ed integrata da G. Grosso, Milano 1953 (I ediz. 1900), 237 ss.], invece, ricostruiscono l’istituto pensando ad una contrapposizione tra Sabiniani e Proculiani. Mentre questi ultimi avrebbero superato la teoria delle causae e formulato quella dell’animus, i Sabiniani avrebbero accettato l’indirizzo seguito in età repubblicana: “... concediamo ben volentieri che i giuristi repubblicani confondessero casi di detenzione e di possesso (esse in possessione e possidere: v. l’attestazione di Paolo. Fr. 3, § 23 D. 41,2) e che nei vecchi trattati non si desse una dottrina dell’animus possidendi in genere, ma si esponesse una serie paradigmatica di cause di possessio per alium. Questo è conforme al generale indirizzo della dottrina e sembra che (nella forma almeno) vi si attenessero in ispecie anche i sabiniani” (C. FERRINI, Manuale di Pandette, cit., 239 n. 2). Cfr., su questa posizione, anche G. BAVIERA, Le due scuole dei giureconsulti romani, Firenze 1898, 65 ss.; G.L. FALCHI, Le controversie tra Sabiniani e Proculiani, Milano 1981, 61 ss.; M.G. SCACCHETTI, Note sulle differenze di metodo fra Sabiniani e Proculiani, in Studi in onore di A. Biscardi, V, Milano 1984, 390 ss. 16 Cfr., tra gli altri e con diverse sfumature, C.J. GUYET, Über den animus possidendi, Heidelberg 1829; L.A. WARNKÖNIG, Über die richtige Begriffsbestimmung des animus possidendi, in ACP 13 (1830), 169 ss.; C.J. GUYET, Noch einige Bemerkungen über den Begriff des animus possidendi, in Zeitschrift für Civilrecht und Prozeß 4 (1831), 361 ss.; W. BARTELS, Zweifel gegen die Theorie vom abgeleiteten Besitz, in Zeitschrift für Civilrecht und Prozeß 6 (1833), 177 ss. 17

R. JHERING, Über den Grund des Besitzesschutzes. Eine Revision der Lehre vom Besitz, Jena 18692; IDEM, Der Besitzwille. Zugleich eine Kritik der herrschenden juristischen Methode, Jena 1889.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio



fatti, accresce il concetto di animus – animus è la volontà di stare in un rapporto di dominazione, più o meno esteso, sulla cosa – a tal punto da cancellare, sotto l’aspetto soggettivo, ogni diversità tra possesso e detenzione, diversità che egli riconduce ad un dato oggettivo: le causae previste dall’ordinamento giuridico. Tuttavia, è bene sottolineare come anche l’opinione avanzata da Jhering, benché impostata in termini obiettivi, dia “come presupposta e conosciuta dai giuristi romani la nozione di animus possidendi, la presenza del quale, anziché essere negata, viene estesa a ogni ipotesi di detenzione” 18. “Eliminate le teorie intermedie” 19, sorgono nuovi orientamenti dottrinarii che si segnalano per il tentativo di cercare una possibile convivenza tra le ipotesi espresse da Savigny e da Jhering. In questo contesto, è opportuno evidenziare la posizione assunta da Salvatore Riccobono 20 il quale, approfondendo alcune idee già in precedenza apparse 21, distingue due fasi: una più antica, nella quale i giuristi avrebbero affrontato la questione del possesso attraverso il sistema oggettivo delle causae possessionis, ed una più recente, nella quale i giuristi – da Labeone a Paolo – avrebbero invece elaborato la nozione di animus 22. Ma lo studioso cui viene riconosciuto il merito di essere pervenuto a “risultati più o meno definitivi” 23 o, meglio, di aver risolto “il travagliato problema dell’animus” 24 è Pietro Bonfante 25. L’illustre autore, 18 Così P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo nelle situazioni possessorie del diritto romano classico, Padova 1998, 3. 19

P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 176.

20

S. RICCOBONO, La teoria del possesso nel diritto romano, in AG 50 (1893), 227 ss.; IDEM, Studi critici sui libri XVIII di Paulus ad Plautium, in BIDR 6 (1893), ora in IDEM, Scritti di diritto romano, I, Studi sulle fonti, Palermo 1957, 1 ss. 21 Cfr., ad esempio, H. DERNBURG, Entwicklung und Begriff des juristischen Besitzes des römischen Rechts, Halle 1883, 67 e n. 2; F. KNIEP, Vacua possessio, Jena 1886, 315 ss. 22 Ulteriori criteri di distinzione tra possessio civilis e possessio ad interdicta si rinvengono sempre in S. RICCOBONO, Zur Terminologie der Besitzverhältnisse [Naturalis possessio, civilis possessio, possessio ad interdicta], in ZSS 31 (1910), 321 ss; IDEM, La teoria romana dei rapporti di possesso. Le dottrine dei moderni e le legislazioni, in BIDR 23 (1911), 5 ss. 23

P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 5.

24

P. ZAMORANI, Possessio e animus, I, Milano 1977.

25

Cfr., tra i diversi lavori sul possesso, P. BONFANTE, Corso di diritto romano, Parte I, Teoria del Possesso, cit., 1 ss.; IDEM, Il punto di partenza nella teoria romana del possesso, in Studi senesi in onore di L. Moriani, Torino 1906, ora in IDEM, Scritti giuridici

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da un lato, mette a profitto le diverse interpretazioni che sottolineano lo sviluppo storico del possesso 26 e, dall’altro, conferma la costruzione ‘binaria’ avanzata da Savigny, correggendola sotto l’aspetto terminologico. Riguardo alla disponibilità del bene, infatti, parla di possessio corpore o corporalis 27, mentre rispetto all’elemento spirituale sostituisce all’animus domini l’animus possidendi o altre analoghe espressioni 28: “«... ai giuristi romani era estranea l’idea che l’animus domini costituisse il momento caratteristico del possesso giuridico» 29. La risposta è semplice per noi perché l’animus possidendi significa per l’appunto animus dominantis. Qualche obiezione si può fare all’animus domini, in quanto allude troppo apertamente ad una posizione giuridica; ma in qualunque rapporto e soprattutto in questo, non è alla posizione giuridica che nella vita ordinaria si vuol riferirsi, ma all’efficacia di fatto … l’animus del possessore è un’intenzione di padroneggiare, di signoreggiare la cosa, ma il possessore pensa tanto poco di riferirsi alla proprietà, quanto poco reputa bene spesso di aver acquistato il diritto di proprietà. Il romano che ha in mente il concetto che abbiamo posto della possessio, non può errare circa l’animus possidendi, non può aver in mente una limitata artificiosa costruzione distinta dall’intenzione signorile del proprietario” 30. In questo lungo dibattito non si possono infine dimenticare i penevarii, III, Obbligazioni comunione e possesso, Torino 1926, 516 ss.; IDEM, Corso di diritto romano, cit., III, 167 ss. 26 P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 222, il quale continua: “… così i due elementi [del possesso] sono di regola e dovevano apparire all’antica giurisprudenza come inscindibili, né l’animus possidendi in questa prima fase acquistava rilievo e autonomia. È possibile che l’elaborazione autonoma dell’animus possidendi sia stata opera della scuola Proculeiana. Certo essa ci appare con rilievo notevole e caratteristica applicazione in Labeone … in Proculo … in Nerva … e in Celso … Se agli ultimi giureconsulti e in particolare a Paolo si vuol attribuire un merito o una colpa, è quella di aver dato all’animus una posizione autonoma, che in alcune applicazioni doveva condurre, specialmente nel diritto giustinianeo, a staccare il possesso dalla sua posizione di fatto, cioè a rinnegare l’altro elemento, la possessio corpore, ammettendo fittiziamente la conservazione di un possesso perduto”. 27

P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 178 ss.

28

P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 188: “La terminologia delle nostre fonti è varia nelle forme, ma unica nel pensiero: animus possidendi, possidentis, possessoris, affectio possidendi, propositum possidendi, animus possessionem adipiscendi o retinendi, velle possidere, nolle possidere. È da escludere la forma affectio tenendi che si ha nella L. 1 § 3 D. 41,2”. 29

Qui Bonfante cita H. DERNBURG, Pandette3, § 172, n. 4, 409.

30

P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 189.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio



tranti studi di Giovanni Rotondi 31 e di Emilio Albertario 32 i quali, pur non mettendo in dubbio l’esistenza dei due elementi del possesso 33, introducono alcune precisazioni intorno allo sviluppo della nozione. Rotondi, come è noto, pensa che corpus e animus fossero considerati dall’antica giurisprudenza come un tutto inscindibile, non bisognosi di separazione in quanto sarebbe stato del tutto evidente che “senza volontà cosciente di possedere non c’è possesso” 34. L’animus avrebbe iniziato ad assumere una certa autonomia soltanto negli esponenti della scuola proculiana, al fine di giustificare alcune situazioni che presentavano qualche difficoltà, per poi emanciparsi in maniera definitiva con Paolo, la cui dottrina sarebbe poi stata approvata dai compilatori giustinianei, i quali “hanno accettato il dogma dell’animus nella dottrina generale del possesso e in quella dell’acquisto, della conservazione e della perdita” 35. Albertario arriva ad individuare tre distinte fasi. Nell’età arcaica e preclassica, l’autorevole studioso differenzia una possessio irrevocabile non protetta da interdetti, ma conducente all’acquisto della pro31 G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur. Contributo alla dottrina classica e postclassica del possesso e dell’animus possidendi, in BIDR 30 (1920), ora in IDEM, Studii varii di diritto romano ed attuale, Milano 1922, 94 ss. Ulteriori approfondimenti in materia di possesso anche in G. ROTONDI, Problemi giuridici in alcuni scolii di Teodoro Balsamone, in Atti della R. Accad. delle Scienze di Torino 50 (1914-1915), ora in IDEM, Studii, cit., 38 ss.; IDEM, La funzione recuperatoria dell’azione di manutenzione e la dottrina del possesso “solo animo”, in Riv. dir. civ. 6 (1918), ora in IDEM, Studi, cit., III, 257 ss. 32 E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, Milano 1939; IDEM, Corso di diritto romano. Possesso e quasi possesso, Milano 1946. Inoltre, cfr., ad esempio, alcuni dei numerosi lavori che, pubblicati a partire dal 1912, appaiono ora in E. ALBERTARIO, Studi di diritto romano, II, Cose – diritti reali – possesso, Milano 1941. Si veda ad esempio Il possesso (1932); La involuzione del possesso del precarista, del creditore pignoratizio e del sequestratario nel diritto postclassico giustinianeo; Possessio e detentio: nomh/ e katoxh/; In tema di classificazione del possesso; Distinzioni e qualificazioni in materia di possesso (1935); L’acquisto del possesso da parte dell’infante e del pupillo infantia maior; D. 41,2,8 e la perdita del possesso nella dottrina giustinianea (1929); I problemi possessorî relativi al servus fugitivus (1929); Un interessante testo di Giavoleno (D. 41,2,24 ex l. 14 epist.) (1915); Il possesso dell’usufrutto, dell’uso, della habitatio (1912); Il possesso delle servitù prediali; Vat. Fr. 90 (Contributo agli studi sulla origine della possessio iuris) (1931); Il possesso dello status. 33

G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 104: “Se la possessio corpore ... è un rapporto di fatto colla cosa tale da permettere di esercitare su di essa una piena signoria, l’animus non è che la volontà cosciente di trovarsi in tale rapporto o, se si vuole, l’intenzione di esercitare quella signoria ...”. 34

G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 106.

35

G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 167.

8

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prietà tramite usucapione 36, da una possessio revocabile e difesa da interdetti 37, nella quale non si può in alcun modo rintracciare un animus possidendi; infatti, “l’intenzione di possedere, cioè di signoreggiare la cosa indefinitamente nel tempo, urta contro l’essenza stessa del rapporto di precario, di pegno, di sequestro” 38. Soltanto in epoca successiva, da Quinto Mucio Scevola a Paolo, la possessio diviene quel “rapporto di dominazione di fatto, nel quale si detiene la cosa con l’intenzione di possederla per sé” 39, intenzione che poi in età postclassica si trasfomerà in animus domini 40. In questo lungo dibattito non si possono infine dimenticare le penetranti ricerche, oltre a quelle dei numerosi studiosi che si sono occupati di approfondire l’aspetto soggettivo della possessio 41, di Lauria 42, Möhler 43, Bozza 44, Burdese 45, Albanese 46, Castro Sáenz 47 e Capogrossi Colognesi 48. 36 È il caso della possessio che sorge in seguito alla alienazione di una res mancipi tramite traditio (E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 48 s.). 37 Si tratterebbe secondo E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 48, della “possessio dell’ager publicus, modellata sulla possessio dell’ager gentilicius concessa al precarista”, nonché il possesso del creditore pignoratizio e del sequestratario. 38

E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 54.

39

E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 57, il quale aderisce esplicitamente, richiamandoli, alle teorie di Savigny e di Bonfante. 40 Sulle ragioni di questa trasformazione (la riduzione dell’ambito del possesso disgiunto dalla proprietà, il venir meno della distinzione tra fondi italici e fondi provinciali, il mutare del possesso dei fondi tributari o stipendiari delle province in proprietà, la caduta definitiva del vecchio concetto del dominium ex iure Quiritium), si veda E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 63. 41

Cfr., F. PRINGSHEIM, Animus in Roman Law, in LQR 49 (1933), ora in IDEM, Gesammelte Abhandlungen, I, Heidelberg 1961, 300 ss. e 308 s.; G. MAC CORMACK, The Role of Animus in the Classical Law of Possession, in ZSS 86 (1969), 105 ss.; J.L. BARTON, Animus and possessio nomine alieno, in New Perspectives in the Roman Law of Property. Essays for B. Nicholas, Oxford 1989, 43 ss. F. EUGENIO, «Corpus possessoris», «corpus possessionis», «possessio». A propósito de D. 41,2,6,1 (Ulp., 60 ad Edictum), in Estudios en homenaje al profesor F. Hernandez-Tejero, II, Madrid 1992, 135 ss. 42 M. LAURIA, Note sul possesso, in Studi in onore di S. Solazzi, Napoli 1948, ora in IDEM, Studii e ricordi, Napoli 1983, 438 ss., che individua l’elemento soggettivo nella “volontà di chi dispone di escludere ogni altro dal suo godimento” (p. 450); IDEM, Possessiones. Età repubblicana, I, Napoli 1953, 1 ss. 43 R. MÖHLER, Der Besitz am Grundstück, wenn der Besitzmittler es verläßt, in ZSS 77 (1960), 52 ss. 44 F. BOZZA, La nozione della possessio, I, Epoca preclassica; II, Epoca classica, Siena 1964.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio



3. Animus secondo la ‘teoria eterodossa’ del possesso Per quanto concerne, invece, la cosiddetta ‘teoria eterodossa’ del possesso, occorre partire anzitutto da alcune riflessioni critiche mosse da Silvio Perozzi 49 alla costruzione ‘binaria’ del possesso e poi da Bruno Fabi 50, la cui originale intuizione, seppur in forma soltanto accennata e non adeguatamente supportata dal commento esegetico, può essere considerata l’antesignana di un nuovo indirizzo storiografico. Per comprendere la rilevanza dell’intervento dello studioso camerte in materia di animus, è bene ricostruire la cornice nella quale il 45 Tra i numerosi studi dedicati al possesso, si veda in particolare A. BURDESE, Sull’acquisto del possesso per intermediario, in Labeo 8 (1962), 407 ss.; IDEM, In tema di animus possidendi nel pensiero della giurisprudenza classica (a proposito di taluni recenti studi), in Studi in onore di B. Biondi, I, Milano 1965, 517 ss., in cui scrive (p. 534 s.): “In conclusione riteniamo si possa scorgere, dalle testimonianze proculeiane a quelle di Paolo, anziché il passaggio ad una concezione nettamente diversa dell’animus come vorrebbe il Cannata, puramente l’affermarsi di una più rigida teorizzazione scolastica del fenomeno”; IDEM, Possesso tramite intermediario e ‘possessio animo retenta’, in Studi in onore di E. Volterra, II, Milano 1971, 381 ss.; IDEM, Capacità naturale e perdita del possesso, in Sodalitas. Scritti in onore di A. Guarino, II, Napoli, 1984, 759 ss.; IDEM, voce Possesso, cit., 452 ss. 46 B. ALBANESE, Le situazioni possessorie nel diritto privato romano, Palermo 1985, 37 ss., il quale a p. 42 scrive: “… sembra da respingere una tesi più recente, secondo la quale i giuristi classici … tutte le volte che parlavano esplicitamente dell’animus nel possesso, non si sarebbero riferiti affatto in generale all’intenzione di possedere per sé … Al riguardo, ci sembra senz’altro da ammettere che i giuristi classici, incluso Paolo, in certe ipotesi di animo (solo; nudo; etc.) possidere … alludessero, con il termine animus, all’animus revertendi, pur senza qualificarlo espressamente in questi termini … Ma ciò non toglie che in altre ipotesi … gli stessi giuristi (incluso Paolo, naturalmente) attribuissero all’animus nel possesso un significato più ampio: quello appunto di «intenzione di tenere per sé»…”. 47 A. CASTRO SÁENZ, Concepciones jurisprudenciales sobre el acto posesorio: un ensajo sobre la evolución del en derecho romano, in Iura 52 (2001), 89 ss. 48

L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Nuovi orizzonti e antiche radici nel ‘Recht des Besitzes’di F.C. v. Savigny, in Proprietà e diritti reali. Usi e tutela della proprietà fondiaria nel diritto romano, Roma 1999, 183 ss., ora anche in Recordationes. Riflessioni ottocentesche in materia possessoria, in Supplementum a SDHI 66 (2000), 131 ss. 49 S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, I, Firenze 1906, 548 n. 4. Anche altri studiosi prendono le distanze dalla ‘tradizionale’ costruzione del possesso: si veda, per tutti, F.B. CICALA, Per la teoria generale del possesso secondo il diritto romano, Città di Castello 1925, 54 s. 50 B. FABI, Aspetti del possesso romano, Camerino 1946 (rist. anast. Roma 1972). Su questo studioso, rimando ad un mio lavoro: Bruno Fabi. Antesignano di un indirizzo storiografico in tema di possesso, in Modelli storiografici fra otto e novecento. Una discussione, a cura di F. Lucrezi e G. Negri, Napoli 2011, 221 ss.

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medesimo animus si collocava. Valorizzando la prospettiva storica, egli si propone innanzitutto di rintracciare “l’originario valore linguistico del vocabolo [possesso], e il rapporto sostanziale a cui per la prima volta esso fu applicato” 51. Al riguardo, crede che il rapporto sostanziale, che in epoca classica sarà denominato possessio, si celasse in antico sotto il termine usus e che il verbo possidere fosse impiegato per indicare fenomeni diversi, quali ad esempio l’occupatio bellica e la violenta invasione dell’ager publicus. A queste conclusioni perviene dopo aver messo a profitto alcune fonti letterarie, quali Plauto, Terenzio e Catone, nelle cui opere egli constata l’assenza del termine possessio e la rara presenza del verbo possidere 52, peraltro usato in varie accezioni 53. Anche nelle “fonti legislative … raramente si rinviene l’uso del verbo «possidere» o degli altri termini del possesso. Dove invece tali vocaboli abbondano … è nella Lex agraria” 54. Tuttavia, secondo l’autore, anche in questa testimonianza l’espressione possessio non aveva ancora assunto un significato astratto; al contrario, essa sarebbe stata utilizzata in senso materiale “equivalente ad «ager», «locus», «aedificium»” 55. Di questo conserverebbe traccia un passo di Festo – Possessio est, ut definit Gallus Aelius, usus quidam agri aut aedificii, non ipse fundus aut ager 56 ... –, dal quale traspare una definizione che “non poteva sorgere se non in chi fosse vicino o addirittura contemporaneo all’epoca in cui «possessio» aveva prevalentemente un significato concreto, e sentisse pertanto la necessità di sostenere ex novo il significato astratto del termine” 57. 51

B. FABI, Aspetti, cit., 5 s.

52

PLAUT., Amph. 458; Aul. 3 s.; Bacch. 386; Cist. arg. 11; Epid. 469; Most. 32; Poen. 1081; Trin. prol. 21; Truc. prol. 13. TER., Ad. 175; Andr. 948; Haut. 195; 969. In CATO, agr., invece, non appare mai il termine possidere. 53 B. FABI, Aspetti, cit., 12 ss. Da qui la convinzione che “il valore pregnante del verbo si sia attenuato (e allargato il suo campo di applicazione) già molto tempo prima dell’inizio del secondo secolo a. C.”, mentre “la scarsezza dell’uso e l’inesistenza del vocabolo astratto «possessio» sembrano confortare la ipotesi secondo la quale il termine verbale di cui trattasi e i suoi derivati dovrebbero ascrivere la loro creazione linguistica ad epoca piuttosto recente”. 54

Cfr. FIRA I2, 102 ss. Il che porta Fabi a pensare che “i romani conoscessero bensì il «possidere», ma ignorassero per contro la «possessio» (in senso astratto) come istituto giuridico di carattere generale e avente una sua autonoma struttura e costruzione” (pag. 18). 55

56

FEST., s.v. Possessio (L. 260).

57

B. FABI, Aspetti, cit., 19.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio

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Le prime novità si scorgono in Cicerone. Oltre alla “perfetta padronanza linguistica” con cui l’Arpinate impiega l’espressione possessio 58, segno dell’avvenuta formazione della categoria giuridica, emerge l’uso del verbo possidere in un nuovo valore, quello di illecita detenzione, di possesso di cosa sottratta con violenza, di materiale usurpazione del territorio altrui 59. E questo stato di fatto, cui sembrerebbero rinviare anche alcune assonanze linguistiche 60, avrebbe influito sul processo di formazione della nozione classica di possesso, permettendo di ravvisare il possidere in colui che avesse usato una cosa altrui senza avervi diritto. Altrimenti detto, se la possessio sostituì ad un certo momento l’usus, “non è escluso che, prima di ricomprendere «qualsiasi uso», «possidere» abbia piuttosto qualificato l’«uti», e lo abbia qualificato (...) quanto meno nel senso di cogliere in esso solo quel particolare «usus» che fosse corrispondente alla ‘detenzione di una cosa da parte di chi sulla cosa medesima non vantasse alcun diritto’” 61. In questa evoluzione della possessio, Fabi ritiene l’animus del tutto estraneo. Non dunque, come si era sostenuto fino ad allora, un elemento del possesso, bensì una ‘intenzione’ sorta “all’esterno del possesso, e in contrapposizione, e perfino in sostituzione della sua effettività” 62. L’animus, secondo lo studioso camerte, sorse come rimedio a situazioni nelle quali non si sarebbe potuto riconoscere il possesso, in quanto manchevoli del rapporto materiale con la cosa: “sembrò ingiusto che non possedesse – ad esempio – colui che avesse acquistato e posto sotto custodia la cosa, senza apprenderne la detenzione (come afferma Labeone in Giavoleno 63). Sembrò ingiusto che non possedesse colui che aveva abbandonato, con l’intenzione di tornarvi, un 58 Cfr., ad esempio, CIC., div. in Caec. 56; Quinct. 83; 84; Q. Rosc. 33; S. Rosc. 132; Verr. 1,12; 2,3,16; 2,3,70. 59 Cfr. CIC., Caecin. 2; leg. agr. 3,12; Quinct. 30; S. Rosc. 15; 24; 30; 32; 78; Verr. 2,3,27. Altre fonti citate da Fabi (pag. 27 ss.): Liv. 2,41,2; OV. trist. 4,4,46; TAC., hist. 4,73,3. 60 Praedium e praeda, praedo e possessor, praedium e possessio, usurpare e possidere. 61 B. FABI, Aspetti, cit., 40 s., che cita a sostegno (li indico nell’ordine in cui sono riportati): D. 50,16,115 (Iav. 4 epist.); D. 41,2,12,1 (Ulp. 70 ad edict.); D. 43,17,1,2 (Ulp. 69 ad edict.); D. 41,2,52 (Ven. 1 interd.); Gai. 2,93-94. 62

B. FABI, Aspetti, cit., 47.

63

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Labeonis).

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determinato territorio 64 (i «saltus»)” 65. E conclude: “Ciò significa, per dirla in brevi parole, che la prima menzione dell’«animus», proprio per la mancanza di un possesso effettivo corrispondente, non si riferisce a un elemento del «possidere», sibbene a una «intenzione» che ha per oggetto tutto il «possidere», ed è pertanto esterna ed anteriore ad esso” 66. Il successivo passaggio – la possessio animo e la possessio corpore da originari possessi effettivi ad elementi del possesso –, secondo Fabi, si sarebbe attuato soltanto con Paolo e avrebbe ricevuto compimento con i bizantini. Questi inserirono corpus e animus “in una costruzione dogmatica nel cui programma era la spiegazione in via generale di tutti quei casi che i precedenti giuristi avevano risolto singolarmente” 67. La “felicissima intuizione” 68 di Bruno Fabi, che non vede nell’animus un elemento del possesso, viene ripresa e approfondita alcuni anni dopo da autorevoli studiosi 69. Non ci sembra pertanto errato individuare nella riflessione dello studioso camerte il germe di un nuovo indirizzo storiografico il quale, emancipandosi dal forte condizionamento esercitato dalla dominante costruzione binaria della possessio, si caratterizza proprio per il fatto di configurare l’animus in contrapposizione al corpus o, addirittura, all’esterno del possesso. Con un lavoro apparso nel 1960 70, seguito da un altro a distanza di un anno 71, Carlo Augusto Cannata spezza il rapporto di necessaria complementarietà tra corpore possidere ed animus e lo sostituisce con 64 Cfr., in particolare benché non riferiti ai soli saltus, Gai. 4,153; D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.). 65

B. FABI, Aspetti, cit., 48 s. Altri passi citati dall’autore (pag. 49 n. 1): D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,18,3 (Cels. 23 dig.); D. 12,1,41 (Afric. 8 quaest.); D. 41,2,19,1 (Marcell. 17 dig.); D. 41,2,44,1-2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.). 66

B. FABI, Aspetti, cit., 50.

67

B. FABI, Aspetti, cit., 51.

68

Così definiscono l’intuizione di Fabi sia C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’ nel diritto romano classico, in SDHI 26 (1960), 83 n. 34, che P. ZAMORANI, Possessio, cit., 58 n. 7. 69

Tra questi, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 71 ss.; IDEM, Dalla nozione di ‘animo possidere’ all’‘animus possidendi’ come elemento del possesso (epoca postclassica e diritto bizantino), in SDHI 27 (1961), 46 ss.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 1 ss.; C.A. CANNATA, Corso di Istituzioni di diritto romano, I, Torino 2001, 179 ss. 70

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 71 ss.

71

C.A. CANNATA, Dalla nozione di ‘animo possidere’, cit., 46 ss.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio

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una diversa relazione, la quale sarebbe ravvisabile negli esponenti della scuola proculiana 72 e nei giuristi successivi 73 che mostrano di seguirli. Corpus e animus diventano, da elementi costitutivi del possesso, mezzi alternativi e paralleli attraverso i quali si possiede: “dato che l’uomo è fatto di corpo e di anima, se pure non corpore conserva il possesso, è chiaro che lo conserva con l’anima” 74. L’animus, dunque, si delinea come un mezzo immateriale – una “mystische Macht”, secondo l’espressione di Hägerström 75 – che consente di operare sul possesso in maniera del tutto equivalente agli atti fisici corrispondenti. Presso la scuola sabiniana, invece, l’animus avrebbe necessitato, per determinare il sorgere del possesso, di precise attività corporali: “è pertanto facile pensare che in tale sistema la volontà risultasse ridotta a poco più che una semplice intenzione. Forse per indicarla i sabiniani usavano proprio il termine voluntas (D. 41,2,1,5)” 76. Una “contaminatio” tra i due indirizzi si realizzò soltanto con Paolo il quale, per primo, avrebbe iniziato a configurare il possesso come somma di corpus e di animus 77: “animo possidere e corpore possidere non sono più alternati in modo da escludersi, bensì sono congiunti ad 72 Cfr., ad esempio, D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.); D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,18,3 (Cels. 23 dig.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,34 pr. (Ulp. 7 disp.); D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Labeonis). 73

Cfr., tra gli altri, D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.); D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 41,2,34 pr. (Ulp. 7 disp.); D. 43,16,1,24-26 (Ulp. 69 ad edict.), mentre Papiniano [il cui pensiero è riportato in D. 41,2,44,1-2 (Pap. 23 quaest.)] è considerato da Cannata un precursore di Paolo. 74 C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 77. Anche nel significato del termine animus risiede l’originalità di Cannata: “... inoltre essa non era presa in considerazione propriamente come volontà, non riceveva questo nome, ma si vedeva in essa lo spirito dell’uomo (animus) in atto” (pag. 104). 75 A. HÄGERSTRÖM, Der römische Obligationsbegriff im Lichte der allgemeinen römischen Rechtsanschauung, I, Uppsala-Leipzig 1927, 141 ss., in seguito ripreso da K. OLIVECRONA, The Acquisition of Possession, Lund 1938, ora in IDEM, Three Essays in Roman Law, Copenhagen 1949, 52 ss. Su questa interpretazione, si veda, tra gli altri, A. BURDESE, Recensione di K. Olivecrona, Three Essays in Roman Law, Copenhagen 1949, in Iura 1 (1950), ora in IDEM, Recensioni e commenti. Sessant’anni di letture romanistiche, I, Padova, 2009, 5 ss.; G. MAC CORMACK, Hägerström and Olivecrona on «animus» and «corpus» in the context of possession, in Estudios en homenaje al profesor J. Iglesias, I, Madrid 1988, 391 ss.; P. MINDUS, A Real Mind. The Life and Work of Axel Hägerström, Dordrecht-Heidelberg-London-New York 2009, 204 ss. 76 77

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 104.

Cfr. P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,1.6-10.12 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,8 (= D. 50,17,153) (Paul. 65 ad edict.).

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esprimere il possesso come risultante dalla loro somma” 78; “il possesso si acquista con un’apprensione materiale (corpore) e un corrispondente atteggiamento psicologico (animo); di più: si precisa espressamente che uno solo dei due atti non è sufficiente (neque per se animo aut per se corpore)” 79. Il secondo studioso a non ritenere l’animus un elemento del possesso, almeno per tutta l’età classica – Paolo compreso 80 –, è Pierpaolo Zamorani. L’autore ferrarese, con una monografia datata 1977 81, attribuisce alla giurisprudenza romana una nozione prettamente materialistica del possesso 82, nella quale l’animus non trova posto alcuno. L’animus sarebbe un’entità esterna ed accessoria al possesso, presa in considerazione dai giuristi per consentirne, in determinate ipotesi, la conservazione o l’acquisto. Per quanto concerne l’aspetto conservativo, l’animus valorizzato sarebbe l’animus revertendi – e non l’animus possidendi –, il quale avrebbe permesso di mantenere la possessio nelle situazioni in cui, cessata la custodia della cosa, lo stesso possesso sarebbe dovuto venire necessariamente meno. Si tratta dei casi della fera bestia 83, del servus 84 e dei saltus hiberni et aestivi 85 (e poi di tutti gli immobili 86), nei 78

C.A. CANNATA, Dalla nozione di ‘animo possidere’, cit., 50.

