Analisi di bilancio: Lettura e interpretazione 9788892107809, 8892107801

"Analisi di bilancio. Lettura e interpretazione", di Claudio Teodori studia l'analisi di bilancio come pr

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Analisi di bilancio: Lettura e interpretazione
 9788892107809, 8892107801

Table of contents :
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Sestino
Dedica
Indice sommario
Indice delle tabelle e delle figure
Introduzione
Occhiello Parte Prima - Il quadro di riferimento dell'analisi di bilancio
P. I - Capitolo 1:
Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego
P. I - Capitolo 2:
La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione
Occhiello Parte Seconda - Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi
P. II - Capitolo 3:
Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento
P. II - Capitolo 4:
Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento
P. II - Capitolo 5:
Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento
P. II - Capitolo 6:
L’interpretazione delle tavole riclassificate
P. II - Capitolo 7:
La dimensione operativa della riclassificazione
Occhiello Parte Terza - L'analisi di bilancio per indici
P. III - Capitolo 9:
L’analisi della redditività operativa e netta
P. III - Capitolo 10:
L’analisi della liquidità
P. III - Capitolo 11:
L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio
P. III - Capitolo 12:
I collegamenti tra le dimensioni di analisi
Occhiello Parte Quarta -
I principi contabili internazionali
P. IV - Capitolo 13:
I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio
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Collana DETERMINAZIONE E COMUNICAZIONE DEL VALORE NELLE AZIENDE

Serie Didattica - 2

Claudio Teodori

Analisi di bilancio Lettura e interpretazione Terza edizione

G. Giappichelli Editore – Torino

© Copyright 2017 - G. GIAPPICHELLI EDITORE - TORINO VIA PO, 21 - TEL. 011-81.53.111 - FAX 011-81.25.100

http://www.giappichelli.it ISBN/EAN 978-88-921-0780-9

Chief Editor:

Claudio Teodori (Università di Brescia). Comitato scientifico:

Stefano Adamo (Università del Salento); Marco Allegrini (Università di Pisa); Paolo Andrei (Università di Parma); Stefano Azzali (Università di Parma); Fabrizio Cerbioni (Università di Padova); Silvano Corbella (Università di Verona); Luciano D’Amico (Università di Teramo); Roberto Di Pietra (Università di Siena); Anna Maria Fellegara (Università Cattolica del Sacro Cuore); Francesco Giunta (Università di Firenze); Alessandro Lai (Università di Verona); Stefano Marasca (Università Politecnica delle Marche); Tiziano Onesti (Università di Roma Tre); Antonella Paolini (Università di Macerata); Michele Pizzo (Seconda Università di Napoli); Alberto Quagli (Università di Genova); Ugo Sòstero (Università di Venezia); Stefano Zambon (Università di Ferrara).

Stampa: Stamperia Artistica Nazionale S.p.A. - Trofarello (TO)

Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume/ fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941, n. 633. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi, Centro Licenze e Autorizzazioni per le Riproduzioni Editoriali, Corso di Porta Romana 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.clearedi.org.

La collana si propone di coprire un’area di indagine ampia ma omogenea, riconducibile soprattutto all’informativa contabile e ai processi di comunicazione economico-finanziaria d’impresa; essa è quindi destinata a contenere contributi relativi ai processi di determinazione e di diffusione delle informazioni di specie economica da parte delle imprese, avuto riguardo al contenuto, alla frequenza, all’ampiezza, all’oggetto, alla forma, ai destinatari, agli strumenti, agli obiettivi, agli effetti e al controllo dell’informativa stessa. La collana è articolata in due serie, “Ricerche” e “Didattica”: la prima è destinata ad accogliere pubblicazioni scientifiche e contributi derivanti da progetti di ricerca – nazionali e internazionali – condotti nell’ambito dei campi d’indagine sopra delineati; la seconda, invece, è indirizzata a volumi con impiego didascalico, prevalentemente rivolti allo svolgimento di attività didattiche ai diversi livelli dei percorsi formativi universitari. La collana è diretta dal Chief Editor Prof. Claudio Teodori e si avvale di un Comitato Scientifico. I volumi presentati per la pubblicazione sono sottoposti a referaggio anonimo da parte di studiosi di discipline economico-aziendali

Procedura per la valutazione e l’approvazione dei volumi nella serie “Ricerche”. La procedura relativa alla accettazione dei volumi da pubblicare sulla collana “Determinazione e comunicazione del valore nelle aziende” – serie “Ricerche” si articola in due fasi: 1. Accettazione preliminare. Al momento di impostazione del lavoro, l’Autore dovrà inviare al Chief Editor l’indice analitico dell’opera e un breve sunto (max 30 cartelle) nel quale siano esplicitati: a. obiettivi del lavoro; b. base di partenza scientifica; c. articolazione e sviluppo del lavoro; d. metodologie di ricerca adottate; e. principali risultati attesi. Il Chief Editor dovrà tempestivamente comunicare dette informazioni ad almeno due membri del Comitato Scientifico. Il Chief Editor e i due membri del Comitato Scientifico decideranno a maggioranza se accettare preventivamente il lavoro in quanto rientrante nelle linee editoriali della Collana; in caso di riscontro positivo, il Chief Editor e i due membri del Comitato Scientifico individueranno due referees ai quali affidare il processo di referaggio. I due referees dovranno esprimersi, entro quindici giorni dall’invio della documentazione sopra richiamata, sull’accettazione del progetto, esprimendo in forma anonima eventuali rilievi di cui l’Autore dovrà tenere conto nello sviluppo del proprio lavoro.

Il Chief Editor, sulla base del giudizio espresso dai referees, deciderà se accettare o meno il progetto, chiedendo eventualmente all’Autore di formulare una revisione della proposta da sottoporre nuovamente al giudizio dei referees. 2. Accettazione definitiva. Al termine del lavoro, l’Autore dovrà inviare al Chief Editor la bozza del volume che intende pubblicare. Il Chief Editor dovrà tempestivamente trsmetterlo ai due referees che avevano espresso il giudizio nella fase iniziale della procedura. Entro il termine di trenta giorni dal ricevimento dell’elaborato scritto, i referees dovranno esprimere un motivato giudizio in merito all’accettazione del volume nell’ambito della Collana. In questa seconda fase, se il lavoro rispetta adeguatamente le metodologie di ricerca dichiarate nella fase precedente di accettazione preliminare, gli eventuali suggerimenti dei referees non potranno intervenire chiedendo modificazioni dell’impostazione originariamente approvata. Il Chief Editor, sulla base del giudizio espresso dai referees, deciderà se accettare o meno il volume per la pubblicazione, chiedendo eventualmente all’Autore di revisionare il contenuto dell’opera per sottoporla nuovamente, a seguito delle modifiche apportate, al giudizio dei referees. Procedura sottomissione e accettazione volumi della serie “Didattica”. I volumi della sezione “Didattica” non sono soggetti alla procedura di referaggio sopra evidenziata; al fine di garantire, comunque, la qualità dei lavori pubblicati, le bozze dovranno essere inviate a cura dell’Autore al Chief Editor, il quale dovrà tempestivamente trasmetterle ad almeno due membri del Comitato Scientifico. Entro il termine di trenta giorni il Chief Editor e i due membri del Comitato Scientifico dovranno esprimere un motivato giudizio in merito all’accettazione del volume per la pubblicazione, chiedendo eventualmente all’Autore di revisionare il contenuto dell’opera per sottoporla nuovamente, a seguito delle modifiche apportate, al loro giudizio.

a mio figlio Michele

VIII

Indice sommario

Indice sommario

IX

Indice sommario

pag.

Indice delle tabelle e delle figure

XV

Introduzione

XIX

  Parte Prima

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio Capitolo 1

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego 1.1. Le finalità dell’analisi di bilancio 1.2. La metodologia di analisi 1.3. Il bilancio come strumento di soddisfacimento dei fabbisogni informativi dei differenti destinatari e utilizzatori 1.4. Le condizioni di efficace impiego dell’analisi 1.5. I termini di riferimento per l’apprezzamento degli indicatori 1.6. I parametri esterni per le comparazioni interaziendali 1.7. I parametri interni per le comparazioni temporali

3 7 9 13 15 16 20

Capitolo 2

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione 2.1. Le fasi della metodologia di lettura 2.2. Il ruolo della nota integrativa e della relazione sulla gestione ai fini dell’analisi di bilancio 2.3. La valutazione del grado di discrezionalità e di attendibilità del reddito

23 30 41

X

Indice sommario

pag. Parte Seconda

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi Capitolo 3

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento 3.1. La scomposizione dell’unitaria gestione aziendale in gestioni parziali 3.2. Lo schema di riclassificazione a ricavi e costo del venduto 3.3. Lo schema di riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto 3.4. Gli altri schemi di riclassificazione

49  52 69 77

Capitolo 4

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento     4.1. I criteri di riclassificazione per la determinazione della struttura patrimoniale e finanziaria 4.2. Lo schema di riclassificazione finanziario secondo il grado di liquidità/esigibilità 4.3. Lo schema di riclassificazione secondo il criterio di pertinenza gestionale

79 80 89

Capitolo 5

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento     5.1. Il criterio di riclassificazione per l’analisi della dinamica finanziaria 5.2. Lo schema utilizzato 5.3. La fase interpretativa

93 95 98

Indice sommario

XI

pag. Capitolo 6

L’interpretazione delle tavole riclassificate     6.1. Le tipologie di analisi 6.2. Le analisi verticali 6.3. Le analisi orizzontali

103 104 110

Capitolo 7

La dimensione operativa della riclassificazione     7.1. Gli elementi di problematicità nella rielaborazione del bilancio destinato a pubblicazione 7.2. La riclassificazione del conto economico 7.3. La riclassificazione dello stato patrimoniale 7.4. La riclassificazione del rendiconto finanziario       Parte Terza L’analisi di bilancio per indici

113 120 131 145

Capitolo 8

L’analisi della solidità patrimoniale e finanziaria     8.1. La definizione di solidità 8.2. Gli indici di solidità 8.3. Le relazioni tra gli indici

151 152 162

Capitolo 9

L’analisi della redditività operativa e netta     9.1. La definizione di redditività 9.2. L’analisi della redditività operativa 9.3. Il calcolo del differenziale tra rendimento e costo delle risorse finanziarie

165 166 177

XII

Indice sommario

pag. 9.4. 9.5. 9.6. 9.7.

La sostenibilità economica del debito La redditività netta dei mezzi propri e l’effetto di leva finanziaria Il tasso di autofinanziamento Le relazioni tra gli indici

179 182 191 193

Capitolo 10

L’analisi della liquidità     10.1. La definizione di liquidità 10.2. Gli indici per la sua valutazione 10.3. L’analisi della liquidità della gestione caratteristica 10.4. Gli indicatori connessi al rendiconto finanziario 10.5. Le relazioni tra gli indici

197 197 204 210 214

Capitolo 11

L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio 11.1. 11.2. 11.3. 11.4.

La definizione di sviluppo Lo sviluppo strutturale Lo sviluppo operativo Le relazioni tra gli indici e l’estensione temporale

217 218 220 221

Capitolo 12

I collegamenti tra le dimensioni di analisi     12.1. Dai singoli sottosistemi al sistema integrato di indici 12.2. I collegamenti tra solidità e redditività 12.3. I collegamenti tra solidità e liquidità 12.4. I collegamenti tra solidità e sviluppo 12.5. I collegamenti tra redditività e sviluppo 12.6. I collegamenti tra redditività e liquidità 12.7. I collegamenti tra liquidità e sviluppo  

225 227 228 228 229 229 230

Indice sommario

XIII

pag. Parte Quarta

I principi contabili internazionali Capitolo 13

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio     13.1. L’evoluzione della regolamentazione contabile 13.2. La comparabilità tra le imprese 13.3. Lo IAS n. 1 e i riflessi sulla riclassificazione e sull’analisi di bilancio       Bibliografia

233 235 238

281

XIV

Indice sommario

 

Indice delle tabelle e delle figure pag. Tabelle   Tabella 1.1. Tabella 2.1. Tabella 2.2. Tabella 3.1. Tabella 3.2. Tabella 3.3. Tabella 3.4 Tabella 3.5. Tabella 3.6. Tabella 3.7. Tabella 3.8. Tabella 3.9. Tabella 3.10. Tabella 3.11. Tabella 3.12. Tabella 3.13. Tabella 4.1. Tabella 4.2. Tabella 4.3. Tabella 4.4. Tabella 4.5. Tabella 4.6. Tabella 4.7. Tabella 6.1.

 

Gli indici medi di comparto e i valori standardizzati Le fasi di lettura del bilancio di esercizio Gli indicatori per la valutazione della qualità del reddito Lo schema di riclassificazione a ricavi e costo del venduto La composizione del costo del venduto Alcuni aggregati rilevanti L’area di riconciliazione L’interpretazione dello schema a ricavi e costo del venduto Lo schema di riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto I destinatari del valore aggiunto La distribuzione del valore aggiunto tra i destinatari Il raccordo tra gli schemi di conto economico riclassificati Lo schema di riclassificazione CNDCEC La composizione del costo del venduto con i costi classificati per destinazione Il conto economico riclassificato a ricavi e utile lordo industriale Lo schema base di riclassificazione a margine di contribuzione La composizione dell’attivo a breve I raggruppamenti parziali delle liquidità differite La composizione dell’attivo fisso netto La composizione del passivo a breve I raggruppamenti parziali delle esigibilità La composizione del passivo a medio-lungo termine e dei mezzi propri I raggruppamenti parziali del passivo a medio-lungo termine e dei mezzi propri Il contributo delle gestioni parziali alla determinazione del reddito

19 24 45 52 53 54 67 67 69 72 72 74 76 77 78 78 83 84 84 85 86 86 86 105

XVI

Indice delle tabelle e delle figure

pag. Tabella 6.2. Tabella 6.3. Tabella 6.4. Tabella 6.5. Tabella 7.1. Tabella 7.2. Tabella 7.3. Tabella 7.4. Tabella 7.5. Tabella 7.6. Tabella 7.7. Tabella 7.8. Tabella 7.9. Tabella 7.10. Tabella 7.11. Tabella 7.12. Tabella 7.13. Tabella 8.1. Tabella 8.2. Tabella 9.1. Tabella 9.2. Tabella 9.3. Tabella 9.4. Tabella 9.5. Tabella 9.6. Tabella 9.7. Tabella 9.8. Tabella 9.9. Tabella 9.10. Tabella 10.1. Tabella 10.2.

 

Esempio di conto economico a valori percentuali Esempio di stato patrimoniale a valori percentuali Esempio di rendiconto finanziario a valori percentuali Esempio sugli indicatori di andamento Prospetto di raccordo tra conto economico e schema riclassificato a ricavi e costo del venduto I contributi in c/esercizio e gli altri ricavi e proventi Gli oneri diversi di gestione Prospetto di raccordo tra conto economico e schema riclassificato a valore della produzione e valore aggiunto I contributi in conto esercizio Gli altri ricavi e proventi Gli oneri diversi di gestione Prospetto di raccordo tra stato patrimoniale e schema riclassificato secondo il criterio finanziario I crediti verso altri Gli altri fondi per rischi e oneri Prospetto di raccordo tra stato patrimoniale e schema riclassificato secondo la pertinenza gestionale Prospetto di raccordo tra rendiconto finanziario e schema riclassificato Prospetto di raccordo tra rendiconto finanziario e schema riclassificato Il grado di copertura e il margine di struttura (I) Il grado di copertura e il margine di struttura (II) La redditività del capitale investito al lordo e al netto delle imposte La scomposizione del ROI L’indice di copertura degli oneri finanziari L’incidenza degli oneri finanziari (I) L’incidenza degli oneri finanziari (II) L’effetto positivo di leva finanziaria L’effetto negativo di leva finanziaria L’effetto dei componenti straordinari sul ROE Il differenziale rendimento/costo e il rapporto di indebitamento L’effetto dell’IRAP sulla redditività dei mezzi propri La composizione e l’evoluzione dell’attivo a breve Gli indici di redditività, di “potenziale monetizzazione” e di “monetizzazione” delle vendite

106 107 109 110 121 124 125 127 130 130 131 132 138 139 141 146 147 158 158 167 172 180 181 181 183 184 186 188 188 200 212

Indice delle tabelle e delle figure

XVII

pag. Tabella 11.1. Tabella 13.1. Tabella 13.2. Tabella 13.3. Tabella 13.4. Tabella 13.5. Tabella 13.6. Tabella 13.7.   Figure   Figura 3.1. Figura 4.1. Figura 4.2. Figura 4.3. Figura 4.4. Figura 4.5. Figura 4.6. Figura 4.7. Figura 5.1. Figura 5.2 Figura 8.1. Figura 9.1. Figura 9.2. Figura 9.3. Figura 10.1. Figura 10.2. Figura 10.3.

 

Le misurazioni dei tassi di crescita Un esempio di stato patrimoniale secondo lo IAS n. 1 Un esempio di conto economico secondo lo IAS n. 1 La classificazione dei costi per natura La classificazione dei costi per destinazione Statement of cash flows (IAS n. 7, metodo diretto) Statement of cash flows (IAS n. 7, metodo indiretto) Un esempio di prospetto delle variazioni di patrimonio netto secondo lo IAS n. 1

223 243 251 254 255 269 270

Il raccordo tra gli schemi di conto economico riclassificati Lo schema finanziario di riclassificazione dello stato patrimoniale Alcuni esempi di relazioni tra struttura patrimoniale e finanziaria Lo schema analitico di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario Dai mezzi di terzi complessivi ai debiti finanziari Dal capitale investito complessivo a quello a remunerazione esplicita Lo schema di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo la pertinenza gestionale Esempio di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale Lo schema di riclassificazione del rendiconto finanziario (sezioni contrapposte) Lo schema di riclassificazione del rendiconto finanziario (forma scalare) Le relazioni tra gli indici di solidità L’effetto positivo di leva finanziaria L’effetto negativo di leva finanziaria Le relazioni tra gli indici di redditività Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (I) Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (II) Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (III)

74

276

81 82 87 88 89 90 91 96 97 164 184 185 195 202 202 203

XVIII

Indice delle tabelle e delle figure

pag. Figura 10.4. Figura 10.5. Figura 11.1. Figura 12.1. Figura 13.1. Figura 13.2. Figura 13.3. Figura 13.4.

 

Le relazioni tra capitale circolante netto e operativo Le relazioni tra gli indici di liquidità Le relazioni tra gli indici di sviluppo Il sistema di indici per la valutazione dell’assetto economico globale Esempi di stato patrimoniale secondo lo IAS n. 1 Esempi di conto economico secondo lo IAS n. 1 Esempi di rendiconto finanziario secondo lo IAS n. 7 Esempi di prospetto delle variazioni di patrimonio netto secondo lo IAS n. 1

205 215 222 226 245 256 272 277

Introduzione

L’analisi di bilancio è un processo interpretativo, finalizzato alla valutazione della capacità di un’impresa di operare secondo economicità. L’economicità configura, infatti, un principio guida di governo atto a permettere, nel lungo periodo, il perseguimento dell’autonomia e della durabilità aziendale, soddisfacendo le attese dei conferenti del capitale di rischio (risparmio) e dei prestatori di lavoro, cioè dei membri del soggetto economico. La valutazione dell’economicità trova sintetica rappresentazione nelle misurazioni periodiche, sia parziali sia globali: nell’ambito delle seconde, ruolo fondamentale è assunto dal bilancio, sintesi del sistema dei valori d’impresa. Tale documento, volto alla rappresentazione della situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale abbisogna, per identificarne appieno il suo potenziale informativo, di essere sottoposto a opportune elaborazioni, tramite tecniche e strumenti specifici. Il bilancio è destinato a una platea assai numerosa e variegata di interlocutori, ciascuno dei quali, pur essendo interessato a soddisfare obiettivi conoscitivi peculiari, persegue il medesimo scopo generale consistente nella valutazione dell’assetto economico globale dell’impresa, del gruppo o, più in generale, di un’entità economica. L’apprezzamento delle condizioni economiche d’impresa trova, non di rado, riscontro nell’analisi di bilancio, sviluppata secondo metodologie più o meno sofisticate e approfondite. Al riguardo, il presente lavoro si propone di introdurre un modello base di riferimento utile per la realizzazione di efficaci processi di analisi. La prassi e la teoria economico-aziendale evidenziano una progressiva diffusione degli strumenti e delle tecniche di analisi di bilancio: non è però possibile individuare un’impostazione comune e generalmente condivisa. Le proposte esistenti sono molteplici, ognuna connotata da distinte indicazioni più o meno originali, non poche delle quali però caratterizzate da eccessiva genericità e non sufficientemente incentrate su un approccio sistemico. Nel lavoro l’attenzione è posta sulle analisi dirette a valutare l’assetto economico di un’impresa, compiute da un analista esterno, sulla base del bilancio destinato a pubblicazione. L’obiettivo consiste, dunque, nell’ottenere il più approfondito grado di conoscenza possibile, tenuto conto delle caratteristiche del documento di riferimento: le finalità di predisposizione, i criteri valutativi utilizzati, la normativa civilistica indirizzata alla tutela dei terzi, fanno del bilancio uno

XX

Introduzione

strumento fondamentale ma la cui formazione e successiva interpretazione sono fortemente dipendenti dai suoi scopi. Attraverso il bilancio di esercizio è pertanto possibile effettuare analisi consuntive con proiezione al futuro che si differenziano, per molteplici aspetti, da quelle a preventivo, anche se alcuni strumenti sono comuni. La metodologia di analisi presentata si propone di validità generale in termini di fasi logiche da percorrere ma differenziata relativamente alle concrete situazioni affrontate dai diversi utilizzatori. A titolo esemplificativo, il reddito della gestione caratteristica è determinabile per qualsivoglia tipologia di impresa: ciò che necessariamente si modifica sono l’estensione e l’articolazione della gestione tipica, che si riflettono anche in criteri difformi di aggregazione dei costi e ricavi cosicché in alcune realtà economiche gli interessi attivi, i fitti attivi, i dividendi sono correlati alla gestione patrimoniale, mentre in altre alla gestione tipica a causa di una difforme composizione di quest’ultima. Ancora, prima di giungere alla determinazione del reddito operativo è possibile calcolare altri risultati economici intermedi, la cui numerosità e denominazione sono direttamente correlati alle caratteristiche della combinazione economico-produttiva dell’impresa esaminata. Quanto esposto presuppone che l’analista utilizzi un approccio “ragionato” alla realtà indagata, senza ricorrere a schemi predefiniti essendo, in non pochi casi, necessario un adattamento. La standardizzazione assume, pertanto, valore di prima approssimazione, da intendersi come schematizzazione teorica piuttosto che operativa: qualsiasi modello concettuale proposto (compreso quello nel presente volume) ha valore come punto di riferimento ma presuppone, da parte dell’utilizzatore, un intervento adattativo la cui ampiezza è funzione della tipologia di azienda e degli scopi da raggiungere. Non è pensabile l’impiego del medesimo modello per le imprese manifatturiere, commerciali, finanziarie, assicurative, di ingegneria: lo “spirito di fondo” è analogo ma in ciascuna realtà è fondamentale cogliere gli elementi tipizzanti, attraverso adeguamenti dei processi di articolazione o aggregazione dei valori di sintesi. Inoltre, si assiste usualmente al prevalere di un approccio quantitativo di confronto con valori “ideali” e “generali”. Si ribadisce la sterilità di tale modo di procedere: non esistono valori “ideali” per i quozienti ma solamente termini di paragone variabili da impresa a impresa; il singolo indice, in prima approssimazione, non dà informazioni valevoli se non quando correlato ad altri. La costruzione degli indici e la successiva interpretazione sono il momento terminale dell’analisi ma non l’unico: è improponibile pensare di giudicare il successo economico di un’impresa disponendo solamente di questi indicatori, senza aver percorso tutte le fasi del processo di analisi. L’analista esperto riesce a cogliere dal bilancio informazioni preziose, in quanto conscio di come viene costruito e di quali sono le aree critiche su cui concentrare l’attenzione. Non esistono, si è scritto e si può appurare nell’operatività, indici in assoluto migliori di altri. Importante è che essi siano collegati da relazioni di interdipendenza e complementarità o, più sinteticamente, rappresentino un sistema in gra-

Introduzione

XXI

do di cogliere gli elementi più qualificanti per valutare la capacità di ottenimento, da parte di un’impresa, del successo (economico ma non solo) nel lungo termine: solamente in tal modo si evita di privilegiare la forma e la numerosità a scapito della sostanza e della sintesi dei fenomeni. Nelle pubblicazioni in tema di analisi di bilancio, si osservano proposte parzialmente divergenti in termini di contenuti, anche se sostanzialmente simili per finalità da raggiungere. Ciò che invece risulta assai difforme è la terminologia utilizzata anche a fronte dei medesimi fenomeni da investigare: l’obiettivo del lavoro è, pertanto, anche quello di privilegiare il commento dei fenomeni economici cercando di individuare gli strumenti che meglio permettono di analizzarli, senza porre eccessiva enfasi sulla denominazione impiegata. Si ricorda, infine, che i risultati forniti dagli strumenti di analisi non si prestano a una lettura acritica. La dimensione quantitativo-monetaria, pur fondamentale ma per sua natura parziale, necessita di essere integrata da un’interpretazione qualitativa degli accadimenti aziendali su periodi non brevi. Qualsivoglia giudizio sull’economicità di un’impresa presuppone la disponibilità di più bilanci d’esercizio, in modo da cogliere la dinamica dei valori e non effimeri equilibri limitati nel tempo e nello spazio. Nel volume vengono approfonditi due tipici strumenti di analisi di bilancio: la riclassificazione delle tavole di sintesi – compreso il rendiconto finanziario – e gli indici di bilancio. Di questi ultimi se ne definiscono le modalità di costruzione, il ruolo informativo assunto, la metodologia interpretativa del sistema complessivo, di generale applicazione poiché fondata su relazioni logiche tra dimensioni rilevanti di analisi. L’obiettivo principale del volume, ampiamente rivisto nella sua struttura, è quindi proporre uno schema di riferimento idoneo ad agevolare, nelle varie fattispecie, la conveniente ed efficace realizzazione dei processi di analisi. In altri termini, si tratta di utilizzare al meglio i dati e le informazioni contenute nel bilancio, trasformandoli in conoscenze sull’oggetto indagato, privilegiando gli aspetti di selettività e di chiarezza interpretativa. La prima parte del volume è dedicata a identificare il quadro di riferimento nel quale si colloca l’analisi di bilancio. Il capitolo iniziale definisce le finalità dell’analisi e la generale metodologia applicabile da un analista esterno per la valutazione del grado di economicità raggiunto dall’impresa, considerata come oggetto unitario di indagine. In particolare, si evidenzia qual è il contributo informativo che il bilancio destinato a pubblicazione concretamente fornisce, evitando di attribuirgli potenzialità di cui non dispone: si identificano i principali destinatari e utilizzatori, oltre ai fabbisogni conoscitivi soddisfatti attraverso le sintesi economiche periodiche. Sono anche definiti i concetti generali e le modalità attraverso le quali costruire e interpretare il sistema di indicatori: in particolare, si insiste sulle condizioni limitanti alla piena applicazione, identificabili sia nel grado di chiarezza e attendibilità del bilancio

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Introduzione

sia nelle modalità utilizzate per esaminarlo. Tra queste si segnala l’assoluta inutilità dell’indagine su singoli indici se questi non sono logicamente inseriti in un sistema, rappresentativo dell’oggetto da valutare. Momento importante è l’individuazione dei parametri di riferimento per il suo apprezzamento, senza i quali l’analisi si presenterebbe assai poco incisiva: essi vengono distinti in esterni (analisi interaziendali) e interni, anche se risulta fondamentale il ricorso congiunto alle due fattispecie. Nel secondo capitolo l’attenzione è focalizzata sulla fase di lettura, suddivisa in molteplici punti, da intendersi come momento qualificante per il corretto impiego degli strumenti analitici e per l’interpretazione del sistema di indici, attribuendo importanza prioritaria al ruolo assunto dalla nota integrativa e dalla relazione sulla gestione. Infine, si affronta brevemente la tematica sull’attendibilità del reddito, premessa per una proficua analisi fondata su informazioni quantitativo-monetarie. La seconda parte del volume è dedicata alla riclassificazione delle tavole di sintesi predisposte secondo la normativa italiana, intesa sia come fase interpretativa autonoma sia propedeutica al successivo calcolo e alla collegata interpretazione degli indici. Nel terzo, quarto e quinto capitolo si presentano alcuni schemi di riclassificazione delle singole tavole, fondati su criteri alternativi. Preliminare è l’individuazione, nell’ambito dell’unitaria gestione aziendale, di aree gestionali parziali, con la sola finalità di determinarne il contributo di ciascuna agli specifici oggetti esaminati (il reddito netto, gli investimenti e i finanziamenti, i flussi finanziari e monetari). Per il conto economico vengono proposti quattro schemi riclassificati, due per le analisi esterne e due per le interne, evidenziando che gli stessi rappresentano dei modelli base, che richiedono un adeguamento in funzione della peculiare attività svolta dall’impresa. Particolare attenzione è dedicata al commento dei principali risultati e aggregati ottenuti, con riferimento agli aspetti di connessione e differenziazione tra gestione caratteristica, patrimoniale e finanziaria. In merito all’area dei componenti straordinari, tenuto conto che non sono più indicati autonomamente, si sono proposti dei criteri sia per delimitare il loro ambito, sia per interpretare le “nuove” voci che andranno a incorporarli. La riclassificazione dello stato patrimoniale ha come finalità la determinazione della struttura finanziaria e degli investimenti dell’impresa: anche in questo caso si sono individuati due schemi non alternativi di riclassificazione, ognuno dei quali soddisfa specifiche esigenze conoscitive. Per il rendiconto finanziario, infine, si fa riferimento a uno schema anch’esso suddiviso in specifiche aree gestionali, con maggiore dettaglio per quella caratteristica. A chiusura dei capitoli sulla riclassificazione si è eseguita una prima interpretazione dei risultati ottenuti, attraverso il ricorso ad analisi verticali e orizzontali delle tavole di sintesi rielaborate (sesto capitolo). L’ultimo capitolo della seconda parte è dedicato all’applicazione operativa, presentando le principali differenziazioni tra tavole di sintesi pubblicate e riclassi-

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ficate, individuando gli aspetti problematici nel passaggio dalle prime alle seconde: sono, quindi, proposti degli schemi di raccordo, con valore di prima approssimazione. La terza parte del volume è dedicata alla presentazione del sistema di indici, suddiviso in quattro sottosistemi, all’interno di ciascuno dei quali esistono quozienti di primo e di secondo livello. Si propone, quindi, un modello di riferimento principale, anche se non viene trascurata l’illustrazione di alcuni indicatori frequentemente utilizzati nella realtà ma ritenuti, a parere di chi scrive, meno espressivi per la finalità perseguita o duplicazioni di altri già esistenti, vista la notevole correlazione che li caratterizza. Nelle applicazioni non bisogna farsi fuorviare dalle denominazioni attribuite ai singoli indici ma è fondamentale verificare le modalità di elaborazione, poiché non esiste comunanza terminologica, né all’interno di un singolo Paese né tanto meno a livello internazionale. I quattro capitoli successivi (dall’ottavo all’undicesimo) hanno per oggetto i singoli sottosistemi o poli di analisi identificati nella solidità, nella redditività, nella liquidità e nelle potenzialità di sviluppo: per ognuno vengono presentati indici primari e secondari, evidenziando i primi momenti di complementarità. Nell’ambito della solidità particolare approfondimento è dedicato al rapporto di indebitamento e al grado di copertura oltre che al corretto utilizzo dei quozienti relativi alle immobilizzazioni, influenzati sia dall’esistenza dei beni in leasing sia da una politica di ammortamento non sempre rispondente a significativi principi economici. Nella seconda dimensione si propongono differenti tipologie di redditività del capitale investito e di costo dell’indebitamento, in funzione della finalità conoscitiva perseguita, integrate da un’interpretazione quali-quantitativa dell’effetto di leva finanziaria. La liquidità, oltre agli usuali indici, viene esaminata anche attraverso quozienti costruiti ricorrendo a classi e aggregati del rendiconto finanziario, certamente più espressivi nell’ambito della dimensione indagata. Infine, le potenzialità di sviluppo sono investigate nelle dimensioni strutturale e operativa, cogliendone le evidenti connessioni e i riflessi sugli altri poli di analisi. Il dodicesimo capitolo assolve la funzione di integrare il contenuto dei precedenti, per enfatizzare la necessità di approccio sistematico in fase di costruzione e interpretazione: si sviluppa, dunque, un sistema integrato di indicatori, dal quale emerge la necessità di una lettura ed esegesi complessiva, per cogliere le reciproche influenze. La quarta parte del volume è dedicata a un esame preliminare dei riflessi sull’analisi di bilancio del processo di modifica della regolamentazione contabile, sia a livello italiano sia a livello internazionale, con particolare riguardo alle condizioni di comparabilità delle analisi effettuate su bilanci predisposti secondo corpus di principi contabili diversi. Attenzione quasi esclusiva è dedicata al principio contabile internazionale IAS n. 1, che ha come oggetto la presentazione del bilancio e del suo contenuto.

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A conclusione di questo lavoro, che ha modificato l’impostazione del volume, desidero formulare un sentito ringraziamento ai Colleghi e ai Collaboratori con i quali ho condiviso e sto condividendo importanti esperienze nei corsi di Analisi di bilancio, oltre che agli Studenti per le loro osservazioni. Resta, naturalmente, a carico dell’autore la responsabilità di tutto il lavoro. CLAUDIO TEODORI Brescia, Università degli Studi, gennaio 2017

Parte Prima

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

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Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

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Capitolo 1

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

SOMMARIO: 1.1. Le finalità dell’analisi di bilancio. – 1.2. La metodologia di analisi. – 1.3. Il bilancio come strumento di soddisfacimento dei fabbisogni informativi dei differenti destinatari e utilizzatori. – 1.4. Le condizioni di efficace impiego dell’analisi. – 1.5. I termini di riferimento per l’apprezzamento degli indicatori. – 1.6. I parametri esterni per le comparazioni interaziendali. – 1.7. I parametri interni per le comparazioni temporali.

1.1. Le finalità dell’analisi di bilancio L’economicità rappresenta il principio guida nel governo delle imprese, il cui perseguimento è alla base del successo economico, in quanto permette di mantenere la durabilità e l’autonomia 1. L’agire secondo economicità comporta il congiunto ottenimento, nel lungo periodo, di due equilibri: il reddituale e il monetario. L’interesse per il profilo eminentemente economico non deve comunque prescindere dal considerare che l’impresa è istituto economico-sociale e, come tale, profondamente influenzata anche da finalismi extra economici, di specie sociale e politica. Tuttavia, nel lavoro, si pone l’attenzione solamente sulla dimensione economica del multiforme finalismo d’impresa, in quanto si ritiene elemento fondamentale per la sua continuità e, quindi, per il pieno perseguimento anche delle altre tipologie di obiettivi. La valutazione dell’economicità richiede misurazioni sistematiche, le quali trovano rappresentazione nel bilancio di esercizio, individuale o consolidato. La sintesi periodica del sistema dei valori d’azienda è fondata sul presupposto dell’impresa in funzionamento e finalizzata alla determinazione del reddito di esercizio e del correlato capitale di bilancio. Al fine di una maggiore significatività dei contenuti, si considera il bilancio destinato a pubblicazione, cioè indirizzato alla

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Per approfondimenti sul concetto di economicità, G. AIROLDI-G. BRUNETTI-V. CODA, Corso di economia aziendale, Il Mulino, Bologna, 2005, capitolo VII.

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generalità dei terzi interessati all’andamento economico dell’impresa. Per meglio identificare il potenziale informativo e formulare articolati e completi giudizi sul profilo indagato, è necessario sottoporre il bilancio a elaborazione, utilizzando alcune tecniche riconducibili alla generica denominazione di analisi di bilancio 2. Compiere analisi di bilancio significa applicare un metodo di ricerca in cui l’oggetto di indagine è scomposto ed esaminato nelle sue parti elementari, rilevanti per il raggiungimento di definiti obiettivi conoscitivi, esprimendo anche in termini algoritmici le relazioni tra componenti di bilancio. In questa sede ci si propone di valutare l’assetto economico: ciò presuppone la focalizzazione sui valori espressivi di tutte le dimensioni gestionali rilevanti dell’impresa 3. L’analisi

2 Sull’analisi di bilancio si segnalano, tra gli altri, i seguenti contributi: L. BERNSTEIN-J.J. WILD, Analysis of financial statement, McGraw-Hill Education, USA, 2009; M. BINI-P. GHIRINGHELLI (a cura di), Analisi di bilancio, Parte I, Egea, Milano, 2016; M. BINI-P. GHIRINGHELLI (a cura di), Analisi di bilancio, Parte II, Egea, Milano, 2016; G. BRUNETTI-V. CODA-F. FAVOTTO, Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Etas, Milano, 1990; V. CODA-G. BRUNETTIM. BERGAMIN BARBATO, Indici di bilancio e flussi finanziari, Etas, Milano, 1974; C. CARINI, L’analisi di bilancio e la valutazione del posizionamento strategico. Dal settore ai segmenti di attività, Franco Angeli, Milano, 2010; F. CORNO-G. LOMBARDI STOCCHETTI-S. FOSSATI-P. TETTAMANZI, Il bilancio di esercizio: lettura ed interpretazione, Guerini, Milano, 1999; A. CORTESI, L’interpretazione del bilancio di esercizio, Egea, Milano, 1996; C. DEVECCHI (a cura di), Analisi di bilancio, Giappichelli, Torino, 1993; G. FERRERO, Manuale delle analisi di bilancio, Giuffrè, Milano, 1979; G. FERRERO-F. DEZZANI-P. PISONI-L. PUDDU, Analisi di bilancio e rendiconti finanziari, Giuffrè, Milano, 2006; G. FOSTER, Financial statement analysis, Prentice Hall, Englewood Cliffs, 1998; O. GABROVEC MEI, Le analisi di bilancio condotte con le tecniche dei rapporti e dei flussi, Cluet, Trieste, 1985; F. GIUNTA, L’impiego dei nuovi schemi di bilancio di derivazione comunitaria per le analisi economico-finanziarie d’impresa, Cedam, Padova, 1992; F. GIUNTA-M. PISANI, L’analisi di bilancio, Maggioli Apogeo, Santarcangelo di Romagna, 2016; M. FAZZINI, Analisi di bilancio, Wolters Kluwer, Milano, 2015; P. FERRARESE-M. MANCIN-C. MARCON-U. SOSTERO, Analisi economico-finanziaria di bilancio, Giuffrè, Milano, 2016; L. MARCHI-A. PAOLINI-A. QUAGLI, Strumenti di analisi gestionale: il profilo strategico, Giappichelli, Torino, 2003; S. MASCHERETTI-S. MERUSI, Guida all’analisi di bilancio, Etas, Milano, 2007; E. MENICUCCI, Casi e applicazioni di analisi di bilancio, Franco Angeli, Milano, 2015; O. PAGANELLI, Analisi di bilancio, Utet, Torino, 1986; G. PAOLUCCI, Analisi di bilancio. Logica, finalità e modalità applicative, Franco Angeli, Milano, 2015; P. PETERSON DRAKE-F.J. FABOZZI, Analysis of financial statements, John Wiley & Sons, New York, 2012; P. PISONI-A. DEVALLE, Analisi finanziaria, Giuffrè, Milano, 2013; P. PISONI-L. PUDDU, Analisi di bilancio, Giappichelli, Torino, 1992; K. SCHOENEBECK-M. HOLTZMAN, Interpreting and analyzing financial statements, Pearson, New York, 2012; K.R. SUBRAMANYAM-J.J. WILD, Financial statement analysis, McGrawHill Education, New York, 2013; A. SURA, Introduzione alle tecniche di analisi del bilancio redatto secondo gli IFRS, Giappichelli, Torino, 2011; A. TAMI, Leggere il bilancio europeo, Giuffrè, Milano, 1994; G.I. WHITE-A.C. SONDHI-D. FRIED, The analysis and use of financial statement, John Wiley & Sons, New York, 2003. 3 A fronte di più utilizzatori, ognuno con finalità conoscitive parzialmente difformi, l’oggetto comune di analisi è la valutazione dell’economicità. Per tale ragione non si condivide – come a volte si osserva nella realtà – il perseguimento di scopi definiti “parziali” quali, ad esempio, l’analisi del solo profilo finanziario, in quanto quest’ultimo è profondamente connesso con il reddituale e con il monetario: ciò che distingue i singoli utilizzatori non deve essere la parzialità dell’analisi ma il differente grado di approfondimento di taluni aspetti rispetto ad altri.

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di bilancio deve, quindi, essere effettuata in modo da individuare informazioni significative su tali dimensioni. Le principali tecniche allo scopo utilizzate sono: a) la riclassificazione delle tavole di sintesi; b) i quozienti o indici di bilancio; c) i flussi monetari e finanziari. Nell’ambito del lavoro si sviluppano pienamente le prime due tecniche 4 privilegiando la dimensione quantitativa. L’analisi di bilancio, momento di grande rilievo della più ampia analisi fondamentale, è un processo valutativo e non descrittivo o meccanico, che presuppone conoscenze specifiche e competenze professionali. Va collocata in un ambito più ampio, dove assumono rilievo anche informazioni di natura qualitativa e quantitativo non monetaria, con l’ausilio delle quali effettuare ulteriori valutazioni o collocare logicamente i risultati emergenti dall’applicazione delle singole tecniche 5: ciò in quanto esse forniscono dei sintomi e non le cause dei fenomeni, le quali richiedono un’approfondita analisi qualitativa in fase di interpretazione delle elaborazioni effettuate. I multiformi fenomeni aziendali non possono, infatti, trovare completa espressione in valori quantitativo-monetari, in quanto non pochi di essi risentono di definiti principi contabili alla base della loro determinazione. Pertanto, un giudizio complessivo sull’impresa non può mai disgiungersi da un’interpretazione qualitativa dei risultati (equilibri) raggiunti o non raggiunti, connessa a fattori congiunturali e strutturali (contesto in cui l’impresa opera, strategie perseguite, 4 La terza ha costituito oggetto di uno specifico lavoro, strettamente collegato a questo, a cui si rinvia: C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015. In relazione a questa terza tecnica, nel volume non si affrontano le modalità di determinazione dei flussi ma questi ultimi saranno utilizzati per la costruzione di alcuni indici: in altri termini, si presuppone la disponibilità del rendiconto finanziario, che il D.Lgs. n. 139/2015 ha reso obbligatorio per tutte le imprese, ad eccezione di quelle di minori dimensioni. Sul medesimo tema, molteplici sono i contributi esistenti: di seguito se ne segnalano alcuni esclusivamente dedicati al rendiconto finanziario. M. ALLEGRINI-F. GIORGETTI-G. GRECO, Il rendiconto finanziario. Logiche di costruzione e di interpretazione, Giappichelli, Torino, 2014; G. BRUGGER, L’analisi della dinamica finanziaria dell’impresa, Giuffrè, Milano, 1980; G. BRUNETTI-U. SOSTERO, Il rendiconto finanziario alla luce della nuova normativa del bilancio di esercizio, in Rivista dei dottori commercialisti, 1994; C. CARAMIELLO, Il rendiconto finanziario, Giuffrè, Milano, 1993; V. CODA, Il rendiconto finanziario, in Rivista dei dottori commercialisti, n. 4, 1974; G. DAIDOLA-M. ANDREAUS, Bilanci di esercizio e flussi finanziari, Giuffrè, Milano, 1998; G. FARNETI, I flussi monetari nell’indagine patrimoniale-finanziaria, Giappichelli, Torino, 1993; P. MELLA, Il rendiconto finanziario, Isedi, Torino, 1987; L. OLIVOTTO, La dinamica finanziaria d’impresa, Franco Angeli, Milano, 1994; L. POTITO, Il rendiconto finanziario nelle imprese, Giannini, Napoli, 1980; M. VENEZIANI, La costruzione del rendiconto finanziario, Giappichelli, Torino, 2009. 5 In tal senso, un analista non giudica automaticamente in modo negativo una perdita di esercizio ma ne determina le cause, collocandola nel contesto economico e ambientale in cui è maturata.

