Analisi matematica 2 [2 ed.]
 9788833954417, 8833954412

Table of contents :
Indice 7
Prefazione 9
1. Spazi metrici e spazi normati 11
1 Spazi metrici 11
2 Funzioni continue 14
3 Successioni 17
4 Spazi vettoriali 24
5 Spazi normati. Spazi di Banach e di Hilbert 28
6 Spazi compatti 31
7 Il teorema delle contrazioni 37
Notizie storiche 39
2. Serie e successioni di funzioni 42
1 Generalità sulle serie di funzioni 42
2 Serie di potenze 45
3 Cenni sulle serie di potenze a termini complessi 54
4 Funzioni perodiche 55
5 Sviluppi in serie di Fourier 60
6 Convergenza delle serie di Fourier 63
7 Integrazione delle serie di Fourier 70
*8 Approssimazione delle funzioni continue 71
Notizie storiche 76
3. Equazioni differenziali 83
1 Introduzione 83
2 Il problema di Cauchy 87
3 Prolungamento delle soluzioni 95
*4 Dipendenza continua dai dati 103
5 Equazioni differenziali lineari 107
6 Equazioni lineari a coefficienti costanti 112
*7 Studio di un circuito oscillante 122
*8 Le funzioni circolari 126
*9 Cenni sul calcolo delle variazioni 129
Notizie storiche 134
4. Calcolo differenziale per funzioni di piu variabili 138
1 Derivate parziali 138
2 Funzioni differenziabili 140
3 Derivate successive 145
4 Differenziale di applicazioni R^n -> R^m. Funzioni composte 151
5 Massimi e minimi relativi per funzioni di più variabili 157
6 Funzioni omogenee: alcuni cenni 164
*7 Le equazioni alle derivate parziali 166
Notizie storiche 167
5. La misura di Lebesgue in R^n 169
1 Introduzione. Plurintervalli in R^m 169
2 Insiemi misurabili: misura di un insieme 172
3 Additività e subadditività numerabile della misura 179
4 Insiemi di misura infinita 188
5 La misura nei prodotti cartesiani 191
6. L'integrale di Lebesgue in R^n 196
1 L'integrale di Lebesgue 196
2 Funzioni misurabili 200
3 Alcune estensioni dell'integrale 208
4 I teoremi di passaggio al limite sotto il segno di integrale 213
5 II teorema di Fubini 223
6 Cambiamento della misura per diffeomorfismi 238
7 Cambiamento di variabili negli integrali 250
8 Coordinate polari 254
9 Derivazione sotto il segno di integrale 263
Notizie storiche 268
7. Curve e superfici 277
1 Curve in R^n 277
2 Lunghezza di una curva 284
3 Superfici in R^n 292
4 Area di una superficie. Integrali superficiali 298
5 Il teorema delle funzioni implicite in 2 e 3 dimensioni 304
6 Il teorema delle funzioni implicite (caso generale) 313
7 Massimi e minimi vincolati 320
Notizie storiche 332
8. Forme differenziali 337
1 Forme differenziali 337
2 Forme differenziali esatte 342
3 Forme differenziali ed equazioni differenziali 349
4 II teorema della divergenza 353
5 La formula di Stokes 360
Indice dei simboli 367
Indice analitico 369

Citation preview

ENRICO GIUSTI

ANALISI MATEMATICA 2 .

. .

.

SECONDA ED IZIONE PROGRAMMA DI MATEMATICA FIS ICA ELETTRONICA

BOLLATI BORINGHIERI .

.

.

;

Enrico Giusti, nato nel 1940, è professore di Analisi matematica all'Università di Firenze dal

1980. Ha svolto attività didattica e di ricerca

all'Università della California a Berkeley, alla Stanford University e all'Australian National University di Canberra.

PROGRAMMA DI MATEMATICA, FISICA, ELETTRONICA

Mario Ageno, Elementi di fisica T. M. Apostol, Calcolo Vol. I Analisi l

Vol. 2 Geometria

Vol. 3 Analisi 2

Michiel Bertsch, Istituzioni di matematica Scipione Bobbio e Emilio Gatti, Elettromagnetismo

Ottica

Max Born, Fisica atomica

Francesco Bottacin e Giuseppe Zampieri, Analisi 2

Stefano Campi, Massimo Picardello e Giorgio Talenti, Analisi matematica e calcolatori Vito Cappellini, Elaborazione numerica delle immagini Francesco Carassa, Comunicazioni elettriche Sergio Carrà, Termodinamica: aspetti recenti e applicazioni alla chimica e all'ingegneria Ciro Ciliberto, Algebra lineare

Claudio Citrini, Analisi matematica l

Claudio Citrini, Analisi matematica 2

P. A. M. Dirac, l princìpi della meccanica quantistica

Albert Einstein, Il significato della relatività Antonio Fasano e Stefano Marmi, Meccanica analitica con elementi di meccanica statistica e dei continui Enrico Fermi, Termodinamica Bruno Ferretti, Le radici classiche della meccanica quantica Giorgio Franceschetti, Campi elettromagnetici Giovanni Gallavotti, Meccanica elementare Graziano Gentili, Fabio Podestà e Edoardo Vesentini, Lezioni di geometria differenziale Enrico Giusti, Analisi matematica l

Enrico Giusti, Analisi matematica 2

Enrico Giusti, Esercizi e complementi di analisi matematica (vol. I) Enrico Giusti, Esercizi e complementi d i analisi matematica (vol. 2)

Angelo Guerraggio, Matematica generale Hermann Haken e Hans C. Wolf, Fisica atomica e quantistica

Werner Heisenberg, l princìpi fisici della teoria dei quanti Gerhard Herzberg, Spettri atomici e struttura atomica

David A. Hodges e Horace G. Jackson, Analisi e progetto di circuiti integrati digitali Charles Kittel, Introduzione alla fisica dello stato solido Charles Kittel e Herbert Kroemer, Termodinamica statistica Serge Lang, Algebra lineare Giorgio Letta, Teoria elementare dell'integrazione P. F. Manfredi, Piero Maranesi e Tiziana Tacchi, L 'amplificatore operazionale Jacob Millman, Circuiti e sistemi microelettronici Jacob Millman e C.C. Halkias, Microelettronica

R. S. Muller e T. l. Kamins, Dispositivi elettronici nei circuiti integrati

Athanasios Papoulis, Probabilità, variabili aleatorie e processi stocastici Wolfgang Pauli, Teoria della relatività Giovanni Prodi, Analisi matematica Antonio Ruberti e Alberto Isidori, Teoria dei sistemi Walter Rudin, Analisi reale e complessa H. H. Schaefer, Introduzione alla teoria spettro/e

Edoardo Sernesi, Geometria l

Edoardo Sernesi, Geometria 2

l. M. Singer e J. A. Thorpe, Lezioni di topologia elementare e di geometria

W. V. Smith e P. P. Sorokin, Il laser Giovanni Soncini, Tecnologie microelettroniche Guido Tartara, Teoria dei sistemi di comunicazione Bruno Touschek e Giancarlo Rossi, Meccanica statistica

ENRICO GIUSTI

ANALISI MATEMATICA 2 SECONDA EDIZIONE PIANO DELLA PRESENTE OPERA \'OLUME PRIMO: ANALISI MATEMATICA l

VOLUME SECONDO: ANALISI MATEMATICA 2

cr�

-

BOLLATI BORINGHIERI

Prima edizione 1983 Seconda edizione riveduta e ampliata 1989

Ristampa novembre /995

© 1989 Bollati Boringhieri editore s.r.l., Torino, corso Vittorio Emanuele 86 I diritti di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) sono riservati L'editore potrà concedere a pagamento l'autorizzazione a riprodurre una por­ zione non superiore a un decimo del presente volume. Le richieste di riprodu­ zione vanno inoltrate all'Associazione Italiana per i Diritti di Riproduzione delle Opere a Stampa (AIDRos), via delle Erbe 2, 20121 Milano, te!. 02/86463091,

fax 02/89010863 Stampato in Italia dalla Stampatre di Torino CL 74 -9278-2 ISBN 88-339-5441-2

Indice

Prefazione,

7

l Spazi metrici e spazi normati, 9 l 2

3

4 S 6 7

Spazi metrici Funzioni continue Successioni Spazi vettoriali

Spazi normati. Spazi di Banach e di Hilbert Spazi compatti n teorema delle contrazioni Notizie storiche

2 Serie e successioni di funzioni, 40 l 2

3

4 S 6 7 *8

Generalità sulle serie di funzioni Serie di potenze Cenni sulle serie di potenze a termini complessi Funzioni periodiche Sviluppi in serie di Fourier Convergenza delle serie di Fourier Integrazione delle serie di Fourier Approssimazione delle funzioni continue Notizie storiche

3 Equazioni differenziali, 81 l 2

3

*4 S 6 *7 *8

*9

Introduzione n problema di Cauchy Prolungamento delle soluzioni Dipendenza continua dai dati Equazioni differenziali lineari Equazioni lineari a coefficienti costanti Studio di un circuito oscillante Le funzioni circolari Cenni sul calcolo delle variazioni Notizie storiche

4 Calcolo differenziale per funzioni di più variabili, 1 36 l 2 3 4 5 6

*7

S

La l 2 3 4 5

Derivate parziali Funzioni differenziabili

Derivate successive m n Differenziale di applicazioni R -+ R . Funzioni composte Massimi e minimi relativi per funzioni di più variabili Funzioni omogenee: alcWli cenni Le equazioni alle derivate parziali Notizie storiche

misura di Lebesgue in Rn, 1 6 7

n

Introduzione. Plurintervalli in R

Insiemi misurabili: misura di un insieme Additività e subadditività numerabile della misura Insiemi di misura infinita La misura nei prodotti cartesiani

6. L'integrale di Lebesgue in Rn, 194 l 2

L 'integrale di Lebesgue Funzioni misurabili

4 5

3

Alcune estensioni dell'integrale I teoremi di passaggio al limite sotto il segno di integrale Il teorema di Fubini

6

Cambiamento della misura per diffeomorfismi

7

Cambiamento di variabili negli integrali Coordinate polari Derivazione sotto il segno di integrale Notizie storiche

8

9

7 Curve e superfici, 2 75 n

l 2 3 4 5

Curve in R Lunghezza di una curva

6

Il teorema delle funzioni implicite (caso generale) Massimi e minimi vincolati Notizie storiche

7

n

Superfici in R Area di una superficie. Integrali superficiali

Il teorema delle funzioni implicite in 2 e 3 dimensioni

8 Forme differenziali, 335 l 2

3

4 S

Forme differenziali Forme differenziali esatte

Forme differenziali ed equazioni differenziali Il teorema della divergenza

La formula di Stokes

Indice dei simboli , 365

Indice analitico , 36 7

Prefazione

Lo scopo principale di quest'opera è di fornire allo studente un testo sul quale ap­ prendere i primi elemen ti di analisi matematica, quali vengono insegnati nel primo biennio dei cors.i di laurea delle Facoltà di Scienze e di Ingegneria. Si tratta tutto sommato di una esposizione di tipo tradizionale, anche se non man­ cano diversità di impostazione rispetto ad analoghi testi attualmen te in uso. Tra queste sono da segnalare, per quel che riguarda il primo volume, la trattazione unificata delle successioni e delle serie, come pure lo sviluppo parallelo del calcolo differenziale e integrale. Per le prime si tratta di una semplice giustapposizione, e difatti è possibile separare nuovamente i due argomen ti posponendo la seconda parte del capitolo 2 ( § § 1 4-1 7). A l contrario, l'unificazione della trattazione del calcolo differenziale e integrale mi sembra risponda a una necessità didattica effettiva e renda possibile una certa semplificazione della materia. Per il secondo volume, la maggior differenza rispetto ad altri testi dello stesso tipo consiste nell'illustrazione della teoria dell'integrazione di Lebesgue, che usualmen te viene lasciata a corsi successivi, quando (come accade in alcuni corsi di laurea) non viene completamente tralasciata. Mi sembra invece che l'importanza dell'integrale di Lebesgue sia tale da consigliarne la trattazione, anche se in forma elementare, fin dal primo biennio di analisi. n volume è diviso in capitoli, ulteriormente suddivisi in paragrafi. Di questi, sono segnati con un asterisco quelli che possono essere omessi senza pregiudicare la com­ prensione di quanto segue. A lla fine di ogni paragrafo sono riportati un certo numero di esercizi, il cui svolgi­ mento è necessario per una soddisfacente comprensione della materia. Infine, al ter­ mine di ogni capitolo, o gruppo di capitoli, si possono trovare brevi notizie storiche. E. G.

Capitolo l Spazi metrici e spazi normati

l Spazi metrici

Sia X un insieme. Si dice distanza o metrica una funzione d (x , y) che ad ogni coppia di punti x e y di X associa un numero reale , con le seguenti proprietà (vedi vol. l, cap. l, § 2) : ) (d 1 d (x , y);;o. O ; d(x , y) = O se e solo se x =y . ) (d 2 d (x , y) = d ( y , x) per ogni x , y EX. (d 3 ) d(x , y)� d(x, z) + d (z, y) per ogni x , y , z E X. (disuguaglianza triangolare). Def"mizione 1.1 Sia X un insieme e d (x, y) una metrica in X; la coppia (X, d ) si chiama spazio metrico.

Di solito, quando non sono possibili confusioni, si parla dello spazio metrico X anziché dello spazio metrico (X, d). Ad esempio si parlerà degli spazi metrici R e C, che si supporranno sempre dotati della metrica euclidea d (x , y ) = lx -y l .

Se x0 E X e r > O , chiameremo intorno sferico (o palla) di centro x0 e raggio l ' insieme I(x0 , r ) = {x E X : d(x, x0 ) /1 (y) si indicano rispettivamente con i simboli f(· , y) e f(x, · ).

15

Spazi metrici e spazi noT11111ti

variabili:

(a)

v'x1x2-l ln(xf -x�)

(b)

(c)

arcsin(x1 +x2)

lnl-1 x1

(d)

l x2

__



Dimostrare che le funzioni date sono continue nel loro insieme di definizione.

2.5 Siano X e Y due spazi metrici. Dimostrare che una funzione f: X-+ Y è con­ 1 tinua se e solo se per ogni aperto A C Y l'insieme f- (A) (controimmagine di A) è aperto in X.

2.6 Si a A un intervallo e sia F : C (A)-+ C(A) l'applicazione che associa alla funzione continua f(x) la funzione f(x) sin x. Dimostrare cheF è una funzione con­ tinua in C(A ). 3

Successioni

Per le successioni a valori in uno spazio metrico X valgono definizioni analoghe a quelle date per succe ssioni rea li. In particolare , una successione {xn} si dirà conver­ gen te a un punto x se, per ogni e> O, esiste un v EN tale che, per o gni n> v, risulti In altre parole la s uccessione {xn} converge a x se e solo se la s uccessione reale d(xn, x) tende a zero . Una successione {xn} si dirà poi di Oluchy (o fondamentale) se per ogni e>O esiste un vEN tale che, per ogni n, m> 11, si abbiJJ

d(Xn, Xm), x) per ogni i= l ,2, . , n.· Per ogni i fissato la successione numerica {x}k)} delle compo­ nenti -e s im e vergente .

i

è

. .

dunque una successione di Cauchy in R , quindi una successione con­

Sia

x·= klim -+- x�k) l

l

e sia

Si ha

d(x, x)..;;� lx}k>-x;l per cui d ( x (k), x) tende a zero quando i= 1

k � oo ,

cosicch é la s uccessione {x(k)} converge

a x in R". •

Uno spazio metrico X si dirà completo se ogni successione di Cauchy in X è convergente. Definizione 3.1

Gli spazi metrici completi hanno importanti proprietà , alcune delle q uali verranno usate nel seguito. Varrà dunque la pena di soffermarsi un momento a dimostrare la completezza di alcuni spazi me trici. Sia (X, dx) uno spazio metrico e sia A un sottoinsieme di X. Chiameremo diame­ tro di A il numero d (A ) = sup {dx (x,y);x,y EA}. Diremo che un insieme è se il suo diametro è finito; è facile vedere che se A è limitato e allora A è contenuto nella palla 1 ). ) Se (X, x e ( ) so no due spazi metrici , una funzione

d

xEA,

Y, dy

limitato

/(x, d(A) +

f : X� Y

limitata se la s ua immagine f(X) è un insieme limitato in Y. Defmizione Indichiamo con L (X, Y ) l'insieme delle funzioni limitate di X in

si d irà

3.2

17

Spazi metrici e spazi nomuzti

Y. L(X, Y ) è

uno spazio metrico con la distanza [3.1]

d(f,g )= sup dy( f(x),g(x)). x

EX

poi con C(X, Y) l'insieme delle funzioni limitate e continue di X in Y. uno spazio metrico con la distanza [3.1 ). Teorema 3.1 Se Y è completo allora L(X, Y) è completo. Dimostrazione. Sia Un} una successione di Cauchy in L(X, Y ). Per ogni xEX

Indicheremo C(X, Y) è

la successione Un(x ) } è una successione di Cauchy in Y, dato che, per la [3.1),

Siccome Y è completo la successione {fk(x)} convergerà a un punto di Y, che chiameremo f(x) Resta così definita una funzione f: X-+ Y. Facciamo vedere che la successione Un} c onverg e a f in L(X, Y). Poiché {/n} è una successione di Cauchy, per ogni e>O esiste un vEN tale che, per ogni m > v, risulta (fn .!m)< E, e dun­ que, per la [3.1 ],

.

n,

d

dy(fn (x).fm(x))O,

VxEX,

3vER: Vn>v,

dy(fn (x).f(x))v,

e da

Nel primo caso il numero v dipende da e x, mentre nel secondo esso dipende ancora da e, ma non da x. La differenza tra convergenza uniforme e convergenza pun­ tuale consiste appunto nella possibilit à o meno di soddisfare la [ 3 . 3 ] con un v indi­ pendente da x. E' chiaro che la convergenza uniforme implica la puntuale . Il viceversa in generale non è vero, come si può vedere dagli esempi che seguono .

Esempio 3.2

Sia X= [O, l ] , Y= Re sia fk : X-+ Y la funzione fie(x)= xk.

19

Spozi metrici e spozi normJJti

Si ha evidentemente lim fk (x ) =f(x ) =

k -+-

{

0

se

O�x O e si prende k >L Yn/e, i k!' cubi che ricoprono C hanno ognuno diametro minore di e . Ne segue che C, e dunque A , è totalmente limitato. •

Per funzioni continue su insiemi compatti si possono ripetere i ragionamenti fatti nel primo volume (cap. 3, § In particolare si ha

10).

Teorema 6.2 Se X è uno spazio compatto e [ : X-+ Y è continua, allora [ (X) è un insieme compatto in Y. CoroUario 6.2 (teorema di Weierstrass) Se X è uno spazio compatto e f : X-+ R è continua, allora f ha massimo e minimo .

14

Capitolo primo

Vale infine il seguente Teorema 6.3 Se X è uno spazio compatto e f : X-+ Y è continua, allora essa è anche uniformemente con tinua.

Le dimostrazioni di questi teoremi, cos ì come la definizione di funzione uniforme­ mente continua, sono un semplice adattamento di quelle date per funzioni di una variabile , e vengono lasciate per esercizio. Per concludere questo capitolo dimostreremo un risultato che lega la convergenza puntuale e quella uniforme . Sia fn : X -+ R una successione di funzioni continue . Abbiamo già visto che se Un} converge uniformemente a /, allora per ogni x E X la successione numerica {/n (x)} converge a /(x) (cioè la succession., {/n } converge puntualmente a f). ll viceversa in generale non è vero, come abbiamo illustrato nel paragrafo 3 ; si ha però seguente

il

Teorema 6.4 (di Dini) Sia X uno spazio metrico compatto, e sia Un } una succes­ sione di funzioni reali continue in X; supponiamo che per ogni x E X la successione Un (x )} sia decrescente e che {fn } converga puntualmente a una funzione continua f(x). A llora {fn } converge a f uniformemente.

Dimostrazione. Senza ledere la generalità, possiamo supporre f= O e dunque fn ;;;;. O. Per il corollario 6 . 2 , la funzione fn ha massimo in un punto Xn E X. Basterà far vedere che 11/n IL = In (xn ) ha limite O. Per questo osserviamo che , essendo fn (x) ;;;. fn + 1 (x) per ogni x, risulterà anche fn (x n ) ;;;;.fn (X n +d ;;;;.fn +t (Xn +d• e dunque {fn (Xn )} è una

successione decrescente. Se il suo limite non fosse O, esisterebbe un

e0 > O tale che

Poiché X è compatto, dalla successione {xn } si potrà estrarre una successione {xn k } convergente ad un punto x0 E X. Si avrebbe ovviamente fn k (Xn k ) > eo .

Siccome la successione di funzioni {/n } è decrescente, si ha, per ogni h , fn k (Xn k + h ) ;;;;.fnk + h (xn k + h ),

e dunque fn k (xn k +

h ) ";;J. eo .

Se si fa tendere h a 00 e si tiene conto della continuità della funzione fn k , si trova fnk (x o ) ";;J. eo ,

che è palesemente assurdo, perché fn (x0 ) tende a O. •

35

Sptzzi metrici e sptzzi normoti

Esercizi

Dimostrare che la palla unitaria di r: non un insieme compatto. il numeroSe uno spazio metrico e si definisce inf puntoDimostraretalechechese compatto esiste u� punto di minima distanza, cioè un 6. 1

A = {a E r : Il a li D'altra parte, poiché F è continua, si ha F ( x) = lim F(xn ) = lim Xn + l = x, n ----+- oo n -+ oo

cosicché x è un punto fisso per F. Resta da dimostrare che x è l'unico punto unito di F. Per questo , sia F(x ) = x ; si ha

x

tale che

d ( x , x ) = d (F(x ) , F (x )) ..; a d (x , x ). Poich é a
l ). Inoltre la prima non converge n é per x = l né per x = - l ; la seconda converge sia in l che in - l , e la terza converge per x = - 1 e diverge per x = l . • Per il calcolo del raggio di convergenza di una serie si può usare il seguente Teorema 2.2 Data la serie di potenze

[2.4] sia

L = max lim'ZiiOJ" ; , ... ..