79

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 92.

80

Anche in questo Zamorani si discosta da Cannata, il quale, come abbiamo sopra visto, attribuisce a Paolo una concezione della possessio diversa da tutti gli altri giuristi classici, concezione che eleva l’animus, insieme al corpus, ad elemento imprescindibile della fattispecie. Un altro punto di divisione tra i due studiosi riguarda il termine animus. Secondo Zamorani, infatti, animus sarebbe stato impiegato nel significato di ‘intenzione’: “se così fosse [anima], infatti, la dottrina romana dell’animus nel possesso sarebbe stata applicata ad una molteplicità di altre fattispecie, tutte egualmente caratterizzate dall’esistenza di un possesso non corpore; ma di ciò non vi è testimonianza nelle fonti” (pag. 11; cfr. anche pag. 59). 81

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 1 ss.

82

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 10: “la giurisprudenza romana muove da una idea prettamente materialistica di possesso: esso è disponibilità materiale, attuale o potenziale”. 83

In materia di possesso della fera bestia, tuttavia, non tutti i giuristi avrebbero valorizzato l’animus revertendi dell’animale ai fini della conservazione del possesso. Contrario si sarebbe dichiarato Nerva figlio [D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.)], mentre Paolo sarebbe stato favorevole [D. 41,2,3,16 (Paul. 54 ad edict.)]. In materia di proprietà, invece, la regola appare indiscussa [Gai. 2,68; D. 41,1,5,5 (Gai. 2 rer. cott.)]. 84 Cfr., ad esempio, D. 21,1,17,3 (Ulp. 1 ad edict. aedil. cur.); D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,47 (Pap. 26 quaest.).

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio

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quali l’animus revertendi della cosa posseduta 87 o l’animus revertendi del possessore 88 avrebbero evitato la perdita del possesso. Perdita che, viceversa, si sarebbe verificata allorché fosse venuta meno nella cosa posseduta o nel possessore l’intenzione di ritornare, “sia che ciò avvenga contestualmente all’abbandono della disponibilità materiale, sia in un momento successivo” 89. Per quanto riguarda, invece, l’aspetto acquisitivo della possessio, alcuni giuristi 90 l’avrebbero autorizzato solo animo in quelle fattispecie nelle quali “l’apprensione corporale del bene non potesse essere immediatamente realizzata, ma fosse comunque utile considerare acquisito il possesso già prima che essa avvenisse” 91. Il vero cambiamento nel modo di intendere l’animus, secondo Zamorani, si sarebbe verificato solo a partire dall’età postclassica: in questo periodo l’animus sarebbe divenuto l’elemento soggettivo del possesso, e quindi un elemento da ravvisare, insieme al corpus, in ogni fattispecie possessoria 92. Nell’indirizzo che critica la costruzione ‘binaria’ del possesso, può forse rientrare, da ultima, Paola Lambrini 93 la quale, sottolineando la

85

Cfr. P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,11 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.). 86 L’estensione del riconoscimento dell’animus revertendi dai saltus a tutti gli immobili sarebbe documentata da numerosi passi, tra cui Gai. 4,153; D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.). 87

È il caso della fera bestia e del servus.

88

È il caso del possessore di un saltus o di un altro immobile.

89

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 11. Cfr., ad esempio, i seguenti passi: D. 41,2,3,7-8 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 43,16,1,24 (Ulp. 69 ad edict.). 90

Si veda D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Labeonis).

91

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 12.

92

Sulle ragioni del cambiamento, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 13, scrive: “sulla trattazione classica dell’animus in particolare e, più in generale, dell’atteggiamento spirituale facente capo al possessore e da Paolo variamente denominato (affectio, scientia, voluntas, intellectus, ecc.) è intervenuta la scuola: essa, per esigenze di teorizzazione e di semplificazione, «traduce» ogni componente psichica presente in qualsiasi fattispecie possessoria in termini di animus. E poiché di regola il possesso è una situazione di fatto che il possessore conosce e vuole, così, di regola, in essa sarà sempre ravvisabile un animus”. 93

P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., in particolare 147 ss. La studiosa ha recentemente ribadito questa opinione in ‘Corpus’ e ‘animus’ da Lucrezio a Labeone, in Noctes iurisprudentiae. Scritti in onore di Jan Zabłocki, Bialystok 2015, 155 ss.; La pos-

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Animo possidere

“mancanza di una impostazione teorica generale ad opera della giurisprudenza classica”, sembra propendere per la ricostruzione avanzata da Cannata, laddove scrive che corpus e animus “sono relativi a due distinti mezzi con i quali si opera sul possesso” 94 e, ancora, che “il termine animus nell’ambito del possesso non sta mai a indicare un elemento psicologico … bensì un elemento integrativo della situazione possessoria, elemento che viene in rilievo in ipotesi specifiche, in particolare quando la disposizione materiale, per un motivo o per un altro, non sia attuabile: non si tratta di un atteggiamento della mente, ma è appunto la stessa mente o l’animo del possessore tramite il quale si esercita sulla cosa una sorta di «mystische Macht»” 95.

4. Una possibile armonizzazione delle due teorie: Labeone, Proculo e Nerazio Le due teorie appena esposte possono trovare, a mio avviso, un punto di contatto valorizzando l’aspetto evolutivo che il concetto di possessio ha subìto per opera della giurisprudenza classica. Nel secondo capitolo approfondirò, attraverso un analitico esame delle fonti, il contributo offerto al tema da parte dei singoli giuristi, i loro legami e i loro contrasti. Tuttavia, è opportuno, fin da ora, ripercorrere in sintesi il percorso seguito, evidenziando i principali snodi che hanno consentito a Paolo di giungere alla definizione del possesso come insieme di corpus e di animus. Per facilitare la lettura non aggiungerò note, se non quelle relative ai testi, rinviando, come appena precisato, l’ulteriore analisi alla parte successiva. Partiamo dalle fonti, da cui emergono due dati: innanzitutto, che il primo momento di riflessione si rinviene nella scuola proculiana; inizia con Labeone 96 e prosegue con Proculo 97 e Nerazio 98, i quali insessio tra corpo e animo, in Seminarios Complutenses de Derecho romano 28 (2015), 563 ss. 94

P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 169.

95

P. LAMBRINI, La possessio tra corpo e animo, cit., 585. Su questo particolare significato del termine animus, si veda anche G. MAC CORMACK, Hägerström and Olivecrona, cit., 397 ss. 96 97

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.).

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cominciano ad utilizzare il termine animus nell’ambito dell’acquisto e della conservazione del possesso, per cercare di ammetterne l’esistenza in assenza della relazione fisica con la cosa. Il secondo dato, poi, è il fatto che questo momento di riflessione riguarda il termine animus, e non il termine corpus, il quale sembra fare il proprio ingresso nella nozione di possesso solo in un secondo momento. Ma andiamo con ordine e proviamo a delineare il percorso che ci è parso di cogliere. Labeone, citato da Giavoleno 99 in un passo di non facile comprensione 100, sostiene, in relazione a beni non facilmente asportabili, la possibilità di acquistarne animo il possesso, come ad esempio nella compravendita di grandi quantità di legname o di numerose anfore di vino. Il giurista augusteo riterrebbe acquisito il possesso da parte del compratore anche prima che quest’ultimo ne abbia perfezionato l’apprensione corporale: la possessio sorge quando il compratore, dopo essere stato autorizzato dal venditore a tollere le cose, pone loro la custodia. Ma Labeone non sarebbe l’unico ad ammettere l’acquisto animo del possesso. Dopo di lui, infatti, anche Proculo e Nerazio 101, citati da Paolo in un passo altrettanto complesso 102, sembrano muoversi in questa direzione. I due giuristi, a proposito del tesoro, ne condizio98

D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.).

99

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.): Quarundam rerum animo possessionem apisci nos ait Labeo: veluti si acervum lignorum emero et eum venditor tollere me iusserit, simul atque custodiam posuissem, traditus mihi videtur. idem iuris esse vino vendito, cum universae amphorae vini simul essent. sed videamus, inquit, ne haec ipsa corporis traditio sit, quia nihil interest, utrum mihi an et cuilibet iusserim custodia tradatur. in eo puto hanc quaestionem consistere, an, etiamsi corpore acervus aut amphorae adprehensae non sunt, nihilo minus traditae videantur: nihil video interesse, utrum ipse acervum an mandato meo aliquis custodiat: utrubique animi quodam genere possessio erit aestimanda. 100

Cfr. par. 2.3.

101

D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.): Neratius et Proculus et solo animo non posse nos adquirere possessionem, si non antecedat naturalis possessio. ideoque si thensaurum in fundo meo positum sciam, continuo me possidere, simul atque possidendi affectum habuero, quia quod desit naturali possessioni, id animus implet. ceterum quod Brutus et Manilius putant eum, qui fundum longa possessione cepit, etiam thensaurum cepisse, quamvis nesciat in fundo esse, non est verum: is enim qui nescit non possidet thensaurum, quamvis fundum possideat. sed et si sciat, non capiet longa possessione, quia scit alienum esse. quidam putant Sabini sententiam veriorem esse nec alias eum qui scit possidere, nisi si loco motus sit, quia non sit sub custodia nostra: quibus consentio. 102

Par. 2.4.

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Animo possidere

nano l’acquisto all’effettiva conoscenza, ossia, così sembra, al semplice ritrovamento dello stesso tesoro, in quanto quia quod desit naturali possessioni, id animus implet. Quest’ultima frase pare rimandare al fatto che Proculo e Nerazio, appurato che l’apprensione corporale del bene non si è ancora realizzata, fanno ricorso all’animus per determinare il sorgere della fattispecie possessoria, ammettendo così un acquisto animo. Se così è, si potrebbe pensare che Labeone, Proculo e Nerazio siano orientati ad ammettere, rispetto a beni non facilmente asportabili – la catasta di legna, le anfore, il tesoro –, l’acquisto animo del possesso. Tuttavia, lo stesso Proculo, se non già Labeone 103, cercherebbe di applicare l’animus anche all’ambito della conservazione dei possesso. Infatti, a proposito degli immobili, o forse dei soli saltus hiberni et aestivi, egli pare aver elaborato la celebre regola della possessio animo retenta 104.

5. Gaio e Pomponio Il momento di elaborazione appena visto – acquisto animo del possesso di beni non facilmente asportabili e conservazione animo del possesso degli immobili – viene preso in considerazione dalla giurisprudenza successiva, la quale continua nella direzione intrapresa dalla scuola proculiana, da un lato per respingerne i risultati, dall’altro per confermarli e precisarli. Iniziamo dal momento dell’acquisto animo del possesso: il tentativo di Labeone e degli esponenti della scuola proculiana di ammettere la possibilità di ottenere animo il possesso non sembra trovare accoglimento. Gaio lo respinge esplicitamente, in quanto ‘non c’è alcun dubbio che animo noi non possiamo acquistare il possesso’ 105. 103

Il nome di Labeone è legato ad una possibile interpretazione di D. 41,2,6,1 (Ulp. 70 ad edict.), per la quale rimando a quanto detto nel cap. 3. 104 D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.): Si is, qui animo possessionem saltus retineret, furere coepisset, non potest, dum fureret, eius saltus possessionem amittere, quia furiosus non potest desinere animo possidere; D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.): Quod volgo dicitur aestivorum hibernorumque saltuum nos possessiones animo retinere, id exempli causa didici Proculum dicere: nam ex omnibus praediis, ex quibus non hac mente recedemus, ut omisisse possessionem vellemus, idem est. 105 Gai. 4,153: … Adipisci vero possessionem per quos possimus, secundo commentario rettulimus. Nec ulla dubitatio est, quin animo possessionem adipisci non possimus.

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio

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Al contrario, la conservazione animo del possesso di un immobile pare avere il consenso della maggior parte dei giuristi, con ogni verosimiglianza anche dello stesso Gaio: “i più ritengono che il possesso possa essere conservato anche con l’animus, ossia quando né noi stessi siamo sul bene né un altro vi sia in nome nostro; tuttavia, se ci siamo allontanati con l’animus di non abbandonare il possesso, ma per ritornare successivamente, noi sembriamo conservare il possesso” 106. La testimonianza gaiana si rivela assai preziosa, in quanto ci svela il contenuto dell’animus: il titolare conserva il possesso del fondo se si allontana con l’intenzione di non abbandonarlo, ma di farvi ritorno (non relinquendae possessionis, sed postea reversuri). La stessa situazione si legge, benché nella prospettiva della perdita del possesso, in un testo di Pomponio 107. Anche questo passo è di particolare importanza, in quanto ci conferma che l’animus valorizzato ai fini della conservazione del possesso si esplicita nell’intenzione di ritornare nel fondo. Pomponio, infatti, informa che alcuni giuristi 108, tra cui lui stesso, non ritengono che la possessio venga meno con l’entrata di un terzo nell’immobile, bensì in un momento successivo, ossia quando il proprietario abbia perso l’intenzione di fare ritorno sul bene, per timore dell’occupante, oppure quando l’invasore abbia impedito al medesimo proprietario di ritornare nel fondo.

6. Papiniano e Ulpiano L’acquisto animo e la conservazione animo del possesso continuano ad essere presenti nella riflessione giurisprudenziale tardo classica. Papiniano si inserisce nella linea che troviamo già tracciata in 106 Gai. 4,153: … Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessio neque nostro nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur … . 107 D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio, an vero (quod quasi magis probatur) usque eo possideamus, donec revertentes nos aliquis repellat aut nos ita animo desinamus possidere, quod suspicemur repelli nos posse ab eo, qui ingressus sit in possessionem: et videtur utilius esse. 108 Altri giuristi, al contrario, ritenevano che la possessio conservata animo andasse perduta con l’entrata di un terzo nel fondo.

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Gaio: il possesso non può essere acquistato animo 109; può, invece, essere conservato animo il possesso degli immobili 110: il dominus che si allontana dal fondo, senza lasciarvi un intermediario, conserva animo il possesso fino al momento in cui, venuto a conoscenza dell’invasione da parte di un terzo, decide di non ritornare 111. Tuttavia, Papiniano non si limita a fare propri i risultati della giurisprudenza precedente, ma va oltre, ponendo le basi per il rilevante cambiamento attuato poi da Paolo. Infatti, a proposito del possesso conservato per nosmet ipsos e quello conservato per alios, Papiniano si serve di un lessico mai utilizzato, se non in maniera occasionale 112, prima di lui: il possesso per nosmet ipsos si trasforma nel possesso esercitato corpore nostro, mentre il possesso per alios in quello esercitato servi vel coloni corpore. Si tratta di un dato assai rilevante, indice del fatto che Papiniano, pur muovendosi nel solco tracciato dalla giurisprudenza anteriore, innova sotto l’aspetto terminologico. Egli sembra iniziare ad utilizzare con valenza tecnica il termine corpus, al fine di indicare una modalità attraverso la quale si possiede: il possesso si acquista 113 e si mantiene 114 attraverso il nostro ‘corpo’ oppure attraverso il ‘corpo’ di un intermediario. Tuttavia, con riferimento al termine animus, è bene ribadire che ancora con Papiniano il medesimo termine pare avere un ambito di 109 D. 41,2,44,1 (Pap. 23 quaest.): … nec tamen eo pertinere speciem istam, ut animo videatur adquiri possessio… 110

D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): … nam saltus hibernos et aestivos, quorum possessio retinetur animo; D. 41.2.45 (Pap. 2 def.): Licet neque servum neque colonum ibi habeamus; D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.): Quamvis saltus proposito possidendi fuerit alius ingressus, tamdiu priorem possidere dictum est, quamdiu possessionem ab alio occupatam ignoraret… 111 Si veda anche D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): … nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus, possessionem amitti vel animo vel etiam corpore, si modo eo animo inde digressi fuissemus, ne possideremus… Il caso è sempre quello che abbiamo visto in Gaio (Gai. 4,153) e in Pomponio [D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.)]. 112

Cfr., ad esempio, D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.); D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post

Lab.). 113 D. 41,2,44,1 (Pap. 23 quaest.): … nam si non ex causa peculiari quaeratur aliquid, scientiam quidem domini esse necessariam, sed corpore servi quaeri possessionem. 114 D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): Quibus explicitis, cum de amittenda possessione quaeratur, multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus… eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur...

‘Ortodossia’ ed ‘eterodossia’ in tema di animus e possessio

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applicazione limitatissimo. Esso continuerebbe ad essere impiegato nell’accezione di volontà di non abbandonare, ma di ritornare nell’immobile dal quale ci si è momentaneamente allontanati 115. Il passo compiuto da Papiniano – introduzione del termine corpus e suo accostamento al termine animus – non può rimanere senza conseguenze. Tuttavia, queste sono assai diverse in Ulpiano e in Paolo. Ulpiano opta per una soluzione che potremmo dire in linea con la tradizione; Paolo, invece, per una soluzione che a me sembra assai innovativa. Iniziamo da Ulpiano, il quale mette a profitto la riflessione di Papiniano, contrapponendo in maniera esplicita due distinte modalità di possedere, il possidere corpore e il possidere animo: sembra scacciato vi colui il quale deiectus est mentre possiede sive corpore sive animo 116; pertanto, colui il quale non possiede neque animo neque corpore non sembra deiectus se gli viene impedito di entrare nel fondo e di iniziare a possedere 117; ancora, se il titolare si allontana dal proprio immobile senza lasciarvi alcun intermediario e, nel momento in cui ritorna, viene impedito da un terzo ad entrare, il medesimo titolare sembra essere stato scacciato con la violenza, in quanto gli viene sottratto un possesso che egli conservava animo etsi non corpore 118. Tuttavia, anche in Ulpiano, come in tutta la riflessione giurisprudenziale precedente, il termine animus non sarebbe un mezzo generale contrapposto al corpus, per cui si può possedere attraverso il proprio corpo o attraverso la propria anima 119. A me sembra, invece, che il termine animus continui ad essere utilizzato in un unico ambito, quello degli immobili, e con un significato del tutto particolare, ossia come intenzione di non abbandonare il fondo dal quale ci si è allontanati e di rientrare non appena le circostanze lo consentano.

115

D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.).

116

D. 43,16,1,24 (Ulp. 69 ad edict.): Sive autem corpore sive animo possidens quis deiectus est, palam est eum vi deiectum videri ... . 117

D. 43,16,1,26 (Ulp. 69 ad edict.): Eum, qui neque animo neque corpore possidebat, ingredi autem et incipere possidere prohibeatur, non videri deiectum verius est: deicitur enim qui amittit possessionem, non qui non accipitur. 118 D. 43,16,1,24 (Ulp. 69 ad edict.): ... idcircoque si quis de agro suo vel de domo processisset nemine suorum relicto, mox revertens prohibitus sit ingredi vel ipsum praedium, vel si quis eum in medio itinere detinuerit et ipse possederit, vi deiectus videtur: ademisti enim ei possessionem, quam animo retinebat, etsi non corpore. 119

Come propone Carlo Augusto Cannata.

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7. Paolo Passiamo ora a Paolo, nei cui frammenti è documentata una profonda innovazione 120. Egli, pur muovendosi all’interno della riflessione giurisprudenziale precedente – da un lato, continua a negare la possibilità di acquistare animo il possesso 121 e, dall’altro, ad ammettere la possibilità di conservare animo il possesso degli immobili 122 –, interviene su ruolo e significato dei termini animus e corpus. Innanzitutto, prende atto che le espressioni corpus e animus presentano un’estensione assai diversa. Infatti, mentre il termine corpus è impiegato per indicare in generale l’aspetto del controllo ‘fisico’ sulla cosa 123, il termine animus persiste ad essere utilizzato in un ambito limitato, quello degli immobili, e nel particolare significato di proposito di non abbandonare, ma di ritornare nel fondo dal quale ci si è allontanati. Poi, che le espressioni corpus e animus sono usate in maniera alternativa, ossia come due distinte e contrapposte modalità attraverso le quali si esercitava il possesso. Preso atto di questo, Paolo intuisce che nulla è di ostacolo a che il termine animus venga usato in una accezione più ampia – animus possidendi –, così come nulla è di ostacolo al fatto che le due espressioni vengano usate congiuntamente, finendo per denotare l’elemento spirituale – animus – e l’elemento materiale – corpus – del possesso. In questo modo, egli giunge a costruire una teorica in cui animus e corpus si prestano a giustificare tutte le fasi della possessio, comprese quelle nelle quali viene acquistata e conservata attraverso un intermediario. Paolo, dunque, spezza le catene che tenevano stretto il termine 120 Non crede a questa ipotesi Pierpaolo Zamorani, il quale ritiene che anche Paolo non si discostasse dal pensiero dei giuristi precedenti. 121 Ad esempio, D. 41,2,3,1.6 (Paul. 54 ad edict.): Et apiscimur possessionem corpore et animo, neque per se animo aut per se corpore… 6 ... igitur amitti et animo solo potest, quamvis adquiri non potest. Lo stesso si legge in P.S. 5,2,1: … Sed nudo animo adipisci quidem possessionem non possumus… 122 Si veda, tra gli altri testi, D. 41,2,3,7.11 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si animo solo possideas, licet alius in fundo sit, adhuc tamen possides… 11 Saltus hibernos aestivosque animo possidemus, quamvis certis temporibus eos relinquamus. Cfr. anche P.S. 5,2,1: … Sed nudo animo adipisci quidem possessionem non possumus, retinere tamen nudo animo possumus, sicut in saltibus hibernis aestivisque contingit. 123 In questo senso mi sembrano assai significativi i testi di Papiniano [D. 41,2,44, 1-2 (Pap. 23 quaest.)].

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animus ad un circoscritto ambito di applicazione e lo conduce verso l’elemento soggettivo della possessio. Corpus e animus cessano di essere modalità contrapposte ed alternative attraverso le quali si esercita il possesso e vengono assunti, in un saldo vincolo di complementarietà, ad elementi costitutivi: il possesso si acquista animo et corpore 124; allo stesso modo, va mantenuto animo et corpore 125, benché in certi casi può essere mantenuto solo animo 126; infine, il possesso si perde animo et corpore 127 o, talvolta, anche solo animo 128.

124

D. 41,2,3,1 (Paul. 54 ad edict.): Et apiscimur possessionem corpore et animo, neque per se animo aut per se corpore …; D. 41,2,8 (Paul. 65 ad edict.): Quemadmodum nulla possessio adquiri nisi animo et corpore potest …; D. 50,17,153 (Paul. 65 ad edict.): … ut igitur nulla possessio adquiri nisi animo et corpore potest …; P.S. 5,2,1: Possessionem adquirimus et animo et corpore: animo utique nostro, corpore vel nostro vel alieno … . 125 D. 41,2,3,12 (Paul. 54 ad edict.): Ceterum animo nostro, corpore etiam alieno possidemus, sicut diximus per colonum et servum, nec movere nos debet, quod quasdam etiam ignorantes possidemus, id est quas servi peculiariter paraverunt: nam videmur eas eorundem et animo et corpore possidere. 126 D. 41,2,3,7-8.11 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si animo solo possideas, licet alius in fundo sit, adhuc tamen possides. 8 … quod si servus vel colonus, per quos corpore possidebam, decesserint discesserintve, animo retinebo possessionem … 11 Saltus hibernos aestivosque animo possidemus, quamvis certis temporibus eos relinquamus; P.S. 5,2,1: … Sed nudo animo adipisci quidem possessionem non possumus, retinere tamen nudo animo possumus, sicut in saltibus hibernis aestivisque contingit. 127 D. 41,2,8 (Paul. 65 ad edict.): Quemadmodum nulla possessio adquiri nisi animo et corpore potest, ita nulla amittitur, nisi in qua utrumque in contrarium actum est; D. 50,17,153 (Paul. 65 ad edict.): Fere quibuscumque modis obligamur, isdem in contrarium actis liberamur, cum quibus modis adquirimus, isdem in contrarium actis amittimus. ut igitur nulla possessio adquiri nisi animo et corpore potest, ita nulla amittitur, nisi in qua utrumque in contrarium actum est. 128

D. 41,2,3,6 (Paul. 54 ad edict.): In amittenda quoque possessione affectio eius qui possidet intuenda est: itaque si in fundo sis et tamen nolis eum possidere, protinus amittes possessionem. igitur amitti et animo solo potest, quamvis adquiri non potest.

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CAPITOLO II

ANIMUS E POSSESSIO NEL PENSIERO GIURISPRUDENZIALE CLASSICO SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. Gaio. – 2.1. L’acquisto del possesso: animo possessionem adipisci non possimus. – 2.2. Trebazio: la prima traccia di un acquisto del possesso in assenza di apprensione corporale. – 2.3. Labeone: l’acquisto animo del possesso di quaedam res. – 2.4. Proculo e Nerazio: l’acquisto animo del possesso del thensaurus. – 2.5. Nerva e Proculo: un altro caso di acquisto animo del possesso? – 2.6. La conservazione animo del possesso degli immobili. – 2.7. Ancora Proculo e Nerazio: alle origini della conservazione animo del possesso degli immobili. – 2.8. La conservazione del possesso del servo fuggitivo. – 3. Pomponio. – 3.1. La conservazione animo del possesso degli immobili. – 3.2. La conservazione animo del possesso degli immobili: ancora l’animus di non abbandonare il bene, ma di farvi ritorno. – 3.3. Proculo, Africano (Giuliano) e Pomponio: un caso di conservazione del possesso ‘senza animus’. – 3.4. Nerva figlio e Pomponio: la conservazione e la perdita del possesso dei beni mobili, del servo fuggitivo e del servo (non fuggitivo). – 3.5. Un testo verosimilmente interpolato. – 4. Prima ricapitolazione: animus in Gaio e Pomponio. – 5. Celso: alius quis clam animo possessoris intraverit. – 6. Marcello: qui et corpore et animo possessioni incumbens. – 7. Papiniano. – 7.1. Nec tamen eo pertinere speciem istam, ut animo videatur adquiri possessio. – 7.2. La conservazione del possesso corpore nostro e servi vel coloni corpore. – 7.3. La conservazione animo del possesso degli immobili. – 7.4. La perdita del possesso dei beni immobili. – 7.5. Nerva figlio e Papiniano: la conservazione e la perdita del possesso dei beni mobili. – 8. Ulpiano. – 8.1. La conservazione sive corpore sive animo del possesso degli immobili. – 8.2. La conservazione animo del possesso dei beni immobili. – 8.3. La conservazione del possesso del servo fuggitivo. – 8.4. La perdita del possesso degli immobili. – 8.5. Un caso di perdita del possesso non animo, sed corpore. – 8.6. Il furto, l’eredità e il possesso, quae facti est et animi. – 9. Seconda ricapitolazione: animus e corpus in Papiniano e Ulpiano. – 10. Paolo. – 10.1. Il possesso nel liber quinquagensimus quartus ad edictum (D. 41,2,1). – 10.2. Il possesso nel liber quinquagensimus quartus ad edictum (D. 41,2,3). – 10.3. Segue. – 10.4. L’acquisto del possesso animo nostro e corpore nostro. – 10.5. L’acquisto del possesso animo nostro e corpore alieno. – 10.6. L’acquisto del possesso animo alieno e corpore alieno. – 10.7. L’acquisto del possesso animo. – 10.8. La conservazione del

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possesso animo nostro e corpore nostro. – 10.9. La conservazione del possesso animo nostro e corpore alieno. – 10.10. La conservazione del possesso animo alieno e corpore alieno. – 10.11. La conservazione animo del possesso dei beni immobili. – 10.12. La conservazione animo del possesso del servo fuggitivo. – 10.13. La perdita del possesso animo e corpore oppure animo solo. – 10.14. La perdita del possesso conservato animo. – 11. Terza, e ultima, ricapitolazione: animus e corpus in Paolo.

1. Introduzione Prima di iniziare l’indagine sul ruolo assunto dall’animus nel processo di elaborazione della nozione di possessio da parte della giurisprudenza classica, è opportuno premettere alcune brevi osservazioni in ordine alla metodologia seguita. È noto, infatti, che l’argomento è stato affrontato attraverso approcci molti diversi tra loro. Pensiamo, ad esempio, alla nitida “distinzione preliminare” suggerita da Bernardo Albanese 1, il quale, per indagare il significato del termine animus, individua due gruppi di testi a seconda che il medesimo termine sembri assumere un “rilievo generale, come elemento di alcune situazioni possessorie” 2 oppure “un rilievo più limitato, e precisamente per giustificare (…) il fenomeno che può designarsi animo (o solo animo, e similmente) retinere possessionem; e cioè la possibilità di considerare, in determinate circostanze, come possessore (…) un soggetto che non ha, in effetti, quella relazione di fatto con l’oggetto, che è connotato essenziale d’ogni normale situazione possessoria” 3. 1

B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 37 s.

2

Tra i testi principali richiamati nel primo gruppo figurano (in ordine di citazione): D. 41,2,19 (Marcell. 17 dig.); D. 12,1,41 (Afric. 8 quaest.); D. 41,2,44,1-2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,3,1 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,8 (Paul. 65 ad edict.); D. 50,17,153 (Paul. 65 ad edict.); D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict); D. 41,2,1,20 (Paul. 54 ad edict); D. 41,2,41 (Paul. 1 inst.); D. 41,2,29 (Ulp. 30 ad Sab.); D. 43,16,1,26 (Ulp. 69 ad edict.); D. 47,4,1,15 (Ulp. 38 ad edict.); C. 7,32,3 (Imp. Decius A. Rufo). 3 Tra i testi appartenenti al secondo gruppo, si veda, ad esempio e sempre in ordine di citazione, Gai. 4,153; D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,3,11 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,3,7 (Paul. 54 ad edict.); P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,8 (Paul. 54 ad edict.); C. 7,32,4 (Impp. Diocletianus et Maximianus AA.Nepotianae); D. 41,2,30,5 (Paul. 15 ad Sab.); D. 41,2,3,12 (Paul. 54 ad edict.); P.S. 4,14,3; D. 41,2,3,10 (Paul. 54 ad edict.).

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Non così, procedendo a ritroso, Pierpaolo Zamorani 4 il quale, dopo aver distinto tra l’aspetto della conservazione-perdita del possesso e quello dell’acquisto, preferisce impostare la propria ricerca sulla base dell’argomento in cui viene valorizzato l’animus, quale ad esempio gli animali selvatici 5, i servi 6, i pascoli invernali ed estivi 7, le cataste di legna 8, le anfore 9, il tesoro 10 e altro 11. Ancora diversa la scelta di Carlo Augusto Cannata 12, il quale decide di procedere per giuristi: dapprima i membri della scuola proculiana 13 e poi Ulpiano 14, Pomponio 15, Papiniano 16 e Paolo 17. Tra le diverse opzioni metodologiche, di cui ho dato in via esemplificativa un sommario cenno, mi sembra che quella individuata da Cannata sia da privilegiare. Penso, infatti, che, senza seguire in maniera rigorosa il criterio della successione cronologica, sia necessario dare innanzitutto rilievo ai giuristi per i quali le fonti documentano 4

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 1 ss.