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business model, grado di concorrenza e innovazione, driver di valore, ecc.) e da tutti quegli elementi che, pur non valorizzati, contribuiscono al perseguimento degli obiettivi aziendali. A questo proposito il D.Lgs. n. 254/2016 che recepisce la direttiva 2014/95/UE introduce, per alcune imprese e gruppi di grandi dimensioni, alcuni obblighi comunicativi aggiuntivi in merito alle informazioni di carattere non finanziario, che devono assicurare la comprensione dell’attività di impresa, del suo andamento, dei suoi risultati e dell’impatto dalla stessa prodotta, con riferimento, a titolo esemplificativo, a tematiche ambientali, sociali, attinenti al personale, al rispetto dei diritti umani, alla lotta contro la corruzione attiva e passiva. Per i destinatari esterni all’impresa il bilancio di esercizio rappresenta l’unico documento disponibile 6 a contenuto quantitativo-monetario: pertanto, l’apprezzamento dell’economicità richiede un’elaborazione tale da consentire di ottenere l’analisi più approfondita possibile. Si tratta, quindi, di un processo complesso, sviluppato in condizioni di conoscenza limitata, che richiede specifiche sensibilità e abilità. Le tecniche in discussione trovano, naturalmente, proficuo impiego anche nelle analisi interne: ciò che cambia sono i valori su cui si applicano e il grado di approfondimento possibile 7. Ad esempio, il tasso di redditività del capitale investito è indicatore utilizzato anche nell’ambito dell’analisi del valore 8, poiché le informazioni desumibili all’interno dell’impresa permettono di disporre dei dati necessari allo scopo. L’analisi di bilancio si dimostra uno strumento efficace se i risultati ottenuti sono correttamente contestualizzati, con riferimento al settore e al comparto di appartenenza e se viene applicata su più bilanci relativi ad esercizi consecutivi, poiché obiettivo è valutare il perseguimento dell’economicità, la quale assume pieno significato nel medio-lungo andare. Analizzare un solo bilancio è, pertanto, operazione limitante e dai risultati sterili: infatti, un singolo periodo potrebbe presentare un risultato particolarmente favorevole (o sfavorevole) per circostanze difficilmente ripetibili o per scelte valutative strumentali e gli indicatori calcolati sui valori ad esso relativi potrebbero indurre attese ingannevoli sui risultati futuri dell’azienda. La gestione aziendale si svolge senza soluzione di continuità: per esigenze conoscitive si suddivide tale unitarietà temporale in periodi amministrativi, con riferimento ai quali vi è la determinazione del reddito di esercizio e del correlato capitale. Appare evidente la forte interdipendenza tra esercizi successivi 6

L’unicità del bilancio come fonte conoscitiva esterna è considerazione valida per le piccole e medie imprese: al crescere della dimensione ma, soprattutto, della cultura della comunicazione economica, risultano disponibili altre informazioni, riprese dalla stampa specializzata nazionale e locale o fruibili in forma “elettronica” (Web). 7 Si pensi soltanto al sistema di contabilità analitica. 8 Tale filone di analisi non viene approfondito nel lavoro, salvo qualche breve cenno, in quanto la capacità di un’impresa di produrre valore è determinabile pienamente soltanto con analisi effettuate all’interno della medesima: ciò non significa che dall’esterno tale indagine sia preclusa ma che i risultati ottenuti rappresentano sempre un’approssimazione, più o meno precisa, al reale.

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per l’esistenza, a fine periodo, di processi produttivi in corso: soltanto intervalli di analisi relativamente ampi (tre o quattro anni) permettono di esprimere valutazioni esaustive, conferendo alle informazioni il necessario carattere dinamico. Come periodi troppo brevi limitano la significatività dell’analisi, anche periodi troppo lunghi possono generare alcune difficoltà in termini di omogeneità, soprattutto in momenti dove le condizioni economiche sono in rapido mutamento. A questo proposito, dopo una crisi importante, si tende a comparare la situazione attuale con quella pre-crisi: questo ha significato solamente se a livello strutturale i parametri precedenti possono essere raggiungibili. Ciò che interessa molto di più sapere è la nostra posizione comparativa, rispetto agli altri, piuttosto che la distanza da un periodo le cui condizioni economiche potrebbero non essere replicabili.

1.2. La metodologia di analisi Il bilancio di esercizio rappresenta, pur con i limiti conosciuti, uno strumento fondamentale per valutare le scelte gestionali di un’impresa: la sua struttura, così come prevista dalla normativa, non permette di ottenere direttamente dai prospetti pubblicati indicazioni esaurienti sulla concreta situazione reddituale, finanziaria, patrimoniale e monetaria. Il bilancio contiene le informazioni utili per esprimere valutazioni sull’assetto economico-globale ma il modo in cui sono organizzate non risulta pienamente soddisfacente per il raggiungimento della finalità perseguita. Ciò conduce alla necessità di rielaborare le informazioni attraverso alcuni interventi riconducibili alle tre tecniche precedentemente citate: a) riorganizzazione, secondo criteri specifici, dei valori contenuti nelle tavole di sintesi (riclassificazione); b) comparazione, per rapporto o per differenza, dei valori o degli aggregati ottenuti con la riclassificazione (indici di bilancio); c) lettura finanziaria e monetaria dei fenomeni aziendali avvenuti nel periodo (stato patrimoniale riclassificato, analisi dei flussi e rendiconto finanziario). In sostanza, attraverso l’analisi di bilancio, è possibile rispondere ad alcune semplici domande, tra cui: qual è la situazione economica globale dell’azienda? Quali sono i fenomeni causali? Quali sono le aree su cui è necessario concentrare l’attenzione? I problemi emersi sono da considerarsi temporanei o duraturi? La metodologia di analisi proposta prevede un percorso che – per approssimazioni successive – è diretto ad agevolare il pieno apprezzamento della dinamica economica. Al riguardo, le fasi rilevanti sono essenzialmente riconducibili alle seguenti: 1. la lettura del bilancio, intesa come momento di prima interpretazione; 2. la riclassificazione delle tavole di sintesi: conto economico, stato patrimoniale e rendiconto finanziario quando disponibile; 3. la costruzione di un sistema di indicatori;

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4. l’analisi della dinamica finanziaria e monetaria 9; 5. la valutazione complessiva dell’azienda. Il tema del rendiconto finanziario e della connessa dinamica finanziaria e monetaria è di particolare rilievo, in quanto il D.Lgs. n. 139/2015 ha reso, per la generalità delle imprese, tale tavola obbligatoria a partire dai bilanci relativi al periodo amministrativo 2016. Dall’obbligo sono però escluse le imprese che predispongono il bilancio in forma abbreviata e le micro imprese: per questa ragione, chi analizza il bilancio, si potrebbe trovare nella condizione di dover costruire il rendiconto finanziario perché non disponibile. Inoltre, dovrebbe essere pacifico che la tavola vada predisposta secondo le indicazioni del principio contabile nazionale, l’OIC n. 10: tuttavia, alcune realtà potrebbero discostarsi da tale schema. Infatti, mentre la struttura e la forma del conto economico e dello stato patrimoniale sono regolamentate direttamente dal codice civile, per il rendiconto (art. 2425-ter) si trova solo una sintetica descrizione del contenuto. In questo volume, quindi, si farà solo qualche sintetico cenno alla necessità di riclassificazione della tavola, rinviando ad altro lavoro per gli approfondimenti 10. Le fasi sopra schematicamente richiamate sono da ritenersi necessarie per qualsivoglia analista: tuttavia, è essenziale ricordare che le finalità perseguite da ciascuno sono parzialmente differenti. Ciò si riflette nella necessità di definire scelte concrete di svolgimento di ciascuna fase, soprattutto in termini di grado di analiticità, anche se si ribadisce che lo schema concettuale di riferimento non subisce variazioni. A fini esemplificativi, quando l’analisi è effettuata in un ambito di affidamento bancario o di valutazione di un concorrente, difformi saranno i criteri seguiti per interpretare le tavole di sintesi e gli indici utilizzati. Inoltre, nella scelta concreta della metodologia, assume rilevanza il contesto di riferimento, che permette di meglio definire le caratteristiche delle imprese da esaminare e la loro comparabilità. Vi sono, infatti, alcuni elementi da considerare, che influenzano le scelte operative: – tipologia di imprese: finanziarie/non finanziarie. La metodologia proposta nel volume è indirizzata alle realtà non finanziarie, anche se la logica di fondo è comune; – bilancio di riferimento: individuale/consolidato; – dimensione: bilancio ordinario/abbreviato/micro imprese. La maggiore espressività dell’analisi si ha con la prima fattispecie di bilancio; – corpus di principi: nazionali/internazionali IAS-IFRS; – attività svolta: imprese con/senza attività regolamentata. Nel primo caso sono disponibili maggiori informazioni di natura quali-quantitativa; – obblighi informativi: quotate/non quotate. 9 In merito all’analisi della dinamica finanziaria e monetaria, si rinvia a C. TEODORI, Il rendiconto finanziario, cit. 10 Si fa riferimento a C. TEODORI, Il rendiconto finanziario, cit.

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Nel seguito del lavoro, la metodologia proposta è finalizzata a valutare l’assetto economico globale di un’impresa, utilizzando esclusivamente le informazioni pubblicamente disponibili, cioè privilegiando le analisi esterne. Per la valutazione dell’assetto economico globale, esso viene scomposto, esclusivamente al fine di agevolarne l’analisi, in quattro sottosistemi, ognuno dei quali fa riferimento a una dimensione strutturale rilevante: 1. solidità; 2. redditività; 3. liquidità; 4. sviluppo 11. La finalità della suddivisione è stabilire il grado di coerenza e di equilibrio esistenti tra gli indici rappresentativi di ogni dimensione di analisi 12; la fase successiva (capitolo 12) consiste nell’individuazione delle relazioni esistenti tra le singole dimensioni. Si tratta, quindi, di un’analisi a due livelli, tra loro assai correlati ma entrambi necessari per cogliere le eventuali aree critiche che caratterizzano l’entità esaminata. Nell’ambito delle singole dimensioni (poli) strutturali di analisi vengono presentati sia indici di primo sia di secondo livello: ciò ne incrementa in modo ragguardevole la numerosità. Gli indici di primo livello identificano gli elementi base del sistema, che possono essere approfonditi con gli indici di secondo livello: pertanto, questi ultimi vengono presentati ma non sempre è necessario utilizzarli.

1.3. Il bilancio come strumento di soddisfacimento dei fabbisogni informativi dei differenti destinatari e utilizzatori Il bilancio di esercizio destinato a pubblicazione è finalizzato, oltre a rispettare un obbligo di legge, a soddisfare il fabbisogno informativo di una molteplicità di interlocutori (stakeholder), prevalentemente esterni all’azienda. Genericamente essi si identificano con i conferenti di capitale-risparmio, i manager, i conferenti di capitale di prestito, gli investitori istituzionali, gli analisti finanziari, i dipendenti e le organizzazioni sindacali, i concorrenti, i fornitori, i clienti, i revisori, le agenzie di rating, l’amministrazione finanziaria, l’amministrazione pubblica, gli organi giudiziari, i ricercatori, gli utilizzatori “intermedi” o a fini statistici, la stampa economica, i consumatori e l’opinione pubblica: non per tutti questi inter11 Tale proposta è originariamente in V. CODA, La valutazione della solvibilità a breve termine, in G. BRUNETTI-V. CODA-F. FAVOTTO, Analisi previsioni simulazioni economico-finanziarie d’impresa, cit. 12 È assai complesso, per alcuni indici, stabilire in modo incontrovertibile la dimensione di appartenenza in quanto i fenomeni di reciproca influenza li rendono riconducibili a più di una. Tuttavia, dato il legame sistemico degli indici, tale attribuzione non risulta elemento fondamentale e, in non pochi casi, deriva da prassi consolidate. Il riferimento è alla parte terza del volume.

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locutori il bilancio di esercizio ha la medesima importanza e, in alcuni casi, deve essere opportunamente integrato da altre informazioni quali-quantitative. Ai destinatari citati se ne possono aggiungere di specifici, direttamente connessi alla tipologia di attività svolta dall’impresa. Tale molteplicità di soggetti, con caratteristiche e interessi anche divergenti, è causa della necessità di adeguamento della metodologia generale di analisi agli scopi conoscitivi perseguiti. Per ciascuno di essi si formuleranno delle brevi osservazioni. Conferenti di capitale risparmio. Il bilancio esplica la propria finalità informativa soprattutto laddove esistono soci di minoranza: infatti, per questi ultimi, esso è strumento per la concreta valutazione del ritorno sull’investimento effettuato. Ciò non significa che i soci di maggioranza non traggano informazioni confacenti sull’andamento economico dell’impresa ma le medesime informazioni possono essere ottenute con strumenti differenti. Dal punto di vista di questi ultimi soggetti, i bilanci destinati a pubblicazione sono predisposti con la finalità di far conoscere (all’esterno) piuttosto che di conoscere. Manager e azionisti delle piccole e medie imprese. Come già evidenziato al punto precedente, anche per i manager e gli azionisti delle piccole e medie imprese le conoscenze sull’andamento economico complessivo sono ottenibili attraverso i tipici strumenti del controllo di gestione (management accounting), caratterizzati da una maggiore analiticità e prontezza rispetto al bilancio destinato a pubblicazione. Tuttavia, l’analisi di bilancio permette di comprendere come soggetti esterni (ad esempio i concorrenti e i finanziatori) valutano l’impresa: inoltre, in non poche realtà, il bilancio rappresenta l’unico strumento di consuntivazione. Conferenti capitale di prestito. Per questi destinatari il bilancio è documento fondamentale a fini conoscitivi ma non unico: infatti, nel processo di affidamento, altri elementi assurgono a rilevanza. I finanziatori concentrano la loro attenzione sul grado di solvibilità (a breve o a medio lungo) dell’impresa in funzione della tipologia e della durata del prestito concesso: risulta evidente che all’allungarsi di quest’ultima, l’analisi diventi più approfondita. Nell’ambito della categoria dei conferenti capitale di prestito rientrano le banche, le società di leasing, le società di factoring. A questa categoria si possono ricondurre anche soggetti cui fanno capo le forme di finanziamento alternative al debito bancario (mini-bond, cambiali finanziarie, fondi di debito, altri strumenti di debito ibridi), il cui interesse è crescente anche se la diffusione è limitata. Infine, va segnalato che per i finanziatori fondamentale risulta l’analisi prospettica, indirizzata a definire l’economicità futura e, in particolare, l’esistenza dell’equilibrio monetario: ciò è tanto più vero al crescere della durata dei finanziamenti. Investitori istituzionali. In merito a tali soggetti (ad esempio, private equity, venture capital) va rilevato che il bilancio, pur assumendo rilevanza non trascurabile, è solamente uno degli strumenti della globale comunicazione economica: esso, in genere, viene utilizzato per formulare un giudizio di prima approssimazione sia sulla situazione economica sia sulla qualità dell’informativa contabile.

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

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Analisti finanziari. Esistono differenti tipologie, ad esempio equity o credit e il loro utilizzo dell’analisi di bilancio, in funzione dell’attività svolta, si avvicina a quella dei finanziatori o degli investitori. Prestatori di lavoro e sindacati. Il bilancio assume particolare rilievo nei casi in cui esistano politiche di remunerazione collegate ai risultati economici ottenuti. A tale proposito vi sono indicatori importanti da monitorare, quali il valore aggiunto e il margine operativo lordo. Inoltre, dalla lettura del bilancio è possibile effettuare alcune considerazioni sulle politiche attuali e future di crescita e di consolidamento dell’impresa o del gruppo, oltre che sulla sostenibilità di incrementi salariali e piani pensionistici. Concorrenti. L’indagine sui bilanci dei concorrenti è una delle finalità prevalenti per cui si effettua l’analisi: è importante conoscere il posizionamento relativo, la sua evoluzione, le politiche attuate dai principali competitor, i loro punti di forza e debolezza. Inoltre, le elaborazioni effettuate sono un termine di paragone fondamentale per un significativo confronto degli indici dell’impresa 13. Fornitori. Valgono considerazioni in parte analoghe a quelle formulate per i finanziatori, anche se l’esistenza di un rapporto commerciale sottostante limita l’importanza dello strumento, salvo situazioni di accordi di particolare rilevanza. Nell’ambito dei fornitori di servizi, un soggetto di rilievo è identificato nelle società di assicurazione del credito, per le quali l’analisi del bilancio e la formulazione di un rating sono momenti importanti nel loro processo decisionale. Clienti. Anche in questo caso l’interesse è limitato, fatte salve le circostanze in cui vi sia un rapporto contrattuale rilevante o di esclusiva: in siffatte situazioni (ma analoghe considerazioni varrebbero per i casi meno vincolanti) le difficoltà economico-finanziarie (e l’eventuale dissesto) dell’azienda fornitrice, si potrebbero ripercuotere in modo significativo anche sull’economia delle imprese clienti. Revisori. Il bilancio rappresenta la base su cui tali soggetti operano: è, quindi, elemento informativo fondamentale. Attraverso l’analisi, il revisore può individuare alcune aree critiche, su cui porre l’attenzione. Inoltre, l’indagine permette di formulare un giudizio sintetico sull’economicità dell’impresa e sul suo grado di rischio operativo, finanziario e complessivo, anche attraverso la comparazione con indici di riferimento. L’analisi assume particolare criticità sia in fase di accettazione dell’incarico, sia in fase di espletamento del medesimo. Inoltre, poiché il rapporto tra impresa e revisore è di specie continuativa, vi è un fattivo intervento di quest’ultimo sulla sua concreta costruzione 14. 13

Si veda il paragrafo 1.6. La categoria dei revisori non è di norma assimilabile pienamente ai destinatari esterni del bilancio ma a quella dei co-maker. Per approfondimenti su tale tipologia si veda S. SALVIONI, Il bilancio d’esercizio nella comunicazione integrata d’impresa, Giappichelli, Torino, 1992. Sui collegamenti tra analisi di bilancio e revisori, si veda B. CAMPEDELLI, Le analisi di bilancio per la revisione aziendale, Giappichelli, Torino, 1995. 14

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Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

Agenzie di rating. La determinazione di un giudizio sintetico da parte di queste società, presuppone analisi sia qualitative sia quantitative: nell’ambito di queste ultime uno degli strumenti utilizzati è l’analisi di bilancio, la quale riveste un ruolo importante ma non prioritario, in quanto sulla valutazione finale intervengono molteplici elementi, ognuno dei quali apporta uno specifico contributo informativo. Amministrazione finanziaria. Il risultato emergente dal conto economico rappresenta la base per il calcolo dell’imposizione tributaria: è, pertanto, evidente l’importanza per tale utilizzatore. Amministrazione pubblica. In linea generale è poco interessata al bilancio delle imprese, salvo nelle situazioni in cui esistano importanti rapporti di fornitura o nell’ambito dei contratti di appalto: le dimensioni di analisi che generalmente vengono considerate critiche sono la solidità e la redditività anche se tale modo di pensare non è condivisibile, in quanto è l’assetto economico globale a dover essere oggetto di analisi. Organi giudiziari. Sono interessati al bilancio in casi particolari, la maggioranza dei quali si identificano con situazioni di crisi (procedure concorsuali), di ristrutturazione o di contenzioso tra i soci. Ricercatori. Il bilancio per tale categoria di soggetti è elemento primario per attuare una serie assai variegata di indagini con finalità conoscitive e scientifiche. Utilizzatori “intermedi” o a fini statistici. Rientra nella categoria un gruppo assai numeroso ed eterogeneo di utilizzatori, per i quali il bilancio rappresenta la “materia prima” per la fornitura di nuovi servizi. La prima tipologia identifica le imprese che effettuano, come attività tipica e a fini commerciali, la fornitura di analisi su specifiche imprese o su determinati settori di attività. La seconda fattispecie riguarda altri soggetti che si occupano, con motivazioni differenti, di analisi sull’andamento economico globale dei settori di attività. Si pensi, a solo titolo esemplificativo, agli studi sui settori o sulle imprese italiane (ad esempio quelli di Mediobanca) che periodicamente sono pubblicati. Stampa economica. La disponibilità del bilancio rappresenta uno dei momenti fondamentali per commenti e valutazioni sulle imprese. Ciò vale sia a livello nazionale sia a livello locale. Consumatori e opinione pubblica. L’interesse è sostanzialmente limitato e non riguarda il singolo consumatore ma eventuali categorie. Elementi di analisi sono costituiti da alcuni aggregati quali i costi pubblicitari, i costi ambientali, i costi della sicurezza e della qualità. A tale proposito, per questi interlocutori, è maggiormente rilevante il bilancio definito sociale, ambientale o di sostenibilità. In sintesi, il bilancio destinato a pubblicazione presenta un numero di destinatari assai elevato: è comunque opportuno suddividerli in “effettivi” e “teorici”. Solamente alcune delle tipologie presentate, attraverso il bilancio e la sua analisi, riescono a soddisfare concretamente e in modo continuativo i loro fabbisogni

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

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informativi. Inoltre, per i predetti gruppi di destinatari, il bilancio destinato a pubblicazione costituisce la principale fonte informativa nei casi in cui non si instaurino rapporti più stringenti, implicanti anche l’accesso privilegiato a definite elaborazioni interne.

1.4. Le condizioni di efficace impiego dell’analisi Dopo aver definito le finalità e la metodologia di analisi di bilancio, oltre agli utilizzatori della stessa, si presentano tre condizioni limitanti il suo efficace impiego, che debbono essere attentamente valutate dall’analista. Esse sono connesse: a) all’oggetto di analisi: si ricordano le politiche di bilancio; la dinamica inflazionistica; la scarsità e la qualità delle informazioni; b) alla scelta degli strumenti: metodologie di riclassificazione non coerenti con gli obiettivi perseguiti; modesta espressività dei singoli indici selezionati; mancata ricerca di indici specifici per la realtà indagata; c) all’utilizzo degli strumenti: mancato ricorso al sistema di indici in fase interpretativa; esclusione delle variabili flusso nella costruzione degli indici; assenza di nessi con l’analisi della dinamica finanziaria. La prima condizione limitante fa riferimento al bilancio di esercizio, del quale alcuni valori possono non essere economicamente giustificati in seguito al perseguimento di politiche di bilancio strumentali. Inoltre, nei documenti delle aziende di piccole dimensioni (e, purtroppo, non solamente in quelli) si osservano situazioni che rendono decisamente complessa l’effettuazione di una compiuta analisi di bilancio. Si fa riferimento, solamente per citare alcuni esempi, a note integrative assai poco descrittive e utili per l’interpretazione dei valori, a causa della loro sinteticità o in seguito all’approfondimento di aspetti marginali in luogo dei rilevanti; a relazioni sulla gestione oltremodo generiche, le quali non assolvono, neppure marginalmente, la funzione esplicativa loro propria; all’esistenza, per le imprese minori, del bilancio in forma abbreviata. L’adeguatezza degli indici di bilancio e dei flussi finanziari dipende dalla completezza informativa dei bilanci, la quale permette in primis l’effettuazione di complete riclassificazioni delle tavole. La seconda limitazione potenziale attiene all’attività di analisi vera e propria. Momento fondamentale è rappresentato dalla fase di riclassificazione tendente, oltre che a fornire una prima indicazione sulla situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale, a predisporre le grandezze, a più livelli di aggregazione, per la costruzione degli indici di bilancio. Appare evidente che errori, imprecisioni e incongruenze in tale fase compromettano tutta l’analisi successiva. Tra le decisioni fondamentali vi è quella sui criteri di rielaborazione da utilizzare e sugli aggregati da determinare: una scelta non coerente con le caratteristiche dell’azienda porta all’esito sopra descritto. Secondariamente, risulta importante cogliere gli effetti

14

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

prodotti da alcune classi di valori caratterizzanti la tipologia di impresa investigata: ciò è possibile con la costruzione di indici specifici (oltre che di appropriati flussi finanziari e monetari) che integrano o sostituiscono i “tradizionali” che, in certi contesti, non sono adeguati 15. L’ultima condizione richiama la fase interpretativa: disporre di molteplici indici non significa fare ricorso a un sistema ma solo a un insieme dei medesimi. Per poter adeguatamente condurre l’analisi è necessario utilizzare un gruppo di indici dalle cui relazioni matematiche e logiche (appunto, un sistema) emergano gli elementi per effettuare la valutazione. Inoltre, nella costruzione e nell’esame di indici, si devono necessariamente utilizzare anche i flussi finanziari e monetari, cioè il rendiconto finanziario. Sempre con riferimento alla fase interpretativa, vi sono ulteriori considerazioni da formulare, prevalentemente indirizzate verso gli indici di bilancio, che certamente rappresentano lo strumento più diffuso e conosciuto. Infatti, gli indici di bilancio rappresentano il risultato “finale” dell’analisi: anche la necessità di esaminare approfonditamente i flussi finanziari e monetari, può essere soddisfatta attraverso la costruzione di specifici indicatori fondati sul rendiconto finanziario riclassificato. Fase preliminare alla costruzione degli indici è, infatti, vagliare in modo critico le loro caratteristiche generali e, in particolare, le circostanze nelle quali forniscono il maggiore potenziale informativo. Ciò significa, tra l’altro, individuarne i possibili limiti o, meglio, le condizioni limitanti. Gli indici rappresentano validi strumenti di investigazione solamente se la loro applicazione è ragionata e non di tipo meccanico: ciò implica un processo elaborativo strettamente coerente con le finalità perseguite nell’analisi. In altri termini, pur esistendo alcuni indicatori valevoli nella generalità delle situazioni (redditività operativa), altri specifici se ne possono costruire poiché meglio adatti alla rappresentazione della tipicità analizzata o al perseguimento di scopi conoscitivi particolari. Non è, quindi, auspicabile utilizzarne un “insieme” predefinito ma, partendo da questo, identificare di volta in volta le parti da escludere e le nuove da annettere: il metodo e l’obiettivo per cui si effettua l’analisi devono condizionare la scelta degli strumenti da impiegare. Si può, infatti, calcolare un numero “infinito” di indicatori e non esiste un elenco migliore di un altro. Considerato singolarmente, un indice di bilancio non fornisce alcuna informazione rilevante: è solo un numero diviso per un altro. Esso va messo a confronto con parametri di riferimento 16 e, ancor più importante, inserito in un sistema, all’interno del quale assumono rilevanza primigenia le relazioni di interconnessione e di equilibrio. Da ciò discende che non riveste significato alcuno, almeno nelle analisi ester15 16

Valga come esempio, la durata (rotazione) del magazzino o delle rimanenze in un’azienda edile. La tematica verrà affrontata nei paragrafi successivi.

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

15

ne, stabilire un valore predefinito di raffronto (“normale” o “ideale”), poiché quest’ultimo dipende dalle condizioni in cui opera l’azienda e dalle scelte sia operative sia strategiche che essa ha compiuto. Ad esempio, il rapporto di indebitamento, utilizzato in modo isolato, non permette di formulare complete valutazioni sulla solidità: ciò diviene possibile allorquando lo si correla alla situazione di redditività e al grado di rischio operativo e finanziario dell’azienda. Ancora, differente deve essere la sua interpretazione a seconda che l’azienda appartenga a un settore maturo piuttosto che in espansione, in declino o ad alta tecnologia. Non esiste un unico modo per calcolare un indice di bilancio o un flusso finanziario: a fronte di un’uguale denominazione si possono trovare modalità di calcolo diverse, così come a fronte della medesima modalità di calcolo si possono trovare differenti denominazioni. Il calcolo deve anche tenere conto della regolamentazione contabile dei singoli Paesi e dell’approccio culturale in essi prevalente. L’espressività di qualsiasi indicatore deve essere attentamente valutata. Un caso frequente riguarda i valori anomali, cioè l’ottenimento per un indice di un valore palesemente ed economicamente inadeguato: ad esempio, un costo medio del denaro superiore a qualsiasi tasso di usura o una durata del magazzino di anni. In questi casi è necessario capire la ragione del valore anomalo ed escluderlo dall’analisi. Un altro caso molto frequente si ha quando un indicatore ha numeratore e/o denominatore negativo: ci si chiede se ha senso utilizzarlo. La risposta è legata allo specifico indice: ad esempio, se si calcola il rapporto tra il reddito netto e i mezzi propri, non vi sono problemi a fronte di una perdita, che determina una redditività negativa. Il problema si pone, sempre nel medesimo esempio, quando anche i mezzi propri sono negativi: in questo caso l’indice è “positivo” ma la situazione reddituale compromessa. Un altro esempio riguarda il rapporto di indebitamento, cioè il rapporto tra debiti e mezzi propri: se i mezzi propri sono negativi, l’indicatore non è espressivo. Si potrebbe continuare con le esemplificazioni ma il punto chiave è valutare con attenzione i valori utilizzati per il calcolo, così come emergenti dalla riclassificazione. Quanto più volte specificato per gli indici vale anche per le risorse finanziarie: ciascuna soddisfa uno specifico fabbisogno informativo e deve essere coerente con il contesto in cui si sviluppa l’analisi. È indubitabile come indici e flussi forniscano informazioni differenti ma complementari: di conseguenza, se tra i due sistemi non si pongono in essere molteplici momenti di integrazione, qualitativi e quantitativi, l’analisi sarà carente e, quindi, meno o poco significativa.

1.5. I termini di riferimento per l’apprezzamento degli indicatori L’analisi tramite indici permette di sintetizzare, in relativamente pochi elementi, la situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell’azienda e di confrontarla nel tempo e nello spazio. Ciò porta a due riflessioni.

16

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

La prima riguarda la tipologia di analisi, che può essere di specie temporale o spaziale. Le analisi temporali (time series analysis) consentono di interpretare l’evoluzione nel tempo degli indicatori relativi a una specifica azienda; le analisi spaziali (o interaziendali o cross sectional analysis) pongono a confronto gli indici di un’azienda con valori ad essa esterni. Quanto scritto introduce la seconda riflessione: in entrambe le analisi, certamente non alternative, è necessario il ricorso a termini di paragone, cioè a parametri di raffronto attraverso i quali interpretare il sistema di indici dell’azienda. Essi sono riconducibili a due tipologie: a) esterni, tra cui i dati (le medie) di settore, dei concorrenti o di altre aggregazioni rilevanti; b) interni, che comprendono i rapporti tra valori simultanei (o sistemici), i quozienti storici e i quozienti obiettivo. Nei due paragrafi successivi si descrivono e commentano brevemente i singoli termini di raffronto individuati.

1.6. I parametri esterni per le comparazioni interaziendali Le medie di settore Il parametro in oggetto, ampiamente diffuso, presenta non pochi elementi di problematicità. In primo luogo, il concetto di settore risulta, nella maggior parte dei casi, troppo ampio per disporre di utili termini di paragone: non sempre è agevole assegnare un’impresa a un settore di attività che sia sufficientemente omogeneo al proprio interno 17. Inoltre, non poche imprese operano in più settori di attività: in questo caso andrebbe scelto quello prevalente, ad esempio facendo ricorso al fatturato. Tale situazione si presenta con maggiore frequenza al crescere della dimensione, assumendo contorni molto specifici in presenza di un gruppo di imprese e del bilancio consolidato. Infine, non sempre è agevole definire i confini di un settore e identificare i criteri da seguire. Secondariamente, proprio per la sua ampiezza, il solo valore medio è poco indicativo se non correlato a indicatori segnalatori del grado di variabilità. La terza osservazione riguarda le modalità di calcolo: due elementi, per essere comparabili, devono risultare omogenei ma non sempre è possibile conoscere come gli indici settoriali sono concretamente costruiti. È frequente, nella realtà, 17

Si pensi, a solo titolo di esempio, ai settori tessile e alimentare e alla molteplicità di attività, sostanzialmente difformi, ad essi riconducibili. Ancora, l’aggregato settoriale “Imprese manifatturiere diverse” accoglie tutte le aziende per le quali non è specificamente determinabile la tipologia di attività o individuabile una prevalente. Analoga considerazione vale nei settori siderurgico, metallurgico, meccanico, automotive, dove la varietà delle attività svolte è molto ampia.

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

17

osservare indicatori con identica denominazione ma con contenuto differente: ciò si riscontra, prevalentemente, per gli indici di redditività 18. I vantaggi di tale tipologia di parametri sono l’ampia disponibilità e l’immediatezza del confronto. Le fasi su cui si articola il raffronto sono le seguenti: a) attribuzione dell’impresa al settore di appartenenza: nel caso in cui non fosse facilmente identificabile, è possibile ricorrere a una visura camerale. In tal modo è possibile identificare il codice Ateco 19 della specifica attività economica, che non ha valore legale ma semplicemente statistico. Tale codice, seppur rilevante, non assicura un confronto significativo: non è, infatti, infrequente che imprese tra loro concorrenti siano identificate da codici difformi, magari scelti in anni passati e non più aggiornati; b) individuazione dei dati comparativi: le principali fonti “pubbliche” disponibili sono rappresentate dalle pubblicazioni di Mediobanca e, in passato, della Centrale dei Bilanci di Torino 20. Un problema da non trascurare è l’aggiornamento che, per evidenti ragioni (disponibilità dei bilanci), è caratterizzato da periodi assai lunghi; c) valutazione del grado di comparabilità: è certamente il momento più critico, in quanto serve a comprendere come il soggetto fornitore dei dati riclassifica i bilanci, quali indicatori utilizza e come vengono calcolati; d) adattamento e confronto: giacché appare improbabile una completa uniformità tra la metodologia di analisi utilizzata dall’analista e quella caratterizzante i valori medi di settore, dopo un inevitabile adeguamento è possibile procedere al confronto, con memoria a quanto sopra scritto. Di norma tale collazione è più agevole per analizzare la struttura patrimoniale e finanziaria piuttosto che la redditività, in quanto maggiori sono le omogeneità che si rilevano. L’analisi di settore presenta differenti limiti soprattutto se basata su criteri “generali”, quali i codici Ateco. Vi sono però alcune società specializzate nelle analisi di peculiari settori di attività, le quali costruiscono valori medi fondati sulla specifica attività svolta, identificando all’interno del settore alcune aggregazioni più ristrette e omogenee (segmenti): tali valori, però, non sono di libera consultazione 21. A causa dei non pochi limiti riscontrati è preferibile ricorrere, in luogo delle medie di settore, ai valori di comparto, relativi ai concorrenti diretti o ad altri riferimenti esterni. 18 Tale osservazione vale soprattutto per i dati forniti da società specializzate nelle analisi di bilancio e settoriali, che in questi ultimi anni sono sensibilmente aumentate. 19 Per approfondimenti sulla classificazione Ateco 2007, la più recente, si veda il sito dell’Istat. 20 Entrambe le fonti utilizzano molteplici criteri per l’aggregazione dei valori e il calcolo delle medie. Si rinvia alle seguenti pubblicazioni: CENTRALE DEI BILANCI, Economia e finanza delle imprese italiane, Bancaria Editrice, Roma (aggiornamento annuale fino al 2008); MEDIOBANCA, Dati cumulativi di 2060 società italiane, Milano (aggiornamento annuale con variazione del numero delle imprese). 21 Nell’ampio mondo della siderurgia e dell’acciaio, il riferimento è Siderweb.

18

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

Gli indici dei concorrenti o di comparto L’impiego di tale parametro comporta la sostituzione del concetto di settore con quello meno ampio di comparto, inteso come l’insieme dei concorrenti diretti che identificano un raggruppamento strategico: ciò assicura una significativa comparabilità. Il confronto con i concorrenti diretti permette di definire la posizione relativa di ciascuno, individuandone i punti di forza e di debolezza. Le aziende del comparto non sono normalmente numerose: pertanto, sono sufficienti i valori medi, senza l’esplicitazione di indicatori di variabilità. Inoltre, risultano generalmente disponibili anche informazioni extra-bilancio, utili per la migliore interpretazione dell’assetto economico globale. È necessario, in via preliminare, valutare alcune condizioni iniziali quali, ad esempio, la data di chiusura dei bilanci e i principi contabili utilizzati. Date differenti rendono malcerta la comparabilità e l’utilizzo dei valori medi, soprattutto se esistono accentuati cicli stagionali; principi contabili non omogenei sono frequenti laddove si comparano imprese appartenenti a Paesi diversi e che non fanno uso degli IAS-IFRS. Non è possibile proporre una soluzione univoca: in funzione della situazione concreta, l’analista dovrà primariamente definire se tali differenze possono e in che misura inficiare l’analisi. Anche in questo caso, l’analisi si articola in quattro fasi: a) individuazione dei concorrenti principali; b) analisi economica dei loro bilanci utilizzando una metodologia comune; c) individuazione delle imprese del comparto da utilizzare per il calcolo dei valori medi: in alcuni casi è opportuno, per ottenere raffronti più espressivi, non includere tutte le imprese. Ad esempio, se uno dei concorrenti è un’impresa commerciale mentre le altre sono produttive, è appropriata la sua esclusione, in quanto potrebbe alterare il significato di alcuni indicatori; d) comparazione, attraverso il calcolo degli indici medi e, se necessario, di indicatori di variabilità 22. In questa fase ci si propone di determinare la posizione di una singola impresa rispetto alle altre e di identificare i principali sintomi esprimenti punti di forza e di debolezza relativi. La quarta fase può essere concretamente effettuata con differenti modalità, tra cui si segnalano le due seguenti (Tabella 1.1) 23: 1. media degli indici delle singole imprese; 2. valori standardizzati.

22

Questi indicatori sono tanto più necessari quanto maggiore è la numerosità delle imprese. Sul significato dei singoli indicatori di Tabella 1.1, si vedano il capitolo 9 e le considerazioni formulate in merito all’analisi verticale (paragrafo 6.2). ROI individua la redditività del capitale investito; ROS la redditività delle vendite; V/CI la rotazione del capitale investito; SQM un indicatore di variabilità (scarto quadratico medio). 23

19

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

Tabella 1.1. – Gli indici medi di comparto e i valori standardizzati A

B

C

D

2.500

2.800

700

7.000

Reddito operativo

150

400

50

650

Capitale investito

2.000

2.500

1.000

6.000

ROI

7,5%

16,0%

5,0%

10,8%

9,8%

0,04

ROS

6,0%

14,3%

7,1%

9,3%

9,2%

0,03

V/CI

1,3

1,1

0,7

1,2

1,1

0,21

ROI Standardizzato

– 0,57

1,50

– 1,17

0,24

0,00

1,00

ROS Standardizzato

– 1,00

1,61

– 0,64

0,03

0,00

1,00

V/CI Standardizzato

0,90

0,29

– 1,69

0,51

0,00

1,00

Fatturato

Media

SQM

Il ROI medio del comparto è pari a 9,8%: l’azienda B presenta la redditività più elevata, dovuta a un maggiore ritorno sulle vendite, mentre l’azienda C si caratterizza per i valori più modesti in assoluto. L’azienda A, malgrado presenti la minore redditività delle vendite (anche rispetto a C), si contraddistingue per la migliore efficienza nell’utilizzo del capitale, che le consente di ottenere performance complessive migliori di C. La D, infine, è quella con i valori più prossimi ai medi e la seconda nel comparto. Utilizzando i valori standardizzati 24 si ottengono le medesime informazioni in modo più diretto e completo, in quanto appare immediatamente il differenziale tra la singola impresa e il valore medio. Infatti, tale trasformazione di valori è caratterizzata dal possedere una media pari a 0 e uno scarto quadratico medio pari a 1. In tal modo si vede che l’azienda C ha un ROI che diverge dal valore medio 1,17 volte in negativo cioè, in altri termini, presenta uno scarto di 1,17 volte rispetto alla media. Analoga interpretazione per B, l’azienda con ROI migliore, che diverge in positivo di 1,5 volte. Questa seconda modalità di confronto si presenta assai semplice poiché il valore di riferimento è 0 che, in una rappresentazione grafica, coincide con il punto di incrocio degli assi. Infine, essendo i valori standardizzati dei numeri puri, è possibile sommare tra loro indici differenti, per determinare uno score sintetico: al crescere del valore, migliore è l’impresa. La disponibilità di valori medi rappresenta una delle modalità di confronto: 24

Un valore standardizzato si calcola nel seguente modo: Indice azienda – Indice medio SQM indice

20

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

analisi più mirate possono consistere nel confronto diretto con una delle imprese del comparto quale, ad esempio, la leader.

Altre aggregazioni A fianco del comparto, esistono altre aggregazioni che possono rivestire sia il ruolo di soggetto da analizzare, sia quello di parametro di riferimento per la singola impresa. Senza volere approfondire il tema, si tratta delle filiere, dei cluster, delle reti, dei distretti, dell’area geografica, della dimensione e di altre ancora.

1.7. I parametri interni per le comparazioni temporali I rapporti sistemici Essi valorizzano il concetto di sistema di indici al quale più volte si è fatto riferimento: infatti, viene privilegiata la ricerca di relazioni logiche e matematiche tra gli elementi che lo compongono. In altri termini, ciò che si osserva è la coerenza interna del sistema: un indicatore è valutato positivamente se in equilibrio, cioè congruente con gli altri. Esempi sono rappresentati dall’effetto di leva finanziaria, dalla scomposizione del ROI, dal confronto tra tasso di crescita del capitale investito e dei mezzi propri 25. Da quanto scritto risulta evidente (ma ciò vale per tutti i parametri interni) che essi forniscono informazioni sulla singola impresa ma nulla esprimono sulla situazione relativa cioè rispetto ai concorrenti o, in generale, all’esterno: a questo fine è necessario il ricorso ai parametri del paragrafo precedente.

I quozienti storici Si tratta del parametro “naturale” utilizzato nelle analisi temporali, con cui si traggono informazioni sulla tendenza dei fenomeni e non sulle loro peculiarità. Inoltre, per un proficuo impiego, presuppongono una certa stabilità nel tempo dell’ambiente economico. Rappresentano, normalmente, la base di partenza per ulteriori indagini e di riferimento per le analisi orizzontali 26.

I quozienti obiettivo Il loro campo di applicazione è limitato alle analisi interne giacché presuppongono l’esistenza di un sistema di budget, dal quale emergano i parametri in oggetto. In particolare, essi derivano dall’utilizzo delle tavole di sintesi previsionali. 25 26

Per i primi due raffronti, si veda il capitolo 9; sul terzo il capitolo 11. Le analisi orizzontali sono trattate nel paragrafo 6.3.

Le finalità dell’analisi e le condizioni di efficace impiego

21

In chiusura di capitolo si sente l’esigenza di ribadire una considerazione in parte già formulata: le singole tipologie di parametri non sono tra loro alternative poiché ognuna possiede un definito potenziale informativo. In particolare, risulta frequente e auspicabile il ricorso congiunto a parametri interni ed esterni: ad esempio, quozienti storici, rapporti sistemici e indici dei concorrenti (o di settore ove opportuno).  

22

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

Capitolo 2

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione SOMMARIO: 2.1. Le fasi della metodologia di lettura. – 2.2. Il ruolo della nota integrativa e della relazione sulla gestione ai fini dell’analisi di bilancio. – 2.3. La valutazione del grado di discrezionalità e di attendibilità del reddito.

2.1. Le fasi della metodologia di lettura Nell’ambito della lettura del bilancio destinato a pubblicazione, momento preliminare all’analisi vera e propria, sono comprese almeno due tematiche: – la predisposizione di una metodologia specifica, premessa fondamentale per la piena comprensione delle relazioni tra combinazione economico-produttiva e sistema dei valori (paragrafi 2.1 e 2.2); – la valutazione del grado di discrezionalità del reddito e della sua qualità (paragrafo 2.3). L’analisi di un qualsiasi bilancio non può e non deve essere considerata una meccanica applicazione di tecniche attraverso le quali arrivare alla costruzione di indici. Molte delle informazioni utili per realizzare un completo esame si ottengono attraverso la preliminare lettura di tutti i documenti che lo compongono 1 e, in particolare, della nota integrativa e della relazione sulla gestione. La lettura del bilancio rappresenta, quindi, un momento insostituibile, nel quale si possono cogliere una serie di preziosi elementi per la successiva analisi e per la fase interpretativa. Si tratta di un momento non temporalmente ma logicamente precedente, nel senso che prima di effettuare l’analisi vera e propria, è opportuno identificare il quadro di riferimento all’interno del quale collocare l’impresa, gli elementi di criticità e da approfondire, le caratteristiche distintive. Pur essendo unitaria, viene articolata in più fasi, ognuna delle quali tende all’ottenimento di 1

La composizione del bilancio è intesa in senso ampio: documenti obbligatori, a corredo, supplementari.