[2.5 ]

il numero

r=

{ :� 1 /L

se

L = + oo

se

L =O

se

O < L < + oo

è il raggio di convergenza della serie . un

Dimostrazione . Sia O < L < + oo e sia x E R con l x l < r = 1 /L . Per ogni e > O esiste v E N tale che , per ogni n > v , risulti

� O in modo che sia

l x i (L + e) < l , si ottiene per ogni n > v:

e per i l criterio del confronto l a serie converge.

lxl > r = 1/L , scelto e> O in modo che sia lxi (L -e);;o. l ,

Se invece

si ha per infiniti n E N

e dunque la serie non converge . Più semplice

è

la dimostrazione negli altri casi. Ad esempio se

M> O si avrà, per infiniti n , Se

L = + oo , per ogni

x * O, si pu ò scegliere M = l /lxi e dunque per infmiti n risulter à l an x" 1 ;;.. 1 ,

cosicché la serie non sar à convergente .

ll caso L = O viene lasciato per esercizio . •

Esempio 2. 2 La serie

ha raggio di convergenza r=l/3. Infatti rnax lim

n -+oo

��hn + 3n =

lim

'{hn + 3n = 3.

Inoltre la serie non converge per

x = ± 1 /3 . •

Esempio 2. 3 La serie

.. (x - I) n l: n =O 2 n + 3 converge per x El( l , 2) = ( - l , 3), e converge uniformemente in ogni intervallo chiuso --­

47

Serie e successioni di funzioni

- l + a ...;; x ...;; 3 -a , con a > O. Infatti se si scrive y = x - 1 , la serie

2

ha raggio di convergenza r = 2, e dunque converger à per l y l < , e uniformemente in ogni intervallo l y l ...;; 2 - a . Tornando alla variabile x si ha il risultato enunciato . •

(2.2]

Torniamo ora alla serie di potenze e supponiamo che abbia raggio di conver­ genza r diverso da zero . Nell'intorno /(0, r) resta così definita la funzione �

(2.6]

f(x) = � an X n , n=o

che è continua in /(0 , r). Infatti, se x è un punto di /(0, r), e se t è un numero reale compreso tra lx l ed r, la convergenza sarà uniforme in /(0 , t), e la funzione f sarà continua in /(0, t), e dunque in x . Teorema 2.3

Supponiamo che la serie (2.2] abbia raggio di convergenza r>O, e sia



[2.7]

f(x) =

-

a �• x E /(0, r). n =O n lA funzione f(x) è infinitamente derivabile in 1(0, r) e si ha per ogni intero k f ( k )(x) = I: n (n - l ) ... (n -k + l )an x n - k .

[2.8]

n=k

Dimostrazione. La serie a secondo membro della nale derivando k volte termine a termine.

[2.8] si ottiene da quella origi­

Facciamo vedere che essa ha raggio di convergenza r, ovvero , il che è lo stesso, che ha raggio di convergenza r la serie -

� n (n - 1) ... (n -k + n=k

l)an xn ,

ottenuta dalla [2.8] moltiplicando per il fattore xk . Si ha, ricordando il teorema

2.2,

r- 1 = max lim ViQ,J. • n -+

D'altra parte (si ricordi che k è fi ssa to ) lim

Vn (n - l ) ... (n -k + I ) =

lim vn lim Vn-=1 . . . lim Vn -k + l n -+ • n -+ • n -+ •

=l

48

Capitolo llf!condo

e quindi max lim Vn (n - l ) ... (n - k + l ) lan l = 1 /r. n -+ •

Per la proposizione 1 .2 la funzione [(x) è derivabile k volte in /(0, r) e si ha la [ 2 .8). Poiché k è arbitrario la funzione f (x) sarà derivabile infmite volte in /(0 , r). •

Esempio 2. 4 Si vuole calcolare la somma della serie

La serie geometrica

converge nell'intervallo (- 1 , l ) e ha come somma la funzione (l - x r 1 • Derivando termine a termine si ha

(l - xr 2 =



k=l

kxk - t

e dunque



k= l

kxk =x(l -x)- 2 .



Se si pone x = O nella [2.8) si ottengono le relazioni k! ak =t < k>(o) , cosicché se una serie di potenze converge a una funzione f(x), questa è infmitamente derivabile e la serie data coincide con la serie di Taylor (vedi vol. l , cap. 6 , § 7) della funzione [. Osserviamo che in generale non tutte le funzioni infinitamente derivabili sono sviluppabili in serie ; ad esempio la funzione

f (x) =

{ e- t tx O

2

x =F O x=O

è infinitamente derivabile e si ha

r< k>(o) = o,

k = o,

1 , 2, ...

e quindi l a serie d i Taylor relativa non converge a f (x).

49

Serie e successioni di funzioni

Se si pone, per n = l , 2, . . . ,

si vede che condizione necessaria e sufficien te affinch é la funzione f (x) sia sviluppa­ bile in serie di Taylor nel pun to x è ch e lim R n (x) = O . n -+ • Se si tiene conto della formula d i Lagrange per il resto R n (x) ,

R n (x) =

f ( n + l ) (�) (n + l )!

n x +t'

[ 2 . 1 0]

6,

dove � è un opportuno punto compreso tra O ed x (vedi vol . l , cap . corollario 5 . l ), si ricava facilmente che se f(x) è infinitamente derivabile nell'in tervallo /(0, r) e se esiste una costante M tale che sup l f < n > (x) l "'M n ! r - n ,

1(0 , r)

n = l , 2, . . .

allora f è sviluppabile in serie di Taylor in 1(0, r). Infatti, se l x l < r, si ricava dalla [ 2 . 1 0]

lR n (x ) l "'M ( l x l /r) n + 1 e quindi

lirn R n (x ) = O .

n -+ •

In maniera analoga s i pu ò dimostrare che la disuguaglianza n n l f ( ) (x )l "'M , Vx E J(O , r), n = l , 2, . . . garantisce la sviluppabilità di f (x ) in / (0, r). Terminiamo questo paragrafo riportando gli sviluppi in serie di Taylor di alcune tra le funzioni elementari, con accanto il relativo raggio di convergenza . n ex = � x /n ! , n=O

sin x = � (- 1 f x2 n + 1 /( 2 n + 1 ) ! , n =O -

cos x = � (- 1 f x2 n /(2 n ) ! , n =O

r = + oo ,

[2. 1 1 ]

r = + oo ,

[2. 1 2 ]

r = + oo .

[2. 1 3 ]

50

Ozpitolo secondo ..

( 1 -x)- 1 = � xn , n=O -

(l + x 2 r • = � (- l f x 2 n . n =O

r= l.

[ 2 . 1 4)

r = l,

[2. 1 5)

r= l.

[ 2 . 1 6)

r = l,

[ 2 . 1 7)

r = l.

[2. 1 8)

r = l,

[ 2 . 1 9)

-

ln ( l -x) = - � � /n , n=l

-

arctg x = � (- l f x 2 n + 1 /(2n + 1 ) , n=O

..!. In 2

l +x = � x 2 n + t /(2n + l ) , 1 -x n =o

(l + x )a = dove

(:)



(Q)�.

n =O n

= a(a - 1 ) . . . (a - n + l )/n !

In particolare , prendendo a = 1

/'.jl� � =

n=O

t e scrivendo -

(2n - l )! !

x2 n ,

(2n)! !

x 2 al posto di x :

r= l .

[2.20)

r=l,

[2.2 1 ]

Infine, integrando termine a termine : �

arcsin x = "'

(2n - l )! !

n = O (2 n )! ! (2 n + l )

x2 n + l,

dove si è posto O ! ! = (- l )! ! = l , e (2 n - l )! ! = l · 3 · 5

···

(2 n - l )

(2n )! ! = 2 · 4 · 6 · · · (2 n - 2) 2 n . ·

La formula [2. 1 9] merita qualche parola d i spiegazione. Si vede facilmente con il criterio del rapporto che la serie [2. 1 9 ) converge per lx i < l e non converge per lx i > l . Bisogna far vedere che la somma della serie coin­ cide con la funzione (l + x)a . Se si indica con [(x) la somma della serie si ha, derivando termine a termine

(l + x)['(x) = ( l + x )



n =o

n

()

( )

()

a n l a x k + � n a xn = x - = � (k + l ) k+ 1 n k=O n =o n

51

Serie e succe11sioni di funzioni

Se si pone allora g(x) = (l + x r a f(x) si ha g '(x) = - a(l + x)- a - 1 f(x) + ( l + x)- a f'(x) = O e quindi

g(x) = costante =g(O) = l , cosicché , in deftnitiva

f(x) = (l + x'f .

Esercizi 2. 1 Sviluppare in serie di Taylor le seguenti funzioni : (a)

(b)

(c) (d) (e)

x sin x

xe-x

x -2 (x + In ( l - x))

sinh x = (ex - e - x )/2 cosh x = (ex + e - x )/2

e trovare i raggi di convergenza delle rispettive serie.

2. 2 Si trovi lo sviluppo della funzione

( l + x 2 ) - 1 t2 ,

e integrando tennine a tennine si ricavi quello di In (x

+ v'l + x2 ) .

2. 3 Si trovi il rqgio di convergenza della serie I: an x n , dove an =1 -

(a)

(b) ( c) (d) (e)

(O

(g)

(h)

(i) (I)

n-1

(v; - l )n 1 /ln (n + l ) (n !) 2 /(2n)! ln ln 3 n 1 /( 1

+ a" )

a..r,;

1 / Vn + (- l)n / n

n..r,; (n + Vn )/(2 n 2 - n).

n

è dato qui sotto :

52

Capitolo secondo

2.4 Se le serie l: a n x" e l: b n x" hanno raggio di convergenza r e n =o n=o mente, dire quale sarà il raggio di convergenza della serie �

r'

rispettiva-

l: (an + b n ) x" . n =O �

2. 5 Trovare l a somma delle serie che seguon o : ..

� x2 k - 1/(k - l ) !

k=l

(a)

l: x" + 1/n (n + l ) n =l ..

( b)

k=l

l: ( - l t n x 2n - l . n=l ..

(d)

3 Cenni sulle serie di potenze a termini complessi

Se nella serie esponenziale ex =



k=O

x k /k !

sostituiamo formalmente al posto della variabile x il numero immaginario iy , e sepa­ riamo al secondo membro la parte reale da quella immaginaria, otteniamo eiY =

e dunque



k=o

(iy t fk ! =



n=o

eiY = cosy + i siny .

( - 1 )" y 2 " /( 2 n ) ! + i



h =o

( - l )h y 2 h + 1 /(2h + 1 ) ! ,

[ 3 .l ]

Abbiamo trovato così la formula di Eulero (vedi vol. l , cap . l , § 8), una relazione per molti versi insospettata tra le funzioni esponenziali e trigonometriche. Viene al­ lora naturale la ricerca di altre relazioni di questo tipo , e quindi lo studio delle serie di potenze a termini complessi l: C n Z " , n =O ..

C n , Z E C.

[ 3 .2 ]

Non ci addentreremo qui nello studio delle serie [ 3 .2] ; ci basterà dare il seguente Teorema 3 . 1 La serie [ 3 .2 ] converge per z = 0; inoltre, se converge per un numero complesso z 0 =F O , converge per tutti i numeri complessi z , con i z i < l z 0 1 . Infine, se si

53

Serie e mccessioni di funzioni

pone L = max lim VfcJ" , n --

la serie converge l z l < 1 /L, e non converge per l z l > 1 /L .

La dimostrazione di questo teorema è identica a quella dei teoremi 2 . 1 e 2 . 2 e viene lasciata per esercizio.

4 Funzioni periodiche Una funzione [(x) definita in R si dice periodica di periodo T se per ogni x E R si ha [4 . 1 ]

[(x + T) = [(x).

E' chiaro che una funzione periodica di periodo T avrà anche periodo 2 T, 3 T ecc. , come d'altra parte potrebbe avere un periodo più piccolo , ad esempio T/3 . A volte quando si parla di periodo di una funzione si intende il più piccolo periodo posit ivo . Una funzione periodica [(x) sarà completamente nota una volta che sia cono­ sciuta in un intervallo [a , a ..f- T), di ampiezza T; viceversa ogni funzione definita in [a , a + T) potrà essere prolungata a una funzione periodica , di periodo T, che indiche­ remo con [ # . E' evidente che , anche nel caso #che la funzione f sia -regolare , non si potrà sup­ porre che la funzione prolungata [ sia continua ; in generale, vi sarà un salto nei punti a, a ± T, a ± 2 T ecc . , di ampiezza

s = lim [(x) -

x - a•

lim

x -+( a + T)-

[(x).

Ad esempio se [(x) è la restrizione all'intervallo [ - 7r , 1T ) della funzione x, il grafico di [ #(x) sarà quello in figura 2 . 1 . Una funzione siffatta è regolare a tratti (vedi vol. cap . 4, § 1 0). Ricordiamo che una funzione [(x) si dirà continua a tratti in un intervallo [a , b) se è continua in [a, b) tranne al più in un numero finito di punti � � o � 2 , �N. nei quali esistono finiti i limiti destro e sinistro :

l,

• ••

{ [(�; + O) = limJ (x) x - t; f(�; - 0) = 1im [(x) x - ti

i = 1 , 2 , . . . , N.

,

[4 .2 ]

Una funzione continua a tratti si dirà poi regolare a tratti in [a, b) se ha derivata con­ tinua eccetto che nei punti � 1 , � 2 , , �N. ed eventualmente in altri punti 11 � o 17 2 , , 11k . sempre in numero finito, e se [(x) è limitata. • • •

•••

54

Capitolo secondo y

.,

Figura 2. 1

Infine una funzione definita in R si dirà regolare a tratti (continua a tratti) se è regolare a tratti (continua a tratti) in ogni intervallo [a , b) C R . Una funzione continua a tratti è integrabile in ogni intervallo (vedi vol. l , cap. 4, teorema 4 .2 ) ; se poi f(x) è periodica di periodo T, si ha a+T

J

a

T

J

[4.3)

/(t) d t = /(t) d t o

per ogni numero reale a. Infatti a+T

f

a

T

a+T

o

T

f

f(t) d t = f(t) dt +

f

a

f

f(t) dt - f(t) dt o

e con la sostituzione t =x + T il secondo integrale si cancella con il terzo . Le più semplici funzioni periodiche sono 2 7T . 2 7T a cos y (x - �). a sm y (x - �).

[4.4)

Il numero positivo a si chiama ampiezza dell'oscillazione, e rappresenta il massimo della funzione; il numero 2 1T (x - n/ T è la fase, mentre 2 7T �/T è lo spostamento di

fase. Infine il numero w = 2 7T/ T si chiama pulsazione dell'oscillazione, e v= l / T è la frequenza. A volte si useranno anche le funzioni periodiche complesse :

[4.5) dove A è un numero complesso (A =ae- i w t ); l e funzioni [4.4) non sono altro che la parte reale e la parte immaginaria della [4.5). La grandezza A

=ae...:i wt

55

Serie e successioni di funzioni

che contiene sia l'ampiezza che lo spostamento di fase si chiama ampiezza complessa della vibrazione. Funzioni periodiche più generali sono le combinazioni lineari del tipo Sn (x) =a0/2 +

n

l: (ak

k=l

cos k wx + bk sin k wx)

di periodo T= 2 rr/w. Poiché la funzione Sn contiene 2 n + l costanti arbitrarie, potremo pensare di approssimare con combinazioni lineari di questo tipo delle funzioni periodiche arbitrarie (vedi fig. 2. 2). Abbiamo riportato tre approssimazioni della funzione f # (x) (il cui grafico è dise­ gnato in fig. 2 . 1 ) mediante combinazioni lineari di seni, nell'intervallo (0, 2 rr): la x ; quella a tratti e punti linea continua si riferisce alla combinazione 2 sin x -

{.

3x }

{

.

sin; . } {

sin 2x sin sin 2x sin 3 x alla 2 s m x - --- + --3- ; quella a tratt1 alla 2 sm x - --- + --3- 2 2 _ sin 4x . 4 Il lettore avrà notato come la terminologia in uso nella teoria delle funzioni perio­ diche sia derivata dall'acustica e più ancora dalla radiotecnica . Il seguente esempio mostra un'applicazione alla teoria dei circuiti elettrici.

}

y

Figura 2.2

56

Capitolo secondo

Esempio 4. 1 Supponiamo di avere un circuito elettrico come quello disegnato (vedi ftg. 2 .3) composto di una resistenza R , di un'induttanza L , e di una forza elettromotrice V. Se V non dipende dal tempo t, la corrente che circola nel circuito avrà intensità I= V/R , come vuole la legge di Ohm. Supponiamo invece di avere una forza elettromotrice che dipende dal tempo ; in questo caso anche I dipenderà dal tempo e si avrà la legge di Ohm generalizzata

d/ V(t) - L - =R I dt

[4.6)

.

Il caso più semplice si ha se V(t) è una funzione sinusoidale (come accade ad esempio con le correnti alternate), di ampiezza a e pulsazione w. Scriveremo V(t) =a tf w t

e cercheremo una corrente con la stessa pulsazione della forza elettromotrice esterna : I(t) = A tf w t .

Si ha

e quindi A=

a

R + i wL '

La quantità W = R + i wL si chiama resistenza complessa del circuito ; essa dipende da w e tende a R quando w tende a zero.

R

v

-

Figura 2.3

L

57

Serie e successioni di funzioni

Scrivendo W = w ei6 , con

e wL tg o = ­ R ' otteniamo per la corrente l'espressione

Il significato d a dare a questa soluzione è il seguente : data una forza elettromo­ trice VR = a cos wt, uguale alla parte reale di V, la corrente che percorre il circuito sarà pari alla parte reale di I : a IR = - cos(w t - o ) , w

t

mentre a una forza elett romotrice a sin w corrisppnderà una corrente .E.. sin (w t - o ).

w

E' da notare che l'uso di notazioni complesse non solo ha permesso di trovare con­ temporaneamente que ste due soluzioni, ma ha anche portato un notevole snellimento dei calcoli. Osserviamo infine che la presenza dell'induttanza L provoca uno spostamento di fase o ; in altre parole, la corrente I raggiunge il massimo (e il minimo) non contempo­ raneamente alla tensione , ma a un tempo posteriore di o / w . •

Esercizi 4. 1 Dimostrare che se f(x) ha periodo T e g(x) ha periodo S, con T/S razionale , all ora la funzione f(x) + g(x ) è periodica. Trovarne il periodo. 4 . 2 Dimostrare che se

la funzione f(x) ha periodi S e T ha anche periodi

l kS + m TI con k, m = O, ± l , ± 2, . . . . * 4 . 3 Dimostrare che se una funzione continua ha periodi S e T di cui uno razionale e uno irrazionale, allora è costante.

58

Capitolo secondo

S Sviluppi in serie di Fourier

Vogliamo ora studiare la possibilità di approssimare una funzione periodica f(x), che supporremo per semplicità di periodo 211', per mezzo delle somme trigono­ metriche n a0 2 + l: (ak cos kx + bk sin kx ) Sn (x) = k=l

,

o meglio di sviluppare la funzione f(x) in serie di Fourier: ao f(x) = - + l: (ak cos kx + bk sin kx). 2 k= l

[5. 1 ]

I coefficienti ak e bk dipenderanno evidentemente dalla funzione f(x) in esame. Supponiamo per un momento che la serie a secondo membro converga uniforme­ mente alla funzione f(x); moltiplichiamo ambo i membri della [5. 1 ] per cos mx e integriamo tra -11' e 11' (o,. il che è equivalente , tra a e a + 211' ). Se si osserva che si può integrare termine a termine (vedi proposizione 1 .1) e si ricordano le relazioni

"

J cos kx cos m x dx = {o11'

- 7f

se

m =F k

se

m = k =F O

7f

J cos kx sin m x dx = O

"

[5.2]

- 7f

J sin kx sin mx dx = {o11'

- 7f

se

m =F k

se

m = k =F O

si ottiene immediatamente

l

am = ;

J f (x) cos m x dx , 7f

[5 .3]

- 7r

che vale anche per m = O in virtù del fattore gamente, moltiplicando ambo i membri della bm =

.; J f(x) sin m x dx . 7f

- fr

I coefficienti ak e bk si chiamano Si hanno i seguenti risultati.

l /2 che nella [5 . l ] moltiplica a 0 • Analo­ [5. 1 ] per sin mx e integrando, [5.4]

coefficienti di Fourier relativi alla funzione f(x).

Serie e successioni di funzioni

59

Teorema 5.1 Sia f(x) una funzione periodica di periodo 21T e regolare a tratti; ùz serie di Fourier della

[.

ao

2

+ � (ak cos kx + b k sin kx), k= l

[5 . 5 ]

converge a f(x) nei punti in cui f è continua. Inoltre in u n punto x0 d i discontinuità ùz serie [5 .5 ] converge alùz media dei limiti sinistro e destro:

Osservazione. Nei punti x in cui la f è continua si ha evidentemente

l

2 (f(x - 0 ) + f(x + O)) =f(x). Così se cambiamo il valore della f(x) nei punti di discontinuità, ponendo in tali punti l f(x) = 2 (f(x - 0) + f(x + O)),

[5 . 6 ]

la serie di Fourier [ 5 .5 ] convergerà puntualmente alla funzione f così modificata. • Teorema 5.2 Se ùz funzione f(x) è continua in R e regoùzre a tratti, ùz serie [5 .5 ] converge totalmente, e quindi uniformemente, alla funzione f(x ).