5

Gai. 2,67-68; D. 41,1,5,5 (Gai. 2 rer. cott.); D. 41,2,3,13.16 (Paul. 54 ad edict.).

6

D. 21,1,17,3 (Ulp. 1 ad edict. aed. cur.); D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,47 (Pap. 26 quaest.). 7 Gai. 4,153; D. 41,2,3 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,45 (Pap. 2 def.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.); D. 43,20,1,3 (Ulp. 70 ad edict.). 8

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

9

D. 18,6,4,2 (Ulp. 28 ad Sab.); D. 41,2,1,21 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.). 10

D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.).

11

Gai. 2,67-68; D. 41,1,5 (Gai. 2 rer. cott.); D. 41,2,3,13.16 (Paul. 54 ad edict.).

12

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 71 ss. Sempre di Cannata ricordiamo il saggio che appare nel 1961: Dalla nozione di ‘animo possidere’, cit., 46 ss. 13 Si veda, ad esempio, D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.); D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,18,3 (Cels. 23 dig.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,34 pr. (Ulp. 7 disp.); D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.). 14 D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.); D. 41,2,29 (Ulp. 30 ad Sab.); D. 41,2,34 pr. (Ulp. 7 disp.); D. 43,16,1,23-25 (Ulp. 69 ad edict.); D. 47,4,1,15 (Ulp. 38 ad edict.). 15

Cfr. nota seguente.

16

Pomponio e Papiniano sono trattati congiuntamente, sia per il fatto che il loro pensiero è riferito solo parzialmente sia per il fatto che entrambi non sono mai citati da giuristi posteriori: D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,45 (Pap. 2 def.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.). 17 P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,1.3.6-10.12 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,8 (Paul. 65 ad edict.); D. 50,17,153 (Paul. 65 ad edict.).

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un minimo di riflessione intorno alla complessa tematica possessoria 18. Tutti gli altri, poi, verranno inseriti nella cornice così tratteggiata, attraverso avanzamenti e retrocessioni temporali, in una sorta di ininterrotto dialogo tra passato e presente.

2. Gaio 2.1. L’acquisto del possesso: animo possessionem adipisci non possimus Iniziamo da Gaio, giurista di cui le fonti documentano una ricca riflessione in materia possessoria 19, leggendo:

18 Per quanto riguarda la collocazione della materia possessoria nelle opere dei giuristi classici, è stata rimarcata l’assenza di sistematica, in quanto la medesima materia sembra trattata in occasione dello studio di altri istituti, quali gli interdetti, le missiones in possessionem e l’usucapio. Nel Digesto e nel Codice giustinianeo, invece, sono stati predisposti, come è noto, appositi Titoli: de adquirenda vel amittenda possessione (D. 41,2) e de adquirenda et retinenda possessione (C. 7,32). In argomento, si veda, per tutti, M. LAURIA, Possessiones, cit., 33, il quale così si esprime: “… le relazioni possessorie, prive di denominazione specifica perché ne hanno tante, non hanno propria sede negli scritti, nelle collezioni, nelle codificazioni … nelle quali sono disseminate dappertutto, sparpagliate, attratte da altri istituti o raggruppate parzialmente”. Ulteriori approfondimenti, ad esempio, in W. KUNKEL, ‘Civilis’ und ‘naturalis possessio’, in Symbolae Friburgenses in honorem O. Lenel, Leipzig 1935, 67 ss.; S. RICCOBONO, Elementi sistematici nei commentari «ad Edictum», in BIDR 44 (1937), ora in IDEM, Scritti di diritto romano, I, Studi sulle fonti, Palermo 1957, 263 ss.; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 30; CH. BALDUS, Possession in Roman Law, in The Oxford Handbook of Roman Law and Society, edit. P.J. Du Plessis, C. Ando, K. Tuori, Oxford 2016, 538. 19

Come ha bene scritto A. BURDESE, voce Possesso, cit., 452, la nozione di possessio “non è pervenuta a unitaria e ben delineata individuazione nemmeno nel pensiero della giurisprudenza classica”. In questo senso, sarebbe forse più corretto riferirsi al possesso utilizzando, come del resto è stato fatto (M. LAURIA, Possessiones, cit.), il plurale possessiones. Ma ciò non toglie che possessio, nel significato più generale, possa definirsi, “nell’ambito dell’esperienza giuridica romana d’ogni tempo, come la relazione di fatto giuridicamente rilevante tra una persona fisica ed un oggetto tangibile, che consente di fatto alla persona il potere di disporre (conservare, usare, modificare, alienare, distruggere, etc.) dell’oggetto” (B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 6). A questa visione materialistica del possesso, come ha ben evidenziato da ultima P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 23, l’elemento soggettivo non era estraneo, benché con ogni verosimiglianza si limitasse alla semplice “consapevolezza, coscienza e volontà dell’agire. La volizione interna del possessore doveva essere rilevante ai fini dell’esistenza stessa del possesso ed essa era una componente inscindibile del potere di fatto: talmente inscindibile che solo grazie a un’astrazione se ne può parlare come di

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Gai. 2,86.89-90.94-95: Adquiritur autem nobis non solum per nosmet ipsos, sed etiam per eos quos in potestate manu mancipiove habemus; item per eos servos, in quibus usumfructum habemus; item per homines liberos et servos alienos quos bona fide possidemus. De quibus singulis diligenter dispiciamus … 89. Non solum autem proprietas per eos quos in potestate habemus adquiritur nobis, sed etiam possessio; cuius enim rei possessionem adepti fuerint, id nos possidere videmur; unde etiam per eos usucapio procedit. 90. Per eas vero personas, quas in manu mancipiove habemus, proprietas quidem adquiritur nobis ex omnibus causis, sicut per eos qui in potestate nostra sunt; an autem possessio adquiratur, quaeri solet, quia ipsas non possidemus … 94. De illo quaeritur, an per eum servum, in quo usumfructum habemus, possidere aliquam rem et usucapere possumus, quia ipsum non possidemus. Per eum vero, quem bona fide possidemus, sine dubio et possidere et usucapere possumus. Loquimur autem in utriusque persona secundum definitionem quam proxime exposuimus, id est si quid ex re nostra vel ex operis suis adquirant [id nobis adquiritur]. 95. Ex his apparet per liberos homines, quos neque iuri nostro subiectos habemus neque bona fide possidemus, item per alienos servos, in quibus neque usumfructum habemus neque iustam possessionem, nulla ex causa nobis adquiri posse. Et hoc est quod vulgo dicitur per extraneam personam nobis adquiri non posse. Tantum de possessione quaeritur, an personam nobis adquiratur.

Il testo si inserisce all’interno di un ampio discorso in tema di acquisto della proprietà 20. In particolare, al par. 86 Gaio afferma che la proprietas si ottiene non solo per mezzo di noi stessi, ma anche per mezzo di altri soggetti, come coloro che abbiamo in potestà, in mano o in mancipio, i servi di cui abbiamo l’usufrutto e gli uomini liberi o i servi altrui che possediamo in buona fede. due elementi distinti”. Tuttavia, io non penso che tale aspetto sia stato indicato dai giuristi romani, almeno fino a Paolo, attraverso il termine animus. 20 Per un quadro generale in materia di proprietà, si veda, per tutti e con altra bibliografia, C. LONGO, Corso di diritto romano. Le cose – la proprietà e i suoi modi di acquisto, Milano 1946; P. VOCI, Modi di acquisto della proprietà (corso di diritto romano), Milano 1952; F. GALLO, Studi sul trasferimento della proprietà in diritto romano, Torino 1955; F. GALLO, Studi sulla distinzione fra res mancipi e res nec mancipi, Torino 1958; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, La struttura della proprietà e la formazione dei «iura praediorum» nell’età repubblicana, I e II, Milano 1969 e 1976; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., II, parte I; II, parte II; L. CAPOGROSSI COLOGNESI, Proprietà e diritti reali. Usi e tutela della proprietà fondiaria nel Diritto Romano, Roma 1999; S. ROMEO, L’appartenenza e l’alienazione in diritto romano. Tra giurisprudenza e prassi, Milano 2010; S. RONCATI, Emere vendere tradere. La lunga storia della regola di I. 2.1.41 nel diritto romano e nella tradizione romanistica, Napoli 2015.

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Nel prosieguo 21, il giurista mette a confronto la disciplina ora accennata con quella riguardante il possesso. Innanzitutto, anche il possesso si acquista per mezzo di coloro che abbiamo in potestà. La stessa cosa, invece, non si può dire per coloro i quali abbiamo in mano o in mancipio. Infatti, mentre la proprietà si acquisisce tramite questi, per il possessso si discute, in quanto noi non possediamo personae quas in manu mancipiove habemus 22. Altrettanto si discute rispetto all’acquisto del possesso attraverso un servo di cui abbiamo l’usufrutto, sempre per la ragione che ipsum non possidemus 23, nonché attraverso un estraneo 24. Al contrario, per eum quem bona fide possidemus possiamo senza dubbio possedere 25. Gaio, dunque, ci informa dei soggetti tramite i quali si inizia a possedere. Non ci informa, invece, delle concrete modalità che consentono l’acquisto del possesso. Tuttavia, anche in difetto di una esplicita descrizione, la terminologia impiegata – per nosmet ipsos 26, per eos quos in potestate habemus, per eum quem bona fide possidemus – lascia supporre che il giurista pensasse, quantomeno in linea generale, all’azione fisica, esercitata dall’uomo sulla cosa e tesa all’apprensione corporale della medesima 27. Inoltre, il fatto che Gaio scorgesse l’acquisto del possesso in rapporto all’apprensione corporale della cosa (da parte del possessore o di un terzo), pare confermato da un altro testo, nel quale il giurista antoniniano esclude che la possessio possa essere ottenuta animo, vale a dire attraverso una modalità che prescinde dalla relazione fisica con il bene: 21

Gai. 2,89.

22

Gai. 2,90.

23

Gai. 2,94.

24

Gai. 2,95. Sulla problematica, si veda, da ultimi e con altra bibliografia, F. BRIStudi sul procurator, I, L’acquisto del possesso e della proprietà, Milano 2007; M. MICELI, Studi sulla «rappresentanza» nel diritto romano, I, Milano 2008. GUGLIO, 25

Gai. 2,94.

26

La terminologia è tratta da Gai. 2,86, in tema di acquisto della proprietà. Rispetto al possesso, nulla sembra cambiare. Infatti, così si esprime ad esempio Paolo in D. 41,2,1,2 (Paul. 54 ad edict.): Apiscimur autem possessionem per nosmet ipsos. 27

È di sostegno a questa lettura un testo di Papiniano (per l’esame del quale rimando ai paragrafi 7.2, 7.3 e 7.4) riportato in D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): Quibus explicitis, cum de amittenda possessione quaeratur, multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus, possessionem amitti vel animo vel etiam corpore, si modo eo animo inde digressi fuissemus, ne possideremus: eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur, non aliter amitti possessionem, quam eam alius ingressus fuisset, eamque amitti nobis quoque ignorantibus … .

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Gai. 4,153: … Adipisci vero possessionem per quos possimus, secundo commentario rettulimus. Nec ulla dubitatio est, quin animo possessionem adipisci non possimus.

Del resto, nessuno dubita della natura materialistica della possessio 28, che emerge con evidenza da alcuni frammenti paolini, nei quali può leggersi, ad esempio, la celebre definizione di possesso suggerita da Labeone 29, la derivazione della proprietà dal possesso riferita da Nerva Figlio e, ancora, il divieto del doppio possesso: D. 41,2,1 pr. (Paul. 54 ad edict.): Possessio appellata est, ut et Labeo ait, a sedibus quasi positio, quia naturaliter tenetur ab eo qui ei insistit, quam graeci katoxh/n dicunt. D. 41,2,1,1 (Paul. 54 ad edict.): Dominiumque rerum ex naturali possessione coepisse Nerva filius ait eiusque rei vestigium remanere in his, quae terra mari caeloque capiuntur: nam haec protinus eorum fiunt, qui primi possessionem eorum adprehenderint. item bello capta et insula in mari enata et gemmae lapilli margaritae in litoribus inventae eius fiunt, qui primus eorum possessionem nanctus est. D. 41,2,3,5 (Paul. 54 ad edict.): … non magis enim eadem possessio apud duos esse potest, quam ut tu stare videaris in eo loco, in quo ego sto, vel in quo ego sedeo, tu sedere videaris.

2.2. Trebazio: la prima traccia di un acquisto del possesso in assenza di apprensione corporale Abbiamo appena visto che secondo Gaio 30 ‘non vi è alcun dubbio’ che il possesso non possa essere acquistato animo. Tuttavia, le espressioni impiegate – nec ulla dubitatio est – lasciano trasparire l’as28 Per quanto concerne l’ambito etimologico, si ritiene che possidere derivi da sedere, cui viene aggiunto il prefisso pots, così da esprimere l’idea del potere. Cfr., tra gli altri e con ricca letteratura, A. CARCATERRA, La voce Possidere ad un esame filologicogiuridico, in AG 115 (1936), 168 ss.; C.A. MASCHI, Il diritto romano, I, La prospettiva storica della giurisprudenza classica (Diritto privato e processuale), Milano 19662, 433 ss.; G. FALCONE, Ricerche sull’origine dell’interdetto Uti possidetis, in AUPA 44 (1996), 103 n. 288; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 99; EADEM, La possessio tra corpo e animo, cit., 564 s. 29 Nota, tuttavia, P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 25 che la definizione labeoniana (D. 41,2,1 pr.) di possesso viene considerata “scientificamente inaccoglibile”. 30

Gai. 4,153.

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senza di un consenso generale e il tentativo del giurista di contrapporsi, arrivando addiruttura a negarne l’esistenza, ad un diverso indirizzo 31, viceversa propenso ad ammettere un acquisto animo del possesso. Al riguardo, è opportuno iniziare da Trebazio il quale, in merito a situazioni particolari, sembra ammettere il prodursi di determinati effetti giuridici prima del perfezionarsi dell’apprensione corporale. Leggiamo un notissimo passo che, pur in tema di acquisto della proprietà 32 della fera bestia, viene da insigni studiosi 33 esteso al possesso: D. 41,1,5,1 34 (Gai. 2 rer. cott.): Illud quaesitum est, an fera bestia, quae ita vulnerata sit, ut capi possit, statim nostra esse intellegatur. Trebatio

31 Come dirò a breve nel testo, sembra che fossero i proculiani ad ammettere un acquisto animo del possesso. Gaio, invece, sarebbe stato contrario e questo, secondo alcuni, rafforzerebbe l’opinione che vuole Gaio appartenere alla scuola sabiniana. Cfr., in questo senso, per tutti, G. BAVIERA, Sul nome dei ‘Proculiani’ e dei ‘Sabiniani’, in IDEM, Scritti giuridici, I, Palermo 1909, 115; P. BONFANTE, La derelizione e l’apprensione di cose derelitte [da due studi pubblicati in RIL 50 (1917), dal titolo: Il concetto della derelizione e la sua relazione col possesso; Gli effetti della derelizione], in IDEM, Scritti giuridici varii, II, Proprietà e servitù, Torino 1926, 356 e n. 1; G. NICOSIA, Acquisto del possesso per procuratorem e reversio in potestatem domini delle res furtivae, in Iura 11 (1960), ora in IDEM, Silloge, Scritti 1956-1996, I, Catania 1998, 145; E. STOLFI, Studi sui «libri ad edictum» di Pomponio, II, Contesti e pensiero, Milano 2002, 32 n. 46. 32

O. LENEL, Palingensia Iuris Civilis, I, Leipzig 1889 (rist. Graz 1960), 252 s., inserisce il passo in questione sotto la rubrica De adquirendo rerum dominio. 33 34

Cfr. note seguenti.

È utile riportare il testo nella sua interezza, D. 41,1,5: Naturalem autem libertatem recipere intellegitur, cum vel oculos nostros effugerit vel ita sit in conspectu nostro, ut difficilis sit eius persecutio. 1 Illud quaesitum est, an fera bestia, quae ita vulnerata sit, ut capi possit, statim nostra esse intellegatur. Trebatio placuit statim nostram esse et eo usque nostram videri, donec eam persequamur, quod si desierimus eam persequi, desinere nostram esse et rursus fieri occupantis: itaque si per hoc tempus, quo eam persequimur, alius eam ceperit eo animo, ut ipse lucrifaceret, furtum videri nobis eum commisisse. plerique non aliter putaverunt eam nostram esse, quam si eam ceperimus, quia multa accidere possunt, ut eam non capiamus: quod verius est. 2 Apium quoque natura fera est: itaque quae in arbore nostra consederint, antequam a nobis alveo concludantur, non magis nostrae esse intelleguntur quam volucres, quae in nostra arbore nidum fecerint. ideo si alius eas incluserit, earum dominus erit. 3 Favos quoque si quos hae fecerint, sine furto quilibet possidere potest: sed ut supra quoque diximus, qui in alienum fundum ingreditur, potest a domino, si is providerit, iure prohiberi ne ingrederetur. 4 Examen, quod ex alveo nostro evolaverit, eo usque nostrum esse intellegitur, donec in conspectu nostro est nec difficilis eius persecutio est: alioquin occupantis fit. 5 Pavonum et columbarum fera natura est nec ad rem pertinet, quod ex consuetudine avolare et re-

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placuit statim nostram esse et eo usque nostram videri, donec eam persequamur, quod si desierimus eam persequi, desinere nostram esse et rursus fieri occupantis: itaque si per hoc tempus, quo eam persequimur, alius eam ceperit eo animo, ut ipse lucrifaceret, furtum videri nobis eum commisisse. plerique non aliter putaverunt eam nostram esse, quam si eam ceperimus, quia multa accidere possunt, ut eam non capiamus: quod verius est.

L’autore delle res cottidianae 35 riferisce una disputa 36 in merito all’acquisto della proprietà dell’animale selvatico, ferito in modo tale da poter essere catturato. Trebazio riteneva che l’acquisto si producesse nell’istante del ferimento, e non in quello successivo della cattura. Tuttavia, il ferimento, benché necessario, non era sufficiente, occorrendo altresì che il cacciatore iniziasse ad inseguire la preda 37, alvolare solent: nam et apes idem faciunt, quarum constat feram esse naturam: cervos quoque ita quidam mansuetos habent, ut in silvas eant et redeant, quorum et ipsorum feram esse naturam nemo negat. in his autem animalibus, quae consuetudine abire et redire solent, talis regula comprobata est, ut eo usque nostra esse intellegantur, donec revertendi animum habeant, quod si desierint revertendi animum habere, desinant nostra esse et fiant occupantium. intelleguntur autem desisse revertendi animum habere tunc, cum revertendi consuetudinem deseruerint. 6 Gallinarum et anserum non est fera natura: palam est enim alias esse feras gallinas et alios feros anseres. itaque si quolibet modo anseres mei et gallinae meae turbati turbataeve adeo longius evolaverint, ut ignoremus, ubi sint, tamen nihilo minus in nostro dominio tenentur. qua de causa furti nobis tenebitur, qui quid eorum lucrandi animo adprehenderit. 7 Item quae ex hostibus capiuntur, iure gentium statim capientium fiunt: 35 Sulle numerose interpretazioni avanzate sull’opera, si veda, senza pretese di esaustività, V. ARANGIO-RUIZ, D. 44.7.25 § 1 e la classificazione gaiana delle fonti di obbligazione, in Mélanges de droit romain dédiés à G. Cornil, I, Paris 1926, ora in IDEM, Scritti di diritto romano, II, Napoli 1974, 141 ss.; IDEM, Ancora sulle «res cottidianae». Studio di giurisprudenza postclassica, in Studi in onore di P. Bonfante, I, Pavia 1930, ora in IDEM, Scritti, cit., II, 217 ss.; S. DI MARZO, I «libri rerum cottidianarum sive aureorum», in BIDR 51-52 (1948), 1 ss.; H.J. WOLFF, Zur Geschichte des Gaiustextes, in Studi in onore di V. Arangio-Ruiz, IV, Napoli 1953, 171 ss.; H. WAGNER, Studien zur allgemeinen Rechtslehre des Gaius. Ius gentium und ius naturale in ihrem Verhältnis zum ius civile, Zutphen 1978, 133 ss.; H.L.W. NELSON, Überlieferung, Aufbau und Stil von Gai Institutiones, Leiden 1981, 187 e 294 ss.; A. CENDERELLI, Il trattato e il manuale: divagazioni in tema di «res cottidianae», in BIDR 101-102 (1998-99), ora in IDEM, Scritti romanistici, Milano 2011, 591 ss., con altra bibliografia. 36 Sulla disputa, si veda, per tutti e con ricca bibliografia, A.D. MANFREDINI, “Chi caccia e chi è cacciato …”. Cacciatore e preda nella storia del diritto, Torino 2006, 16 ss., il quale ipotizza che il quesito sia stato sollevato “negli ambienti dell’insegnamento giuridico o retorico”, non estranei a Trebazio. Sul modo in cui la controversia venga riferita in età giustinianea e postgiustinianea, si legga I. 2,1,13 e ParI. 2,1,13. 37 Pertanto, se qualcuno si fosse impossessato della preda, mentre, dopo essere stata ferita, veniva inseguita dal cacciatore, costui sarebbe stato responsabile di furto.

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lo scopo di rendere la presa effettiva. Pertanto, se il medesimo cacciatore, dopo aver colpito la bestia, avesse poi desistito dall’inseguimento, la bestia stessa desinere nostram esse et rursus fieri occupantis. Dunque, si sarebbe trattato, come del resto è già stato suggerito 38, di una sorta di “ocupación espiritualizada”: Trebazio avrebbe riconosciuto nell’intenzione di catturare la preda, intenzione concretizzatasi nel braccare l’animale ferito, un elemento in grado di anticipare gli effetti collegati all’apprensione corporale, ossia l’acquisto della proprietà e, secondo alcuni 39, del possesso. L’opinione non sembra aver avuto successo. Infatti, la maggior parte dei giuristi 40 è dell’avviso che dalla cattura non si possa prescindere, in quanto dopo il ferimento possono accadere molti eventi in grado di rendere vana la presa di possesso 41. Pertanto, per l’acquisto della proprietà della fera bestia occorre aver attuato la custodia. Lo stesso tentativo, volto ad anticipare effetti giuridici di norma collegati all’ottenimento della compiuta disponibilità materiale della cosa, è documentato anche in un passo di Ulpiano che richiama sempre Trebazio: D. 18,6,1,2 (Ulp. 28 ad Sab.): Si dolium signatum sit ab emptore, Tre-

38 A. CASTRO SÁENZ, El tiempo de Trebacio. Ensayo de historia jurídica, Sevilla 2002, 252. Cfr. anche IDEM, Concepciones jurisprudenciales, cit., 89 ss. 39

Riferisce la controversia al concetto di possessio M.J. GARCIA GARRIDO, Derecho a la caza y «ius prohibendi» en Roma, in AHDE 26 (1956), 288 ss.; A. CASTRO SÁENZ, Concepciones jurisprudenciales, cit., 89 ss.; IDEM, El tiempo de Trebacio, cit., 252 ss., secondo cui la controversia era tra Trebazio, da un lato, Proculo e Nerazio, dall’altro (p. 253 s.). Contra, per tutti, A.D. MANFREDINI, “Chi caccia e chi è cacciato …”, cit., 19, il quale propende per una disputa sulla proprietà, e non sul possesso, in quanto l’opinione di Trebazio non avrebbe violato il modo di intendere le regole della possessio. Più in generale, sui rapporti tra Trebazio e Proculo in materia possessoria, si veda anche G. POLARA, Le “venationes”. Fenomeno economico e costruzione giuridica, Milano 1983, 65 n. 7. 40 Alcuni studiosi, sulla base di I. 2,1,13 (in cui l’opinione di Trebazio è assegnata ad anonimi giuristi), hanno visto una disputa tra due diversi indirizzi giurisprudenziali, forse tra proculiani e sabiniani. Cfr., in argomento, G.L. FALCHI, Le controversie, cit., 63; R. KNÜTEL, Arbres errants, îles flottantes, animaux fugitifs et trésors enfouis, in RH 76 (1998), 207 ss. 41

Sul punto, A.D. MANFREDINI, “Chi caccia e chi è cacciato…”, cit., 21, richiama D. 1,3,3 (Pomp. 25 ad Sab.), D. 1,3,4 (Cels. 5 dig.), D. 1,3,5 (Cels. 17 dig.) e assegna alla maggior parte dei giuristi, contrari all’opinione di Trebazio, una visione concreta dei fatti, tesa ad evitare “intricate questioni di priorità” e ad offrire “un punto fermo nel caso di conflitto tra cacciatori sull’acquisto della preda”.

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batius ait traditum id videri: Labeo contra, quod et verum est: magis enim ne summutetur, signari solere quam ut traditum videatur.

Ulpiano, in un testo ritenuto genuino 42, riporta una disputa tra Trebazio e Labeone in merito al valore giuridico da attribuire al dolium signare: Trebazio vi intravvedeva una traditio, mentre Labeone era di avviso contrario. Con quest’ultimo si schiera Ulpiano, secondo cui il ‘contrassegnare’ la botte si suole fare non tanto per indicare che la merce si deve reputare consegnata, quanto per evitare possibili sostituzioni. Al di là della problematica sottostante, verosimilmente legata alla responsabilità nascente da compravendita 43, interessa sottolineare che anche in questo caso Trebazio sembra dare rilevanza all’intenzione, purché manifestatasi nell’atto del signare, al fine di anticipare alcuni effetti legati alla consegna materiale del bene. Dunque, in entrambi i passi esaminati sembra emergere il tentativo di Trebazio di prescindere, in determinate ipotesi, dall’apprensione corporale del bene. Tuttavia, dire che in queste situazioni il giurista vedesse un acquisto animo del possesso non mi pare possibile 44. Non si può non sottolineare, infatti, che il termine animus non appare nel secondo testo 45 e che, nel primo 46 non è in relazione al possesso, bensì all’espressione ut ipse lucrifaceret, espressione che serve al giurista per introdurre un’ipotesi di furto, posto in essere da colui che 42 Cfr., tra gli altri, F. HAYMANN, Textkritische Studien zum römischen Obligationenrecht, II, in ZSS 41 (1920), 111 s.; E. SECKEL, E. LEVY, Die Gefahrtragung beim Kauf im klassischen römischen Recht, in ZSS 47 (1927), 208 s.; CH. APPLETON, Les risques dans la vente et les fausses interpolations, in RH 6 (1927), 202 e 202 n. 2; P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 114; E. BETTI, «Periculum». Problema del rischio contrattuale in diritto romano classico e giustinianeo, in Studi in onore di P. de Francisci, I, Milano 1956, 177 ss. 43 Cfr., ad esempio, E. BETTI, «Periculum», cit., 177 s.; M. D’ORTA, La giurisprudenza tra Repubblica e Principato. Primi studi su C. Trebazio Testa, Napoli 1990, 227 s., il quale vede nel responso di Trebazio una particolare “sensibilità per le ragioni dell’economia e degli scambi ... La signatio che equivale a traditio, la considerazione della opportunità di un’anticipata assunzione del rischio contrattuale stanno ad indicare un orientamento del giurista volto ad assicurare l’immediatezza della circolazione del prodotto, e così a garantirne l’integrità stante la facile deperibilità”. 44

Inoltre, non è neppure certo che i frammenti sopra riportati riguardassero la tematica possessoria, essendo il primo in materia di acquisto della proprietà (O. LENEL, Palingensia, cit., I, 252 s.) e il secondo di compravendita (O. LENEL, Palingensia, cit., II, 1121). 45

D. 18,6,1,2 (Ulp. 28 ad Sab.).

46

D. 41,1,5,1 (Gai. 2 rer. cott.).

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cattura l’animale braccato dal feritore. A queste considerazioni si aggiunga poi che non risultano altri frammenti, in cui Trebazio abbia impiegato il temine animus a proposito del possesso 47. Tuttavia, quanto detto non esclude il fatto che in Trebazio sia presente il tentativo di anticipare le conseguenze legate all’apprensione corporale della cosa, rendendo così verosimile che, in questo tentativo, egli possa essere stato seguito dai suoi allievi, primo tra tutti Labeone.

2.3. Labeone: l’acquisto animo del possesso di quaedam res Se per Trebazio 48 non mi è parso di rinvenire tracce di un acquisto animo del possesso, non altrettanto posso dire per Labeone il quale, in merito a beni non facilmente asportabili per dimensione o peso, non solo slega il conseguimento del possesso dall’apprensione corporale, ma lo fa servendosi altresì del termine animus. Leggiamo un passo di Giavoleno in materia di vendita 49: D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.): Quarundam rerum animo possessionem apisci nos ait Labeo: veluti si acervum lignorum emero et eum venditor tollere me iusserit, simul atque custodiam posuissem, traditus mihi videtur. idem iuris esse vino vendito, cum universae amphorae vini simul essent. sed videamus, inquit, ne haec ipsa corporis traditio sit, quia nihil interest, utrum mihi an et cuilibet iusserim custodia tradatur. in eo puto hanc quaestionem consistere, an, etiamsi corpore acervus aut amphorae adprehensae non sunt, nihilo minus traditae videantur: nihil video interesse, utrum ipse acervum an mandato meo aliquis custodiat: utrubique animi quodam genere possessio erit aestimanda 50.

Il testo, oggetto di numerose critiche in chiave interpolazionisti47

Cfr. VIR, voce animus, I, 445 ss.

48

D. 18,6,1,2 (Ulp. 28 ad Sab.); D. 41,1,5,1 (Gai. 2 rer. cott.).

49

Cfr. O. LENEL, Palingenesia, cit., I, 310.

50

Oltre alla letteratura di seguito citata, segnaliamo, tra gli altri, anche F. HORAK, Rationes decidendi, I, Innsbruck 1969, 248 s.; W.M. GORDON, Studies in the Transfer of Property by Traditio, Aberdeen 1970, 54 ss.; F.B.J. WUBBE, Iavolenus contra Labeonem, in Satura R. Feenstra, Fribourg 1985, 109 s.; J.L. BARTON, Animus and possessio, cit., 43 ss.; R. CARDILLI, L’obbligazione di «praestare» e la responsabilità contrattuale in diritto romano (II sec. a. C. – II sec. d. C.), Milano 1995, 385; F. BRIGUGLIO, Studi sul procurator, cit., 483 ss.