24

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

informazioni confacenti agli sviluppi successivi e, in particolare, alla riclassificazione e all’interpretazione degli indici di bilancio. Di seguito sono commentate le singole fasi di lettura 2 (Tabella 2.1). Tabella 2.1. – Le fasi di lettura del bilancio di esercizio 1. Lettura della relazione sulla gestione. 2. Lettura della nota integrativa. 3. Lettura delle tavole di sintesi. 4. Analisi delle principali variazioni intervenute nelle classi di valori delle tavole di sintesi. 5. Lettura delle tavole integrative al bilancio. 6. Lettura critica dei criteri di valutazione. 7. Individuazione dell’esistenza di operazioni o procedure straordinarie. 8. Identificazione dei componenti straordinari. 9. Analisi incrociata di congruenza tra relazione sulla gestione e nota integrativa. 10. Lettura della relazione del collegio sindacale. 11. Lettura della relazione di revisione (controllo contabile). 12. Determinazione del grado di discrezionalità e del grado di attendibilità del reddito. 13. Analisi delle principali operazioni intragruppo e della loro possibile influenza sul risultato economico e sulla situazione patrimoniale e finanziaria. 14. Individuazione della rilevanza dedicata a tematiche ambientali e sociali. 15. Analisi di sintesi con la costruzione del profilo qualitativo dell’informativa disponibile. 16. Scelta degli strumenti per l’analisi di bilancio, in termini di schemi di riclassificazione, indici di bilancio, flussi finanziari e monetari. 2

Le prime due, vista la loro crucialità, saranno sottoposte ad approfondimento nel paragrafo successivo. Le fasi di lettura indicate fanno riferimento all’attuale bilancio di esercizio. Si segnala, in anni precedenti, la proposta di C. DEVECCHI (La metodologia di lettura del bilancio di esercizio, in A. PROVASOLI-C. DEVECCHI (a cura di), La lettura del bilancio di esercizio. Metodologia e applicazioni, Unicopli, Milano, 1987) dalla quale emergevano le seguenti nove fasi: 1. lettura della relazione degli amministratori che tratta dell’ambiente socio-economico in generale; 2. lettura della tavola del reddito per comprendere il significato semantico delle voci; 3. lettura delle variazioni della tavola del reddito in due esercizi consecutivi; 4. lettura della tavola del capitale di funzionamento per comprendere il significato semantico delle voci; 5. lettura della dinamica intervenuta nei valori della tavola del capitale; 6. lettura delle tavole integrative al bilancio d’esercizio; 7. lettura del bilancio per l’apprezzamento dell’attendibilità del reddito d’esercizio; 8. lettura dei conti d’ordine; 9. sintesi e conclusioni.

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

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Lettura della relazione sulla gestione. La relazione sulla gestione fornisce indicazioni sulle condizioni dell’ambiente economico nel quale l’impresa opera; sull’evoluzione dei mercati di sbocco e di approvvigionamento; sulle principali scelte di investimento e finanziamento; sull’andamento gestionale complessivo. L’effettivo contributo conoscitivo della relazione è fortemente dipendente dall’orientamento comunicazionale dell’impresa, qui inteso in termini di trasparenza e completezza informativa. Di particolare importanza è il riferimento ai principali rischi ed alle incertezze a cui la società è esposta, anche connessi all’impiego di strumenti finanziari e derivati, utili in fase interpretativa, tenendo conto delle scelte di copertura poste in essere. Lettura della nota integrativa. In questa fase occorre innanzitutto valutare la concreta funzione informativa e il grado di analiticità del documento, al di là delle indicazioni obbligatorie previste per legge (artt. 2427 e 2427-bis). È palese la criticità della nota integrativa che, essendo parte integrante del bilancio, deve permettere di interpretare i valori, soprattutto di specie residuale o di particolare rilievo, contenuti nelle tavole di sintesi. Dalla compiutezza della nota integrativa è possibile stabilire a che livello di approfondimento l’analisi può essere effettuata nonché il grado di significatività della stessa. È anche necessario effettuare la verifica dell’esistenza di deroghe per “speciali ragioni” rispetto alle prescrizioni normative e degli effetti da queste prodotti: data l’eccezionalità dei fenomeni in oggetto, risulta del tutto evidente la necessità di esaminare attentamente la scelta. Inoltre, il documento in oggetto contiene informazioni su eventi rilevanti che si sono manifestati dopo la chiusura dell’esercizio, che meglio permettono di interpretare il valore degli indici e la proposta sulla destinazione dell’utile o sulla copertura della perdita. La nota integrativa dovrebbe, infine, contenere alcune delle informazioni in passato riconducibili ai conti d’ordine, abrogati dalla nuova regolamentazione. Lettura delle tavole di sintesi. È opportuno effettuare una distinzione tra lo stato patrimoniale e il conto economico da una parte e il rendiconto finanziario dall’altra. Per le prime due, a causa degli schemi relativamente vincolati, esiste una sostanziale uniformità tra le varie imprese, che risultano più agevolmente comparabili. Va comunque considerato che gli schemi, pur essendo “rigidi”, sono parzialmente modificabili (art. 2423-ter): è, pertanto, importante ravvisare se un’impresa ha introdotto cambiamenti e comprenderne le ragioni sottostanti. Inoltre, non è del tutto esclusa la necessità di una lettura semantica di alcune classi, soprattutto per quanto attiene determinate riserve o fondi 3, per conoscerne origine e specie. Per il rendiconto finanziario, invece, nel codice civile non vi è lo schema di riferimento, con l’implicito rinvio al principio contabile nazio-

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Quanto scritto vale nei casi in cui viene solamente indicata la fonte normativa.

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nale, l’OIC n. 10. Per questa ragione e tenendo conto della caratteristica di innovatività della tavola per molte imprese italiane, è necessario prestare particolare attenzione a come la stessa è costruita. Analisi delle principali variazioni intervenute nelle classi di valori delle tavole di sintesi 4. Tale fase si presenta agevole, in quanto le tavole di sintesi contengono, per obbligo di legge, anche i valori del periodo precedente. Il risultato fornito dall’analisi è l’individuazione dei principali fenomeni (variazioni più significative) per i quali, durante l’analisi, si esamineranno le cause determinanti e si effettueranno i necessari approfondimenti. Lettura delle tavole integrative al bilancio. Obiettivi sono individuare i criteri utilizzati per la redazione e valutare la possibilità di un loro immediato impiego a fini interpretativi 5. Inoltre, in tali prospetti, è possibile identificare alcune informazioni non presentate in nota integrativa (ad esempio, la natura dei crediti/debiti). Per tavole integrative si intendono: il prospetto delle variazioni nella composizione del patrimonio netto; lo stato patrimoniale e il conto economico riclassificati, eventualmente integrati da alcuni indicatori (raro il rendiconto finanziario riclassificato); i valori per segmenti di attività (aree geografiche, famiglie di prodotti, aree strategiche); lo schema per la determinazione della posizione finanziaria netta. Lettura critica dei criteri di valutazione. In questa fase è essenziale soprattutto capire se l’azienda ha modificato, da un anno all’altro, i criteri utilizzati e qual è stato l’impatto prodotto sul reddito di esercizio. Se ciò fosse avvenuto, l’utile dell’anno non risulterebbe totalmente espressivo in quanto influenzato dalla variazione 6. Inoltre, è interessante verificare se l’azienda ha, ad esempio, effettuato capitalizzazioni rilevanti di costi, con l’effetto di aumentare il reddito del periodo (e di ridurre quelli futuri) 7; se ha compiuto svalutazioni e/o rivalutazioni straordinarie 8. Con riferimento alla capitalizzazione dei costi, è importante ricordare che la nuova normativa (D.Lgs. n. 139/2015) ha escluso i costi di ricerca e pub4

L’esame dell’evoluzione delle voci di bilancio sarà ripresa nel paragrafo 6.3, nell’ambito dell’analisi orizzontale. 5 Ciò non sempre è possibile, poiché i criteri alla base della loro predisposizione possono divergere da quelli funzionali al perseguimento degli scopi dell’analista. 6 A proposito del cambiamento dei criteri di valutazione, si riporta il commento individuato nel bilancio di una società: «Rispetto ai precedenti esercizi, per le materie prime, i prodotti finiti e le merci, si è adottato il metodo del costo medio ponderato anziché il metodo LIFO, poiché ritenuto maggiormente rappresentativo della realtà aziendale. Il passaggio dal metodo LIFO al costo medio ponderato, ha comportato un effetto positivo sul risultato di esercizio di …». 7 Nel bilancio della medesima impresa si legge: «Nell’anno si sono capitalizzati costi di sviluppo software per … relativi a prodotti di assoluta avanguardia». 8 Il commento maggiormente ricorrente è il seguente: «Non si è fatto ricorso ad alcuna delle deroghe di cui agli art. 2423, 2423 bis. del c.c.».

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blicità, ammettendo solo quelli di sviluppo. Appare quindi di interesse, soprattutto nella fase di passaggio, capire il comportamento dell’impresa sia per quanto riguarda i costi capitalizzati nei precedenti anni, sia per le nuove scelte effettuate. Con riferimento al primo aspetto va compreso se tali costi vengono eliminati con effetto retroattivo sul patrimonio netto oppure se sono mantenuti assimilandoli ad altre immobilizzazioni immateriali; con riferimento al secondo, invece, va riscontrato se effettivamente si rilevano dei cambiamenti rispetto al passato. A questo proposito va anche ricordato che per i costi di sviluppo, l’ammortamento deve essere effettuato secondo la loro vita utile e non più in un periodo non superiore a cinque anni: questo potrebbe generare comportamenti opportunistici da parte delle imprese che debbono essere attentamente valutati. Analoghe considerazioni valgono, anche se la possibilità di estensione era già presente, per l’avviamento. Ultimo aspetto, da non trascurare, riguarda i nuovi criteri di valutazione introdotti, tra i quali il costo ammortizzato (titoli immobilizzati, crediti e debiti) e il fair value (strumenti finanziari derivati, che per la prima volta trovano collocazione nelle tavole), particolarmente complessi e non obbligatoriamente utilizzabili da tutte le imprese: questo genera difficoltà di comparazione. Individuazione dell’esistenza di operazioni o procedure straordinarie. In non poche situazioni un’operazione straordinaria, specialmente se rilevante, limita la possibilità di effettuare una completa analisi di bilancio, soprattutto di specie temporale. Infatti, essa genera un momento di “discontinuità” nel flusso informativo, ridefinendo il momento iniziale dell’analisi medesima. Altro punto rilevante è la presenza, per l’impresa, di una procedura concorsuale nel periodo esaminato, con particolare riferimento a quelle “conservative”, quali il concordato preventivo. Identificazione dei componenti straordinari. La nuova normativa ha abrogato l’area E del conto economico, dedicata ai componenti straordinari. Tali valori assumono grande rilievo nell’interpretazione del processo di formazione del reddito e, per questa ragione, devono essere individuati in fase di lettura del bilancio. In particolare, il punto 13 dell’art. 2427 richiede di indicare «l’importo e la natura dei singoli elementi di ricavo e costo di entità o incidenza eccezionali». Anche se si utilizza il termine “eccezionale”, tale punto della nota integrativa dovrebbe identificare una parte di ciò che era sempre stato considerato straordinario, anche se si nutrono forti dubbi in tal senso. Questo potrebbe generare molteplici difficoltà in fase interpretativa 9 e nelle comparazioni sia temporali sia spaziali. Analisi incrociata di congruenza tra relazione sulla gestione e nota integrativa. Riguarda prevalentemente la verifica delle ragioni indicate per la modifica dei cri9

Il tema verrà ampiamente approfondito nel capitolo 3, dedicato alla riclassificazione del conto economico.

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teri di valutazione e per l’esame di alcune aree critiche di bilancio. Si pensi, ad esempio, agli ammortamenti: nella relazione sulla gestione si dovrebbero trovare le ragioni per cui in nota integrativa si legge della modifica delle aliquote di calcolo. Ancora, a fronte della capitalizzazione di costi di sviluppo, la relazione sulla gestione deve illustrare in modo compiuto il contenuto e la tipologia di tale attività, evidenziando l’utilità pluriennale: se ciò non avvenisse, si sarebbe di fronte a un potenziale contrasto tra le informazioni contenute nei vari documenti. Infine, la fase permette di verificare la coerenza tra la situazione d’azienda e d’ambiente e le scelte valutative attuate. Su questo punto, con riguardo alla congruenza tra relazione sulla gestione e bilancio (non solo nota integrativa), si devono anche esprimere i revisori nella loro relazione. Lettura della relazione del collegio sindacale. Nella quasi totalità dei casi, le informazioni da essa acquisibili (e utili per l’analisi) sono modeste, in quanto il controllo contabile è attribuito al revisore o alla società di revisione, con l’eccezione indicata nell’art. 2409-bis, secondo comma. Infatti, il compito del collegio sindacale è la vigilanza sull’osservanza della legge e dello statuto, sul rispetto dei principi di corretta amministrazione e, in particolare, sull’adeguatezza dell’assetto organizzativo, amministrativo e contabile adottato dalla società e sul suo concreto funzionamento. Si tratta, comunque, di informazioni utili in fase di interpretazione qualitativa. Lettura della relazione di revisione (controllo contabile). In questo punto assume rilievo l’eventuale presenza di eccezioni rilevate dai revisori 10. L’obiettivo della revisione, in estrema sintesi, è l’attuazione di una serie di verifiche tendenti a valutare la conformità del bilancio alle norme civilistiche e ai principi contabili. Il revisore non ha il compito di cercare l’esistenza di operazioni fraudolente dovendole evidentemente segnalare se emergessero nello svolgimento della normale operatività e neanche quello di compiere valutazioni di merito sulle scelte gestionali effettuate. Tutto ciò è importante per evitare il sorgere di attese che non possono essere soddisfatte nel reale: tale fenomeno, denominato expectation gap, porta in non pochi casi a definire in modo improprio, nel pensare comune, i compiti della revisione. 10 Si consideri quanto segue, tratto da una relazione di certificazione. «Nelle voci dell’attivo patrimoniale “Immobilizzazioni immateriali, materiali e lavori in corso di esecuzione”, sono stati contabilizzati, negli esercizi precedenti, costi che la Società ha sostenuto a fronte di specifici progetti di industrializzazione ed ammodernamento del “prodotto Y”. Al 31 dicembre 20XX l’importo progressivo di tali costi capitalizzati ammonta, al netto degli ammortamenti del periodo, complessivamente a [100]. Sulla base dell’attuale portafoglio ordini risulta recuperabile una quota dei predetti costi pari a circa [60]. Gli Amministratori rilevano, nella Relazione sulla Gestione, che sono proseguite le incisive azioni di marketing intese a concretizzare nuove opportunità di vendita per il prodotto Y in paesi …; a tale riguardo gli ordini attesi nel corso del 20XX+1 consentiranno inoltre l’accesso a nuove aree di mercato. Il previsto recupero dei residui costi non ricorrenti ancora capitalizzati, pari a circa [40], si basa sulla reale possibilità di acquisizione di tale potenziale mercato. Ciò detto, gli esiti delle suddette trattative non sono, allo stato attuale, prevedibili».

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Determinazione del grado di discrezionalità e del grado di attendibilità del reddito 11. L’esame deve essere effettuato a due livelli: – nelle aziende “autonome”, si fa riferimento alla differente rilevanza delle quantità economiche certe rispetto alle quantità economiche stimate e congetturate nella determinazione del reddito; – nelle aziende appartenenti a un gruppo, il concetto di attendibilità deve anche richiamare la genesi sottostante ad alcune quantità economiche certe, formatesi in base a una determinazione di prezzi-costo o prezzi-ricavo nell’interesse di gruppo 12. Analisi delle principali operazioni intragruppo e della loro possibile influenza sul risultato economico e sulla situazione patrimoniale e finanziaria. Il bilancio di un’impresa (e la sua analisi) potrebbe essere (non poco) influenzata dall’appartenenza a un gruppo: infatti, ciò può notevolmente ridurre il grado di significatività dei valori. Si pensi a un’impresa con una percentuale elevata di fatturato derivante da vendite ad aziende del gruppo oppure alla speculare posizione di acquisto: le condizioni applicate potrebbero essere differenti da quelle di mercato e rispondere a logiche di gruppo (quanto scritto vale anche per i finanziamenti). Pertanto, prima di analizzare un’impresa è necessario determinarne il grado di autonomia, attraverso la costruzione di rapporti di incidenza, quali: a) ricavi intragruppo/ricavi totali; b) costi intragruppo/costi totali; c) debiti intragruppo/debiti totali; d) crediti intragruppo/crediti totali. Gli indicatori sub a) e b), permettono di definire l’impatto reddituale derivante dalle operazioni intragruppo: al crescere di tali rapporti, minore è l’autonomia della società; quelli sub c) e d), oltre ad essere funzionali alla valutazione della struttura patrimoniale e finanziaria, forniscono indicazioni per meglio interpretare i prezzi-costo e prezzi-ricavo finanziari. Al ridursi del grado di autonomia l’esame del singolo bilancio risulta meno espressivo: è necessario integrarlo con l’analisi del bilancio consolidato di gruppo 13. L’attenzione del legislatore sui rap11

Un approfondimento è effettuato nel paragrafo 2.3. Si veda la successiva fase relativa alle operazioni con imprese del gruppo. 13 Su tale tematica si vedano: G. BRUNETTI, L’analisi economico-finanziaria mediante bilancio consolidato di gruppo, in G. BRUNETTI-V. CODA-F. FAVOTTO, Analisi, previsioni, simulazioni economico-finanziarie d’impresa, Etas Libri, Milano, 1990; G. CERIANI-B. FRAZZA, Formazione ed interpretazione del bilancio consolidato, Cedam, Padova, 2007; A. LAI, Le situazioni di equilibrio economico-finanziario di gruppo, Franco Angeli, Milano, 1997; L. MARCHI-M. ZAVANI, Economia dei gruppi e bilancio consolidato, Giappichelli, Torino, 2004; A. PRENCIPE-P. TETTAMANZI, Bilancio consolidato secondo i principi internazionali. Tecniche di redazione e analisi, Giuffrè, Milano, 2004; L. RINALDI, L’analisi del bilancio consolidato, Giuffrè, Milano, 1999; C. TEODORI, Considerazioni preliminari sull’analisi del bilancio consolidato, in AA.VV., Scritti di Economia Aziendale in memoria di Raffaele d’Oriano, Cedam, Padova, 1997. 12

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porti di gruppo è ulteriormente accresciuta nella nuova normativa, con nuove voci di bilancio e in termini di informazioni richieste. Individuazione della rilevanza dedicata a tematiche ambientali e sociali. Si tratta di un’ulteriore fase, non direttamente funzionale all’analisi vera e propria e identificabile solamente in imprese di grandi dimensioni e/o con elevata cultura comunicazionale, in cui ampia rilevanza viene assegnata anche al ruolo sociale dell’impresa 14. Queste informazioni, pur possedendo gradi di soggettività elevati, permettono di meglio costruire il contesto di riferimento delle imprese, valutando le loro scelte su aspetti di sempre maggiore rilievo per la società civile. Analisi di sintesi con la costruzione del profilo qualitativo dell’informativa disponibile. Si tratta della valutazione finale, nella quale si esprime un giudizio complessivo sulla qualità della documentazione disponibile. Tale fase è particolarmente importante quando oggetto di analisi sono micro, piccole e medie imprese che fanno ricorso a bilanci in forma abbreviata (artt. 2435-bis e 2435-ter): giudizi insoddisfacenti limitano sensibilmente l’espressività dell’analisi. In merito al bilancio in forma abbreviata, va rimarcata la sua inadeguatezza per una soddisfacente analisi, in quanto le semplificazioni ammesse riducono sensibilmente il potenziale informativo. Scelta degli strumenti per l’analisi di bilancio, in termini di schemi di riclassificazione, indici di bilancio, flussi finanziari e monetari. Momento cruciale e conclusivo nel quale, dopo aver stabilito le caratteristiche della combinazione economico-produttiva, devono essere individuati gli schemi di riclassificazione che meglio permettono di rappresentarla: ciò vale, evidentemente, anche per gli indici. L’applicazione di metodologie standard generalmente limita, non di poco, il raggiungimento degli obiettivi per i quali si effettua l’analisi. Quest’ultima fase rappresenta il collegamento con l’analisi di bilancio vera e propria e richiama quanto sopra scritto in merito alle differenti finalità perseguibili con il suo svolgimento.

2.2. Il ruolo della nota integrativa e della relazione sulla gestione ai fini dell’analisi di bilancio I valori delle tavole di sintesi, di specie quantitativo-monetaria, rappresentano in modo parziale e non sufficientemente esplicativo i fenomeni aziendali (le operazioni di gestione) che li hanno generati. Si pensi, ad esempio, alla classe impianti: la differenza tra i valori netti di inizio e fine periodo deriva da molteplici operazioni che hanno prodotto variazioni di segno opposto (acquisti, cessioni, dismissioni, ammortamenti, riclassificazioni, svalutazioni, rivalutazioni, apporti). An14

Sul tema in oggetto, si richiama il D.Lgs. n. 254/2016 di recente emanazione.

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cora, un medesimo valore si interpreta in modo differente in funzione del contesto economico in cui hanno avuto origine le operazioni aziendali. Le informazioni integrative, supplementari e di specie anche qualitativa sono inserite in uno specifico elemento del bilancio suddiviso, dalla normativa, in due parti: la nota integrativa (parte integrante del bilancio) e la relazione sulla gestione. A tale elemento sono associate tre funzioni 15: 1. descrittiva: commento sulla composizione ed evoluzione di determinati valori; 2. informativa: aggiunta di informazioni non espresse nei valori di bilancio o non quantificabili; 3. esplicativa: guida all’interpretazione dei valori congetturati e del contesto in cui l’impresa ha operato e opererà. La prima funzione è prevalentemente assolta dalla nota integrativa; la terza dalla relazione sulla gestione; la seconda da entrambe. Da quanto scritto, dunque, appare evidente il ruolo fondamentale e insostituibile di tale elemento per l’analista esterno e la ragione per cui la sua lettura rappresenta il momento iniziale della metodologia di analisi. LA NOTA INTEGRATIVA È parte integrante del bilancio e include le informazioni necessarie per una lettura e interpretazione significativa dei valori contenuti nelle tavole di sintesi, in prevalenza stato patrimoniale e conto economico: tali informazioni devono essere presentate nello stesso ordine in cui le voci si trovano nelle tavole (conformemente alla prassi internazionale nelle “notes”). L’art. 2427 ne prevede un contenuto minimo al quale vanno ad aggiungersi tutte le informazioni giustificative delle deroghe per le quali si è eventualmente optato nella predisposizione del bilancio di esercizio. Al suo interno si identificano, quindi, le due seguenti tipologie di informazioni: a) fondamentali, cioè richieste dall’art. 2427 16; b) subordinate, da inserire solamente al verificarsi di un determinato fenomeno e richieste da altri articoli del codice. Nel prosieguo si chiosa brevemente il contenuto della nota integrativa, riportando tutti i punti e utilizzando la medesima numerazione dell’art. 2427 ma ponendo l’attenzione solamente su ciò che assume specifica rilevanza ai fini dell’analisi di bilancio. 15

Cfr. F. SUPERTI FURGA, Reddito e capitale nel bilancio di esercizio, Giuffrè, Milano, 1991, p. 114. Per la sua natura e il suo contenuto, si riconduce alle informazioni fondamentali anche l’art. 2427-bis. 16

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Le informazioni fondamentali 1. Criteri di valutazione e conversione. Su tale aspetto si è dedicato uno specifico punto nell’ambito della fase di lettura, al quale si rinvia (paragrafo 2.1). 2. Movimenti delle immobilizzazioni. Si tratta del dettaglio dei valori sintetici di stato patrimoniale (immobilizzazioni) e di conto economico (ammortamenti, svalutazioni e rivalutazioni di ripristino). In particolare, viene richiesta la composizione del valore originario e la sua dinamica nel periodo, suddivisa per causa generatrice. Di rilievo è il valore dei fondi ammortamento 17, che generalmente non compaiono nello stato patrimoniale. Inoltre, si desumono, almeno in prima approssimazione, dei segnali sulle politiche di investimento, disinvestimento e futuro utilizzo (ammortamenti e svalutazioni) attuate dall’impresa. 3. Informazioni analitiche sui costi capitalizzati. Oltre alla composizione analitica delle singole classi, particolarmente utile all’analista è la lettura della motivazione economica sottostante alla scelta, frequentemente ripresa anche nella relazione sulla gestione. Marcata attenzione va riservata ai casi in cui l’azienda produce utili modesti o perdite di esercizio, in quanto l’operazione in oggetto ne permette il miglioramento nel breve termine. 3-bis. Riduzione di valore delle immobilizzazioni. È collegato al precedente punto 2 e permette di interpretare le cause delle riduzioni di valore applicate alle immobilizzazioni materiali e immateriali: risulta importante per la valutazione di alcuni indicatori di solidità e della futura capacità di produrre reddito. 4. Variazioni nella consistenza delle altre classi attive e passive. In questo caso valgono, sostanzialmente, alcune delle considerazioni formulate per le immobilizzazioni. Si pensi, ad esempio, al Trattamento di fine rapporto oppure ai singoli fondi rischi e spese future: di ciascuno sono forniti il valore iniziale, l’incremento per l’adeguamento del periodo 18, la riduzione per l’utilizzo e il valore finale. La medesima informazione deve essere disponibile per le voci del patrimonio netto. 5. Elenco delle partecipazioni in imprese controllate e collegate. Si tratta di un punto importante per comprendere i legami di specie istituzionale instaurati con altre imprese: tali informazioni vanno lette congiuntamente a quanto scritto nella relazione sulla gestione, nella sezione dedicata ai rapporti con altre imprese del gruppo. 6. Crediti e debiti di durata residua superiore a cinque anni. Integra quanto contenuto nello stato patrimoniale (dove i valori sono suddivisi esclusivamente in ba17 Tale informazione è particolarmente utile per la costruzione di alcuni indici di solidità. Si veda il paragrafo 8.2. 18 L’incremento per l’adeguamento del periodo è un costo non finanziario, a cui non è associata una variazione di moneta. Risulta importante per il calcolo di alcuni flussi finanziari e monetari utilizzati come numeratore di indici di liquidità (paragrafo 10.4); per il trattamento di fine rapporto il valore non è sempre immediatamente osservabile nel conto economico, in quanto generalmente viene riportata la globale quota di competenza del periodo. È anche importante, in talune imprese, comprendere la scelta effettuata dai dipendenti in merito a tale beneficio futuro.

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se alla scadenza entro/oltre l’anno successivo) ed è valevole per interpretarne il grado di liquidità/esigibilità. Inoltre, in tale punto, vanno indicate eventuali garanzie sui beni sociali (ad esempio le ipoteche), in quanto non vi è altra possibilità per farlo. Infine, importante è la richiesta di indicare i crediti e i debiti per area geografica, al fine di comprendere l’esistenza di eventuali rischi-paese e di costruire specifici indici di durata 19. 6-bis. Variazioni nei cambi. È utile per capire se alcune perdite o utili rilevati con il cambio di fine periodo (si veda il punto 1) hanno subito delle modificazioni di rilievo nei primi mesi del successivo periodo amministrativo, in quanto questo influisce sui futuri (rispetto alla data di chiusura del bilancio) flussi monetari. 6-ter. Operazioni con retrocessione a termine. Si tratta di operazioni specifiche che vengono rilevate secondo la sostanza economica e non secondo la forma giuridica. Aiutano a comprendere le caratteristiche di alcune tipologie di crediti e debiti. 7. Composizione di altre classi di valori. In primo luogo si tratta delle Altre riserve, classe residuale all’interno dei mezzi propri: è evidente l’utilità per l’analista di conoscere, per tutte le classi residuali, i principali valori elementari che le compongono. Secondariamente, la medesima informazione va fornita per gli altri fondi, per i ratei e risconti. In merito a questi ultimi l’analista è interessato a tre specifiche indicazioni, necessarie in fase di riclassificazione: la distinzione tra ratei e risconti; la suddivisione tra valori comuni a due o più esercizi; la causa generatrice. 7-bis. Composizione del patrimonio netto. Fornisce indicazioni sulle voci di patrimonio netto, evidenziando la loro origine, la possibilità di utilizzazione e la distribuibilità: sono informazioni funzionali a comprendere la quota di patrimonio netto liberamente disponibile e quella, a vario titolo, vincolata. 8. Oneri finanziari capitalizzati. Come già indicato al punto 3, l’operazione genera, nel periodo in cui viene effettuata, un miglioramento dell’utile prodotto. Il beneficio dell’informazione consiste, quindi, nel permettere di valutare le ragioni che hanno spinto verso la capitalizzazione, fugando eventuali dubbi sul fine strumentale dell’operazione. Secondariamente, l’analista deve conoscere la quota portata a incremento dell’attivo e la specifica destinazione, in quanto determina un minore valore degli oneri finanziari iscritti a conto economico e una conseguente sottostima del costo medio dell’indebitamento. 9. Impegni, garanzie e passività potenziali. Tali informazioni vanno fornite quando non risultanti dallo stato patrimoniale. Questo punto, almeno in parte, dovrebbe supplire all’eliminazione dei conti d’ordine 20. Particolarmente utile è 19 Questo è possibile se vi sono le medesime informazioni nei ricavi e nei costi. Per approfondimenti, si veda il paragrafo 10.3. 20 I conti d’ordine assumevano rilievo non tanto in fase riclassificatoria quanto piuttosto di interpretazione degli indici di bilancio. Facevano in prevalenza riferimento a quattro tipologie. a) Beni di terzi presso l’azienda. Questa categoria riguarda i beni temporaneamente disponibili all’azienda a titolo di deposito, lavorazione, cauzione (non in denaro), comodato, pegno. Tale  

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l’indicazione separata per quanto attiene le imprese del gruppo. 10. Ripartizione dei ricavi. Essa va effettuata suddividendo i ricavi per categoria di attività o per area geografica (o utilizzando altri criteri ritenuti significativi). È evidente l’utilità per l’analista: si comprendono il grado di diversificazione e di internazionalizzazione dell’impresa e la sua evoluzione nel tempo. 11. Proventi da partecipazioni differenti dai dividendi. I valori in oggetto sono da ricondurre alla gestione patrimoniale (capitolo 3). 12. Suddivisione degli oneri finanziari. L’informazione assume validità in termini generali, in quanto collega alle principali tipologie di debito (almeno prestiti obbligazionari, debiti verso banche, altri) il costo associato. Tuttavia, tale dato non risulta sufficiente all’analista per determinare il costo percentuale delle singole forme di finanziamento. 13. Valori classificati come eccezionali. Vanno indicati l’importo e la natura degli elementi di ricavo e costo di entità o incidenza eccezionali. Dopo la cancellazione dei componenti straordinari come categoria autonoma nel conto economico, è essenziale per l’analista comprendere la ragione per cui emergono valori riconducibili all’area straordinaria, per valutarne la specie, la ragione, il grado di occasionalità e i riflessi sul reddito di esercizio. 14. Imposte differite e anticipate. Il prospetto richiesto contiene la descrizione delle differenze temporanee che hanno comportato la rilevazione di imposte differite e anticipate, permettendone l’esame delle caratteristiche e della durata. Di particolare interesse a fini interpretativi è l’indicazione relativa alle imposte anticipate attinenti alle perdite dell’esercizio o di esercizi precedenti, per meglio comprenderne la ricuperabilità futura. Si ricorda, infatti, che tali imposte, nell’anno di prima contabilizzazione, riducono il valore della perdita di esercizio e ciò ha significato solamente se nel futuro ci saranno utili capienti per riassorbirle. fattispecie è particolarmente importante in alcune tipologie di imprese tra le quali si annoverano le aziende di magazzinaggio (beni in deposito) e le aziende terziste (beni in lavorazione o in comodato). b) Garanzie prestate a terzi. Aumentano il grado di rischio complessivo dell’impresa: la concessione, direttamente o indirettamente, di una fideiussione, di un avallo, di una lettera di patronage (forte) o di altre garanzie personali o reali, riduce la solidità, in quanto espone l’impresa a un rischio “supplementare”, oltre a quello tipico. c) Rischi assunti. In non pochi casi tale categoria collima con la precedente, giacché prestare garanzie significa assumere dei rischi. In ogni caso esistono particolari situazioni, come gli effetti ceduti allo sconto (salvo buon fine): nello stato patrimoniale non compare il credito verso il cliente poiché la banca ne accredita il valore netto. Tuttavia, l’operazione si considera conclusa quando il debitore originario onora la propria obbligazione (ora verso la banca). In fase di riclassificazione è opportuno aumentare, di pari importo, i clienti (in quanto il credito non è estinto) e i debiti a breve verso la banca (poiché esiste un potenziale debito): in alternativa, si deve tenere conto della situazione descritta solo nella fase finale di interpretazione, senza riclassificare i valori. d) Impegni. Derivano da contratti (o negozi giuridici) la cui esecuzione avverrà in uno o più momenti successivi a quello di stipulazione del contratto (esecuzione differita). Esempi sono gli impegni connessi a merci (ma anche titoli e valute) da consegnare o ricevere, purché non rientranti nella normale operatività dell’impresa.

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15. Numero medio di dipendenti per categoria. L’informazione nella realtà viene utilizzata per il calcolo di alcuni indici definiti di produttività 21. 16. Compensi, anticipazioni e crediti ad amministratori e sindaci. Di norma, nelle piccole e medie imprese, gli amministratori si identificano con i soci: conoscerne il compenso equivale a valutare la quota di utile, differente dai dividendi, destinata ai conferenti di capitale risparmio. Infatti, nell’apprezzare il tasso di autofinanziamento di un’impresa, non va trascurato quanto i soci “prelevano” in altre forme 22. In merito, infine, ad anticipazioni e crediti, è necessario comunicare le condizioni contrattuali dei medesimi. 16-bis. Revisione contabile. Due sono gli scopi perseguiti: da una parte la conoscenza dei corrispettivi connessi al controllo contabile; dall’altra del corrispettivo per altri servizi forniti dai medesimi soggetti che si occupano di controllo contabile, anche al fine di meglio delineare il complessivo rapporto professionale esistente. 17. Composizione e variazione del capitale sociale. In più punti il legislatore richiede dettagli informativi sul patrimonio netto: si ritiene che tali dati possano, con i dovuti commenti, essere utilmente presentati predisponendo il prospetto delle variazioni nella composizione del patrimonio netto. 18. Azioni di godimento, obbligazioni convertibili, warrants, opzioni e titoli emessi. Si tratta di informazioni funzionali a conoscere il numero e i diritti che attribuiscono. Con riferimento, ad esempio, alle obbligazioni convertibili sono utili per definire la scelta riclassificatoria e per apprezzare la struttura delle fonti di finanziamento. 19. Strumenti finanziari emessi. Tale punto permette di comprenderne le caratteristiche e i benefici, i rischi e i vincoli collegati. 19-bis. Finanziamenti dei soci. Si tratta un’informazione importante, utile in fase di riclassificazione dove, date certe condizioni, possono essere assimilati a mezzi propri, soprattutto ma non esclusivamente se postergati. 20/21. Patrimoni destinati a uno specifico affare. Tale istituto non ha trovato riscontro concreto nella realtà. 22. Operazioni di leasing. In merito al leasing è necessario indicare «le operazioni di locazione finanziaria che comportano il trasferimento al locatario della parte prevalente dei rischi e dei benefici inerenti ai beni che ne costituiscono oggetto, sulla base di un apposito prospetto dal quale risulti il valore attuale delle rate di canone non scadute quale determinato utilizzando tassi di interesse pari all’onere finanziario effettivo inerente i singoli contratti, l’onere finanziario effettivo attribuibile ad essi e riferibile all’esercizio, l’ammontare complessivo al quale i beni oggetto di locazione sarebbero stati iscritti alla data di chiusura dell’esercizio qualora fossero stati considerati immobilizzazioni, con separata indica21

Nel paragrafo 9.2, tali indici saranno sottoposti a un commento critico. Un compenso superiore rispetto al contributo fornito nell’attività di governo e di gestione dell’impresa, identifica infatti un prelievo di utile. 22

36

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

zione di ammortamenti, rettifiche e riprese di valore che sarebbero stati inerenti all’esercizio». Come si può osservare, sono disponibili tutte le informazioni per riclassificare i valori connessi ai contratti di leasing secondo il metodo finanziario, rendendo maggiormente espressiva la situazione patrimoniale, finanziaria e reddituale dell’impresa, soprattutto laddove sono presenti in misura ingente. 22-bis. Operazioni con parti correlate 23. Tenuto conto della controparte in oggetto, è importante conoscere la dimensione di tali operazioni e le condizioni contrattuali con le quali sono state concluse, qualora le stesse si allontanino dalle normali condizioni di mercato. Appare evidente, visto il legame stringente tra l’impresa e la parte correlata, che talune operazioni potrebbero influenzare la rappresentazione di bilancio, fornendo indicazioni economicamente non significative. 22-ter. Accordi non risultanti dallo stato patrimoniale. Devono essere fornite informazioni di dettaglio quando l’impatto (rischi/benefici) sul bilancio è ritenuto significativo. Tale informazione è utile a fini interpretativi, per una più completa valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico della società o del gruppo. 22-quater. Fatti di rilievo avvenuti dopo la chiusura dell’esercizio. Il punto in oggetto permette di meglio interpretare la situazione economica dell’impresa: in particolare, si tratta di tutti quegli eventi verificatesi dopo la fine del periodo amministrativo che non generano effetti modificativi sul bilancio. Essi hanno effetto o sulla situazione della società o sull’andamento economico previsto. In termini generali, tali fatti sono riconducibili a tre tipologie (di cui assumono qui rilevanza le ultime due): 1. eventi che influiscono direttamente sui valori e sul procedimento di stima di fine esercizio: ad esempio, la perdita di un credito rilevante. Tale fattispecie è già soggetta a commento nella nota integrativa; 2. eventi che non influiscono direttamente sui valori ma relativi a processi in corso alla fine del periodo, per i quali è importante valutare l’impatto futuro: ad esempio, l’incendio di un capannone; 3. eventi non relativi a valori esistenti alla fine del periodo: ad esempio, l’ottenimento di un finanziamento rilevante o l’acquisizione di una partecipazione significativa o di un ramo d’azienda. Di particolare rilievo sono i fatti successivi che possono incidere sulla continuità aziendale (ad esempio, procedura di concordato) e, come tali, richiedono un approccio diverso all’analisi stessa. 22-quinquies/sexies. Impresa che redige il bilancio consolidato. Si tratta di un’informazione utile in fase di lettura del bilancio, in quanto tesa a fornire il nome e la sede legale dell’impresa che redige il bilancio consolidato dell’insieme più grande e dell’insieme più piccolo di imprese di cui l’impresa fa parte in quanto 23

Per la definizione di parte correlata si deve fare riferimento ai principi contabili internazionali.

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

37

impresa controllata, nonché il luogo in cui è disponibile la copia del bilancio consolidato. 22-septies. Destinazione del risultato di esercizio. È la proposta degli amministratori sulla destinazione dell’utile o sulla copertura della perdita, necessaria per determinare, nel primo caso, il grado di autofinanziamento, funzionale per l’eventuale riclassificazione della quota distribuita. L’art. 2427-bis è invece dedicato alle informazioni relative al fair value degli strumenti finanziari, tra cui i derivati. Tale punto assume rilievo sia per la crescente diffusione di tali strumenti sia per il potenziale impatto che essi possono produrre sull’economicità dell’impresa. Sono strumenti complessi e in significativa evoluzione che, se non opportunamente monitorati, possono anche generare effetti fortemente negativi. Per l’analista è, quindi, fondamentale conoscere le scelte in tal senso compiute dall’impresa. Le informazioni subordinate Gli artt. 2427 e 2427-bis non esauriscono il contenuto della nota integrativa, in quanto in più punti della normativa civilistica vengono previsti specifici obblighi informativi al verificarsi di determinati fenomeni. Come effettuato in precedenza, si riportano tali punti (indicando l’articolo del codice), commentando i più significativi: si ritiene, vista la ragione per cui tali informazioni vengono richieste dalla legge, che esse assumano sempre importanza primigenia per l’analista esterno 24. 1. Informazioni complementari (art. 2423, 3° comma). Si tratta di una disposizione generale, con la quale viene introdotto l’obbligo di indicare tutte le informazioni (anche se non richieste) funzionali alla rappresentazione veritiera e corretta. Per l’analista sono di primaria rilevanza, in quanto certamente indicative di elementi o fenomeni rilevanti o critici per l’impresa. 2. Irrilevanza degli effetti (art. 2423, 4° comma). Si introduce il principio della rilevanza per l’utilizzatore, collegandola alla rappresentazione veritiera e corretta. In nota debbono essere specificati i criteri con i quali si da corso a tale disposizione. 3. Deroghe (2423, 5° comma). Il legislatore richiede dettagliate indicazioni sulle ragioni alla base della mancata applicazione di una delle norme previste dal codice civile, poiché incompatibile con la rappresentazione veritiera e corretta. Tale deroga è esercitabile solamente in casi veramente eccezionali, indicando gli effetti prodotti. 4. Modifica dei criteri di valutazione (2423 bis, 2° comma). Si rinvia al punto specifico nell’ambito della fase di lettura. Si ricorda soltanto che qualsivoglia cam-

24

Nelle note sono forniti, per alcuni dei punti successivi, degli esempi tratti da bilanci destinati a pubblicazione.

38

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

biamento, oltre a produrre effetti sul reddito, da esaminare attentamente, limitano (quando particolarmente rilevanti) la comparabilità temporale. 5. Raggruppamento di voci (2423 ter, 2° comma). Il raggruppamento di voci aumenta la sinteticità delle tavole e, in alcuni casi, ne migliora la chiarezza espositiva. In nota integrativa, per disporre comunque di un’informativa completa, va riportata la composizione delle singole classi raggruppate. 6. Comparabilità degli schemi (2423 ter, 5° comma). Senza alcuna indicazione in nota, si reputa che i valori relativi alla medesima voce in due periodi successivi siano perfettamente comparabili. Tale punto richiede di precisare quando ciò non è possibile o quando, per rendere attuabile il raffronto, si è intervenuti sul valore iniziale 25. 7. Elementi attribuibili a più voci (2424, 2° comma). Nelle situazioni in cui sia possibile iscrivere un valore anche in una classe differente da quella in cui è effettivamente inserito, deve essere fatta menzione della scelta in nota integrativa. 8. Modifiche del piano di ammortamento (2426, 1° comma, n. 2). La modifica del piano di ammortamento presuppone cambiamenti nelle ipotesi gestionali future: per tale ragione è assai utile conoscerne le ragioni. 9. Valutazione delle partecipazioni (2426, 1° comma, n. 3). La conoscenza della differenza tra il costo della partecipazione e il patrimonio netto, permette di cogliere l’evoluzione della partecipata. 10. Ammortamento dell’avviamento (2426, 1° comma, n. 6). L’ammortamento dell’avviamento è parametrato alla vita utile: l’analista, vista la criticità della voce, è interessato a conoscere i criteri utilizzati per la determinazione della sua estensione. 11. Valutazione delle rimanenze (2426, 1° comma, n. 10). La valutazione a costo delle rimanenze, soprattutto se valorizzate con il metodo LIFO, porta a una sottostima delle medesime. Viene richiesto di indicare, se apprezzabile, la differenza tra valore iscritto a bilancio e valore corrente: tale differenziale assume importanza nell’interpretazione degli indici di liquidità. 12. Esonero dall’obbligo di redazione del bilancio consolidato (art. 27, D.Lgs. n. 127/1991). Sono richieste le ragioni dell’esonero dall’obbligo di redazione del consolidato. Se la causa è identificabile nel fatto che l’impresa è una sub-holding, non è sufficiente indicare la ragione ma anche la denominazione e la sede della società controllante che redige il consolidato. Il verificarsi dell’esonero riduce il potenziale informativo disponibile all’analista, poiché esso si trova di fronte ad un gruppo ma non dispone del bilancio consolidato a completamento dell’analisi del bilancio di esercizio della singola realtà.

25

«Si sono resi necessari, in alcuni casi, degli affinamenti per i quali sono state operate, agli effetti di omogenei confronti, coerenti riclassificazioni dei dati relativi al bilancio dell’esercizio precedente».

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

39

LA RELAZIONE SULLA GESTIONE 26 Il documento non è parte integrante del bilancio così come definito dalla normativa civilistica ma risulta elemento fondamentale del sistema informativo contabile. La relazione sulla gestione fornisce indicazioni sull’andamento economico dell’azienda, anche con orientamento al medio periodo, cioè al futuro. È prevalentemente di natura qualitativa e valorizza la funzione esplicativa sopra definita. Il suo contenuto è articolabile in due parti: una di inquadramento generale (“flessibile”) e una di informazioni specifiche (“vincolata”). Come effettuato per la nota integrativa, di seguito si commentano gli elementi più rilevanti. Inquadramento generale In questa prima parte viene richiesto di illustrare la situazione aziendale e l’andamento della gestione sia in termini complessivi sia con riferimento ai singoli settori in cui l’impresa opera. La norma, pur essendo relativamente precisa, non impone un contenuto minimale, lasciando ampia discrezionalità ai redattori. Per quanto riguarda l’andamento complessivo della gestione, si tratta di spiegare le caratteristiche dell’ambiente economico generale e specifico, la situazione dei mercati di sbocco, di approvvigionamento e finanziari, il grado di raggiungimento degli obiettivi, i principali elementi di vincolo e di opportunità manifestatesi nel periodo di riferimento, le innovazioni tecnologiche, le eventuali ristrutturazioni in atto, i cambiamenti organizzativi. Inoltre, particolare attenzione va indirizzata al profilo reddituale della gestione (costi anche per aree funzionali, ricavi, risultati economici) e patrimoniale/finanziario (investimenti e modalità di copertura). Tale inquadramento generale, come sopra scritto, deve anche essere orientato al futuro, in modo da collegare tra loro più periodi amministrativi. Inoltre – e questo è un punto importante per l’analista – deve essere fornita una descrizione dei principali rischi e delle principali incertezze a cui la società è esposta: ciò permette di meglio interpretare gli indicatori ottenuti e l’evoluzione attesa. L’analisi globale va successivamente resa analitica, attraverso il commento dell’andamento gestionale nei singoli settori in cui l’impresa opera sia direttamente sia indirettamente, cioè attraverso imprese controllate o collegate o, più in generale, imprese del gruppo. A tale proposito, vanno riportati e illustrati i principali risultati ottenuti, gli investimenti effettuati, le condizioni ambientali specifiche di riferimento o, in termini conclusivi, tutto ciò che permette al lettore di comprendere le cause sottostanti a determinate situazioni economiche. Di interesse è la richiesta di presentare, se utili alla comprensione della situazione della società, dell’andamento e del risultato della sua gestione, gli indicatori

26

La relazione sulla gestione svolge una funzione analoga allo Strategic report (UK), al Management discussion and analysis (USA), al Management commentary (IASB).