Infine si ha il Teorema 5.3 Se f(x) è regoùzre a tratti ùz serie [5 . 5] converge uniformemente in ogni intervallo chiuso [a, b ] in cui ùz funzione f(x) è continua .

La dimostrazione di questi teoremi verrà data nel prossimo paragrafo ; in questo discuteremo alcuni esempi.

Esempio 5. 1 Una funzione f(x) si dice fXlri se per ogni x E R f ( -x) =f(x).

Se invece risulta f ( -x ) = -f(x)

la fun zione f(x) si dice disfXlri.

60

Copitolo secondo

E' immediato verificare che il prodotto di due funzioni pari, così come quello di due funzioni dispari, è una funzione pari, mentre il prodotto di una funzione pari per una dispari è dispari. Inoltre , se g(x) è una funzione dispari, il suo integrale tra - 7r e 1r è nullo . Ciò premesso , se f (x) è una funzione pari, le funzioni f (x) sin kx sono dispari, e dunque

l

bk = -:;

1r

J f(x) sin kx d.x = O ,

- fr

cosicché una funzione pari si sviluppa in serie di soli coseni; analogamente una fun­ �ione dispari si sviluppa in serie di soli seni. •

Esempio 5.2

funzione f #(x), estensione periodica della restrizione della funzione x all'inter­ vallo [ - 1T, 1r) (vedi fig. 2 . 1 ), è dispari . Si ha La

l

bk = ;

J

1r

- fr

J

2 1r x sin kx dx = ; x sin kx dx, o

da cui, integrando per parti,

Si ha dunque, per -7r < x < 1r ,

..

(- l)k+ l

k=l

k

x = f # (x) = 2 :r

sin kx,

[ 5 .7)

mentre per x = 1r la serie a secondo membro converge a

figura 2.2 illustra le prime somme parziali della serie [5 .7]. Se ora � è un punto fissato tra - 7r e 1T e se scriviamo x - � invece di x nella [5 . 7 ] otteniamo La

.. (- l )k + l k=l k

f # (x - �) = 2 �

sin k (x - E),

[5 .8)

e, tenendo conto delle formule di addizione , sin (a - b ) = sin a cos b - cosa sin b , si ottiene per la funzione f # (x - �) lo sviluppo in serie di Fourier con coefficienti :

(- l t a0 = 0 , ak = 2 -k- sm. k � .

bk = 2

(- l f + l k

cos k � .



[5 .9)

61

Serie e succe11ioni di funzioni

Esempio 5. 3 Se si prolunga periodicamente la restrizione della funzione x 2 all'intervallo [ - rr, rr ) si ottiene una funzione g(x) pari che si sviluppa in serie di soli coseni :

U m sono so­ luzioni dell'equazione, e dunque, per l'osservazione 2 .2 , nessun'altra soluzione potrà assumere i valori U t . . . . , U m che fanno annullare la funzione h (u). •••

••• ,

Esercizi 2.1 Dimostrare che le funzioni

U11(t) =

{ (tO - a)3

se se

t u 2 , , u k - t . f(t , u o , u 1 , . .. , uk - 1 )). Se l'equazione originale era lineare, il sistema ottenuto sarà anch'esso lineare , cioè del tipo •••

U' =A (t) U + B (t) ,

_

(

• ••

[5 . 1 0]

dove A è una matrice k X k e B è un vettore k-dirnensionale . Se K è un compatto contenuto nell'intervallo di defmizione dei coefficienti, esi­ stono due costanti P e Q tali che

IA (t) U + B (t)I E;; Q I U I + P,

'Vt E K

e quindi è possibile applicare il teorema 3.4 e concludere che ogni soluzione si può prolungare su tutto l. Nel seguito considereremo sempre soluzioni definite in J.

107

Equozioni differenzio/i

Si ha il seguente risultato : Teorema S. l L 'insieme "Yo delle soluzioni dell 'equazione lineare omogenea di

ordine k: E(w) = O

è uno spazio vettoriale di dimensione k.

Dimostrazione. Che "Yo sia uno spazio vettoriale segue immediatamente dalla se u e v appartengono a 1';; , cioè se E(u) =E(v) = O , si ha per la [5 .3 ) E(Xu + IJV ) = O e dunque 7\u + IJV e 't';; . [5 .3 ). Infatti

Per dimostrare che 1';; ha dimensione k dovremo far vedere che : (a) esistono k elementi di 1';; linearmente indipendenti ; (b) ogni altro vettore di 't;; si può scrivere come combinazione lineare di questi. (a) Si considerino i k problemi di Cauchy :

(co )

E(u) = O

E(u) = O

E(u) = O

u (to) = l

u (t0 ) = 0

u (t0 ) = 0

u'(t o ) = O

(e t )

u .. + 2 e ha radici À1 = l e À:z = 2. Pertanto la [6.6] si può scrivere (D - 1 ) (0 - 2)u = 0, o anche, tenuto conto della [ 6.5 ], (0 - 2) (0 - 1 ) u = O. Ricordando che la funzione e4' è soluzione dell'equazione (D -a) u = O,

[6.7] [6.8]

si vede facilmente che le funzioni

u2 (t) = e2 1 sono soluzioni dell'equazione [6.6). Infatti, usando la forma [6.8] si trova (D - 2) (0 - 1 ) e' = (D - 2) 0 = 0 e analogamente, usando la [ 6. 7], (D - 1) (D - 2) e:z t = (0 - 1 ) 0 =0. u 1 (t) = e1

e

Poiché u 1 ed u2 sono linearmente indipendenti (vedi cap . l , esercizio 4.4), la solu­ zione generale dell'equazione [6.6] è data da

u(t) =c1 e' + c2 e:zt.



Il metodo illustrato nell'esempio precedente può essere usato per la risoluzione dell'equazione generale [ 6.2 ]. Supponiamo che il polinomio P(À) associato abbia radici À1 , À:z , , Àk . L'equazione [ 6.2] si può allora scrivere nella forma • ••

[6.9] E' immediato riconoscere che l e funzioni i'1 ' ,

e �' . ... , e ""'

[6.10)

112

Capitolo terzo

sono soluzioni dell'equazione (6.9 ) . Ad esempio per la prima di queste funzioni ba­ sterà scrivere la (6.9) nella forma equivalente

Se i numeri À; sono tutti distinti, le funzioni [ 6 . 1 O) sono linearmente indipendenti e la soluzione generale dell'equazione [6. 2 ) è [6 . 1 1 J Bisogna osservare che se il polinomio P(X) ha delle radici complesse, la (6. 1 1 ] con­ terrà delle funzioni complesse . D'altra parte, se il numero complesso À = a + i/3 è una radice di P()..) , lo sarà anche il numero X = a - i {j (infatti P(X) ha coefficienti reali). Al­ lora , dato che le funzioni

e"t = lJtt (cos {jt + i sin {jt) e"' = e01 ' (cos {jt - i sin {jt)

[6. 1 2 ]

sono soluzioni dell'equazione differenziale , saranno soluzioni anche le funzioni

(e"' + e"' )12 = l� ' cos {j t, (e"' - e"1 )/2 i = e011 sin {jt.

[6 . 1 3 ]

Si potrà dunque sostituire alla coppia di funzioni complesse e" t ed e" t la coppia di fun1ioni reali ( 6 . 1 3 ). Procedendo in questo modo si ottiene una soluzione in ter­ mini di sole funzioni reali.

Esempio 6. 2 Consideriamo l'equazione di un circuito elettrico oscillante

L u" + R u' +Ku = O . Il polinomio associato è

P(X) = L X2 + R X2 + K e ha radici

_ (-R + VR 2 - 4LK ) Xl 2L _ (-R - VR 2 - 4LK ) 2L

">.. 2 -

Si hanno tre casi :

(l)

R 2 - 4 LK > O. Le due radici sono reali e negative e la soluzione generale è u (t) = c1 e"� ' + c2 e"2 ' .

113

Equazioni differenziali

(2) R 2 - 4LK < O. Le radici :\ 1 e :\2 sono complesse e coniugate ; se si pone

le funzioni

e w1 • Nel punto w1 c'è dunque un massimo , con valore

a(w1 ) = _!_ ,V/-K R

L

-� . 2

(7.7]

4L

I l valore a( w 1 ) è tanto maggiore quanto più piccola è la resistenza R ; è questo il fenomeno della risonanza , che diventa sempre più pronunciato quanto più piccola è la resistenza. La risonanza cessa non appena si ha 2KL -R2 O. Sia il più piccolo dei valori po sitivi per cui ciò avviene : =inf {t> O : S'(t) =O}. fJ

fJ

126

Capitolo terzo

Per la continuità di S' si ha ovviamente 9 > O, S' ( 9 ) = O, e S' (t) > O per O :E;;; t < 9 . Ne segue che S (t) è crescente in [0, 9 ] e che S(9) = l . Consideriamo ora la funzione

w(t) =S(t + 9 ). Risulta

w" + w =O e

w(O ) = S (9) = 1 w'(O ) =S'(9 ) = 0 co sicché (sempre per l'unicità della soluzione del problema di Cauchy)

w(t) =S(t + 9 ) = C(t). Dalla

[8.6]

[8.6] segue subito che [8.7]

C( t + 9 ) = S '(t + 9) =C'(t) = -S(t). Allora

[8.8] S(t + 49) = C(t + 3 9 ) = -S(t + 2 9) = - C(t + 9 ) =S(t), cosicché S è periodica di periodo 4 9 . Lo stesso risultato vale anche per C(t ). • Resta da calcolare il valore di 8 . Per questo si osservi che S(t) è crescente in [0, 9 ) , dunque la restrizione a tale intervallo è invertibile . Sia A (x) la funzione inversa; si ha

(x =S(t)) 1 - = _1_ = l , A ' (x) = S , (t) C(t) � e quindi, integrando tra

9 =A (l ) =

l

f

O e l,

dx

o�

.

Per valutare quest'ultimo integrale si osservi che l'integrale l

f�

dx

o

rappresenta l'area del quadrante del cerchio di raggio

l , e dunque vale TT/4. Integrando

127

Equazioni differenziali

per parti, l

J�

l0 Jl x I o� Jl � Jl

d x = x V 1 -x 2

. r--=

o

=-

2

+

dx +

o

da cui segue imme diatamente

() = rr/2 .

dx =

dx

o�

,

Esercizi 8.1 Dim o strar e che S ( - t ) = - S ( t ) e che C ( - t ) = C ( t ) . 8.2 Dim ostrare che per ogni t e T, risulta S ( t + T) = S ( t ) C ( T) + S ( T ) C ( t ) . (Per T fissato , s i consideri il problema di Cauchy p e r l a funzione w ( t) = S ( t + T ) . )

8.3 Dim ostrare che C ( t + T ) = C( t ) C ( T ) - S ( t ) S ( T) .

*8.4 Dimostrare che 4 (}

=

2 rr è il m inimo periodo delle funzioni S e C.

*9 Cenni sul calcolo delle variazioni

Supponiamo che una persona debba andare in auto da una città A a una città B L chilometri, e che partendo da A al tempo t 0 debba essere in B al tempo t 1 . Supponiamo che il consumo dell'automobile sia proporzionale al quadrato della velocità. Ci chiediamo : come si deve regolare la velocità in modo da rendere minima la spesa? Il problema può essere formalizzato come segue . Indichiamo con u(t) la distanza percorsa al tempo t; si dovrà avere ovviamente che dista

{ u (t0) = 0

[9. 1 )

u (t1) =L .

La velocità al tempo

t sarà

data dalla derivata u' (t); occorrerà dunque scegliere la funzione u (t) soddisfa-çente le [9. 1 ] in modo tale che l'integrale

sia il più piccolo possibile .

128

Capitolo terzo

Più in generale , si può supporre che il consumo dipenda, oltre che dalla velocità, anche dal tempo t (ad esempio nelle ore più calde la macchina consuma di più) e dalla posizione u (ci possono essere dei tratti in salita o in discesa), cosicché in defmitiva si tratterà di minimizzare un integrale del tipo

J

ti

f(t, u (t), u ' (t)) d t

[9.2)

to

tra tutte le funzioni u (t ) verificanti le [9. 1 ] , /(t , u , p) essendo una funzione assegnata, di classe C2 nei suoi argomenti. Si tratta dunque di un problema di minimo , ma di un problema sui generis, dato che si deve minimizzare non una funzione di una variabile, come precedentemente studiato (vedi vol . l , cap . 4, § 8 e cap . 6, § 2) né di più variabili reali (argomento che affronteremo in seguito), ma una quantità in cui la variabile è essa stessa una funzione . Più precisamente, ponendo

e, per ogni u E X, §(u) =

J

ti

f(t , u (t), u ' (t)) d t,

[9.3)

to

si definisce un funzionale § : X -. R , di cui si vuoi trovare il minimo al variare di u in X. Non ci occuperemo del problema di determinare sotto quali condizioni per la fun­ zione f tale minimo esista ; cercheremo invece di assegnare le condizioni necessarie perché una funzione u (t ) rninimizzi il funzionale §. Supponiamo dunque che u (t ) renda minimo § nella classe X, e sia '/� (t ) una funzione di classe C 1 nell'intervallo [t0 , t d, che si annulla sia in t0 che in t1 • Per ogni À E R , la funzione u + À 'IJ appartiene a X, e poiché § ha un minimo in u , l a funzione d i 'A

avrà un minimo per 'A = O ; in particolare si dovrà avere G ' (O) = O . Ora risulta ti

G ( 'A) = §(u + À'IJ) = J f(t , u + 'A. 'IJ , u ' + 'A'/I' ) d t, to

e, derivando rispetto a 'A, G ' ( 'A.) =

J

ti

to

Uu (t, u + 'A. 'IJ, u ' + 'A'/1' ) '/I + [p (t , u + 'A. 'IJ, u ' + À 'IJ 1 ) '1J' } d t ,

dove si sono indicate con fu e {p le derivate di f rispetto alla seconda e alla terza va­ riabile . Ponendo À = O, si ha il seguente

129

Eq1111zioni differenzio/i

Teorema 9. 1 u è che risulti

Condizione necessaria affinché il funzionale �abbia un minimo in

i {fu (t, u, u ' ) l{l +fp (t, u, u ') l{l'} dt = O t,

[9.4]

to

per ogni I{I E C 1 ( [t_o-, t t )), con l{l(t0 ) =1{1(t1) =0. Se poi la funzione u (t ) che rende minimo � è d i classe C2 , si può dimostrare il seguente Teorema 9 .2 (di Eulero) Sia u (t) una funzione di classe C 2 , che minimizza il fun­ zionale .�· per ogni t E (t 0 , t 1 ), risulta allora

d dt

fp (t, u (t), u '(t)) =fu (t, u (t), u '(t)).

[9.5]

Dimostrazione. Se 1{1 si annulla in t0 e t1 si ha, integrando per parti, �



to

to

J fp (t, u, u ') l{l' dt = - j l{l d( fp (t, u, u ' ) dt, Jt, { dtd fp (t,

d

e dunque , per il teorema 9 . 1 risulterà u,

}

u ' ) -fu (t, u, u ') l{l dt = O

to

per ogni '{l E C 1 ([t0 , t 1 ]), con l{l(t0) = l{l(tJ) = O. Detta g(t ) l a quantità tra parentesi graffe, i l teorema sarà dimostrato s e faremo vedere che g = O in [t0 , t t ]. La funzione g (t ) è continua , e risulta

J g(t) l{l(t) dt = O t,

[9.6]

to

per ogni I{I E C 1 ([t0 , t t ]), con l{l(t0) = 1{1(tt) = O. Supponiamo per assurdo che sia g (t) > O per qualche tE(t 0 , t t). Essendo g continua, esisterà un intorno I(t , R) di t, tale che che g > O in /. Sia l{l(t) una funzione non negativa e di classe C 1 ([t0 , t d ), che si annulla fuori di I(i, R ) . 1 Per tale 1{1 risulta

i

t1 to

g(t) l{l(t) d t =

t+ R

J

t- R

in contraddizione con la

g(t) l{l(t) dt > O

[9.6].

1 A d esempio si puo prendere

i t - t i ;;. R

i t -t i < R .

1 30

Capitolo terzo

In maniera analoga si esclude che sia g(t) < O per qualche t , cosicché g(t ) = O e la [9.5 ] è dimostrata . • La [ 9 .5 ] prende il nome di equazione di Eulero relativa al funzionale !F. Eseguendo la derivata a primo membro , si ricava

fpp (t, u, u') u " + fpu (t, u, u') u' + fp1(t, u , u') =fu (t, u , u'). Se poi risulta fpp =#= 0, si può dividere per fpp (t, u, u ') ottenendo un'equazione del tipo u " =g(t, u, u'),

[9.7]

cioè un'equazione del secondo ordine in forma normale . E' evidente che l'equazione di Eulero [9.5 ] è soltanto una condizione necessaria affinché la funzione u (t) renda minimo il funzionale ff; essa corrisponde all'annul­ larsi della derivata prima per i massimi e i minimi delle funzioni di una variabile . In generale , la [9.5] (o la [9.4] a essa equivalente) non sono sufficienti a garantire che u renda minimo il funzionale ff. Ad esempio , alla stessa equazione si perverrebbe nell'ipotesi che ff(u) sia massimo . Un caso in cui la [9 .4] è sufficiente si ha quando il funzionale ffè convesso , cioè quando per ogni v, w E X e per ogni À, O � À � l , risulta [9.8] Sia infatti u (t) una funzione di X verificante la [9.4], e sia v un'altra funzione di X; bisognerà dimostrare che ff(u) � ff( v). Per questo osserviamo dapprima che , se u e v appartengono a X, la loro differenza 111 = v - u è di classe C 1 , e verifica le condi­ zioni �P {t0 ) = �P(t 1 ) = 0. Dalla [9.8], con u al posto di w , si ha allora

�(u + À IP) � À ff{v) + {l - À) ji{u),

111 = v - u ,

e, posto G (À) = ff (u + À IP),

Da quest'ultima relazione segue

G ( l );;;a. G (O) +

_��_...... ..:. ..:..

G ( À) - G (O) À

e, passando al limite per À -+ O, G ( I ) > G (O) + G ' (O). D'altra parte, la [9.4] non è altro che la relazione G ' (O) = O, e dunque risulta G{l );;;a.

;;;a. G (O), e cioè

�(v) ;;;a. �(u), 'tJv E X.

Equazioni differenzio/i

1 31

Esempio 9. 1 Il problema da cui siamo partiti consisteva nel minimizzare l'integrale

J

t1

fi'(u) = (u')2 d t to

nella classe X. L'equazione di Eulero per questo funzionale è

2u" =O, da cui

u (t) =a: t + �. a: e � devono essere determinate imponendo le (9 . 1 ] ; si ha in definitiva

Le costanti

u (t) =L

t - t0 t 1 - to

--

.

In conclusione, il minor consumo si ottiene andando a velocità costante

- t o ). •

L/(t 1 -

Osservazione 9. 1 . L'equazione di Eulero del funzionale (9 . 2 ] è sempre una equa­ zione del secondo ordine ; di essa occorre trovare una soluzione che verifichi le condi­ zioni (9 . 1 ], o più in generale le condizioni u(t 0 ) = u 0 , u (t t ) =u t .

Il problema che si pone naturalmente in questo caso non è dunque un problema di Cauchy (che per un'equazione del secondo ordine si riduce ad assegnare i valori della funzione e della sua derivata prima in un punto dato), ma consiste nel prescrivere i valori della funzione agli estremi dell'intervallo in considerazione. Questo problema è più complicato di quello di Cauchy, e non sarà possibile, in questa sede, neanche accennare alle questioni che ad esso si ricollegano. Basterà dire che non sempre ha soluzione ; e quando una soluzione esiste, in generale non è unica, come si vede dal seguente

Esempio 9. 2 Il problema

{ u" + u = O

u(O) = u (1r) = O

ha infinite soluzioni :

u =A sin t, A E R .

1 32

Capitolo terzo

{ u" + u = sin t

D'altra parte , il problema

u (O) =u (1r) = O

non ha soluzioni. Infatti se u (t) fosse una soluzione, moltiplicando per sin t ambo i membri dell'equazione e integrando tra O e 1T si otterrebbe

J sin2 1r

o

1r

t d t = r u" sin t d t +



1r

J u sin t d t.

o

D'altra parte, integrando due volte per parti e ricordando che ottiene

j u" 1r

o

sin t d t = -

Ju .,

o

u(O)=u(1r) =O, si

sin t d t.

Dovrebbe dunque essere



1r

o

sin2 t d t = O,

mentre l'integrale a primo membro vale 1T/ 2 . • Esercizi 9. 1 Calcolare il minimo dei seguenti funzionali: l

)

(u ' 2 + 2 tu) d t ,

o

l

j (u ' 2 - 2 t u u ' + e' u)

d t,

o

con le condizioni u (O) = u ( l ) = O.

Notizie storiche

Il problema dell'integrazione di equazioni differenziali si presenta fin dall'inizio del calcolo sotto la veste di "problema inverso delle tangenti" . Si tratta , in breve, di trovare una curva quando sia data una relazione tra la tangente e le coordinate, che nei casi più semplici si scrive analiticamente nella forma

dy dX =f(x , y ).

Il primo problema di questo tipo fu posto da Florimond De Beaune e risolto da Descartes (ovviamente senza usare il calcolo differenziale) : si tratta di trovare una curva la cui sottotangente abbia un valore costante. Ricordando che la sottotangente a una curva y =y (x) è la quantità y/y ' , tale pro­ blema conduce a un'equazione del tipo y ' = ay, che ha come soluzione y =A tf x .