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ca 51, non è di agevole comprensione a causa del continuo sovrapporsi tra il pensiero di Labeone e quello di Giavoleno. Tuttavia, la prima parte (fino a simul esssent), ossia la parte che riproduce l’opinione del giurista augusteo, è ritenuta dalla maggior parte degli studiosi genuina 52. Labeone afferma che di ‘certe cose’ si acquista il possesso con l’animus 53, come ad esempio nella compravendita di una grande quantità di legname o di numerose anfore di vino: se il venditore ha autorizzato il compratore a portarle via, queste cose sembrano consegnate 54 non appena lo stesso compratore pone la custodia 55. 51

Cfr., ad esempio, S. RICCOBONO, Traditio ficta, in ZSS 33 (1912), 272 n. 1 e ZSS 34 (1913), 201; F. SCHULZ, Einführung in das Studium der Digesten, Tübingen 1916, 66 ss.; G. BESELER, Beiträge zur Kritik der römischen Rechtsquellen, IV, Tübingen 1920, 318; H.H. PFLÜGER, Zur Lehre vom Erwerbe des Eigentums nach römischem Recht, München und Leipzig 1937, 37 s.; P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 113 s.; C.A. CANNATA, Dalla nozione di ‘animo possidere’, cit., 86; W.M. GORDON, Studies in the Transfer, cit., 55; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 291. 52 Così, per tutti, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Il possesso, cit., 231, il quale ritiene, tuttavia, che i compilatori abbiano aggiunto il termine animus nel primo periodo; K. OLIVECRONA, The acquisition of Possession, cit., 76 s. e 76 n. 48, che, invece, esclude che il termine animus possa essere una aggiunta giustinianea; concorda con quest’ultima opinione P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 120 e n. 58. 53 Alcuni studiosi, pensando che l’acquisto del possesso si verificasse soltanto attraverso l’intervento di corpus e animus [cfr., ad esempio, D. 41,2,3,1 (Paul. 54 ad edict.)], avanzano l’ipotesi che Labeone suggerisse, in tema di quaedam res, una eccezione alla regola. Tra questi, ad esempio, G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 110; W.M. GORDON, Studies in the Transfer, cit., 56. In argomento, è opportuno ricordare che S. RICCOBONO, La teoria romana dei rapporti, cit., 16, ritiene che Labeone, citato da Giavoleno in D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.), sia stato il solo giurista a ritenere possibile un acquisto animo del possesso; della stessa opinione C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 488. 54 Nel testo si legge traditus mihi videtur, frase che potrebbe rinviare al fatto che, essendosi realizzato un acquisto animo del possesso, fossero altresì sorti “gli effetti che alla traditio si riconnettono” (P. ZAMORANI, Possessio, cit., 168 n. 5). Del resto, se Labeone e Giavoleno concordavano sulla circostanza che la possessio fosse acquistata al compratore, è verosimile ritenere che la disputa vertesse sulla modalità dell’acquisto medesimo. 55 Considerato che nel prosieguo del passo si fa riferimento al fatto che le cose siano prese in custodia dal compratore o da un terzo, la maggior parte degli studiosi ha pensato, richiamando un caso di metonimia, che i termini custodiam ponere fossero impiegati come sinonimi di custodem ponere. In questo senso, si veda, per tutti, VIR, voce Custodia, II, 1153; A. TARTUFARI, Della acquisizione e della perdita del possesso, I, Milano 1887, 118 s.; A. METRO, L’obbligazione di custodire nel diritto romano, Milano 1966, 7 e 7 n. 9; G.C.J.J VAN DEN BERGH, Custodiam praestare: Custodia-Liability or Liability for failing Custodia?, in T. 43 (1975), 64.

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Segue un interrogativo 56, vertente sul fatto di poter intravvedere in questa ipotesi una corporis traditio – e, pertanto, non più un acquisto animo del possesso –, non rilevando se il compratore o un qualsiasi terzo abbia preso la custodia della merce 57. Quindi, Giavoleno riassume il dibattito (in eo puto hanc quaestionem consistere), ma in termini diversi da quelli appena visti. Infatti, egli non fa alcun riferimento al compratore e al terzo, ma si limita a sostenere che il mucchio di legname o le anfore di vino sembrano consegnate anche in assenza di apprensione corporale. Nella chiusa, infine, ritornano le figure del compratore e del terzo, e si ribadisce che non sussiste alcuna differenza tra il caso in cui il compratore medesimo o un terzo incaricato acervum custodiat 58. L’impressione che si ricava dalla lettura del passo è che due diverse fattispecie, in origine trattate in maniera separata oppure non trattate affatto nel medesimo testo, siano state poi confuse 59: da una parte, la possibilità di un acquisto del possesso in assenza di un contatto fisico con la cosa e, dall’altra, la possibilità di intravvedere una corpo56 Sed videamus, inquit. Non è agevole individuare il soggetto dell’inquit. Molteplici ipotesi sono state avanzate. Ad esempio, alcuni studiosi hanno pensato alla stesso Labeone, menzionato poco prima [C.A. CANNATA, L’’animo possidere’, cit., 73; A. WATSON, The Law of Obligations in the Later Roman Republic, Oxford 1965, 60; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 58 n. 127; H. HAUSMANINGER, Besitzerwerb solo animo, in Festgabe für A. Herdlitczka, München-Salzburg 1972, 117, benché incerto]; altri, invece, a Proculo [S. RICCOBONO, Traditio ficta, cit. (1913), 201 ss.; F. SCHULZ, Einführung, cit., 72]; altri, infine, ad un esponente della scuola sabiniana (P. ZAMORANI, Possessio, cit., 168 n. 6). 57 Se non si vuole ammettere che due diverse fattispecie siano state confuse (cfr. infra nel testo), quantomeno si dovrà concedere un cambiamento di prospettiva: da un caso di acquisto del possesso in assenza di apprensione corporale si sarebbe passati ad un caso di acquisto del possesso in cui la disponibilità materiale della cosa era assunta da un terzo, e non dal compratore. 58 Il passo si conclude nel seguente modo: utrubique animi quodam genere possessio erit aestimanda. Il riferimento all’animus, proprio perché segue un periodo in cui l’apprensione corporale della cosa sembra essere stata realizzata (dal compratore o da un terzo), mi sembra da ritenere un’aggiunta successiva. In questo senso, si veda S. RICCOBONO, La teoria romana dei rapporti, cit., 16 n. 1; S. RICCOBONO, Traditio ficta, cit. (1913), 201; P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 113 s.; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 291. Ritengono non genuina l’intera frase, tra gli altri, G. ROTONDI, ‘Possessio quae animo retinetur’, cit., 107 n. 2 e 223 ss.; C.A. CANNATA, L’’animo possidere’, cit., 73; A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 532; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 126. 59 In questo senso, si veda, per tutti, A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 57; G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 108 s.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 166 ss.

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ris traditio nell’apprensione corporale esercitata da un terzo intermediario. L’impressione è avvalorata dal fatto che le due ipotesi ora delineate si trovano esposte in maniera nettamente distinta in un passo di Paolo: D. 41,2,1,21 (Paul. 54 ad edict.): Si iusserim venditorem procuratori rem tradere, cum ea in praesentia sit, videri mihi traditam Priscus ait, idemque esse, si nummos debitorem iusserim alii dare. non est enim corpore et tactu necesse adprehendere possessionem, sed etiam oculis et affectu argumento esse eas res, quae propter magnitudinem ponderis moveri non possunt, ut columnas, nam pro traditis eas haberi, si in re praesenti consenserint: et vina tradita videri, cum claves cellae vinariae emptori traditae fuerint.

Se io (compratore) ho autorizzato il venditore a consegnare la cosa ad un procurator 60, Priscus 61, verosimilmente Giavoleno 62, sostie60 Il fatto che il par. 21 si trovi all’interno di un lungo testo interamente incentrato sui soggetti tramite i quali si acquistava il possesso, e non sulle modalità con le quali il medesimo possesso si otteneva, fa pensare che Paolo stesse riflettendo sul caso in cui il compratore acquistasse il possesso in forza di una traditio fatta dal venditore al procurator. In argomento, tuttavia, la dottrina è divisa. Alcuni studiosi, infatti, ritengono che Paolo rinviasse ad un’ipotesi di traditio longa manu: il compratore, in seguito all’ordine impartito, sarebbe divenuto direttamente possessore e il procuratore, una volta ottenuta la disponibilità della cosa, mero custode del bene [tra questi, ad esempio, P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 77; A. WATSON, Acquisition of ownership by ‘traditio’ to an ‘extraneus’, in SDHI 33 (1967), 195]. Se così fosse, mi sembra di capire che saremmo di fronte ad un caso di acquisto del possesso per nosmet ipsos in forza dell’autorizzazione, data dal compratore al venditore, di consegnare il bene al procurator. Tuttavia, Paolo dedica all’acquisto del possesso per nosmet ipsos i paragrafi iniziali (dal 2 al 5), e poi passa a trattare l’acquisto della possessio attraverso altri (dal par. 5: item adquirimus possessionem per servum aut filium …); il par. 21 segue il par. 20 che si apre con l’affermazione secondo cui per procuratorem tutorem curatoremve possessio nobis adquiritur. Pertanto, benché il testo non vi accenni esplicitamente, ritengo più fondato che il giurista stesse trattando dell’ottenimento del possesso in seguito ad una effettiva traditio fatta ad un procurator. Sulla problematica, si veda, per tutti e con altra bibliografia, F. BRIGUGLIO, Studi sul procurator, cit., 475 ss.; M. MICELI, Studi sulla «rappresentanza», cit., 270 ss. 61 I passi in cui compare soltanto Priscus, non seguito da Fulcinius o Neratius né preceduto da Iavolenus o ancora Neratius, sono quatttro, oltre a quello citato nel testo: Ulp. 11,28; D. 35,1,112,3 (Pomp. 12 espist.); D. 39,6,21 (Ulp. 2 ad Urs. Fer.); D. 41,4,2,6 (Paul. 54 ad edict.). 62 Identificano Priscus con Giavoleno, ad esempio, I. ALIBRANDI, Teoria del possesso, cit., 258; S. RICCOBONO, Traditio ficta, cit. (1913), 202; K. OLIVECRONA, The acquisition of

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ne che la medesima cosa sembra mihi tradita, e lo stesso accade nel caso in cui io (creditore) abbia autorizzato il debitore a dare le monete, oggetto del rapporto obbligatorio, ad un altro. Questo acquisto del possesso tramite procurator, continua Paolo, è possibile, in quanto non è necessario adprehendere possessionem corpore et tactu, ma anche oculis et affectu. A dimostrazione dell’assunto, il giurista adduce poi il caso dei beni che non possono essere facilmente asportati a causa del loro peso: questi beni si intendono consegnati se le parti, alla presenza degli stessi beni, si sono accordate sul loro trasferimento 63. Se mettiamo a confronto i due passi 64, da una parte notiamo che Labeone 65 parla di quaedam res, cioè di beni la cui natura impedisce che possano essere asportati con facilità e in breve tempo, come si intuisce dall’esempio dell’acervum lignorum e delle amphorae vini; dall’altra, passando al testo paolino 66, ci accorgiamo che queste specifiche caratteristiche non sono riferite all’acquisto del possesso tramite procurator, rispetto al quale il tipo di cosa trasferita è del tutto irrilevante 67, bensì all’acquisto fatto personalmente in forza di una traditio smaterializzata. Sempre in questa prospettiva, cioè a sostegno del fatto che Labeone si occupasse di un caso di acquisto animo del possesso e non di un acquisto del possesso tramite un terzo 68, possiamo richiamare il testo dei Basilici corrispondente a D. 41,2,51: Possession, cit., 71 n. 42; P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 77 n. 1, sulla base di D. 46,3,79 (Iav. 10 epist.); A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 54 n. 123; W.M. GORDON, Studies in the transfer, cit., 47; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 170, con approfondimento alla n. 9; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 128. Ritengono, invece, che Priscus vada individuato in Nerazio, tra gli altri, O. LENEL, Palingensia, cit., I, 778 n. 2 e 785 n. 2; G. NICOSIA, Acquisto del possesso, cit., 147 n. 24. Infine, F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae quae supersunt, II.2, Lipsiae 1901, 261 e 266, pensa trattarsi di Fulcinio. 63 Paolo esponeva anche il caso del vino contenuto in una cantina. In questo caso, il vino si intendeva consegnato cum claves cellae vinariae emptori traditae fuerint. 64

D. 41,2,1,21 (Paul. 54 ad edict.) e D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

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D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

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D. 41,2,1,21 (Paul. 54 ad edict.).

67

A sostegno di questo, si noti che in D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.) Giavoleno, a proposito della consegna fatta ad un procurator, parlava semplicemente di res. 68 Sul fatto poi che Labeone ammettesse un acquisto del possesso tramite un terzo non pochi sono i dubbi, se è vero che ciò venne consentito solo da una certa epoca a chi fosse procurator (di cui non fa cenno D. 41,2,51). In argomento, tra gli altri, M. BRETONE, «Adquisitio per procuratorem»?, in Labeo 1 (1955), 280 ss.; G. NICOSIA, Ac-

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B. 50,2,50 (ed. Scheltema et Van der Wal, A VI, 2340): Kai\ yuxv= mo/nv ktw=mai nomh/n, oi(=on ei) o(pwlh/saj moi swro\n cu/lwn h)\ kera/mouj oi)/nwn u)f’ e(\n o)/ntaj e)pitre/yei moi tau=ta e)pa=rai 69.

La versione greca del passo non contiene alcun cenno alla figura dell’intermediario 70. Fa invece esclusivo riferimento ad un possesso acquistato in persona propria yuxv= mo/nv, in conseguenza di una compravendita avente ad oggetto una catasta di legna o alcune anfore di vino. Orbene, alla luce dei diversi argomenti appena addotti, mi sembra di poter ritenere che Labeone 71 sostenesse, in relazione a beni non facilmente asportabili, la possibilità di acquistare animo il possesso. Il giurista avrebbe ritenuto acquisito il possesso da parte del compratore anche prima che quest’ultimo ne avesse perfezionato l’apprensione corporale: la possessio sarebbe sorta quando il compratore, dopo essere stato autorizzato dal venditore a tollere le cose, avesse posto loro la custodia 72, vale a dire quando il compratore ne avesse assunto il “rischio” 73, la “potestas rei” 74 o “la sorveglianza” 75. quisto del possesso, cit., 139 ss.; F. BRIGUGLIO, Studi sul procurator, cit., 483 ss.; M. MICELI, Studi sulla «rappresentanza», cit., 277 ss., con richiamo di fonti e letteratura. 69 HEIMBACH, Basilicorum Libri LX, V, 53: Etiam solo animo nanciscor possessionem: velut si is, qui mihi acervum lignorum aut dolia vini, quae una erant, vendidit, ea me tollere iusserit. 70

In B. 50,2,50, si afferma che il possesso si intendeva trasferito nel momento in cui il venditore e)pitre/yei moi tau=ta e)pa=rai. 71

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

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Non è possibile, in questa sede, approfondire il complesso tema della custodia del venditore. Pertanto, rimando, ad esempio, a C.A. CANNATA, Ricerche sulla responsabilità contrattuale nel diritto romano, I, Milano 1966, 134 ss., con ricca bibliografia; G. MAC CORMACK, Custodia and Culpa, in ZSS 89 (1972), 175 s. R. CARDILLI, L’obbligazione di «praestare», cit., 1 ss. 73 Così P. ZAMORANI, Possessio, cit., 176, che cita a supporto D. 18,6,4,2 (Ulp. 27 ad Sab.): Vino autem per aversionem vendito finis custodiae est avehendi tempus. quod ita erit accipiendum, si adiectum tempus est: ceterum si non sit adiectum, videndum, ne infinitam custodiam non debeat venditor... 74

Cfr. A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 36, secondo cui potestas rei indicherebbe “quella situazione per cui la cosa è nella sfera di disponibilità del soggetto, anche se egli non la detiene materialmente”; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 122 s., che richiama (122 n. 68) a supporto D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.). Tuttavia, quest’ultima studiosa cerca di conciliare le due ipotesi presenti nel testo, distinguendo tra acquisto della proprietà e acquisto del possesso: “esso affermerebbe che la traditio, intesa come passaggio della proprietà, si ha per compiuta anche se le merci non sono

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2.4. Proculo e Nerazio: l’acquisto animo del possesso del thensaurus Dopo Labeone, anche Proculo e Nerazio sembrano accettare, sempre in relazione a beni connotati da determinate caratteristiche, la regola dell’acquisto animo del possesso. Leggiamo un testo di Paolo in materia di tesoro: D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.): Neratius et Proculus et solo animo non posse nos adquirere possessionem, si non antecedat naturalis possessio. ideoque si thensaurum in fundo meo positum sciam, continuo me possidere, simul atque possidendi affectum habuero, quia quod desit naturali possessioni, id animus implet. ceterum quod Brutus et Manilius putant eum, qui fundum longa possessione cepit, etiam thensaurum cepisse, quamvis nesciat in fundo esse, non est verum: is enim qui nescit non possidet thensaurum, quamvis fundum possideat. sed et si sciat, non capiet longa possessione, quia scit alienum esse. quidam putant Sabini sententiam veriorem esse nec alias eum qui scit possidere, nisi si loco motus sit, quia non sit sub custodia nostra: quibus consentio.

Come molti studiosi hanno rilevato 76, il testo è stato verosimilmente oggetto di numerosi interventi che ne hanno modificato la sostanza originaria. Pensiamo, ad esempio, all’esordio, in cui è stato proposto di inserire Nerva in luogo di Neratius 77, in quanto “è più naturale che innanzi a Proculo sia nominato il caposcuola e predecessomaterialmente apprese, ma il possesso su di esse è acquistato solo animo e, finché non verrà effettivamente esercitato, sarà una sorta di possesso spirituale (animi quodam genere possessio)”. 75 C.A. CANNATA, Corso, cit., I, 194. Lo segue, da ultimo, F. BRIGUGLIO, Studi sul procurator, cit., 483 ss. e 485 n. 501. 76 Si veda, a mero titolo esemplificativo (cfr. anche note seguenti), B. KÜBLER, Emendationen des Pandektentextes, in ZSS 11 (1890), 51, il quale suggerisce di sopprimere il non dopo solo animo e di mutare i successivi si non in etsi; E. ALBERTARIO, Infanti proximus e pubertati proximus (A proposito di un recente studio), in AG 89 (1923), ora in IDEM, Studi di diritto romano, I, Persone e famiglia, Milano 1933, 85 n. 1, che ritiene non genuina la frase simul atque possidendi affectum habuero; G. BESELER, Miscellanea, in ZSS 44 (1924), 374; G. BESELER, Juristische Miniaturen, Leipzig 1929 (rist. Napoli 1989, con nota di lettura di A. Guarino), 94 s.; CH. APPLETON, Le trésor et la iusta causa usucapionis, in Studi in onore di P. Bonfante, III, Milano 1930, 10 s.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 181 ss. 77

Cfr., tra gli altri, F. KNIEP, Vacua possessio, cit., 165; G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 108; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 302; B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 39 n. 130.

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re che non un giureconsulto posteriore” 78, oppure di aggiungere Labeo 79 o ille 80; ancora all’et 81 successivo a Proculus, da alcuni conservato e fatto seguire da Nerva 82, da altri trasformato in at, che rimanda alla forma verbale aiunt 83, da reputare altrimenti implicita; pensiamo, infine, al termine solus, espunto da qualche autore 84. Gli interventi in questione, tuttavia, non si limiterebbero a qualche isolato termine, ma si estenderebbero all’intero primo periodo 85, in quanto contraddittorio 86. Paolo, infatti, informa che Proculo e Nerazio subordinavano l’acquisto solo animo del possesso alla naturalis possessio del bene. Pertanto, prima sarebbe stato necessario procurarsi la materiale disponibilità della cosa e poi si sarebbe potuto acquisire il possesso con il solo animus 87. L’antinomia sembra affiorare: come è possibile parlare di un possesso acquistato solo animo una volta che si è ottenuta la materiale disponibilità del bene? Dunque, la verosimile contraddizione dell’esordio mette in dubbio l’autenticità dell’opinione di Proculo e Nerazio, e suggerisce, al fine di rinvenire maggiori informazioni, di proseguire nella lettura del frammento, dove Paolo introduce, come ipotesi di concreta applicazione della regola, il caso del tesoro. Rispetto al possesso di questo, i due 78 P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 302: “Nerva et Proculus è la formula di rito per indicare la scuola proculeiana”. 79

C.A. CANNATA, Corso, cit., I, 196.

80

G. BESELER, Juristische Miniaturen, cit., 94.

81

L’et risulta presente in F1, mentre non è riprodotto in F2.

82

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 78 n. 14.

83

P. PESCANI, De Digestorum archetypo, in Studi in onore di E. Betti, III, Milano 1962, 609; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 181 n. 1. 84

Cfr., per tutti, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 63.

85

Fino a naturalis possessio.

86

La contraddizione può non apparire ad una prima lettura. Si potrebbe, infatti, pensare che Proculo e Nerazio affermassero che, ottenuta la disponibilità materiale, fosse il cambiamento dell’animus a determinare l’acquisto del possesso. Tuttavia, questa interpretazione mal si conclia con l’esempio che segue, nel quale si legge che la naturalis possessio non è completa. 87

C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 79 n. 21 e 92, secondo cui il termine solus (che precede animus) apparterrebbe a Paolo: “Proculo e Nerazio non potevano pensare ad un acquisto solo animo, perché non conoscevano l’acquisto animo et corpore; essi guardavano il momento in cui il possesso inizia e consideravano il fatto che produce questo incipere possessionem”. Critici nei confronti dell’opinione di Cannata, tra gli altri, A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 532; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 131 n. 98.

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giuristi appena menzionati ne condizionavano l’acquisto all’effettiva conoscenza, ossia, così sembra, al ritrovamento dello stesso tesoro 88 e al conseguente possidendi affectus 89. Segue una frase (quia quod desit naturali possessioni, id animus implet 90) che pare rimandare al fatto che Proculo e Nerazio, appurato il fatto che l’apprensione corporale del bene non si era ancora realizzata 91, facevano ricorso all’animus per determinare il sorgere della fattispecie possessoria. Collegando quanto appena detto alla circostanza che quantomeno a partire dall’età classica avanzata l’acquisto del possesso solo animo viene escluso 92, non ci sembra improbabile che tutto il primo periodo 88

Non ci pare possibile, infatti, scollegare scientia e ritrovamento del tesoro, vista anche la definizione che Paolo offre di tesoro in D. 41,1,31,1 (Paul. 31 ad edict.): Thensaurus est vetus quaedam depositio pecuniae, cuius non exstat memoria, ut iam dominum non habeat… Sulla definizione paolina e sul tesoro in generale, si veda, per tutti, M. PAMPALONI, Il concetto giuridico del tesoro nel diritto romano odierno, in Per l’VIII centenario della Università di Bologna, Roma 1889, 102 ss.; CH. APPLETON, Le trésor, cit., 10 ss.; C. BUSACCA, Qualche osservazione sulle innovazioni introdotte dai Divi Fratres nel regime giuridico del tesoro, in Scritti in onore di A. Falzea, IV, Milano 1991, 133 ss.; C. BUSACCA, voce Tesoro, in ED XLIV (1992), 382 ss.; A. AGUDO RUIZ, El concepto de tesoro en derecho romano, in filía, Scritti per G. Franciosi, I, Napoli 2007, 31 ss., con altra bibliografia. 89 Secondo P. ZAMORANI, Possessio, cit., 194 n. 25, non vi sarebbe soluzione di continuità “fra l’acquisizione della scientia dell’esistenza del tesoro e l’insorgere dell’affectus possidendi; io trovo un tesoro ed immediatamente ne acquisto il possesso perché immediatamente si forma in me il desiderio, l’intenzione, l’atteggiamento mentale, di possederlo”. Come sopra accennato, l’espressione possidendi affectus è giudicata non genuina da E. ALBERTARIO, Infanti proximus, cit., 85 n. 1. 90 Questa frase è ritenuta insiticia, tra gli altri, da S. PEROZZI, Istituzioni di diritto romano, I, Firenze 19282, 846 n. 1; C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 78 s.; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 64 n. 141. Interessante il rilievo di H. HAUSMANINGER, Besitzerwerb solo animo, cit., 115 s., il quale nota una antinomia tra la frase in questione e quella iniziale, in cui si legge solo animo non posse nos adquirere possessionem si non antecedat naturalis possessio; lo studioso, pur preferendo eliminare il non (solo animo [non] posse nos adquirere possessionem), avanza anche l’ipotesi che le due frasi abbiano un oggetto differente: non si sarebbe potuto ottenere solo animo il possesso del tesoro, a meno che non fosse preceduta la naturalis possessio del fondo. 91 Contra, M. MARRONE, Actio ad exhibendum, in AUPA 26 (1957), 294 n. 25, secondo cui la naturalis possessio consisteva nel fatto che il tesoro giaceva nel fondo; G. MAC CORMACK, Naturalis possessio, in ZSS 84 (1967), 51 ss.; IDEM, The Role of Animus, cit., 112 s.; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 302, il quale, ritenendo il tesoro nella sfera d’azione del possessore, scrive: “sicché la possessio corpore è bensì imperfetta (deest aliquid), ma non manca in tutto e si può dire che preceda”; A. BURDESE, voce Possesso, cit., 458, il quale pensa che i due giuristi intravvedessero la naturalis possessio nell’esistenza della cosa nel fondo posseduto. 92 Cfr., in particolare, Gai. 4,153; P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,1.6 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,44,1 (Pap. 23 quaest.).

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sia stato sottoposto ad una decisa manipolazione, tesa a modificare un’opinione minoritaria, favorevole ad un acquisto del possesso solo animo, per adeguarla alla nuova disciplina. Si potrebbe pertanto accettare la proposta di Bremer 93 e leggere il passo nel seguente modo: D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.): Neratius et Proculus et solo animo [non] posse nos adquirere possessionem si non antecedat naturalis possessio …

oppure la proposta, più invasiva, avanzata da altri 94: D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.): Neratius et Proculus [et] solo animo [non 95] posse nos adquirere possessionem [si non antecedat naturalis possessio] …

Orbene, in base ad entrambe le ricostruzioni, Nerazio e Proculo sarebbero stati favorevoli ad un acquisto animo del possesso. Continuando nella lettura del frammento si rinvengono altri indizi a sostegno della ipotesi avanzata. Paolo, dopo aver richiamato Proculo e Nerazio, cita Bruto e Manilio i quali pensavano che l’usucapione del fondo comportasse l’usucapione del tesoro, anche nel caso in cui se ne ignorasse l’esistenza. Questi giuristi, pertanto, concependo il tesoro come una sorta di parte del fondo, ne condizionavano l’acquisizione del possesso all’acquisizione del possesso del fondo stesso 96. Contro Bruto e Manilio si schiera Paolo il quale, insieme a quidam, ritiene più corretto il parere espresso da Sabino: per possedere 93

F.P. BREMER, Iurisprudentiae antehadrianae, cit., II.2, 351.

94

Cfr., per tutti, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 192.

95

Hanno proposto di sopprimere il non prima di posse, tra gli altri, G. ROTONDI, I ritrovamenti archeologici e il regime dell’acquisto del tesoro, in Riv. dir. civ. 2 (1910), ora in IDEM, Studii varii di diritto romano ed attuale, Milano 1922, 347 (tuttavia, l’autore muta opinione nel successivo Possessio quae animo retinetur, cit., 108 n. 2); H. HAUSMANINGER, Besitzerwerb solo animo, cit., 115; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 302. 96 Su questa opinione, si veda, ad esempio, P. HUVELIN, Études sur le furtum dans le très ancien droit romain, Lyon-Paris 1915 (rist. anast. Roma 1968), 273 ss.; M. LAURIA, Dal possessore del tesoro all’«inventor» (D. 41.2.3.3), in Labeo 1 (1955), 22 s.; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 244. Per un ulteriore approfondimento di questo indirizzo giurisprudenziale, si veda, per tutti, T. MAYER-MALY, Studien zur Frühgeschichte der Usucapio, III, in ZSS 79 (1962), 105 ss.; A. WATSON, The Law of Property in the Later Roman Republic, Oxford 1968, 55 ss.