40

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

di risultato finanziari e, se del caso, non finanziari (volumi prodotti, grado di utilizzo della capacità produttiva, posizionamento relativo, energia consumata, livello di emissioni) pertinenti all’attività specifica della società, comprese le informazioni attinenti all’ambiente e al personale: si tratta di informazioni funzionali a esprimere un giudizio complessivo sull’impresa 27. In merito agli indicatori finanziari è però fondamentale che l’impresa illustri in modo chiaro le modalità con cui li ha costruiti e le eventuali ipotesi introdotte: in caso contrario diviene difficile effettuarne una piena interpretazione. Dalla lettura di questa parte della relazione, all’analista riesce possibile valutare correttamente i risultati emergenti dalla costruzione di indici e flussi, in quanto l’analisi viene “circostanziata”, cioè collocata nell’ambito in cui sono maturate le condizioni che hanno portato l’impresa ad avere una determinata situazione patrimoniale e finanziaria e ad ottenere un definito reddito di esercizio. Le informazioni specifiche A differenza del punto precedente, pur lasciando discrezionalità nella redazione, vengono individuati in modo preciso gli oggetti di riferimento: per tale motivo il contenuto minimale può essere definito “vincolato”. a) Attività di ricerca e sviluppo. In questa sede occorre fornire informazioni qualitative sull’attività di ricerca svolta e prevista, con enfasi sugli obiettivi perseguiti e sui risultati raggiunti. Particolarmente interessanti possono risultare anche dati quantitativo-monetari sui costi sostenuti, evidentemente integrativi a quelli già riportati nelle tavole e in nota. Tale punto della relazione assume importanza peculiare per meglio delineare un’eventuale operazione di capitalizzazione dei soli costi di sviluppo. b) Rapporti con imprese del gruppo. Questa parte contiene le informazioni tipiche del consolidato anche se rappresentate in forma differente: tipologia di rapporto (commerciale, finanziario), scambi intragruppo in termini di valore, tipologia di accordi, garanzie prestate e ricevute. Il punto permette di definire il grado di autonomia dell’impresa e l’influenza dell’appartenenza al gruppo sulla complessiva situazione economica. c) Azioni proprie e partecipazioni nella controllante. Tra le varie richieste del legislatore, significativa è l’indicazione delle ragioni sottostanti all’acquisto di azioni proprie, utile anche in fase interpretativa. d) Evoluzione prevedibile della gestione. Questa sezione della relazione presenta un evidente orientamento al futuro. Inoltre, in tale punto vengono fornite le prime considerazioni sull’andamento economico del periodo amministrativo in corso (normalmente il primo trimestre), permettendo in tal modo di ottenere una certa continuità temporale. 27

Come indicato nelle pagine precedenti, sulla comunicazione di informazioni non finanziarie si è recentemente assistito a un’evoluzione normativa.

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

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e) Strumenti finanziari. Si tratta di un completamento di quanto richiesto in nota integrativa, utile per meglio esprimere una valutazione della situazione patrimoniale e finanziaria e del risultato economico dell’impresa. Inoltre, in questo punto si possono ottenere informazioni in materia di gestione del rischio finanziario e di esposizione della società al rischio di prezzo, al rischio di credito, al rischio di liquidità e al rischio di variazione dei flussi finanziari.

2.3. La valutazione del grado di discrezionalità e di attendibilità del reddito In merito, infine, alla seconda tematica individuata nel paragrafo 2.1, si definisce il concetto di discrezionalità correlato a quello di attendibilità, entrambi utili a stabilire la qualità del reddito: mentre il concetto di attendibilità è necessariamente riferibile al contenuto di uno specifico bilancio, quello di discrezionalità richiama il comportamento degli amministratori nella sua predisposizione. L’attendibilità è il risultato di come si esercita la discrezionalità, che è categoria logica ineluttabile per la determinazione del reddito e del correlato capitale di funzionamento: l’esercizio, unità economica relativa, è concetto astratto, che presuppone un sistema di scelte per la valorizzazione dei processi in corso, attraverso la determinazione di valori stimati e congetturati 28. Non è quindi la discrezionalità in sé a dover essere valutata ma il comportamento concreto dei soggetti deputati alla predisposizione del bilancio, in termini di coerenza delle ipotesi assunte con la realtà economica da rappresentare. Tale comportamento, anche profondamente influenzato dalle caratteristiche della combinazione economico-produttiva (in termini di ampiezza delle scelte da attuare e del loro impatto sul reddito), si riflette sui valori di bilancio, cioè sull’attendibilità: in fase di analisi è indispensabile esaminare i principi contabili seguiti, con particolare riferimento a quelli valutativi, cioè alle modalità di valorizzazione dei processi produttivi in corso. Molteplici sono gli elementi da sottoporre a indagine, di cui se ne richiamano alcuni: a) gli ammortamenti, per individuarne il valore e la congruità con il livello di attività svolto e da svolgere; b) le rimanenze, per verificare l’esistenza di situazioni di obsolescenza e identificare i criteri valutativi utilizzati: il LIFO, tra i possibili, è generalmente quello più conservativo e prudente; c) i costi “discrezionali” o di “politica” sostenuti in relazione ai concorrenti: ad esempio, se nel settore sono rilevanti i costi di manutenzione, pubblicitari, di 28 I valori stimati e congetturati sono quantità soggettive. I primi rappresentano un’approssimazione di un valore certo e saranno soggetti a verifica in futuro; i secondi sono fondati su ipotesi relative allo svolgimento della gestione e riguardano la scissione di valori comuni a due o più esercizi.

42

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

ricerca e sviluppo o di formazione che, generalmente, vengono totalmente attribuiti all’esercizio e l’impresa analizzata ne sostiene in misura esigua e li capitalizza, il grado di qualità del reddito è certamente modesto, come la prospettiva di durabilità. A tale scopo è sufficiente calcolare alcuni indici 29, ricordando che l’obiettivo non è determinare l’effetto economico delle scelte operate ma la discrezionalità e l’attendibilità del reddito; d) gli accantonamenti ai fondi rischi e spese future; e) le scelte di capitalizzazione dei costi; f) i valori fondati sul fair value, soprattutto se questo non è direttamente derivato dai valori di mercato. Da questo esame è importante capire se talune scelte sono finalizzate a incrementare/ridurre il reddito di un periodo a detrimento/favore dei redditi futuri o se, in altri termini, esistono politiche finalizzate alla stabilizzazione dei redditi. In definitiva, è fondamentale comprendere la qualità del bilancio, cercando di comprendere se si sono perseguite politiche di earning management ma, soprattutto, di earning manipulation (politiche di bilancio che, in funzione della natura possono essere ricondotte a una delle due fattispecie). L’earning management porta a una differente distribuzione del reddito nel tempo, attraverso l’anticipazione/rinvio di ricavi/costi. L’earning manipulation, invece, è un concetto più ampio che comprende il primo e, nella versione estrema, porta al falso in bilancio. Infine, va considerato che nel caso in cui dall’analisi emergesse che le attività sono sottostimate, ciò comporterebbe che anche i redditi cumulati lo siano; se, invece, le attività fossero sovrastimate – situazione più preoccupante – anche i redditi cumulati presenterebbero la medesima caratteristica. A conclusioni evidentemente opposte si perviene per quanto riguarda le passività. Le precedenti considerazioni rafforzano l’esigenza di utilizzare, nell’ambito delle analisi, più bilanci di esercizio consecutivi, in modo da poter individuare eventuali comportamenti forzatamente strumentali. In merito al concetto di attendibilità si possono proporre alcuni indicatori indiretti di misurazione, ricordando però la forte dipendenza dalla discrezionalità. Si definisce il grado di attendibilità/discrezionalità “potenziale” in funzione del rapporto esistente tra quantità economiche certe da una parte e quantità stimate e

29

Possibili quozienti di incidenza, laddove vi siano le informazioni necessarie, sono: – costi pubblicitari/vendite; – costi di manutenzione e riparazione/immobilizzi materiali; – costi di manutenzione e riparazione/valore della produzione; – costi di formazione/numero dipendenti; – costi di formazione/costo del lavoro; – costi di ricerca e sviluppo/valore della produzione; – costi di ricerca e sviluppo/vendite.

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

43

congetturate dall’altra. Risulta manifesto che al crescere della rilevanza relativa dei valori stimati e congetturati – espressivi di fenomeni di comunanza nello spazio e nel tempo e della continuità dei processi di produzione economica – nella determinazione del reddito d’esercizio, aumenta il grado di “potenziale manovrabilità” del medesimo, senza per questo indurre a valutazioni di non attendibilità. In altri termini, vi sono settori nei quali, per la tipologia di attività svolta, la numerosità e l’incidenza dei valori congetturati sono rilevanti (aziende di ingegneria, assicurazioni): in queste situazioni l’analisi è certamente effettuabile ma con estrema cautela vanno interpretati i risultati ottenuti. In tali contesti risulta ancora più importante la fase di lettura. Bilanci dove prevalgono valori “discrezionali” accompagnati da una scarsa trasparenza dell’informativa non quantitativa, producono come conseguenza una limitata applicabilità delle metodologie descritte nei capitoli successivi. Un valore congetturato risulta per sua specie discrezionale, trattandosi di una scissione ragionata di valori comuni a più esercizi: per stabilire se è attendibile, serve analizzare le ipotesi che hanno portato alla sua determinazione, cioè la congruenza sia con i processi di produzione economica passati e futuri sia con il globale sistema dei valori d’azienda. Qui giova solo ricordare che valori non coerenti con la realtà, portano a bilanci economicamente non attendibili. La valutazione del grado di attendibilità/discrezionalità del reddito non deve però limitarsi a un mero rapporto quantitativo: è necessario vagliare la “varietà” di tali valori 30 e non solamente l’impatto sul reddito, pur assumendo quest’ultimo importanza fondamentale. Prima di concludere il paragrafo pare, pertanto, opportuno esporre alcune considerazioni su taluni rapporti quantitativi funzionali alla misurazione dell’attendibilità del reddito, ricordando l’estrema cautela con cui debbono essere utilizzati in quanto, per un giudizio compiuto, assumono rilevanza anche le indagini di specie qualitativa. Tali indicatori, misuratori indiretti della “qualità”, sono riconducibili a due tipologie: a) di attendibilità/discrezionalità “potenziale”; b) di attendibilità/discrezionalità “effettiva”. I primi perseguono l’obiettivo di stabilire la rilevanza dei valori soggettivi, senza considerare qual è il loro contributo alla concreta determinazione del reddito. A tal fine è sufficiente rapportare le due tipologie di valori di bilancio (indicatore complessivo) oppure misurare l’incidenza di una specifica categoria sul totale (indicatori parziali).

30 La discrezionalità si riduce e l’attendibilità aumenta se la categoria dei valori soggettivi è prevalentemente costituita da quantità stimate in luogo delle congetturate. A queste ultime va prestata attenzione ancora maggiore in imprese caratterizzate da situazioni di crisi.

44

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

Valori oggettivi ______________ Valori soggettivi Valori oggettivi ______________ Totale valori Valori soggettivi ______________ Totale valori Al ridursi dei primi due indicatori, maggiori sono i processi produttivi in corso e, quindi, il grado di discrezionalità potenziale degli amministratori. La seconda categoria è finalizzata a individuare l’effettivo contributo dei valori oggettivi e soggettivi alla determinazione del reddito di esercizio. A tale proposito, si procede a una sua scomposizione in due parti, per individuare la quota derivante da: – valori oggettivi (quantità economiche certe); – valori soggettivi (quantità stimate e congetturate). Ciascun reddito “parziale” va, quindi, rapportato al reddito complessivo (Tabella 2.2) 31. Le situazioni A e B presentano una qualità potenziale del reddito elevata e sostanzialmente analoga: tuttavia, quella effettiva è profondamente differente, in quanto nell’azienda B si denota una situazione particolarmente critica, dal momento che il reddito complessivo non solo deriva esclusivamente da valori soggettivi ma questi ultimi compensano anche l’effetto negativo connesso ai valori oggettivi. Le situazioni C e D, contrariamente ai casi precedenti, rivelano una prevalenza di valori soggettivi: mentre in C tale preponderanza potenziale si trasforma anche in effettiva, in D ciò non avviene. Si tratta, tuttavia, di due casi da soppesare attentamente. Le considerazioni sopra espresse assumono valenza più teorica che operativa, in quanto la concreta e completa determinazione delle due tipologie di valori (oggettivi e soggettivi) è operazione tutt’altro che agevole 32, dal momento che il conto economico non è a struttura logica 33 bensì contiene, per alcune classi, valori che risultano dalla compensazione di quantità certe con quantità stimate e congetturate. 31 32

Anche in questo caso è sufficiente calcolare un unico indicatore. Resta inteso che tale operazione è comunque possibile, facendo ricorso ad alcune semplifica-

zioni. 33

Il conto economico a struttura logica non presenta compensazioni tra le varie tipologie di valori: ad esempio, in esso compaiono autonomamente i ratei e i risconti iniziali e finali.

45

La lettura del bilancio di esercizio come momento di prima interpretazione

Tabella 2.2. – Gli indicatori per la valutazione della qualità del reddito A

Valori oggettivi (VO) Valori soggettivi (VS)

B

+





230

330

100

50

60

10

Reddito (R)

110

Totale

390



900

870

– 30

100

250

150

1.120

120

120 390

110

1.120

VO/VS

5,09

5,06

VO/Totale

84%

83%

VS/Totale

16%

17%

RVO/R

91%

– 25%

RVS/R

9%

125% C

+



Valori oggettivi (VO)

1.000

1.050

Valori soggettivi (VS)

1.000

Reddito (R)



+

D 



+



50

100

140

40

1.450

450

400

410

10

2.500

500

550

550

50

500

50

Totale

2.500

VO/VS

0,84

VO/Totale

46%

23%

VS/Totale

54%

77%

RVO/R

10%

80%

RVS/R

90%

20%

0,30

Come esempio iniziale, si pensi ad un premio di assicurazione stipulato per la prima volta nel periodo amministrativo: il valore classificato nelle prestazioni di servizi deriva dalla compensazione tra premio pagato (quantità certa e derivante dallo scambio) e risconto attivo (quantità congetturata) 34, quest’ultimo calcolato in fase di determinazione del reddito per il rispetto del principio di competenza economica. Se, invece, si trattasse di un rinnovo, a determinare il valore con34

Va segnalato che per i ratei e i risconti, la determinazione avviene in base al tempo fisico e non economico: ciò certamente limita la discrezionalità.

46

Il quadro di riferimento dell’analisi di bilancio

tribuirebbe anche il risconto attivo iniziale. Analogo ragionamento vale per tutte le classi di valori a cui sono correlati ratei e risconti. Il secondo esempio riguarda i costi capitalizzati: è necessario aggiungere al valore di conto economico la quota rinviata ai futuri esercizi (in quanto non ritenuta di competenza) e iscriverla come valore soggettivo positivo. Il terzo caso riguarda le rimanenze, di cui si dispone della sola variazione: ad essa vanno sostituiti il valori iniziale e quello finale. Il quarto e ultimo esempio attiene l’utilizzo dei fondi, ricondotto contabilmente al costo corrispondente: ad esso va quindi sommato e iscritto tra i valori soggettivi positivi. Come descritto, le operazioni da compiere sono molteplici e non tutte agevolmente effettuabili da un analista esterno in tempi limitati: qualora si ritenesse che il beneficio informativo ottenibile dagli indici proposti fosse inferiore al costo da sopportare per una loro completa determinazione, si potrebbe limitare l’attenzione ai principali valori soggettivi, quali ammortamenti, svalutazioni, rivalutazioni per ripristino di valori, rimanenze, accantonamenti, capitalizzazioni di costi, incrementi per costruzioni interne, senza eseguire tutte le rettifiche sopra indicate.

Parte Seconda

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

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Capitolo 3

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

SOMMARIO: 3.1. La scomposizione dell’unitaria gestione aziendale in gestioni parziali. – 3.2. Lo schema di riclassificazione a ricavi e costo del venduto. – 3.3. Lo schema di riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto. – 3.4. Gli altri schemi di riclassificazione.

3.1. La scomposizione dell’unitaria gestione aziendale in gestioni parziali La riclassificazione consiste nell’attribuzione di un diverso e specifico ordine di inserimento (rispetto all’originario) degli elementi in un documento, in modo da ottenere informazioni atte a meglio soddisfare gli obiettivi di analisi. Rappresenta un momento fondamentale per la qualità dell’analisi e per la significatività degli indici successivamente calcolati. La sua correttezza dipende direttamente dalla completezza della nota integrativa: non sempre, infatti, sono disponibili informazioni analitiche che permettano di attribuire in modo univoco un valore in uno degli aggregati dello schema riclassificato. L’analista esterno, che dispone del solo fascicolo di bilancio, deve quindi fare ricorso, quando le informazioni non sono sufficienti, ai criteri della rilevanza e della prevalenza. Il criterio della rilevanza fa riferimento al valore nel suo complesso: in fase di riclassificazione e di analisi in generale, l’approfondimento per la corretta collocazione di una voce va effettuato solamente se il costo, in termini di tempo dedicato, è inferiore al beneficio informativo atteso. Nel caso in cui il valore rappresentasse una percentuale assai esigua del totale, qualsiasi scelta venisse effettuata non pregiudicherebbe la significatività dell’analisi. Il criterio della prevalenza si riferisce alla composizione, al contenuto del valore: laddove vi sia netta prevalenza di una gestione sulle altre e difficoltà nella scomposizione, è possibile ricondurre l’intero valore alla gestione principale. Si tratta, evidentemente, di una scelta soggettiva, che non rappresenta però un punto di debolezza nella misura in cui le informazioni ottenute sono interpretate alla luce delle ipotesi assunte.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

La riclassificazione del conto economico per aspetti distinti della gestione, permette di passare da un’interpretazione “contabile” a una “gestionale” dei valori. In particolare, la finalità prioritaria è comprendere il contributo offerto alla formazione dell’utile (o della perdita) dell’esercizio dai singoli gruppi omogenei di operazioni svolte durante il periodo amministrativo, anche attraverso il calcolo di risultati intermedi: tali gruppi omogenei individuano le gestioni parziali. Si tratta, in altri termini, di distinguere ciò che è ordinario dallo straordinario 1, l’operativo dal complementare e accessorio, il reddito da investimenti dal costo dei finanziamenti isolando, infine, l’effetto fiscale complessivo. Pertanto, la riclassificazione della tavola richiede di affrontare le seguenti quattro fasi: 1. individuare le gestioni e le aree parziali; 2. scegliere lo schema coerente con le finalità perseguite; 3. ridurre il numero delle classi di valori: tale operazione avviene costruendo, per le singole gestioni, degli aggregati; 4. portare i valori che svolgono una funzione di rettifica a diretta riduzione delle classi di riferimento (ad esempio, un rimborso spesa non è da considerare ricavo ma riduzione del costo corrispondente). Nel seguito del paragrafo si individuano le gestioni parziali nelle quali è scomponibile la globale e unitaria gestione aziendale. Si tratta, quindi, di una disaggregazione finalizzata a meglio interpretare i costi e i ricavi, da non considerarsi rigida, in quanto le singole gestioni presentano molteplici interrelazioni 2. La prima e più importante componente è la gestione caratteristica: essa fa riferimento all’attività tipica di un’impresa, cioè alla sua funzione economica intesa in senso stretto. Si tratta, in definitiva, dell’attività che genera i rapporti di scambio operativi con i clienti e con i fornitori e che generalmente identifica l’impresa all’esterno: da essa dipende la continuità aziendale e il successo duraturo. Risultati negativi emergenti da questa gestione esprimono un’evidente situazione di criticità che, se non affrontata tempestivamente, porta verso la crisi dell’impresa. Nell’ordinaria operatività dell’impresa, possono manifestarsi dei surplus monetari che richiedono temporanee scelte di investimento (conti correnti bancari, titoli, crediti finanziari, immobili civili). Inoltre, l’azienda può porre in essere investimenti finanziari la cui finalità è produrre benefici nella gestione caratteristica (ad esempio, partecipazioni). Gli effetti reddituali diretti di tali scelte di investimento rientrano nella seconda componente gestionale, la complementare e acces-

1 Su questo punto si tornerà diffusamente nel seguito del capitolo, considerando la modifica normativa che ha cancellato l’area straordinaria dal conto economico civilistico. 2 L’attribuzione di costi e ricavi a gestioni parziali fornisce un contributo importante per esprimere valutazioni sulla combinazione economica generale e per meglio cogliere le relazioni tra operazioni di specie differente: tuttavia, in fase interpretativa, l’unitarietà della gestione deve essere elemento guida nell’espressione di un giudizio di sintesi.

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soria o patrimoniale 3. In sintesi, sono ad essa riconducibili i seguenti investimenti: immobiliari (edifici non strumentali), mobiliari (titoli), in partecipazioni, in altre attività finanziarie (crediti finanziari e bancari). A questi si aggiungono anche i risultati di attività marginali o temporanee. La gestione patrimoniale, malgrado le interrelazioni con la caratteristica, se ne differenzia per un significativo aspetto: di norma, le singole operazioni non si ordinano in processi, cioè non si svolgono secondo fasi “preordinate” e con continuità. Risulta evidente che oltre a trovarsi in situazioni di eccedenze monetarie, l’impresa presenta anche momenti caratterizzati da deficit di liquidità: in tale caso si tratta di effettuare operazioni di copertura, attraverso la richiesta di finanziamenti. L’insieme delle operazioni finalizzate al reperimento delle risorse finanziarie viene definito gestione finanziaria. La gestione finanziaria (a cui sono correlati gli oneri finanziari) è da ritenersi gestione autonoma 4 anche se fortemente correlata alla caratteristica e alla patrimoniale. Ciò per tre ragioni: 1. il fabbisogno finanziario di un’azienda è globale, cioè non vi è correlazione univoca tra singolo impiego e singola fonte di finanziamento. L’insieme degli investimenti (impieghi di risorse) trova copertura nell’insieme delle fonti: in conseguenza di ciò è impossibile, per l’analista, individuare – almeno direttamente – la quota correlata alla gestione tipica, anche se questa, in condizioni normali, rappresenta l’elemento causante di maggior rilievo; 2. le decisioni di copertura finanziaria sono correlate alla struttura finanziaria, della quale si vuole determinare in modo autonomo l’impatto sul reddito netto; 3. non ha significato confondere gli effetti di scelte di impiego del capitale con quelli derivanti dal suo reperimento: un reddito operativo di gestione tipica 5 minore di zero è indice dell’incapacità di investire convenientemente le risorse, non di reperirle. Fino a questo punto si è osservata l’attività ordinaria d’impresa, cioè l’insieme di operazioni definibili ricorrenti. Accanto a queste ve ne sono altre, denominate straordinarie, che presentano la caratteristica di non ripetitività e/o di eccezionalità (svalutazioni, plusvalenze, minusvalenze, insussistenze e sopravvenienze), di non controllabilità (incendi, furti e altre ancora) e, in termini generali, di generare valori non di esclusiva competenza dell’esercizio. Tutti i costi e i ricavi formatisi nel predetto ambito, andrebbero inseriti nell’area straordinaria. Tale pro3

Come meglio evidenziato nell’ambito della riclassificazione dello stato patrimoniale (capitolo 4), vi sono alcune difficoltà nella completa separazione tra gestione caratteristica e complementare/accessoria. 4 L’autonomia è da intendersi, evidentemente, in termini relativi. Nel testo si fa ricorso ad un’accezione ristretta di gestione finanziaria. Infatti, la gestione complementare e accessoria può anche essere definita “finanziaria attiva” o “di investimento”. In definitiva la gestione finanziaria complessiva è suddivisa in due parti: una legata agli investimenti e l’altra ai finanziamenti. 5 Per la definizione di tale reddito, si veda il paragrafo 3.2.

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cedere si rende necessario per non influenzare con valori “occasionali” quelli ricorrenti derivanti dalle precedenti tre gestioni 6. L’ultima gestione parziale è la tributaria, che si ricollega – in via prevalente – alle imposte sul reddito. È considerata quale ultima componente perché, pur essendo ordinaria, è influenzata anche dai valori di costo e ricavo straordinari. L’individuazione delle quattro gestioni, integrate dall’area dei componenti straordinari e con l’ausilio degli schemi di riclassificazione, permette di rispondere alla domanda con cui si è aperto il paragrafo: qual è il processo di formazione del reddito? Nel seguito del capitolo vengono presentati quattro schemi di riclassificazione, di cui i primi due utilizzabili da un analista esterno.

3.2. Lo schema di riclassificazione a ricavi e costo del venduto 7 Il primo modello di rappresentazione, assai confacente per rispondere alla precedente domanda, è denominato a “ricavi e costo del venduto” 8. Lo schema proposto classifica i costi e i ricavi per natura 9, in quanto l’analista esterno non dispone delle informazioni necessarie per classificarli secondo la destinazione. La sua struttura sintetica è la seguente (Tabella 3.1): Tabella 3.1. – Lo schema di riclassificazione a ricavi e costo del venduto Ricavi netti Costo del venduto Reddito operativo gestione caratteristica Risultato gestione complementare e accessoria (patrimoniale) Reddito operativo aziendale Oneri finanziari Reddito lordo di competenza Componenti straordinari Reddito ante imposte Imposte Reddito netto

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Nel paragrafo successivo verrà effettuato un approfondimento sul concetto di componente straordinario ai fini della riclassificazione, tenuto conto del nuovo orientamento della normativa italiana (D.Lgs. n. 139/2015). 7 Nel paragrafo e nel successivo vengono delineati i criteri guida per la riclassificazione, fornendo alcuni esempi. Nel capitolo 7, tali schemi saranno ripresi dal punto di vista operativo, effettuando ulteriori approfondimenti. 8 Tale schema è meno utilizzato nella realtà rispetto a quello contenuto nel successivo paragrafo ma è semplice e funzionale a individuare e illustrare alcuni risultati intermedi e parziali. 9 Tale è il criterio utilizzato nel conto economico pubblicato in Italia.

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I Ricavi netti identificano il valore dei beni ceduti ai clienti durante l’anno: risulta espressivo del volume di attività svolta che ha dato luogo a operazioni di scambio con i terzi. Il fatturato netto rappresenta una grandezza (in termini assoluti e di variazione) assai importante anche nei confronti con altre aziende. I valori sono da considerare al netto delle rettifiche dirette quali sconti, abbuoni, resi, premi a clienti. Nell’ambito dei ricavi vengono anche inseriti gli interessi attivi su crediti verso clienti, quando questi ultimi derivano da scelte non temporanee di politica commerciale: la ragione si individua nel fatto che si tratta del ritorno su un investimento tipico e, come tale, riconducibile alla gestione caratteristica 10. Il Costo del venduto (CDV) è l’insieme dei costi operativi netti sostenuti dall’impresa per l’ottenimento del fatturato. Disponendo delle informazioni analitiche, il costo del venduto dovrebbe essere scomposto nelle singole funzioni aziendali: ad esempio, costi produttivi, commerciali, generali e amministrativi, di ricerca e sviluppo 11. Qualora ciò non fosse possibile (come nelle analisi esterne), anche il valore complessivo, cioè indistinto, è da considerarsi espressivo per la fase interpretativa. In termini esemplificativi, la composizione è esposta in Tabella 3.2. Tabella 3.2. – La composizione del costo del venduto + Acquisti + Costo del lavoro + Trattamento di fine rapporto + Prestazioni di servizi + Oneri diversi di gestione caratteristica + Ammortamenti gestione caratteristica + Svalutazione crediti commerciali + Accantonamenti gestione caratteristica ± Variazione rimanenze – Rettifiche di costi (rimborsi e capitalizzazioni) – Incrementi per lavori interni

All’interno del costo del venduto è possibile correlare alcuni valori per individuare aggregati intermedi rilevanti (Tabella 3.3). Uno dei più significativi è il Consumo delle materie prime (sussidiarie, “minori”).

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Nel caso in cui il valore di tali interessi fosse modesto o non rispondesse ai requisiti sopra indicati, andrebbe riclassificato nella gestione complementare e accessoria. 11 Si veda il paragrafo 3.4, dove si presenta uno schema con i costi classificati per destinazione dei fattori.

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Il valore dei consumi, in questo caso di merci, assume particolare rilievo nelle imprese di distribuzione commerciale, al fine di calcolare il Margine di intermediazione commerciale, che rappresenta un indicatore fondamentale di misura del successo economico dell’impresa. Tabella 3.3. – Alcuni aggregati rilevanti + Acquisti materie prime, sussidiarie e di consumo ± Variazione rimanenze materie prime, ... = Consumi delle materie prime, … + Ricavi netti – Costo delle merci vendute (Consumi) = Margine di intermediazione commerciale

I valori inseriti nel costo del venduto debbono riguardare la gestione caratteristica: se, ad esempio, vi sono ammortamenti relativi a un bene non direttamente utilizzato (concesso in locazione), tale costo va attribuito alla gestione complementare e accessoria, insieme all’affitto attivo. Altro esempio riguarda l’accantonamento per rischi su cambi (perdita presunta), quando associato a un finanziamento: il costo è da riclassificare nella gestione finanziaria. Gli incrementi per lavori interni vanno a ridurre il costo del venduto nella sua globalità, poiché rinviano costi rilevati nell’anno ma i cui fattori non hanno prodotto ricavi (in quanto a utilità differita). Analoga considerazione per i costi capitalizzati, prestando molta attenzione che capitalizzare (o patrimonializzare) costi significa aumentare il reddito prodotto nel periodo in cui si effettua l’operazione e ridurlo in futuro attraverso le quote di ammortamento. Quando tale intervento si riscontra in imprese con reddito modesto o negativo, può celare politiche di bilancio strumentali, tendenti a migliorare artatamente la situazione reddituale. Altri esempi di politiche di bilancio volte a migliorare il reddito attuale a scapito dei futuri, eseguite senza l’esistenza dei presupposti economici, si individuano nella scelta del criterio valutativo teso a massimizzare il valore delle rimanenze (anche evitando di effettuare svalutazioni di beni obsoleti) e nella riduzione delle quote di ammortamento, intervenendo sul collegato piano, “allungando” la vita economica del bene. Dalla contrapposizione tra ricavi e costo del venduto si ottiene il Reddito operativo della gestione caratteristica (ROGC), che identifica la capacità dell’impresa di produrre reddito mediante la sua attività peculiare e principale. In tutte le imprese e, in particolare, nelle piccole e medie, che di norma sono fortemente orientate al business tipico, l’attività caratteristica deve produrre un reddito elevato, in grado di assicurare copertura ai costi delle altre gestioni: se negativo (o assai modesto) per più anni è sintomo assai preoccupante per l’economicità dell’impresa

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oltre che indicatore di elevata vulnerabilità, cioè di assenza di equilibrio reddituale, indipendentemente dai valori emersi nelle altre gestioni parziali. Il Risultato della gestione complementare e accessoria o patrimoniale (RGCA) rappresenta il risultato netto ottenuto dall’investimento di surplus monetari e da attività temporanee o marginali. Tali proventi, al netto dei costi corrispondenti, partecipano, insieme al reddito dell’attività tipica, alla copertura dei costi connessi alla struttura finanziaria. Le classi che tipicamente vanno inserite in questa area sono: interessi attivi, fitti attivi, dividendi; costi di manutenzione e sorveglianza degli immobili locati; perdite su crediti finanziari; svalutazioni di titoli e di partecipazioni. Tale gestione, che di norma contribuisce positivamente al reddito netto, potrebbe anche manifestare un saldo negativo, quando le partecipazioni o i titoli generano delle svalutazioni ingenti. Il termine “reddito” o “risultato” utilizzato per la gestione complementare/accessoria non è pienamente adeguato in quanto, generalmente, non sono individuabili tutti i componenti negativi di reddito mentre lo sono i positivi. Ad esempio, i costi per gli immobili non strumentali (manutenzione, vigilanza, assicurazioni) non vengono inseriti, nel conto economico civilistico, nell’ambito di una classe di valori specifica ma all’interno delle globali prestazioni di servizi. In modo analogo per i costi, generalmente bancari, associati alla gestione del portafoglio titoli. L’aggettivo “accessoria” richiama un ruolo marginale rispetto all’attività caratteristica, differenziandosi chiaramente da quest’ultima: il concetto di accessorietà è, quindi, derivato, di natura residuale. Il termine “complementare” evoca, invece, un legame più stringente, poiché con gli investimenti effettuati si persegue l’ottenimento di un ritorno economico indiretto (ad esempio, il miglioramento del reddito operativo che però non può essere autonomamente misurato dall’esterno), anche se ad essi sono comunque associabili ricavi e costi diretti. Ad esempio, un investimento (partecipazione di controllo) nel capitale di un’altra azienda non ha quasi mai come finalità il conseguimento di ricavi diretti ma il perseguimento di sinergie con l’attività caratteristica: gli eventuali dividendi o svalutazioni rappresentano ricavi/costi complementari ai caratteristici. Particolarmente critica in fase di riclassificazione è la collocazione delle partecipazioni 12 e del trattamento dei valori reddituali ad esse connessi. Nell’ambito dello schema a ricavi e costo del venduto, il ritorno complessivo dell’investimento in partecipazioni viene così considerato: 1. nella gestione caratteristica è incluso il “ritorno indiretto od operativo”, non valorizzabile dall’analista esterno ma esistente e con rilevanza crescente all’aumentare delle operazioni interne; 12

Per un approfondimento, si veda il capitolo 4.

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2. nella gestione patrimoniale è inserito il “ritorno diretto netto”: tuttavia, vi è un limite a tale procedere, in quanto gli eventuali componenti negativi sono da considerarsi come una quota di costo necessaria per l’ottenimento attuale e futuro del “ritorno operativo” oppure l’effetto di politiche di gruppo. Dall’esterno il problema sulla natura e composizione del ritorno complessivo non ottiene soluzione né ottimale né soddisfacente: per tale ragione non si affronta in fase di riclassificazione, attribuendo dividendi e svalutazioni (ed eventuali rivalutazioni di ripristino se ritenute ordinarie) alla gestione patrimoniale. Al crescere dell’incidenza delle partecipazioni è però logico attendersi 13: – un passaggio interpretativo dalla gestione complementare/accessoria alla gestione caratteristica; – una minore espressività della suddivisione tra le due gestioni (per quanto attiene, evidentemente, le sole partecipazioni). Vi è, infine, un ulteriore aspetto: fino ad ora non si sono richiamate le plusvalenze e le minusvalenze connesse alla cessione dei titoli e delle partecipazioni. Si ritiene che la loro collazione sia tra i componenti straordinari, in quanto nel risultato della gestione complementare e accessoria si riclassificano i soli valori ordinari derivanti dall’investimento, così come effettuato nell’ambito della gestione caratteristica. Il Reddito operativo aziendale (ROA), somma dei due precedenti, identifica il reddito complessivamente ottenuto dall’impresa e derivante dalle globali scelte di investimento attuate, sia nella gestione tipica sia in quella patrimoniale. Presenta una peculiarità molto importante: è indipendente dalle scelte esplicite di finanziamento, in quanto il loro costo non è considerato 14. Si afferma, quindi, che il reddito operativo aziendale rappresenta il ritorno degli investimenti totali dell’impresa, indipendentemente da come sono stati finanziati. È necessario valutare attentamente la portata dell’affermazione precedente. È certamente vero che gli interessi passivi vanno riclassificati al di sotto del reddito operativo aziendale e, pertanto, non lo influenzano: è però anche indubbio che il reddito in oggetto risente degli oneri finanziari impliciti, cioè degli effetti delle forme di finanziamento per le quali non si corrispondono, in via diretta o esplicita, interessi.

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Quando le partecipazioni sono notevoli si ribadisce la necessità di esaminare anche (o solo) il bilancio consolidato di gruppo. 14

Entrambi i redditi operativi sono, nello schema utilizzato, anche indipendenti dai componenti straordinari se individuabili e dalle imposte: a proposito di queste ultime, comunque, nulla vieterebbe di attribuirle (nelle analisi interne ciò andrebbe fatto). Infatti, a ben riflettere (ed escludendo l’impatto dei componenti straordinari) sono proprio la gestione tipica e quella patrimoniale la “causa” del carico tributario di un’impresa, ridotto dallo “scudo fiscale” rappresentato dagli oneri finanziari.

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Alcuni esempi permetteranno di meglio comprendere il problema. I costi per materie prime comprendono al loro interno interessi passivi, in quanto il prezzo di acquisto è anche dipendente dalla dilazione ricevuta dal fornitore; l’adeguamento del trattamento di fine rapporto rappresenta il costo finanziario per la disponibilità del finanziamento dei dipendenti; il ricorso al leasing genera dei canoni, comprensivi di interessi passivi sul prestito ricevuto dalla società cedente 15. In merito ai beni in leasing (locazione finanziaria) è opportuno formulare alcune precisazioni, alla luce del metodo di contabilizzazione utilizzato in Italia, cioè quello dei canoni o patrimoniale. Il ricorso a tali contratti permette la disponibilità di un bene attraverso la corresponsione di canoni periodici su un periodo inferiore rispetto alla sua durata economica: ciò comporta che, durante l’esistenza del contratto, i costi attribuiti a conto economico siano superiori rispetto a quelli derivanti a fronte dell’acquisizione diretta; negli anni successivi, di contro, i costi imputati a conto economico saranno inferiori. Laddove il valore dei beni in leasing è significativo, ciò influisce in modo rilevante sia sui risultati economici sia sulla situazione patrimoniale e finanziaria, riducendo la possibilità di comparazione con altre imprese. Di questa situazione si deve evidentemente tenere conto a livello interpretativo oppure, con le informazioni disponibili in nota integrativa, se completa 16, si può cercare di meglio rappresentare l’operazione in oggetto, facendo ricorso al metodo finanziario. In termini sintetici, ciò avviene eliminando dal conto economico il canone di leasing, imputando la quota di ammortamento in base alla vita utile e gli interessi passivi di competenza. Nello stato patrimoniale, invece, si tratta di inserire nell’attivo il valore del bene, opportunamente ammortizzato o svalutato nel tempo e, nel passivo, il debito verso la società di leasing, da ridurre in funzione dei rimborsi effettuati attraverso il pagamento periodico dei canoni 17. In tal modo, l’impatto dell’operazione di leasing sul reddito operativo è limitato agli ammortamenti e, nel caso fossero considerate ordinarie, alle eventuali svalutazioni. A conclusione della parte sul reddito operativo si ribadisce la sua importanza nella fase di analisi: questo indicatore, denominato EBIT (Earnings before interest and taxes), è infatti utilizzato a livello internazionale, anche se con configurazioni assai differenti. Dal reddito operativo aziendale vengono sottratti gli Oneri finanziari (OF) 18, che rappresentano l’apporto (negativo) della gestione finanziaria alla produzione 15

Le informazioni sul leasing contenute in nota integrativa, permettono di evidenziare la quota di interessi passivi connessa ai contratti esistenti. 16 Sul contenuto del punto 22 dell’art. 2427, si veda il paragrafo 2.2. 17 L’operazione descritta comporta anche un impatto sulle imposte, generando una differente distribuzione nel tempo tra imposte correnti e differite. 18 Si tratta, evidentemente, dei soli oneri finanziari espliciti, indicati come valore autonomo in conto economico.

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del reddito complessivo. Essi comprendono gli interessi passivi sui finanziamenti ricevuti da qualsiasi soggetto esterno, i costi di gestione del rapporto (oneri e spese bancarie) 19 e, per generalizzare, il costo di qualunque disponibilità di denaro ricevuta da terzi e soggetta a remunerazione esplicita. Gli oneri finanziari di cui si argomenta sono quelli di competenza: non va, infatti, dimenticato che essi possono essere oggetto, date certe condizioni, di capitalizzazione. A fronte di questa evenienza, è opportuno approfondire la scelta compiuta dall’impresa, frequente nel settore delle costruzioni, per comprenderne le ragioni economiche sottostanti 20. In questo schema di riclassificazione non si segue una prassi assai diffusa nella realtà, consistente nella compensazione di interessi attivi e passivi o, più in generale, di ricavi e costi finanziari. Pur riconoscendo le inevitabili interrelazioni tra scelte di investimento e di finanziamento, si ritiene opportuno, per il calcolo degli indici, l’indicazione separata dei due elementi: si pensi, ad esempio, alla determinazione del costo medio dell’indebitamento 21 che, nel caso fosse effettuata la compensazione in oggetto, risulterebbe sempre inferiore al reale o addirittura non calcolabile, se i proventi superassero i costi. Il Reddito lordo di competenza (RC) evidenzia il risultato prodotto dalla gestione ordinaria, cioè dall’insieme di operazioni caratterizzanti e ricorrenti che consistono nell’utilizzo ottimale del capitale disponibile (gestione caratteristica, complementare e accessoria) e nel più conveniente finanziamento del medesimo (gestione finanziaria). Il reddito di competenza permette, a differenza dei precedenti, di considerare congiuntamente gli oneri finanziari e il risultato della gestione complementare e accessoria, cioè l’impatto delle voci finanziarie “attive” e “passive”. Una volta determinato il Reddito lordo di competenza, occorre considerare i Componenti straordinari (CS), da intendersi come l’effetto netto di operazioni che, per la loro natura, devono essere esaminate in modo autonomo. Se tali valori fossero inseriti nelle gestioni precedenti, non si riuscirebbe a comprendere se un’impresa sia effettivamente in grado di produrre reddito con continuità o se tale reddito derivi da fenomeni fortuiti od occasionali. In tale aggregato si hanno, in prima approssimazione, le sopravvenienze, le insussistenze, le perdite su crediti e su cambi di esercizi precedenti 22, le plusvalenze, le minusvalenze, i contributi dello Stato (o pubblici in generale) quando occasionali, i valori derivanti da errori 19 I costi da considerare in questa area devono essere esclusivamente connessi ai finanziamenti: nel caso di altri servizi forniti dalla banca, il costo va attribuito alla gestione caratteristica o patrimoniale. 20 Sul punto si tornerà trattando del costo medio dell’indebitamento, nel paragrafo 9.3. 21 Si veda il paragrafo 9.3. 22 Le perdite su crediti e su cambi di competenza dell’esercizio, se relative a operazioni di gestione tipica, contribuiscono a determinare il reddito operativo di gestione caratteristica.