1 33

EqUilzioni differenzillli

n problema inverso delle tangenti si afferma subito come il problema principale del nuovo calcolo ; anche perché a equazioni differenziali si riconducono la maggior parte dei problemi geometrici e fisici del tempo, in particolare le questioni di mecca­ nica . Basterà a questo proposito citare il famoso problema della curva brachistocrona, cioè della curva che congiunge due punti A e B posti su un piano verticale (vedi fig. 3 . 7) e tale che un grave , cadendo lungo di essa, vada da A e B nel minor tempo possibile. (Tale curva non è, come si potrebbe pensare, segmento AB, ma parte di una curva detta cicloide (vedi cap . 7, esercizio 2 . 1 (h)) ; sarà preferibile infatti che il grave si muova all'inizio verticalmente, in modo da acquistare subito velocità.) Il problema non era nuovo , e già Galileo lo aveva studiato a lungo senza riuscire a risolverlo , ed aveva congetturato che la curva fosse un arco di cerchio . Nel 1 696 venne riproposto da Giovanni Bernoulli sotto forma di sfida ai matematici; la soluzione venne trovata infme da Newton, da Leibniz e dallo stesso Bernoulli, che inaugura così il calcolo delle variazioni. Un secondo problema, anch'esso risalente a Galileo , che conduce a un'equazione differenziale, è quello della catenaria , cioè della posizione d'equilibrio di una catenella pesante , sospesa agli estremi. Anche questo problema viene risolto da Leibniz, dai Bernoulli e dal marchese de l'Hòpital per mezzo del calcolo differenziale ; e Leibniz, abile divulgatore, se ne serve per diffondere il calcolo e renderne note le possibilità. L'affermarsi, nel corso del diciottesimo secolo , della meccanica newtoniana, in particolare della seconda legge del moto che lega la forza all'accelerazione riducendo la determinazione del moto di un corpo alla risoluzione di un sistema di equazioni differenziali, pone queste ultime in una posizione dominante, non solo come pro­ blema matematico , ma anche e soprattutto come mezzo di indagine fisica. Lo stesso Newton, con un geniale uso combinato del calcolo differenziale e degli sviluppi in serie, aveva portato la teoria delle equazioni differenziali a un grado di compiutezza destinato a rimanere insuperato per molto tempo. Il metodo di Newton è contenuto nel suo A Treatise o[ the Method o[ Fluxions and Infinite Series, pubbli­ cato postumo nel 1 73 7 . In primo luogo , data un'equazione differenziale

u ' =[(t, u),

[l ]

egli sviluppa in serie la funzione [(t, u) ordinando lo sviluppo secondo le potenze ascendenti

u ' =a + b t + cu + d t2 + etu +[u 2 + · , ..

A

Figura 3.7

8

1 34

Capitolo terzo

dopodiché cerca una soluzione u (t) nella forma di una serie di potenze:

u (t) =a1 t + a2 t2 + a 3 t 3 + ··· (si noti che nel far ciò si è supposto u (O) = O ; se u (O) = L , si porrà w =u -L e si risol­ verà l'equazione corrispondente per w ) . La determinazione dei coefficienti a , a2 , è ora immediata; basterà sostituire 1 l'espressione della u nell'equazione differenziale sviluppata ed eguagliare i coefficienti delle potenze omologhe. In particolare , si ha ••.

a1 =a, a2 = 2l (b +ac); . . . I l problema inverso delle tangenti è così completamente risolto , o meglio ricon­ dotto agli sviluppi in serie . La soluzione è data però non in forma esplicita, ma attra­ verso una serie i cui coefficienti possono essere calcolati uno dopo l'altro . Non sembra che in Inghilterra si siano avuti risultati di rilievo, al di là di questi di Newton, nel diciottesimo secolo ; in ogni caso , come abbiamo già rilevato , l'influenza dei metodi newtoniani era così forte da impedire un'elaborazione alternativa. Diversamente si presenta la situazione sul continente. Qui gli sviluppi in serie, ben­ ché studiati e conosciuti, non hanno un ruolo preminente ; in mancanza di una tratta­ zione generale e completa si studiano quindi classi particolari di equazioni con il proposito di ricondurre la loro soluzione alle quadrature, cioè al calcolo di alcuni integrali. Si tratta di uno dei problemi più interessanti del calcolo differenziale , che nel caso generale è tuttora aperto. Si assiste così in primo luogo alla soluzione delle equazioni a variabili separabili, e poi a tutta una serie di studi miranti a ricondurre a queste ultime (mediante opportune trasformazioni) classi sempre più vaste di equazioni. Un tipico esempio è costituito dalle equazioni omogenee , quelle in cui il secondo membro f(x, y) è una funzione omogenea di grado zero (vedi cap. 1 0, § 6), ossia una funzione del solo rapporto u/t. In questo caso , ponendo u = wt, si ottiene per w un'equazione a variabili separabili. Nello studio di queste trasformazioni, che permettono di risolvere classi via via più vaste di equazioni differenziali, si distinguono i Bemoulli, Eulero, gli italiani Gabriele

Manfredi ( 1 68 1-1 76 1 ) e Iacopo Riccati ( 1 676- 1 754), e infine Lagrange e Alexis Clairaut ( 1 7 1 3-1 765 ) ; a Eulero in particolare è dovuta la soluzione generale delle equazioni lineari a coefficienti costanti.

Ricapitolando, le ricerche sulle equazioni differenziali durante tutto il Settecento sono dirette da una parte alle applicazioni, in particolare alla meccanica e alla geome­ tria, dall'altra alla determinazione esplicita delle soluzioni, o quanto meno alla loro espressione sotto forma di integrali. E' soltanto con Cauchy che si pone il problema di dimostrare a priori l'esistenza di soluzioni per l'equazione differenziale ( l ] nella sua forrna generale. Lo stesso Cauchy introduce per essa il problema di valori iniziali che poi assumerà il suo nome, e dimo­ stra l'esistenza e l'unicità in piccolo di una soluzione (teorema 2 . 1 ) con un metodo diverso dal nostro, che sarà poi detto delle approssimanti di Cauchy. Da questo momento il problema dell'esistenza viene discusso in ipotesi via via più generali per la funzione f (t, u ) , fino a giungere alle cosiddette ipotesi di Carathéodory: f(t, u) è misurabile rispetto a t e continua rispetto a u. Corrispondentemente, la solu­ zione u (t) verificherà la [ l ] per quasi ogni t.

Equazioni differenzilzli

1 35

Verso la fme del diciannovesimo secolo si impongono problemi del tipo della di­ pendenza continua dai dati e, per sistemi di equazioni, del comportamento delle solu­ zioni nelle vicinanze di punti stazionari, cioè punti u0 per i quali [(t, u0 ) = O (tali punti si chiamano stazionari perché, se per qualche valore t0 si ha u (t0 ) = u0 , allora u (t ) = u0 per ogni t ). Queste ricerche, specie nel caso di sistemi di due equazioni con [ indipendente da t (sistemi autonomi), sono condotte soprattutto da Henri Poincaré ( 1 854- 1 9 1 2), e por­ teranno in seguito agli studi sulla stabilità da parte di Aleksandr Ljapunov ( 1 8 5 7- 1 9 1 8) e della scuola russa.

Capitolo 4 Calcolo differenziale per funzioni di più variabili

l Deriwte parziali In questo capitolo ci occuperemo del calcolo differenziale per funzioni / (x) defi­ nite in un sottoinsieme A in R n . Ricordiamo (vedi cap . § 5) che Rn è uno spazio di Hilbert , con prodotto sca­ lare

l,

(v, w) =

n

l:

k= l

vk wk

da cui deriva la norma 1

Un vettore v e Rn si dice direzione se l v l =

r = {x e Rn : x =x0 + tv, t e R} è la retta passante per x0 e di direzione v.

l

[1.1] ;

se x0

e Rn e v è una direzione, l'insieme

Definizione 1 . 1 Sia A un aperto di R n e sia f(x) una funzione definita in A. Di· remo che la funzione f è derivabile in x0 e A nella direzione v se esiste finito il limite

[ 1 . 2] Il

limite [ 1 .2 ] si chiama derivata di f nella direzione v e si indica con

1

Avvertenza: per evitare ambiguità, la dimensione dello spazi o in cui la norma è definita

verrà talvolta esplicitata per mezzo di un indice.

137

Calcolo differenziale di più VtiTÌilbili

In altre parole, f è derivabile nella direzione v se la funzione di una variabile

g(t) =/(x0 + tv)

..

è derivabile nel punto t = O. Nel caso che v sia uno dei vettori della base canonica e . , , en di R n (vedi cap . [4.3 ] ), ad esempio v = e;, la derivata nella direzione v si chiama più comunemente de­ rivata parziale della funzione f(x) rispetto a X; ; invece di scrivere a[;ae; si usa in questo caso uno dei simboli at o � (x ) , u X;

D; /(x o )

,

l,

o fx; (x ).

[ 1 .3)

Dalla definizione segue immediatamente

per cui l a derivata parziale rispetto a x 1 s i ottiene considerando l e variabili x 1 , x; + t , , X n come fissate, e derivando rispetto alla variabile x; .

•••

, x; _ 1 ,

•..

Esempio 1. 1 A volte le coordinate di un punto di R1 verranno denotate con (x , y) invece che col simbolo standard {x�o x ); analogamente in R3 si useranno le lettere (x , y , z) per 1 indicare le coordinate di un punto . Sia

2 f(x , y ) = x sin xy + �.Y ; risulta

at 2 - =x1 cos xy + 2x y �Y ay

Le funzioni a[jax e at/ay sono ancora derivabili ; ad esempio

( )

at 2 2 a - - = 2x cosxy -x1y sin xy + 2y ex y + 2xy 3 ex y ' ay ax

e anche

( )

at 2 2 a - - = 2x cos x y - x1y sin xy + 2y ex .Y + 2xy 3 exy . • ax ay

1 38

Capitolo quarto

Esercizi 1 . 1 Trovare gli insiemi di definizione e le derivate parziali delle seguenti funzioni:

(a) (b) (c) (d) (e) (f) (g)

(h) (i) (l)

x ln(xy2 ) cos (x/y ) + cos( y/x ) sin (x + y) + x eY (x + y) ex - y arctg (x/y )

ln (x Jn y)

2 Yx;3 - �

e.Jx sin y 2 xyz - sin x z + y ex z Vx l -y 2 + z l . 1 . 2 Verificare che per le funzioni (a) . . (h) dell'esercizio precedente risulta

a

( at )

a

( at )

.

h ay = ay- h .

[ 1 . 4]

1 . 3 Verificare che le funzioni (i) e (l) soddisfano le relazioni :

2 Funzioni differenziabili

Per le funzioni di una variabile l'esistenza della derivata ha notevoli conseguenze : ad esempio una funzione derivabile è continua, e inoltre esiste la retta tangente al grafico della funzione . Per le funzioni di più variabili, invece , l'esistenza delle derivate parziali prime non è di per sé di così grande importanza. Infatti la circostanza che una funzione sia deri­ vabile non solo non implica l'esistenza del piano tangente al grafico , ma neanche è sufficiente a garantire la continuità della funzione stessa.

Esempio 2. 1 Sia (x , y) :;é (O, O) (x, y) = (O , 0).

1 39

Calcolo differenziale di più variabili

La funzione [(x, y) non è continua nell'origine ; infatti, data la successione di punti

(O, O), si ha

che tende al punto lim

n -> •

r ( !. ) ! #= o . n � n =4

D'altra parte, la funzione [(x, y) ha non solo le derivate parziali, ma anche derivate in ogni direzione . infatti v = (v � > v 2 ) è una direzione , si ha

Se

-v (O, O) = tlirn.->O t ar

a

-1

.

tv1 v� f(tv�> tv 2 ) = 1irn 2 4 2 2 = 0 t ->o (t v 1 + v 2 )

.



A causa di queste difficoltà le derivate parziali non sono la naturale estensione a funzioni di più variabili della nozione di derivata ; più naturale è invece la nozione di

funzione differenziabile.

Una funzione [(x) si dice differenziabile nel punto x0 se esiste un funzionale lineare L R" � R (dipendente da x0 ) tale che Defmizione 2. 1

:

.

[(x0 + h) -[(x0 ) -L (h) = O. l hl ��o

[2. 1 ]

Se [è differenziabile in ogni punto x0 EA, si dice differenziabile in A . Il funzionale L si chiama differenziale della funzione [nel punto x0 • Facciamo vedere subito che, se [ è differenziabile, allora ha derivata in ogni dire­ zione. Se v è una direzione, si ha per la [2. 1 ] , con h = tv,

lirn

[(x0 + tv) -[(x0 ) -L {tv)

t -> 0

l tl

= O,

e dunque anche

[(x0 + tv) -[(x0) -L (tv) =0. t t -+ 0 Ricordando che L (tv) = t L (v), si ha [(x0 + tv) -[(x0 ) lirn L (v), t 0 t -+ lirn

cosicché [ è derivabile nella direzione v, e

1 40

Capitolo qUIB'to

In particolare, si ha D;{(x0 ) = L ("t); cosicché se di L n n òf òf - (x0 ) = l; v1L ("t) = l; v1 - (x0 ). Ò X; ÒV i= l 1= 1

n

v = l; v1 e, , i=t

risulta per la linearità (2.2]

Osservazione 2. 1 . La relazione [2.2] cessa di essere valida se f non è differenzia­ bile , anche se esistono le derivate di f lungo una qualsiasi direzione . Ad esempio, la funzione (x , y) + (O, O) (x, y) = (O, O)

è derivabile in ogni direzione v = (V t . v2 ) , e risulta òf

- 2 av (0, 0) -V t V :z .

In particolare òf/òx = òf/òy = O nell'origine, mentre in tutte le altre direzioni la

derivata è diversa da zero, cosicché non può valere la [2.2]. •

Per denotare il differenziale di una funzione f nel punto x0 , si usa di solito, invece della lettera L , il simbolo più espressivo df(x0 ).

Segue immediatamente dalla [ 2 .2 ] , ricordando la definizione della base (dx t . dx2 , . . . , d xn ) di ( Rn )* (vedi cap . l , § 4) la relazione n òf 0 3 (x ) d x1 • df(x0 ) = l; i= ! Xt

(2.3]

Se poi si indica con Df(x0 ) il gradiente di f in x0 , cioè il vettore le cui componenti sono le derivate parziali dif in x0 ,2

si ha, sempre dalla (2 .2], òf df(x0 ) (v) = av (x 0 ) = (D[ (x 0 ) , v).

Osservazione 2. 2 . consideriamo la funzione x; (o meglio la funzione Tr; definita da 7r; (x) =x;) otteniamo per la [2.2]

Se

d rr; (v) = v; ,

2

Talvolta il gradiente di f si indica con il simbolo grad f. Noi useremo indifferentemente le due notazioni.

141

Calcolo differenziale di più 11ariobili

e dwtque il differenziale della fwtzione x; è esattamente il vettore dx1 . E' per questo motivo che i vettori della base canonica di (R n )* si in dicano con d x " d x2 , , d x n . • •••

Una seconda importante proprietà delle funzioni differenziabili è che ogni funzione è continua in x0 • Infatti, se nella [ 2 . 1 ] si scrive h = x - x 0 e si pone

differenziabile in x0

si ha

e quindi, tenuto conto della [ 5 .4] del capitolo l ,

cosicché

dato che lim

x -+ x 0

a(x, x0 ) 0 = 0. lx-x 1

Il seguente teorema dà wta condizione sufficiente a garantire la differenziabilità di wta fwtzione. Teorema 2. 1 (del differenziale totale) Supponiamo che la funzione f(x) abbia de­ rivate parziali in un intorno I del punto x0 e che queste siano continue in x0. Allora la f è differenziabile in x0 .

Dimostrazione. Ci limiteremo per semplicità al caso di fwtzioni di due variabili.

Se x E/ si ha

+

f (x) -f(x0 ) =f(x l , xl ) -f(xY , x2 ) f(xY , x2 ) -f(xY . xn. Per il teorema del valor medio (vol. l , cap. 4, § 8) esisterà tra xY e x 1 , tale che

Wl

pwtto E t . compreso

Analogamente , esiste un pwtto E2 compreso tra x 2 e x � tale che

f(xY , x2 ) -f (xY , x� ) = D2 f(xY , E2 Hx2 -x� ). Posto

142

Capitolo quarto

si ha dove lfit = D t f (�t . X2 ) - D t f{x0 ), lfi2 = D2 f (xY , �2 ) - D2 /{x0 ) . Per la continuità delle derivate parziali della /, sia lfi t che 1{12 tendono a zero quando x�x0 ; d'altra parte si ha l a (x, xo )l l x - x0 1

� l lfit l + l lfJ2 1 •

cosicché f è differenziabile in x0 •



Esempio 2. 1

Consideriamo la funzione di due variabili / {x � o x2 ) = x j + sin x 2 •

Per il teorema appena dimostrato , la funzione è differenziabile in ogni punto di 2 R ; in particolare, se x0 = {l , 0), si ha D t f (x0 ) = 2, v

Figura 4. 1

D2 / (x0 ) = l ,

1 43

Calcolo differenzi/Ile di più JIQI'iobili

e quindi il differenziale di / nel punto (l , O) è df(x0 ) (v) = 2 · v l + l · v2 = 2 v 1 + v 2

.

Posto ip(x) =/(x0 ) + df(x0 ) (x - x0 ) = l + 2 (x 1 - l ) + X2 = 2x t + X2 - I , il grafico della funzione .p(x) è un piano passante per il punto di coordinate (x0 , f(x0 )), cioè per il punto di coordinate ( 1 , O, l ). Si ha inoltre lim f(x) - IP (X )

l[ -+x1

l x - x0 l

= O,

in quanto f è differenziabile, cosicché il grafico di ip (x) è il piano tangente alla super­ ficie y =f(x) (grafico della funzione f) nel punto (1 , O, l ). In generale , se una funzione f(x) è differenziabile in un punto x0 , la funzione ip (X) = f(x0 ) + df(x0 ) (x - x0 )

ha come grafico un piano, tangente al grafico di f(x) nel punto di coordinate (x0 , f(x0 )) (vedi fig . 4. 1 ).

Esercizi 2. 1 Trovare il differenziale e il gradiente delle seguenti funzioni : (a) (b) (c)

f (x) = (x, x0 ) /(x) = lxl2 • f(x) = (x, x0 )2

(d)

f(x) = x t sin

(e)

f(x) = (A x, x) =

Xt

X2

n

1: at j X; Xj·

i,j= l

2. 2 Siano f e g due funzioni differenziabili. (a) Dimostrare che f + g è differenziabile e ha d ( f + g) = df + dg. (b) Dimostrare che fg è differenziabile e che d ( fg) =fdg + g df.

si

2. 3 Sia f ( t ) una funzione di una variabile reale t. Dimostrare che f è differenziabile se e solo se è derivabile. 3 Derivate successive

Se le derivate prime di una funzione sono a loro volta funzioni derivabili, si può parlare di derivate seconde, terze ecc. Queste derivate successive si indicano con sim-

144

Capitolo qUDrto

boli analoghi a quelli usati nel caso di una variabile :

Abbiamo visto nell'esempio 1 . 1 e negli esercizi del paragrafo l , che si ha [3 . 1 ] ovvero che le derivate seconde non dipendono dall'ordine in cui si eseguono le derivazioni. La [3. 1 ] tuttavia non sussiste se non si fanno opportune ipotesi sulla funzione f. Ad esempio, per la funzione di due variabili

f(x, y) =

{

y 2 arctg � . y

se

y =F O

o,

se

y =O

risulta

Si ha però il seguente Teorema 3 . 1 (di Schwartz , o dell'inversione dell'ordine di derivazione)

Siano A 2 un aperto di R , [ (x, y) una funzione definita in A e (x 0 , y 0 ) un punto di A. Se le derivate parziali miste a2 t ax ay

--

e

a2 t -ay ax

esistono in un intorno I di (x 0 y 0 ) e sono continue in (x0 , Yo ), allora

Se

Dimostrazione. Sia R > O il raggio di I (vedi fig. 4.2). i t i O è tale che / (x0 , r) C A e se O � t � r. si ponga 0 F (t) =[ (x + t w ) e si scriva la formula di Taylor per la funzione F (t ) (vedi vol. l , cap . 6, § p(k) (O) k F" (O) t + R (t, O). k! F(t) = F(O) + F'(O) t + � t 2 + · · · + k

D'altra parte si ha

n F"(t) = � D; Dj [ (x0 + t w) w; wj i, i= l

5)

147

Calcolo differenzùzle di più JIQrùzbili

e in generale

Consideriamo ora un multi-indice p = (P t . p2 , , P n ) di lunghezza h ; nella somma precedente il termine DP[(x0 + t w) w P comparirà tutte le volte che tra gli indici i t . i2 , ... , ih ce ne sono p 1 uguali a l , p 2 uguali a 2, . . . , Pn uguali a n; in totale h !/p 1 !p2 ! ... P n ! = h l /p ! volte. Si può allora scrivere • • •

DP[(x0 + t w) wP

F ( h >(t) = h ! � lpl= h

p 1.

e dunque in conclusione, ponendo w [(x) =



o DP f(x ) 1

lpl o;;; k



,

x - x0 l x - x0 1

[ 3 .6] e t = l x - x0 1 :

(x - x0 )P + R k (x, x0 ),

[3 .7 ]

dove si è posto 0° [= f. La [ 3 . 7 ] è l a formula di Taylor per funzioni di più variabili. Per quanto riguarda il k resto k-esimo R k , si ha R k (x, x 0 ) = o ( l x - x 0 l ), e cioè lim

x -+ x0

R k (x, x0 ) k l x - x0 l

O.