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il tesoro occorre non solo sapere della sua presenza, ma pure provvedere alla rimozione, in quanto senza quest’ultima attività la cosa non può dirsi sub custodia 97. Altrimenti detto: senza aver conseguito la disponibilità materiale non può esserci possesso. Se, dunque, Sabino, Paolo e imprecisati altri giuristi ritenevano necessario al sorgere della possessio l’apprensione corporale del bene, è verosimile pensare che Nerazio e Proculo, in precedenza citati alla stregua di Bruto e Manilio, non lo sostenessero. Nerazio e Proculo sarebbero stati favorevoli ad un acquisto animo del possesso, mentre Sabino e Paolo sarebbero stati contrari. Sul punto, tuttavia, non si può tacere il fatto che autorevoli studiosi 98, optando per una lettura più conservativa del passo, hanno ritenuto che i due indirizzi giurisprudenziali non disputassero sull’acquisto animo del possesso, bensì sul requisito della naturalis possessio 99: mentre i proculiani avrebbero identificato il ‘possesso naturale’ con la raggiunta conoscenza del tesoro, i sabiniani avrebbero richiesto la rimozione 100. Entrambi gli indirizzi, pertanto, sarebbero stati contrari ad un acquisto solo animo del possesso. 97 Ricordiamo che il termine custodia appare anche nel sopra visto D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post Lab.): Quarundam rerum animo possessionem apisci nos ait Labeo: veluti si acervum lignorum emero et eum venditor tollere me iusserit, simul atque custodiam posuissem, traditus mihi videtur... 98 Cfr., tra gli altri, S. PEROZZI, Istituzioni (ediz. 1928), cit., I, 846 n. 1; A. BURDESE, Recensione a K. Olivecrona, Three Essays in Roman Law, cit., 6 s.; G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 112 ss.; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 137 s. 99 Sulla naturalis possessio, G. SCHERILLO, Contributi alla dottrina romana del possesso. I. Possessio naturalis, in Rend. Ist. Lomb. di scienze e lettere 63 (1930), ora in IDEM, Scritti giuridici, II.2, Studi di diritto romano, Bologna 195, 295, scrive: “Il significato delle espressioni possessio naturalis, possidere naturaliter e simili è, per quanto riguarda il diritto classico, pacifico: possessio naturalis non è che l’elemento materiale del possesso, la detenzione”; inoltre, E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Possesso e quasi possesso, cit., 67, afferma: “Possessio naturalis significa invariabilmente l’elemento materiale del possesso: è un fatto senza alcun valore giuridico, perché resta fuori di qualsiasi ordinamento civile e pretorio. Possessio naturalis è la detenzione”; ancora, G. NICOSIA, L’acquisto del possesso mediante i «potestati subiecti», Milano 1960, 244 n. 96, così si esprime: “se c’è un punto su cui la dottrina è pressoché universalmente concorde è nel ritenere che con l’espressione naturalis possessio i classici indicavano (secondo alcuni autori esclusivamente, secondo altri in primo luogo) appunto la detenzione, la c.d. possessio corpore”; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 76 n. 1: “la locuzione possessio naturalis indica la moderna idea di detenzione”. Sul punto, cfr. anche M. KASER, Wesen und Wirkungen der Detention in den antiken Rechten, in Atti del III Congresso di diritto comparato, I, 1953, ora in IDEM, Ausgewählte Schriften, II, Camerino 1976, 3 ss. 100

Cfr. A. BURDESE, Recensione a K. Olivecrona, Three Essays in Roman Law, cit., 7:

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A questa interpretazione, senza dubbio corretta e possibile, preferisco un’altra, che valorizza tutte e tre le opinioni esposte da Paolo secondo un climax ascendente. Innanzitutto, l’indirizzo più risalente, quello di Bruto e Manilio, secondo cui il possesso del tesoro, mera parte del fondo, non dipendeva dalla disponibilità materiale né dalla conoscenza del medesimo. Ai due giuristi si sarebbero opposti Nerazio e Proculo 101 i quali, pur concordando sulla non necessità della naturalis possessio 102 per l’inizio della fattispecie possessoria, richiedavano la conoscenza (il ritrovamento) del tesoro nel fondo. Infine, Sabino, Paolo e altri, i quali al contrario esigevano che si provvedesse alla rimozione della cosa, in quanto, prima di allora, la cosa medesima non avrebbe potuto dirsi sub custodia. In conclusione, la disputa avrebbe riguardato il sorgere del possesso allorché la naturalis possessio del bene non si fosse ancora pienamente compiuta 103: per alcuni (Sabino e Paolo) sarebbe stata necessaria la sua definitiva realizzazione, ossia la completa rimozione del tesoro 104, mentre per altri (Proculo e Nerazio) l’intervento sostitutivo “i sabiniani (...) non negano qui che, qualora preesista la naturalis possessio, sia sufficiente l’intervento dell’affectus possidendi a che si verifichi l’acquisto del possesso; piuttosto non vedono, nel semplice fatto di sapere che esiste nel proprio fondo un tesoro, gli estremi per ritenere quest’ultimo sub custodia”. 101 Secondo G.L. FALCHI, Le controversie, cit., 66, i proculiani avrebbero continuato, benché in maniera parziale, ad aderire all’opinione di Bruto e Manilio, sviluppandola. 102

G. SCHERILLO, Contributi alla dottrina romana, cit., 305, il quale traccia un collegamento tra possessio naturalis e animus possidendi: “i primi giureconsulti in cui si parla di possessio naturalis sono Proculeiani, quegli stessi Proculeiani ai quali probabilmente si deve l’elaborazione autonoma dell’animus possidendi”. 103 Cfr. P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 302, il quale, benché utilizzando l’espressione possessio corpore, afferma: “… Si può osservare che la cosa è pur sempre, se non appresa da me, certo nella mia sfera d’azione e in un certo senso a mia disposizione anche di fronte ai terzi: sicché la possessio corpore è bensì imperfetta (deest aliquid), ma non manca in tutto…”. 104

Contra, G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 115, il quale, ritenendo che la tesi sabiniana fosse stata professata già da Labeone, non vede controversia tra proculiani e sabiniani. Lo studioso cita al riguardo D. 10,4,15 (Pomp. 18 ad Sab.): Thensaurus meus in tuo fundo est nec eum pateris me effodere: cum eum loco non moveris, furti quidem aut ad exhibendum eo nomine agere recte non posse me Labeo ait, quia neque possideres eum neque dolo feceris quo minus possideres, utpote cum fieri possit, ut nescias eum thensaurum in tuo fundo esse... Tuttavia, non mi sembra che i due testi possano essere confrontati: Pomponio (D. 10,4,15), infatti, parlava di tesoro in senso improprio, ossia di un bene prezioso sotterrato da un terzo nel fondo di un altro soggetto il quale ne impediva il recupero; Paolo (D. 41,2,3,3), invece, non solo trattava di tesoro in senso proprio [anzi Paolo esclude che si possa parlare di tesoro quando vi sia

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dell’animus 105, che avrebbe consentito di anticipare la condotta materiale, la quale a breve sarebbe sopraggiunta. Dunque, Proculo e Nerazio avrebbero ammesso l’acquisto solo animo del possesso: la conoscenza del tesoro, attuatasi con il ritrovamento, sarebbe stata sufficiente per ritenere sorta la fattispecie possessoria. Se così è, risulterebbe che non solo Labeone 106, ma anche altri esponenti della scuola proculiana 107 fossero orientati ad ammettere, rispetto a beni non facilmente asportabili, tra cui il tesoro 108, l’acquisto animo del possesso.

2.5. Nerva e Proculo: un altro caso di acquisto animo del possesso? Sempre nella prospettiva di un acquisto animo del possesso, è opportuno leggere anche un testo ulpianeo, nel quale insigni autori 109 un dominus, D. 41,1,31,1 (Paul. 31 ad edict.): Thensaurus est vetus quaedam depositio pecuniae, cuius non exstat memoria, ut iam dominum non habeat: sic enim fit eius qui invenerit, quod non alterius sit. alioquin si quis aliquid vel lucri causa vel metus vel custodiae condiderit sub terra, non est thensaurus: cuius etiam furtum fit], ma anche del fatto che il ritrovamento fosse avvenuto ad opera del proprietario del fondo. Inoltre, il passo di Pomponio (D. 10,4,15) è incentrato sulla possibilità di esercitare l’actio furti o l’actio ad exhibendum, mentre il testo di Paolo (D. 41,2,3,3) riguarda il momento nel quale si acquistava il possesso. 105

Questo potrebbe rendere verosimile, in quanto altrimenti fonte di contraddizione, l’interpolazione della frase iniziale, laddove si condiziona l’acquisto animo del possesso al si non antecedat naturalis possessio. Sul punto, invece, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 79, preferisce ritenere non genuino il secondo riferimento alla naturalis possessio: “I Proculiani si accontentano, come al solito, dell’atto spiritualizzato… Il che, come al solito ancora, non vuole dire attuare l’elemento soggettivo del possesso, ma indica semplicemente l’equivalente spirituale del ‘loco thensaurum movere’ di Sabino. Ciò è tanto vero che per i seguaci di Labeone non si assiste qui all’integrarsi dei due elementi del possesso (come penserebbe un moderno, e come certo pensava il glossatore che inserì quia quod desit – implet), ma ad un acquisto animo, possibile in queste circostanze, e cioè se antecedat naturalis possessio, la quale, a sua volta, non è l’elemento materiale, già attuato, del possesso, ma cosa diversa, benché sia la condizione che rende possibile l’acquisto siffatto”. 106

D. 41,2,51 (Iav. 5 ex post. Lab.).

107

D. 41,2,3,3 (Paul. 54 ad edict.). Contra, ad esempio, S. RICCOBONO, Traditio ficta, cit. (1913), 201, il quale pensa che la soluzione avanzata da Labeone (D. 41,2,51) venne riprovata poi da Proculo (D. 41,2,3,3), “e la giurisprudenza posteriore fu tutta concorde in questa massima”. 108

Oltre al tesoro: acervum lignorum e amphorae vini.

109

Cfr., per tutti, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 80.

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hanno individuato la stessa controversia appena vista: a Nerva, Proculo, Marcello e Ulpiano, favorevoli ad un acquisto animo del possesso, si sarebbero contrapposti altri giuristi, forse di scuola sabiniana 110: D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.): Deposui apud te decem, postea permisi tibi uti: Nerva Proculus etiam antequam moveantur, condicere quasi mutua tibi haec posse aiunt, et est verum, ut et Marcello videtur: animo enim coepit possidere. ergo transit periculum ad eum, qui mutuam rogavit et poterit ei condici.

Ho depositato una somma di denaro presso di te e in un momento successivo ti ho permesso di utilizzarla. Nerva e Proculo sostengono che, etiam antequam moveantur, il deposito debba considerarsi trasformato in mutuo 111. L’opinione è condivisa da Marcello 112 e dallo stesso Ulpiano: animo enim coepit possidere 113. Di conseguenza, il mutuatario assume il periculum e il mutuante, per richiedere il denaro, deve agire con la condictio 114. Non così, invece, nel caso in cui le parti abbiano previsto, fin dal sorgere del deposito, la possibilità di usare la somma di denaro. In 110 P. ZAMORANI, Possessio, cit., 196 n. 4, secondo cui un diverso indirizzo giurisprudenziale (probabilmente di matrice sabiniana) avrebbe invece richiesto l’utilizzo della somma di denaro. Sul punto, P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 140 e 140 n. 127, avanza l’ipotesi, sulla base di D. 17,1,34 pr. (Afr. 8 quaest.), che “almeno una parte” della scuola sabiniana (Africano e il suo maestro Giuliano) aderisse alla dottrina proculiana. 111 Non approfondisco la problematica del deposito irregolare e della sua classicità. Per questi ultimi argomenti, rimando, ad esempio, a F. BONIFACIO, Ricerche sul deposito irregolare in diritto romano, in BIDR 49-50 (1947), 80 ss.; G. GANDOLFI, Il deposito nella problematica della giurisprudenza romana, Milano 1976, 148 ss.; W.M. GORDON, Observations on “depositum irregulare”, in Studi in onore di A. Biscardi, III, Milano 1982, 363 ss.; F. SCOTTI, Il deposito nel diritto romano. Testi con traduzione italiana e commento, Torino 2008, 183 ss., con altra letteratura. 112 Richiamare vari giuristi a sostegno di un’opinione è stato interpretato come segno del fatto che tale opinione non fosse da tutti accolta. Così, per tutti, F. SCHULZ, Einführung, cit., 64. 113 Pur inserito dopo Marcello, l’inciso animo enim coepit possidere viene attribuito anche a Nerva e a Proculo da G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 125; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 139 n. 124. Invece, H.T. KLAMI, «Mutua magis videtur quam deposita». Über die Geldverwahrung im Denken der römischen Juristen, Helsinki 1969, 70, pensa che la frase sia una citazione diretta di Marcello, il che giustificherebbe il richiamo di quest’ultimo giurista dopo Nerva e Proculo. 114 Il periodo finale (da ergo transit alla fine) è ritenuto una aggiunta successiva da C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 80, in quanto “inutile ripetizione”.

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questa ipotesi, infatti, il deposito si trasforma in mutuo non prima che la cosa mota sit 115: D. 12,1,10 (Ulp. 2 ad edict.): Quod si ab initio, cum deponerem, uti tibi si voles permisero, creditam non esse antequam mota sit, quoniam debitu iri non est certum.

Leggendo congiuntamente i due passi, mi pare che la problematica sottostante sia la stessa e verta sul sorgere di un mutuo in luogo di un deposito: se la possibilità di utilizzare la somma depositata è concordata ab initio, il cambiamento del contratto si verifica soltanto con l’effettivo impiego del denaro. Se, invece, l’accordo è avvenuto in un momento successivo, allora non è necessario attendere l’utilizzo del denaro per la trasformazione del deposito in mutuo, essendo sufficiente l’intervenuta autorizzazione del depositante. In questo contesto, incentrato non sull’apprensione corporale del bene da parte del depositario-mutuatario, bensì sull’uso del bene medesimo, il riferimento all’animus, cioè ad un elemento che denota un acquisto immateriale del possesso, non sembra del tutto corretto 116. Avendo il depositario-mutuatario, infatti, già ottenuto l’effettiva disponibilità del bene, si tratterebbe di un acquisto nel quale l’animus si aggiunge alla naturalis possessio 117, come suggerisce uno scolio dei Basilici: 115 Cfr. anche D. 16,3,1,34 (Ulp. 30 ad edict.): Si pecunia apud te ab initio hac lege deposita sit, ut si voluisses utereris, prius quam utaris depositi teneberis. 116 Ritengono, invece, genuino il riferimento all’animus, tra gli altri, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 80, il quale pensa che la frase animo enim coepit possidere sia “una spiegazione accettabilissima e consona con il pensiero di Labeone che appariva nel cit. fr. 51, D. 41, 2”. Seconso l’autorevole studioso, pertanto, saremmo “di fronte al consueto acquisto smaterializzato, in un caso in cui i Sabiniani avrebbero richiesto l’apprensione materiale”; A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 533; G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 125 s.; H. HAUSMANINGER, Besitzerwerb solo animo, cit., 116; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 141 s., la quale cerca di spiegare il fatto ipotizzando che “negli altri casi la traditio fosse presa in considerazione solo per l’effetto di trasferimento della proprietà e non da un punto di vista possessorio. Nella prospettiva del passaggio di proprietà, infatti, si poteva anche prescindere, in casi speciali, dal rapporto materiale col bene senza dover cercare particolari motivazioni a sostegno. Se si guardava, invece, all’aspetto possessorio, più pressante si presentava il problema di giustificare l’assenza di un elemento oggettivo al momento della conclusione del negozio; alcuni giuristi avrebbero risolto tale problema rimarcando la presenza dell’animus che, accanto alla preesistente disponibilità materiale, avrebbe permesso di considerare ugualmente acquistato anche il possesso”. 117

Non penso che il giurista, con la frase animo enim coepit possidere, volesse dire

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Schol. 62 ad B. 23,1,9 (ed. Scheltema et Holwerda, B IV, 1520): … Dia\ tou=to de/ fhsi to\n deposita/rion a)/rxesqai yuxv= ne/mesqai, e)peidh\ fusikh\ par’ au)tou= prohgh/sato katoxh/ 118.

Dunque, ritornando al testo ulpianeo 119, sembra più verosimile considerare insiticio il riferimento all’aspetto soggettivo, in quanto non ci troveremmo di fronte ad un acquisto animo del possesso. Gli argomenti non mancano. Innanzitutto, proprio laddove si incomincia a parlare di animus, si registra l’abbandono dell’ego e del tu a favore della terza persona; poi il termine mutuam in luogo di mutua; e ancora la ripetizione della condictio, poco prima menzionata, nonostante la brevità del testo 120. Inoltre, accanto a queste imperfezioni di natura formale, si deve anche rilevare che la fattispecie delineata da Ulpiano è l’unico caso in cui l’acquisto del possesso, quando già si è ottenuta la materiale disponibilità della cosa, è giustificato in base all’animus 121. che era il cambiamento di animus a permettere la trasformazione della detenzione in possesso. Infatti, a quanto mi è parso di capire, i giuristi ricorrevano all’animus quando il possessore non aveva la materiale disponibilità del bene (mentre in D. 12,1,9,9 la materiale disponibilità della cosa sussisteva). Proprio in questo senso, del resto, Ulpiano impiegava il termine animus, contrapponendolo in maniera esplicita al corpore possidere, come appare dalla lettura di D. 43,16,1,24.26 (Ulp. 69 ad edict.): Sive autem corpore sive animo possidens quis deiectus est, palam est eum vi deiectum videri. idcircoque si quis de agro suo vel de domo processisset nemine suorum relicto, mox revertens prohibitus sit ingredi vel ipsum praedium, vel si quis eum in medio itinere detinuerit et ipse possederit, vi deiectus videtur: ademisti enim ei possessionem, quam animo retinebat, etsi non corpore … 26 Eum, qui neque animo neque corpore possidebat, ingredi autem et incipere possidere prohibeatur, non videri deiectum verius est: deicitur enim qui amittit possessionem, non qui non accipitur (sul testo, cfr. par. 8 e ss.). 118 HEIMBACH, Basilicorum, cit., II, 601: … Ideo autem ait depositarium coepisse animo possidere, quia naturalis possessio iam antea apud eum fuerat. 119

D. 12,1,9,9 (Ulp. 26 ad edict.).

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Per una possibile spiegazione di questi difetti formali, si veda, tra gli altri, G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 125 s.; H.T. KLAMI, «Mutua magis videtur quam deposita», cit., 68 ss. 121

Si legga, ad esempio, D. 6,2,9,1 (Cels. 16 ad edict.): Si quis rem apud se depositam vel sibi commodatam emerit vel pignori sibi datam, pro tradita erit accipienda, si post emptionem apud eum remansit. Poi, D. 21,2,62 pr. (Cels. 27 dig.): Si rem quae apud te esset vendidissem tibi: quia pro tradita habetur, evictionis nomine me obligari placet. E infine un passo in cui compare l’espressione nuda voluntas, D. 41,1,9,5 (Gai. 2 rer. cott.): Interdum etiam sine traditione nuda voluntas domini sufficit ad rem transferendam, veluti si rem, quam commodavi aut locavi tibi aut apud te deposui, vendidero tibi: licet enim ex ea causa tibi eam non tradiderim, eo tamen, quod patior eam ex

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Ritenendo, pertanto, interpolato il riferimento al termine in questione 122, mi sembra che il testo non possa essere valorizzato ai fini della presente ricerca 123. causa emptionis apud te esse, tuam efficio. Altri testi in P. VOCI, Modi di acquisto, cit., 115 ss.; W.M. GORDON, Studies in the transfer, cit., 36 ss. 122 Molti sono gli studiosi che ritengono interpolato l’inciso animo enim coepit possidere. Tra questi, ad esempio, F. SCHULZ, Einführung, cit., 64; G. BESELER, Miscellanea, cit., 375; K. OLIVECRONA, The acquisition of Possession, cit., 77 n. 48; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 27 s.; U. VON LÜBTOW, Die Entwicklung des Darlehensbegriffs im römischen und im geltenden Recht, Berlin 1965, 55 ss.; A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 57 n. 127; W. LITEWSKI, Le dépôt irrégulier, in RIDA, 3a série, 22 (1975), 282. 123 Alle stesse conclusioni si deve pervenire in relazione ad un altro testo, anche questo ritenuto interpolato (cfr. Index interpolationum, III, 190), ossia D. 41,2,34 pr. (Ulp. 7 disp.): Si me in vacuam possessionem fundi Corneliani miseris, ego putarem me in fundum Sempronianum missum et in Cornelianum iero, non adquiram possessionem, nisi forte in nomine tantum erraverimus, in corpore consenserimus. quoniam autem in corpore consenserimus, an a te tamen recedet possessio, quia animo deponere et mutare nos possessionem posse et Celsus et Marcellus scribunt, dubitari potest: et si animo adquiri possessio potest, numquid etiam adquisita est? sed non puto errantem adquirere: ergo nec amittet possessionem, qui quodammodo sub condicione recessit de possessione. Ulpiano esordisce riportando un caso di error in nomine: tu immetti me nella vacua possessio del fondo Corneliano; io ritengo, invece, di essere stato immesso nella vacua possessio del fondo Semproniano; tuttavia, in Cornelianum iero. Sembrerebbe, dunque, trattarsi di un caso di error in nomine, error che rende incomprensibile l’affermazione successiva, secondo cui ‘io non acquisterò il possesso’, affermazione soltanto temperata dal periodo che segue: ‘a meno che noi non abbiamo sbagliato solo sul nome (del fondo), ma siamo stati d’accordo sulla sua identità’. Altrettanto difficile si rivela poi il prosieguo del passo, in cui, dopo aver detto dell’accordo sull’identità del bene, si dubita ‘che tu perda il possesso, poiché Celso e Marcello scrivono che noi possiamo perdere e mutare il possesso con l’animus’. Ma se l’errore è in nomine ed io ho acquistato il possesso del fondo, come potrai tu, cedente, non averlo perso? A questo punto il giurista si chiede ‘se il possesso è stato acquistato, dal momento che è possibile ottenere il medesimo possesso con l’animus’. Ma, se la situazione è quella descritta, l’acquisto animo è del tutto escluso, poiché il compratore ha effettuato la materiale presa di possesso del fondo. Infine, la chiusa, in cui, facendo verosimilmente riferimento ad un error in corpore, si afferma che colui il quale è in errore non acquista e, di conseguenza, nec amittet possessionem, qui quodammodo sub condicione recessit de possessione. Da quanto visto, ci sembra che l’intero passo vertesse, in seguito all’entrata di un compratore nel fondo, sull’acquisto del possesso in rapporto, rispettivamente, ad un error in nomine e ad un error in corpore; seguiva il problema della perdita del possesso da parte del cedente. Non è mia intenzione cercare di ricostruire la fattispecie originariamente prevista in D. 41,2,34 pr.; in questa sede, mi limito, per le ragioni appena esposte, a far notare come l’inciso in cui compare il termine animus – et si animo adquiri possessio potest, numquid etiam adquisita est? – sembri del tutto slegato dal contesto. Sul fatto che animus debba reputarsi insiticio, si veda, tra gli altri, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 82; A. WATSON, Two Studies in Tex-

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2.6. La conservazione animo del possesso degli immobili Dopo questa breve digressione sull’acquisto animo del possesso, torniamo a Gaio, per approfondire l’aspetto della conservazione e della perdita. Leggiamo: Gai. 4,153: Possidere autem videmur non solum si ipsi possideamus, sed etiam si nostro nomine aliquis in possessione sit, licet is nostro iuri subiectus non sit, qualis est colonus et inquilinus; per eos quoque, apud quos deposuerimus, aut quibus commodaverimus, aut quibus gratuitam habitationem praestiterimus, ipsi possidere videmur. Et hoc est, quod vulgo dicitur retineri possessionem posse per quemlibet, qui nostro nomine sit in possessione. Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessio 124 neque nostro nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur. Adipisci vero possessionem per quos possimus, secundo commentario rettulimus. Nec ulla dubitatio est, quin animo possessionem adipisci non possimus.

Riguardo alla conservazione del possesso, Gaio ripete, con una variante, lo schema utilizzato a proposito dell’acquisto 125. Scrive, infatti, che il possesso si mantiene in due modi: si ipsi possideamus oppure si nostro nomine aliquis in possessione sit. Con queste parole il giurista vuole affermare che la possessio si conserva tanto nel caso in cui noi stessi abbiamo la materiale disponibilità della cosa 126 quanto nel caso in cui l’abbiano altri, siano quetual History, in T. 30 (1962), 227; H.P. BENÖHR, Irrtum und guter Glaube der Hilfsperson beim Besitzerwerb, in Studien im römischen Recht M. Kaser zum 65. Geburtstag gewidmet von seinen Hamburger Schülern, Berlin 1973, 11 ss.; C. RAAP, Der Irrtum beim Erweb und beim Verlust des Besitzes. Ein Deutungsversuch zu D. 41,2,34 pr., in ZSS 109 (1992), 501 ss. 124

Nel manoscritto Veronese (Kruger-Studemund) le lettere scritte in corsivo mancano o non sono di agevole lettura, mentre la parte inserita tra parentesi uncinate è del tutto lacunosa. Il periodo viene integrato attraverso il ricorso al corrispondente I. 4,15,5: … quin etiam animo quoque retineri possessionem placet, id est ut quamvis neque ipse sit in possessione neque eius nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversurus inde discesserit, retinere possessionem videatur. 125

Cfr. par. 2.1.

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Questo si evince in maniera chiara dal prosieguo del passo, laddove Gaio, a

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sti assoggettati 127 o meno a noi, come ad esempio il colono, l’inquilino, il depositario, il comodatario o colui al quale abbiamo concesso gratuita abitazione. Quest’ultimo aspetto della regola è riassunto poi nella massima secondo cui ‘si dice poter conservare il possesso per mezzo di chiunque sia nel possesso in nome nostro’. A questo punto, il giurista, discostandosi da quanto appena detto, introduce un terzo modo di esercizio della possessio, benché non da tutti condiviso: ‘i più ritengono che il possesso possa essere conservato anche con l’animus, ossia quando né noi stessi siamo sul bene 128 né un altro vi sia in nome nostro; tuttavia, se ci siamo allontanati con l’animus di non abbandonare il possesso, ma per ritornare successivamente, noi sembriamo conservare il possesso’. Orbene, la testimonianza gaiana si rivela assai preziosa, perché informa che la maggior parte dei giuristi 129 – tra cui forse lo stesso proposito della conservazione animo del possesso, affermava: Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessionem, id est ut quamvis neque ipsi simus in possessione neque nostro nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur… 127 Cfr., infatti, Gai. 4,153: … Possidere autem videmur… sed etiam si nostro nomine aliquis in possessione sit, licet is nostro iuri subiectus non sit… 128 E. ALBERTARIO, D. 41,2,8, cit., 261 n. 1, inserisce dopo quamvis il termine saltuum, in quanto sostiene che la regola della possessio animo retenta fosse impiegata in età classica soltanto con riferimento ai saltus. In questa ottica, egli procede a modificare alcuni testi, tra cui P.S. 5,2,1, D. 41,2,3,7-8 (Paul. 54 ad edict.), D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q.M.), D. 43,16,1,24-25 (Ulp. 69 ad edict.). Anche altri studiosi pensano che Gaio si riferisse ai saltus: F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 82 (ritiene più probabile questa ipotesi); C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 90 s. e n. 51. Contra, ad esempio, E. RABEL, Zum Besitzverlust nach klassischer Lehre, in Studi in onore di S. Riccobono, IV, Palermo 1936, 207 n. 4 e 210 ss.; A. CARCATERRA, Possessio. Ricerche di storia e di dommatica, Roma 1938 (rist. anast. 1967), 94 n. 174 e 98 s.; J. DE MALAFOSSE, L’interdit momentariae possessionis. Contribution à l’histoire de la protection possessoire en droit romain, Toulouse 1947 (ediz. anast. Roma 1967), 82 ss.; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 62 n. 55; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 403, il quale ritiene, sulla base di D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.), che già Proculo avesse elaborato la regola con riguardo a tutti gli immobili; approva l’opinione di Burdese, L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili nel diritto romano. Storici giuristi imperatori, Napoli 1989, 179 s., secondo cui Gaio avrebbe riferito un orientamento giurisprudenziale consolidato; G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 33 n. 48. 129 La genericità del plerique non consente di ricostruire l’identità dei giuristi che si opponevano alla regola della possessio animo retenta. Altro aspetto di incertezza è costituito dall’oggetto della disputa. Secondo alcuni (cfr., per tutti, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 43 n. 1; I. PIRO, Damnum ‘corpore suo’ dare, cit., 300 n. 192), la controversia avrebbe riguardato l’estensione della regola dai saltus a tutti gli immobili: mentre un

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Gaio 130 – è propensa a concedere che il possesso vada mantenuto in forza dell’animus (non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri), quando la disponibilità del bene sia venuta meno.

2.7. Ancora Proculo e Nerazio: alle origini della conservazione animo del possesso degli immobili Detto della conservazione animo del possesso dei beni immobili, occorre aprire una brevissima parentesi sulla sua origine. Il testo che contiene il più risalente riferimento all’animus appartiene, come è noto, a Proculo. Ed è proprio sulla base di questo riferimento che la maggior parte degli studiosi 131 ha avanzato l’ipotesi generale consenso si era formato sulla prima applicazione della disciplina (saltus), la successiva proposta di estensione avrebbe incontrato la ferma opposizione di una parte della giurisprudenza. Secondo altri (cfr., per tutti, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 61 ss.), invece, la disputa avrebbe riguardato la qualificazione del mantenimento del possesso, ossia se questo si conservasse animo oppure animo et corpore; altri (G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 34 n. 50), ancora, hanno menzionato le “difficoltà derivanti, in un’epoca risalente, dalle peculiari modalità di impiego dei saltus”. Infine, altri studiosi [J. BARON, Die Gesammtrechtsverhältnisse im Römischen Recht, Marburg-Leipzig 1864 (riprod. Frankfurt 1969), 105 s.; F. KNIEP, Vacua possessio, cit., 107 ss.] hanno richiamato la circostanza che, in età repubblicana, qualsiasi allontanamento, indipendentemente dalla durata dello stesso, avrebbe provocato il venir meno della possessio [contro quest’ultima teoria, si veda, per tutti, I. ALIBRANDI, Teoria del possesso, cit., 220 ss.; G. NICOSIA, Il possesso nella plurisecolare esperienza romana. Profilo teorico-dogmatico, in Silloge, Scritti 1956–1996, II, Catania 1998, 791]. 130 Questa conclusione può essere avvalorata dal fatto che Gaio, in merito alla possibilità di acquistare animo il possesso, era assai deciso nell’affermare nec ulla dubitatio est, quin animo possessionem apisci non possimus. Se fosse stato di questa opinione anche a proposito della conservazione del possesso, mi sembra che non avrebbe mancato di sottolinearlo. A questa argomentazione, si aggiunga il fatto, già precisato (cfr., da ultimo con altra bibliografia, G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 35 n. 50), che Gaio, “solitamente scrupoloso nel registrare i dissensi tra le due sectae… non lo è altrettanto nel nostro caso, limitandosi alla generica notizia…”. Contra, ad esempio, G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 168, in quale individua nelle parole di Gaio “una mal celata riluttanza” ad ammettere la regola avanzata dai proculiani; B. FABI, Aspetti, cit., 48; R. DEKKERS, Reciperare possessionem, in Studi in memoria di E. Albertario, I, Milano 1953, 163; C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 484; A. CASTRO SÁENZ, Concepciones jurisprudenciales, cit., 114 s. e 129. 131

Cfr., tra gli altri, I. ALIBRANDI, Teoria del possesso, cit., 226; F. KNIEP, Vacua possessio, cit., 112; S. RICCOBONO, La teoria del possesso, cit., 267; G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 117; S. PEROZZI, Istituzioni (ediz. 1928), cit., I, 844 n. 7; S. RICCOBONO, La giurisprudenza classica come fattore di evoluzione nel diritto romano, in Scritti di Diritto romano in onore di C. Ferrini, Milano 1946, 63 s.; R. DEKKERS, Recipe-

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che appunto Proculo, forse con riguardo ai saltus 132, abbia elaborato per primo la regola della possessio animo retenta. Si legga: D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.): Si is, qui animo possessionem saltus retineret, furere coepisset, non potest, dum fureret, eius saltus possessionem amittere, quia furiosus non potest desinere animo possidere.

Proculo informa che la sopravvenuta pazzia di chi possiede animo un saltus impedisce la perdita della possessio. Questa, infatti, continua fino al protrarsi dello stato di insania 133, poiché il furiosus non può cessare di possedere con l’animus 134. rare possessionem, cit., 162; M. KASER, Eigentum und Besitz im älteren römischen Recht, Köln-Graz 19562, 328 n. 30; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 62 n. 55 e 85, che tuttavia dubita che già Proculo prevedesse che il proprietario conservasse il possesso del bene una volta saputo che un terzo aveva occupato il fondo (p. 85 n. 165 e n. 166); C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 74 ss.; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 81; C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 495 e 497; A. BURDESE, Possessio tramite intermediario, cit., 402 s.; J.A.C. THOMAS, Textbook of Roman Law, Amsterdam-New YorkOxford 1976, 145 s.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 30 s. e 30 n. 3; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 126 ss.; J.L. BARTON, Animus and possessio, cit., 51; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 104. Contra, da ultimo, G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 41 ss. e n. 65. 132 Sulla definizione di saltus, si legga Fest., s.v. saltum (L. 392 e 394): Saltum Gallus Aelius lib. II. significationum quae ad ius pertinent, ita definit: «saltus est, ubi silvae et pastiones sunt, quarum causa casae quoque: si qua particula in eo saltu pastorum, aut custodum causa aratur, ea res non peremit nomen saltui ; non magis, quam fundi, qui est in agro culto, et eius causa habet aedificium, si qua particula in eo habet silvam». Poi Varro, ling. 5,36: ... Quod primum ex agro plano fructus capiebant, campus dictus; posteaquam proxuma superiora loca colere coeperunt, a colendo colles appellarunt; quos agros non colebant propter silvas aut id genus, ubi pecus possit pasci, et possidebant, ab usu salvo saltus nominarunt. Infine, utile si rivela la lettura di D. 43,20,1,3 (Ulp. 70 ad edict.): Duo autem genera sunt aquarum: est cottidiana, est et aestiva. cottidiana ab aestiva usu differt, non iure. cottidiana ea est, quae duci adsidue solet vel aestivo tempore vel hiberno, etiamsi aliquando ducta non est: ea quoque dicitur cottidiana, cuius servitus intermissione temporis divisa est. aestiva autem ea est, qua aestate sola uti expedit, sicuti dicimus vestimenta aestiva, saltus aestivos, castra aestiva, quibus interdum etiam hieme, plerumque autem aestate utamur. ego puto probandum ex proposito utentis et ex natura locorum aquam aestivam a cottidiana discerni: nam si sit ea aqua, quae perpetuo duci possit, ego tamen aestate sola ea utar, dicendum est hanc aquam esse aestivam: rursum si ea sit aqua, quae non nisi aestate duci possit, aestiva dicetur: et si ea sint loca, quae natura non admittant aquam nisi aestate, dicendum erit recte aestivam dici. 133 Secondo A. BURDESE, Capacità naturale, cit., 760, Proculo non avrebbe ammesso la conservazione del possesso fino al protrarsi dello stato di pazzia, bensì soltanto fino

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L’opinione, che individua in Proculo il primo giurista ad aver introdotto la regola della possessio animo retenta 135, non sembra smentita da un passo ulpianeo: D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.): Quod volgo dicitur aestivorum hibernorumque saltuum nos possessiones animo retinere, id exempli causa didici Proculum dicere: nam ex omnibus praediis, ex quibus non hac mente recedemus, ut omisisse possessionem vellemus, idem est.