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di stima compiuti in anni precedenti oppure dipendenti da fenomeni non controllabili, le svalutazioni di immobilizzazioni materiali e immateriali e, dati certi presupposti, anche le rivalutazioni. La riforma della normativa sul bilancio, introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015, ha però eliminato la sezione E del conto economico, proprio destinata ai componenti straordinari, introducendo un obbligo informativo in nota integrativa che solo in misura assai parziale ne compensa la cancellazione 23: infatti, l’eccezionalità dell’entità o dell’incidenza non è direttamente correlata al carattere di straordinarietà. Appare evidente come tale riforma, coerente con i principi contabili internazionali, riduca sensibilmente il potenziale informativo su questi importanti elementi 24. Per questa ragione, i valori che prima venivano classificati nella sezione E ora confluiranno, in funzione della natura, nelle altre voci di bilancio 25: in mancanza di adeguato supporto da parte della nota integrativa, il rischio è di non conoscere l’effettiva composizione di un valore e, quindi, di formulare delle valutazioni non coerenti con la situazione aziendale. Senza la concreta possibilità di isolare i componenti straordinari, i singoli risultati intermedi (reddito operativo, reddito di competenza) possono risentire in misura anche significativa di valori di natura non ordinaria, rendendo le comparazioni sia temporali sia spaziali malcerte. Il tema della comparazione è importante, in quanto i differenti livelli di dettaglio delle singole note integrative possono portare per talune imprese alla loro identificazione e per altre all’impossibilità di individuarli. Appare inoltre evidente che qualora tali componenti non fossero identificabili, il reddito di competenza perderebbe la sua natura di reddito dell’attività ordinaria, venendo a sovrapporsi con il reddito ante-imposte (trattato a breve). Malgrado queste difficoltà, vale comunque la pena di prevedere nello schema riclassificato l’area straordinaria, tenendo però presente la differente situazione regolamentare che è venuta a delinearsi. Alcuni esempi possono meglio far comprendere la questione. Nella precedente normativa, le plusvalenze potevano essere considerate ordinarie (punto A.5 del Valore della produzione) o straordinarie (sezione E): oggi saranno tutte classifi23

Il punto 13 dell’art. 2427 prevede di indicare “l’importo e la natura dei singoli elementi di ricavo e di costo di entità o incidenza eccezionali”. 24 A questo proposito, nel 2006 la Consob, con Delibera n. 15519, emanava alcune disposizioni per le società quotate in materia di schemi di bilancio, collegate all’utilizzo in Italia degli IAS-IFRS (D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38). Con riferimento al tema qui trattato si legge che devono essere evidenziati, qualora di importo significativo, «i componenti di reddito (positivi e/o negativi) derivanti da eventi od operazioni il cui accadimento risulta non ricorrente ovvero da quelle operazioni o fatti che non si ripetono frequentemente nel consueto svolgimento dell’attività». 25 Nel punto 2 delle “Motivazioni alla base delle decisioni assunte”, contenuto nel principio contabile OIC n. 12 (ma non considerate parte integrante di questo) è indicato, in termini esemplificativi, il nuovo trattamento contabile dei costi e dei ricavi straordinari esplicitando, ove possibile, le voci che li contengono.

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cate in A.5 con l’auspicio che, a fronte di valori derivanti da operazioni straordinarie (ad esempio un conferimento di rami d’azienda, una cessione di beni non strumentali) vi siano informazioni in nota integrativa. La riclassificazione delle plusvalenze nella gestione caratteristica genera come effetto, a parità di tutte le altre condizioni, il maggiore valore del ROI rispetto al loro inserimento nell’area straordinaria. Altro caso riguarda le imposte, le quali comprenderanno sia il valore di competenza del periodo sia quello relativo a periodi precedenti, che prima veniva inserito nella sezione E. Si potrebbe continuare ma il significato è ormai chiaro: la distinzione tra ordinario e straordinario sarà più difficile da ottenere, riducendo in tal modo il potenziale informativo dell’analisi. Il rischio di annacquamento è certamente più grave per il reddito operativo della gestione caratteristica, che potrebbe divenire più variabile e meno indicativo della capacità di un’impresa di perdurare nel tempo. In termini conclusivi, per alcuni anni si disporrà anche di bilanci con la presenza esplicita dei componenti straordinari, in quanto solo dal 2016 verrà meno la sezione specifica 26. Tuttavia, nel medio termine, la scelta dipenderà dai comportamenti comunicativi delle imprese anche se, in fase comparativa, sarà molto complesso comprendere se tutte le imprese esaminate hanno effettivamente indicato in nota integrativa i valori in oggetto o, almeno, i principali: evidentemente non sarà possibile isolare i componenti straordinari se solo una o poche delle imprese da confrontare forniscono queste informazioni. La tendenza, quindi, sarà quella di trovarsi con indicatori che incorporano anche valori non ricorrenti o che dovrebbero essere esaminati autonomamente per valutarne il concreto impatto nel tempo. Altro aspetto da non trascurare riguarda i termini di confronto, ad esempio le medie di settore 27: appare abbastanza scontato che in futuro nelle banche dati non si disporrà di informazioni analitiche su questi valori. Definito il problema classificatorio in termini generali, si vogliono ora formulare alcuni approfondimenti sulla natura di tali componenti, indipendentemente dalla previsione normativa. La necessaria premessa consta nell’evidenziare che non esiste unanime accordo in letteratura su cosa debba intendersi per componente straordinario: pertanto, qualsiasi proposta non troverà piena accettazione e sarà frutto di ragionamenti soggettivi ma risulterà indispensabile per procedere. Il punto di partenza 26 Ad esempio, in un’analisi quinquennale sul periodo 2012-2016, ci saranno quattro dei cinque bilanci (dal 2012 al 2015) con la sezione E del conto economico. Inoltre è possibile che, con la presentazione del bilancio 2016, vengano riclassificati dall’azienda anche i valori comparativi del 2015: in tal caso si potrà immediatamente comprendere in quali voci sono stati inseriti i componenti straordinari. 27 Per approfondimenti, si veda il capitolo 1.

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consiste nell’individuare alcune definizioni, risalenti a molti anni fa, fornite sia dalla dottrina 28 sia dai principi contabili italiani. Secondo Zappa, sono straordinari «i componenti del reddito essenzialmente mutevoli, occasionali, non destinati a rinnovarsi, ché sporadiche e non ricorrenti sono le circostanze dalle quali derivano. Ma le condizioni dell’assegnazione dei componenti del reddito [alla categoria citata] difficilmente si possono enunciare, in modo generico, con parole meno imprecise. Solo una fondata e concreta conoscenza dell’intimo svolgersi della gestione nelle singole imprese, potrebbe essere valida guida allo scopo» 29. Onida scrive che «la classificazione [dei componenti di reddito in ordinari e straordinari] è fatta – sia nella dottrina che nella pratica – con criteri non di rado disformi: così, ad esempio, si reputano talora straordinari, i componenti di reddito che non derivano dall’attività consueta e tipica dell’impresa o che non si ripetono periodicamente, con regolarità, o che appaiono imprevedibili» 30. De Dominicis include nei componenti straordinari i valori «che nella teoria e nella pratica sono denominati sovente sopravvenienze ed insussistenze, oltre alle rettifiche di costi e ricavi di precedenti esercizi ed a quelle derivanti dall’alienazione dei fattori produttivi» 31. Superti Furga, correla i componenti straordinari «all’occasionalità di determinate operazioni di gestione o di eventi aziendali» 32, sottolineando i caratteri di eccezionalità e di infrequenza. Inoltre aggiunge che in «altri casi il carattere straordinario è in relazione a variazioni delle ipotesi di futuro svolgimento dell’attività di gestione … Per quanto concerne la classe delle rettifiche di costi e ricavi di esercizi precedenti, il loro carattere straordinario si connette al fatto che si tratta di componenti di reddito 28

Nel testo si proporranno solamente alcune delle molteplici definizioni esistenti in letteratura. Tra i vari contributi sui componenti straordinari si segnalano i seguenti: R. COPPA, I componenti straordinari del reddito nell’economia e nel bilancio delle imprese, Giappichelli, Torino, 1988; M. LACCHINI, I componenti straordinari, Giappichelli, Torino, 1989; R. MACCHIONI, I componenti straordinari di reddito nell’informazione di bilancio, Cedam, Padova, 2002; F. MANNI, I componenti straordinari di reddito nel bilancio di esercizio, in Rivista italiana di ragioneria e economia aziendale, n. 1-2, 1997; L. POZZA, La scomposizione dell’unitaria gestione economica d’impresa nella nuova tavola di sintesi reddituale: alcune riflessioni su finalità, implicazioni e significatività, in Rivista dei dottori commercialisti, n. 6, 1993; A. VIVARELLI, I componenti straordinari del reddito, Sei, Cagliari, 1969. 29 In un altro lavoro si legge la seguente definizione: «sono straordinari i componenti di reddito occasionali che risultano da operazioni di gestione eccezionali o da un ordine di attività sporadico; e quelli dovuti al caso o alla congiuntura, spesso noti come sopravvenienze ed insussistenze. Si considerano straordinari anche i componenti di reddito che risultano da rettificazioni di valori attribuiti a precedenti esercizi o da cambiamenti nei criteri di valutazione secondo i quali in antecedenza si sono stimati gli elementi patrimoniali». G. ZAPPA-L. AZZINI-G. CUDINI, Ragioneria generale, Giuffrè, Milano, 1955, p. 143. 30 P. ONIDA, Il bilancio di esercizio nelle imprese, Giuffrè, Milano, 1974, p. 50. 31 U. DE DOMINICIS, Lezioni di ragioneria generale, vol. III, Azzoguidi, Bologna, 1966, p. 281. 32 F. SUPERTI FURGA, Il bilancio di esercizio italiano secondo la normativa europea, III ed., Giuffrè, Milano, 1997, p. 80.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

imputati all’esercizio solo in quanto hanno avuto la loro manifestazione nel periodo amministrativo che dà nome all’esercizio» 33. Il precedente principio contabile italiano, n. 12 del 2014 34, al punto 38, prevedeva che «l’attività straordinaria include i proventi e gli oneri la cui fonte è estranea all’attività ordinaria della società. Sono considerati straordinari i proventi e gli oneri che derivano da: a) eventi accidentali ed infrequenti; b) operazioni infrequenti che sono estranee all’attività ordinaria della società 35» 36. 33 34

F. SUPERTI FURGA, Il bilancio, cit., p. 80. Il principio è stato aggiornamento, proprio a seguito del D.Lgs. n. 139/2015, nel dicembre

2016. 35 Dopo la definizione segue un’ulteriore precisazione (punto 38). «La straordinarietà dell’evento o dell’operazione è determinata in funzione della loro natura in relazione alla ordinaria attività della società. Restano conseguentemente esclusi gli eventi che, pur accidentali e non ricorrenti nel loro verificarsi o nel loro ammontare, sono connessi alla ordinaria attività della società (ad esempio, il crollo accidentale di uno stabilimento costituisce un evento straordinario per una impresa industriale, mentre non è tale per un’impresa assicuratrice che lo abbia assicurato anche se i suoi effetti sono di estrema rilevanza per la stessa impresa assicuratrice)». 36 In base a tale definizione, al punto 103 del precedente principio, veniva individuato il seguente contenuto: – «plusvalenze e minusvalenze e sopravvenienze attive e passive derivanti da fatti per i quali la fonte del provento o dell’onere è estranea all’attività dell’impresa; componenti positivi o negativi relativi ad esercizi precedenti (inclusi gli errori di rilevazione di fatti di gestione o di valutazione di poste di bilancio) e le imposte relative a esercizi precedenti; componenti reddituali che costituiscono l’effetto di variazioni dei criteri di valutazione». Successivamente, al punto 105, vengono proposti alcuni esempi. a) Oneri, plusvalenze e minusvalenze derivanti da operazioni con rilevanti effetti sulla struttura dell’azienda:  oneri di ristrutturazioni aziendali;  componenti reddituali derivanti da ristrutturazioni del debito;  plusvalenze e minusvalenze derivanti da conferimenti di aziende e rami aziendali, fusioni, scissioni ed altre operazioni sociali straordinarie;  plusvalenze e minusvalenze derivanti dalla cessione (compresa la permuta) di parte significativa delle partecipazioni detenute o di titoli a reddito fisso immobilizzati;  plusvalenze e minusvalenze derivanti in generale da operazioni di natura straordinaria, di riconversione produttiva, ristrutturazione o ridimensionamento produttivo;  plusvalenze o minusvalenze derivanti da espropri o nazionalizzazioni di beni. b) Plusvalenze e minusvalenze derivanti dall’alienazione di immobili civili ed altri beni non strumentali all’attività produttiva e non afferenti la gestione finanziaria, nonché il plusvalore derivante dall’acquisizione delle immobilizzazioni materiali a titolo gratuito. c) Plusvalenze e minusvalenze da svalutazioni e rivalutazioni di natura straordinaria. d) Sopravvenienze attive e passive derivanti da fatti naturali o da fatti estranei alla gestione dell’impresa:  furti e ammanchi di beni (disponibilità finanziarie, titoli, partecipazioni, beni di magazzino e cespiti vari) di natura straordinaria. I relativi rimborsi assicurativi costituiscono sopravvenienze attive straordinarie. Nelle aziende di grande distribuzione nelle quali i furti di merci sono ricorrenti,  

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

63

Dopo aver proposto alcune delle molteplici interpretazioni di componente straordinario, il punto di partenza per l’analisi che qui si vuole effettuare è identificato nel fine perseguito, cioè la valutazione della globale situazione economica, con particolare riferimento ai profili reddituale, monetario, finanziario e patrimoniale sia di breve sia di medio-lungo periodo. Nella riclassificazione del conto economico, lo scopo specifico consiste nel determinare il reddito prodotto dalle operazioni poste in essere nel periodo amministrativo di riferimento, i cui effetti siano ad esso totalmente riconducibili. Da tale definizione, che verrà opportunamente approfondita con l’ausilio di esempi, trae origine la classificazione di seguito proposta o, meglio, il criterio attraverso il quale individuare ciò che assume la connotazione di straordinario: in termini assai sintetici, il fattore discriminante è identificato nella competenza economica. Un componente è straordinario se non è di esclusiva competenza dell’esercizio. Si pensi a perdite su crediti di esercizi precedenti in eccesso rispetto al fondo costituito con accantonamenti: non vi sono dubbi che la perdita su crediti, in sé, sia fenomeno ricorrente in quanto connessa all’attività tipica di vendita. Tuttavia, nell’ambito della definizione proposta, essa viene iscritta nei componenti straordinari, in quanto il costo è di competenza temporale del periodo ma economica dei precedenti. La sua manifestazione deriva da un errore nella stima della quota di svalutazione crediti attribuita agli esercizi precedenti (non vi è, quindi, correlaessi costituiscono un costo di natura ordinaria (che si riflette sul minor valore delle giacenze di magazzino);  perdite o danneggiamenti di beni a seguito di eventi naturali straordinari come alluvioni, terremoti, incendi, inondazioni, ecc. (anche in questa ipotesi i relativi indennizzi assicurativi costituiscono componenti straordinari);  liberalità ricevute, in danaro o in natura, che non costituiscono contributi in conto esercizio da iscrivere alla voce A5;  oneri per multe, ammende e penalità originate da eventi estranei alla gestione, imprevedibili ed occasionali;  oneri da cause e controversie di natura straordinaria non pertinenti alla normale gestione dell’impresa. Ad esempio quelle relative ad immobili civili ceduti, a rami aziendali ceduti, a ristrutturazioni e riconversioni aziendali, ad operazioni sociali straordinarie come fusioni e scissioni, ecc.;  perdita o acquisizione a titolo definitivo di caparre, qualora abbiano natura straordinaria;  indennità varie per rotture di contratti. e) Componenti di reddito relativi ad esercizi precedenti:  rettifiche di costi e ricavi di precedenti esercizi per omesse o errate registrazioni contabili;  rettifiche di costi e ricavi di precedenti esercizi per errori di rilevazione di fatti di gestione ed in particolare per l’applicazione di principi contabili non corretti (ad esempio, omissione di accantonamenti, erronea capitalizzazione di costi, ecc.);  rettifiche di costi e ricavi per sconti, abbuoni, resi o premi relativi ad acquisti e vendite di precedenti esercizi;  contributi in conto capitale, per le quote pregresse relative a precedenti esercizi. f) Componenti straordinari conseguenti a mutamenti nei principi contabili adottati. Si tratta degli effetti reddituali dell’adozione di un nuovo e diverso principio contabile. Ad esempio il passaggio da LIFO a FIFO nella valutazione delle rimanenze di magazzino. g) Imposte relative ad esercizi precedenti.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

zione con i ricavi del periodo): l’assimilazione dell’evento ad attività ordinaria porterebbe al suo inserimento nel reddito operativo della gestione caratteristica, limitandone il significato. Quanto scritto vale anche per gli eventuali utilizzi di fondi costituiti negli esercizi precedenti, accantonando quote in eccesso rispetto all’effettivo fabbisogno: non avrebbe significato alcuno considerare tale componente positivo come ordinario poiché derivante da errori di stima commessi nel passato. Purtroppo, questo valore raramente compare autonomamente nei bilanci destinati a pubblicazione, in quanto quote accantonate in eccesso nel passato portano a minori accantonamenti nei periodi futuri. Differente è, invece, il caso della perdita su crediti relativa ad operazioni di vendita effettuate nel periodo: il costo è componente ordinario in quanto correlato ai ricavi e totalmente riferibile all’intervallo temporale di riferimento. Il secondo esempio riguarda le plusvalenze e le minusvalenze derivanti dalla cessione di immobilizzazioni. La ragione per cui sono considerate straordinarie risiede nel fatto che l’operazione generatrice non rientra nell’attività tipica e ricorrente dell’impresa. È comunque utile riflettere più approfonditamente sulla loro genesi. Di norma esse derivano congiuntamente da non appropriati piani di ammortamento 37, da mutamenti di destinazione e dal criterio del costo alla base della valutazione dei processi produttivi in corso. Si pensi alla cessione (per qualsivoglia ragione) di un bene strumentale prima del termine della vita economica inizialmente stabilita, con l’ottenimento di una minusvalenza. Tale valore non è certo da ricondurre al reddito “ordinario” del periodo ma, pro-quota, ai redditi dei periodi in cui il bene è stato utilizzato. Poiché ciò non è possibile, è da considerarsi straordinario nel momento in cui si manifesta. Con tale esempio si è ulteriormente richiamata la possibile differenza tra il periodo di manifestazione di un valore (e del fenomeno o evento collegato) e la sua competenza economica. Il terzo esempio, correlato al precedente, riguarda un titolo (azionario) che negli anni ha incrementato il suo valore rispetto al costo di acquisto. Poiché l’utile nel tempo maturato non viene contabilizzato nei singoli periodi (principio della prudenza e costo come valore massimo di iscrizione in bilancio), esso emergerà totalmente al momento dell’alienazione: è intuitiva la sua straordinarietà 38. Un’approssimazione successiva della definizione sopra proposta richiama la controllabilità, cioè la casualità di un evento. Tutti i valori connessi a circostanze non derivanti dalla volontà del soggetto decisore o su cui esso non può intervenire (ad esempio, fenomeni naturali), sono da considerarsi straordinari. In non 37

Se si tratta di beni ammortizzabili. Si potrebbe obiettare che se il valore si fosse ridotto, la perdita sarebbe gravata sul reddito ordinario del periodo. Pur riconoscendo l’esistenza di un comportamento asimmetrico in fase valutativa al fine della determinazione del reddito di esercizio (prudenza), nulla toglie la caratteristica di straordinarietà al plusvalore in oggetto. Se, di contro, la logica valutativa di esercizio portasse al riconoscimento del maggiore valore alla fine di ciascun periodo amministrativo (fair value), esso diverrebbe ordinario. A questo proposito, si veda l’ultimo capitolo dedicato agli IAS/IFRS. 38

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

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pochi di questi casi, ricorre anche il carattere dell’eccezionalità, riscontrato in non poche definizioni. Seppur negli esempi precedenti si è visto che l’eccezionalità non è di per sé caratteristica discriminante, di essa si deve comunque tenere conto poiché, in talune situazioni, rappresenta un utile criterio guida. Si pensi a un contributo ottenuto occasionalmente da un’impresa: anche se esso trae origine dall’attività ordinaria, la sua natura è straordinaria. Se, di contro, tale contributo si ricevesse regolarmente nel tempo, esso sarebbe considerato ordinario. In definitiva e senza pretesa di esaustività, si inseriscono nell’area dei componenti straordinari (se illustrati in nota integrativa) al fine dell’analisi di bilancio: – le plusvalenze e le minusvalenze; – le sopravvenienze attive e passive; – le insussistenze dell’attivo e del passivo; – le svalutazioni e le rivalutazioni ritenute straordinarie; – i valori (comunque denominati) derivanti da errori di stima o di altra specie compiuti in anni precedenti ma la cui manifestazione temporale è avvenuta nel periodo o avverrà in periodi futuri 39; – i valori derivanti da fenomeni non controllabili o casuali. Da quanto scritto, i soli criteri dell’eccezionalità e della frequenza di accadimento di un fenomeno si ritengono – per le finalità qui perseguite – eccessivamente riduttivi per la corretta determinazione del reddito “ordinario” d’esercizio di un’impresa. D’altro lato, come visto nelle pagine precedenti, criteri universalmente validi non esistono: le linee guida indicate si ritengono sufficienti per un’adeguata individuazione dei componenti straordinari. L’ultima considerazione: in non poche delle definizioni proposte dalla dottrina e dalla prassi, si considerano straordinari i valori derivanti da modifiche nei criteri di valutazione. Si è affatto d’accordo sulla loro natura ma si propone, visto che il valore che da esse promana dovrebbe manifestarsi in situazioni assai rare, una loro collocazione autonoma, dopo il reddito netto, in un’area definita di riconciliazione 40. Il Reddito ante imposte (RAI o EBT, Earnings before taxes) non è da confondere con il reddito (base) imponibile: quest’ultimo si ottiene dalla dichiarazione dei redditi, applicando esclusivamente la normativa tributaria. Si tratta di un reddito intermedio necessario per introdurre le Imposte (I), ultimo aggregato che fa riferimento alla quarta gestione parziale. Infatti, assume modesto significato la comparazione tra imposte e reddito ante-imposte, dal cui rapporto emergerebbe la presunta pressione fiscale. Le ragioni dell’affermazione sono molteplici, tra le quali si ricorda che l’imposizione fiscale non è un processo lineare, in quanto le 39 Un esempio di manifestazione futura è la costituzione di un fondo imposte a fronte di una verifica fiscale relativa a imposte di esercizi precedenti. 40 Si veda nel seguito del paragrafo.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

norme tributarie italiane portano sovente a differenziazioni tra tale risultato intermedio e il reddito imponibile della dichiarazione fiscale. Inoltre, le imposte qui inserite (IRES e IRAP) hanno basi imponibili diverse. Va tuttavia evidenziato che, dal momento in cui tutte le imprese hanno iniziato a contabilizzare le imposte differite e anticipate, il confronto tra imposte di competenza e reddito anteimposte ha assunto, rispetto al passato, maggiore espressività 41. Le altre imposte e tasse (ad esempio quelle locali) vengono attribuite alla gestione caratteristica, in quanto connesse all’attività specifica e indipendenti dal reddito. Il reddito anteimposte assume significato per analisi comparative, soprattutto tra imprese appartenenti a Paesi diversi, in quanto non tiene conto delle profonde differenziazioni in tema di imposizione fiscale. Dopo aver considerato le imposte sul reddito si ottiene, salvo situazioni specifiche tra breve commentate, il Reddito netto, che coincide con l’utile o la perdita di esercizio di bilancio. Definito il modello generale, rimangono alcune considerazioni integrative: la prima relativa ai valori da riclassificare; la seconda alla modificabilità dello schema base. Vi sono alcuni valori la cui riclassificazione è funzione della loro genesi: si richiamano, ad esempio, gli interessi attivi su crediti verso clienti. Se tali interessi derivano da una esplicita politica commerciale, la loro collocazione è nell’ambito della gestione caratteristica (ricavi netti); se si tratta di un fenomeno occasionale, vengono inseriti nella gestione complementare e accessoria. Inoltre, ve ne sono altri che presentano significato dissimile a seconda che l’interpretazione sia di tipo formale o sostanziale. Si pensi a interessi passivi su un prestito obbligazionario: da un punto di vista formale si tratta di oneri finanziari. Da un punto di vista sostanziale, se il prestito è sottoscritto dai soci (come avviene in tutte le piccole e medie imprese) essi assumono la connotazione di “dividendi” distribuiti con modalità differenti dalla delibera assembleare. In modo analogo vanno trattati gli interessi sui prestiti dei soci. Altro esempio (sempre più raro) è costituito da un accantonamento effettuato a fronte di rischi generici: nella sostanza esso rappresenta una destinazione anticipata di utili, decisa (impropriamente) in fase di determinazione del reddito. In questi casi, il reddito netto prodotto dall’impresa è superiore al contabile: pertanto, lo schema precedente deve essere integrato da un’area di riconciliazione nella quale inserire i valori in oggetto, che non presentano legami con alcuna delle gestioni parziali precedenti. Infine, nell’area di riconciliazione sono ricondotti, come sopra anticipato, i valori derivanti da modifiche dei criteri valutativi (Tabella 3.4).

41

Per approfondimenti si veda il Principio contabile OIC n. 25, dicembre 2016, Imposte sul reddito.

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Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

Tabella 3.4. – L’area di riconciliazione Reddito netto – Interessi passivi su prestito obbligazionario e dei soci – Accantonamento a fondi generici ± Valori derivanti da modifiche dei criteri valutativi ± Altri valori non riclassificati Reddito di bilancio = Utile/perdita dell’esercizio

In merito alla seconda considerazione integrativa, in alcune tipologie di impresa lo schema base deve subire dei necessari adattamenti, che non mutano i presupposti su cui è fondato ma li adeguano alla realtà indagata 42. Volendo trarre una sintesi sullo schema a ricavi e costo del venduto, dalla sua costruzione si determinano più redditi intermedi attraverso i quali è possibile interpretare il profilo reddituale dell’impresa e il contributo delle singole gestioni parziali. Si considerino la Tabella 3.5 e i brevi commenti di seguito proposti. Tabella 3.5. – L’interpretazione dello schema a ricavi e costo del venduto A Ricavi

B

C

D

E

F

10.000

10.000

10.000

10.000

10.000

10.000

– 11.000

– 11.000

– 11.000

9.500

8.000

9.000

ROGC

– 1.000

– 1.000

– 1.000

500

2.000

1.000

RGCA

200

200

1.500

100

300

50

– 800

– 800

500

600

2.300

1.050

CDV

ROA OF

– 600

– 200

– 300

– 700

– 600

– 600

RC

– 1.400

– 1.000

200

– 100

1.700

450

CS RAI I RN

100

1.100

50

0

100

– 500

– 1.300

100

250

– 100

1.800

– 50

0

– 50

– 125

0

– 900

0

– 1.300

50

125

– 100

900

– 50

42 Si pensi, come visto nelle pagine precedenti, in una società commerciale alla determinazione del margine di intermediazione commerciale. Gli adattamenti, evidentemente, valgono anche per lo stato patrimoniale.

68

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Le aziende A e B presentano una situazione complessiva assai critica e abbastanza similare, anche se la seconda ottiene un modesto reddito netto, scaturente dalla presenza di elevati componenti straordinari positivi, che hanno la connotazione di non essere ripetitivi. Entrambe sono caratterizzate dall’incapacità di produrre reddito dalla gestione tipica, situazione di massima gravità. Nel caso dell’azienda C, colpisce l’elevato contributo della gestione complementare e accessoria: esso discende o da ingenti risorse accumulate negli anni passati o da un errore nell’utilizzo dello schema di riclassificazione, attraverso una non confacente definizione della gestione caratteristica. L’azienda D mostra una situazione problematica nell’ambito sia della gestione tipica (reddito modesto) sia, soprattutto, della gestione finanziaria. L’azienda E è la migliore mentre la F ha ottenuto una perdita esclusivamente a causa di componenti straordinari negativi: nell’ipotesi di un evento non prevedibile e ripetibile, la situazione reddituale è fondamentalmente soddisfacente. In conclusione, si richiamano i principali collegamenti tra i risultati parziali e il significato del loro segno “economico”, ribadendo che le deduzioni sotto formulate assumono pieno significato solamente qualora vengano riferite a un orizzonte temporale di almeno tre o quattro anni. a) ROGC > 0: condizione necessaria ma non sufficiente per una soddisfacente redditività. b) ROGC < 0: situazione assai grave se duratura. c) ROGC < 0 e ROA > 0: rilevante importanza della gestione complementare e accessoria. Se la situazione persiste nel tempo, significa o che l’azienda sta modificando la propria attività o che si è utilizzato uno schema di riclassificazione non coerente con l’attività svolta: infatti, assai probabilmente, la gestione caratteristica ha contenuto più ampio rispetto a quello tipico di un’azienda manifatturiera. d) ROGC > 0, ROA > 0 e RC < 0: il problema reddituale dell’impresa è individuabile prevalentemente a livello di gestione finanziaria, in quanto gli oneri assorbono completamente il reddito derivante dagli investimenti caratteristici e patrimoniali. In altri termini, non vi è congruenza tra il ritorno prodotto dagli investimenti e le scelte in merito alla struttura finanziaria. Per comprendere le cause analitiche di questa situazione, lo strumento più adeguato è certamente il rendiconto finanziario. e) RC < 0, RAI > 0 e RN > 0: il reddito di competenza negativo individua una situazione critica nell’attività ordinaria (area caratteristica, patrimoniale e finanziaria). Il reddito ante-imposte positivo sottolinea il peso dei componenti straordinari positivi e, contestualmente, la fragilità del reddito netto emergente. Anche in questo caso il giudizio va formulato su un orizzonte temporale più ampio rispetto al singolo anno: ad ogni modo, viste le modalità di formazione del reddito, è opportuno non distribuirlo. f) RC > 0, RAI < 0 e RN < 0: differentemente dal caso precedente, la situazio-

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

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ne si presenta assai meno critica purché limitata nel tempo. La perdita di esercizio deriva da fenomeni straordinari che, come tali, non dovrebbero negativamente influire nel futuro. g) RAI > 0, RN < 0: si tratta di una situazione apparentemente paradossale ma possibile, a conferma della profonda diversità tra la base imponibile per il calcolo delle imposte e il reddito ante-imposte. In questa fattispecie le imposte di competenza superano il reddito, generando una perdita di esercizio.

3.3. Lo schema di riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto Prima di esporre il secondo schema riclassificato, tra i più utilizzati, è opportuno premettere che l’unica differenza rispetto al modello presentato nel paragrafo precedente risiede nell’ambito della gestione caratteristica. Infatti, i costi e i ricavi tipici sono classificati secondo un criterio difforme, mentre nulla cambia relativamente alle altre gestioni/aree parziali. Questo è giustificato dal fatto che la gestione in oggetto presenta caratteri di maggiore complessità e criticità, mentre tutte le altre sono ad essa subordinate. Si segue la medesima impostazione del paragrafo 3.2: viene prima presentato lo schema (Tabella 3.6) e successivamente commentato. Tabella 3.6. – Lo schema di riclassificazione a valore della produzione e valore aggiunto Ricavi netti Variazione rimanenze prodotti finiti Variazione rimanenze prodotti corso lavorazione Variazione lavori in corso su ordinazione Incrementi per lavori interni Valore della produzione Acquisti Variazione rimanenze materie prime, ... Prestazioni di servizi Altri costi per fattori acquisiti all’esterno Valore aggiunto Costo del lavoro Margine operativo lordo Ammortamenti Accantonamenti Reddito operativo gestione caratteristica

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Il primo aggregato è il Valore della produzione (VP), che rappresenta la valorizzazione del volume di attività svolto dall’impresa nell’anno, indipendentemente dalla sua destinazione. Sono proprio le differenti destinazioni che rendono l’aggregato eterogeneo in termini di contenuto. Se ne individuano tre: 1. il mercato: ricavi valorizzati a prezzo-ricavo (netto); 2. il magazzino: rimanenze quantificate a costo di produzione 43; 3. la predisposizione di risorse interne di utilizzo futuro: incrementi per lavori interni, valutati a costo di produzione. Malgrado tale difformità, risulta interessante calcolarne la composizione percentuale e valutarne l’evoluzione nel tempo. Se si escludono i lavori interni (attività produttiva non finalizzata alle vendite del periodo e i lavori in corso, tipici solo di alcune realtà), la differenza tra valore della produzione e ricavi risiede nella variazione del magazzino prodotti finiti e in corso di lavorazione: ciò fornisce una prima indicazione sulla politica delle scorte. Si è osservato che questo schema elabora in modo divergente dal precedente i valori della gestione caratteristica. Concentrando l’attenzione sui costi, certamente l’elemento più critico, il criterio di riferimento induce alla suddivisione in due categorie: a) i costi relativi a fattori (beni e servizi) acquistati, costi esterni o non strutturali; b) i costi relativi a fattori produttivi aziendali, costi interni o strutturali. La classificazione, di ampio utilizzo, va opportunamente commentata, in quanto potrebbe generare qualche dubbio interpretativo. In primis, va sottolineato che anche i fattori che generano i costi definiti “interni” provengono dall’ambiente esterno. Con il termine interno si intendono richiamare i fattori permanenti, riconducibili a elementi della struttura delle aziende quali l’organismo personale e l’assetto tecnico. Si tratta, in altri termini, dei fattori strutturali: rilevante è, quindi, la loro destinazione e non la provenienza, in quanto quest’ultima è elemento non discriminante. La tassonomia è d’ausilio all’introduzione del primo risultato intermedio dello schema: il Valore aggiunto (VA). Esso si ottiene sottraendo dal valore della produzione tutti i costi esterni, cioè relativi a fattori produttivi acquisiti all’esterno ma non strutturali 44. 43

In questo aggregato, inteso in modo assai ampio, sono inserite anche le rimanenze per lavori in corso su ordinazione, valorizzate in funzione dei ricavi maturati. 44 Il valore aggiunto è determinato partendo dal valore della produzione poiché nelle analisi di bilancio la prassi è orientata in tal senso: nulla osta, evidentemente, a calcolarlo partendo dai ricavi di vendita ai quali è proficuamente comparabile. Per un approfondimento su taluni costi di incerta classificazione (ad esempio, i canoni di leasing se non si utilizza il criterio finanziario) si veda il capitolo 7.

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

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Il valore aggiunto mette in evidenza, quindi, il valore che l’impresa, con i propri fattori (interni), aggiunge a quello delle risorse periodicamente ottenute dall’esterno. È un indicatore estremamente importante: si può affermare che un elevato valore aggiunto e la sua costante crescita sono sintomi di ottimali scelte poste in essere dall’impresa e di soddisfacente grado di originalità dei prodotti venduti, riflessa in prezzi ricavo adeguati alla struttura dei costi esistente. Le risorse interne o strutturali, utilizzate per la trasformazione dei fattori esterni in prodotti/servizi da collocare sul mercato e attraverso le quali si genera il valore aggiunto, sono il lavoro e il capitale tecnico. Ancora alcune osservazioni sul valore aggiunto. Esso riflette qualsiasi scelta strutturale dell’impresa: ad esempio, a parità di tutte le altre condizioni, esternalizzare una fase del processo produttivo provoca una trasformazione di costi interni (ammortamenti e lavoro) in esterni (lavorazioni presso terzi); se la fase assumesse una valenza critica nell’ambito del processo produttivo, l’effetto sarebbe la riduzione del valore aggiunto. Esso è, quindi, funzione del grado di integrazione verticale, delle caratteristiche del settore in cui l’impresa opera 45, del grado di efficienza sia interna sia esterna, delle scelte strategiche dell’impresa in tema di prodotti (livello qualitativo e fascia qualità/prezzo), di mercati, di tecnologia produttiva, ecc. È interessante analizzare come si distribuisce tra i suoi destinatari: organismo personale, azienda (reintegro del capitale), conferenti capitale di prestito (terzi finanziatori), Stato, conferenti capitale risparmio. In definitiva, i destinatari del valore aggiunto sono riconducibili a due tipologie: – le risorse interne che l’hanno generato (lavoro e azienda, intesa come capitale tecnico); – gli altri destinatari che non incidono direttamente su di esso ma ne beneficiano, mettendo a disposizione le risorse (finanziatori e soci) o le condizioni esterne (Stato) necessarie per lo svolgimento dell’attività. Prima di identificare, con un esempio, tale ripartizione, viene presentata la Tabella 3.7 nella quale si collegano i fruitori del valore aggiunto con gli elementi componenti del medesimo. Il valore aggiunto calcolato nello schema è quello “operativo”, cioè della gestione tipica. Un calcolo più ampio sulla ricchezza complessivamente prodotta (e distribuita) dall’impresa, dovrebbe tenere conto anche di altri valori di bilancio, riconducibili alla gestione patrimoniale e ai componenti straordinari, generando il valore aggiunto complessivo.

45

Il settore di attività è un fattore che influenza in misura significativa il valore aggiunto.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 3.7. – I destinatari del valore aggiunto Destinatari Organismo personale Azienda Conferenti capitale di credito Stato 47 Conferenti capitale-risparmio (soci)

Elemento componente Costo del lavoro Ammortamenti 46 Oneri finanziari Imposte Reddito netto

Si consideri, ora, il seguente esempio, con il quale si determina la distribuzione ai vari destinatari del valore aggiunto prodotto dall’impresa 48 (Tabella 3.8). Tabella 3.8. – La distribuzione del valore aggiunto tra i destinatari A

B

Ricavi Costi esterni

1.000 – 400

100% 40%

1.000 – 700

100% 70%

Valore aggiunto Costo del lavoro

600 – 200

60% 20%

300 – 90

30% 9%

Margine operativo lordo Ammortamenti

400 – 160

40% 16%

210 – 30

21% 3%

Reddito operativo Oneri finanziari

240 – 130

24% 13%

180 – 80

18% 8%

110 – 50

11% 5%

100 – 40

10% 4%

60

6%

60

6%

200 160 130 50 60 600

33% 27% 22% 8% 10% 100%

90 30 80 40 60 300

30% 10% 27% 13% 20% 100%

Reddito di competenza Imposte Reddito netto Ripartizione valore aggiunto Organismo personale Azienda Conferenti capitale di credito Stato Conferenti capitale-risparmio Valore aggiunto

46 Nell’ipotesi di svalutazioni di immobilizzazioni classificate nella gestione caratteristica, esse andrebbero considerate insieme agli ammortamenti. 47 Nell’ambito dei destinatari del valore aggiunto generalmente si identifica lo Stato: tale soggetto potrebbe però essere ampliato per comprendere anche gli enti locali, beneficiari di specifici tributi. In tal caso si potrebbe definire “Istituzioni pubbliche”. 48 Nell’esempio non sono presenti, a fini semplificativi, i risultati della gestione patrimoniale e i componenti straordinari.

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

73

Il secondo importante aggregato emergente dallo schema è il Margine operativo lordo (MOL o EBITDA, Earnings before interest, taxes, depreciation and amortization), risultato intermedio al lordo di ammortamenti (costo connesso all’utilizzo del capitale fisico) e accantonamenti operativi (costi non monetari espressivi di rischi e oneri connessi a processi produttivi in corso) 49. La sua principale caratteristica è possedere una valenza finanziaria: infatti, tutti i valori che lo formano (ad eccezione di una parte di trattamento di fine rapporto) generano delle variazioni a livello finanziario e, in particolare, nel capitale circolante netto. Si può pertanto definire, in prima approssimazione, come la variazione di circolante prodotta dalla gestione caratteristica nel periodo: se positivo significa che tale gestione ha prodotto circolante netto, cioè risorse finanziarie; se negativo che le ha assorbite. Dal margine operativo lordo, sottraendo gli ammortamenti e gli accantonamenti, si ottiene il Reddito operativo della gestione caratteristica, identico a quello commentato nel paragrafo precedente. In chiusura, si forniscono la Figura 3.1 e la Tabella 3.9 che raccordano i due schemi riclassificati presentati. Dalla figura emerge che il costo del venduto comprende, al proprio interno, sia costi sia alcuni valori che svolgono una funzione di rettifica. In merito ai primi, vengono suddivisi in interni ed esterni; in merito ai secondi, se essi identificano un’effettiva produzione, vengono collocati nel valore della produzione; in caso contrario portati a rettifica dei singoli costi interni/esterni.  

49 Questa proposta di classificazione degli accantonamenti, permette di considerare l’EBITDA e il MOL come sinonimi. Scelte difformi, qui non approfondite, porterebbero a una divergente interpretazione dei due aggregati.

74

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Figura 3.1. – Il raccordo tra gli schemi di conto economico riclassificati

RICAVI ESTERNI

∆ RIM. PF/PCL ∆ RIM. LAVORI IN CORSO INCR. COSTR. INTERNE

COSTI INTERNI

VALORE PRODUZIONE COSTI ESTERNI

RICAVI CDV ROGC RETTIFICHE COSTI

VALORE AGGIUNTO LAVORO

PRODUZIONE EFFETTIVA

MOL AMM.TI/ACC.TI

RETTIFICHE COSTI

ROGC

Tabella 3.9. – Il raccordo tra gli schemi di conto economico riclassificati Schema a ricavi e costo del venduto Ricavi

(a)

Acquisti

(b)

1.000

Costo del lavoro

(c)

400

Trattamento di fine rapporto

(d)

50

Prestazioni di servizi

(e)

200

Oneri diversi di gestione

(f)

100

Ammortamenti

(g)

150

Accantonamenti

(h)

100

Variazione rimanenze prodotti finiti

(i)

(500)

Variazione rimanenze materie prime

(l)

300

Incrementi per lavori interni

(m)

(200)

Costo del venduto Reddito operativo gestione caratteristica

2.000

1.600 400 (Segue)

75

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

Schema a valore della produzione e valore aggiunto 50 Ricavi netti

(a)

2.000

Variazione rimanenze prodotti finiti

(i)

500

Incrementi per lavori interni

(m)

200

Acquisti

(b)

1.000

Variazione rimanenze materie prime

(l)

300

Prestazioni di servizi

(e)

200

Altri costi esterni

(f)

100

Valore della produzione

2.700

Valore aggiunto Costo del lavoro

1.100 (c) + (d)

450

Margine operativo lordo

650

Ammortamenti

(g)

150

Accantonamenti

(h)

100

Reddito operativo gestione caratteristica

1.600

250 400

In sintesi, si può affermare che i due schemi forniscono importanti informazioni all’analista: il primo (ricavi e costo del venduto) pone enfasi maggiore al mercato, prendendo avvio proprio dai ricavi e calcolando i costi operativi complessivi ad esso riconducibili; il secondo enfatizza la produzione, determinando il valore dell’attività complessivamente svolta e i costi sostenuti allo scopo. Si è più volte scritto che gli schemi riclassificati possono assumere molteplici configurazioni, in funzione sia degli obiettivi conoscitivi perseguiti sia delle prassi esistenti, in parte fondate su modelli proposti da specifiche istituzioni. In conclusione di paragrafo si vuole brevemente introdurre lo schema di riclassificazione proposto dal Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti 51  Contabili (Tabella 3.10).

50

Nell’esempio si è ipotizzato che tutti gli oneri diversi di gestione siano costi esterni. Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, La relazione sulla gestione, art. 2428 codice civile, gennaio 2009. 51

76

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 3.10. – Lo schema di riclassificazione CNDCEC Ricavi netti Produzione interna Valore della produzione operativa Costi esterni operativi Valore aggiunto Costi del personale Margine operativo lordo Ammortamenti e accantonamenti Risultato operativo Risultato dell’area accessoria Risultato dell’area finanziaria (al netto degli oneri finanziari) EBIT normalizzato Risultato dell’area straordinaria EBIT integrale Oneri finanziari Risultato lordo 52 Imposte sul reddito Risultato netto

Lo schema, fino al risultato operativo, si sovrappone a quello presentato, mentre se ne discosta nella parte successiva, con l’inversione tra oneri finanziari e componenti straordinari. La prima considerazione riguarda la presenza di tre redditi operativi: a) il risultato operativo, non denominato EBIT, che identifica la gestione caratteristica; b) l’EBIT normalizzato, che coincide con il reddito operativo aziendale. Il termine normalizzato è inteso come ordinario, cioè indipendente dai componenti straordinari; c) l’EBIT integrale, comprensivo dei componenti straordinari. Colpisce la collocazione dei componenti straordinari, che non permette di evidenziare il reddito di competenza, cioè ordinario, poiché gli oneri finanziari sono riclassificati dopo l’EBIT integrale, la cui configurazione potrebbe portare a errate interpretazioni, in quanto l’EBIT, come grandezza economica, è associata alla capacità di produrre reddito con l’attività ordinaria. Anche se nello schema sono ben evidenziati, non si comprende la ragione di portare “verso l’alto” i componenti straordinari che, invece, dovrebbero essere “isolati”. Inoltre, la previsione di un terzo “reddito operativo”, rende l’analisi più complessa e, per certi aspetti, confusa. 52

Si intende al lordo delle imposte e coincide con il risultato ante-imposte.