Se poi la funzione f(x) ha anche le derivate (k + 1 ) -esime continue, si può dare una formula per il resto k-esimo : D P /(� ) F (k + J ) ( T ) k R k (x, x 0 ) = t +J = � [ 3 .8 ] (x - xo )p p! (k + l ) ! IP I=k+l dove O < r < t = l x - x 0 1 , e � = x0 + r w è u n punto d e l segmento di estremi x e x0 • Poiché l ( x - xo f l � l x - x0 1 1P1 , si ricava facilmente, per l x - x0 l � k IR k (x , x o ) l � ck l x - x 0 l + l .

l

Per k = 2 la formula [ 3 . 7] si può scrivere più esplicitamente f(x) =f(x 0 ) +

n

� D; [ (x0 ) (x ; - x? ) + i= l

( 3 .9 ] Una prima applicazione della [ 3 .7 ] è una generalizzazione a l caso di più variab ili di u n risultato dimostrato nel primo volume (cap . 4 , proposizione 8 2 ) p e r funzioni di una variabile . .

1 48

Capitolo qUilrto

Ricordiamo che un aperto A di Rn si dice sconnesso se è unione di due aperti B e C disgiunti e non vuoti ; in simboli : A = B U C;

B n C =0;

B , C I=0.

Se A non è sconnesso si dirà connesso . Proposizione 3 . 1

è costante.

Se [(x) ha derivate prime nulle in un aperto connesso A , allOra f

Dimostrazione. Sia x0 EA e sia I un intorno sferico di x0 , contenuto in A . Per x E/ si può scrivere la (3.7) con k = O ; si ha per la (3.8] n

[ (x) =[(x0 ) + :E D; [(t) (x1 - x1 ) =[(x0 ) i= l

e quindi la f è costante in/. Ciò premesso , sia iEA e sia L =[(i). L'insieme A 0 = {x EA : [(x) = L }

non è vuoto ed è aperto ; infatti, se f(x0 ) = L , esiste per quanto visto sopra tutto un intorno di x0 in cui f(x) = L . D'altra parte l a funzione f è continua, e dunque, per i l teorema della permanenza del segno , l'insieme A t = {x EA : f(x) ::I= L }

è aperto ; si h a dunque A =A o U A t o

A o n A t =0,

A o ::l= 0

e allora, poiché A è connesso , dovrà essere A 1 =0, cosicché [(x) = L in A .

Esercizi 3. 1 Sviluppare in fonnula di Taylor la funzione

con x0 = ( l , - 1 , O ) e k = 3. 3 . 2 Sia

{ f (x, y ) =

xy (x 2 -y 2 ) x2 + Y2

o

(x , y) ::I= (O, O) (x , y) = (O, 0) .



149

Calcolo di{ferenzillle di più varillbili

(a) Se (x, y) =F (O,

e e ne verifichi ax ay

es

O),

si trovino le derivate miste

ay ax

l'uguaglianza.

(b ) Si dimostri che

ar = ar a; ay- O tale che, per ogni x EK, l 'in torno /(x, d ) è tutto contenuto in A o in B. Lemma 2. 1

Dimostrazione. Consideriamo le funzioni /(x) = dist (x, Rn -A )

e

g (x) = dist(x, Rn -B).

Le funzioni / e g sono continue, e si ha f(x) + g (x) > O in K. Poiché K è compatto , f(x) + g(x) avrà un minimo positivo in K. Sia c tale minimo e sia d = c/ 2 . Per ogni x EK risulterà f(x) +g(x) ;;ll: 2d , e dunque dovrà essere f(x) ;;ll: d , oppure g (x ) ;;l�: d . Nel primo caso si ha /(x, d ) C A ; nel secondo /(x, d ) C B . • Lemma 2.2

Siano A e B due aperti. Allora

m (A U B) :r;;;; m (A ) + m (B).

[2 . 2]

Misura di Lebesgue in

1 71

Rn

Dimostrazione. Sia W un plurintervallo contenuto in A U B . Poiché W è compatto, si può applicare il lemma precedente con K = W. Sia d come nel lemma 2 . 1 ; raff"mando eventualmente il reticolato si può supporre che ogni intervallo di W abbia diametro minore di d. Per il lemma 2 . l ogni intervallo di W è contenuto in A o in B. Sia Y l'unione di tutti gli intervalli di W contenuti in A, e sia Z l'unione di quelli contenuti in B . Per quanto detto sopra risulta W = Y U Z e dunque m(W) � m (Y) + m(Z ). Poiché Y C A e Z C B, si ha m(Y) � m(A ) e m(Z ) � m(B ), e quindi m(W) � m(A ) + m(B) per ogni plurirettangolo W C A U B . Da questa segue immediatamente la [2.2].



Passiamo ora alla defmizione della misura per insiemi compatti. Defmizione 2.2 Sia K un compatto di R n . Si definisce misura di K l 'estremo infe­ riore delle misure dei plurirettangoli che contengono K:

m (K ) = inf {m (Z ); Z plurintervallo, Z ::J K}.

[2 .3]

Osservazione 2. 1 . Ricordando l'esercizio 1 .4 si vede facilmente che m (K ) = inf {m(Z ); Z plurintervallo , Z0 ::J K},

[2 .4]

dove al solito indichiamo con Z 0 la parte interna di Z. • Lemma 2.3 Siano K e L due compatti disgiunti (K n L = 0). A llora

[2 .5]

m (K U L ) ;;;a. m (K ) + m(L ).

Dimostrazione. Se f(x) = dist (x, L ) si ha f(x) > O in K, e dunque / ha un minimo positivo d in K. Sia W un plurirettangolo che contiene K U L . Raffmando eventual­ mente il reticolato si può supporre che tutti gli intervalli di W abbiano diametro minore di d/2 . Se si indica con Y l'unione degli intervalli d i W che hanno punti in comune con K e con Z l'unione di quelli che hanno punti in comune con L , risulta Y U Z C W,

Y n z =0,

e inoltre K C Y,

L C Z.

Allora m (W) ;;;a. m(Y U Z ) = m (Y) + m(Z ) ;;;a. m(K ) + m(L ), da cui segue immediatamente la [ 2 .5].



1 72

Copitolo quinto

Notiamo che il lemma 2.3 ci serve solo come risultato intermedio . In realtà nella [2.5 ] vale sempre il segno " = " , come si vedrà nel corollario 2. 1 . Una volta definita la misura degli aperti e dei compatti si possono considerare in­ siemi di R n arbitrari.

Definizione 2.3 Sia E C R n . Si chiama misura esterna di E l 'estremo inferiore delle misure degli aperti che contengono E: m (E) = inf {m (A ), A

aperto, A :> E } .

[2.6)

Analogamente, si chiama misura interna di E l 'estremo superiore delle misure dei compatti contenuti in E: m(E) = sup {m (K ), K

compatto, K C E}.

[2.7)

Se E non è limitato può accadere che per ogni aperto A :::> E risulti m(A ) = + oo . In tal caso si porrà m(E) = + 00 .

Osservazione 2. 2 . Si noti che si potrebbe usare solo la misura esterna e definire la misura interna per mezzo di questa. Se E è un insieme limitato (ci si può limitare a considerare tali insiemi ; vedi più oltre, § 4) basterà prendere un intervallo I :::> E e definire m (E) = m (/) - m (/-E). Si può dimostrare facilmente che la misura così ottenuta non dipende dalla scelta dell'intervallo /. •

Lemma 2.4 Se A è un aperto rettangolo W tale che K C W C A.

e K è un compatto contenuto in A, esiste un p/uri­

La dimostrazione di questo lemma viene lasciata per esercizio. (Si proceda come nelle dimostrazioni dei lemmi 2 . 1 e 2 .3 .) Da esso segue facilmente la

Proposizione 2. 1 Per ogni insieme E C R n risulta m (E ) ;;;,. m (E).

[2.8)

Dimostrazione. Sia K un compatto e A un aperto con K C E C A . Per il lemma precedente esiste un plurintervallo W con K C W C A . Ricordando le definizioni 2 . 1 e 2.2 , si conclude che m(K ) EO; m (A ) per ogni compatto K C E e per ogni aperto A :> E, e quindi vale la [2.8). •

Misura di Lebesgue in

1 73

Rn

Se A è aperto, si ha evidentemente m(A ) = m(A ); d'altra parte i plurintervalli sono

compatti, e dunque

m (A ) = sup {m ( Y), Y plurintervallo , Y C A } � � sup {m (K), K compatto , K C A } = m(A ). Ricordando la proposizione

2 . 1 , si ha

m (A ) = m (A ) = m (A ). In maniera analoga , tenendo conto dell'osservazione

[2.9] 2 . 1 , si dimostra che

m (K ) = m (K ) = m (K )

[2. 1 0]

per ogni compatto K C R " . Possiamo ora dare la definizione di insieme misurabile , e di misura di un insieme.

Definizione 2.4 Un insieme E C R " si dice misurabile (secondo Lebesgue) se la misura esterna e la misura interna di E sono uguali e finite. In tal caso il numero m (E) = m (E) = m (E)

si chiama misura di Lebesgue n-dimensionale (o più brevemente misura) di E . A volte può essere opportuno, per evitare confusioni, scrivere mn (E), e anche D1n (E) e !!!n (E), indicando così esplicitamente la dimensione dello spazio in cui si esegue la misura. Dalla discussione precedente segue che gli insiemi aperti limitati e gli insiemi com­ patti di R" sono misurabili. Comunque la classe degli insiemi misurabili è molto più vasta: gli esempi di insiemi limitati non misurabili sono ottenuti tutti in maniera indi­ retta e non costruttiva (vedi esempio 3 .4).

Osservazione 2. 3 . Nella teoria della misura dovuta a Peano e Jordan (precedente a quella di I..e b esgue) la misura esterna e la misura interna di un insieme E vengono de­ ftnite mediante plurirettangoli: ji(E) = inf {m( Y), Y plurirettangolo , Y ::J E } � (E) = sup {m (Z ), Z plurirettangolo , Z C E } e si dice misurabile (secondo Peano-Jordan) un insieme E per il quale le due misure coincidono (e sono finite). Tenendo presente l'osservazione 2 . 1 , si vede facilmente che un insieme misurabile secondo Peano-Jordan lo è anche secondo I..e b esgue , e le misure coincidono . Il vice­ versa però non è vero ; ad esempio esistono aperti limitati che non sono misurabili secondo Peano-Jordan. La ragione per cui la misura di Peano-Jordan è meno raffinata di quella di I..ebesgue

1 74

Capitolo quinto

risiede, a ben vedere, nella proprietà (b) dei plurintervalli stabilita nell'esercizio 1 .4, in virtù della quale si può dimostrare facilmente che iJ (E ) = su p {m (Z ) , Z plurirettangolo , z c E 0 },

e dunque iJ (E ) = 1J (E0 ).

Analogamente si dimostra che fi(E ) = fi(E ) , e dunque un insieme E è misura b ile se­ condo Peano-Jordan se e solo se lo sono anche il suo interno e la sua chiusura, e le misure di tutti questi insiemi coincidono ; in altre parole se e solo se la sua frontiera a E ha misura nulla. A ben vedere, la misura di Peano-Jordan consiste nell'approssimare E dall'interno con aperti e dall'esterno con compatti. Ora è chiaro che in tal modo la frontiera di E entrerà sempre nel calcolo della misura esterna e mai in quella della misura interna. Al contrario , approssimando dall'interno con compatti e dall'esterno con aperti si possono prendere in ogni caso quelle parti di a E che appartengono a E ed escludere le altre. Di qui la maggior duttilità della misura di Lebesgue • .

Segue immediatamente dalla definizione la seguente Proposizione 2.2 Un insieme E è misura bi/e se e solo se per ogni e > O esistono un aperto A e un compatto K, con K C E CA tali che

m(A ) - m (K ) < e. Analogo ai lemmi 2.2 e 2.3 è il seguente Lemma 2.5

Siano E e F due insiemi di R n ; risulta

m(E U F ) EO; m (E) + m(F ).

[2 . 1 1 ]

Inoltre, se E n F=0. si ha m (E U F ) ;;o, m (E) + m(F ) .

[2. 1 2]

Dimostrazione. Se m (E) + m (F ) = + oo , la [ 2 . 1 1 ] è evidente. S i può allora supporre che le misure esterne di E e di F siano ambedue finite. Per e > O siano A e B due aperti, eon E CA e F C B e tali che m(A ) < m (E) + e,

m(B ) < m(F ) + e.

Ricordando il lemma 2.2, m(E U F ) EO; m (A U B ) EO; m (A ) + m (B ),

1 75

Misura di Lebesgue in Rn

e quindi

m (E U F ) :E;;; m (E) + m (F ) + 2 e. Poiché quest'ultima relazione vale per ogni e > O si ricava la [2. 1 1 ]. In maniera analoga , usando il lemma 2.3 , si dimostra la [2. 1 2 ] . • Se gli insiemi E e F sono misurabili e disgiunti (cioè E n F =0), combinando le [2. 1 1 ] e [ 2 . 1 2] si ottiene imme diatamente la relazione m (E U F ) = m(E ) + m (F ) .

[2. 1 3]

In particolare se A è un aperto e K un compatto contenuto in A , A -K è un aperto (dunque è misurabile) e dalla [2. 1 3] con E =K e F=A -K si ottiene m (A -K ) = m (A ) - m (K ) . Con un semplice ragionamento per induzione si dimostrano le analoghe delle [ 2 . 1 1 ] e [ 2 . 1 2 ] per un numero finito di insiemi, e di qui il seguente CoroUario 2. 1 Sia dato un numero finito di insiemi mis10abili a due a due disgiunti E1 , E2 , , En ; in tal caso la loro unione è misurabile e si ha .•.

[2. 1 4] Teorema 2. 1

misurabili .

Dati due insiemi misurabili E ed F, anche E u F, E n F e E- F sono

Dimostrazione. Cominciamo col dimostrare che E-F è misurabile . Sia e > O e siano A , A ' due aperti e K , K' due compatti, con K CE C A , K' C FCA', e tali che

m (A -K ) < i ·

m(A ' -K ')
(b) Si osservi che F;' =



U

k=l

Fl- 1 tk

e si ricordi il teorema 4 . 1 del capitolo

S.

(b) => (c) Infatti

(c) => (d) Segue dalla relazione �

F, = U F;� I tk · • k=l Vogliamo ora stabilire alcune proprietà delle funzioni misurabili. Per questo dimo­ streremo il seguente Lemma 2. 1

Se f(x) e g(x) sono due funzioni misurabili, l 'insieme

E = {x E R n : f(x) >g(x)}

è misurabile.

Dimostrazione. Se per x E R n risultaf(x) >g(x) (cioè se x EE), esisterà un numero razionale r tale che f(x) > r >g(x) . Viceversa , se questa relazione è verificata, allora x E E, e dunque in , definitiva, x E E

200

Capitolo sesto

r

se e solo se esiste un numero razionale tale che x E Fr n G ; . Ne segue

E = U (Fr n G;), rE Q

dove si è indicato con Q l'insieme dei numeri razionali. Poiché Q è numerabile, E risulterà misurabile grazie al teorema 4. 1 del capitolo

S.



La classe delle funzioni misurabili verrà indicata con vii. Si ha il seguente

Teorema 2.1 (proprietà delle funzioni misurabili)

(l) Se [E vile c E R, allora f+ c e cf sono misurabili. (2) Se f e g E .,/f, allora f + g, f 2 e fg sono misura bili. (3) Se !t , [2 , . è una successione di funzioni misurabili, le funzioni ..

M(x) = sup fk (x) e m (x) = inf fk (x) kEN kEN

sono misurabili. 2 (4) Se {fk } è una successione in _A, con !t .;;;;. /2 .;;;;. è

• • • ,

allora

f(x) = lim fk (x) k --

misurabile . (5) Se {fk } è una successione di funzioni misurabili, le funzioni f(x) = max lim fk (x) e g(x) = min lim fk (x) k -+• k -+ oo

sono misurabili. In particolare, se la successione {fk } converge puntualmente a f(x), quest 'u ltima funzione risulta misurabile. Dimostrazione ( I ) Segue immediatamente dalla defmizione e viene lasciata per esercizio . (2) Si ha

{x E Rn : f(x) + g(x) > t} = {x E Rn : f(x) > t -g(x)} e per il lemma 2.1 quest'ultimo insieme è misurabile , cosicché f + g Evll. Se r ;;o.: o, si ha

{x E Rn : [ 2 (x) > t } = {x E Rn : f(x) > Vt } U {x E Rn : f(x) < - Vt }, mentre, se t < O, Si vede qui l'utilità di considerare funzioni a valori in R. Infatti se ci fossimo limitati a fun. zioni reali sarebbe stato necessario introdurre l'ipotesi che M(x) < + .. e m (x) > - .. per ogni

2

x E ff .

L 'integrale di Lebesgue in rf'

201

In ogni caso l'insieme

{x E R " : [ 2 (x) > t}

è misurabile e quindi f 2 eA. Infme si ha

4fg = (f+g)2 ( f g) 2 -

-

e quindi anche fg è misurabile .

(3) Si ha per ogni t :

..

{x E R" : M(x) > t } = U {x E R" : Jì (x) > t }, i= l

cosicché M(x) è misurabile. Analogamente è misurabile m (x), dato che ..

{x E R" : m (x) < t } = U {x E R" : Jì (x) < t }. j=l

(4) Discende immediatamente da (3), i n quanto [(x) = sup Jì (x). jEN

(5) Se si pone

Mk (x) = sup Jì (x), i �k

le funzioni Mk (x) sono tutte misurabili, e quindi sarà anche misurabile la funzione

[(x) = inf Mk (x) = m ax lim Jì (x). kEN

j � ..

In maniera analoga si procede per il minim o limite . •

Esempio 2. 1 Siano ora [(x) e g (x) due funzioni misura bili. Se si definisce si

ha per (3) che le funzioni

M(x) = sup Jì (x) =[(x) Vg(x) ; m (x) =[(x) /\ g (x) jE N

sono misurabili. In particolare se [(x) è misura bile lo saranno anche le funzioni

r Cx) =f(x) V O e r - Cx) = [ -[(x) ] V O. Viceversa, se [ + ed [ - sono misura bili, sarà tale anche [ = [ + - [ - . • Vogliamo dare a questo punto una caratterizzazione delle funzioni mi sura bili in termini del loro sottografico. Se [(x) è una funzione definita in R" . si chiama sotto-

202

Capitolo sesto

grafico di f l 'insieme

fF= {(x, y) E Rn X R : y O. Se ora f (x) é una funzione rnisurabile di segno variabile , le funzioni r+ e d [ - sono misurabili, limitate, nulle fuori di K e positive . Per quanto appena visto f + ed f- sa­ ranno sommabili e quindi anche f=r -r - sarà sommabile . • Sia ora f(x) una funzione sommabile limitata, nulla fuori di un compatto e non negativa. Consideriamo i due insiemi

fFo = {(x, y) E Rn X R : O O tale che

Ne segue , per t > t0 ,

F(t)= j f(x ) d x , E

cosicché le due defmizioni conducono allo stesso risultato . •

Osservazione 3. 2 . Se f � O è sommabile su E, risulta

J

E

lim J

J

f (x) d x = l i m fs (x) d x = lim lim fs (x) d x . r .... - s .... s .... - , ..... _ E n i, En i,

[ 3 .3 ]

Notiamo, per dimostrare tale relazione , che la funzione di due variabili

G {r , s ) =

E n lr

è crescente in tale che

per

J

r

fs (x) d x

per ogni s fissato, e in s per ogni

r

fissato . Sia ora e > O , e sia t0

J t(x) d x - e < F (t) � Jf(x) d x

E

ogni t � t 0 •

Se r

es

E

sono maggiori di t0 risulta, per la monotonia di G,

J f(x) d x - e < F (t0 ) = G(t0 , t0 ) � G (r , s) � J f (x) dx.

E

E

208

Capitolo sesto

Passando al limite, prima per s -+ oo , e poi per r -+ oo , si ha

J f(x) d x - e =r;;;

E

lirn lim G(r , s ) =r;;;

r -+ oo a -+ oo

J t(x) d x ,

E

e per l'arbitrarietà di e: si ottiene la prima delle uguaglianze [3.3 ] . Un ragionamento analogo dimostra la seconda relazione . • Teorema 3. 1 Una funzione [(x), definita in un insieme E C R" e non negativa, è sommabile su E se e solo se gli insiemi

�o = {(x , y ) EE X R : O . , m (Ei ) < m ( Fk ) < r - t e 2 k� Fk < r' e 1 / 1 d x ;;> eo . La successione gi = 1 / 1 V'E è decrescente (g1 ;;> g ;;> . . . ) e tende i 2 Ej a zero quasi ovunque. Applicare il teorema di Lebesgue ) .

. J

J

..

L 'integrale di Lebesgue in

221

Rn

4. 7 Sia E misurabile e limitato e sia /(x) � O in E ; allora

J f d x = sup J t d x ; K compatto,

E

{

K

K C E }.

4. 8 Lo stesso risultato vale anche senza l'ipotesi che E sia limitato. 4.9 Si dimostri che la successione Un } dell'esempio 4.3 converge a xa - t e- x , uni­ formemente su ogni intervallo chiuso [a , + 00 ), a > O. Si ricavi il risultato dell'esempio 4.3 usando la [ 3 . 3 ] del capitolo l .