Ulpiano 136, in relazione alla conservazione animo del possesso dei beni immobili, informa di aver appreso che Proculo menzionava i saltus hiberni et aestivi come mero esempio 137 di applicazione della regola. Non è nostra intenzione soffermarci sulla correttezza di quest’ultima affermazione – alcuni studiosi 138 ritengono che la regola sulla al sopraggiungere della stagione favorevole, vale a dire fino al momento in cui il pascolo avrebbe iniziato ad essere nuovamente utilizzabile. Altri autori, invece, ritengono che Proculo affermasse che il furiosus non poteva perdere il possesso, conservato animo, partecipando ad un negozio avente tale scopo: così, ad esempio, E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 210; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 32 n. 5. 134 Quest’ultimo periodo è ritenuto frutto di una interpolazione, tra gli altri, da C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 74; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 85 n. 165; C.A. CANNATA, Dalla nozione di ‘animo possidere’, cit., 76; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 35; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 402. Contra, per tutti, G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 110 ss.; CH. KRAMPE, Proculi Epistulae. Eine frühklassische Juristenschrift, Karlsruhe 1970, 79; anche P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 106 si mostra cauta nei confronti dell’intervento successivo. 135 Nel testo ulpianeo [D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.)] si legge quod volgo dicitur aestivorum hibernorumque saltuum nos possessiones animo retinere… Al riguardo, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 77, avanza l’ipotesi che Proculo “(e magari senza che né lui né Labeone avessero coniato l’espressione)” attingesse a modi di dire della pratica giudiziaria. Alla nota 12 (p. 77), precisa che l’uso dell’avverbio volgo potrebbe indicare il fatto che non si trattasse di un “uso strettamente dottrinale”, anche se non è da escludere che la frase fosse entrata nell’uso comune nel periodo compreso tra Proculo e Ulpiano. Sul punto, G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 117 n. 4, pensa ad un adagio tradizionale. 136

Il testo è ritenuto sostanzialmente genuino, con qualche eccezione, tra cui G. BESELER, [Et (atque) ideo, et (atque) idcirco, ideoque, idcircoque], in ZSS 45 (1925), 480; S. PEROZZI, Istituzioni (ediz. 1928), cit., I, 844 n. 7; E. ALBERTARIO, D. 41,2,8, cit., 262. 137 Infatti, in D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.) si legge: … id exempli causa didici Proculum dicere … Sul punto, è opportuno segnalare che E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Possesso e quasi possesso, cit., 26, propone di sostituire ‘exempli’ con ‘utilitatis’. 138

In questo senso, si veda, tra gli altri, I. ALIBRANDI, Teoria del possesso, cit., 226 e

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possessio animo retenta avesse con i saltus una relazione originaria, e che soltanto in un secondo momento sia stata estesa ad ogni altro immobile 139 –, bensì rimarcare il fatto che Ulpiano collega la regola del mantenimento animo del possesso a Proculo, rendendo così verosimile l’opinione che assegna a quest’ultimo giurista la paternità dell’istituto 140. Cosa comportasse poi retinere animo possessionem non è facile dire. In particolare, non è chiaro – come invece in Pomponio 141 – se già con Proculo la regola prevedesse la conservazione del possesso nonostante un terzo avesse invaso il fondo. Potrebbe tuttavia essere verosimile, dato che Nerazio, citato da Paolo, sembra riferire questo regime 142: D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si nolit in fundum reverti, quod vim maiorem vereatur, amisisse possessionem videbitur: et ita Neratius quoque scribit 143.

Se il possessore, lontano dal fondo, non voglia tornare per paura di una forza maggiore, amisisse possessionem videbitur. È molto pro286; E. ALBERTARIO, Corso di diritto romano. Possesso e quasi possesso, cit., 155 ss., il quale pensa che l’estensione della regola della possessio animo retenta sia avvenuta in età postclassica giustinianea; C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 86 ss.; A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 532; C.A. CANNATA, voce Possesso, cit., 326; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 32 ss. e 113 ss.; I. PIRO, Damnum ‘corpore suo’ dare, cit., 300 n. 192 e 324 n. 243. 139 Cfr., ad esempio, P.S. 5,2,1; D. 41,2,3,11 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,27 (Proc. 5 epist.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,46 (Pap. 23 quaest.); D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.). 140

Contra, da ultimo, G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 41 ss., il quale, ricorrendo all’autorevole proposta di integrazione di TH. MOMMSEN, Digesta, editio maior, ad h. l. (D. 43,16,1,25: ... id exempli causa didici Proculum dicere…), ipotizza un’origine più risalente della regola della possessio animo retenta. Sul punto, utile la lettura di S. RICCOBONO, La giurisprudenza classica, cit., 63; IDEM, Le scuole di diritto in Roma al tempo di Augusto, in Atti del Congresso Internazionale di Diritto romano e di Storia del diritto, Verona 27 – 28 – 29 – IX – 1948, II, Milano 1951, 91 s. 141

D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.).

142

In argomento, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 44 n. 1, pensa che l’arditezza della dottrina di Proculo consistesse proprio nel fatto di ammettere la conservazione del possesso del fondo da parte del titolare, nonostante un terzo fosse entrato nel fondo: “la dottrina proculiana … segna veramente una svolta nella dogmatica romana del possesso, poiché dà la prevalenza sullo stato di fatto ad una componente di ordine spirituale del tutto estranea alla logica dell’istituto”. 143

Su questo testo, rimando al par. 10.15.

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babile che Paolo citasse Nerazio a proposito dell’entrata di un terzo nel fondo 144 e ne affermasse l’irrilevanza ai fini dell’acquisto del possesso, finché il titolare avesse avuto il proposito di reverti 145.

2.8. La conservazione del possesso del servo fuggitivo Dal testo sopra esaminato 146 risulta che Gaio avrebbe valorizzato l’animus in materia di conservazione del possesso dei beni immobili e lo avrebbe individuato nella volontà, una volta che il titolare si fosse allontanato dal fondo, di non abbandonarlo, ma di farvi ritorno. Queste due ultime espressioni – non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri – sembrano intrinsecamente unite: l’intenzione di non voler abbandonare il possesso implica l’intenzione di ritornare e l’intenzione di ritornare, a sua volta, l’intenzione di non voler abbandonare il possesso. Un possibile indice, certo non determinante, del fatto che questo fosse il verosimile significato con cui Gaio utilizzava il termine animus e del fatto che tale termine fosse impiegato in un ambito assai circoscritto – gli immobili –, potrebbe desumersi da due testi in materia di servo fuggitivo 147. Di questi è bene dare conto anche se, come detto, il dato non è di per sé concludente. 144

Cfr. nota 642.

145

Per il momento mi limito a riferire questa particolare intenzione, sulla quale mi soffermo nel commentare il testo di Pomponio riportato in D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.). Cfr. par. 3.1 e par. 3.2. 146 147

Gai. 4,153.

Sulla definizione di servo fuggitivo si legga, ad esempio, D. 21,1,17,2-3 (Ulp. ad edict. aed. cur.): Cassius quoque scribit fugitivum esse, qui certo proposito dominum relinquat. 3 Item apud Vivianum relatum est fugitivum fere ab affectu animi intellegendum esse, non utique a fuga: nam eum qui hostem aut latronem, incendium ruinamve fugeret, quamvis fugisse verum est, non tamen fugitivum esse. item ne eum quidem, qui a praeceptore cui in disciplinam traditus erat aufugit, esse fugitivum, si forte ideo fugit, quia immoderate eo utebatur. idemque probat et si ab eo fugerit cui erat commodatus, si propter eandem causam fugerit. idem probat Vivianus et si saevius cum eo agebat. haec ita, si eos fugisset et ad dominum venisset: ceterum si ad dominum non venisset, sine ulla dubitatione fugitivum videri ait. Ulpiano, citando Cassio e poi Viviano, informava che per qualificare fuggitivo un servo non occorreva assumere come parametro la circostanza oggettiva della fuga, bensì l’affectus animi. Infatti, le ragioni dell’allontanamento potevano essere molteplici: un nemico, un malfattore, un pericolo, un incendio, l’eccessiva crudeltà con cui veniva trattato dal precettore o dal comodatario. Non per questo il servo doveva essere considerato fugitivus: solo nel caso in cui il medesi-

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Si veda: D. 40,12,25,2 (Gai. ad edict. praet. urb. tit. de lib. causa): Licet vulgo dicatur post ordinatum liberale iudicium hominem, cuius de statu controversia est, liberi loco esse, tamen, si servus sit, certum est nihilo minus eum, quod ei tradatur vel stipuletur, perinde domino adquirere atque si non de libertate eius quaerebatur. tantum de possessione videbimus, cum ipsum post litem ordinatam desinat dominus possidere: sed magis est, ut adquirat, licet ab eo non possideatur. et cum placuit per fugitivum quoque nos possessionem adquirere posse, quid mirum etiam per hunc de quo quaeramus adquiri?

Gaio sta esaminando gli effetti di un iudicium liberale in merito agli acquisti compiuti da un individuo sottoposto a giudizio in relazione alla sua condizione. Se il medesimo giudizio si conclude con il riconoscimento dello status di servo, è certo che gli acquisti compiuti nel suddetto periodo vadano a vantaggio del dominus, mentre del possesso si disputa, in quanto, dopo l’instaurazione della lite, desinat dominus possidere il servo 148. Il giurista, o i compilatori secondo alcuni studiosi 149, si schiera a favore dell’acquisto del possesso e, per giustificare l’opinione sostenuta, adduce l’esempio del servo fuggitivo, tramite il quale placuit nos possessionem adquirere posse 150, verosimile segno del fatto che, in mo servo non volesse fare ritorno al dominus, sarebbe stato sine ulla dubitatione fugitivus. Su Viviano, si veda, per tutti e con altra bibliografia, C. RUSSO RUGGERI, Viviano giurista minore?, Milano 1997, 1 ss. 148 Infatti, dopo l’instaurazione del giudizio l’individuo, della cui condizione si discuteva, era considerato liberi loco. 149 Secondo P. ZAMORANI, Possessio, cit., 99, la chiusa, pur di matrice giustinianea, proverebbe che Gaio ammetteva la conservazione del possesso attraverso il servo fuggitivo. Infatti, “sarebbe illogico pensare che gli stessi compilatori, per ammettere la possibilità di acquisto del possesso tramite servo in pendenza di liberale iudicium, avrebbero fatto leva sull’acquisto per fugitivum se non avessero dato quest’ultimo per scontato… Ciò poteva naturalmente verificarsi solamente se la ritenzione del possesso del fugitivus fosse nozione indiscussa ed acquisita, in quanto ereditata dalla giurisprudenza classica”. 150

Sul fatto che la conservazione del possesso del servo fuggitivo fosse nozione acquisita dalla giurisprudenza classica, si veda, tra gli altri, G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 427; G. FRANCIOSI, Il processo di libertà in diritto romano, Napoli 1961, 256 s. e n. 222; G. LONGO, Il possesso sul servus fugitivus, in Annali Univ. Macerata 25 (1961), ora in IDEM, Ricerche romanistiche, Milano 1966, 477 ss.; B. SANTALUCIA, L’opera di Gaio «ad edictum praetoris urbani», Milano 1975, 186 ss. Più in generale, sul servo fuggitivo, si veda, ad esempio, anche C. ARNÒ, In tema di ‘servus fugitivus’, in

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questa ipotesi, il servo continuasse ad essere posseduto dal dominus. La conferma della conservazione del possesso del servus fugitivus arriva da: D. 41,2,15 (Gai. 26 ad edict. prov.): Rem, quae nobis subrepta est, perinde intellegimur desinere possidere atque eam, quae vi nobis erepta est. sed si is, qui in potestate nostra est, subripuerit, quamdiu apud ipsum sit res, tamdiu non amittimus possessionem, quia per huiusmodi personas adquiritur nobis possessio. et haec ratio est, quare videamur fugitivum possidere, quod is, quemadmodum aliarum rerum possessionem intervertere non potest, ita ne suam quidem potest.

Gaio, dopo aver detto che noi cessiamo di possedere le cose che ci sono sottratte oppure strappate con la violenza, informa che questa regola non si applica nel caso in cui ciò avvenga per opera di colui che è in potestate nostra. Infatti, finché le cose si trovano presso il sottoposto non amittimus possessionem, in quanto per huiusmodi personas il possesso viene acquistato e non sottratto. E questa è la ragione, conclude il giurista, per cui il dominus continua a possedere il servus fugitivus 151, il quale ‘come non può sottrarci il possesso delle altre cose, così non può nemmeno toglierci il possesso di sé’. Dalla lettura del testo non risulta alcun cenno all’animus da parte di Gaio al fine di giustificare la ritenzione del possesso 152. Al contraStudi in onore di S. Perozzi, Palermo 1925, 261 ss.; F. PRINGSHEIM, Acquisition of ownership through servus fugitivus, in Studi in onore di S. Solazzi, Napoli 1948, ora in IDEM, Gesammelte Abhandlungen, I, Heidelberg 1961, 339 ss.; H. BELLEN, Studien zur Sklavenflucht im römischen Kaiserreich, Wiesbaden 1971, 42. 151 Anche Cassio e Giuliano sembrano essere stati propensi ad ammettere la conservazione del possesso del servo fuggitivo. Si legga, infatti, D. 41,2,1,14 (Paul. 54 ad edict.): … possessionem autem per eum adquiri, sicut per eos, quos in provincia habemus, Cassii et Iuliani sententia est. Poi D. 7,1,12,3 (Ulp. 17 ad Sab.): De illo Pomponius dubitat, si fugitivus, in quo meus usus fructus est, stipuletur aliquid ex re mea vel per traditionem accipiat: an per hoc ipsum, quasi utar, retineam usum fructum? magisque admitti retinere. nam saepe etiam si praesentibus servis non utamur, tamen usum fructum retinemus: ut puta aegrotante servo vel infante, cuius operae nullae sunt, vel defectae senectutis homine: nam et si agrum aremus, licet tam sterilis sit, ut nullus fructus nascatur, retinemus usum fructum. Iulianus tamen libro trigensimo quinto digestorum scribit, etiamsi non stipuletur quid servus fugitivus, retineri tamen usum fructum: nam qua ratione, inquit, retinetur a proprietario possessio, etiamsi in fuga servus sit, pari ratione etiam usus fructus retinetur (= Vat. 89). 152 Contra, per tutti, M. NICOLAU, Causa liberalis. Étude historique et comparative du procès de liberté dans les législations anciennes, Paris 1933, 256 s., il quale pensa che i giuristi classici giustificassero la conservazione del possesso del servo fuggitivo attraverso l’animus.

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rio, egli sembra richiamare aspetti utilitaristici, consistenti nell’impedire che un sottoposto possa decidere di peggiorare la condizione economica del dominus. Questo, dunque, mi limito a registrare: il termine animus è assente dalla motivazione e ciò potrebbe dipendere dal significato assunto dal medesimo termine: non tanto una generale intenzione di possedere, quanto un’intenzione molto più circoscritta, quella di non abbandonare il bene dal quale ci si è allontanati ma di farvi ritorno 153, e di cui il limitato ambito di applicazione – gli immobili – sarebbe prova.

3. Pomponio 3.1. La conservazione animo del possesso degli immobili Pomponio, a differenza di Gaio 154 il quale in maniera assai chiara distingue tra il possesso ottenuto tramite noi stessi e quello ottenuto tramite persone a noi sottoposte, fornisce poche notizie 155, dalle quali, tuttavia, emerge un quadro che non si discosta dalla disciplina riferita dal suo contemporaneo. Per quanto concerne poi la possibilità di conseguire il possesso animo 156, Pomponio tace. Non tace, invece, riguardo alla conservazione animo del possesso dei beni immobili e alla sua perdita:

153 Sull’utilizzo di questo ragionamento, si veda, per tutti, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 93 ss. 154

Gai. 2,89-90; 2,94-95.

155

In relazione all’acquisto del possesso ‘tramite noi stessi’ si può leggere, ad esempio, la nota definizione di possessio clam, definizione avanzata da Pomponio citato da Ulpiano in D. 41,2,6 pr. (Ulp. 70 ad edict.): Clam possidere eum dicimus, qui furtive ingressus est possessionem ignorante eo, quem sibi controversiam facturum suspicabatur et, ne faceret, timebat. is autem qui, cum possideret non clam, se celavit, in ea causa est, ut non videatur clam possidere … itaque, inquit Pomponius, clam nanciscitur possessionem, qui futuram controversiam metuens ignorante eo, quem metuit, furtive in possessionem ingreditur. Per quanto concerne il conseguimento del possesso tramite i sottoposti, significativo si rivela un testo in materia di servo fuggitivo, testo nel quale Pomponio, a differenza di Gaio, escludeva l’acquisto tramite fugitivus: D. 6,2,15 (Pomp. 3 ad Sab.): Si servus meus, cum in fuga sit, rem a non domino emat, Publiciana mihi competere debet, licet possessionem rei traditae per eum nactus non sim. Si veda, inoltre, D. 41,2,25,1 (Pomp. 23 ad Q.M.): Et per colonos et inquilinos aut servos nostros possidemus… . 156 Gaio, come abbiamo visto sopra (par. 2.1), escludeva che il possesso si potesse acquistare animo: Gai. 4,153.

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D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio, an vero (quod quasi magis probatur) 157 usque eo possideamus, donec revertentes nos aliquis repellat aut nos ita animo desinamus possidere, quod suspicemur repelli nos posse ab eo, qui ingressus sit in possessionem: et videtur utilius esse 158.

È sufficiente una rapida lettura per notare alcune differenze tra la disciplina riferita da Pomponio e quella riferita da Gaio. Confrontiamo i testi: Gai. 4,153: … Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessio neque nostro nomine alius, tamen si non relinquendae possessionis animo, sed po-

D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio, an vero (quod quasi magis

157 Van de Water (la congettura è comunicata da A. SCHULTING, Notae ad Digesta seu Pandectas, edidit atque animadversiones suas adjecit N. Smallenburg, VI, Lugduni Batavorum 1828, 396), supponendo un errore di scioglimento della sigla Q. M. ad opera di un amanuense, modifica il quod quasi magis probatur in quod Quinto Mucio probatur. La congettura è accettata, da ultimo da G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 18 n. 15, con altra letteratura. Sul punto, incerto si mostra C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 88, per la “difficoltà ad ammettere che già Quinto Mucio conoscesse la possessio animo retenta”; in nota (88 n. 44) avanza l’ipotesi che Quinto Mucio potesse risolvere in tale modo il caso, ma attraverso una diversa terminologia. 158 Nonostante le numerose proposte di censura (forse i maggiori sospetti sono stati avanzati da R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 64 n. 66), il testo, quantomeno nella sostanza, è ritenuto genuino. Tra le proposte ora accennate (cfr. Index Interpolationum, III, 188 s.), suggerisce di mutare il quasi in quidem S. RICCOBONO, La teoria del possesso, cit., 266 n. 17; IDEM, Proposta di emendazione del fr. 25 § 2 D. 41,2 (Pomp. ad Q.M.), in BIDR 6 (1893), 231; altri, ancora, hanno pensato che il periodo finale fosse più esteso di quanto ci è pervenuto: G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 133; A. CARCATERRA, Possessio, cit., 95; C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 87 s., il quale ritiene oggetto di interpolazione ‘corpore’, nonché le frasi ut potior sit illius corporalis possessio e et videtur utilius esse; analogamente F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 40 s.; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 393; altri studiosi, infine, hanno individuato nella frase quod quasi magis probatur un glossema o un’interpolazione: F. KNIEP, Der Besitz des Bürgerlichen Gesetzbuches gegenübergestellt dem römischen und gemeinen Recht, Jena 1900, 296 s.; E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 215; F. WIEACKER, Der Besitzverlust an den heimlichen Eindringling, in Festschrift H. Lewald, Basel 1953, 186 n. 11; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 134 n. 189. Infine, sulla possibilità di leggere Quinto Mucio in luogo di quasi magis, si veda la nota precedente.

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stea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur … .

 

probatur) usque eo possideamus, donec revertentes nos aliquis repellat aut nos ita animo desinamus possidere, quod suspicemur repelli nos posse ab eo, qui ingressus sit in possessionem: et videtur utilius esse.

Gaio, dopo aver detto che sulla regola della conservazione animo del possesso non tutti i giuristi concordano, informa che la maggior parte di essi ritiene che il possessore mantenga il possesso se si allontana dall’immobile con l’intenzione di non abbandonarlo, ma di farvi ritorno. Anche Pomponio ribadisce la regola del mantenimento animo del possesso, ma non accenna a contrasti giurisprudenziali. La regola appare avere il generale consenso. Ciò che appare, invece, oggetto di disputa 159 è il momento in cui si verifica la perdita di una possessio conservata animo. Alcuni giuristi, infatti, fanno coincidere la perdita della possessio con l’entrata di un terzo nel fondo 160, mentre altri la individuano in un momento successivo, ossia quando il proprietario, tornato sull’immobile, venga scacciato dall’invasore, oppure quando il 159 Pomponio non offre informazioni sui giuristi coinvolti nella controversia. Molte le ipotesi sull’arco temporale dalla medesima abbracciato: ad esempio, alcuni studiosi fanno risalire la seconda opinione a Pomponio stesso (F. WIEACKER, Der Besitzverlust, cit., 186 ss. e n. 11; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 102 s.), altri a Giuliano (E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 212 ss.), altri ancora a Nerazio (G. RASCIO, Sistema positivo del diritto di possesso e proprietà, con la critica delle opinioni dei dottori, leggi romane e codice patrio, Napoli 18882, 114 s.; S. RICCOBONO, Proposta di emendazione, cit., 233), altri infine a Proculo (G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 136 s.; G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 121 ss.; A. BURDESE, Capacità naturale, cit., 760 ss.; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 126 ss.) o a Labeone (L.G. PININSKI, Der Thatbestand des Sachbesitzerwerbs nach gemeinem Recht. Eine zivilistische Untersuchung, II, Leipzig 1888, 105 n. 1), se non a Quinto Mucio (vedi autori citati alla nota 157). 160 All’interno di questo indirizzo giurisprudenziale, L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 134 s., pensa che figurasse Sabino, il quale si sarebbe opposto alla teoria proculiana, la quale avrebbe assegnato al dominus, ancora possessore, la tutela dell’interdictum uti possidetis (al quale farebbe riferimento Frontin. grom. 34.22-25; 33.26-34.5; 34.18-21). Al contrario, Sabino avrebbe concesso al dominus, allontanatosi dall’immobile, la possessio ad usucapionem, con il riconoscimento dell’exceptio vitiosae possessionis, da opporre all’interdictum uti possidetis dell’occupante, e dell’interdictum unde vi, nel caso in cui lo stesso dominus fosse stato respinto dal medesimo occupante (a questi rimedi, si sarebbe poi aggiunta l’actio furti contro l’invasore clandestino).

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medesimo proprietario decida di non fare ritorno sul bene per timore dell’occupante. A quest’ultima soluzione 161 aderisce Pomponio 162. Vi è, infine, un’altra differenza: Gaio svela il contenuto dell’animus nell’intenzione del possessore di non abbandonare il fondo, ma di ritornarvi, mentre Pomponio scrive soltanto di un possesso conservato animo, senza ulteriori specificazioni. Tuttavia, questo silenzio non preclude la possibilità di pervenire, con un buon grado di verosimiglianza, a individuare l’accezione con cui anche Pomponio avrebbe impiegato il termine.

3.2. La conservazione animo del possesso degli immobili: ancora l’animus di non abbandonare il bene, ma di farvi ritorno Detto della conservazione del possesso degli immobili attraverso l’animus, occorre approfondire il significato con cui verosimilmente Pomponio utilizzava quest’ultimo termine. Rileggiamo il passo appena visto: D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio, an vero (quod quasi magis probatur) usque eo possideamus, donec revertentes nos aliquis repellat aut nos ita animo desinamus possidere, quod suspicemur repelli nos posse ab eo, qui ingressus sit in possessionem: et videtur utilius esse.

La quaestio 163, riferita dal giurista, verte sul momento in cui si 161 Le due situazioni descrittte da Pomponio sembrano costituire mere varianti di una soluzione unitaria. Cfr. infra nota 165. 162 Et videtur utilius esse si legge nel passo a proposito della seconda soluzione. Su questa frase, P. ZAMORANI, Possessio, cit., 47, fatica a comprendere il riferimento all’utilità, in quanto “non di mera utilitas doveva trattarsi, sibbene della necessaria conclusione che il quesito richiedeva”. Tuttavia, il possibile dubbio scompare, a mio avviso, se si riferisce il termine – cosa che sembra del resto doversi ricavare dall’uso del comparativo – non semplicemente alla seconda delle opinioni avanzate, bensì al confronto tra le due soluzioni; è certo, infatti, che l’indirizzo che propugnava la continuazione del possesso, anche dopo l’entrata del terzo sul fondo, fosse più vantaggioso per il possessore di quello che, viceversa, la negava. 163 Sempre in merito alla quaestio posta da Pomponio, E. ALBERTARIO, D. 41,2,8, cit., 253 s., ritiene che la questione riguardasse il possesso per alium e ricostruisce il testo nel seguente modo: “quod autem animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit,

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perde il possesso mantenuto animo. Secondo alcuni, il possesso viene meno quando un terzo si immette nel fondo 164, mentre secondo altri – tra cui Pomponio – in una fase successiva, vale a dire quando il possessore, rientrando, venga respinto dall’occupante oppure quando il medesimo possessore, per timore, decida di non fare ritorno 165. Proprio quest’ultima regola lascia trasparire che l’animus valorizzato da Pomponio, al fine della conservazione del possesso, coincidesse con l’animus esplicitato da Gaio, ossia con l’animus non relinquendae possessionis sed postea reversuri 166. Infatti, come è stato notato 167, solo attribuendo al termine animus questo significato diviene intelleggibile il regime descritto: il fatto che il titolare perde il possesso quando decide di non fare ritorno sul bene, lascia intuire che è proprio l’intenzione di rientrare nell’immobile a permettere la conservazione del possesso; se, dopo l’allontanamento del proprietario, questa intenzione persiste, il possesso è mantenuto; se invece viene meno, il possesso è perso. an vero donec nos revertentes aliquis repellat … et videtur ”. Invece, F. SCHULZ, Classical Roman Law, Oxford 1954 (rist. dell’ediz. 1951), 443 s., pensa che la regola della possessio animo retenta dopo l’occupazione sia di origine postclassica. 164 Questo primo indirizzo sembra essere stato minoritario e più antico. Infatti, l’indirizzo seguito dalla maggior parte dei giuristi, e alla fine prevalente, è quello che riteneva ininfluente, al fine della conservazione del possesso, l’occupazione del fondo da parte di un terzo: cfr., ad esempio, D. 41,2,3,7 (Paul. 54 ad edict.); D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.); D. 43,16,1,24 (Ulp. 69 ad edict.). In questo senso, si veda, tra gli altri, G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 122 ss.; E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 215 ss.; A. CARCATERRA, Possessio, cit., 95; F. WIEACKER, Der Besitzverlust, cit., 187 s.; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 65; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 84 ss.; C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 500; A. BURDESE, voce Possesso, cit., 460; G. NICOSIA, Il possesso nella plurisecolare esperienza, cit., 793. 165 Non concordiamo con F. KLEIN, Sachbesitz und Ersitzung. Forschungen im Gebiete des römischen Sachenrechtes und Civilprocesses. Ein Beitrag zue Geschichte jener beiden Institute, Berlin 1891, 161 ss., il quale interpreta le due ipotesi prospettate da Pomponio – la perdita del possesso si verificava quando il titolare revertens veniva scacciato dall’invasore o quando il medesimo titolare decideva di non fare ritorno sul fondo per timore dell’occupante – come due soluzioni indipendenti. A favore del fatto che le due ipotesi siano, invece, varianti di una soluzione unitaria, si veda, per tutti, G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 13 n. 2, il quale fa correttamente notare come entrambe le ipotesi siano contrapposte alla tesi della perdita del possesso in seguito alla sola occupazione e che le medesime siano collegate tra loro tramite un aut, e non mediante la ripetizione dell’an. 166

Gai. 4,153.

167

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 47 ss.

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La stessa intenzione 168, come abbiamo sopra visto 169, è richiamata anche da Nerazio citato da Paolo in: D. 41,2,7 (Paul. 54 ad edict.): Sed et si nolit in fundum reverti, quod vim maiorem vereatur, amisisse possessionem videbitur: et ita Neratius quoque scribit.

Il titolare, allontanatosi dal fondo, perde il possesso soltanto allorché nolit in fundum reverti. Non ostacola poi la lettura, appena fatta, l’altra variante prevista da Pomponio, ossia quella del possessore che, ritornando sul fondo, venga respinto dall’invasore. Anche in questo caso, infatti, la perdita del possesso è profondamente collegata alla volontà di rientrare nell’immobile: la perdita del possesso non è dovuta alla rinuncia del proposito di ritornare, bensì al suo materiale impedimento 170. Il proprietario dà esecuzione alla sua intenzione di revertere, ma l’invasore, più forte o meglio organizzato, non gli consente di portarla a compimento. La concezione di animus ora delineata sembra trovare sostegno in un altro testo di Pomponio in materia di possesso tramite intermediario: D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.): Si colonus non deserendae possessionis causa exisset de fundo et eo redisset, eundem locatorem possidere placet 171.

Per comprendere il contenuto del passo, è opportuno ricordare che l’allontamento del colono dal fondo sembra determinare per il locatore, almeno fino a Papiniano 172 e Paolo 173, la perdita del posses-

168

Benché il termine animus non venga utilizzato da Paolo.

169

Par. 2.7.