Le finalità della riclassificazione del conto economico e gli schemi di riferimento

77

3.4. Gli altri schemi di riclassificazione Oltre agli schemi esposti nei paragrafi precedenti, ve ne sono altri che nel seguito vengono solo brevemente accennati, poiché non costruibili da un analista esterno con l’ausilio del solo bilancio destinato a pubblicazione. Entrambi si qualificano per una distintiva modalità di lettura e interpretazione della gestione caratteristica, unico elemento che concretamente differenzia gli schemi riclassificati impiegati nella realtà. Il primo richiama nuovamente il modello a ricavi e costo del venduto e si pone l’obiettivo di analizzare più approfonditamente quest’ultimo. Per una sua completa e attendibile elaborazione, è necessario riclassificare i costi non più per natura ma per destinazione dei fattori: tale operazione non è fattibile da un analista esterno se non per un numero assai limitato di valori. Si pensi, ad esempio, al costo del lavoro: non è possibile ripartirlo tra area produttiva, commerciale e amministrativa (e altre che eventualmente si potrebbero considerare, come la ricerca e la logistica). Obiettivo dello schema è, pertanto, determinare i costi per funzione, cioè analizzarne la destinazione, ottenendo indicazioni sull’assetto tecnico, commerciale e amministrativo. La composizione del costo del venduto, secondo il nuovo criterio, viene esposta, in forma sintetica, nella Tabella 3.11. Tabella 3.11. – La composizione del costo del venduto con i costi classificati per destinazione Consumi materie prime, sussidiarie, … Costi di trasformazione industriale Costo del lavoro Prestazioni servizi industriali ± Variazione rimanenze prodotti corso lavorazione – Incrementi per costruzioni interne Costo industriale dei prodotti ottenuti ± Variazione rimanenze prodotti finiti Costo industriale dei prodotti venduti Costi commerciali Costo del lavoro Prestazioni di servizi commerciali Costo area commerciale Costi amministrativi e generali Costo del lavoro Prestazioni di servizi amministrative Costo area amministrativa e generale Costi di ricerca e sviluppo Costo del lavoro Prestazioni di servizi specifiche Costo area ricerca e sviluppo

78

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

I singoli aggregati, espressivi dei costi per funzione, possono essere ulteriormente dettagliati, in base agli obiettivi conoscitivi perseguiti. Con i costi classificati per destinazione, è possibile costruire altri schemi riclassificati, sia partendo dal valore della produzione sia dai ricavi netti. Di seguito si riporta un solo esempio (Tabella 3.12). Tabella 3.12. – Il conto economico riclassificato a ricavi e utile lordo industriale Ricavi netti Costo industriale dei prodotti venduti Utile lordo industriale Costo area commerciale Costo area amministrativa e generale

Costo area ricerca e sviluppo Reddito operativo gestione caratteristica

Si anticipa che il conto economico con i costi classificati per destinazione è ammesso dai principi contabili internazionali e, per tale ragione, lo si può direttamente riscontrare nei bilanci pubblicati. A oggi però, nelle imprese italiane che utilizzano gli IAS/IFRS (prevalentemente quotate), tale modello non ha avuto una grande diffusione. L’ultimo schema presentato presuppone la distinzione dei costi secondo il grado di variabilità: costi fissi da una parte e variabili dall’altra. Sulla difficoltà, per l’analista esterno, a effettuare una siffatta suddivisione, non servono commenti. La struttura base è in Tabella 3.13. Tabella 3.13. – Lo schema base di riclassificazione a margine di contribuzione Ricavi netti Costi variabili aziendali Margine di contribuzione aziendale Costi fissi Reddito operativo gestione caratteristica

Anche questo schema, come il precedente, può certamente essere più analitico, suddividendo i costi in base all’area di riferimento (produttiva, commerciale, ...). Come valutazione generale, si tratta di una riclassificazione tipica degli studi di programmazione e controllo, relativi cioè ad analisi interne. Infatti, in queste ultime, è possibile costruire conti economici per oggetti parziali, nei quali la suddivisione dei costi proposta assume una fondamentale rilevanza informativa.

Capitolo 4

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

SOMMARIO: 4.1. I criteri di riclassificazione per la determinazione della struttura patrimoniale e finanziaria. – 4.2. Lo schema di riclassificazione finanziario secondo il grado di liquidità/esigibilità. – 4.3. Lo schema di riclassificazione secondo il criterio di pertinenza gestionale.

4.1. I criteri di riclassificazione per la determinazione della struttura patrimoniale e finanziaria La riclassificazione della tavola di sintesi si pone come obiettivo di analizzare la struttura patrimoniale e finanziaria dell’impresa: ciò non tanto in termini di valore complessivo (già sostanzialmente desumibile dal bilancio pubblicato) ma di composizione. Per raggiungere la finalità indicata, è necessario individuare un criterio attraverso il quale esaminare e aggregare i singoli valori patrimoniali e finanziari. Lo stato patrimoniale contiene valori-fondo, cioè determinati a una data specifica, corrispondente a quella di bilancio. La riclassificazione è una modalità per leggere questi valori ponendoci sostanzialmente due domande (si pensi, ad esempio ai crediti verso clienti o ai debiti verso fornitori ma lo stesso vale per ogni voce della tavola): – quando si trasformeranno in liquidità (incasso del credito o pagamento del debito? – a quale gestione fanno riferimento l’investimento/finanziamento, cioè quale gestione li ha generati? Nella realtà operativa due risultano quindi essere i criteri più significativi: a) il criterio finanziario o della liquidità/esigibilità, che pone l’accento sulla durata (scadenza) dell’investimento e del finanziamento; b) il criterio funzionale o della pertinenza gestionale, che pone enfasi alla gestione a cui pertengono le differenti componenti patrimoniali e finanziarie.

80

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

I due schemi presentati nei paragrafi successivi non sono tra loro alternativi, in quanto traggono origine da finalità conoscitive differenti, anche se entrambi portano alla determinazione della struttura degli investimenti da una parte e delle fonti di finanziamento dall’altra. Quando lo scopo da raggiungere è la valutazione della liquidità e, almeno in parte, della solidità 1, non si può che utilizzare uno schema di riclassificazione finanziario, ordinando gli investimenti secondo la prevista capacità di trasformarsi, direttamente e indirettamente, in liquidità e i finanziamenti in base al momento in cui saranno necessarie le risorse per far fronte agli impegni assunti. Inoltre, i finanziamenti potrebbero essere classificati anche secondo la loro forma di remunerazione: onerosità esplicita, implicita o nulla. Tuttavia, la struttura patrimoniale può essere investigata anche suddividendo gli investimenti non in termini finanziari ma privilegiando la gestione a cui sono correlati; in modo analogo i finanziamenti possono essere raggruppati non in base al previsto tempo di rimborso ma alla modalità della loro genesi: in questo secondo caso il criterio della pertinenza gestionale permette di soddisfare il fabbisogno informativo. In sintesi e indipendentemente dal criterio utilizzato, lo stato patrimoniale riclassificato risulta una fonte importante di informazioni concernenti: a) il valore assoluto e il mix delle fonti e degli impieghi; b) la percezione delle politiche di investimento, finanziamento e dividendo; c) la possibilità di cogliere dei segnali sull’evoluzione della struttura patrimoniale e finanziaria.

4.2. Lo schema di riclassificazione finanziario secondo il grado di liquidità/esigibilità Il criterio finanziario classifica gli investimenti e i finanziamenti in base alla loro scadenza. La durata utilizzata per suddividere il breve dal medio-lungo termine è individuata nei dodici mesi. Pertanto, i valori di stato patrimoniale sono ricondotti ai macro-aggregati seguenti: a) attivo a breve: investimenti destinati a trasformarsi in liquidità o estinguersi nei prossimi dodici mesi; b) attivo fisso netto: investimenti destinati a perdurare in azienda per periodi superiori ai dodici mesi (investimenti durevoli); c) passivo a breve: finanziamenti che genereranno uscite nei prossimi dodici mesi; d) passivo a medio-lungo termine: finanziamenti durevoli dell’impresa, con tempi di rimborso complessivi superiori ai dodici mesi; 1

Sul concetto di liquidità si veda il capitolo 10; sulla solidità il capitolo 8.

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

81

e) mezzi propri: risorse di finanziamento di pertinenza dei soci, con scadenza non definita. Lo schema sintetico così ottenuto (a cinque aree) è riportato nella Figura 4.1. Figura 4.1. – Lo schema finanziario di riclassificazione dello stato patrimoniale Passivo a breve Attivo a breve

Passivo a mediolungo termine

Attivo fisso netto Mezzi propri

dove: – attivo a breve (AB) + attivo fisso netto (AFN) = capitale investito (CI); – passivo a breve (PB) + passivo a medio-lungo termine (PML) = mezzi di terzi (MT); – mezzi di terzi (MT) + mezzi propri (MP) = fonti di finanziamento (FF). Già da questa prima semplice aggregazione emergono rilevanti informazioni. Si prende avvio dal capitale investito. La suddivisione tra parte a breve e fissa fornisce indicazioni sul grado di rigidità della struttura patrimoniale: maggiore è l’incidenza dell’attivo fisso netto, maggiore è la rigidità. Ciò di per sé non è né positivo né negativo, assumendo invece rilievo i collegamenti tra struttura degli investimenti e corrispondente struttura finanziaria. È evidente che al crescere del grado di rigidità, devono prevalere finanziamenti a media o lunga scadenza: laddove tale condizione è soddisfatta vi è equilibrio tra struttura patrimoniale e finanziaria. La lettura della composizione delle fonti di finanziamento permette l’immediata determinazione del grado di indipendenza finanziaria dell’impresa: esso cresce al ridursi dell’incidenza dei mezzi di terzi sul totale delle fonti. All’interno dei mezzi di terzi è altresì di grande interesse stabilire la consistenza delle varie forme di finanziamento per scadenza. Si considerino gli esempi riportati in Figura 4.2. Nel primo caso la situazione è assai squilibrata: le passività a breve finanziano

82

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

investimenti a medio-lungo. Si è di fronte a un’azienda sottocapitalizzata e con evidenti problemi finanziari: sia la solidità sia la liquidità sono carenti. Nel secondo esempio l’equilibrio di scadenze tra investimenti e finanziamenti è raggiunto, con la struttura patrimoniale caratterizzata da media-bassa elasticità: per questa ragione i mezzi propri potrebbero anche essere superiori. La terza fattispecie si caratterizza per una struttura assai flessibile degli investimenti: esiste, pertanto, un soddisfacente equilibrio, anche se l’indebitamento è molto alto. Nell’ultima situazione si è in presenza delle condizioni migliori (in termini di sicurezza e indipendenza finanziaria): i mezzi propri finanziano totalmente gli investimenti durevoli, attribuendo all’azienda un elevato grado di solidità e di liquidità. Figura 4.2. – Alcuni esempi di relazioni tra struttura patrimoniale e finanziaria Esempio 1 Attivo a breve

Passivo a breve

Attivo fisso netto

Passivo a medio lungo termine

Esempio 2 Passivo a breve

Attivo a breve

Passivo a medio lungo termine Attivo fisso netto

Mezzi propri

Mezzi propri Esempio 3

Attivo a breve

Attivo fisso netto

Passivo a breve

Passivo a medio lungo termine

Esempio 4

Attivo a breve

Attivo fisso netto

Passivo a breve Passivo m/l

Mezzi propri

Mezzi propri

Il passo successivo dell’analisi consiste nel disaggregare alcune delle aree sopra individuate, al fine di migliorare la fase interpretativa: ciò equivale a definirne meglio entità e struttura. Punto di partenza è l’attivo a breve. Non tutti gli inve-

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

83

stimenti ad esso riconducibili presentano caratteristiche analoghe: ve ne sono alcuni già liquidi (cassa e banche) o prontamente liquidabili (titoli); altri convertibili in moneta alla loro naturale scadenza ovvero attraverso operazioni di finanziamento (crediti verso clienti); altri ancora per i quali non si sono finora manifestati i ricavi e che richiedono, pertanto, l’effettuazione di una o più fasi del processo produttivo (rimanenze). È quindi preferibile suddividere l’attivo a breve in tre parti, per coglierne al meglio l’espressività: l’ordinamento dei valori avviene, anche in questa circostanza, secondo liquidità decrescente (per ciascuno dei nuovi aggregati vengono forniti degli esempi in Tabella 4.1). Tabella 4.1. – La composizione dell’attivo a breve Liquidità immediate Liquidità differite Disponibilità

Cassa, banche, titoli, c/c postali Crediti v/clienti, v/altri, IVA, ratei attivi, titoli, crediti finanziari a breve Rimanenze, risconti attivi

Le Liquidità immediate rappresentano l’insieme degli investimenti liquidi o prontamente liquidabili (in tempi brevissimi e a costi limitati), senza vincoli o restrizioni all’utilizzo. I titoli meritano una breve riflessione in quanto, in non pochi casi, la loro riclassificazione genera alcuni dubbi. In particolare ci si chiede quali siano i titoli assimilabili alle liquidità immediate (cash equivalent). Per appartenere a tale categoria, devono possedere due caratteristiche: a) la pronta convertibilità in denaro a costi assai modesti; b) il limitato rischio di variazioni nel prezzo dovute a modificazioni dei tassi di interesse: si tratta, pertanto di titoli a scadenza breve, individuabile come termine massimo in tre mesi (money market fund). Le liquidità immediate indicano, in prima approssimazione, le “politiche di tesoreria” dell’impresa: sono collegabili, oltre ai finanziamenti, a tutte le gestioni parziali. Le Liquidità differite sono investimenti a scadenza limitata nel tempo: per alcuni di essi è anche possibile un rapido smobilizzo (tramite sconti e anticipazioni) sostenendo costi finanziari. In tale aggregato sono anche compresi i crediti finanziari a breve e le quote in scadenza di quelli a medio-lungo termine. Ponendo l’attenzione sulla classe generalmente preminente, i crediti verso clienti, essi forniscono una prima indicazione delle politiche commerciali dell’impresa e saranno utilizzati per il calcolo degli indici di durata 2. Inoltre, dall’aggregato si percepiscono alcune informazioni sulle scelte finanziarie “attive”. 2

Si veda il paragrafo 10.3.

84

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Qualora risulti funzionale all’analisi, le liquidità differite possono essere ulteriormente scomposte nel seguente modo (Tabella 4.2). Tabella 4.2. – I raggruppamenti parziali delle liquidità differite Liquidità differite

Crediti di funzionamento (Impieghi gestione operativa) Crediti finanziari e titoli (Impieghi gestione patrimoniale) Altri crediti (Altri impieghi)

Le Disponibilità sono la forma di investimento a breve più vincolata: per il relativo smobilizzo, indiretto, è necessario effettuare una (rimanenze di prodotti finiti da vendere) o più operazioni del ciclo economico-tecnico (rimanenze di materie prime e di beni da trasformare). Si tratta di impieghi per i quali non si è ancora manifestata la formazione di ricavi. I risconti attivi, a breve, sono qui classificati in quanto “crediti di servizi” o “magazzino” servizi, cioè investimenti a cui non è collegato un flusso monetario nel momento dell’estinzione. Analoga operazione di approfondimento si deve effettuare per l’attivo a medio-lungo. In questo caso il criterio per la suddivisione non è la scadenza (non sarebbe possibile e utile ordinare gli investimenti secondo l’anno di scadenza) ma la tipologia di investimento (Tabella 4.3). Tabella 4.3. – La composizione dell’attivo fisso netto Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni finanziarie

Fabbricati, impianti, macchinari, attrezzature, automezzi, mobili (netto valori rettificativi) Marchi, brevetti, licenze, avviamento, costi capitalizzati (netto valori rettificativi) Partecipazioni, titoli, crediti finanziari, depositi cauzionali, altri crediti a lungo termine

Le Immobilizzazioni materiali esprimono la struttura tecnico-produttiva e il livello tecnologico dell’impresa e sono la causa primaria di rigidità della struttura patrimoniale. Le Immobilizzazioni immateriali sono composte da tre categorie ben distinte di valori: le immobilizzazioni in senso stretto (ad esempio, marchi e brevetti) dotate di autonomia, le quali forniscono informazioni sulle politiche di innovazione tecnologica (brevetti oltre ai costi di sviluppo che però rientrano nei costi capitalizzati) e commerciale (marchi); i costi capitalizzati (ad esempio, di impianto e di ampliamento); l’avviamento. Le Immobilizzazioni finanziarie sono indicative delle decisioni di integrazione

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

85

e diversificazione attuate, soprattutto quando sono prevalentemente composte da partecipazioni (In quale impresa? Qual è l’attività svolta?) e da crediti finanziari verso imprese del gruppo (a medio-lungo termine). Con riferimento alle fonti di finanziamento, l’analisi di dettaglio è relativa solamente al passivo a breve: anche in questo caso esistono debiti a esigibilità brevissima e debiti a scadenza ben definita (Tabella 4.4). Tabella 4.4. – La composizione del passivo a breve Liquidità negative Esigibilità

Banche passive a breve Fornitori, debiti tributari, debiti finanziari a breve, debiti v/imprese del gruppo a breve, altri debiti e fondi a breve, ratei e risconti passivi a breve, dividendi deliberati

Le Liquidità negative includono i debiti a vista o a breve (scoperto c/c, anticipazioni) verso il sistema bancario. Sono logicamente correlabili alle liquidità immediate (e differite) e indicano le politiche di indebitamento a breve. Le Esigibilità sono l’insieme dei debiti a breve correlabili alle singole gestioni parziali. Si pensi ai fornitori (gestione caratteristica), ai debiti tributari (gestione tributaria), a quote in scadenza di debiti a medio-lungo (gestione finanziaria). Nell’ambito delle esigibilità trovano collocazione anche i dividendi deliberati cioè la quota di utile di esercizio (o di riserve) che nel periodo successivo verrà distribuita ai soci, come remunerazione diretta del capitale-risparmio investito. A tutti gli effetti, si tratta di una futura uscita di liquidità e, come tale, va inserita nell’ambito del passivo a breve. Rispetto all’ipotesi di attribuzione dell’intero utile ai mezzi propri, questa proposta comporta una riduzione di questi ultimi (in quanto ad essi viene ricondotto solamente l’utile prodotto ma non distribuito), con un conseguente peggioramento del rapporto di indebitamento. Si tratta di una soluzione prudenziale e relativamente orientata al futuro, in quanto si considera esplicitamente il valore delle risorse di rischio disponibili per gli anni successivi, che debbono essere congruamente remunerate 3. Come si vede l’aggregato Esigibilità presenta un contenuto omogeneo dal punto di vista temporale ma eterogeneo dal punto di vista gestionale. Esso può contenere molteplici tipologie di classi, con le quali è possibile costruire dei raggruppamenti parziali (Tabella 4.5) 4.

3 Si è in precedenza scritto che tra gli obiettivi della riclassificazione vi è la determinazione della struttura finanziaria: il reddito prodotto contribuisce a incrementare il grado di indipendenza finanziaria solamente se non distribuito. Nel caso opposto è assai poco espressivo inserirlo nei mezzi propri quando già si è deciso di destinarlo a dividendi: emergerebbe, infatti, una situazione migliore dell’effettiva. 4 Analoga operazione si è compiuta per le liquidità differite.

86

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 4.5. – I raggruppamenti parziali delle esigibilità Debiti di funzionamento (Fonti gestione operativa) Debiti finanziari (Fonti gestione finanziaria) Altri debiti e fondi (Altre fonti)

Esigibilità

Gli ultimi due aggregati delle fonti di finanziamento non vengono ulteriormente scomposti (la ragione è analoga a quella indicata per le immobilizzazioni): si riportano, tuttavia, alcuni esempi sulla loro composizione (Tabella 4.6). Tabella 4.6. – La composizione del passivo a medio-lungo termine e dei mezzi propri Passivo medio-lungo termine Mezzi propri

Mutui passivi, trattamento di fine rapporto, prestiti obbligazionari, altri debiti e fondi a medio-lungo Capitale sociale, riserve di utili, riserve di capitale, altri fondi, utile di esercizio non distribuito (perdita di esercizio), altri valori assimilabili

Il Passivo a medio-lungo termine è prevalentemente indicativo delle politiche di finanziamento attuate dall’impresa. I Mezzi propri sono elemento fondamentale per valutare il grado di capitalizzazione dell’impresa: la variazione del valore nel tempo è indice delle politiche di autofinanziamento e di dividendo perseguite, integrate da eventuali nuovi apporti dei soci e da modificazioni delle riserve di capitale. Anche per il passivo a medio-lungo termine e per i mezzi propri, è possibile comporre ulteriori raggruppamenti parziali (Tabella 4.7). Tabella 4.7. – I raggruppamenti parziali del passivo a medio-lungo termine e dei mezzi propri Passivo medio-lungo termine

Debiti di funzionamento Debiti finanziari Altri debiti e fondi

Mezzi propri

Capitale sociale Riserve di utili 5 Riserve di capitale

Nel capitolo relativo alla riclassificazione del conto economico, si è visto che per alcune classi di valore è opportuno effettuare un’interpretazione sostanziale e 5

Le riserve di utili comprendono anche l’utile non distribuito o la perdita (a riduzione).

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

87

non formale. A tale scopo, lo schema base era stato integrato da un’area di riconciliazione, nella quale (a solo titolo esemplificativo) erano stati attribuiti interessi passivi su prestiti concessi/sottoscritti dai soci e gli accantonamenti a fondi generici. Nella riclassificazione dello stato patrimoniale si deve operare una scelta coerente: il prestito obbligazionario, i prestiti dei soci 6, i fondi rischi generici, vanno classificati nei mezzi propri. In merito al prestito obbligazionario convertibile, esso trova collocazione nei mezzi propri all’approssimarsi del momento di conversione, tanto più risultano convenienti, per l’obbligazionista, le condizioni per aderire all’operazione. Fino a ora si sono forniti alcuni esempi sul contenuto dei singoli aggregati: va ricordato che alcuni valori potrebbero essere riclassificati con il segno opposto rispetto a quello della tavola civilistica. Si consideri come esempio il risconto passivo connesso a contributi su immobilizzazioni: va portato a riduzione delle immobilizzazioni specifiche, poiché il valore attivo da recuperare con lo svolgimento dell’attività è la differenza tra i due. Lo stesso può valere, date certe condizioni, per gli acconti ricevuti dai clienti. In conclusione, lo schema di riclassificazione secondo il criterio finanziario, risulta essere il seguente (Figura 4.3). Figura 4.3. – Lo schema analitico di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio finanziario

AB

Liquidità immediate

Liquidità negative

Liquidità differite

Esigibilità

Disponibilità CI

Immobilizzazioni materiali AFN

Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni finanziarie

Passivo medio-lungo termine

Mezzi propri

PB MT PML

FF

MP

Lo schema appena presentato può essere oggetto di ulteriori elaborazioni, che saranno funzionali al calcolo degli indici di redditività (capitolo 9). In particolare, da una parte si fornisce una differente definizione di capitale investito; dall’altra viene approfondito il contenuto dei mezzi di terzi. 6

Nel caso in cui gli interessi passivi fossero inseriti negli oneri finanziari, il prestito obbligazionario o dei soci andrebbe collocato nelle passività a medio-lungo termine.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Prendendo avvio da questi ultimi e osservandone la composizione, se ne individuano tre tipologie in funzione della modalità di remunerazione: a) esplicitamente onerosi o debiti finanziari (MT* o DF); b) implicitamente onerosi; c) a onerosità nulla. Il passaggio dai mezzi di terzi complessivi a quelli esplicitamente onerosi 7, avviene normalmente in via indiretta, sottraendo ai primi le altre due tipologie di finanziamenti (a onerosità implicita e nulla, direttamente derivanti dallo svolgimento della gestione caratteristica e tributaria). Nelle applicazioni operative non sempre è agevole distinguere le differenti tipologie. La soluzione alternativa, semplificata e non ottimale ma comunque accettabile, consiste nel sottrarre ai mezzi di terzi totali almeno due categorie di debiti a onerosità implicita: verso i fornitori e il trattamento di fine rapporto. È possibile procedere altresì per via diretta, individuando e sommando tutte le fonti finanziarie a onerosità esplicita (Figura 4.4). In questo modo si dispone di una nuova configurazione di struttura finanziaria, nella quale le fonti sono tutte a remunerazione esplicita (MT* + MP), anche se con differente grado di vincolo. Figura 4.4. – Dai mezzi di terzi complessivi ai debiti finanziari

CAPITALE INVESTITO (CI)

MEZZI DI TERZI (MT)

CAPITALE INVESTITO (CI)

DEBITI FINANZIARI (MT* o DF)

MEZZI PROPRI (MP)

MEZZI PROPRI (MP)

A questo punto non rimane che contrapporre a tali finanziamenti la loro destinazione, misurata dagli investimenti: il nuovo valore del capitale investito (CI*) è pari a quello complessivo al netto dei finanziamenti non esplicitamente onerosi o a onerosità nulla (Figura 4.5). In altri termini, si tratta degli investimenti che trovano copertura nei debiti finanziari e nei mezzi propri.

7

I debiti finanziari possono essere a breve o a medio-lungo termine.

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

89

Figura 4.5. – Dal capitale investito complessivo a quello a remunerazione esplicita

DEBITI FINANZIARI CAPITALE INVESTITO (CI)

MEZZI PROPRI

CAPITALE INVESTITO REMUNERAZIONE ESPLICITA (CI*)

DEBITI FINANZIARI (MT* o DF)

MEZZI PROPRI (MP)

Le due configurazioni di capitale investito, funzionali al calcolo di specifici indicatori di redditività, forniscono preziose informazioni: da una parte il capitale investito complessivo, comprensivo di tutti gli investimenti effettuati e assimilabile al concetto anglosassone di asset; dall’altro un capitale investito (netto) che richiede scelte esplicite per il suo finanziamento, che coincide con il termine investment. Questo schema, pur essendo un approfondimento del precedente, presenta alcuni elementi di congiunzione con il successivo fondato sulla pertinenza gestionale, che trae però origine da esigenze conoscitive diverse.

4.3. Lo schema di riclassificazione secondo il criterio di pertinenza gestionale Il secondo e ultimo criterio proposto è utilizzabile in prevalenza quando si effettuano analisi interne all’azienda ma, con alcune semplificazioni, anche esterne. Esso trae origine dall’esigenza di approfondire l’analisi della gestione caratteristica che, come già ricordato, risulta essere la più rilevante. A tale scopo, essa viene suddivisa in due parti: a) gestione caratteristica corrente, relativa al ciclo economico-tecnico, cioè alle operazioni finalizzate all’utilizzo della struttura aziendale (approvvigionamento, trasformazione, vendita); b) gestione caratteristica non corrente, connessa alle scelte di investimento e disinvestimento, cioè alle decisioni di predisposizione e modificazione della struttura. Lo schema base ottenuto dall’applicazione del criterio è in Figura 4.6.

90

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Gestione caratteristica (tipica)

Figura 4.6. – Lo schema di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo la pertinenza gestionale

Attività operative correnti

Passività correlate attività operative

Attività operative non correnti

Passività non correlate attività operative

Attività extra caratteristiche

Mezzi propri

Il capitale investito è suddiviso non in base alla scadenza ma alla gestione di pertinenza: pertanto, è possibile conoscere quali sono gli investimenti nella gestione caratteristica (attività operative correnti e non correnti) e qual è il loro valore. Confrontando tale dato con il reddito operativo della gestione caratteristica si ottiene la redditività di quest’ultima 8. L’operazione, semplice dal punto di vista teorico, presenta alcune difficoltà applicative. Si consideri, ad esempio, la classe Partecipazioni. L’acquisizione di quote di capitale in altre imprese può essere funzionale all’attività tipica oppure rappresentare un investimento di specie patrimoniale, cioè accessorio rispetto al core business e, pertanto, extra caratteristico. L’analista esterno, per una corretta collocazione, deve valutare alcuni elementi: – la tipologia di gruppo: in quelli integrati, le partecipazioni sono generalmente riconducibili alla gestione caratteristica. Utili a tale scopo sono la nota integrativa e la relazione sulla gestione, anche se non sempre il livello informativo è sufficiente; – l’attività svolta: tale criterio è parzialmente sovrapponibile al precedente. Difficoltoso è definire il core business in presenza di significativi gradi di diversificazione dell’attività; – la quota di partecipazione: al crescere della percentuale si presume l’appartenenza alla gestione tipica, anche se non vi sono automatismi in tal senso. Altro esempio sono le disponibilità liquide, che dovrebbero essere suddivise tra attività operative ed extra caratteristiche (quota eccedente i fabbisogni cor8

Si vedano, nella terza parte, gli indici per l’analisi della redditività (capitolo 9).

Le finalità della riclassificazione dello stato patrimoniale e gli schemi di riferimento

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renti): nelle analisi esterne, l’investimento è generalmente ricondotto, nella sua globalità, alle attività extra caratteristiche esprimenti gli investimenti non direttamente strumentali all’attività tipica e collocati nella gestione patrimoniale. Dal lato delle fonti di finanziamento si individuano quelle direttamente correlate alla gestione caratteristica (ad esempio debiti verso fornitori, trattamento di fine rapporto): in tal modo è possibile determinare quali sono le forme di copertura finanziaria derivanti dalla gestione in oggetto. Risulta evidente che per la differenza tra capitale investito e passività di gestione tipica, è necessario ricorre ad altri finanziamenti, di terzi o propri. Le passività non correlate alle attività operative comprendono, prevalentemente, debiti finanziari a remunerazione esplicita. A completamento dello schema, anche le attività extra caratteristiche necessitano di copertura, a titolo di capitale di debito o di rischio. Dagli aggregati sopra individuati, si possono effettuare ulteriori elaborazioni e predisporre nuovi schemi riclassificati in funzione degli obiettivi perseguiti. Un aggregato particolarmente interessante è il Capitale di esercizio, cioè l’investimento netto connesso al ciclo economico-tecnico (utilizzo della struttura aziendale), ottenuto dalla contrapposizione tra attività operative correnti e passività ad esse correlate. Inoltre, per soddisfare specifici fabbisogni conoscitivi, si può anche fare ricorso alla posizione finanziaria netta 9, che aggrega tutti i valori con valenza finanziaria attiva e passiva, mettendo in evidenza nello schema riclassificato gli investimenti netti nella gestione caratteristica (con indicazione o meno del capitale di esercizio), gli investimenti patrimoniali non riconducibili alla posizione finanziaria netta (ad esempio immobili non strumentali) e i mezzi propri, come indicato in Figura 4.7. Figura 4.7. – Esempio di riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale Capitale di esercizio

Posizione finanziaria netta

Attività operative non correnti Altre attività extra caratteristiche

9

Mezzi propri

Sul concetto di posizione finanziaria netta, si veda C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

In conclusione, lo schema a pertinenza gestionale ben si collega con la riclassificazione del conto economico (e del rendiconto finanziario introdotta nel capitolo successivo): lo scopo è, infatti, distinguere ciò che è operativo da ciò che è finanziario. L’ultima annotazione riguarda il criterio previsto dai principi contabili internazionali, il quale suddivide i valori di stato patrimoniale in correnti e non correnti, dando luogo a nuovi schemi di riferimento, i quali verranno trattati nel capitolo 13.

Capitolo 5

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento 1

SOMMARIO: 5.1. Il criterio di riclassificazione per l’analisi della dinamica finanziaria. – 5.2. Lo schema utilizzato. – 5.3. La fase interpretativa.

5.1. Il criterio di riclassificazione per l’analisi della dinamica finanziaria Come visto per il conto economico e per lo stato patrimoniale, anche per il rendiconto finanziario, la “nuova” tavola introdotta dal D.Lgs. n. 139/2015, si pone il problema della riclassificazione, con l’obiettivo di analizzare in modo approfondito la dinamica finanziaria dell’impresa. Coerentemente con le tavole precedenti, il criterio di aggregazione dei singoli flussi, cioè delle singole operazioni generatrici di movimenti finanziari e monetari, è l’area gestionale di riferimento: a) gestione caratteristica, nella quale si identifica una parte corrente e una non corrente, definibile come gestione degli investimenti strumentali; b) gestione complementare e accessoria (patrimoniale); c) gestione finanziaria; d) gestione tributaria. A completamento delle quattro gestioni parziali è necessario introdurre anche l’area straordinaria, trasversale alle precedenti 2. Ognuna delle gestioni indicate genera flussi finanziari positivi e negativi che devono essere tenuti distinti, salvo che per la gestione caratteristica corrente, per la quale tale separazione non è significativa. 1 Il contenuto del capitolo è una sintesi tratta da C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015. 2 Per gli approfondimenti, si vedano i capitoli precedenti.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Le movimentazioni prodotte dalla gestione caratteristica corrente sono, infatti, molteplici e di segno opposto (anche a livello di singola operazione): sarebbe impossibile, almeno per l’analista esterno e comunque poco significativo in termini di potenziale informativo, isolarne le singole variazioni. Si preferisce, di conseguenza, misurare il flusso netto generato dalla gestione considerata nel suo complesso: infatti, ad assumere rilevanza non è l’impatto finanziario e monetario prodotto dalla singola operazione ma dalla globalità delle medesime. L’unico flusso derivante dalla gestione caratteristica corrente è da considerarsi: – fonte di risorse, se positivo; – impiego di risorse, se negativo. La gestione caratteristica non corrente è in prevalenza riconducibile alla gestione degli investimenti in immobilizzazioni strumentali, materiali e immateriali, connessi alla funzione economico-tecnica. Le immobilizzazioni finanziarie sono invece inserite nella gestione successiva. Nell’ambito delle immobilizzazioni finanziarie alcuni investimenti potrebbero essere classificati in più aree: ad esempio, l’acquisto di una partecipazione in una società controllata per scelte di integrazione o diversificazione, potrebbe anche essere classificata nella gestione caratteristica non corrente, in quanto riconducibile all’attività tipica della controllante o del gruppo di appartenenza. In fase interpretativa, si deve comunque tenere conto di questa peculiarità nella formulazione delle valutazioni complessive. I flussi derivanti da questa gestione parziale sono di due specie: – fonti di risorse, connesse a scelte di disinvestimento; – impieghi di risorse, correlati a decisioni di investimento o a fabbisogni caratteristici con valenza pluriennale (ad esempio, il trattamento di fine rapporto liquidato o pagato ai dipendenti). La successiva gestione è la complementare e accessoria (patrimoniale), che produce flussi di due specie: – fonti di risorse, connesse agli interessi attivi, ai fitti attivi, ai dividendi ricevuti, ad altri proventi non caratteristici; all’alienazione dei titoli, degli immobili/ beni non strumentali, delle partecipazioni 3, di altre attività patrimoniali; ai rimborsi ricevuti sui crediti di finanziamento; – impieghi di risorse, relativi a scelte di investimento in titoli, partecipazioni, immobili/beni non strumentali, altre attività patrimoniali; alla concessione di crediti di finanziamento; ai costi derivanti dagli investimenti medesimi come, ad esempio, le manutenzioni su immobili non strumentali. Nella gestione finanziaria, oltre a identificare impieghi e fonti, è necessario distinguere il soggetto finanziatore, in modo da definire il contributo di ciascuna 3

Per le partecipazioni, soprattutto di controllo e di collegamento, valgono le osservazioni formulate al punto precedente.

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento

95

macro-categoria e il ruolo rivestito. A questa gestione devono essere ricondotti anche i costi correlati alle scelte di finanziamento (remunerazione), indipendentemente dalla forma tecnica assunta. Si suddividono i flussi in due categorie: – associati al capitale di prestito (indebitamento finanziario); – associati al capitale proprio. Nella prima si rilevano: – fonti di risorse, connesse all’ottenimento di nuovi finanziamenti; – impieghi di risorse, derivanti dai rimborsi dei finanziamenti e dalla remunerazione dei conferenti il capitale di prestito (interessi passivi o oneri finanziari). In questa categoria rientrano anche i canoni di leasing. Nella seconda, invece, si rilevano: – fonti di risorse, relative ad aumenti di capitale sociale (a pagamento) e all’alienazione di azioni proprie; – impieghi di risorse, attinenti ai rimborsi di capitale sociale (onerosi), alle scelte con impatto sulle politiche di autofinanziamento (dividendi distribuiti) e all’acquisizione di azioni proprie. La gestione tributaria di norma assorbe risorse senza generarne, a causa della possibilità di attuare la compensazione tra singole posizioni di credito e debito: rimane comunque salvo il caso di rimborsi da parte dell’erario. Nel rendiconto riclassificato si avranno: – fonti di risorse, per eventuali rimborsi; – impieghi di risorse, derivanti dalle imposte correnti, generanti flussi monetari in uscita. Per l’area straordinaria, infine, vale quanto scritto in merito alla riclassificazione del conto economico (capitolo 3), anche se in questa tavola la distinzione fondata sulla competenza economica diviene meno significativa, in quanto sono le variazioni finanziarie e monetarie prodotte dalle singole gestioni ad assumere rilevanza. Per tale ragione, i valori appartenenti all’area straordinaria vanno indicati in modo autonomo nel rendiconto qualora di particolare rilievo o di natura eccezionale, così da cogliere l’influenza da essi generata nel periodo indagato. Essi possono essere inseriti nell’area dedicata dello schema riclassificato, oppure ricondotti, con evidenza autonoma, nelle singole gestioni parziali di appartenenza.

5.2. Lo schema utilizzato Definito il criterio, il passo successivo è identificare la modalità di rappresentazione, che può essere:

96

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

1. a sezioni contrapposte; 2. a sezioni sovrapposte; 3. in forma scalare. Non si rilevano differenze sostanziali tra le modalità sub 1 e 2, anche se si predilige la prima in quanto permette di cogliere, in via immediata, le connessioni tra impieghi e fonti derivanti dalla medesima gestione, al fine di disporre della visione di sintesi necessaria in fase interpretativa. Con la forma scalare, invece, è possibile determinare alcuni risultati parziali o intermedi di particolare rilievo. Essa permette di ottenere anche sintesi di flussi appartenenti alla medesima gestione: si tratta certamente di un’informazione importante, purché rimangano identificabili quelli elementari. Con la forma scalare non è però possibile calcolare le percentuali d’incidenza di ogni tipologia di flusso sul totale dei fabbisogni e delle fonti, informazione certamente rilevante. Nelle Figure 5.1 e 5.2 si riportano gli schemi base del rendiconto finanziario riclassificato: nella Figura 5.1 lo schema è a sezioni contrapposte; nella Figura 5.2 in forma scalare. Figura 5.1. – Lo schema di riclassificazione del rendiconto finanziario (sezioni contrapposte) Gestione/Area

Fabbisogni/Impieghi

Fonti

Caratteristica corrente

Flusso negativo

Flusso positivo

Caratteristica non corrente

Investimenti in immobilizzazioni: – materiali – immateriali Trattamento fine rapporto pagato Altri fabbisogni con valenza pluriennale

Disinvestimenti in immobilizzazioni: – materiali – immateriali

Costi di periodo specifici Investimenti: – titoli Complementare e – partecipazioni accessoria (patrimoniale) – immobili/beni non strumentali – altre attività patrimoniali – crediti di finanziamento

Proventi di periodo specifici Disinvestimenti: – titoli – partecipazioni – immobili/beni non strumentali – altre attività patrimoniali – crediti di finanziamento

Rimborso di finanziamenti Oneri finanziari

Nuovi finanziamenti

Rimborso di capitale Dividendi Acquisto di azioni proprie

Aumento di capitale

Tributaria

Imposte correnti/straordinarie

Rimborso imposte

Straordinaria

Componenti negativi

Componenti positivi

Variazione liquidità (incremento)

Variazione liquidità (decremento)

Finanziaria

Cessione di azioni proprie

97

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento Composizione della liquidità Componenti Attivi – – Passivi – – Liquidità

Inizio periodo

Fine periodo

Variazione

………… …………

………… …………

………… …………

………… ………… …………

………… ………… …………

………… ………… …………

Figura 5.2. – Lo schema di riclassificazione del rendiconto finanziario (forma scalare) ± Liquidità a inizio periodo (1) ± Flusso gestione caratteristica corrente (a) ± Flusso gestione caratteristica non corrente (b) – Investimenti in immobilizzazioni materiali – Investimenti in immobilizzazioni immateriali – Trattamento fine rapporto pagato – Altri fabbisogni con valenza pluriennale + Disinvestimenti di immobilizzazioni materiali + Disinvestimenti di immobilizzazioni immateriali = Flusso complessivo gestione caratteristica (c) = (a) + (b) ± Flusso gestione complementare e accessoria (patrimoniale) (d) – Costi di periodo specifici – Investimenti in titoli – Investimenti in partecipazioni – Investimenti in immobili/beni non strumentali – Investimenti in atre attività patrimoniali – Concessione di crediti di finanziamento + Proventi di periodo specifici + Disinvestimenti di titoli + Disinvestimenti di partecipazioni + Disinvestimenti di immobili/beni non strumentali + Disinvestimenti di altre attività patrimoniali + Rimborsi di crediti di finanziamento = Flusso derivante dall’attività di investimento (e) = (c) + (d) ± Flusso gestione finanziaria (Mezzi di terzi) (f) – Rimborso di finanziamenti (quota capitale) – Oneri finanziari + Nuovi finanziamenti ± Flusso gestione finanziaria (Mezzi propri) (g) – Rimborso di capitale – Dividendi – Acquisto di azioni proprie (Segue)

98

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

+ Aumento di capitale + Cessione di azioni proprie ± Flusso complessivo gestione finanziaria (h) = (f) + (g) ± Flusso gestione tributaria (i) – Imposte correnti – Imposte straordinarie + Rimborsi imposte ± Area straordinaria (l) – Componenti negativi + Componenti positivi ± Variazione risorsa finanziaria (2) = (e) + (h) + (i) + (l) ± Liquidità a fine periodo (3) = (1) + (2) Composizione della liquidità Componenti Attivi – – Passivi – – Liquidità

Inizio periodo

Fine periodo

Variazione

………… …………

………… …………

………… …………

………… ………… …………

………… ………… …………

………… ………… …………

Come si può osservare dagli schemi proposti, all’interno del rendiconto finanziario devono comparire anche le variazioni nella composizione della grandezza di riferimento, cioè la liquidità. A questo proposito, indipendentemente dalla forma prescelta, si ritiene necessaria la presentazione di un prospetto di raccordo tra il reddito operativo della gestione caratteristica e i flussi finanziari e monetari da essa derivanti. Tale prospetto è di fondamentale importanza in quanto permette di riflettere, in modo simultaneo, sugli effetti reddituali, finanziari e monetari della gestione caratteristica corrente. Si possono, quindi, individuare le ragioni per le quali in presenza di risultati economici positivi, si ottengono flussi monetari negativi o viceversa.

5.3. La fase interpretativa Il rendiconto finanziario esprime le cause di variazione, in un definito intervallo temporale, della liquidità: dalla definizione si prende avvio per illustrare la fase interpretativa.

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento

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Appare abbastanza evidente che la variazione complessiva della liquidità, considerata in via autonoma, presenta utilità informativa assai modesta se non si conoscono le cause esogene che l’hanno determinata. Un incremento della liquidità non è positivo se derivante dalla richiesta di un nuovo finanziamento da parte di un’impresa già fortemente indebitata, in quanto la gestione caratteristica non produce risorse monetarie. L’interpretazione del rendiconto consiste proprio nel: – valutare il contributo delle singole gestioni alla variazione complessiva della risorsa, ovverosia riflettere sulle cause che hanno migliorato o peggiorato la situazione finanziaria e monetaria; – individuare la gestione che più di altre ha assorbito risorse e quella che ha generato maggiori fonti, esplicitandone le cause analitiche; – esaminare la composizione delle fonti e degli impieghi, verificandone l’equilibrio e identificando le aree in cui si dovrebbe eventualmente intervenire; – comprendere il grado di flessibilità dei fabbisogni (ad esempio, i vincolati sul totale) e delle fonti; – ricercare correlazioni tra specifiche tipologie di impiego e di fonte; – esprimere valutazioni sulle scelte di finanziamento dell’impresa e sulle cause alla base del fabbisogno, con particolare riguardo all’attività di investimento; – misurare quali sarebbero gli effetti nel caso in cui una specifica fonte venisse meno; – determinare l’incidenza di fonti o fabbisogni occasionali; – comparare alcuni flussi con i concorrenti, per valutare la posizione relativa; – completare la fase di analisi legata al sistema di indici di bilancio. Dalla sua interpretazione dovrebbero in sintesi emergere due tipologie di valutazioni: l’esistenza di equilibrio nel periodo; la coerenza dei risultati emergenti con la situazione iniziale. Il perseguimento delle finalità appena indicate, avviene esaminando simultaneamente: a) la variazione della liquidità; b) le fonti; c) gli impieghi. Relativamente alla liquidità, l’attenzione deve essere posta: a) sul segno e sull’intensità della variazione complessiva; b) sulle cause endogene. In merito al primo punto, è interessante collegare la variazione del periodo alla situazione finanziaria iniziale, fondamentale per attribuire valenza economica al segno contabile. Il notevole peggioramento della liquidità in un’entità con valori già molto negativi, richiede una differente interpretazione rispetto alla medesima variazione in un’entità con un’eccellente situazione iniziale. Il secondo punto, collegato in modo stringente al primo, consiste nell’analisi del cambiamento nella composizione, al fine di esaminare la modificazione di ciascuna delle determinanti elementari.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Dalla lettura della sezione specifica relativa alle fonti, è possibile comprendere il contributo di ciascuna gestione alla produzione di risorse liquide. Di particolare interesse è l’apporto della gestione caratteristica corrente, da cui dipende il successo duraturo dell’impresa: tale flusso deve essere di valore adeguato, cioè in grado di far fronte almeno ad alcuni fabbisogni vincolati. Non è pertanto sufficiente che sia positivo – questa è una condizione minimale – ma deve essere tale da non generare tensioni finanziarie e monetarie. È incauto, come per la maggior parte degli indici, cercare il valore ottimale di riferimento. L’adeguatezza si misura individuando parametri di riferimento interni (ad esempio i fabbisogni vincolati per il servizio del debito o per il pagamento delle imposte) o esterni (ad esempio i concorrenti, dopo aver eliminato l’effetto dimensionale). La gestione caratteristica non corrente identifica disinvestimenti di immobilizzazioni materiali e immateriali: molto importante è conoscere le ragioni sottostanti alla scelta (ad esempio, rinnovo, uscita da un’area di attività, modifica tecnologica, ecc.). La gestione complementare e accessoria è particolarmente interessante perché le fonti da essa generate equivalgono a proventi degli investimenti patrimoniali o a disinvestimenti cioè cambiamenti di destinazione delle risorse. I flussi derivanti da questa gestione palesano, in alcuni casi, la riduzione di riserve di liquidità cioè la necessità di cedere beni non strumentali al fine di riequilibrare situazioni non positive oppure la destinazione di risorse a impieghi tipici o maggiormente remunerativi. La gestione finanziaria esprime scelte esplicite di finanziamento, con risorse provenienti dai terzi o dai soci. Tali decisioni si riflettono sulla struttura finanziaria e sulla solidità aziendale 4: debbono, quindi, essere lette alla luce dell’impatto prodotto e correlate alle scelte di investimento effettuate. Assai diversa è la situazione di un’impresa che ottiene un finanziamento a medio-lungo termine a fronte dell’acquisizione di immobilizzazioni, da quella che lo richiede per consolidare il debito a breve. Ancora, difforme è il caso di un’impresa che aumenta i finanziamenti perché la gestione tipica non produce risorse o ne produce in misura non adeguata, da quello in cui la finalità è sostenere in modo equilibrato la crescita aziendale. Similmente si leggono gli incrementi di mezzi propri che, in linea generale, sono interpretati positivamente: anche per questa fonte è importante comprendere le cause determinanti, che si identificano nell’esigenza di capitalizzazione o nel sostegno allo sviluppo. Discorso autonomo per le azioni proprie: la presenza di un flusso positivo sta a significare il venir meno delle ragioni alla base della loro acquisizione. Oltre alla necessità di conoscere le cause, appare interessante confrontare il flusso con l’impiego iniziale. La gestione tributaria, di norma, non produce flussi positivi o i valori sono talmente occasionali da non richiedere particolari commenti. 4

La solidità è trattata nel capitolo 8.