S D teorema di Fubini La teoria svolta finora non dà alcun metodo per il calcolo di integrali in Rn , tranne ovviamente che nel caso di una variabile (n = l ) in cui, come abbiamo già os­ servato, resta valido il teorema fondamentale del calcolo integrale. ln questo paragrafo mostreremo come sia possibile calcolare un integrale n dimen­ sionale eseguendo successivamente n integrazioni in una variabile. Per semplificare le dimostrazioni considereremo in dettaglio il caso n = 2, lasciando per esercizio la generalizzazione dei risultati a integrali in un numero qualsiasi di variabili. Cominciamo col considerare il problema della misura di un insieme di R 2 ; al solito tratteremo per primi i casi di insiemi aperti e compatti.

Lemma S . l

Sia A un aperto di R 2 (vedi fig . 6 .3), e per ogni x E R si ponga

A x = {y E R : (x , y) E A }. y

A

Figura 6.3

x

222

Si ha m2

Capitolo sesto

(A)= I m 1 (A x ) dx .

[5 . 1 )

Dimostrazione. La [5 . 1 ) è ovvia per intervalli, e quindi sussiste anche per plurin­ tervalli. Sia

{Yk} una successione di plurintervalli contenuti in A, e tali che Y 1 C Y2 C . . . e U=l Yk =A. k ..

Si avrà

e

m2 (A)= klim .....,. oo m2 (Yk )= klim -+oo J m, (Yk ,x) dx. D'altra parte per ogni x E R risulta Yl, x C Y2 , x C . . .

[5 2)

.

cosicché

e

klim -+oo m, (Yk,x)=m, (Ax). Dal teorema di Levi, si ottiene

che, confrontata con la [5 .2 ] , dà la [5 . 1 ] . • In maniera analoga (la dimostrazione viene lasciata per esercizio) si prova che per ogni compatto K si ha

C R2

[ 5 3) .

E C R 2 un insieme misurabile; si ha m2 (E)= I m1 (Ex) dx.

Teorema S.l

Sia

Dimostrazione. Cominciamo col supporre che due successioni, la prima di aperti contenenti

m2

(E)< + oo . Siano

[ 5 .4 ]

{Ai } e {Ki }

E, e la seconda di compatti contenuti

L 'integro/e di Lebesgue in

in

R

223

n

E, tali che A 1 :)A2 :) , _Iim m2 (Ai)=m2 (E), K 1 CK2 C ... , _lim m2 (Kj)=m2 (E). Per ogni x E R , risulta Aj, x :)Ex :) Ki, x• ••.

� �-

��-

e

[5 .5 )

cosicché _lim J {m 1 (Aj,x ) - m 1 (Kj, x)}dx =O. Se si pone

[5 .6)

��-

la successione {gj} è una successione decrescente, con Q ..;; gi (x) ..;; g 1 (x). Poiché g 1 sommabile, si può applicare il teorema di Levi; si ha per la [ 5 .6) J {_lim gi (x)}dx =O, e quindi, per la proposizione 3 . 1 , _lim m 1 (Aj, x) = _lim m 1 (Kj,x) q. o. in R . [5 .7] Quest'ultima relazione, insieme alla [ 5 . 5 ] , implica che Ex è misurabile per quasi ogni x E R . Inoltre si ha, per ogni intero j, m 2 (Kj)= J m 1 (Kj, x) dx..;; i m 1 (Ex)dx ..;; J m 1 (Ex )dx..;;Jm 1 (Aj, x ) dx= =m2 (Ai ), e passando al limite per j-+oo si ottiene la [5 .4] . La [ 5 .4] vale anche se m2 (E)= + oo Infatti, posto ER =E risulta m 1 (Ex) = sup m1 (E:) è

J -+ -

J -+ •

J -+ •

.

R >O

cosicché la funzione m 1 (Ex) è misurabile. Inoltre e la ( 5 .4] si ottiene passando al limite per R -+ + oo . •

n JR ,

224

Capitolo sesto

Se si pone Ey = {x E R : (x,y)EE}, risulterà, con una dimostrazione del tutto analoga, m2 (E)= J m1(Ey)dy .

In generale consideriamo lo spazio R n + k = R" X R k , e indichiamo con E R" , y E R k , un generico punto di Rn + k . Se E è un insieme misurab ile di si ponga, per ogni E R" ,

x

x Ex = {y E Rk : (x, y) E E} e per ogni yE R k Ey = {x E R" : (x , y) E E} Con una dimostrazione identica alla precedente si prova che mn+ k (E) = i" mk (Ex)dx = Jk mn (Ey) dy.

(x, y), + Rn k

.

R

R

Esempio 5. 1

y

Sia E un insieme normale rispetto all'asse delle (vedi fig . 6 .4) E= {(x,y)E R 2 : a O. Si fissi r > O e sia A = (r, + oo ), E = (O, + oo ). l..a funzione

Sarà

dunque sufficiente

f(x , t) = exp(-x 2 - t 2 /x 2 ) è continua in E X A e inoltre, ricordando che per y > O risulta ye - y �;;;). :

l

l

e

iJ f 2e t) iJ t (x t '

_

x2

--

t 2 _ 1 21x 2 e x2

-

__, ....

x2

2e re

--

.

Si può dunque applicare il teorema di derivazione sotto il segno di integrale. Risulta

L 'integrale di Lebei!JgUe in rf'

265

per ogni t >r; per l'arbitrarietà di r questa formula vale per ogni t > O. Eseguendo il cambiamento di variabile y = t /x , si trova

J

F '(t) = - 2 exp (- r 2 /y 2 -y 2 ) dy = - 2 F ( t) , o

e quindi, per t > O, F (t) = F (O) e - u =



e -: 2 1

In definitiva , tenendo conto del fatto che F (t ) = F ( - t ) , si trova -

e -l l t l . I exp ( - x l - t l /xl ) d x = -..;; f



o

Esercizi 9. 1 Trovare F ' ( t ) se

J

1 F (t) = ln (x 2

+ t 2 ) dx ,

F ( t) =

o

f W:. 11

o



x

e

tx

dx.

9.2 Sia F ( t) =

J -

1

ln ( 2 x 2 t 2 ) dx

o

' Si dimostri che F ( O) = O e che F ( t ) è concava nell'intervallo ( - l , l ).

9.3 Sia g (x ) =

l o

e

- '2

cos tx d t.

' Dimostrare che g (x ) = - x g(x)/ 2 e quindi trovare g(x ) .

9.4 Sia

J(� ) -

F(t) =

o

s

x 2 - x e t dx.

Si calcolino F'(t) e F"(t), e a partire da quest'ultima si ricavi una formula espli­ cita per F(t) ( si tenga conto del fatto che lim F(t) = lim F' (t) = 0). Si dimostri che t -+ + ao t -t- + ao

266

Cllpitolo seno

Notizie storiche

(A) La teoria dell 'integrazione da Riemann a Lebesgue4 Abbiamo visto come la prima definizione moderna di integrale sia stata data espli­ citamente da Cauchy, nel suo Résumé des leçons données à l 'École Polytechnique. Cauchy si limita al caso di funzioni continue , o con un numero fmito di punti di discontinuità . Quando una funzione f ha un punto di discontinuità c, nelle vicinanze del quale può o meno essere limitata, egli introduce la nozione di integrale improprio o generalizzato (vedi vol. l , cap . 6 , § 8), nozione che si estende al caso di un numero finito di punti di discontinuità. Sempre nel Résumé, Cauchy prova l'integrabilità delle funzioni continue, un risul­ tato che Dirichlet, nella sua celebre memoria del 1 829 sulle serie di Fourier, dice facile da dimostrare . Non è chiaro qui se Dirichlet alluda alla dimostrazione di Cauchy, oppure se ha già in mente la dimostrazione che poi esporrà nelle sue lezioni del 1 854 all'Università di Berlino (pubblicate però solo nel 1 904) . A noi comunque interessa più l'ultima parte del lavoro , in cui Dirichlet si pone il problema dell'integrabilità delle funzioni con infiniti punti di discontinuità : Quando le soluzioni d i continuità sono in numero infinito - egli dice - è nec.essario che la funzione cp (x ) sia tale che, se si indicano con a e b due quantità comprese tra [gli estremi di integr�fone] - 1T e 1T, sia sempre possibile inserire tra a e b due altre quantità r e s in modo che la funzione sia continua nell'intervallo da r a s.

In altre parole, Dirichlet sembra affermare che condizione necessaria per l'integra­ bilità di una funzione cp sia che l'insieme dei suoi punti di discontinuità sia "rado" (nowhere dense) cioè che la sua chiusura non abbia punti interni. Per corroborare la sua affermazione egli introduce la celebre funzione di Dirichlet :

cp(x) =

{�

se x è razionale se x è i rrazionale ,

dicendo che una tale funzione non può essere integrabile. La condizione sopra descritta non è né necessaria né sufficiente ; comunque l'inte­ resse della memoria di Dirichlet sta nell'aver legato esplicitamente l'integrabilità di una funzione all'insieme dei punti di discontinuità, dando così inizio a uno studio che si protrarrà fmo all'apparire della teoria di Lebesgue. Nello stesso lavoro Dirichlet promette di tornare sulla questione dell'integrazione delle funzioni discontinue , senza peraltro dare seguito al proposito. Possiamo però farci un'idea delle sue ricerche da quanto pubblicato da Rudolph Lipschitz ( 1 832-1 903) nel 1 864. Questi considera il caso in cui il derivato ç} D dell'in­ sieme D dei punti di discontinuità è fmito, ad esempio è costituito dal solo primo estremo a . In (a + e, b) ca d e allora un numero fmito di punti di discontinuità, e si può usare la defmizione di Cauchy. L 'integrale tra a e b sarà così il limite per e -+ 0 d e ll'int egral e tra a + e e b . 4

Gran parte del materiale per questo paragrafo mi è stato fornito da G. Letta.

267

L 'integrale di Lebesgue in Rn

Siamo dunque davanti a una sorta di integrale improprio ripetuto; è evidente come si possa generalizzare questo risultato al caso in cui il derivato n-esimo di D sia fmito (e dunque l'(n + I)-esimo sia vuoto). Nel seguito chiameremo insieme di prima specie un insieme con derivato n -esimo vuoto, per qualche intero n . E' chiaro che un insieme di prima specie è rado; in realtà Lipschitz pensa che sia vero il viceversa, e addirittura afferma che un insieme rado ha derivato fmito, credendo così di aver dimostrato la sufficienza della condizione di Dirichlet. Questo errore non deve stupire poiché i concetti topologici erano all'epoca in una fase estremamente primitiva. Possiamo anzi dire che la storia dell'integrazione, tra la memoria di Riemann e quella di Lebesgue, è in gran parte la storia della preci­ sazione graduale, non priva di errori e circoli viziosi, dei concetti topologici di insieme rado e insieme di prima specie e delle loro relazioni con gli insiemi di misura nulla. La memoria di Riemann, presentata come tesi di abilitazione alla libera docenza all'Università di Gottinga nel 1 85 4, resta praticamente sconosCiuta fino al 1 86 7 , quando viene pubblicata a cura di Dedekind. In essa, dopo aver introdotto l'integrale che porta il suo nome, Riemann si pone il problema di caratterizzare la classe delle funzioni integrabili. Il risultato fmale è il seguente: Condizione necessaria e sufficiente affinché una funzione limitata f(x) sia integra­ bile è che per ogni a, 5 > O esista una suddivisione dell 'intervallo (a , b) in un numero finito di intervalli tale che la somma delle lunghezze di quelli nei quali l 'oscillazione della funzione supera a risulti minore di 5 . 5 5 Per comodità del lettore riportiamo l a dimostrazione della sufficienza della condizione. Dati a e lì , sia D la suddivisione in questione, e indichiamo con Jh ( h = l , 2, . . . , n ) quegli intervalli in cui l'oscillaz ione della funzione supera a (che hanno misura totale minore di lì ) e con lk (k = l , 2 , . . . , N ) gli altri. Sia al solito

e sia L = sup f,

(a , b)

l = inf f. (a , b )

L e funzioni

N .p (x ) = �

n

Mk .Pl + L � .Pjh ' k h=l k=l

N 1/1 (x) = �

n

m k .P/ k + l � .Pjh h=l k= l

sono rispettivamente una maggiorante e una minorante di f, e si ha

f b

a

N [.p (x) - 1/i(.�) ] dx = �

n

(Mk - m k ) m (lk) + (L - 1 ) � m (Jh ) .;;; h=l k=l

N O in /, l'applicazione t -+x(t ) è invertibile in un intorno di x0 =x(t0 ). Se indichiamo con t(x) la funzione inversa, la curva 1/J avrà la rappresen· tazione

y =y (t(x)) in un intorno di x0 • •

2 79

Curlle e superfici

Esempio 1 . 9

Supponiamo che due osservatori descrivano lo stesso fenomeno, ad esempio il moto di una particella, usando due orologi diversi. Indichiamo con t il tempo segnato dal primo orologio e con r quello segnato dal secondo. Il primo osservatore descriverà il moto mediante la curva oraria I{J(t ), t E [a, b ], e il secondo con la curva oraria 1/J (r), r E [c, d]. E' chiaro che le due curve e 1/J non sono indipendenti, e anzi l'una potrà essere ricavata dall'altra non appena sarà nota la relazione tra il tempo segnato dal primo orologio e il tempo r segnato dal secondo. Se questa relazione è 1fJ

t

r = p (t),

si avrà evidentemente I{J (t) = I/J ( p (t))

e anche

In generale: Due curve regolari a tratti I{J : [a, b ) -+ Rn e 1/J : [c, d ] -+ Rn si dicono equivalenti se esiste un diffeomorfismo p : [a, b] -+ [c, d ] di classe C 1 , tale che per ogni t E [a, b) risulti l{)( t ) = 1/J ( p(t)) (e dunque 1/J (r) = lfJ( p - 1 (r)) per ogni r E [c, d ] ). Defmizione 1 .2

Se e 1/J sono equivalenti, scriveremo - 1/J . Osserviamo che i diffeomorfismi di un intervallo [a, b ] in un intervallo [c, d] sono le funzionip(t) di classe C 1 tali che p ' (t ):#0. Se p' (t) > O, l'applicazione p è crescente e si ha p (a) = c, p (b) =d; se invece p ' (t ) < O, risulta p (a) = d e p(b) = c. Nel primo caso diremo che le curve 1/1 e lf' = 1/J p hanno lo stesso verso, nel secondo caso che hanno verso opposto. 1fJ

1fJ

o

Esempio 1 . 1 0

curva dell'esempio 1 .3, di equazioni parametriche = c� s t O � t � 2 1T, = sm t è equivalente alla curva =cos 2r = sin 2r La

{x y

{x

y

280

Capitolo settimo

che può essere ottenuta dalla prima mediante la trasformazione r = t/2. Non è invece equivalente alle precedenti la curva di equazioni parametriche x = cosu O � u � 41T, y=sinu come si vede facilmente osservando che le prime curve sono semplici mentre l'ultima non lo è . Si osservi che tutte le curve considerate hanno lo stesso sostegno ( la circonferenza di raggio l ), cosicché curve con lo stesso sostegno non sono in generale equivalenti. Si può però dimostrare che se due curve regolari e semplici hanno lo stesso soste­ gno, allora sono equivalenti (vedi teorema 2 .3). Osservazione relazione sopra definita è effettivamente una relazione di equivalenza. L'insieme delle curve regolari a tratti si può quindi dividere in classi disgiunte di curve equivalenti, in altre parole si può considerare l'insieme quoziente rispetto alla relazione di equivalenza .. tra curve. Un elemento di tale quoziente non è altro che una classe 'Y i cui elementi sono tutte le curve equivalenti a una curva data; 'Y prende il nome di cammino. Se I{J (t ) è una curva di si dirà che lfJ (t ) è una rappresentazione parametrica del cammino 'Y. Si noti che se ci si limita a considerare curve semplici, un cammino è individuato univocamente dal sostegno, cosicché avrà senso parlare di cammini quali la circonfe­ renza di centro O e raggio 2, oppure la frontiera del quadrato di lato 4 centrato nel punto ( 1 ,3). • Osservazione Tra le curve regolari a tratti si può considerare una relazione di equivalenza più forte della precedente. Date due curve I{J e t/1 , diremo che l{) .!. t/l se I{J "' t/1 e se I{J e t/1 hanno lo stesso verso. Una classe di equivalenza rispetto alla relazione .. ,t .. si chiamerà cammino orien­ tato . E' chiaro che ogni cammino 'Y si spezzerà in due camm ini orientati 'Y + e 'Y - , cia­ scuno composto da curve di aventi uno stesso verso (opposto a quello dell'altro)

{

1. 1 . La

_,

'Y,

1.2.

'Y

. •

Esempio 1 . 1 1 I{J(t) I{J(t0 ) I{J(t 1 )

Sia una curva regolare e siano t0 , t 1 due punti di J (vedi fig. 7 .3). La retta passante per e ha la rappresentazione parametrica Se passiamo al limite per t 1 -+ t0 si ottiene la retta tangente a nel punto lfJ(t0) 1/J

l{)( t o ) + 1/J' (to ) (t - t o ) .

281

Curve e superfici y

Figura 7.3

Il vettore IP'(t0 ) si chiama vettore velocità (ed è infatti la velocità di un punto materiale che si muova con curva oraria �P(t )); il vettore unitario (o versore) T(t o ) = IP' (t o ) I I �P ' (t o ) l

( l l indica la norma in Rn ) si chiama versore tangente alla curva nel punto P0 = 'l'(t0). Si noti che I �P' (t0 )1 oFO dato che la curva è regolare. Se 1/l (r) è una curva equivalente a e con lo stesso verso, e cioè se 'P

p ' (t) > O,

�P(t) = 1/l ( p(t)),

si ha P0 = 'l'(t0 ) = 1/1 (p(t )) e o

,

1/l ' (p (t o ))p ' (t o ) 1 1/l ' (p (t o ))l l p ' (t o )l

' 1/l (p (t o )) . 1 1/l '(p (t o ))l

Si vede allora che il versore tangente a una curva in un punto non cambia se si so­ stituisce alla curva data una seconda curva ad essa equivalente, e con lo stesso verso. Si potrà dunque defmire il versore tangente a un cammino orientato in un punto P0 , come il versore 'Y

IP ' (t o ) I �P ' (t o )l '

dove è una qualsiasi rappresentazione parametrica di e �P (t0 ) =P0 . • 'P

'Y

282

Capitolo settimo

Esercizi

1 0. 1 Si trovi il versare tangente nel punto P0 = .p ( O) delle seguenti curve :

{ {

(a)

{

(b)

(c)

{

(d)

x=t-2 y = t + sin t x = te' y = ln( l + t)

- l :E;;; t :E;;; l - l f2 :E;;; t :E;;; 1 /2

x =R cos t y = R sin t z =at x = t l tl

y = t - cos t

1 0. 2 Si scriva una rappresentazione parametrica dei seguenti cammini: (a) il segmento che unisce i punti ( l , l , l ) e (2, - l , O); (b) la frontiera del triangolo di vertici (0, 0), (0, l ) e ( l , 0); (c) la frontiera dell'insieme E = (x, y) E R 2 : l xi + I Y I < l .

2

Lunghezza di uua curva

Defmizione 2.1

numero

b

Sia

L(.p)= J l .,o'(t)l d a

.p

:

[a, b ] � Rn una curva regolare. Si chiama lunghezza di .p il

t.

(2 . 1 ]

Ricordiamo che l .,o'(t)l indica la norma in Rn del vettore .,o'(t):

Un semplice ragionamento mostra che la definizione 2 . 1 può essere estesa anche a curve regolari a tratti. Se .p è regolare a tratti, la sua derivata .,o' è una funzione con· tinua in (a, b), tranne al più in un numero fmito di punti in cui presenta discontinuità di prima specie. La funzione I IP'(t )l è dunque certamente integrabile in (a, b) e la (2. 1 ] può essere presa come defmizione per la lunghezza della curva .p.

Esempio 2. 1

L'equazione parametrica della circonferenza di centro l'origine di R 2 e raggio l è .p :

{

x = cos t

y = sin t

283

Curve e superfici

Si ha lp'(t) = (- sin t, cos t ) e dunque l lp' ( t)l = l , cosicché

L (-.p) =

2 '11'

J l lp'(t)l d t = 2 7T.

o

Osserviamo che se si fosse fatto variare il parametro t nell'intervallo [ 0, 4 7T) si sarebbe ottenuta una curva con lo stesso sostegno (ma non equivalente) della prece­ dente, e di lunghezza 4 7r. •

Esempio 2. 2

{

La curva di equazione parametrica

lp :

x = t2

- l �t� l

y = t3

ha lunghezza

1

1

L(lp)= J Vx'(r)2 + y'(tl dr=2 J t V4 + 9 r 2 = n2 ( 1 331 2 -1

- 8).



o

Abbiamo già osservato che due curve con lo stesso sostegno non hanno in genere la stessa lunghezza. Questo dipende dal fatto che in genere due curve con lo stesso sostegno non sono sempre equivalenti. Teorema 2.1

ghezza.

Se lP e 1/J sono curve regolari equivalenti, allora hanno la stessa lun­

Dimostrazione. Siano lp : [a, b ) -+ R n e 1/J : [c, d) -+ R n due curve equivalenti, e sia p : [a, b ) -+ [c, d) un diffeomorfismo tale che Si ha

lp (t) = l/J ( p (t)).

[2.2]

d

J

L (l/1) = l l/J '(r) l d r, c

ed eseguendo la sostituzione r =p (t ) , p- ' (d )

L( l/1) = J

p - ' (c)

1 1/J '( p (t)) i p'(t) d t .

D'altra parte dalla [2.2 ) segue

lp 1 (t) = 1/J '( p(t)) p'(t),

[2 3 ] .