170

Sostanzialmente conforme la spiegazione già offerta da P. ZAMORANI, Possessio, cit., 47 s. e n. 6. 171 Il passo è ritenuto genuino. Tuttavia, G. BESELER, Beiträge, cit., IV, 71, argomentando dal fatto che il testo è tratto dal libro 32 ad Sabinum, suggerisce di mutare il placet finale con un riferimento a Sabino (ille libro scripsit). 172 D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.): Quibus explicitis, cum de amittenda possessione quaeratur, multum interesse dicam, per nosmet ipsos an per alios possideremus: nam eius quidem, quod corpore nostro teneremus, possessionem amitti vel animo vel etiam corpore, si modo eo animo inde digressi fuissemus, ne possideremus: eius vero, quod servi vel etiam coloni corpore possidetur, non aliter amitti possessionem, quam eam alius ingressus fuisset, eamque amitti nobis quoque ignorantibus … .

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so 174. Anche il testo di Pomponio depone in questo senso, dal momento che il giurista ha cura di precisare che se il colono è uscito dall’immobile non allo scopo di abbandonarlo, ma per ritornarvi, il locatore continua a possedere 175. L’affermazione richiama un testo sopra visto di Gaio:

173

D. 41,2,3,8 (Paul. 54 ad edict.): … quod si servus vel colonus, per quos corpore possidebam, decesserint discesserintve, animo retinebo possessionem. 174

Così D. 41,2,40,1 (Afric. 7 quaest.): Si forte colonus, per quem dominus possideret, decessisset, propter utilitatem receptum est, ut per colonum possessio et retineretur et contineretur: quo mortuo non statim dicendum eam interpellari, sed tunc demum, cum dominus possessionem apisci neglexerit. aliud existimandum ait, si colonus sponte possessione discesserit. sed haec ita esse vera, si nemo extraneus eam rem interim possiderit, sed semper in hereditate coloni manserit. Ai passi di Africano (D. 41,2,40,1), Papiniano (D. 41,2,44,2) e Paolo (D. 41,2,3,8), G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 59 n. 104, aggiunge un testo di Proculo (D. 4,3,31), sostenendo l’esistenza di una disputa tra Proculo (D. 4,3,31), Papiniano (D. 41,2,44,2) e Paolo (D. 41,2,3,8), da una parte, e Giuliano e Africano (D. 41,2,40,1), dall’altra. In argomento, tuttavia, segnaliamo che il testo di Proculo non riguarda il colono, ma una familia servile. Non è pertanto escluso che la diversità di disciplina sia da ricondurre alla differente qualifica rivestita dall’intermediario e che soltanto in tarda età classica (Papiniano e Paolo) si sia assistito al sorgere di un diverso orientamento giurisprudenziale. 175 Pertanto, ragionando a contrario, ci pare di dover concludere che, se l’allontanamento del colono fosse avvenuto deserendae possessionis causa, il locatore avrebbe perso il possesso o, quantomeno, che questa fosse la soluzione avanzata da Pomponio. In questo senso si veda, tra gli altri, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 78 s.; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 97; L. PIRO, Damnum ‘corpore suo’ dare, cit., 411 s. e n. 417 e 418. Manifesta dubbi, invece, G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 60 n. 106, secondo cui Pomponio, in D. 41,2,31, non avrebbe espresso un suo personale parere (placet), bensì “un punto di vista generalmente accolto”, con la conseguenza che non si potrebbe spingere l’argomento a contrario fino a ritenere che lo stesso Pomponio ammettesse la perdita del possesso nel caso in cui il colono si fosse allontanato dal fondo deserendae possessionis causa; secondo lo studioso, di cui stiamo esponendo il pensiero, l’unica deduzione possibile sarebbe quella ammettere che “la decisione in esso contenuta, presso la giurisprudenza dell’epoca, doveva sollevare difficoltà qualora la derelizione dell’immobile, da parte dell’intermediario, fosse stata definitiva”. Ad una disputa giurisprudenziale, con riguardo a quest’ultima ipotesi, pensano autorevoli studiosi, secondo cui i sabiniani, opponendosi ai proculiani, avrebbero sostenuto la perdita del possesso: I. ALIBRANDI, Teoria del possesso, cit., 283; O. RUGGIERI, Il possesso e gl’istituti di diritto prossimi ad esso, Trattato in Diritto romano, Parte prima, Il possesso in diritto romano, I, Firenze 1880, 490 ss.; G. CORNIL, Traité de la possession dans le droit romain, Paris 1905, 268; J. DE MALAFOSSE, L’interdit momentariae possessionis, cit., 85 n. 1; A. BURDESE, Possesso tramite intemediario, cit., 395 ss.; M. NAVARRA, Ricerche sulla utilitas nel pensiero dei giuristi romani, Torino 2002, 33 ss.

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Gai. 4,153: … si non relinquendae possessionis animo, sed postea reversuri inde discesserimus, retinere possessionem videamur ... .

69 

D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.): Si colonus non deserendae possessionis causa exisset de fundo et eo redisset, eundem locatorem possidere placet.

Benché i due giuristi si riferiscano a fattispecie diverse – Gaio scrive in merito ad un possesso personalmente esercitato e parla di possessio animo retenta, mentre Pomponio riferisce di un possesso esercitato tramite intermediario e non menziona il termine animus –, il senso del discorso è assai simile: se la dipartita dal fondo avviene non relinquendae possessionis animo 176 oppure non deserendae possessionis causa 177 e il possessore postea reversurus 178 oppure il colono redisset 179, il possesso si conserva. La consonanza lessicale si rivela assai preziosa, in quanto avvalora l’idea che Pomponio, pur all’interno di un ambito diverso da quello in cui trovava applicazione la regola sulla possessio animo retenta – il possesso esercitato personalmente 180 –, non esitasse a richiamare la stessa intenzione 181 per giustificare la conservazione del possesso. In altri termini, Pomponio, dopo aver condiviso la regola che consentiva il mantenimento del possesso se nel titolare fosse ravvisabile l’animus di non abbandonare il fondo, avrebbe cercato di applicare il medesimo proposito anche al caso della possessio esercitata tramite un intermediario 182. 176

Gai. 4,153.

177

D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.).

178

Gai. 4,153.

179

D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.).

180

Gai. 4,153; D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.). La regola sulla possessio conservata animo sembra essere stata elaborata con riguardo al possesso esercitato personalmente e ciò trova conferma nel fatto che i testi in materia di possesso tramite intermediario, se si fa eccezione di un testo di Paolo [D. 41,2,3,8 (Paul. 54 ad edict.)], mai menzionano l’animus per giustificare la conservazione della possessio. 181 Cfr., per tutti, E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 208, il quale nota come la situazione del possesso tramite intermediario fosse avvicinata a quella del possesso esercitato in nome proprio: “Zeitweilige Abwesenheit des Pächters wird ebenso behandelt wie die des Herrn”. 182

Questo non significa che Pomponio (concordo pertanto con G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 60 s.), nel testo riportato in D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.), includesse sotto la formulazione quod autem solo animo possidemus anche

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Animo possidere

3.3. Proculo, Africano (Giuliano) e Pomponio: un caso di conservazione del possesso ‘senza animus’ L’ultimo richiamo al possesso conservato tramite intermediario suggerisce di aprire una breve parentesi sull’argomento, sia perché alcuni autori lo hanno associato alla regola della possessio animo retenta 183, sia perché da esso è possibile acquisire ulteriori informazioni sul significato con cui veniva verosimilmente impiegato il termine animus. Sul punto, il testo più significativo appartiene ad Africano 184. Tuttavia, prima di vederlo, è opportuno leggere un passo di Proculo e uno di Pomponio: D. 4,3,31 (Proc. 2 epist.): Cum quis persuaserit familiae meae, ut de possessione decedat, possessio quidem non amittitur, sed de dolo malo iudicium in eum competit, si quid damni mihi accesserit.

Proculo, in un testo da alcuni studiosi 185 ritenuto interpolato, asserisce che il proprietario non perde il possesso nell’ipotesi in cui l’intermediario, una familia servile, abbia abbandonato il fondo a causa della persuasione esercitata da un terzo, contro cui lo stesso proprietario può esperire l’actio doli 186. l’ipotesi del possesso esercitato tramite un intermediario. A mio avviso, le due fattispecie – possesso esercitato personalmente [D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.) e possesso esercitato tramite intermediario [D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.)] – rimanevano assoggettate a regole diverse, anche se, con riguardo al possesso tramite colono, Pomponio avrebbe fatto riferimento allo stesso animus riferito in D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.), per giustificare il mantenimento del possesso allorché l’assenza dell’intermediario fosse stata temporanea. 183 Infatti, non sono mancati autori che hanno collegato il caso dell’allontanamento (e della morte) dell’intermediario all’accenno alla possessio animo retenta operato da Pomponio in D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.). Tra questi si veda, ad esempio, G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 122; B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 49 n. 163. 184

D. 41,2,40,1 (Afr. 7 quaest.).

185

Cfr., tra gli altri, G. ROTONDI, La funzione recuperatoria, cit., 273 n. 3; IDEM, Possessio quae animo retinetur, cit. 192 s., il quale ritiene interpolato il non prima di amittitur, capovolgendo il senso del frammento; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 83 s.; P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 400. Contra, da ultimi, A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 401; CH. KRAMPE, Proculi Epistulae, cit., 78 ss.; B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 50 n. 163; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 94. 186

Proprio il riferimento all’actio doli, ha condotto G. ROTONDI, Possessio quae ani-

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Della ratio della disciplina il giurista tace. E tace anche Pomponio in: D. 41,2,25,1 (Pomp. 23 ad Q. M.): Et per colonos et inquilinos aut servos nostros possidemus: et si moriantur aut furere incipiant aut alii locent, intellegimur nos retinere possessionem. nec inter colonum et servum nostrum, per quem possessionem retinemus, quicquam interest.

Pomponio, dopo aver detto che il possesso si conserva attraverso coloni, inquilini 187 e servi 188, elenca, con intensità decrescente, tre mo retinetur, cit. 192 s., a ritenere interpolato il non e la frase si quid damni mihi accesserit: perduto il possesso in seguito all’allontanamento dei servi (D. 4,3,31: Cum quis persuaserit familiae meae, ut de possessione decedat, possessio quidem [non] amittitur, sed de dolo malo iudicium in eum competit[, si quid damni mihi accesserit]), il dominus, non essendo un caso di occupazione violenta, avrebbe potuto esperire il rimedio sussidiario dell’actio doli in luogo dei rimedi possessori, che invece avrebbe potuto utilizzare nel caso in cui avesse conservato il possesso (in questo caso l’actio doli avrebbe riguardato soltanto il risarcimento di eventuali danni indiretti). Tuttavia, ha ben messo in luce A. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 47 n. 78, che “il pensiero di Proculo ci riesce assolutamente limpido pur conservando alla fonte il suo tenore attuale: il possesso … non si perde … per il fatto in sé del suo abbandono, ma il titolare, per gli eventuali danni subiti, potrà esperire l’actio doli contro chi abbia istigato gli schiavi ad andar via”. 187 L’accenno agli inquilini si potrebbe forse ritenere alterato, sia per il fatto che non compaiono nella chiusa del testo, sia sulla considerazione che, a proposito del venir meno del possesso esercitato tramite intermediario, nessun altro giurista li menziona [D. 4,3,31 (Proc. 2 epist.); D. 41,2,40,1 (Afr. 7 quaest.); D. 41,2,44,2 (Pap. 23 quaest.); D. 41,2,3,8 (Paul. 54 ad edict.)]. Tuttavia, è anche vero che lo stesso Pomponio li richiama in D. 41,3,31,3 (Pomp. [Paul.] 32 ad Sab.): Si servus meus vel filius peculiari vel etiam meo nomine quid tenet, ut ego per eum ignorans possideam vel etiam usucapiam: si is furere coeperit, donec in eadem causa res fuerit, intellegendum est et possessionem apud me remanere et usucapionem procedere, sicuti per dormientes quoque eos idem nobis contingeret. idemque in colono et inquilino, per quos possidemus, dicendum est. Nella inscriptio si legge Paulus in luogo di Pomponius. Tuttavia, è stato notato (O. LENEL, Palingenesia, cit., I, 1288 ss.) che Paolo non solo trattava de possessione et usucapione nel libro 15 ad Sabinum, ma pure che lo stesso commento ad Sabinum non risulta raggiungere i 32 libri. Questi dati, invece, si accordano perfettamente con il commento di Pomponio ad Sabinum: i libri superano i 32 e nel trentaduesimo il giurista tratta de possessione et usucapione (O. LENEL, Palingenesia, cit., II, 140). Per queste ragioni, è verosimile pensare che D. 41,3,31,3 risalga a Pomponio (cfr., in questo senso, per tutti, G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 166 e n. 16; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 394 e n. 43) e che il riferimento agli inquilini, fatto dal medesimo giurista in D. 41,2,25,1 (Pomp. 23 ad Q. M.), possa essere genuino. 188

LER,

L’accenno ai servi è stato ritenuto un’aggiunta successiva, per tutti, da R. MÖHDer Besitz, cit., 74 n. 111; G. NICOSIA, Studi sulla deiectio, Milano 1965, 164 s.; P.

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cause che incidono sulla figura dell’intermediario e sul suo rapporto con il bene: se coloni, inquilini e servi muoiono, impazziscono 189 o danno in locazione la cosa ad altri, nos retinere possessionem. Dunque, il giurista sembra ritenere del tutto ininfluenti sulla fattispecie possessoria eventi che incidono sulla persona dell’intermediario, determinandone l’eliminazione 190 o l’inidoneità a svolgere l’attività di tramite del possessore. Come Proculo 191, anche Pomponio non si pronuncia sulla ratio della regola. ZAMORANI, Possessio, cit., 78 e n. 29, al quale rimandiamo per le condivisibili motivazioni. 189

In tema di pazzia dell’intermediario, si veda anche il sopra citato D. 41,3,31,3 (Pomp. [Paul.] 32 ad Sab.). Sulla nozione di follia nella giurisprudenza romana, segnalo, da ultimo e con ricca bibliografia, l’interessante lavoro di G. RIZZELLI, Modelli di “follia” nella cultura dei giuristi romani, Lecce 2014. 190 Alcuni studiosi, tuttavia, hanno pensato, sulla base dell’accostamento del caso della morte a quelli della pazzia e della sublocazione, che anche nell’ipotesi del decesso dell’intermediario un altro soggetto (ad esempio un erede del conduttore) restasse sul fondo, così da determinare una situazione di possesso esercitato corpore alieno (cfr., tra gli altri, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 74 s.; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 392 ss; A. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 58, pur con motivazioni diverse). A me sembra, invece, che il passo non autorizzi in alcun modo una simile conclusione, in quanto Pomponio si limitava a descrivere il caso della morte senza minimamente accennare al fatto che un altro fosse subentrato all’intermediario. Le tre ipotesi possono invece leggersi come il tentativo del giurista di elencare situazioni tra loro diverse: il caso che rende il fondo deserto (morte dell’intermediario), il caso che conduce alla presenza di un intermediario furiosus (pazzia sopravvenuta), il caso che determina la sostituzione dell’intermediario (sublocazione). Tuttavia, sempre a sostegno del fatto che il fondo non rimanesse deserto, è stato sostenuto (A. D’ANGELO, loc. cit., 58 s.) che questo risultato sarebbe provato dalla successione dei parr. 1 e 2: “l’autem del § 2 … funge da logico spartiacque tra il gruppo dei casi ivi considerati e quelli del § 1, segnando il passaggio ad un distinto e separato ordine di questioni; come a voler significare, insomma, che – esaurita la discussione dei problemi concernenti la possessio per alium – restava da accennare al diverso tema della perdita del possesso conservato solo animo ovvero – è da intendere – di quel possesso che direttamente veniva esercitato dal titolare, quantunque non attuato corpore durante la temporanea assenza di quest’ultimo”. Questa interpretazione, pur astrattamente possibile, non mi pare tuttavia risolutiva. Infatti, se è vero che l’autem suggerisce una contrapposizione, è anche vero che le due situazioni ad essere confrontate sono quelle del possesso per alium e del possesso animo, ossia due fattispecie contrassegnate entrambe dalla circostanza che il possessore non si trova materialmente sul fondo. La contrapposizione riguarda questo e volerla estendere oltre, arrivando a sostenere che anche nel caso del decesso dell’intermediario, un altro soggetto sarebbe venuto a trovarsi sull’immobile, mi pare eccessivo. In questo senso, si veda per tutti I. PIRO, Damnum ‘corpore suo’ dare, cit., 416 s., con altra letteratura. 191

D. 4,3,31 (Proc. 2 epist.).

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Leggiamo ora un passo di Africano o, come alcuni ritengono 192, di Giuliano: D. 41,2,40,1 (Afric. 7 quaest.): Si forte colonus, per quem dominus possideret, decessisset, propter utilitatem receptum est, ut per colonum possessio et retineretur et contineretur: quo mortuo non statim dicendum eam interpellari, sed tunc demum, cum dominus possessionem apisci neglexerit. aliud existimandum ait, si colonus sponte possessione discesserit. sed haec ita esse vera, si nemo extraneus eam rem interim possiderit, sed semper in hereditate coloni manserit.

Innanzitutto la traduzione del passo: ‘se il colono, tramite il quale il proprietario del fondo possedeva, sia morto, per motivi di utilità è stato deciso che per mezzo del colono il possesso rimanga conservato e continuato: il possesso, infatti, non si interrompe con la morte, ma solamente quando il proprietario trascura di possessionem apisci. Afferma (Giuliano?) che diversamente si deve pensare se il colono abbia abbandonato spontaneamente il possesso. Ma questo è vero se nessun estraneo abbia nel frattempo posseduto la cosa ed essa sia rimasta sempre nell’eredità del colono’. Non pochi sono i segni dell’alterazione subìta dal testo 193: ad esempio, dopo aver letto che il colono è morto, si apprende che il possesso è conservato per colonum 194; ancora, in luogo del verbo contineretur in origine si doveva verosimilmente trovare continuaretur 195; in192

Attribuiscono il testo a Giuliano, tra gli altri, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 70 s.; M.A. DE DOMINICIS, A proposito di due leggi bizantine sul colonato nelle regioni africane, in Iura 14 (1963), 147; G. NICOSIA, Studi sulla deiectio, cit., 169 n. 92; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 396 s.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 67 s.; L. SOLIDORO MARUOTTI, Studi sull’abbandono degli immobili, cit., 95; A. D’ORS, Las quaestiones de Africano, Roma 1997, 14 s. e 273 s.; M. NAVARRA, Ricerche sull’utilitas, cit., 29 s., pur con qualche dubbio. Tuttavia, F. SCHULZ, Storia della giurisprudenza romana, trad. it. di G. Nocera, Firenze 1968, 414 s., avanza l’ipotesi che le Quaestiones di Africano possano essere un’opera spuria, un insieme delle Epistulae di Africano e dei Digesta di Giuliano; è, invece, è propenso ad assegnare margini di originalità ad Africano A. WACKE, D. 19,2,33: Afrikans Verhältnis zu Julian und die Haftung für höhere Gewalt, in ANRW II.15, Berlin – New York 1976, 461 s. 193

Oltre le alterazioni segnalate nel testo, si veda Index Interpolationum, III, 192.

194

A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 396, rigetta, a mio avviso correttamente, l’ipotesi che Giuliano facesse ricorso all’artificio della finzione per consentire la conservazione del possesso. 195

Nella Florentina si legge contineretur, mentre nella Vulgata si legge continuaretur.

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fine, il periodo finale, da sed haec a manserit, pare legato non a ciò che precede, ma ad una proposizione posta prima, ossia a quella in cui si afferma che in caso di morte del colono la possessio si conserva 196. Ma al di là di questi rilievi, il passo è ritenuto riflettere concetti classici 197. Quali concetti, tuttavia, non è facile dire, come dimostrano le numerose proposte avanzate in dottrina 198. Alcuni 199, ad esempio, sostituendo al termine per colonum le espressioni per heredem coloni, hanno pensato che il possesso venga conservato dal dominus attraverso la persona dell’erede del colono, almeno fino al momento in cui un terzo non sia riuscito a scacciare quest’ultimo. Altri 200, invece, eliminano la prima parte (si forte colonus, per quem dominus possideret, decessisset) e riferiscono il termine per colonum al conduttore del fondo attraverso cui il proprietario esercita il possesso, conduttore poi deceduto (quo mortuo). Se è vero che entrambe le interpretazioni hanno il pregio di riuscire a dare ragione di molti aspetti che altrimenti riuscirebbero difficilmente spiegabili, è anche vero che le medesime rendono non del tutto comprensibile la giustificazione del mantenimento del possesso fornita dal giurista: propter utilitatem. Se, infatti, concediamo che la possessio si esercitasse attraverso un intermediario, rimane alquanto anomalo il fatto che il giurista ricorresse all’utilità per motivare il possesso per alium, e non giustificasse in alcun modo la continuazione del possesso in seguito alla morte dell’intermediario, morte che avrebbe eliminato ogni relazione fisica con il bene. Lo stesso se concediamo che la possessio continuasse per heredem coloni: anche in questo caso ci sembra che ciò dovesse avvenire in forza dell’applicazione delle regole in tema di possesso, e non per utilità 201. 196

Così, ad esempio, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 70 s.

197

Per tutti, si veda, benché con differenti interpretazioni ricostruttive, R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 70 ss. e 71 n. 103; G. NICOSIA, Studi sulla deiectio, cit., 167; A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 396 ss.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 67 ss. 198

Rimando, per maggiori particolari e per tutti, a R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 71 n.

103. 199

Così R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 70 s.

200

Cfr., per tutti, G. NICOSIA, Studi sulla deiectio, cit., 167 e n. 84.

201

Cfr., ad esempio, D. 19,2,60,1 (Lab. post. 5 a Iav. epit.): Heredem coloni, quamvis colonus non est, nihilo minus domino possidere existimo. Così già P. ZAMORANI, Possessio, cit., 70 s.

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In questa prospettiva, mi pare maggiormente credibile l’opinione avanzata da Burdese 202, il quale espunge per colonum possessio et retineretur et contineretur e riferisce l’utilitas al fatto che il giurista ammettesse la continuazione del possesso ad usucapionem 203, ma non quello ad interdicta. Viste le difficoltà che il testo presenta, è opportuno vedere come i bizantini abbiano interpretato il passo: B. 50,2,39 (40),1 (ed. H.J. Scheltema et N. van der Wal, A VI, 2338 s.): … Ka)\n teleuth/sv o( misqwto/j mou, e)/ti ne/momai, ei) mh\ a)/lloj kate/sxen h)\ e)gw\ h)me/lhsa ne/mesqai: e(/teron ei) proaire/sei a)nexw/rhsen 204.

Il testo pone a confronto due ipotesi: la morte e l’allontanamento dell’intermediario. Le conseguenze sono diverse: nel caso del decesso del colono, il dominus continua a possedere, sempre che un altro non abbia invaso il fondo, mentre nel caso della dipartita del colono il dominus perde il possesso. La letttura appare convincente per più di una ragione. Innanzitutto, perché rende plausibile il raffronto operato da Africano (o Giuliano): se l’intenzione del giurista era quella di far emergere la diversa disciplina di due situazioni, sarebbe stato necessario che le stesse, differenti nei presupposti (morte e allontanamento), avessero quantomeno condotto al medesimo risultato 205, ossia che l’immobile fosse rimasto deserto 206. Poi, perché riferisce il periodo finale del passo – sed haec ita esse vera, si nemo extraneus eam rem interim possiderit, sed semper in hereditate coloni manserit – al caso della morte, e non a quello dell’abbandono, con il quale, come detto sopra, non ha alcun legame 207. In202

A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 396 ss.

203

La maggior parte degli studiosi, infatti, ritiene che il passo riguardasse la continuazione o meno del solo possesso ad usucapionem. 204 HEIMBACH, Basilicorum, cit., V, 52: … Etsi conductor meus obiit, adhuc possideo, nisi alius occupavit, aut ego possidere neglexi. Aliud est, si sua sponte discessit. 205

In caso contrario, infatti, il confronto sarebbe difficilmente spiegabile.

206

Che il fondo fosse rimasto deserto pare confermato anche dal fatto che la continuazione del possesso era subordinata alla circostanza che un terzo non avesse nel frattempo invaso il fondo. 207

A conclusioni diverse perviene F.C. SAVIGNY, Das Recht, cit., 370, proponendo di inserire in luogo di aliud il termine idem, così da equiparare il caso dell’abbandono del fondo da parte del colono a quello della morte del medesimo colono.

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fatti, non ha alcun senso, dopo aver sostenuto il venir meno del possesso 208, dire che ‘questo è vero a condizione che nessuno abbia nel frattempo preso possesso della cosa’. Quest’ultima affermazione, al contrario, ben si concilia con il primo caso, quello della conservazione della possessio, la quale continua a condizione che un terzo non si sia immesso nel fondo. Dunque, seguendo i Basilici, propenderei per l’eliminazione dell’espressione per colonum 209. Non che questo renda l’opinione che stiamo esponendo più credibile di altre 210, ma certo permette di dare ragione di molti passaggi: il riferimento all’utilitas, quale giustificazione del mantenimento del possesso, diventa comprensibile proprio per il fatto che il fondo, in seguito alla morte del colono, è rimasto deserto. Poi, la precisazione che il possessore non possessionem apisci neglexerit, precisazione che si fatica a capire se sul bene vi fosse un nuovo intermediario che esercitava in nome del dominus la custodia, assume verosimiglianza ammettendo appunto che il fondo sia rimasto privo di intermediario: la deroga alla perdita del possesso non avrebbe potuto prolungarsi oltre un dato periodo di tempo, cosicché il possessore non avrebbe dovuto indugiare nel recarsi sull’immobile. Infine, l’accenno all’invasione del terzo, superfluo se riferito alla cacciata dell’erede intermediario, acquista valore se messo in relazione al mantenimento del possesso di un fondo deserto. Ricapitolando, Africano avrebbe messo a confronto due situazioni, quella del decesso del colono e quella dell’abbandono del fondo da parte del medesimo colono. Nella prima ipotesi, egli ammetteva per ragioni di utilità la conservazione del possesso, ma a condizione che il possessore non trascurasse di possessionem apisci e che nel frattempo un terzo non avesse occupato il fondo. Nella seconda, invece, il giurista pensava che il possesso andasse perduto. Ebbene, il fatto che Africano (o Giuliano), al fine di motivare il mantenimento del possesso, non richiamasse l’animus, bensì l’utili208

Che l’allontanamento del colono determinasse la perdita del possesso, risulta, benché indirettamente, anche da D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.), visto sopra (par. 3.2). 209 In questo senso, tra gli altri, si veda già i sopra citati P. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 396; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 69 ss. 210 Permangono, infatti, vari punti oscuri, uno dei quali, ad esempio, consiste nel fatto che l’ablativo assoluto quo mortuo è difficilmente spiegabile, visto che il giurista aveva esordito illustrando proprio l’ipotesi della morte: si forte colonus, per quem dominus possideret, decessisset … .

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tas, sembra essere un ulteriore indice del fatto che l’animus, per il ruolo ad esso assegnato, non sempre si poteva prestare a giustificare la conservazione di una possessio, in cui fosse venuto meno il rapporto materiale con la cosa 211. Se, infatti, l’animus, come mi è parso di capire, si identificava con l’intenzione di non abbandonare il fondo 212, il giurista non avrebbe certo potuto servirsene in questo caso. Da qui l’inevitabile ricorso all’utilità. Al contrario Pomponio, nel caso in cui il colono si fosse allontanato temporaneamente dall’immobile, non avrebbe esitato a richiamare questa intenzione, al fine di consentire al locatore di mantenere il possesso 213: D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.): Si colonus non deserendae possessionis causa exisset de fundo et eo redisset, eundem locatorem possidere placet.

Se il colono è uscito dall’immobile, non allo scopo di abbandonarlo, ma di ritornare, il locatore continua a possedere.

211 Contra, per tutti, J. ANKUM, “Utilitatis causa receptum”. On the pragmatical methods of the Roman lawyers, in Symbolae iuridicae et historicae M. David dedicatae, I, Leiden 1968, 13 s.; B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 49 n. 163, secondo cui Africano [D. 41,2,40,1 (Afric. 7 quaest.)] avrebbe fatto ricorso all’animus, benché implicitamemte, per consentire la conservazione del possesso in caso di morte del colono. Inoltre, anche il caso dell’abbandono del fondo da parte della familia servile sarebbe stato spiegato da Proculo [D. 4,3,31 (Proc. 2 epist.)] attraverso l’animus: cfr., ad esempio, A. BURDESE, Possesso tramite intermediario, cit., 401 ss.; CH. KRAMPE, Proculi Epistulae, cit., 78 ss. Le opinioni ora esposte, come è stato di recente precisato (A. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 57 n. 97), pur astrattamente possibili, “si fondano su basi puramente congetturali”, in quanto in nessuna di esse (ad eccezione di Paolo: cfr. infra par. 10.9; par. 10.11; par. 10.15) si rinviene il termine animus. In questa ottica, non mi pare utile nemmeno il richiamo a D. 43,16,1,25 (Ulp. 69 ad edict.), in quanto Ulpiano cita Proculo a proposito di un possesso personalmente esercitato. Non solo, ma la disciplina riferita da Africano [D. 41,2,40,1 (Afric. 7 quaest.)], per come è stata ricostruita, non sembra nemmeno accordarsi con quella, riferita da Pomponio [D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.)], del possesso conservato animo; infatti, secondo l’indirizzo giurisprudenziale prevalente, se il possesso fosse mantenuto animo, l’ingresso del terzo sul fondo lasciato incustodito non avrebbe determinato il venir meno della possessio. 212

Gai. 4,153; D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.).

213

Come sopra visto: par. 3.2.

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Animo possidere

3.4. Nerva figlio e Pomponio: la conservazione e la perdita del possesso dei beni mobili, del servo fuggitivo e del servo (non fuggitivo) Detto dei beni immobili posseduti personalmente e tramite intermediario, passiamo ai beni mobili, leggendo: D. 41,2,25 pr. (Pomp. 23 ad Q.M.): Si id quod possidemus ita perdiderimus, ut ignoremus, ubi sit, desinimus possidere.

‘Se perdiamo ciò che possediamo, in maniera tale da ignorare dove si trova’, desinimus possidere. La regola, con maggiori particolari, si rinviene già in Nerva figlio richiamato da Paolo: D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.): Nerva filius res mobiles excepto homine, quatenus sub custodia nostra sint, hactenus possideri, id est quatenus, si velimus, naturalem possessionem nancisci possimus. nam pecus simul atque aberraverit aut vas ita exciderit, ut non inveniatur, protinus desinere a nobis possideri, licet a nullo possideatur: dissimiliter atque si sub custodia mea sit nec inveniatur, quia praesentia eius sit et tantum cessat interim diligens inquisitio.