Le finalità della riclassificazione del rendiconto finanziario e lo schema di riferimento

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Per l’area straordinaria l’analisi deve essere attenta: i valori in essa inseriti, per le loro caratteristiche distintive, dovrebbero avere un “peso” limitato e residuale proprio per l’assenza di continuità nella manifestazione. Il miglioramento della situazione complessiva, dovuto solamente a un evento straordinario o eccezionale che esaurisce i propri effetti nel periodo, non induce certamente a interpretazioni positive. Inoltre, particolare attenzione va riservata ai valori “straordinari” contenuti nei flussi riconducibili alle gestioni sopra commentate. Si è vista l’importanza basilare del flusso della gestione caratteristica corrente: se il valore fosse negativo, si troverebbe negli impieghi a testimoniare che l’attività tipica assorbe risorse invece di generarle. Si tratterebbe di una condizione di assoluta gravità, in quanto verrebbero meno le basi del successo duraturo. Il flusso deriva dalla contrapposizione tra entrate e uscite caratteristiche correnti: valori negativi ripetuti nel tempo stanno a significare l’incapacità di ottenere dal mercato – attraverso la cessione di beni e servizi – le risorse per far fronte all’acquisizione di tutti i fattori produttivi. Questa situazione normalmente si accompagna, se ricorrente, a peggioramenti nella risorsa complessiva o alla significativa incidenza – nel lato delle fonti – della gestione finanziaria, necessaria ai fini di riequilibrio. In ogni caso, appare importante individuare perché la gestione è deficitaria e dove ottiene le risorse necessarie per la sua copertura. La gestione caratteristica non corrente riguarda, in primis, la politica degli investimenti: interessante, oltre a un giudizio sulle scelte aziendali che li hanno generati (rinnovo, ampliamento, ingresso in una nuova area di attività, miglioramento tecnologico, ecc.), è valutare le scelte di finanziamento e il loro impatto sulla situazione complessiva. Impieghi nella gestione patrimoniale possono derivare da molteplici cause e richiedono, pertanto, molta attenzione in fase interpretativa. Identificano scelte di acquisizione di partecipazioni che possono essere strettamente connesse alla gestione caratteristica (sviluppo dell’attività tipica o diversificazione); investimenti temporanei di risorse con la costituzione di riserve di liquidità (titoli, beni non strumentali); concessione di finanziamenti a imprese del gruppo per sostenerne l’attività. Appare evidente come ciascuna causa porti a differenti valutazioni, effettuabili solamente se collocate nel contesto aziendale in cui sono state assunte le decisioni: è pertanto poco significativo, quindi sterile, cercare di proporre un commento con validità assoluta per ciascuna tipologia di flusso. Ci si può limitare a considerazioni di ordine generale: ad esempio, se la liquidità netta peggiora nel periodo e una delle cause è l’impiego a fronte dell’acquisizione di titoli, il giudizio non è certo negativo nella misura in cui questi ultimi abbiano un rendimento maggiore (considerando il grado di rischio) e non siano caratterizzati da vincoli in termini di realizzabilità. La gestione finanziaria fornisce informazioni assai importanti, soprattutto per quanto attiene il servizio del debito. È, infatti, necessario conoscere l’ammontare complessivo degli interessi passivi e delle quote di rimborso dei debiti a medio-

102

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

lungo termine e comprendere attraverso quali fonti si assicura la copertura. Appare anche interessante esaminare l’evoluzione dei fabbisogni nei periodi successivi all’ottenimento di un nuovo finanziamento, prestando attenzione al soggetto erogante: banca, impresa del gruppo o altro finanziatore. In modo analogo, il commento sulla distribuzione di dividendi dipende dalla situazione economica complessiva dell’impresa, con particolare riguardo alla finanziaria e alla coerenza con redditività 5 e solidità. Peculiare attenzione va indirizzata ai rimborsi di capitale – per la verità assai rari – e agli acquisti di azioni proprie, per i quali deve essere opportunamente vagliata la ragione sottostante. Sull’impiego derivante dalle imposte, non vi sono particolari commenti da formulare, salvo un confronto con il valore di competenza contenuto nel conto economico, al fine di valutare la differente dinamica della dimensione reddituale rispetto a quella finanziaria/monetaria. Infine, per l’area straordinaria, vale in parte quanto scritto per le fonti: i valori vanno letti soprattutto alla luce dei possibili effetti producibili in futuro e non solo per l’impatto generato nel periodo.

5

La redditività è trattata nel capitolo 9.

Capitolo 6

L’interpretazione delle tavole riclassificate

SOMMARIO: 6.1. Le tipologie di analisi. – 6.2. Le analisi verticali. – 6.3. Le analisi orizzontali.

6.1. Le tipologie di analisi La riclassificazione rappresenta un momento assai critico e rimarchevole nella metodologia di analisi: infatti, errori compiuti in tale fase si ripercuotono sul calcolo degli indici di bilancio riducendone, in modo più o meno ampio, la valenza informativa. Inoltre, nello stadio in oggetto, l’analista utilizza in modo congiunto tutti i documenti che compongono il bilancio: ciò permette di individuare i principali aspetti problematici che caratterizzano l’azienda e che verranno approfonditi nel seguito dell’analisi. In definitiva, la riclassificazione delle tavole di sintesi, preceduta dalla lettura del bilancio, oltre a determinare classi di valori e aggregati utili per la successiva costruzione degli indici 1, permette un’interpretazione autonoma e la formulazione di iniziali valutazioni. I valori in esse contenuti possono essere di tre tipi: 1. assoluti: rappresentano la diretta rielaborazione del bilancio; 2. percentuali: permettono la determinazione degli indici di composizione, cioè del grado di incidenza di singoli valori o aggregati su alcune grandezze di riferimento. Per quanto riguarda il conto economico, queste ultime sono individuate nei ricavi netti o nel valore della produzione 2; nel totale capitale investito o 1 Dalla combinata analisi della struttura patrimoniale, della struttura finanziaria, degli impieghi e delle fonti del rendiconto finanziario, è possibile valutare la solidità e la liquidità dell’impresa; dalla congiunta analisi della struttura patrimoniale e finanziaria e del conto economico riclassificato, è invece possibile valutare la redditività operativa e netta; infine, considerando tutte le tavole riclassificate si possono costruire degli indicatori espressivi dello sviluppo operativo e strutturale. Agli indici di bilancio è dedicata la terza parte del volume. 2 Il valore della produzione è parametro più espressivo, rispetto ai ricavi, per calcolare gli indicatori di incidenza delle singole classi di costo, soprattutto per i consumi di fattori produttivi, i quali dipendono non da quanto si vende ma da quanto si produce. Tuttavia, particolare cautela va osservata nei confronti interaziendali, in quanto il valore della produzione è un aggregato complesso.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

nelle fonti di finanziamento per lo stato patrimoniale; nel totale impieghi o totale fonti per quanto attiene il rendiconto finanziario; 3. numeri indice: sono funzionali all’ottenimento degli indicatori di andamento, posto pari a 100 il valore dell’anno base. Con quest’ultima elaborazione è possibile individuare il trend dei singoli valori (e degli aggregati) e valutarne la variazione nel tempo. Le tavole riclassificate consentono di formulare alcune considerazioni preliminari su 3: a) il processo di formazione del reddito, interpretandolo alla luce delle singole gestioni parziali; b) la composizione degli investimenti, classificati per grado di liquidità o per gestione di riferimento; c) la struttura finanziaria, individuandone la composizione e il grado di rischio; d) le cause alla base della dinamica finanziaria, cioè le cause di modificazione della liquidità. A tale scopo è proficuo il ricorso congiunto a due tipologie di analisi definite verticali e orizzontali, di seguito commentate.

6.2. Le analisi verticali Le analisi verticali traggono origine dalla percentualizzazione delle tavole riclassificate o di parte di esse, cioè di specifici aggregati. Alcuni esempi di aggregati si identificano nel costo del venduto, nei ricavi nelle imprese diversificate 4 oppure, nell’ambito dello stato patrimoniale, nell’attivo a breve, nell’attivo fisso netto o nel passivo a breve. Pur essendo di semplice interpretazione, è d’uopo segnalare che esse assumono piena espressività nell’ambito del conto economico e del rendiconto finanziario, che contengono valori flusso: è infatti attuabile, oltre all’analisi puntuale, un confronto temporale. Per quanto attiene lo stato patrimoniale, le comparazioni temporali sono meno efficaci, in quanto la variazione dell’incidenza di un singolo elemento da un periodo al successivo, dipende sia dalla sua modificazione sia dal cambiamento nella composizione della grandezza di riferimento: totalmente significanti sono, invece, le analisi sul singolo anno. Un ulteriore interessante esempio di analisi verticale consiste nel delimitare il contributo delle singole gestioni alla produzione del reddito: si tratta di uno schema integrativo al conto economico a valori percentuali. Si consideri l’esempio seguente, nel quale le due aziende ottengono il medesimo reddito netto e ante imposte (Tabella 6.1) 5. 3

L’approfondimento dei punti sotto indicati è avvenuto nei capitoli precedenti a cui si rinvia. È utile anche analizzare la composizione dei ricavi per area geografica. 5 Nella prima parte (a) della tabella il termine di riferimento è il reddito netto; nella seconda (b) il reddito ante imposte: in questo modo non si considera l’impatto delle imposte. 4

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L’interpretazione delle tavole riclassificate

Tabella 6.1. – Il contributo delle gestioni parziali alla determinazione del reddito Azienda A Ricavi Costo del venduto Reddito operativo gestione caratteristica Risultato gest. complementare/accessoria Reddito operativo aziendale Oneri finanziari Reddito di competenza Componenti straordinari Reddito ante imposte Imposte Reddito netto

Azienda B

5.000 – 4.500 500 100 600 – 500 100 300 400 – 160 240

100% – 90% 10% 2% 12% – 10% 2% 6% 8% – 3% 5%

5.000 – 4.350 650 100 750 – 400 350 50 400 – 160 240

100% – 87% 13% 2% 15% – 8% 7% 1% 8% – 3% 5%

500 100 – 500 100 300 – 160 240

208% 42% – 208% 42% 125% – 67% 100%

650 100 – 400 350 50 – 160 240

271% 42% – 167% 146% 21% – 67% 100,0%

500 100 – 500 100 300 400

125% 25% – 125% 25% 75% 100%

650 100 – 400 350 50 400

162% 25% – 100% 87% 13% 100%

Gestioni parziali (a) Caratteristica Complementare/accessoria Finanziaria Ordinaria Straordinaria Tributaria Reddito netto Gestioni parziali (b) Caratteristica Complementare/accessoria Finanziaria Ordinaria Straordinaria Reddito ante imposte

Appare evidente come l’azienda B presenti una situazione più soddisfacente, in quanto la maggior parte del suo reddito deriva dalla gestione ordinaria e, in particolare dalla gestione caratteristica. In termini generali, la significatività del reddito tende a peggiorare al crescere dell’incidenza percentuale dell’area straordinaria. Riprendendo il discorso sulle tavole riclassificate, si concentra l’attenzione sull’azienda A, di cui si riporta anche lo schema a valore della produzione e valore aggiunto (Tabella 6.2), per commentare alcuni indici di composizione, i più significativi e utilizzati.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 6.2. – Esempio di conto economico a valori percentuali Valore della produzione Costi esterni Valore aggiunto Costo del lavoro Margine operativo lordo Ammortamenti Reddito operativo gestione caratteristica

5.500 – 4.000 1.500 – 600 900 – 400 500

100% – 73% 27% – 11% 16% – 7% 9%

Tasso di incidenza del valore aggiunto Valore aggiunto _______________ Ricavi Si tratta di un rapporto che pone enfasi sulle relazioni tra l’impresa e il mercato, in quanto confronta il valore aggiunto ottenuto con l’utilizzo delle risorse interne e il valore complessivo dei fattori ceduti 6. Valore aggiunto ______________________ Valore della produzione L’elemento differenziale del suesposto indicatore rispetto al precedente è il denominatore, il quale comprende anche la valorizzazione di processi economici non conclusi che, come tali, non hanno ancora avuto il “riconoscimento” del mercato. Redditività lorda delle vendite Margine operativo lordo (EBITDA) _______________________________ Ricavi Esprime una redditività lorda. Il numeratore assume, come già evidenziato, valenza finanziaria. Reddito operativo (EBIT) _______________________ Ricavi La maggior espressività dell’indice in oggetto si ha allorquando al numeratore si fa ricorso al reddito della gestione caratteristica: in tal caso esso mostra, in termini generali, il margine unitario sulle vendite 7. È assai dipendente dal settore in cui l’impresa opera ed è particolarmente adatto per confronti interaziendali.

6 Si ricorda, come più volte scritto, che tale indice è comunque funzione di molteplici elementi, tra cui l’efficienza connessa alle operazioni di gestione interna. Sul valore aggiunto, si rinvia al capitolo 3. 7 Su tale indice si scriverà diffusamente nel capitolo 9 dedicato all’analisi della redditività.

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L’interpretazione delle tavole riclassificate

Tasso di incidenza degli oneri finanziari Oneri finanziari ______________ Ricavi Indica quanti euro di fatturato sono destinati alla remunerazione esplicita dei conferenti del capitale di prestito. Al crescere della sua consistenza, denota elevata dipendenza da terzi finanziatori e un vincolo crescente di risorse assorbite dalla gestione finanziaria 8. Redditività netta delle vendite Reddito netto _____________ Ricavi Palesa la quota residua di vendite disponibile dopo aver remunerato tutti i fattori produttivi. Ampiamente utilizzato nella realtà operativa, è caratterizzato da estrema sintesi, in quanto riflette gli effetti di tutte le gestioni parziali 9. Altri indicatori sono desumibili dallo stato patrimoniale (Tabella 6.3). Tabella 6.3. – Esempio di stato patrimoniale a valori percentuali Liquidità immediate Liquidità differite Disponibilità Attivo a breve Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni finanziarie Attivo fisso netto Capitale investito

100 1.200 500 1.800 2.000 400 1.100 3.500 5.300

2% 23% 9% 34% 38% 7% 21% 66% 100%

Liquidità negative Esigibilità Passivo a breve Passivo medio-lungo termine Mezzi di terzi Mezzi propri Fonti di finanziamento

1.100 2.000 3.100 700 3.800 1.500 5.300

21% 38% 59% 13% 72% 28% 100%

8 Particolarmente interessante è il suo collegamento con il costo medio dell’indebitamento: anche in questo caso si rinvia all’analisi della redditività (capitolo 9). 9 L’indice potrebbe anche essere calcolato senza considerare i componenti straordinari ma tenendo conto delle imposte, così da permettere un confronto più omogeneo nel tempo.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Dallo schema a valori percentuali emerge in modo immediato la struttura degli investimenti e dei finanziamenti. Gli indici di composizione, di cui maggiormente ci si avvale, sono di seguito succintamente esposti. Grado di elasticità degli investimenti Attivo a breve _________________ Capitale investito Attivo fisso netto _________________ Capitale investito Grado di concentrazione sul business tipico Capitale investito gestione operativa 10 __________________________________ Capitale investito Grado di indipendenza finanziaria Passivo a breve _____________________ Fonti di finanziamento Mezzi di terzi _____________________ Fonti di finanziamento Mezzi propri ______________________ Fonti di finanziamento Composizione dell’attivo a breve Liquidità immediate —————————— Attivo a breve Liquidità differite __________________ Attivo a breve  

Disponibilità _______________ Attivo a breve

  10

È il capitale investito della gestione caratteristica, disponibile riclassificando lo stato patrimoniale secondo il criterio funzionale (paragrafo 4.3).

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L’interpretazione delle tavole riclassificate

Composizione dell’indebitamento Passivo a breve _______________ Mezzi di terzi Passivo a medio-lungo _____________________ Mezzi di terzi Debiti finanziari _______________ Mezzi di terzi Come per le altre tavole riclassificate, anche il rendiconto deve essere espresso – quando possibile – a valori percentuali: termini di riferimento sono individuati nel totale delle fonti o degli impieghi. In tal modo è anche agevole effettuare delle correlazioni tra specifiche classi o aggregati (Tabella 6.4). Tabella 6.4. – Esempio di rendiconto finanziario a valori percentuali  

Impieghi Gestioni/aree parziali Gestione caratteristica corrente Gestione caratteristica non corrente Gestione complementare accessoria Gestione finanziaria Gestione tributaria Area straordinaria Totale impieghi/fonti Variazione liquidità netta Totale generale

Valori 400 50 200 150 800 200 1.000

% 50 6 25 19 100

Fonti % 40 5 20 15 80 20 100

Valori

%

500 60 100 300

50 6 10 30

40 1.000

4 100

1.000

I valori percentuali, con riferimento agli impieghi sono duplici: da una parte la composizione dei flussi in uscita; dall’altra l’incidenza sul totale generale, che coincide con le fonti. Nel caso in cui la variazione di liquidità fosse negativa, i doppi valori percentuali sarebbero determinati per le fonti. Si ribadisce che gli indicatori di composizione identificati sono quelli di più ampia diffusione nella realtà: altri se ne potrebbero costruire in funzione di specifici fabbisogni. Inoltre, tali quozienti sono presentati al fine esclusivo di cogliere il contributo delle analisi verticali: poiché la maggior parte è desumibile dalle tavole riclassificate a valori percentuali, risulta ridondante un loro inserimento nel sistema di indici che si delineerà nella terza parte del lavoro.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

6.3. Le analisi orizzontali Esse consistono nel determinare l’andamento dei singoli valori su un arco temporale più o meno esteso, al crescere del quale assume maggior significato il trend 11, di cui si evidenziano la direzione e l’ampiezza (pendenza). Tra i singoli valori e aggregati risultano particolarmente significativi il fatturato, il valore aggiunto, il capitale investito (nelle sue componenti a breve e a lungo), il patrimonio netto, l’indebitamento, anche se l’analisi può essere effettuata su qualsiasi classe di valori contenuta nelle tavole riclassificate. Come per qualsivoglia altro indice, anche le elaborazioni in oggetto non debbono essere interpretate singolarmente. Ad esempio, una significativa crescita del capitale investito risulta soddisfacente se accompagnata da una corrispondente variazione del fatturato. Gli indicatori di andamento richiedono una lettura congiunta a quelli di sviluppo (capitolo 11), di cui rappresentano un importante completamento. Si consideri il seguente esempio (Tabella 6.5). Tabella 6.5. – Esempio sugli indicatori di andamento

Vendite Tasso annuale variazione vendite Numeri indice

T1

T2

T3

150

170 13,3% 113

230 35,3% 153

100

Nel triennio il fatturato è aumentato del 53%, con un “trend” crescente assai evidente: a tale andamento è correlata una crescita del 13% nel primo anno e del 35% nel secondo. Nell’esempio il valore base (posto pari a 100) è relativo a T1 ma nulla impedisce di scegliere un altro anno se questo risultasse poco espressivo, poiché caratterizzato da fenomeni ritenuti “atipici”. La formula per il calcolo dei numeri indice è la seguente: Valore anno _________________ × 100 Valore anno base L’analisi orizzontale presenta alcuni limiti a fronte di particolari situazioni, tra le quali:

11 Il termine trend (trend analysis) non deve essere male interpretato: di norma, affinché esso sia pienamente espressivo di un determinato andamento, è necessario calcolarlo su periodi lunghi mentre invece l’analista opera su periodi sostanzialmente brevi o medi (dai tre ai cinque anni).

L’interpretazione delle tavole riclassificate

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– con valori assoluti piccoli, anche una modesta modificazione può generare variazioni percentuali molto grandi; – quando due valori consecutivi sono di segno diverso, la variazione non si può calcolare; – se un valore è pari a 0 nel primo dei due anni, la variazione non si può calcolare; – se un valore è pari a 0 nel secondo dei due anni, la variazione è del 100% negativa.  

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Capitolo 7

La dimensione operativa della riclassificazione

SOMMARIO: 7.1. Gli elementi di problematicità nella rielaborazione del bilancio destinato a pubblicazione. – 7.2. La riclassificazione del conto economico. – 7.3. La riclassificazione dello stato patrimoniale. – 7.4. La riclassificazione del rendiconto finanziario.

7.1. Gli elementi di problematicità nella rielaborazione del bilancio destinato a pubblicazione Il bilancio d’esercizio previsto dalla regolamentazione italiana non genera, almeno a livello di principio, particolari criticità in fase di riclassificazione. Nel capitolo si intendono affrontare, anche se in modo sintetico e con valore di prima approssimazione, una serie di questioni coerenti con le finalità del lavoro, la principale delle quali può riassumersi nei seguenti termini: il bilancio, nella forma delle tavole di sintesi attualmente prevista, è già da considerarsi “riclassificato” oppure richiede delle ulteriori elaborazioni? La risposta a tale quesito è univoca: il bilancio deve essere soggetto a rielaborazione poiché il suo scopo (rappresentazione veritiera corretta della situazione patrimoniale, finanziaria e del risultato economico) è garantire ai terzi un’informativa la più ampia e completa possibile. D’altro canto, la riclassificazione di un qualsivoglia bilancio viene effettuata in funzione degli obiettivi che si intendono perseguire e del soggetto che la effettua: non esiste un’unica metodologia applicabile poiché a fronte di uno scopo generale comune, molteplici sono i fini specifici che ci si può prefiggere di raggiungere. A questo punto il quesito iniziale deve essere necessariamente modificato: poiché le tavole di sintesi presentano alcune grandezze tipiche di un processo riclassificatorio, qual è il significato economico che ad esse si deve attribuire? Si pensi al conto economico: il ricorso alla forma scalare, fa emergere un risultato economico intermedio derivante dalla contrapposizione tra valore e costi della produzione. Il problema principale è cogliere la significatività di tale risultato per interpretare la capacità dell’azienda di produrre reddito. A livello più generale, non si deve sottoporre a critica il conto economico poiché presenta po-

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

chi risultati economici intermedi: lo schema destinato a pubblicazione deve solo assicurare la chiarezza, in modo da far comprendere se il reddito di massima sintesi sia determinato con criteri economicamente corretti e rappresenti l’effettivo risultato di una gestione unitaria, qual è quella aziendale. La presenza di risultati intermedi tende a ridurre il grado di analiticità delle informazioni, le quali vengono aggregate in funzione di criteri che, in quanto generali, non permettono di soddisfare finalità conoscitive specifiche. Queste ultime trovano appagamento nella successiva analisi con la quale le singole classi di valori vengono riaccorpate, ad esempio per gestioni parziali, in funzione di scopi particolari. Poiché, comunque, i risultati intermedi esistono e, inoltre, gli aggregati di valori sono disponibili, su questi deve essere concentrata l’attenzione.

Il conto economico Il conto economico presenta problematiche maggiori rispetto a quelle relative allo stato patrimoniale: la prima riguarda la forma che, seppur scalare, non deve portare a fallaci semplificazioni. L’analista deve intervenire con appropriate riclassificazioni, poiché gli aggregati di valori e i risultati economici non sono immediatamente utilizzabili e, in alcuni casi, possono essere fonte di erronee interpretazioni. Lo schema previsto dal codice civile non è da considerarsi riclassificato (e non deve esserlo) ma rappresenta il risultato di una scelta su come presentare i valori (forma della tavola) necessari per la determinazione del reddito di esercizio. Nel conto economico si individuano alcuni aggregati di valori che costituiscono la base di riferimento per operare la riclassificazione, dopo che il D.Lgs. n. 139/2015 ha eliminato la distinzione tra area ordinaria e straordinaria 1. Per tale ragione in molte delle voci del conto economico troveranno collocazione valori di natura straordinaria 2, la cui unica possibilità di identificazione risiede nelle informazioni contenute nella nota integrativa. Per valutare il grado di adeguatezza del conto economico a fini di analisi, è sufficiente compararlo con gli schemi maggiormente utilizzati: a) a ricavi e costo del venduto; b) a valore della produzione e valore aggiunto. In tali modelli assume rilevanza il concetto di reddito operativo 3, definibile a due livelli. La differenza tra valore e costi della produzione (dove il concetto di 1

Sul punto si veda diffusamente quanto scritto nel capitolo 3. Nel punto 2 delle “Motivazioni alla base delle decisioni assunte”, contenuto nel principio contabile OIC n. 12 (ma non considerate parte integrante di questo) è indicato, in termini esemplificativi, il nuovo trattamento contabile dei costi e dei ricavi straordinari esplicitando, ove possibile, le voci che li contengono. 3 Per approfondimenti sul reddito operativo, si veda il paragrafo 3.2. 2

La dimensione operativa della riclassificazione

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produzione è inteso in senso ampio) non rappresenta un reddito operativo: esso non si identifica né con quello prodotto dalla gestione caratteristica né con quello aziendale. Non è descrivibile come reddito operativo della gestione caratteristica in quanto nella classe residuale Altri ricavi e proventi si iscrivono valori non sempre associabili a tale gestione, quali ad esempio i fitti attivi. Inoltre, potrebbero trovare collocazione, per quanto sopra scritto, valori che sono considerati componenti straordinari. Da ultimo, nei costi della produzione vi sono le svalutazioni delle immobilizzazioni che, dato il loro carattere generalmente eccezionale, vengono inserite in altre aree dello schema riclassificato, così come le minusvalenze. Oltre a ciò, non può neppure essere assimilato al reddito operativo aziendale, poiché parte rilevante dei proventi/oneri relativi alla gestione complementare e accessoria sono iscritti al di fuori dei due aggregati citati (punti C e, parzialmente, D). In relazione al punto C (Proventi e oneri finanziari) si osserva una commistione tra valori derivanti da gestioni parziali differenti (i proventi dalla gestione patrimoniale; gli oneri dalla gestione finanziaria): in fase di riclassificazione risulta necessario tenere separate le due tipologie. Un’ulteriore riflessione è ancora sulle singole classi di valori che compongono gli aggregati A e B del conto economico, con riferimento al costo del venduto: per la sua corretta determinazione è necessario portare a rettifica dei costi della produzione la variazione delle rimanenze, l’incremento delle immobilizzazioni per lavori interni e gli altri proventi corrispondenti ad elementi rettificativi dei costi (ad esempio, i rimborsi). In sintesi, le aree A e B contengono tutti gli elementi per la determinazione del reddito operativo della gestione caratteristica ed altri riconducibili a gestioni parziali differenti. Non poche delle classi contenute nel valore della produzione, in fase di riclassificazione vengono portate a rettifica dei costi della produzione, per determinare il costo del venduto. Considerando lo schema a valore della produzione e aggiunto, un commento merita la prima grandezza, cioè il valore della produzione. Il concetto civilistico non si identifica con quello riclassificato: esempi sono costituiti dai contributi in conto esercizio e dagli altri ricavi e proventi (oltre alle plusvalenze) che non sono certo da considerarsi come parte del valore della produzione, così come definita in sede di riclassificazione.

Lo stato patrimoniale L’analista esterno utilizza come criterio classificatorio prevalente il finanziario: è questo, nel seguito, a cui si fa riferimento. La prima osservazione riguarda l’adeguatezza della definizione di totale attività e totale passività e patrimonio netto: affinché vi sia corrispondenza con il capitale investito e le fonti di finanziamento, può essere necessario riclassificare alcuni valori nella sezione opposta cambiando segno (ad esempio, crediti verso soci, acconti ricevuti, risconti per contributi, ecc.).

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

La seconda considerazione riguarda la struttura, cioè le scelte di classificazione dei valori all’interno della tavola, che vanno analizzate separatamente per le due sezioni che la compongono. In relazione all’attivo, particolarmente interessante è l’individuazione di due aggregati rilevanti: le immobilizzazioni e l’attivo circolante, oltre ai crediti verso soci e ai ratei e risconti attivi. In merito ai primi due, il criterio di classificazione è duplice: destinazione dell’investimento da una parte e grado di liquidità dall’altra. Si ricorda, a tale proposito, l’esistenza di alcune classi di valori sia all’interno del circolante sia delle immobilizzazioni (ad esempio, le partecipazioni e i crediti): l’inserimento in un’area piuttosto che nell’altra viene effettuato in base alla destinazione cioè alla funzione assunta dall’investimento nell’ambito della gestione aziendale. Così nel circolante sono iscritti i crediti di funzionamento, anche se scadenti oltre l’esercizio successivo; nelle immobilizzazioni finanziarie si trovano i crediti di finanziamento, anche se scadenti nell’esercizio successivo; nelle immobilizzazioni le partecipazioni durevoli, nel circolante quelle destinate alla vendita. L’effetto immediato di tale scelta è la disponibilità di aggregati che non possono essere immediatamente interpretati: si pensi, ad esempio, all’attivo circolante. Esso non si identifica né con un concetto finanziario (circolante in senso lato) né con un concetto operativo (circolante in senso stretto) 4. Le ragioni sono molteplici e tutte connesse al criterio guida: non è un circolante in senso lato poiché alcuni crediti a breve sono classificati nelle immobilizzazioni; non è un circolante in senso stretto poiché classi di valori derivanti da gestioni differenti dalla caratteristica (ad esempio, i titoli) sono in esso inserite. Inoltre, la collocazione di un aggregato autonomo dei ratei e risconti attivi rende qualsiasi definizione di circolante sottostimata 5. Non vi sono certamente solo limiti: il doppio principio classificatorio, se correttamente applicato, fornisce informazioni rilevanti al lettore. Ad esempio, la presenza della classe di valori crediti sia nel circolante sia nelle immobilizzazioni, permette di interpretarne la specie (funzionamento e finanziamento), anche senza ulteriori indicazioni. È possibile collegare i due criteri in quanto per alcune delle classi è richiesta l’esplicita individuazione delle scadenze. Riprendendo l’esempio relativo ai crediti di funzionamento, il criterio della destinazione porta a inserirli tutti nel circolante, poiché relativi all’attività caratteristica corrente; l’obbligo di indicare la quota in scadenza oltre l’esercizio successivo richiama, invece, il grado di liquidità. In merito ai ratei e ai risconti attivi, il contenuto loro assegnato dalla normativa è tale da non poterli direttamente considerare parte dell’attivo a breve: si pensi, 4

Per approfondimenti, si veda il capitolo 10. Proprio la collocazione dei ratei e dei risconti rappresenta un evidente esempio di allontanamento dal criterio finanziario. 5

La dimensione operativa della riclassificazione

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a titolo esemplificativo, ai risconti relativi al maxi canone di leasing e agli interessi passivi collegati alla Legge Sabatini. Considerazioni in parte simili valgono per i crediti verso soci, la cui collocazione non può che essere funzione degli aggregati ricercati in fase di analisi. In conclusione, si può affermare che mentre il totale dell’attivo è sostanzialmente interpretabile in termini di capitale investito 6, non sono di immediato impiego gli aggregati che lo compongono: la conoscenza del grado di liquidità degli investimenti permette, comunque, un’agevole applicazione del criterio riclassificatorio della liquidità ed esigibilità. In relazione al passivo, si rimarca un’asimmetria informativa rispetto a quanto sino a ora scritto: viene abbandonato il duplice criterio di classificazione e non è disponibile il passivo “circolante” da contrapporre all’attivo. Inoltre, rinunciando al criterio della “destinazione” non è direttamente nota la specie finanziaria o di funzionamento di alcuni debiti che rappresenta, invece, un’informazione di importanza non trascurabile: anche la riclassificazione diviene più complessa poiché non si hanno indicazioni dirette sulla gestione di riferimento. Maggiori difficoltà (rispetto ai crediti dell’attivo) emergono per i debiti verso le società del gruppo: premesso che generalmente è assai malagevole assegnare significato univoco a tali classi di valori, la loro suddivisione in debiti di funzionamento e di finanziamento si presenta complicata se non impossibile quando non vi sono informazioni in nota integrativa. Si ritiene, comunque, che anche in tale caso non sussistano particolari problemi nel ricondurre lo schema di bilancio a quello riclassificato. Per il patrimonio netto, di contro, non si evidenziano aspetti particolarmente critici, salvo individuare, al di fuori del raggruppamento di riferimento, classi di valori ad esso riconducibili anche se formalmente non lo sono: ad esempio, il prestito obbligazionario sottoscritto dai soci, altri prestiti dei medesimi o i fondi generici. La rappresentazione della struttura finanziaria è certamente utile ma non sufficientemente da potersene prontamente avvalere: l’analista deve, quindi, effettuare le note riclassificazioni per conoscerne appieno la composizione. Con riferimento agli altri aggregati componenti il passivo non vi sono speciali annotazioni: 1. i fondi per rischi ed oneri, in funzione del loro contenuto possono considerarsi a breve o a medio-lungo termine; 2. il trattamento di fine rapporto è una tipica passività a medio-lungo termine, di cui non sono note all’esterno le quote in scadenza; 3. per i ratei e i risconti passivi valgono le medesime considerazioni effettuate per gli attivi, non escludendo la possibilità di riclassificazione di alcuni a riduzione dell’attivo. 6

Vi possono comunque essere, come anticipato, anche alcune voci del passivo che, in fase di riclassificazione, vanno portate a rettifica di quelle dell’attivo.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Il rendiconto finanziario A differenza delle altre due tavole, il codice civile non prevede uno schema specifico, rinviando implicitamente al principio contabile italiano, l’OIC n. 10, che sarà brevemente oggetto di commento 7. L’art. 2425-ter prevede che «Dal rendiconto finanziario risultano, per l’esercizio a cui è riferito il bilancio e per quello precedente, l’ammontare e la composizione delle disponibilità liquide, all’inizio e alla fine dell’esercizio, ed i flussi finanziari dell’esercizio derivanti dall’attività operativa, da quella di investimento e da quella di finanziamento, ivi comprese, con autonoma indicazione, le operazioni con i soci». L’articolo del Codice introduce alcuni elementi prescrittivi: – le disponibilità liquide come risorsa di riferimento, di cui vanno indicati, anche per l’anno precedente, ammontare e composizione; – i macro aggregati componenti il rendiconto, a cui ricondurre i flussi elementari, identificati nell’attività operativa, di investimento e di finanziamento; – nell’ambito dell’attività di finanziamento, le operazioni con i soci vanno indicate separatamente. Lo schema è articolato in tre aree o categorie, nelle quali vengono inseriti i singoli flussi: a) attività operativa; b) attività di investimento; c) attività di finanziamento. L’ordine di presentazione delle categorie è rigido, in quanto deve avvenire nella sequenza indicata. Analogamente alle altre tavole di sintesi (conto economico e stato patrimoniale) esiste, comunque, un certo grado di flessibilità, con la possibilità di aggiungere, suddividere e raggruppare (con l’unica esclusione delle categorie precedute da lettere maiuscole) i flussi finanziari. Infine, anche per questa tavola, sono vietate le compensazioni tra i flussi analitici di segno opposto: questo agevolerà la fase di riclassificazione 8. L’attività operativa, come definita dal Codice e corrispondente alla gestione reddituale, comprende generalmente le operazioni connesse all’acquisizione, produzione e distribuzione di beni e alla fornitura di servizi, nonché le altre operazioni non ricomprese nell’attività di investimento e di finanziamento. Questo si7

Per approfondimenti sul principio contabile e sul rendiconto finanziario in generale, C. TEOIl rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015. 8 Nel paragrafo 24 sono riportati due semplici esempi di flussi da indicare distintamente: «i) nell’attività di investimento, i pagamenti effettuati per l’acquisizione di un’immobilizzazione dagli incassi derivanti dalla cessione di un’altra immobilizzazione; ii) nell’attività di finanziamento, le entrate derivanti dall’erogazione di nuovi finanziamenti dai pagamenti delle quote di rimborso». DORI,

La dimensione operativa della riclassificazione

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gnifica che nell’ambito della gestione reddituale vi sono valori che debbono essere riclassificati in più gestioni parziali: si considerino, a solo titolo esemplificativo, gli interessi attivi, gli interessi passivi e le imposte. Infatti, il ricorso alla gestione reddituale permette di ottenere un flusso assai sintetico e rappresentativo degli effetti indotti da tutte le operazioni generatrici di costi e ricavi: tuttavia, questa estrema sintesi è resa meno problematica nel principio, a seguito dell’identificazione di alcuni risultati intermedi che permettono di mettere in evidenza le componenti principali del flusso. In sintesi, lo schema permette di disporre dei flussi analitici relativi agli interessi pagati (impieghi gestione finanziaria), agli interessi incassati (fonti gestione patrimoniale), alle imposte sul reddito pagate (impieghi gestione tributaria), ai dividendi incassati (fonti gestione patrimoniale) e all’utilizzo di fondi (di norma gestione caratteristica corrente o non corrente), che possono essere riclassificati autonomamente nel modello proposto. Quando il flusso finanziario dell’attività operativa è invece determinato attraverso il metodo diretto, sono previste due voci generiche (altri incassi e pagamenti) che non rendono possibile l’immediata identificazione della gestione parziale, salvo ulteriori informazioni disponibili: generalmente sono correlati alla gestione caratteristica o patrimoniale. La seconda area, l’attività di investimento, comprende i flussi che derivano dall’acquisto e dalla vendita delle immobilizzazioni materiali e immateriali e delle attività finanziarie, immobilizzate e circolanti: l’attribuzione dei singoli flussi alle gestioni di riferimento, che in questo caso sono la caratteristica non corrente e la patrimoniale, è relativamente semplice. Questo è anche agevolato dal divieto di compensazione, che permette di conoscere le uscite per investimenti e le entrate per disinvestimenti. Interessante è la richiesta di indicare in modo autonomo, per la sua rilevanza, il flusso derivante dal corrispettivo pagato/incassato per l’acquisizione e la cessione di rami d’azienda, che potrebbe identificarsi anche come valore di natura straordinaria/eccezionale. La terza categoria è relativa all’attività di finanziamento, che comprende i flussi derivanti dalle operazioni di ottenimento e di rimborso delle disponibilità liquide sotto forma di capitale di rischio o di capitale di debito: il riferimento è alla gestione finanziaria, articolata per macro tipologia di finanziatore (esterno o socio). Per la costruzione di flussi completi, è anche necessario sommare valori contenuti in più parti del rendiconto: ad esempio, in questa categoria è inserita la sola quota capitale rimborsata, a cui devono sommarsi gli interessi passivi pagati classificati nell’attività operativa.

Sintesi In conclusione va ricordato, come già enunciato nella parte iniziale, che gli schemi riclassificati non sono soggetti a modifiche sostanziali a fronte di variazio-

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

ni negli schemi civilistici, poiché i primi devono essere coerenti con le finalità dell’analisi e con la tipologia dell’azienda. Secondariamente, non risulta possibile fissare automatismi “assoluti” e globalmente applicabili che colleghino le tavole di sintesi con gli schemi riclassificati: è la nota integrativa che permette di attuare tale raccordo in funzione del contenuto informativo suo proprio. Ciò nonostante, si ritiene fattibile la costruzione di prospetti con validità di prima approssimazione, che richiedono successivi riscontri con la nota integrativa. I paragrafi successivi, a differenza dei precedenti, sono esclusivamente operativi. L’obiettivo è porre a confronto gli schemi civilistici con i riclassificati, individuandone i collegamenti. È importante ben comprendere il significato di quanto si leggerà: le proposte formulate vanno intese come linee guida, poiché la corretta riclassificazione richiede la disponibilità della nota integrativa per interpretare al meglio i singoli valori. Pertanto, esse traggono origine dall’esperienza, nel senso che normalmente la classe di bilancio si riclassifica nell’area indicata 9. Tuttavia, ve ne sono alcune (tra cui quelle per le quali vi è un commento nel testo) per le quali un’univoca classificazione non è quasi mai possibile. Quando sono presenti delle alternative, sono da considerarsi tutte valide, purché si espliciti l’ipotesi sottostante. Per rendere più rapida la lettura è stato cancellato dalle tavole tutto ciò che non è significativo per lo scopo perseguito (ad esempio, i totali).

7.2. La riclassificazione del conto economico Nella Tabella 7.1 è riportato il conto economico nel quale, a fianco delle singole classi, è indicata la corrispondente voce riclassificata secondo lo schema a ricavi e costo del venduto. I valori vanno interpretati con il loro segno economico: ad esempio, la variazione delle rimanenze di prodotti finiti va ad aumentare il costo del venduto se in conto economico ha segno (–), cioè se le rimanenze iniziali sono maggiori delle finali; va a ridurlo se ha segno (+); un rimborso spese riclassificato nel costo del venduto, va a diminuirne il valore complessivo. Di seguito si commenta, quindi, il collegamento tra conto economico e schema riclassificato a ricavi e costo del venduto.  

9 In termini generali, per la riclassificazione non vi sono automatismi: se un’azienda manifatturiera ha anche la proprietà di un albergo, la quota di ammortamento, se conosciuta, andrebbe indicata nell’ambito della gestione complementare e accessoria e non nella caratteristica.