284

Capitolo settimo

e dunque

J

J

b

b

a

a

L (�P) = I �P' (t)l d t = 1 1/J '(p (t)) l l p ' (t) l d t .

[2.4)

Ricordiamo a questo punto che la funzione p (t ) deve essere monotona. Se p(t) è crescente, si ha p ' (t) > O, p - 1 (c) = a e p - 1 (d) = b . Se invece p (t ) decresce, sarà

p ' (t) < o, p - 1 (c) = b e p -1 (d ) =a. I n ogni caso, confrontando l a [2.3] con la [2.4] s i ottiene L (�P) =L ( 1/1 ). •

In virtù del teorema precedente, è possibile definire la lunghezza di un cammino come la lunghezza di una qualsiasi delle curve che lo rappresentano

"f ,

L ("!) = L (�P), �P E "f .

La lunghezza di un cammino "! non dipende dalla curva lP scelta; in altre parole la lunghezza di un cammino è indipendente dalla parametrizzazione adottata. A questo punto sarà opportuno spendere qualche parola per giustificare la defini­ zione 2 . 1 . Sia �P( t) una curva regolare a tratti, lP : [a, b ] -+ R n . Indichiamo con P una partizione dell'intervallo [a, b ], fatta mediante i punti

a = t0 < t 1 < .. . < tN - t < tN = b e poniamo

N L (P) = � I �P(t;) - �P(t; _ J I . i= l

Il numero L(P) non è altro che la lunghezza della poligonale di vertici �P(a). �P(t J ), ... , 1/' (tN - d , �P(b). (Vedi fig. 7.4.) Al variare della partizione P il numero L(P) descrive un insieme numerico il cui estremo superiore coincide con la lunghezza della curva Il' · Si ha infatti il seguente Teorema 2 .2

Se lP : [a, b ] -+ Rn è una curva regolare a tratti si ha

L (�P) = sup {L (P), PE,9J( [a, b ) )}.

[2. 5 )

dove si è indicato con 9( [a, b ] ) l 'insieme delle partizioni dell'intervallo [a, b ]. Alla dimostrazione del teorema 2.2 premettiamo il seguente Lemma 2.1 Sia g(t ) una funzione continua nell'intervallo [a, P] a valori in Rn ,

sia t0 un punto di [a, /3 ). Risulta �



J lg(t)l dt-2 f lg(t)





-

p

J

g(t o ) l d t O esiste un 6 > 0 tale che, se t e t 0 sono due punti d i [a , b], con l t - t0 1 < 6 , risulta

I IP ' (t) -IP' (t o )l < e . Ciò premesso, sia e > O e sia P una partizione dell'intervallo [a , b ] in intervalli [t; - 1 > t; ], ognuno dei quali di ampiezza minore di 6 . Per il lemma 2 . 1 risulta

I �P(t; ) - IP(t;_ 1 ) 1 = 1







ti - 1

ti - l

ti - l

J l(t) d t l � J I IP' (t)l d t - 2 J

I IP' (t) - IP' (t o )l dt,

dove t0 è un qualsiasi punto dell'intervallo [t1 _ 1 , t; ] . Al variare di t nell'intervallo (t; - t > t; ] risulterà sempre l t - t0 i < 6 , e dunque I IP '(t ) - IP ' (t o ) l < e. Allora

J I IP'(t)l d t - 2 e(t1 - t1_ t ) ,

t;

I �P(t;) - �P(t1_ 1 ) 1 �

ti - l

e sommando d a l a N:

J b

L(P) � I IP' (t)l d t - 2 e (b - a ) . a

Da questa relazione segue immediatamente sup L (P) � L (IP) - 2 e (b - a ) ,

28 7

Curve e superfici

e, per l'arbitrarietà di

e,

sup L (P ) ;;.o L (I{J), che confrontata con la [2 . 1 0 ] completa la dimostrazione del teorema.



Concludiamo questo paragrafo introducendo la nozione di integrale di una fun­ zione su un cammino , e quella di ascissa curvilinea . Sia 'Y un cammino e sia I{J( t ) , a � t � b . una rappresentazione parametrica di 'Y· Se si pone

s(t) =

t

J II{J'(r)l d

r.

a

la funzione s (t ) è di classe C 1 in [a ' b ] e risulta

s ' (t) = l i{J ' (t)l > O,

cosicché s (t ) è un diffeomorfismo di [a, b ] nell'intervallo [0, L (-y)]. Se si indica con t(s) la funzione inversa e si pone

1/l {s) = I{J(t (s)), O � s � L (-y), la curva 1/1 (s) è equivalente alla I{J(t ) (e ha lo stesso verso), cosicché rappresenta lo stesso cammino 'Y . Il parametro s si chiama ascissa curvilinea; il suo significato geometrico è evidente: a un certo punto P sul cammino 'Y compete il valore del parametro s pari alla lunghez­ za della porzione di 'Y compresa tra P e il primo estremo I{J (a) . E' facile vedere che se si assume s come parametro, risulta

cosicché 1/J ' (s) ha lunghezza l in ogni punto, ed è il versore tangente a P = l/l (s) . Con l'aiuto dell'ascissa curvilinea possiamo dimostrare il seguente

'Y

nel punto

Teorema 2.3 Due curve regolari e semplici sono equivalenti se e solo se hanno lo

stesso sostegno . Dimostrazione. Siano l{) : [a, b ] -+ Rn e 1/1 : [c, d ] -+ Rn due curve regolari e semplici, con lo stesso sostegno �. Osserviamo che , poiché le curve sono semplici, il teorema 2.2 garantisce che sia la lunghezza totale, sia le lunghezze d'arco tra due punti sulla curva, dipendono solo dal sostegno � e non dalle curve l{) e 1/1. Siano ora t

s(t) =

J a

J r

I I{J' ( r) l d r

e

a (r) =

c

i l/l ' ( p)l d p

288

Capitolo settimo

le lunghezze d'arco di I:

1fJ

e 1/1 rispettivamente. Poiché le curve sono semplici, ogni punto

P di (esclusi al più gli estremi) proverrà da un solo tp E (a, b) e da un solo rp E (c, d), e si avrà s ( tp)=a(rp) ovvero s (tp)=L- a (rp) a seconda che sia lfJ (a)= l/l (c) ovvero lfJ (a)= l/l(d). funzione p (t)= P -1 (s (t)) nel primo caso , e p (t)=a-1(L -s(t)) nel La

secondo , dà il diffeomorfismo richiesto tra

lfJ(t)

1fJ

e 1/1 . •

Sia ora una curva regolare a tratti, e sia aperto A di R" contenente il sostegno di Si defmisce integrale di f lungo 1fJ il numero

lfJ.

f (x) una funzione defmita in un

b

J tds= J t (lfJ (t))l./(t)l dt.

'P

(2 . 1 1 1

a

Si può vedere, ragionando come nel teorema 2 . 1 , che se 1/1 è una curva equivale nte

a

I{J, risulta Jtds= J td s , "'

1{1

cosicché si può defmire l'integrale di una funzione { lungo un cammino 'Y come l'inte­ grale di / lungo una qualsiasi curva 1fJ di -y:

Jtd s= J tds, I{J E -y.

'Y

1{1

Esempio 2. 3

Sia 'Y (vedi fJg. 7.5) il cammino di equazioni parametriche

se

OEO;t < l

se

l EO; t E0; 2 .

y

2

Figura 7.5

x

289

Curve e superfici

.l

ha:

Si

eX + y d s

'Y

1

= J2 y(t) l.p'(t)l t= r e21 V2 t+ J2 e + 1 t= (e2 6 o

eX (t) +

d

d

1

t

d

- l )/Vl

+ e3 -e2

.•

Esercizi

{ {

2.1

Si trovi la lunghezza delle seguenti curve: O�t�2 (a) ;z =t= �32 /3/Vl x=t O� t � 2 y = 3 t2 /2 z= 3 t3 /2 x=t (c) {y=l nt x=t smt c�st O � t � tr/2 (d) y=t z=t t+ (2 - t) sin t O�t �2 (e) { yx==sin t+cos(2-t)cost { x=et sin t O � t � tr/2 y cost 2u arcsin u du \ l -u2 O � t � tr/3 2 u2 + (arcsin u) y= J l -u2 du x=R(t-sint) o� t� 21r (cicloide). (h) { y=R(l -cost) Si dimostri che la lunghezza della curva y =[(x), a � x � data dall'espressione ' L(.p)= J v'l + lf (x)l2 dx. Si calcoli la lunghezza delle seguenti curve (a) y=ln é -+ ll l �x � 2 y=ex (c) y=(a2t3 -x2'3 )3 / 2 Ol �� xx ��2a (asteroide). (b)

{

(f)

1-

= et

x ;=

(g)

sin t

o

sin t o

2.2

b, è

b

a

(b )

eX

290

Capitolo settimo

{

p = p (t)

{

x = p (t) cos 8 (t)

2. 3 Un cammino in R 2 si può scrivere in coordinate polari 8 = 8 (t)

che corrispondono alle equazioni parametriche

y = p (t) sin 8 (t)

a .. ) =f(x , y , z) + ">.. F (x , y , z) .

In maniera del tutto analoga si dimostra che i punti di massimo e di minimo di una funzione di due variabili f(x, y), con vincolo F (x, y) :o: O , sono punti stazionari liberi per la funzione H(x, y , ">..) =f(x , y).+ ">.. F (x, y).

In generale, i punti di massimo e di minimo di una funzione di n variabili

con i vincoli F1 (x 1 , . . . , Xn ) = O F2 (X 1 , . . . , Xn ) = O

sono punti stazionari per la funzione ( di n + m variabili) H(x l > . . , Xn , À 1 o . . . , Àm ) = f(x � o . . . , Xn ) + À1 F1 (x l , . . . , Xn ) + . . . + Àm Fm (X 1 , . . . , Xn )· .

Esempio 7. 4 Consideriamo di nuovo il problema dell'esempio 7 . 2 ; si tratta di trovare il minimo della funzione

l 2 2 f(x, y) = mgy + -:::- k {(x - 1 ) + y }, L.

con il vincolo x2 + y2 - l = 0 .

In questo caso il sistema [7 . 5 ] diventa

{

k (x - 1 ) + 2 ">.. x = O mg + ky + ny = O x2 + y2 = l .

Dalle prime due equazioni si ricava x = k / (k + n ) ,

y = - mg/ (k + 2">.. ),

e, introducendo questi valori nella terza,

(7.6]

326

Cllpitolo settimo

Le soluzioni del sistema [7.6] sono allora i punti

P1 = (k/ 'h2 + m2g2 , - mgfVk2 + m2gl ) Pz = -Pl = (- kfVk 2 + m2gl ,

mgfVk2 + m2gl ) .

Calcolando i valori della funzione f nei punti P 1 e P2 si conclude che P 1 è un punto di minimo e P2 di massimo vincolato. •

Esempio

7. 5

Si trovino le dimensioni di una scatola a forma di parallelepipedo, senza coperchio, che ha volume massimo , se l'area della sua superficie è 1 2 (vedi fig. 7 1 6 ) . Si tratta di minimizzare la funzione .

f (x, y, z) =xy z , con l a condizione

xy + 2xz + 2y z = 1 2 . Il corrispondente sistema è

y z + Xy + 2 Xz = O x z + Xx + 2 Xz = O xy + 2 Xx + 2 Xy = O

{

xy + 2xz + 2yz = 1 2 ,

che risolto dà

z= 1,

x =y = 2,

x =y = - 2 , z = - 1 ,

X = - 1 /2 À= 1 /2 .

La prima soluzione dà evidentemente il massimo cercato . •

z

x

Figura 7 . 1 6

Curve e superfici

32 7

Esempio 7. 6 Si trovi il valore massimo e il valore minimo della funzione

f(x , y , z) = x + 3 y - z , nell'insieme G defmito dalle equazioni

{

x1 + y1 - z = O

[7 .7 ]

z = 2x + 4y .

Primo metodo . Cerchiamo una rappresentazione parametrica di G . Eliminando z dalle [7 .7 ] si ottiene

x1 +y1 = 2x + 4y , d a cui (x - 1 )1 + (y - 2)1 = 5 , cosicché G ha equazioni parametriche

Vs cos 6 y = 2 + Vs sin 6 x=l +

z = 2x + 4y = 1 0 + 2 Vs (cos 6 + 2 sin 6). Occorrerà in definitiva trovare il massimo e il minimo della funzione F(6 ) = - 3 - Vs (cos 6 + sin 6 ) nell'intervallo [0, 2 7T). Si ha

La

F(7T/4) = - 3 - v'i0 ,

derivata della funzione F si annulla per 8 = 7T/4 e 8 = 5 7T/4. F(5 7T/4) = - 3 + VlO

e inoltre F(O) = F(2 7T) = - 3 - Vs, cosicché il massimo per f è - 3 + .JiO, assunto nel punto di coordinate ( 1 - VSTi , 2 - .J5Ti , 1 0 - 6 .J5Ti), mentre il massimo è - 3 - .JiO, assunto nel punto ( l + VSTi , 2 + VSTi. l O + 6 V5Ti).

Secondo metodo . Usando il metodo dei moltiplicatori di l.agrange, si cercheranno i punti stazionari per la funzione (di cinque variabili)

x + 3 y - z + X (x1 + y1 - z) + �-t(z - 2x - 4y ),

Cllpitolo settimo

328

cioè le soluzioni del sistema 1 + nx - 2 �-L = O 3 + ny - 4�-L = o - 1 - X + �-! = 0 x2 + y2 = z 2 x + 4y = z . Dalle prime tre equazioni si ricava Il = l + À, e x = ( l + 2 X)/2 À,

y = ( l + 4 X )/2 À .

Introducendo tali valori di x e y nell'equazione x 2 + y 2 = 2x + 4y , si ottiene un'equazione in À, che ha come soluzioni

cosicché i punti stazionari per la funzione considerata saranno

+ Vsfi,

y = 2 + Vsfi .

z = l 0 + 6 Vsfi

x = l - Vsfi ,

y = 2 - Vsfi ,

z = l 0 - 6 #2

x= l e

(i valori di À e Il sono a questo punto senza importanza), corrispondenti il primo al minimo e il secondo al massimo vincolato della funzione. • Esercizi 7 . l Trovare il minimo delle funzioni seguenti, con i vincoli indicati a la to di cia­ scuna di esse :

(a) (b)

(c) (d) (e)

x2 + y2 + z2 ' 3 x 2 + 2y2 + 4z 2 , x2 + y 2 + z 2 ' x 2 + y 2 + z 2 + t2 ' 2x 2 + y 2 + z 2 , 7. 2

x + 3y - 2 z = 4 2x + 4y - 6 z + 5 = O x + 2y + z - l = O x + y -z + 2 t = 2 x2 y z = l ,

e e

2x -y - 3 z - 4 = 0 2x -y + z + 3 t = 3

Una tenda è della forma di un cilindro sormontato da un cono (vedi fig. 7 1 7 ) e la superficie totale è 1 00, si trovi l'altezza H

Se la base del cilindro ha diametro l O

.

.

del cilindro e quella h del cono in modo che il volume sia massimo. 7. 3

Sia a = (a 1 , a 2 , . . . , an ) un vettore di R n . Si trovi il massimo del prodotto scalare (a, x) = a 1 x 1 + a2 x 2 + · · · + an Xn

329

Curve e superfici

H

, ... ... - - - - - - - - ... ....

Figura 7 . 1 7 sulla sfera unitaria S=

{x E R n : x � + x � +

7.4 Trovare

x 2l x 22

••.

il

massimo e

···

il

+ x� = l } .

minimo della funzione

xn2

sulla sfera unitaria S.

7.5 Siano

h�o

b 2 , . . . , bn numeri positivi. Dimostrare che (b i b 2 . . . b n ) 1 1 n :so;; (b l + b 2. + + b n )/n (Si ponga x f = s bi, con s = b 1 + b 2 + + b n , e si sfrutti il risultato dell'esercizio pre­ ···

···

cedente. )

7 . 6 Trovare il punto o i punti della curva x4 + y4 + 3 x y = 2 che sono più vicini all'origine, e quelli che sono più lontani.

7. 7 La sezione di una grondaia è un trapezio isoscele (vedi fig.

7. 1 8). Se la grondaia

è fatta piegando una striscia di metallo larga 54 cm, quali devono essere le dimensioni

in modo che l'area della sezione sia massima?

Figura 7 . 1 8

330

Ozpitolo settimo

Figura 7 . 1 9



8= (1, 1)

Figura 7.20 7 . 8 Un pentagono è composto da un rettangolo sormontato da un triangolo isoscele (vedi fig. 7 . 1 9). Se il pentagono ha perim e tro flSSato P, trovare le dimensioni che danno area massim a. 7 . 9 Trovare le dimensioni del parallelepipedo di massimo volume con spigoli pa­ ralleli agli assi, che può essere iscritto nell'elissoide

{

y2 z2 xl E = (x , y , z ) E R3 .· - + - + - = l 16 9 4

}

7 . l O Trovare u n punto sulla parabola y = x 2 in modo che la somma dei quadrati delle distanze dai punti ( 3 , 0), (0, 7 /2) e ( 1 , O) sia minima. -

7 . 1 1 Un campo è percorso da un canale rettilineo di equazione x = - y. Un uomo parte dal punto A (vedi fig. 7. 20), attinge acqua nel canale, e poi la porta nel punto B . Si trovi il punto in cui deve essere presa l'acqua in modo che il percorso totale sia minimo.

Notizie storiche

Insieme ai problemi delle quadrature, cui sono ovviamente collegate, le questioni riguardanti la forma e le proprietà delle linee curve e delle figure da esse racchiuse rappresentano uno dei campi di indagine favoriti dei geometri dell'antichità classica. A parte la retta e il cerchio, il cui dominio su tutta la geometria greca è totale e in-

Curve e superfici

331

contrastato (si pensi soltanto al ruolo delle costruzioni con riga e compasso negli Ele­ menti di Euclide), lo sforzo maggiore è diretto verso lo studio delle sezioni coniche (l'ellisse , la parabola e l'iperbole ), ottenute, come dice il loro nome , secando un cono con un piano che non passi per il vertice. La loro scoperta è in genere attribuita a Menecmo (quarto secolo a. C.) che se ne serve per la risoluzione del famoso problema di Delo , o della duplicazione del cubo, ottenuta mediante l'intersezione di due para­ bole ; Aristeo (terzo secolo a. C.) ed Euclide scrissero su di esse trattati oggi perduti, ma in parte rifusi nella più esauriente trattazione }asciataci dall'antichità, e dovuta ad Apollonio di Perga (terzo secolo a. C.). L'opera di Apollonio era originariamente in otto libri; di questi i primi quattro ci sono pervenuti nella loro stesura originale in greco , i successivi tre solamente in una versione araba, l'ultimo è andato perduto . Non sarà possibile qui esaminare neanche di sfuggita il contenuto dell'opera di Apol­ lonio ; ci limiteremo a riservare la nostra attenzione a due aspetti. Il primo, quello delle tangenti, è trattato nei primi due libri, nei quali probabilmente Apollonio non fa altro che riportare e risistemare risultati noti. E' appena il caso di ricordare come la ricerca delle tangenti sia uno dei problemi che condurranno nel secolo diciassettesimo all'in­ venzione del calcolo. Il secondo problema, senz'altro meno importante di per sé, ma che come vedremo avrà un peso non indifferente nella storia della geometria, è il co­ siddetto problema di Pappo (terzo-quarto secolo d . C.): "Date 2 n rette nel piano, tro­ vare il luogo dei punti P tali che il prodotto delle distanze di P dalle prime n di esse sia proporzionale al prodotto delle distanze di P dalle rimanenti." In formule , [l]

dove K è una costante, e si è indicato con d ( P , r;) la distanza di P dalla retta r; (i � l , . . . , 2 n). Apollonio enuncia e risolve questo problema nel caso di quattro rette (n � 2) di­ mostrando che il punto P sta su un cerchio o su una delle sezioni coniche. Mezzo mil­ lennio più tardi il problema sarà enunciato nella sua forma più generale da Pappo nelle sue Collezioni Matematiche, senza registrare progressi rispetto alla soluzione di Apol­ lonio ; nel 1 600 esso fornirà a Descartes il punto di partenza per la creazione della nuova geometria. Le sezioni coniche sono l'unica classe di curve nota ai geometri greci; le altre sono infatti linee speciali, introdotte e usate con notevole inventiva per la soluzione di problemi particolari, in primo luogo quelli classici. E' da ricordare a questo propo­ sito la quadratrice (la prima curva, oltre il cerchio e la retta, introdotta nella matema­ tica greca), con la quale lppia (quinto secolo a. C.?) riesce a trisecare l'angolo, e che più tardi viene usata da Dinostrato (quarto secolo a. C.) per la quadratura del cerchio. Sono ancora da menzionare la spirale di Archimede (curva di equazione in coordinate polari p �a 8 ) che può essere usata anch'essa sia per la trisezione dell'angolo che per la quadratura del cerchio ; ed inoltre la cissoide di Diocle (secondo secolo a. C.) e la concoide di Nicomede (secondo-terzo secolo a. C .), con le quali si esaurisce pratica­ mente il panorama delle curve della geometria greca, un universo tutto sommato chiuso e angusto. In effetti, i greci non avevano un metodo abbastanza generale per la costruzione di curve ; quello usato per le coniche (intersezione di superfici note, nel caso specifico un cono e un piano) non era suscettibile di ulteriori sviluppi (un tenta­ tivo in tal senso è dovuto a Sereno , vissuto dopo il terzo secolo a. C . , che studia le intersezioni di un piano con cilindro, per ricadere di nuovo nelle sezioni coniche) e comunque non faceva che spostare il problema alle superfici, aumentandone così la complessità.