Nerva figlio, citato da Paolo, informa che i beni mobili, con l’unica eccezione del servo, sono posseduti fino al momento in cui rimangono sotto la nostra custodia, vale a dire fino al momento in cui, se lo vogliamo, possiamo apprenderne la materiale disponibilità 214. Pertanto, esemplifica il giurista, se il bestiame si disperde o un vaso viene smarrito, così da non essere più rinvenuto, il possesso viene meno. Non così, invece, se la cosa si trova ancora sotto la nostra custodia, ma non viene ritrovata soltanto perché non l’abbiamo attentamente cercata. Dunque, la conservazione animo non è prevista: la perdita della custodia comporta la perdita del possesso 215. 214 Il termine custodia, dunque, rimanda ad una disponibilità attuale o potenziale, ossia alla possibilità di ottenere la materiale detenzione della cosa mobile. Sul concetto, si veda, per tutti, P. BONFANTE, Corso di diritto romano, cit., III, 404; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 100. 215

Custodia e possessio sono, pertanto, nozioni intrinsecamente unite. In argomento, A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 32 ss., avvicina la custodia al corpore possidere; accettando la nozione tradizionale di possesso, formato dal corpore posside-

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Unica eccezione, come detto, il servo, rispetto al quale abbiamo la testimonianza di Nerva figlio, ma non di Pomponio. Tuttavia, non è da scartare l’ipotesi che, anche con riferimento al servo, Pomponio concordasse con Nerva Figlio. Sul punto, leggiamo, in rapida successione, due testi di Pomponio in materia di servo fuggitivo: D. 6,2,15 (Pomp. 3 ad Sab.): Si servus meus, cum in fuga sit, rem a non domino emat, Publiciana mihi competere debet, licet possessionem rei traditae per eum nactus non sim. D. 41,1,54,4 (Pomp. 216 31 ad Q. M.): … sed nec per servum alienum, quem nos bona fide possidemus, dominus peculiari nomine ignorans usucapere poterit, sicuti ne per fugitivum quidem, quem non possidet 217.

Nel primo testo 218, Pomponio informa che se un servo fuggitivo compri una cosa a non domino, di questa cosa il proprietario dello schiavo non ottiene il possesso 219. La ragione del mancato acquisto del possesso si desume dal passo successivo 220, nel quale si legge che il dominus ha perso la possessio del servo in seguito alla fuga di quest’ultimo 221. re e dell’animus possidendi, lo studioso finisce per individuare nella custodia l’aspetto materiale della possessio. 216 Nell’inscriptio del frammento si legge Modestinus, ma si tratta di errore di amanuense: O. LENEL, Palingenesia, cit., II, 75 n.3. 217 Di seguito il testo completo, D. 41,1,54,4 (Pomp. 31 ad Q. M.): Quidquid tamen liber homo vel alienus quive bona fide nobis servit non adquirit nobis, id vel sibi liber vel alienus servus domino suo adquiret: excepto eo quod vix est, ut liber homo possidendo usucapere possit, quia nec possidere intellegitur, qui ipse possideretur. sed nec per servum alienum, quem nos bona fide possidemus, dominus peculiari nomine ignorans usucapere poterit, sicuti ne per fugitivum quidem, quem non possidet. 218

D. 6,2,15 (Pomp. 3 Sab.).

219

Sulla menzione dell’actio Publiciana, G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 416 ss., pensa che Pomponio negasse il rimedio processuale, in quanto contrastante con la prima affermazione (… possessionem rei traditae per eum nactus non sim), e ricostruisce D. 6,2,15 (Pomp. 3 ad Sab.) nel seguente modo: Si servus meus, cum in fuga sit, rem a non domino emat, Publiciana mihi [competere debet, licet] possessionem rei traditae per eum nactus non sim. Diverse le ipotesi avanzate in dottrina: si veda, ad esempio, G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 151 s.; E. ALBERTARIO, I problemi possessorî, cit., 277; E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 226 s.; A. CARCATERRA, Il servus fugitivus e il possesso, in AG 120 (1938), 166 s. 220

D. 41,1,54,4 (Pomp. 31 ad Q. M.).

221

Il fatto che Pomponio ritenesse che il dominus non conservasse il possesso del

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Animo possidere

La regola era già stata avanzata da Nerva figlio, citato da Paolo: D. 41,2,1,14 (Paul. 54 ad edict.): Per servum, qui in fuga sit, nihil posse nos possidere Nerva filius ait 222 …

Nerva figlio, richiamato da Paolo, afferma che attraverso il servo fuggitivo nihil posse nos possidere, verosimilmente perché il possesso del servo era venuto meno 223. Da Papiniano possiamo anche risalire al ragionamento seguito da Nerva: D. 41,2,47 (Pap. 26 quaest.): Si rem mobilem apud te depositam aut ex commodato tibi possidere neque reddere constitueris, confestim amisisse me possessionem vel ignorantem responsum est: cuius rei forsitan illa ratio est, quod rerum mobilium neglecta atque omissa custodia, quamvis eas nemo alius invaserit, veteris possessionis damnum adferre consuevit: idque Nerva filius libris de usucapionibus rettulit. idem scribit aliam causam esse hominis commodati omissa custodia: nam possessionem tamdiu veterem fieri, quamdiu nemo alius eum possidere coeperit, videliservo fuggitivo, può forse desumersi anche da un testo ulpianeo riportato in D. 41,2,13 pr. (Ulp. 72 ad edict.): Pomponius refert, cum lapides in Tiberim demersi essent naufragio et post tempus extracti, an dominium in integro fuit per id tempus, quo erant mersi. ego dominium me retinere puto, possessionem non puto, nec est simile fugitivo: namque fugitivus idcirco a nobis possideri videtur, ne ipse nos privet possessione: at in lapidibus diversum est. Secondo G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 468 ss., il confronto tra lapides demersi e servus fugitivus risalirebbe a Pomponio: il giurista, a sostegno della perdita del possesso delle pietre gettate nel Tevere, avrebbe richiamato il caso del servo fuggitivo, in quanto anche in tale ipotesi la possessio veniva meno. 222 Il testo è ritenuto esente da interventi successivi. Di seguito lo riporto interamente, D. 41,2,1,14 (Paul. 54 ad edict.): Per servum, qui in fuga sit, nihil posse nos possidere Nerva filius ait, licet respondeatur, quamdiu ab alio non possideatur, a nobis eum possideri ideoque interim etiam usucapi. sed utilitatis causa receptum est, ut impleatur usucapio, quamdiu nemo nactus sit eius possessionem. possessionem autem per eum adquiri, sicut per eos, quos in provincia habemus, Cassii et Iuliani sententia est. 223 Così, tra gli altri, F. KNIEP, Vacua possessio, cit., 145 s.; G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 149 s.; G. DULCKEIT, Erblasserwille und Erwerbswille bei Antretung der Erbschaft. Beiträge zum Willensproblem im klassischen römischen Erbrecht, Weimar 1934, 34 n. 3, che ricostruisce il testo nel seguente modo: Per servum, qui in fuga sit, nihil posse nos possidere Nerva filius ait ; G. LONGO, Animo retinere possessionem, in Annali Univ. Macerata 20 (1956), ora in IDEM, Ricerche romanistiche, Milano 1966, 448; G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 408 s. Contra, ad esempio, S. PEROZZI, Istituzioni (ediz. 1928), cit., I, 850 n. 1; A. CARCATERRA, Il servus fugitivus, cit., 169 ss. Invece, E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 220 ss., pensa che solo Nerva negasse la conservazione del possesso del servo fuggitivo.

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cet ideo, quia potest homo proposito redeundi domino possessionem sui conservare, cuius corpore ceteras quoque res possumus possidere. igitur earum quidem rerum, quae ratione vel anima carent, confestim amittitur possessio, homines autem retinentur, si revertendi animum haberent.

Nerva figlio, richiamato da Papiniano, dopo aver sottolineato lo stretto legame tra custodia e possesso 224 – perdere la custodia della cosa mobile determina il venir meno della possessio 225 –, introduce un’eccezione, ossia il caso del servo 226: nonostante abbia perso la custodia del sottoposto, il dominus ne continua a mantenere il possesso 227, almeno fino al momento in cui nemo alius eum possidere coeperit. Nel prosieguo, il giurista spiega la ragione della deroga: il dominus conserva il possesso, in quanto ‘il servo può serbare il possesso di sé al proprietario in forza della propria intenzione di ritornare, per cui si perde immediatamente il possesso di quelle cose che sono prive di raziocinio o di anima, mentre il possesso degli schiavi si conserva, se hanno l’intenzione di ritornare’. La regola richiama alla mente il passo sopra visto 228, nel quale Nerva figlio, citato questa volta da Paolo, subordinava il possesso delle cose mobili al permanere della custodia, fatta eccezione per lo 224 Sulla prima parte del passo (fino a rettulit), si veda, per tutti, A. METRO, L’obbligazione di custodire, cit., 38 n. 75, con altra letteratura. 225

Cfr. il già visto D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.).

226

Ritengono sostanzialmente genuina la seconda parte del testo, tra gli altri, F. SCHULZ, Einführung, cit., 32 s.; E. RABEL, Zum Besitzverlust, cit., 221; B. ALBANESE, La nozione del furtum da Nerazio a Marciano, in AUPA 25 (1956), 179; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., II, 59 s.; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 26 s., il quale pensa che il periodo finale (igitur – haberent) possa essere il riassunto di una più vasta esposizione di Papiniano. 227 Nel testo viene menzionato il caso del servo dato in comodato. Questo fatto ha condotto G. NICOSIA, L’acquisto del possesso, cit., 410 n. 58, a ritenere che l’affermazione vada riferita al caso in cui il comodatario si fosse opposto alla restituzione del sottoposto al comodante, considerato che nella prima parte del frammento si accenna proprio al rifiuto di restituire da parte del depositario o del comodatario. Tuttavia, da un lato non è certa la genuinità dell’espressione aut ex commodato (cfr., per tutti, G. BESELER, Beiträge, cit., III, 89), dall’altra, nella seconda parte del passo nulla si dice circa le ragioni della perdita della custodia. Al contrario, si ha cura di precisare che il possesso continuava finché un altro non si fosse impossessato del servo. Una situazione simile si legge in un testo di Ulpiano che cita Viviano [D. 21,1,17,3 (Ulp. 1 ad edict. aed. cur.)]. 228

D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.): Nerva filius res mobiles excepto homine, quatenus sub custodia nostra sint, hactenus possideri, id est quatenus, si velimus, naturalem possessionem nancisci possimus ... .

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Animo possidere

schiavo. Dal testo di Papiniano 229 ne apprendiamo il motivo: solo il servo è dotato di ratio vel anima e pertanto solo il servo può decidere di fare ritorno al dominus 230. Questo fatto è stato interpretato 231 come il tentativo, da parte di Nerva figlio, di applicare lo stesso animus, visto a proposito dei beni immobili – intenzione di ritornare –, al servo. Tuttavia, a mio avviso, la profonda diversità tra le due situazioni – in una (gli immobili) l’animus è del possessore, nell’altra (lo schiavo fuggitivo) l’animus appartiene alla cosa posseduta 232 – non autorizza questa conclusione 233:

229

D. 41,2,47 (Pap. 26 quaest.).

230

Questo spiega altresì perché Nerva figlio ritenesse che il dominus non conservasse il possesso del servo fuggitivo: non ravvisando nel fugitivus [su questo: D. 21,1,17,3 (Ulp. ad edict. aed. cur.)] il revertendi animus, il giurista non poteva acconsentire al mantenimento della possessio. Anche Pomponio, come abbiamo sopra visto, negava il mantenimento del possesso del servo fuggitivo [D. 6,2,15 (Pomp. 3 Sab.); D. 41,1,54,4 (Pomp. 31 ad Q.M.)]. Per quanto riguarda, invece, il servo non fuggitivo, non si hanno informazioni dirette. Tuttavia, è verosimile ritenere, anche se non conosciamo le ragioni, che il giurista ne ammettesse la conservazione. Cfr., in argomento, per tutti, F. PRINGSHEIM, Res quae anima carent, in Labeo 4 (1958), 263 ss. 231 232

P. ZAMORANI, Possessio, cit., 25 ss.

Sempre P. ZAMORANI, Possessio, cit., 15 ss., pensa che alcuni giuristi, tra cui Paolo [D. 41,2,3,16 (Paul. 54 ad edict.): Quidam recte putant columbas quoque, quae ab aedificiis nostris volant, item apes, quae ex alveis nostris evolant et secundum consuetudinem redeunt, a nobis possideri] ma non Nerva figlio [citato da Paolo in D. 41,2,3,13 (Paul. 54 ad edict.], valorizzassero l’animus, visto a proposito degli immobili, anche in tema di conservazione del possesso degli animali selvatici dotati dell’istinto di ritornare. Lo studioso ferrarese, infatti, vede un collegamento tra il passo di Paolo e alcuni testi di Gaio in materia di proprietà. Leggiamo in rapida successione Gai. 2,68: In his autem animalibus, quae ex consuetudine abire et redire solent, veluti columbis et apibus, item cervis, qui in silvas ire et redire solent, talem habemus regulam traditam, ut si revertendi animum habere desierint, etiam nostra esse desinant et fiant occupantium; revertendi autem animum videntur desinere habere, cum revertendi consuetudinem deseruerint; D. 41,1,5,5 (Gai. 2 rer. cott.): Pavonum et columbarum fera natura est nec ad rem pertinet, quod ex consuetudine avolare et revolare solent: nam et apes idem faciunt, quarum constat feram esse naturam: cervos quoque ita quidam mansuetos habent, ut in silvas eant et redeant, quorum et ipsorum feram esse naturam nemo negat. in his autem animalibus, quae consuetudine abire et redire solent, talis regula comprobata est, ut eo usque nostra esse intellegantur, donec revertendi animum habeant, quod si desierint revertendi animum habere, desinant nostra esse et fiant occupantium. intelleguntur autem desisse revertendi animum habere tunc, cum revertendi consuetudinem deseruerint. Gaio informava dello stretto legame tra il diritto di proprietà e il revertendi animus di alcuni animali selvatici: finché gli animali conservavano il revertendi animus, il dominus conservava la proprietà; quando i medesimi animali perdevano il revertendi animus, allora anche il dominus perdeva la proprietà. Commenta Zamorani (pag. 24), dopo aver riportato il testo paolino visto sopra (D. 41,2,3,16): “l’idea che il possesso di

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l’animus sarebbe stato valorizzato dai giuristi soltanto con riguardo agli immobili 234.

3.5. Un testo verosimilmente interpolato L’ambito – i beni immobili – e il significato – intenzione di non abbandonare il fondo dal quale ci si è allontanati, ma di ritornare – con cui mi è parso che Pomponio impiegasse il termine animus potrebbe essere smentito da un noto passo riportato in: D. 43,26,15,4 (Pomp. 29 ad Sab.): Eum, qui precario rogaverit, ut sibi possidere liceat, nancisci possessionem non est dubium: an is quoque possideat, qui rogatus sit, dubitatum est. placet autem penes utrumque esse eum hominem, qui precario datus esset, penes eum qui rogasset, quia possideat corpore, penes dominum, quia non discesserit animo possessione.

certi beni potesse prescindere dalla custodia purché sussistessero le condizioni che rendevano certi di un prossimo ricostituirsi della stessa, era presente nella giurisprudenza romana, anche se non nella totalità della stessa”. A me, invece, sembra difficile che i giuristi romani abbiano cercato di estendere l’animus, valorizzato in relazione al possessore di immobili, alla cosa posseduta. Pertanto, concordo, ad esempio, con G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 115; D. DAUBE, Doves and Bees, in Droits de l’antiquité et sociologie juridique, Mélanges H. Lévy-Bruhl, Paris 1959, 67 ss. Sulla problematica, con particolare riguardo ai testi gaiani, rimando, tra gli altri, a G. BRINI, Possesso delle cose e possesso dei diritti nel diritto romano, Bologna 1906 (ediz. anast. Roma 1978), 15 s.; S. SOLAZZI, Glosse a Gaio, in Studi in onore di S. Riccobono, I, Palermo 1936, ora in IDEM, Scritti di diritto romano, IV, Ultimi scritti – Glosse a Gaio – «Notae», Napoli 1972, 342 s.; C.A. MASCHI, La concezione naturalistica del diritto e degli istituti giuridici romani, Milano 1937, 175; D. DAUBE, Doves and Bees, cit., 63 ss.; W. FLUME, Die Bewertung der Institutionen des Gaius, in ZSS 79 (1962), 1 ss.; P. STEIN, Regulae iuris, Edinburgh 1966, 99 ss.; P. PESCANI, Difesa minima di Gaio, in Gaio nel suo tempo, Atti del Simposio Romanistico, Napoli 1966, 97 s.; J. FILIP-FRÖSCHL, Cervi, qui in silvas ire et redire solent. Anmerkungen zu einem exemplum iuris, in Iurisprudentia universalis, Festschrift für T. Mayer-Maly zum 70. Geburtstag, Köln 2002, 191 ss. 233 Contra, se ho rettamente inteso, V.A. SAVELIEV, Il possesso solo animo nel diritto romano classico, in Ius Antiquum 5 (1999), 7 ss. 234 Invece, con riferimento agli animali selvatici dotati di consuetudo revertendi [Gai. 2,68; D. 41,1,5,5 (Gai. 2 rer. cott.); D. 41,2,3,16 (Paul. 54 ad edict.)] e ai servi [D. 21,1,17,3 (Ulp. 1 ad edict. aed. cur.); D. 41,2,47 (Pap. 26 quaest.)], mi sembra molto più verosimile che l’animus venisse in considerazione al fine di valutare la persistenza della custodia, ossia la relazione materiale con la cosa. Cfr., in questo senso, G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 115.

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Il giurista 235 esordisce affermando che mentre non est dubium che il precarista acquista il possesso del bene, dubitatum est se possieda pure il concedente. Il dubbio è stato risolto, almeno così sembrerebbe ad una prima lettura 236, riconoscendo il possesso in capo ad entrambi i soggetti: al precarista, quia possideat corpore, e al concedente, quia non discesserit animo possessione. Da un passo di Paolo, in materia possessoria 237, conosciamo maggiori particolari: D. 41,2,3,5 (Paul. 54 ad edict.): Ex contrario plures eandem rem in solidum possidere non possunt: contra naturam quippe est, ut, cum ego aliquid teneam, tu quoque id tenere videaris. Sabinus tamen scribit eum qui precario dederit et ipsum possidere et eum qui precario acceperit. idem Trebatius probabat existimans posse alium iuste, alium iniuste possidere, duos iniuste vel duos iuste non posse. quem Labeo reprehendit, quoniam in summa possessionis non multum interest, iuste quis an iniuste possideat: quod est verius. non magis enim eadem possessio apud duos esse potest, quam ut tu stare videaris in eo loco, in quo ego sto, vel in quo ego sedeo, tu sedere videaris.

Dal testo apprendiamo che sul compossesso vi era una pluralità di opinioni 238: Sabino era propenso a concedere che possedessero sia il precarista che il concedente e Trebazio, più in generale, che ciò si potesse ammettere quando uno possedesse iuste e un altro iniuste, poiché duos iniuste vel duos iuste non posse. Labeone, e con lui Paolo, erano di avviso contrario: più persone non avrebbero potuto possedere in solidum. Se questa era la disputa, tutta la seconda parte del testo di Pom235

O. LENEL, Palingenesia, cit., II, 138, inserisce il testo in materia de interdictis.

236

L’uso del verbo dubitare al perfetto passivo e il successivo placet parrebbero infatti indicare la fine della controversia: anche il concedente possiede. 237 238

O. LENEL, Palingenesia, cit., I, 1065.

Per approfondimenti, si veda, tra gli altri, V. SCIALOJA, Sopra il precarium nel diritto romano, in IDEM, Studi giuridici, I.1, Diritto romano, Roma 1933, 20 ss.; V. SCIALOJA, Il possesso del precarista, in Per l’VIII centenario dell’Università di Bologna, studi giuridici e storici offerti da I. Alibrandi (et alii), Roma 1888, ora in IDEM, Studi giuridici, cit., I.1, Studi, cit., 345; P. CIAPESSONI, Il precarista detentore, in Atti del I Congresso Nazionale di Studi Romani, II, Roma 1929, 199 ss.; A. CARCATERRA, Possessio, cit., 126 ss.; B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 90; P. BIAVASCHI, Ricerche sul precarium, Milano 2006, 292 ss., con altra bibliografia. Sul precario, si veda, da ultimo, J.D. HARKE, Precarium. Besitzvertrag im römischen Recht, Berlin 2016.

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ponio 239, visto sopra, sembra ad essa estranea per più di una ragione. Innanzitutto, il giurista pare tratteggiare la coesistenza di due situazioni possessorie attraverso il ricorso all’animus e al corpus: il precarista possiede corpore, mentre il concedente possiede animo. Ebbene, queste espressioni, leggendo il testo paolino, sembrano del tutto estranee alla controversia: Paolo 240, citando Sabino, Trebazio e Labeone non ne fa menzione, soffermandosi invece su altri aspetti. Non solo. Anche la stessa terminologia mal si concilia con quella adottata da Pomponio nei testi fin qui esaminati 241. In questi, infatti, Pomponio non utilizza mai il binomio corpus-animus: non lo utilizza laddove tratta del possesso esercitato personalmente 242, né laddove parla del possesso tramite intermediario 243, né laddove approfondisce la situazione del dominus in seguito alla fuga de servo 244. All’estraneità del binomio corpus-animus alla riflessione del giurista, si aggiunga poi l’uso che Pomponio fa dei termini in maniera separata: il termine corpus risulta impiegato una sola volta 245 e, in questa, non è unito al verbo possidere; il termine animus 246, invece, sembra impiegato con un significato del tutto differente, ossia come intenzione del proprietario di non abbandonare il fondo, da cui si è allontanato, ma di ritornare. Ma vi è di più. Come è stato notato 247, infatti, la seconda parte del passo 248 appare in aperto contrasto con la prima 249, come si ricava da un passo di Paolo: 239

Da placet alla fine.

240

D. 41,2,3,5 (Paul. 54 ad edict.).

241

D. 6,2,15 (Pomp. 3 ad Sab.); D. 41,1,54,4 (Pomp. 31 ad Q. M.); D. 41,2,6 pr. (Ulp. 70 ad edict.), ove Ulpiano richiama Pomponio; D. 41,2,25 (Pomp. 23 ad Q. M.); D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.). 242

D. 41,2,6 pr. (Ulp. 70 ad edict.); D. 41,2,25 pr.2 (Pomp. 23 ad Q. M.).

243

D. 41,2,25,1 (Pomp. 23 ad Q.M.); D. 41,2,31 (Pomp. 32 ad Sab.).

244

D. 6,2,15 (Pomp. 3 ad Sab.); D. 41,1,54,4 (Pomp. 31 ad Q. M.).

245

D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.): Quod autem solo animo possidemus, quaeritur, utrumne usque eo possideamus, donec alius corpore ingressus sit… 246

D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.).

247

Cfr., tra gli altri, E. ALBERTARIO, Il possesso, cit., 134 s.; E. ALBERTARIO, La involuzione del possesso del precarista, cit., 145; G. BRANCA, “Missiones in possessionem” e possesso, in Studi in onore di S. Solazzi, Napoli 1948, 498 ss.; F. BOZZA, La nozione della possessio, cit., I, 146 ss.; A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 543; C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 453 n. 63; P. ZAMORANI, Precario habere, Milano 1969, 119 ss. 248

Da placet alla fine.

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Animo possidere

D. 41,2,3,12 (Paul. 54 ad edict.): Ceterum animo nostro, corpore etiam alieno possidemus, sicut diximus per colonum et servum…

Possiamo possedere, rende noto Paolo, animo nostro e corpore alieno. Il possesso è unico: possiede con l’animus il proprietario attraverso il corpus, rispettivamente, del colono e del servo. Leggendo il passo di Pomponio 250 alla luce di quello di Paolo 251, risulterebbe che il precarista avrebbe ottenuto soltanto la mera detenzione della cosa (possideat corpore), mentre il concedente avrebbe continuato a possedere animo. Dunque, declassando il precarista a detentore, il giurista si sarebbe contraddetto, in quanto poco sopra aveva affermato che nessuno ha mai messo in dubbio la qualifica di possessore del precarista medesimo 252. Se a questa antinomia aggiungiamo, infine, la circostanza che, come molti 253 ritengono, la possessio del precarista scade a detenzione in epoca postclassica, l’ipotesi dell’interpolazione viene ulteriormente rafforzata, spingendomi a concordare con i numerosissimi studiosi 254 che ritengono non genuina la parte in cui compaiono i termini corpus ed animus: D. 43,26,15,4 (Pomp. 29 ad Sab.): Eum, qui precario rogaverit, ut sibi possidere liceat, nancisci possessionem non est dubium: an is quoque possideat, qui rogatus sit, dubitatum est. [placet autem penes utrumque esse eum hominem, qui precario datus esset, penes eum qui rogasset, quia possideat corpore, penes dominum, quia non discesserit animo possessione 255.]

249

Da eum qui precario a dubitatum est.

250

D. 43,26,15,4 (Pomp. 29 ad Sab.).

251

D. 41,2,3,12 (Paul. 54 ad edict.).

252

D. 43,26,15,4 (Pomp. 29 ad Sab.): Eum, qui precario rogaverit, ut sibi possidere liceat, nancisci possessionem non est dubium… 253

Cfr., per tutti, P. ZAMORANI, Precario habere, cit., 118 ss.

254

Cfr., ad esempio, G. BESELER, Beiträge, cit., IV, 77; G. ROTONDI, Possessio quae animo retinetur, cit., 126 n. 2; V. SILVIA, Precario con possesso e precario con detenzione, in SDHI 6 (1940), 256 s.; C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 88; R. MÖHLER, Der Besitz, cit., 64 n. 66; E. BOZZA, La nozione della possesso, cit., I, 146; A. BURDESE, In tema di animus possidendi, cit., 543; C.A. MASCHI, Il diritto romano, cit., 454 n. 63; P. ZAMORANI, Precario habere, cit., 129 s.; G. MAC CORMACK, The Role of Animus, cit., 124 n. 51; P. ZAMORANI, Possessio, cit., 258 ss. Contra, tra gli altri, M. KASER, Zur Geschichte des precarium, in ZSS 89 (1972), 102 s.; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 155 n. 20. 255

Contro questa ipotesi e favorevoli ad una lettura più conservativa del testo si

Animus e possessio nel pensiero giurisprudenziale classico

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4. Prima ricapitolazione: animus in Gaio e Pomponio Prima di proseguire oltre, è opportuno fare una breve ricapitolazione sulla terminologia utilizzata da Gaio e da Pomponio. Innanzitutto, entrambi i giuristi fanno uso del termine animus 256. Gaio 257 lo impiega per informare che mentre il possesso si mantiene animo, animo non si acquista. E per quanto concerne l’aspetto della conservazione, il medesimo giurista precisa, a proposito dei beni immobili, che animus significa intenzione non relinquendae possessionis, sed postea reversuri. Questa particolare concezione del termine animus potrebbe trovare un sostegno da quanto detto da Gaio a proposito del servo fuggitivo. Rispetto al possesso del fugitivus, infatti, il giurista non ne motiva la conservazione attraverso l’animus – del resto sempre taciuto dai giuristi che si occupano dell’argomento –, ma attraverso ragioni pratiche, le quali consistono nell’impedire che un servo possa peggiorare la condizione economica del dominus. Proprio il silenzio intorno al termine animus, e il richiamo di ragioni extragiuridiche, potrebbe avvalorare la circostanza che l’animus avesse un ambito di applicazione assai limitato (gli immobili) e consistesse nell’intenzione del titolare di non abbandonare il fondo, ma di ritornarvi. veda, tra gli altri, B. ALBANESE, Le situazioni possessorie, cit., 90 n. 316; P. LAMBRINI, L’elemento soggettivo, cit., 154 s.; E. STOLFI, Studi, cit., II, 289 n. 20; G. D’ANGELO, La perdita della possessio, cit., 85 s. 256 Al contrario del termine animus, il termine corpus non appare impiegato da Gaio né da Pomponio con significato tecnico. I due giuristi, infatti, non utilizzano mai corpus in diretta relazione con possessio. In un unico testo [D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.)] – se si eccettua D. 43,26,15,4 (Pomp. 26 ad Sab.), ritenuto interpolato –, Pomponio scrive di un terzo entrato nel fondo corpore. In questo caso, tuttavia, l’uso del sostantivo corpus, sempre che non sia riconducibile ad una mano estranea (cfr., per tutti, C.A. CANNATA, L’‘animo possidere’, cit., 87 s.), sembra dovuto alla particolare quaestio presentata dal giurista, quaestio vertente sul momento nel quale si sarebbe perso un possesso conservato animo. In questa prospettiva, a me pare che Pomponio, nell’introdurre la soluzione avanzata da un primo indirizzo – il possesso mantenuto animo perdurava donec alius corpore ingressus sit, ut potior sit illius corporalis possessio – ricorresse a questa terminologia soltanto per far meglio risaltare la contrapposizione con la modalità con cui il titolare stava possedendo: il possesso esercitato ‘spiritualmente’ cedeva di fronte ad un possesso esercitato ‘corporalmente’. Questa lettura è avvalorata dalla circostanza che, laddove i due giuristi trattano dell’acquisto e della conservazione del possesso, essi pongono l’accento soltanto sul soggetto che acquista e conserva la disponibilità materiale della cosa, senza minimamente accennare al corpus. 257

Gai. 4,153.

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La stessa prospettiva si coglie in Pomponio 258. Anche questo giurista, infatti, non solo utilizza il termine animus in merito alla conservazione di un fondo, ma sembra conferire al termine la stessa accezione riscontrata in Gaio: animus è l’intenzione del possessore di non voler abbandonare l’immobile, ma di ritornarvi dopo un temporaneo allontanamento 259. Il termine animus, dunque, sembra assurgere, tanto in Gaio quanto in Pomponio, a terminus technicus per indicare una modalità, già da tempo elaborata dai giuristi – certo non tutti 260 e verosimilmente con differenti opinioni 261 –, di conservazione del possesso 262. Il suo ambito di applicazione è quello del possesso dei beni immobili, possesso esercitato personalmente, anche se in Pomponio è forse ravvisabile il tentativo di estendere questa ‘intenzione’ al possesso esercitato tramite intermediario 263, ipotesi che si rivelava in un certo senso ‘compatibile’ con l’accezione che il termine aveva assunto.

5. Celso: alius quis clam animo possessoris intraverit La nozione di animus in senso tecnico che mi è parso di intravvedere in Gaio e in Pomponio – intenzione di non abbandonare il bene, ma di farvi ritorno – non è smentita da due testi appartenenti, rispettivamente, a Celso e a Marcello. Iniziamo dal primo: D. 41,2,18,3 (Cels. 23 dig.): Si, dum in alia parte fundi sum, alius quis clam animo possessoris intraverit, non desisse ilico possidere existimandus sum, facile expulsurus finibus, simul sciero. 258

D. 41,2,25,2 (Pomp. 23 ad Q. M.).

259

Proprio questo particolare significato del termine animus avrebbe spinto Pomponio ad applicare la regola della conservazione animo della possessio anche al caso in cui il colono non deserendae possessionis causa exisset de fundo et eo redisset. 260

Gai. 4,153: … Quin etiam plerique putant animo quoque retineri possessio