332

Cllpitolo senimo

D'altro canto il metodo "cinematico", quello usato da Archimede nella costruzione della spirale, era troppo legato al caso particolare per poter essere di qualche utilità nella generazione di classi estese di curve. Infine si deve rilevare l'estrema riluttanza dei geometri classici a uscire al di là della geometria della riga e del compasso; in conseguenza di tale atteggiamento le curve più complesse erano accettate solo come problemi, non come strumenti. Un tipico esempio a questo riguardo è costituito dai tre problemi classici dell'antichità: la quadratura del cerchio, la duplicazione del cubo e la trisezione dell'angolo, la solu­ zione dei quali, ottenuta per mezzo di curve ausiliarie (la quadratrice, la parabola) viene sempre considerata difettosa ed è accettata solo in mancanza dell'unica ritenuta rigorosa, cioè una costruzione con riga e compasso, la cui impossibilità verrà dimo­ strata solo agli inizi dell'Ottocento. Ancora meno sviluppata è la teoria classica delle superfici; in realtà l'unico risultato di grande interesse che riguardi le superfici in quanto tali (non intese cioè come fron­ tiere di solidi) è l'uguaglianza, dimostrata da Archimede, tra la superficie della sfera e quella laterale del cilindro circoscritto. E' da notare a questo proposito che nella geo­ metria greca non vi sono risultati riguardanti la lunghezza di una curva, come peraltro è facilmente comprensibile, se si pensa che di tutte le curve studiate la più semplice (per quel che riguarda la lunghezza) è la parabola, la cui rettificazione dipende dalla quadratura dell'iperbole, cioè dai logaritmi. Dopo la rinascita della geometria nel sedicesimo secolo, un posto di rilievo viene assunto dalla teoria delle sezioni coniche, sia dal punto di vista strettamente mate­ matico che da quello delle numerose applicazioni a problemi fisici. Un passo avanti di grandissima importanza viene fatto in questo campo da Fermat, che introduce esplicitamente un sistema di coordinate (più tardi chiamate impropriamente coordi­ nate cartesiane) per rappresentare i punti del piano. Egli sceglie un sistema di riferi­ mento che per comodità assume ortogonale; dopodiché nell'Introduzione ai luoghi piani e so lidi, afferma che "ogni volta che in un'equazione finale si trovano due quan­ tità incognite, si ha un luogo". A partire da questo enunciato generale, Fermat studia in dettaglio le equazioni di primo e secondo grado, facendo vedere che le prime sono caratteristiche delle rette, le seconde del cerchio e delle sezioni coniche. Nella sua analisi il geometra di Tolosa non va oltre, anche perché il suo punto di vista è ancora troppo legato agli schemi classici: per lui, come per gli antichi geometri greci, le curve sono date tramite la loro costruzione (per le sezioni coniche si tratta di secare il cono con un piano) e il problema consiste nello studio delle loro proprietà, in particolare di quelle che le caratterizzano. Ad esempio, per Fermat la parabola, defmita come un'opportuna sezione del cono, è caratterizzata dall'equazione y = ax 2 , così come alla stessa relazione (espressa ovviamente non in termini algebrici ma geometricamente come rapporto tra il quadrato dell'ascisse e il rettangolo formato dall'ordinata e da un segmento fissato) era giunto Apollonia. Un completo ribaltamento è invece operato da Descartes, la cui Géometrie, pub­ blicata nel 1 637 come uno dei saggi del famoso Discorso sul metodo , e che ha cono­ sciutto un numero considerevole di ristampe e traduzioni (recentemente anche in italiano), segna il punto di transizione della matematica antica a quella moderna. Descartes prende lo spunto dal classico problema di Pappo nella sua forma generale, e lo risolve in un modo che è sostanzialmente il seguente. retta i-esima avrà un'equazione La

a;X + b; Y + c; = O ,

333

Curve e superfici

dove si può supporre che 2 2 a; + b; = 1 . In questo caso, la distanza di un punto P di coordinate (x , y ) da r; sarà data da d(P, r;) = la; X + b;y + C; 1 . Perché dunque P verifichi l'equazione [ l ] si dovrà avere l (a 1 x + b 1 y + c i ) (a 2 x + b 2 y + c 2 )

•••

(a n x + b nY + c n ) l =

= K I(an + l x + b n + 1 y + cn + 1 ) . . . (a 2n X + b 2 n Y + c 2n ) l .

[2)

In particolare , nel caso di quattro rette si avrà un'equazione di secondo grado , e dunque il punto P sarà su una sezione conica (in realtà a causa del valore assoluto la [2] si spezzerà in due equazioni a seconda della scelta dei segni + e - e quindi la solu­ zione sarà data da due sezioni coniche distinte). La formula [2) dà la soluzione generale del problema di Pappo ; essa però è una soluzione solo a patto di cambiare radicalmente la nozione di curva. Come abbiamo visto , per i geometri greci le curve erano definite tramite le modalità della loro costruzione geometrica ; per lo stesso Fermat , a cui va il merito insieme con Descartes e a François Viète ( l 5 40- 1 603) di aver introdotto l'algebra nelle operazioni geometriche , le equazioni sono una proprietà delle curve che comunque sono definite altrimenti. Descartes ribalta questo punto di vist a : nella sua formulazione scompare la contrapposizione tra la definizione geometrica di una curva e le sue proprietà espresse a:lgebricamente. L'equazione non è una delle caratteristiche della curva, che comunque è da definire altrimenti (perlopiù tramite una costruzione geometrica) ; al contrario , essa è la curva , e il problema del geometra non è quello di tentarne una sovente impossib ile costruzione geometrica , ma semmai di studiarne le proprietà, a partire dalla sua equazione, in primo luogo di calcolarne la tangente in un suo punto arbitrario. E' solo dopo questo radicale cambiamento del punto di vista che l'equazione ( 8 . 2 ] può essere riguardata come l a soluzione d e l problema d i Pappo ; e s e Descartes si preoccuperà ancora del problema di tracciare curve di ordine superiore al secondo, i suoi successori abbandoneranno questa problematica per dedicarsi esclusivamente allo studio delle equazioni . I vantaggi del nuovo punto di vista sono evidenti; in primo luogo è messo a dispo­ sizione degli studiosi un numero infmito di nuove curve che dunque non possono essere studiate con tecniche particolari, ma richiedono l'elaborazione di metodi gene­ rali valevoli per tutte le curve o meglio per una curva generica. In particolare, il pro­ blema della determinazione della retta t angente sarà uno dei motivi dominanti della ricerca nella seconda metà del diciassettesimo secolo e porterà all'invenzione del calcolo infmitesimale (vedi vol. l , cap . 6, notizie storiche). Un primo risultato di questo ampliamento dell'orizzonte è il primo esempio di ret­ tificazione di una curva . Il problema di trovare un segmento rettilineo lungo quanto una curva aveva implicazioni che andavano al di là della speculazione matematica. Aristotele aveva negato questa possibilità , e da ciò aveva tratto spunto per asserire l'incomparabilità , dunque l'eterogeneità , nel moto retto e di quello curvo , il primo caratteristico dei corpi terrestri, l'altro riservato a quelli celesti. Le rinnovate discus­ sioni sul sistema del mondo tra i sostenitori della tradizionale dottrina geocentrica e i seguaci della nuova astronomia copernicana avevano riproposto il problema, senza

334

Cllpitolo settimo

peraltro arrivare a una conclusione, anche per la mancanza di un esempio di curva rettificabile. L'introduzione di curve di ordine superiore porta a un risultato per certi versi sor­ prendente: la parabola semicubica, di equazioney 2 =x3 viene rettificata nel 1 657 da William Neil (o Neile, 1 637- 1 670), con un metodo di approssimazione con poligonali che ricorda il teorema 2.2. Alla fme del Seicento la storia delle curve si identifica in modo pressoché totale con quella del calcolo differenziale. Ci sono, è vero, alcune ricerche specifiche: Newton classifica le curve di terzo grado, Eulero quelle di quarto, ma si tratta di ricerche di un grado di complessità così rapidamente crescente da sconsigliare qualsiasi tentativo di proseguire su questa strada. Diversa è per certi versi l'evoluzione della matematica delle superfici. Si è già ac­ cennato al fatto che la geometria classica ci ha lasciato un solo risultato riguardante l'area di una superficie: il famoso teorema di Archimede. Si tratta di una rettificazione parziale (meglio, di un confronto tra due superfici curve); comunque per aver qualcosa di analogo per le curve si dovrà attendere la prima metà del Seicento, quando viene scoperta l'uguaglianza tra archi di spirale archimedea e corrispondenti parti di parabola. Intorno al 1 640 il teorema di Pappo-Guldino (Paul Guldin, 1577-16.43): "L'area

di una superficie di rivoluzione è uguale alla lunghezza della curva generatrice molti­ plicata per il percorso compiuto dal suo baricentro" (vedi § 4) permette di ridurre il calcolo di alcune aree a quello di lunghezza di curve e di baricentri delle medesime. E' comunque solo in epoca più tarda che il calcolo di aree di superfici viene affrontato sistematicamente con metodi infinitesimali ; non è difficile allora ottenere formule come la [4.3] e calcolare così l'area delle superfici più note .

L'applicazione dei metodi differenziali nella geometria delle superfici non dà però risultati di rilievo prima di Karl Friedrich Gauss (I 777- 1 855), le cui Disquisitiones Genera/es circa Superficies Curvas inaugurano nel 1 828 una nuova branca della geome­ tria: la geometria differenziale, un campo ancora oggi in pieno sviluppo, che ha registrato nel passato sostanziali contributi da parte di matematici italiani, tra i quali Luigi Bianchi (1856- 1 928), Gregorio Ricci-Curbastro ( 1 853- 1 925), Tullio Levi-Civita ( 1 873- 1 94 1 ). I limiti di queste note ci impediscono di discutere sia pure per sommi capi l'evolu­ zione della geometria differenziale; non possiamo però concludere senza ricordare una delle sue applicazioni più profonde, la teoria della relatività generale.

Cap itolo 8 Forme d i fferenziali

l Forme differenziali

Si è visto nel capitolo 4 che il differenziale di una funzione [(x), definita in un aperto A di R n , è una applicazione di A in ( R n )* , duale di R n . L'importanza della nozione di differenziale ci induce a studiare in dettaglio queste applicazioni.

Definizione l. l Sia A un aperto di Rn . Una forma differenziale w in A è una ap­ plicazione di A in ( R n )* : w : A -+ (R n )* . Per x E A , w ( x) è un elemento di ( R n )* ; se s i introduce in ( Rn )* la base canonica dx 1 , dx2 , , dx n e si indicano con •••

le componenti di w(x) in questa base, si potrà scrivere n w (x) = � a;(x) dx t .

( 1 .1 ]

i= l

Le funzioni a; (x) sono definite in A , e a valori in R ; a seconda che esse siano con­ 2 tinue, ovvero di classe C 1 , C , , c k , . in A , la forma w si dirà continua, ovvero di 2 k classe C 1 ' C c . •.•

..

' •••,

Esempio 1. 1 3 Sia A C R , e sia F (x) = ( F1 (x), F2 (x), F3 (x)) un campo di forze in A (un'appli­ cazione di A in R3 ) La forma .

L (x) = F1 (x) dx 1 + F2 (x) dx2 + F3 (x) dx3

è il lavoro (elementare) della forza F in x. •

336

Cllpitolo ott4PO

"

Defmizione 1 .2 Sia A C R " , sia w = 1: a1 dx1 una forma differenziale continua in i=J

A, e sia l{) : [a, b] -+ R " una curva regolare a tratti, con sostegno contenuto in A. Si de­ finisce integrale di w lungo la curva l{) il numero b "

J w = L�1 a; (l{)(t)h �i (t) d t.

[ 1 .2]

a

V'

L'integrale a secondo membro della [ 1 .2 ] ha senso in quanto le funzioni !{)i (t ) sono continue a tratti in (a, b).

Esempio 1. 2

Consideriamo la forma differenziale w(x , y ) =y dx + xy dy

definita in R 2 , e sia l{) la curva di equazioni

{

x = c os t . t y = sm

O tt;;;. t ttO;. ff/2.

Si ha

J w = J {sin t(- sin t ) + cos t sin t cos t} d t = J2 cos2 t sin t d t �2 o

"'



o

-JrJ/ 2sin2 t d t = 1 /3 - ff/4. o



E' naturale domandarsi come varia l'integrale di una forma se si sostituisce a l{) una curva 1/1 ad essa equivalente. Siano dunque l{) : [a, b ] -+ R" e 1/1 : [c, d] -+ R " due curve equivalenti, e sia p : [a, b ] -+ [c , d] il diffeomorfismo tale che l{)(t ) = l/l ( p (t)). Introducendo questa relazione nella [ 1 .2], si ottiene b

J w = J � a; (l/l (p(t))) 1/J{ (p (t )) p '(t) d t

V'

"

ai- l

337

Forme differenzillli

e, con il cambiamento di variabile r=p(t), p(b) f w= r :1 a,(l/l (r)) l/l# (r) dr. n

'l

pla> 1

Se tp e 1/1 hanno lo stesso verso, cioè se p (t) è una funzione crescente, l'ultimo inte­ grale non è altro che

se invece 1/1 ha verso opposto a tp, cioè se p( t) è decrescente, risulterà

jw =- Jw.

'l

Vi

Riassumendo, si ha la seguente Proposizione 1 . 1 Siano tp e 1/1 due curve equivalenti, e sia continua in un intorno del loro (comune) sostegno. Risulta

w una forma differenziale

se tp e 1/1 hanno lo stesso verso, e

se hanno verso opposto. Si può dunque definire l'integrale di lungo un cammino orientato 'Y come l'inte­ grale lungo una qualsiasi delle curve di 'Y· In virtù della proposizione precedente la scelta della curva non influenza l'integrale. di su 'Y• Se -y+ e -y- sono due cammini equivalenti e di verso opposto, risulta

w

w

Esempio 1. 3 Un corpo puntiforme si muove sulla retta di equazione y = 2x, partendo dal punto P1 = ( l , 2) e fino al punto P2 4), nel campo di forze

= (2,

" ' · ' F= (x ex +Y , y ex +Y ).

338

Capitolo ottaPO

Il lavoro compiuto dalla forza è l ' integrale della forma differenziale ' ' ' L = x e" + y d x +y e" + y ' dy

lungo il segmento orientato P7P2 • Una rappresentazione parametrica di tale segmento è .p ·

{

e dunque

x=t

l �t�2

y=2t





"'

l



o - es )

j L = � e 5 f 5 t d t = (e2

2

.•

Esempio 1. 4

Sia f : A --. R una funzione di classe C 1 , e sia .p : [a , b ) -�> R" una curva regolare a tratti . Si ha

Se si pone F(t ) = [(.p (t ))

ri su lta

n (jf ' ' F ( t ) = _I: a - (.p (t)) .P; (t ) , 1= 1

Xt

e qumdi

J J

b

'P

.p

d[= F '(t ) d t = f(.p (b)) -[(.p(a)) . •

( 1 .3 )

a

La formula [ 1 .3 ] ha un notevole significato . Per illustrarlo ricordiamo che se

: [a , b] _. R" è una curva regolare a tratti, i pu n t i

si chiamano gli estremi della curva. Più precisa me nte x1 è il primo estremo e X2 il secondo estremo . Se una curva .p ha x 1 come primo estremo e x2 come secondo estremo , si dice che .p va da x 1 a x2 . Dalla [1 .3 ) segue allora che se .p va da x 1 a x2 , allora

J

"'

d[= f ( x 2 ) - f( x 1 ) .

(1 .4 )

339

Forme differenzi/Ili

In altre parole , l 'integrale del differenziale di una funzione lungo una curva dipende da �. ma solo dai suoi estremi, tramite la [ 1 .4 ] .



non

Le analogie tra quest'ultima relazione e il teorema fondamentale del calcolo inte­ grale per funzioni di una variabile (vedi vol. l , cap . 4, § 9) sono evidenti.

Esercizi 1 . 1 Calcolare l'integrale delle seguenti forme differenziali lungo le curve in dicate

fianco :

(a)

w = xy 2 dx + (x + y ) dy ,

( b)

w=

(c)

w = d(xy ex + y ),

(d)

w = xy dx + y ex dy ,

(e)

w=

{ { { { {

y 2 dx - x 2 dy x2 + y2

x dx + y d y - 2 z dz 2x 2 + y 2 + z 2



x=c s t

y = sm t x = R cos t y = R sin t x=t

y=t+2 x=t y = t2 x=t y=2t z = t2

a

O :t;;;;, t :t;;;;, Tr/2 o .;;;, t .;;;, '" o .;;;, t :t;;;, 1 o .;;;, t :t;;;;, l l :t;;;, t :t;;;, 2.

1 . 2 Integrare le seguenti forme differenziali lungo gli archi di curve indicati nella figura 8 . 1 .

w =y dx + ln x dy

(a)

dy

w = xy dx - --

( b)

l +y

x w = -- dx + dy l +y w =y sin x dy + e Y dx y w = dy - - d x x

(c) (d) (e)

(fig. 8. 1 a) ( fig. 8. l b ) (fig. 8 . l c ) (fig. 8 . 1 d)

(fig. 8 . 1 e )

1 . 3 Calcolare i seguenti i nt e grali : (a)

J

"'(

y dx + (x 2 -y 2 ) dy ,

è l'arco della circonferenza x 2 + y 2 = 4, che va dal punto ( - 2 , O) (0, 2) in senso orario ;

dove

(b)

'Y

al punto

J x e Y dx + sin x dy ,

"'( dove y è

il

segmento da (O, l ) a ( 2 , l ), seguito dal segm ento da ( 2, l ) a ( 3 , 2).

340

'[

Cllpitolo ottllPO

y

· -·r (a)

x

2

y

1

(b)

x

y "

"

" , 1114 "

"

"

xl + yl

(c)

=

1

x

(d)

2

x

y

5

x

Figura 8.1

2 Forme differenziali esatte Definizione 2.1 Sia A un aperto di R" , e sia w una forma differenziale continua in A. La forma w si dirà esatta se esiste una funzionef : A -+ R di classe C 1 (A ) , tale che w = df.

Se w è esatta e w = df, la funzione f si dirà una primitiva di w. E' evidente che

f + c, c costante, è ancora una primitiva ; se A è connesso , due primitive di w differi· sco no per una costante (vedi cap. 4, proposizione 3 . l ). In questo paragrafo ci occuperemo di trovare delle condizioni che consentano di stabilire se una forma w è esatta . Cominciamo con il seguente

Lemma 2. 1 Sia A un aperto connesso di R" . Se x0 e x 1 sono due punti di A, esiste una curva l() regolare a tratti, con sostegno contenu to in A , e avente come estremi i punti x0 e x 1 .

Forme differenziali

341

Dimostrazione. Fissato x0 E A , indichiamo con B l'insieme dei punti di A che pos­ sono essere congiunti a x0 mediante una curva regolare a tratti avente sostegno in A . Per dimostrare il lemma basterà far vedere che B = A . Cominciamo col dimostrare che B è aperto. Sia y un punto di B e sia r.p : [a, b] -+ A una curva con r.p (a) = x0 e r.p(b) =y. Poiché A è aperto , esisterà un intorno / di y con­ tenuto in A. Sia x E/; la curva V! : [a , b + l ] -+ R " , di equazioni parametri che ljl (t ) =

{ ..p(

t) y + (t - b) (x - y)

ha sostegno in A e congiunge x0 con x. In conclusione risulta / C B, cosicché B è aperto . In maniera analoga si dimostra che A - B è aperto. Poiché A è connesso , uno dei due aperti B e A - B dovrà essere vuoto. Ma x0 E B, e dunque A -B = 0 e A = B. • Sia dunque A un aperto connesso, e siano x e y due punti di A . Indichiamo con (x, y)

l'insieme di tutte le curve regolari a tratti, con sostegno contenuto in A , e aventi x come primo estremo e y come secondo estremo. Se w è una fonna esatta, w = d f e se r.p E (x, y), si ha per la [ 1 .4] ,

J

op

w =f(y ) -f(x)

e dunque, se r.p e V! sono in (x, y),

Teorema 2.1 Sia A un aperto connesso di R" e sia w una forma continua in A. Condizione necessaria e sufficiente perché w sia esatta è che comunque si prendano due punti x e y in A e due curve r.p e V! in (x, y), risulti [2. 1 ]

Dimostrazione. Si è già osservato che la condizione [2 . 1 ] è necessaria. Si tratterà allora di dimostrare che essa è anche sufficiente, e per questo occorrerà trovare una primitiva di w . Se n

w = � a1 (x) dxi , t= t

342

Cllpitolo on(J)I()

ciò equivale a trovare una funzione f(x) di classe C 1 (A ), tale che per ogni x EA risulti ar [2.2] a - (x) = a1 (x) , i = l , 2 , . . . , n.

X;

;

Fissiamo un punto x0 in A se x è un secondo punto di A , sia ..p una curva che con­ giunge x0 a x (..p E (x0 , x)) e sia [2.3) {(x) = J w. !p

[2.3) definisce effettivamente una funzione della sola x ; infatti in virtù della [2.1] l'integrale a secondo membro non dipende dalla particolare curva ..p in (x0 , x), ma solo dagli estremi (e quindi da x, in quanto x0 è fissato). Vogliamo far vedere che la funzione f così definita è una primitiva di w. Sia v un vettore di lunghezza unitaria (una direzione). Poiché A è aperto e x E A , esisterà un intorno /(x, c5) di x contenuto in A . Se l h l < 6 , il segmento di estremi x e x + h v sarà contenuto in A . Sia ..p [a, b ] -+ A una curva in (x0 , x) ; la curva !J; [a, b + l ] -+ A di equazioni parametriche La