La dimensione operativa della riclassificazione

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Tabella 7.1. – Prospetto di raccordo tra conto economico e schema riclassificato a ricavi e costo del venduto Conto economico

Conto economico riclassificato 10

A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1) 2)

Ricavi delle vendite e delle prestazioni Ricavi netti Variazione delle rimanenze dei prodotti in Costo del venduto corso di lavorazione, semilavorati e finiti 3)  Variazione dei lavori in corso su ordinazione Costo del venduto 4)  Incrementi di immobilizzazioni per lavori Costo del venduto interni 5)  Altri ricavi e proventi – Contributi in c/esercizio Commento nel testo – Altri Commento nel testo B) COSTI DELLA PRODUZIONE 6)  Per materie prime, sussidiarie, di consumo Costo del venduto e di merci 7)  Per servizi Costo del venduto 8)  Per godimento di beni di terzi Costo del venduto/Ricorso metodo finanz. 9)  Per il personale a) salari e stipendi b) oneri sociali c) trattamento fine rapporto d) trattamento di quiescenza e simili e) altri costi 10)  Ammortamenti e svalutazioni a) amm.to immobilizzazioni immateriali b) amm.to immobilizzazioni materiali c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni

11)  12)  13) 14)

d) svalutaz. dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie di consumo e merci Accantonamenti per rischi Altri accantonamenti Oneri diversi di gestione

Costo del venduto

Costo del venduto Costo del venduto Costo del venduto/Componenti straordinari Costo del venduto Costo del venduto Costo del venduto/Componenti straordinari Costo del venduto/Componenti straordinari Commento nel testo

Differenza tra valore e costi della produzione (A – B) (Segue) 10

Come indicato nel testo, non si approfondirà per singole voci la possibile presenza di valori da classificare nei componenti straordinari.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI 15) Proventi da partecipazioni – in imprese controllate – in imprese collegate Gestione complementare/accessoria – in imprese controllanti – in imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri 16) Altri proventi finanziari a) da crediti iscritti nelle immobilizzazioni – da imprese controllate – da imprese collegate – da imprese controllanti – da imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni d) proventi diversi dai precedenti – da imprese controllate – da imprese collegate – da imprese controllanti – da imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri 17) Interessi ed altri oneri finanziari – verso imprese controllate – verso imprese collegate – verso imprese controllanti – verso altri 17-bis) Utili e perdite su cambi

Gestione complementare/accessoria

Gestione complementare/accessoria Gestione complementare/accessoria

Gestione complementare/accessoria

Oneri finanziari

Dipende dalla natura

D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITÀ E PASSIVITÀ FINANZIARIE

18) Rivalutazioni a) di partecipazioni b) di immobilizzazioni finanziarie che non Gestione complementare/accessoria costituiscono partecipazioni Componenti straordinari c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni d) di strumenti finanziari derivati (Segue)

La dimensione operativa della riclassificazione

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19) Svalutazioni a) di partecipazioni b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni Gestione complementare/accessoria c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che Componenti straordinari non costituiscono partecipazioni d) di strumenti finanziari derivati Risultato prima delle imposte 20) Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, Imposte/Componenti straordinari differite e anticipate 21) Utile (perdita) d’esercizio

A) VALORE DELLA PRODUZIONE a) I ricavi delle vendite e delle prestazioni sono già da considerarsi netti, in quanto rettificati da sconti, abbuoni, resi e premi su vendite. b) La variazione delle rimanenze e dei lavori in corso (rimanenze finali – rimanenze iniziali) sono inserite nel costo del venduto con il segno algebrico opposto a quello indicato nello schema civilistico 11. c) Gli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni riducono il costo del venduto, in quanto si sono utilizzate delle risorse non per l’attività operativa corrente ma per intervenire sulla capacità produttiva di utilizzo futuro. d) Per i contributi in conto esercizio è necessario definirne la specie (Tabella 7.2). Un esempio di contributi in conto esercizio è identificato nella quota parte di contributi in conto impianti: tale valore va a ridurre l’ammortamento, poiché quest’ultimo è calcolato sul costo d’acquisto del bene e non sul costo al netto del contributo. e) Come tutte le classi residuali, anche gli altri ricavi e proventi non permettono un’univoca classificazione: in Tabella 7.2 si prospettano le situazioni più ricorrenti. Negli altri ricavi e proventi trovano collocazione anche alcuni elementi in passato classificati nei componenti straordinari. Ad esempio, molte sopravvenienze attive e tutte le plusvalenze connesse a investimenti non finanziari, indipendentemente dalla loro causa generatrice (beni strumentali e non strumentali): la riclassificazione è analoga a quella sopra proposta. In generale, l’eliminazione della sezione di conto economico dedicata ai componenti straordinari richiede, per tutte le voci, di verificare con l’aiuto della nota 11 Se la variazione delle rimanenze è pari a + 50, significa che le finali superano le iniziali di 50: tale incremento del magazzino riduce il costo del venduto, in quanto i beni prodotti sono stati destinati al magazzino e i costi corrispondenti non sono correlati ai ricavi del periodo.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

integrativa, la presenza di valori con caratteristiche tali da richiedere un’autonoma classificazione 12. Tabella 7.2. – I contributi in c/esercizio e gli altri ricavi e proventi Contributi in conto esercizio Occasionali Relativi a costi di gestione caratteristica Relativi a oneri finanziari 13 Altri ricavi e proventi Fitti attivi Royalties Plusvalenze Provvigioni Rimborsi spesa Rivalutazione di immobilizzazioni 14 Sopravvenienze attive

Componenti straordinari Costo del venduto Oneri finanziari Gestione complementare/accessoria Ricavi netti Componenti straordinari Ricavi netti Costo del venduto Componenti straordinari/Costo del venduto Componenti straordinari

B) COSTI DELLA PRODUZIONE In linea generale i costi della produzione sono quasi totalmente di gestione caratteristica e, quindi, classificati nel costo del venduto. La lettura della nota integrativa permette di accertare l’esistenza di eventuali costi connessi ad altre gestioni (ad esempio, l’ammortamento di un bene non strumentale o accantonamenti non attinenti alla gestione tipica), anche se raramente vi sono informazioni in tal senso. Fa eccezione alla regola generale quanto scritto nel prosieguo oltre, evidentemente, la problematica dei componenti straordinari. a) Costo per godimento di beni di terzi: si ricorda la possibilità di classificare i canoni di leasing secondo il metodo finanziario. In questo caso, nel costo del venduto, ci sarebbe solo la quota di ammortamento del bene. b) Svalutazione delle immobilizzazioni: si tratta di un’operazione poco frequente, sovente generata da fenomeni molto particolari, non sempre prevedibili e controllabili. Anche se questi due elementi di per sé non risultano sufficienti per escludere il valore dalla gestione caratteristica, si propende per una loro riclassi12

Tale problematica non sarà più ripetuta nelle pagine successive. Per approfondire la questione, si veda il nuovo principio contabile OIC n. 12. 13 Correttamente, nel conto economico, tali contributi dovrebbero già essere a riduzione degli oneri finanziari e non comparire autonomamente. 14

Si fa riferimento alle rivalutazioni necessarie per ripristinare una svalutazione. La scelta di riclassificazione deve essere coerente con quella relativa alla precedente svalutazione.

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ficazione nei componenti straordinari, in quanto non sempre le cause sottostanti alla svalutazione si manifestano nel medesimo periodo in cui si effettua. Tuttavia, se le informazioni evidenziano una perdita di valore del periodo, la collocazione è nel costo del venduto. Si vuole, inoltre, richiamare una situazione che, seppur non possibile nella normativa italiana, permette di comprendere il ragionamento sottostante alla proposta di riclassificazione. Si fa riferimento ai principi contabili internazionali e all’assenza di ammortamento dell’avviamento, sottoposto a impairment test. In questo caso appare immediata la riclassificazione dell’eventuale perdita di valore all’interno del costo del venduto, in quanto di competenza del periodo poiché la verifica deve essere effettuata annualmente. c) Nell’ambito degli accantonamenti va prestata molta attenzione alla causa generatrice: infatti, ve ne sono alcuni direttamente connessi a operazioni del periodo (ad esempio l’accantonamento garanzia prodotti) mentre altri potrebbero fare riferimento a eventi manifestatasi in anni precedenti (ad esempio alcuni accontamenti per contenziosi). d) Per gli oneri diversi di gestione si presenta uno schema con alcuni esempi (Tabella 7.3). Tabella 7.3. – Gli oneri diversi di gestione Perdite su crediti esercizio Perdite su crediti esercizi precedenti Minusvalenze Altri costi operativi Sopravvenienze passive

Costo del venduto Componenti straordinari Componenti straordinari Costo del venduto Componenti straordinari

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI a) Per quanto attiene i punti 15 e 16 del conto economico, la riclassificazione dei valori avviene nella gestione complementare e accessoria, ad eccezione dei proventi diversi per i quali è necessario un approfondimento. All’interno di tale classe sono contenuti anche gli interessi attivi su crediti (di funzionamento) a breve: la collocazione proposta in Tabella 7.1 è corretta solamente se la loro natura è occasionale. b) Gli interessi e altri oneri finanziari sono completamente riconducibili alla gestione finanziaria. Al valore contenuto nella tavola civilistica, potrebbero aggiungersi quelli connessi alle operazioni di leasing, se riclassificate con il metodo finanziario. In questi due punti (a e b) trovano anche collocazione le plusvalenze e le minusvalenze da cessione di titoli e partecipazioni, la cui natura potrebbe essere ritenuta straordinaria. c) Gli utili e le perdite su cambi possono fare riferimento sia alla gestione tipi-

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

ca sia ad altre gestioni (patrimoniale o finanziaria): se relativi ad operazioni di acquisto e vendita contribuiscono alla determinazione del reddito operativo di gestione caratteristica. D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITÀ FINANZIARIE Al riguardo occorre distinguere: a) rivalutazioni. Sono generalmente connesse a due cause: la prima riguarda precedenti svalutazioni per le quali sono venute meno le ragioni; la seconda (per le sole partecipazioni immobilizzate) è relativa all’applicazione del criterio di valutazione del patrimonio netto. In entrambi i casi la riclassificazione è nella gestione complementare e accessoria (salvo che la precedente svalutazione sia stata considerata, per ragioni particolari, straordinaria); b) svalutazioni. È il riconoscimento di un minor valore degli investimenti di gestione patrimoniale e in quest’ultima si riclassificano. Potrebbe sorgere qualche perplessità sul differente trattamento tra le svalutazioni in oggetto e quelle associate a immobilizzazioni materiali e immateriali. In realtà non vi è contraddizione, in quanto la possibilità e la ricorrenza della svalutazione di un titolo o di una partecipazione è assai più frequente e dipendente, in non pochi casi, da fenomeni ordinari 15; c) in merito alle svalutazioni e rivalutazioni di strumenti finanziari derivati, è necessario individuarne la natura, così da collocare il valore nella medesima gestione a cui si riferisce l’attività (strumento) finanziaria sottostante. IMPOSTE SUL REDDITO DELL’ESERCIZIO Ad evidenza, si tratta di valori riconducibili totalmente (imposte correnti, differite, anticipate) all’area tributaria, dunque inseribili nell’aggregato Imposte. In questa voce trovano anche collocazione le imposte di esercizi precedenti e gli accantonamenti a fronte di contenziosi specifici: questi valori sono di natura straordinaria. Per completezza espositiva, l’operazione di raccordo viene anche effettuata tra conto economico e schema riclassificato a valore della produzione e valore aggiunto, con alcuni commenti relativi alla sola gestione caratteristica (Tabella 7.4) 16.  

15 Per le immobilizzazioni materiali e immateriali, l’ammortamento e la svalutazione sono due modalità per misurare la perdita di valore del bene, la prima ordinaria e la seconda straordinaria. Per le immobilizzazioni finanziarie, l’unica modalità è la svalutazione che assume, pertanto, natura di ordinarietà. 16 Per evitare ripetizioni, per alcuni valori si veda quanto scritto per il modello precedente.

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La dimensione operativa della riclassificazione

Tabella 7.4. – Prospetto di raccordo tra conto economico e schema riclassificato a valore della produzione e valore aggiunto Conto economico

Conto economico riclassificato 17

A) VALORE DELLA PRODUZIONE 1)

Ricavi delle vendite e delle prestazioni

Valore della produzione

2)

Variazione delle rimanenze dei prodotti in corso di lavorazione, semilavorati e finiti

Valore della produzione

3)

Variaz. dei lavori in corso su ordinazione

Valore della produzione

4)

Incrementi di immobilizzazioni per lavori Valore della produzione interni

5)

Altri ricavi e proventi – Contributi in c/esercizio – Altri

Commento nel testo Commento nel testo

B) COSTI DELLA PRODUZIONE 6) 7) 8) 9)

10)

11) 12) 13) 14)

Per materie prime, sussidiarie, di consumo e di merci Per servizi Per godimento di beni di terzi Per il personale a) salari e stipendi b) oneri sociali c) trattamento fine rapporto d) trattamento di quiescenza e simili e) altri costi Ammortamenti e svalutazioni a) amm.to immobilizzazioni immateriali b) amm.to immobilizzazioni materiali c) altre svalutazioni delle immobilizzazioni d) svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle disponibilità liquide Variazioni delle rimanenze di materie prime, sussidiarie di consumo e merci Accantonamenti per rischi Altri accantonamenti Oneri diversi di gestione

Costi esterni Costi esterni Costi esterni/Costi “interni”

Costo lavoro

Ammortamenti/Accantonamenti Ammortamenti/Accantonamenti Componenti straordinari o Ammortamenti/ Accantonamenti Ammortamenti/Accantonamenti Costi esterni Ammortamenti/Accantonamenti/Componenti straordinari Commento nel testo

Differenza tra valore e costi della produzione (A – B) (Segue) 17

Come indicato nel testo, non si specificherà per singole voci la possibile presenza di valori da classificare nei componenti straordinari.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

C) PROVENTI E ONERI FINANZIARI 15) Proventi da partecipazioni – in imprese controllate – in imprese collegate – in imprese controllanti – in imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri 16) Altri proventi finanziari a) da crediti iscritti nelle immobilizzaz. – da imprese controllate – da imprese collegate – da imprese controllanti – da imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri b) da titoli iscritti nelle immobilizzazioni che non costituiscono partecipazioni c) da titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni d) proventi diversi dai precedenti – da imprese controllate – da imprese collegate – da imprese controllanti – da imprese sottoposte al controllo delle controllanti – altri 17) Interessi ed altri oneri finanziari – verso imprese controllate – verso imprese collegate – verso imprese controllanti – verso altri 17-bis) Utili e perdite su cambi

Gestione complementare/accessoria

Gestione complementare/accessoria

Gestione complementare/accessoria Gestione complementare/accessoria

Gestione complementare/accessoria

Oneri finanziari

Dipende dalla natura

D) RETTIFICHE DI VALORE DI ATTIVITÀ E PASSIVITÀ FINANZIARIE

18) Rivalutazioni a) di partecipazioni b) di immobilizzazioni finanziarie che non Gestione complementare/accessoria costituiscono partecipazioni c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni d) di strumenti finanziari derivati (Segue)

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19) Svalutazioni a) di partecipazioni b) di immobilizzazioni finanziarie che non costituiscono partecipazioni Gestione complementare/accessoria c) di titoli iscritti nell’attivo circolante che non costituiscono partecipazioni d) di strumenti finanziari derivati Risultato prima delle imposte 20) Imposte sul reddito dell’esercizio, correnti, Imposte/Componenti straordinari differite e anticipate 21) Utile (perdita) d’esercizio

A) VALORE DELLA PRODUZIONE a) Il valore della produzione non coincide con quello riclassificato, in quanto solamente le prime quattro classi (ricavi, variazione delle rimanenze, variazione dei lavori in corso su ordinazione, incrementi di immobilizzazioni per lavori interni) sono attribuibili senza ipotesi all’aggregato in oggetto. In merito agli incrementi di immobilizzazioni per lavori interni sono parte integrante del valore della produzione solamente nel caso in cui facciano riferimento a beni di concreto utilizzo futuro. In caso contrario, essi vanno a diretta rettifica della classe di costo corrispondente. b) Per i contributi in conto esercizio valgono considerazioni analoghe alle precedenti: unico aspetto di differenziazione riguarda i contributi sui costi relativi alla gestione caratteristica. Nello schema precedente, essi andavano a rettificare globalmente il costo del venduto (anche se nulla vieta di portarli a riduzione diretta di una specifica classe) in quanto tutti i costi caratteristici erano in esso contenuti. Nell’ambito di questo secondo modello, invece, si è visto che i costi sono suddivisi in esterni e interni: per tale ragione la collocazione dipende dalla tipologia di evento che ha generato il contributo, cioè dalla specie di fattore produttivo a cui sono correlati (Tabella 7.5). c) Per gli altri ricavi e proventi si fa riferimento alla Tabella 7.6. Nel valore della produzione e, in particolare, a incremento dei ricavi (anche se possono essere indicati autonomamente) vi sono le royalties e le provvigioni attive. I rimborsi spesa rettificano la classe di costo corrispondente, di norma appartenente ai costi esterni o al costo del lavoro.  

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 7.5. – I contributi in conto esercizio Occasionali Relativi a costi gestione caratteristica Relativi a oneri finanziari

Componenti straordinari Dipende dalla tipologia di costo Oneri finanziari

Tabella 7.6. – Gli altri ricavi e proventi Fitti attivi Royalties Plusvalenze Provvigioni Rimborsi spesa Rivalutazione di immobilizzazioni Sopravvenienze attive

Gestione complementare/accessoria Valore della produzione Componenti straordinari Valore della produzione Dipende dalla tipologia di costo Componenti straordinari/Costi interni Componenti straordinari

B) COSTI DELLA PRODUZIONE Nell’aggregato si individuano tutti i costi esterni e interni connessi alla gestione caratteristica. In particolare vi sono tre aree dello schema riclassificato in cui vengono inseriti: 1. costi esterni, tra valore della produzione e valore aggiunto; 2. costo del lavoro (costo interno), tra valore aggiunto e margine operativo lordo; 3. ammortamenti/accantonamenti, tra margine operativo lordo e reddito operativo della gestione caratteristica: in relazione a questi ultimi si ricorda che nel caso ve ne siano alcuni di altre gestioni, ad esse vanno ricondotti. a) I costi per godimento di beni di terzi sono generalmente considerati esterni, anche se qualche dubbio sussiste soprattutto per i canoni di leasing. Ciò sorge dal fatto che i costi interni sono definiti come costi strutturali: se si riflette sui beni in leasing, è solamente la forma di rilevazione contabile utilizzata in Italia che li esclude da tale categoria. In altri termini, si tratta di beni strumentali disponibili all’impresa (anche se non di proprietà) che non compaiono in bilancio solamente per una convenzione contabile e non per ragioni economiche. A tale ragionamento se ne può facilmente contrapporre un secondo, in base al quale si sostiene che tali beni, strumentali a tutti gli effetti, sono soggetti al rischio di un’improvvisa indisponibilità, a seguito del mancato pagamento delle obbligazioni contrattuali: si tratterebbe, pertanto, di un “servizio” esterno a medio-lungo termine, acquisito e disponibile con i pagamenti statuiti. Tuttavia, l’improvvisa indisponibilità può aversi anche a fronte del mancato rimborso delle rate in scadenza di un mutuo, quando questo è assistito da una garanzia reale. Va, infine, ricordato che il cano-

La dimensione operativa della riclassificazione

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ne di leasing comprende una quota di interessi ed è sempre superiore al corrispondente ammortamento. In definitiva, pur ritenendo entrambe le scelte di riclassificazione corrette, si propende per la scelta “interna”. Tutto ciò, evidentemente, solo nel caso in cui non si proceda alla riclassificazione secondo il metodo finanziario (soluzione da privilegiare). b) Per gli oneri diversi di gestione si fa riferimento alla Tabella 7.7. Tabella 7.7. – Gli oneri diversi di gestione Perdite su crediti dell’esercizio Perdite su crediti di esercizi precedenti Minusvalenze Altri costi operativi Sopravvenienze passive

Costi esterni Componenti straordinari Componenti straordinari Costi esterni Componenti straordinari

7.3. La riclassificazione dello stato patrimoniale La finalità perseguita è identica a quella esposta nel paragrafo precedente. L’enfasi è sullo schema riclassificato secondo il criterio finanziario, in quanto maggiormente impiegato nella realtà, anche se brevi cenni verranno formulati sulla pertinenza gestionale. Alcune osservazioni renderanno la lettura più agevole. a) Le indicazioni tra parentesi attribuiscono al valore la funzione di ridurre l’aggregato di riferimento. b) Quando sono riportate due proposte, significa che entrambe sono percorribili in termini di classificazione: dipende dal caso concreto. c) Nell’ambito dei crediti e dei debiti, va prestata particolare attenzione alla parte scadente entro (a breve) e oltre l’esercizio (a lungo). In Tabella 7.8 è riportato il prospetto di raccordo tra stato patrimoniale e tavola riclassificata secondo il criterio della liquidità/esigibilità.  

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 7.8. – Prospetto di raccordo tra stato patrimoniale e schema riclassificato secondo il criterio finanziario Stato patrimoniale A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI

Stato patrimoniale riclassificato (Mezzi propri)/Liquidità differite

B) IMMOBILIZZAZIONI I – Immobilizzazioni immateriali 1) Costi di impianto e di ampliamento 2) Costi di sviluppo 3) Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno 4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili 5) Avviamento 6) Immobilizzazioni in corso e acconti 7) Altre II – Immobilizzazioni materiali 1) Terreni e fabbricati 2) Impianti e macchinario 3) Attrezzature industriali e commerciali 4) Altri beni 5) Immobilizzazioni in corso e acconti III – Immobilizzazioni finanziarie 1) Partecipazioni in: a) imprese controllate b) imprese collegate c) imprese controllanti d) imprese sottoposte al controllo delle controllanti d-bis) altre imprese 2) Crediti a) verso imprese controllate – esigibili oltre esercizio successivo – esigibili entro esercizio successivo b) verso imprese collegate – esigibili oltre esercizio successivo – esigibili entro esercizio successivo c) verso controllanti – esigibili oltre esercizio successivo – esigibili entro esercizio successivo d) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti

Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni immateriali/finanziarie Immobilizzazioni immateriali Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni materiali Immobilizzazioni materiali/finanziarie

Immobilizzazioni finanziarie

Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite

(Segue)

La dimensione operativa della riclassificazione – esigibili oltre esercizio successivo – esigibili entro esercizio successivo d-bis) verso altri – esigibili oltre esercizio successivo – esigibili entro esercizio successivo 3) Altri titoli 4) Strumenti finanziari derivati attivi

133

Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Immobilizzazioni finanziarie

C) ATTIVO CIRCOLANTE I – Rimanenze 1) Materie prime, sussidiarie e di consumo 2) Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati Disponibilità 3) Lavori in corso su ordinazione 4) Prodotti finiti e merci 5) Acconti II – Crediti 1) Verso clienti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 2) Verso imprese controllate – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 3) Verso imprese collegate – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 4) Verso controllanti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 5) Verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 5-bis) Crediti tributari – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 5-ter) Imposte anticipate – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 5-quater) Verso altri – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo

Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie

Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Commento nel testo Commento nel testo (Segue)

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi III – Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 1) Partecipazioni in imprese controllate 2) Partecipazioni in imprese collegate 3) Partecipazioni in imprese controllanti 3-bis) Partecipazioni in imprese sottoposte al controllo delle controllanti 4) Altre partecipazioni 5) Strumenti finanziari derivati attivi 6) Altri titoli IV – Disponibilità liquide 1) Depositi bancari e postali 2) Assegni 3) Danaro e valori in cassa

D) RATEI E RISCONTI – Ratei – Risconti

Liquidità differite Liquidità differite Liquidità differite Liquidità differite Liquidità differite Liquidità differite Liquidità differite/Liquidità immediate Liquidità immediate Liquidità immediate Liquidità immediate Liquidità differite/Immobilizzazioni Disponibilità/Immobilizzazioni

A) PATRIMONIO NETTO I) II) III) IV) V) VI) VII)

Capitale Riserva da sovrapprezzo azioni Riserve di rivalutazione Riserva legale Riserve statutarie Altre riserve Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi VIII) Utili (perdite) portati a nuovo IX) Utile (perdita) dell’esercizio X) Riserva negativa per azioni proprie in portafoglio B)  FONDI PER RISCHI ED ONERI 1) Per trattamento di quiescenza ed obblighi simili 2) Per imposte, anche differite 3) Strumenti finanziari derivati passivi 4) Altri C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO

Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri/Esigibilità Mezzi propri

Passivo medio-lungo termine Passivo medio-lungo termine Passivo medio-lungo termine/Esigibilità Commento nel testo Passivo medio-lungo termine (Segue)

La dimensione operativa della riclassificazione D)  DEBITI 1) Obbligazioni – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 2) Obbligazioni convertibili – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 3) Debiti verso soci per finanziamenti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 4) Debiti verso banche – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 5) Debiti verso altri finanziatori – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 6) Acconti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 7) Debiti verso fornitori – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 8) Debiti rappresentati da titoli di credito – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 9) Debiti v/imprese controllate – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 10) Debiti v/imprese collegate – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 11) Debiti v/controllanti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 11-bis) Debiti v/imprese sottoposte al controllo delle controllanti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 12) Debiti tributari – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo

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Esigibilità Passivo medio-lungo/Mezzi propri Esigibilità Passivo medio-lungo/Mezzi propri Esigibilità Passivo medio-lungo/Mezzi propri Liquidità negative/Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine (Disponibilità)/Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine

Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine (Segue)

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi 13) Debiti v/istituti di previdenza e sicurezza sociale – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo 14) Altri debiti – esigibili entro esercizio successivo – esigibili oltre esercizio successivo

Esigibilità Passivo medio-lungo termine Esigibilità Passivo medio-lungo termine

E)  RATEI E RISCONTI – Ratei – Risconti

Esigibilità/Passivo a medio-lungo Esigibilità/Passivo a medio-lungo/(Attivo fisso netto)

A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI L’ipotesi più restrittiva e prudente (riduzione dei mezzi propri) parte dal presupposto che non essendo totalmente versato, il capitale sociale iscritto nello stato patrimoniale è “sovradimensionato” e, pertanto, va ridotto. Questo ragionamento è sovente seguito dagli enti finanziatori, i quali in fase di riclassificazione attuano una serie di scelte finalizzate alla valutazione, la più cauta possibile, della solvibilità dell’impresa. In alternativa e, soprattutto se già richiamato, va considerato come una futura entrata e inserito nelle liquidità differite. B) IMMOBILIZZAZIONI Le immobilizzazioni sono riclassificate nell’attivo fisso netto, nell’ambito della specifica categoria di appartenenza. A fronte di questo principio generale vi sono alcune eccezioni, di seguito commentate. a) Gli acconti sono da inserire nelle immobilizzazioni finanziarie, poiché questa è la loro natura. Si pensi a un acconto versato a fronte dell’acquisto (di cui è già stato stipulato il contratto) di un impianto: è un’operazione del ciclo monetario e, quindi, con valenza finanziaria. Inoltre, il valore indicato in stato patrimoniale può divergere notevolmente da quello dell’impianto, che sarà rilevato al momento di inizio del ciclo economico. Infine, con tale proposta, il valore delle immobilizzazioni materiali è rappresentativo dei beni esistenti in impresa (ad eccezione di quelli in leasing, salvo si applichi il metodo finanziario) o in fase di costruzione (immobilizzazioni in corso). b) I crediti, qualora esistano i presupposti, sono suddivisi in due parti: esigibili entro e oltre l’esercizio successivo. Non vi sono, quindi, difficoltà nella riclassificazione: un credito è classificato a breve (liquidità differite) se scadente entro un anno oppure se la scadenza è inferiore alla lunghezza del ciclo operativo (medio o normale). Di tali crediti l’analista deve cercare di comprenderne la qualità (in termini di congruità del fondo svalutazione) e stabilire, data l’attività svolta, l’eventuale esistenza di diritti alla restituzione della merce. Nel caso in cui non vi siano ripartizioni in base alla scadenza, si presuppone la media/lunga durata.

La dimensione operativa della riclassificazione

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c) Le partecipazioni, gli altri titoli e gli strumenti finanziari derivati attivi sono iscritti sia nel circolante sia nelle immobilizzazioni: rilevante non è, pertanto, la tipologia di investimento ma la destinazione scelta dal management, che si rileva proprio dalla collocazione nello stato patrimoniale. Ad esempio, un titolo di Stato è da ritenersi a breve se gli amministratori lo considerano come investimento temporaneo e, a cagione di ciò, lo rilevano nell’ambito del circolante; a lungo se ritenuto fonte di proventi accessori e detenuto fino alla scadenza, nel qual caso in bilancio viene inserito nelle immobilizzazioni finanziarie. L’analista non può che seguire l’impostazione scelta dal redattore del bilancio, anche se è cosciente che un titolo classificato nelle immobilizzazioni l’anno successivo potrà essere venduto in caso di necessità finanziarie o di convenienza economica: della natura dei titoli si terrà conto in fase di interpretazione della situazione di liquidità (riserva di liquidità “potenziale”). Inoltre, va prestata attenzione alle possibili politiche di bilancio insite nella collocazione in stato patrimoniale dell’investimento, poiché cambia il criterio valutativo 18: un’analisi temporale della nota integrativa è utile per valutare il grado di credibilità delle scelte di classificazione attuate. Resta inteso che se esistono vincoli alla disponibilità del titolo, la riclassificazione è sempre nelle immobilizzazioni finanziarie. In sintesi, i titoli a breve scadenza non possono che essere riclassificati nelle liquidità differite (o nelle immediate); i titoli a lunga scadenza nelle attività a breve se destinati alla vendita e nelle immobilizzazioni finanziarie se detenuti fino a scadenza o per periodi lunghi; le partecipazioni di controllo e di collegamento nelle immobilizzazioni finanziarie salvo che si preveda l’alienazione nel periodo futuro; per le altre partecipazioni dipende dalla finalità per cui sono state acquisite. C) ATTIVO CIRCOLANTE a) Le rimanenze sono incluse, nella loro globalità, all’interno delle disponibilità. b) Per i crediti, vale quanto annotato in merito alle immobilizzazioni finanziarie: la parte a breve è inserita nelle liquidità differite. A differenza del caso precedente, se non vi sono suddivisioni in base alla scadenza, si presuppone la breve durata. I crediti verso altri, come tutte le classi residuali, debbono essere attentamente esaminati, poiché il loro contenuto potrebbe prestarsi a riclassificazioni in più aggregati. Considerando che i valori esigibili oltre l’esercizio successivo vanno ricondotti alle immobilizzazioni finanziarie, nella Tabella 7.9 si propongono alcuni esempi. In merito all’acconto per imposte dirette, va mantenuto nell’attivo solamente nella misura in cui l’impresa è in perdita o in credito di imposta: in tal caso la destinazione è nelle liquidità differite se si presume la realizzabilità nel futuro prossimo; nelle immobilizzazioni finanziarie in caso contrario. 18 L’art. 2426 prevede l’immediata svalutazione dei titoli e delle attività finanziarie iscritte nel circolante se il valore di realizzazione desumibile dall’andamento del mercato è minore del costo di acquisto. L’iscrizione nelle immobilizzazioni, invece, prevede la svalutazione solamente nel caso in cui il minor valore risulti durevole.

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 7.9. – I crediti verso altri Credito IVA Depositi cauzionali Crediti v/dipendenti

Liquidità differite Immobilizzazioni finanziarie Liquidità differite

c) Anche per le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni vale quanto già riferito. Da rilevare che la classe Altri titoli potrebbe essere riclassificata anche nelle liquidità immediate, se si trattasse di cash equivalent. d) Le disponibilità liquide sono liquidità immediate. D) RATEI E RISCONTI Per i ratei e risconti attivi, la prima analisi da compiere è sulla loro natura: nel caso in cui si tratti di valori comuni a più di due esercizi, vanno riclassificati nelle immobilizzazioni, coerentemente all’operazione economica sottostante 19. In caso contrario (comuni a due esercizi) i ratei sono inseriti nelle liquidità differite (crediti in corso di formazione); i risconti nelle disponibilità (“crediti” di servizi). A) PATRIMONIO NETTO Non vi sono particolari difficoltà per quanto attiene tale area, in quanto il contenuto coincide con quello riclassificato, ad eccezione della quota di utile destinata alla distribuzione (dividendi deliberati), ricondotta alle esigibilità, come l’eventuale dividendo deliberato su utili di esercizi precedenti. B) FONDI PER RISCHI ED ONERI I primi due fondi sono sostanzialmente a medio-lungo termine, anche se per il fondo imposte differite è necessario formulare alcune osservazioni. Vi sono due possibili opzioni: nel passivo a medio-lungo termine e nei mezzi propri. La prima trae origine dal fatto che il fondo deriva dall’esistenza di differenze temporanee tra reddito civilistico e fiscale che permettono, appunto, il differimento della tassazione: si tratta, quindi, di un debito, esigibile nel futuro. La seconda proposta, invece, parte dal presupposto che un’impresa raramente paga totalmente le imposte differite: se, ad esempio, si presume che essa potrà beneficiare di ulteriori differimenti, il fondo dovrebbe stabilizzarsi. Partendo da tale supposizione si sostiene, quindi, di riclassificare il fondo nei mezzi propri. A parere di chi scrive, vista la difficoltà per l’analista esterno di interpretare il fondo in oggetto, si propone l’inclusione nei debiti, all’interno delle passività consolidate. Inoltre, in ciascun fondo potrebbe, almeno teoricamente, essere identificata una quota a breve, anche se le informazioni disponibili non permettono tale suddivisione. 19

Ad esempio, il risconto attivo sul maxi canone di leasing va inserito nelle immobilizzazioni finanziarie.

La dimensione operativa della riclassificazione

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Per il fondo relativo agli strumenti finanziari, la collocazione è funzione della scadenza. Gli altri fondi per rischi ed oneri sono una classe dal contenuto assai eterogeneo (molto dipende dalla tipologia di attività svolta): non è quindi possibile definire un’unica collocazione ma diviene essenziale valutarne, di volta in volta, le caratteristiche specifiche. In Tabella 7.10 si forniscono alcuni esempi. Tabella 7.10. – Gli altri fondi per rischi e oneri Fondo oscillazione cambi Fondo garanzia prodotti Fondo operazioni concorsi a premio Fondo contenzioso … Fondo rischi ambientali Fondi manutenzione Fondi rischi generici

Esigibilità/Passivo medio-lungo/(Liquidità differite) Esigibilità Esigibilità Esigibilità/Passivo medio-lungo Esigibilità/Passivo medio-lungo Esigibilità/Passivo medio-lungo Mezzi propri

Per il fondo oscillazione cambi è necessario individuare con attenzione la causa generatrice. Il primo momento valutativo consiste nel definire se è correlato alla gestione tipica, finanziaria o complementare/accessoria. Nel primo caso può derivare da operazioni di vendita, di acquisto o da entrambe. Se connesso ad operazioni di vendita va a ridurre i crediti verso clienti; se correlato a operazioni di acquisto a incrementare i debiti verso fornitori; se, infine, è comune, va ipotizzata la causa prevalente: quando ciò non fosse possibile si riclassifica nelle esigibilità. Nel secondo caso segue il debito a cui si riferisce; nel terzo il credito. Il fondo garanzia prodotti è un fondo a breve, anche se la copertura si estende su più anni, in quanto in ogni momento può essere oggetto di utilizzo. Nell’ambito dei fondi per contenzioso vi possono essere comprese molteplici fattispecie: in funzione delle informazioni disponibili, sono riclassificati a breve o a medio-lungo, con preferenza verso quest’ultima destinazione in mancanza di dati specifici. Analogo ragionamento per il fondo rischi ambientali. I fondi rischi generici sono riclassificati nei mezzi propri poiché si tratta di riserve di utili, cioè costituiti con destinazioni di utili non effettuate in sede assembleare ma al momento della determinazione del reddito. C) TRATTAMENTO FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO La classe di valori in oggetto configura un tipico debito a medio-lungo termine, a meno della specifica indicazione dell’importo da corrispondere nell’anno successivo, ad esempio per raggiunti limiti di età da parte di alcuni dipendenti.

140

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

D) DEBITI Il criterio base è riclassificare i debiti esigibili entro l’esercizio successivo nel passivo a breve mentre i debiti esigibili oltre l’esercizio successivo nel passivo a medio-lungo termine. A tale criterio, possono fare eccezione alcune classi di seguito richiamate. Le obbligazioni, come già precisato a proposito del conto economico (in relazione agli interessi passivi), sono inserite nei mezzi propri se sottoscritte dai soci (ad eccezione della quota a breve). Per i debiti verso soci vale un discorso analogo a quello del prestito obbligazionario. Particolare attenzione va riservata ai debiti verso banche, poiché comprendono i debiti a breve (liquidità negative), quote di debiti a medio-lungo in scadenza (esigibilità), debiti consolidati (passivo a medio-lungo termine): per tale scomposizione è indispensabile la nota integrativa, in quanto il valore esigibile entro l’esercizio successivo comprende le prime due tipologie citate. Gli acconti ricevuti dai clienti rappresentano un debito solamente qualora l’impresa non assolva la propria obbligazione: non si tratta, pertanto, di una futura uscita. Generalmente sono portati a riduzione dell’attivo a breve e, in particolare delle disponibilità. La ragione risiede nel fatto che l’impresa, in tale aggregato, ha iscritto il bene a cui l’acconto si riferisce: è pertanto logico ridurne il valore per la parte già incassata. L’inserimento nelle disponibilità deriva dal fatto che il bene di cui si argomenta è prevalentemente riconducibile alle rimanenze 20. Vi sono, tuttavia, anche acconti di altra specie: ad esempio, un abbonamento annuale o pluriennale rilevato da un’impresa editoriale o sportiva. In tal caso la riclassificazione avviene in funzione della durata. E) RATEI E RISCONTI Per i ratei ed i risconti passivi, vale quanto esposto a proposito dei corrispondenti valori attivi a cui si rimanda. Un caso particolare si presenta qualora nei risconti passivi siano inseriti i contributi in conto impianti, che negli esercizi futuri verranno attribuiti a conto economico in funzione del piano di ammortamento dei beni a cui pertengono: la riclassificazione, coerentemente con quanto proposto trattando del conto economico, è a riduzione delle immobilizzazioni materiali. Nella Tabella 7.11, infine, viene riportato il prospetto di raccordo con lo stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio della pertinenza gestionale. Le correlazioni si presentano più complesse rispetto alle precedenti, per le ragioni richiamate in fase di commento del modello (paragrafo 4.3).

20

Casi tipici si hanno nelle imprese edili e operanti per commesse pluriennali.

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La dimensione operativa della riclassificazione

Tabella 7.11. – Prospetto di raccordo tra stato patrimoniale e schema riclassificato secondo la pertinenza gestionale Stato patrimoniale A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI

Stato patrimoniale riclassificato (Mezzi propri)/Attività extra caratteristiche

B) IMMOBILIZZAZIONI I – Immobilizzazioni immateriali 1) Costi di impianto e di ampliamento 2) Costi di sviluppo 3) Diritti di brevetto industriale e diritti di utilizzazione delle opere dell’ingegno 4) Concessioni, licenze, marchi e diritti simili 5) Avviamento 6) Immobilizzazioni in corso e acconti 7) Altre II – Immobilizzazioni materiali 1) Terreni e fabbricati 2) Impianti e macchinario 3) Attrezzature industriali e commerciali 4) Altri beni 5) Immobilizzazioni in corso e acconti III – Immobilizzazioni finanziarie 1) Partecipazioni in: a) imprese controllate b) imprese collegate c) imprese controllanti d) imprese sottoposte al controllo delle controllanti d-bis) altre imprese 2) Crediti a) verso imprese controllate b) verso imprese collegate c) verso controllanti d) verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti d-bis) verso altri 3) Altri titoli 4) Strumenti finanziari derivati attivi

Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti/Attività extra caratteristiche Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti Attività operative non correnti/Attività extra caratteristiche

Attività operative non correnti Attività extra caratteristiche

Attività operative non correnti Attività extra caratteristiche

Attività extra caratteristiche Attività extra caratteristiche (Segue)

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

C) ATTIVO CIRCOLANTE I – Rimanenze 1) Materie prime, sussidiarie e di consumo 2) Prodotti in corso di lavorazione e semilavorati Attività operative correnti 3) Lavori in corso su ordinazione 4) Prodotti finiti e merci 5) Acconti II – Crediti 1) Verso clienti 2) Verso imprese controllate 3) Verso imprese collegate 4) Verso controllanti 5) Verso imprese sottoposte al controllo delle controllanti 5-bis) Crediti tributari 5-ter) Imposte anticipate 5-quater) Verso altri

Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività operative correnti Attività extra caratteristiche

III – Attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni 1) Partecipazioni in imprese controllate 2) Partecipazioni in imprese collegate 3) Partecipazioni in imprese controllanti 3-bis) Partecipazioni in imprese sottoposte al Attività extra caratteristiche controllo delle controllanti 4) Altre partecipazioni 5) Strumenti finanziari derivati attivi 6) Altri titoli IV – Disponibilità liquide 1) Depositi bancari e postali 2) Assegni 3) Danaro e valori in cassa

Attività extra caratteristiche

D) RATEI E RISCONTI – Ratei – Risconti

Attività operative/Attività extra caratteristiche

A) PATRIMONIO NETTO I) II) III)

Capitale Riserva da sovrapprezzo azioni Riserve di rivalutazione

Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri (Segue)

La dimensione operativa della riclassificazione IV) V) VI) VII)

Riserva legale Riserve statutarie Altre riserve Riserva per operazioni di copertura dei flussi finanziari attesi VIII) Utili (perdite) portati a nuovo IX) Utile (perdita) dell’esercizio X)

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Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri Mezzi propri

Mezzi propri Mezzi propri Passività non correlate attività operative Riserva negativa per azioni proprie in Mezzi propri portafoglio

B) FONDI PER RISCHI ED ONERI 1) Per trattamento di quiescenza ed obblighi simili 2) Per imposte, anche differite 3) Strumenti finanziari derivati passivi 4) Altri C) TRATTAMENTO DI FINE RAPPORTO DI LAVORO SUBORDINATO

Passività correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative

D) DEBITI 1)

Obbligazioni

2)

Obbligazioni convertibili

3)

Debiti verso soci per finanziamenti

4) 5)

Debiti verso banche Debiti verso altri finanziatori

6)

Acconti

7)

Debiti verso fornitori

8)

Debiti rappresentati da titoli di credito

9)

Debiti v/imprese controllate

10) Debiti v/imprese collegate 11) Debiti v/controllanti 11-bis) Debiti v/imprese sottoposte al controllo delle controllanti 12) Debiti tributari

Passività non correlate attività operative Mezzi propri Passività non correlate attività operative Mezzi propri Passività non correlate attività operative Mezzi propri Passività non correlate attività operative Passività non correlate attività operative (Attività operative correnti) Passività correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative Passività correlate attività operative (Segue)

144

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi 13) Debiti v/istituti di previdenza e sicurezPassività correlate attività operative za sociale Passività correlate attività operative 14) Altri debiti Passività non correlate attività operative

E) RATEI E RISCONTI – Ratei – Risconti

Passività correlate attività operative Passività non correlate attività operative (Attività operative)

A) CREDITI VERSO SOCI PER VERSAMENTI ANCORA DOVUTI Nel caso in cui i valori in oggetto non riducano i mezzi propri, sono da considerarsi extra caratteristici. B) IMMOBILIZZAZIONI Al riguardo occorre operare una distinzione tra: a) le immobilizzazioni materiali e immateriali, attività operative non correnti, salvo l’esistenza di beni non strumentali e con l’eccezione degli acconti; b) le immobilizzazioni finanziarie, che si prestano a più riclassificazioni, eccezion fatta per i titoli e per gli strumenti finanziari derivati. Ad esempio, le partecipazioni, soprattutto se di controllo e di collegamento, sono attribuibili alla gestione tipica non corrente. I crediti finanziari, invece, sono da considerarsi generalmente attività non caratteristiche. C) ATTIVO CIRCOLANTE In siffatto ambito si considerano: a) le rimanenze che sono inserite, nella loro globalità, all’interno delle attività operative correnti; b) i crediti che, se correttamente iscritti a bilancio, sono riconducibili alla gestione tipica corrente, in quanto della specie di funzionamento. Per la classe residuale vale quanto scritto in precedenza. Nel prospetto di raccordo non assume rilevanza il grado di liquidità ma la causa generatrice; c) le attività finanziarie che non costituiscono immobilizzazioni, di specie non caratteristica; d) le disponibilità liquide, per le quali valgono le osservazioni di cui al punto precedente. D) RATEI E RISCONTI Per una corretta riclassificazione dei ratei e dei risconti attivi, va individuata la natura, in quanto teoricamente riconducibili sia alla gestione caratteristica sia a quella non caratteristica.

La dimensione operativa della riclassificazione

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A) PATRIMONIO NETTO Come nello schema finanziario, non vi sono particolari difficoltà per quanto attiene tale area, in quanto il contenuto è analogo a quello riclassificato, ad eccezione della quota di utile destinata alla distribuzione (dividendi deliberati), riclassificata nelle passività non correlate alle attività operative. Ciò vale anche a fronte della distribuzione di utili di esercizi precedenti o di riserve. B) FONDI PER RISCHI ED ONERI Anche in questo caso, per la riclassificazione della classe residuale, è necessario verificare la natura specifica. C) TRATTAMENTO FINE RAPPORTO LAVORO SUBORDINATO Si tratta di un tipico debito correlato alla gestione caratteristica. D) DEBITI L’aggregato in oggetto richiede una suddivisione in due parti in base alla genesi del debito: finanziario e non finanziario. I debiti finanziari sono passività non correlate alle attività operative; i debiti di funzionamento (non finanziari) configurano invece passività correlate alle attività operative. Unica eccezione è rappresentata dagli acconti, che vanno portati a riduzione delle attività operative di gestione corrente o a incremento delle passività a essi correlate. E) RATEI E RISCONTI Per i ratei e i risconti passivi, vale quanto scritto a proposito di quelli attivi a cui si rinvia.

7.4. La riclassificazione del rendiconto finanziario La tavola, a differenza delle precedenti, presenta alcuni elementi distintivi, poiché all’interno della medesima vengono inserite anche talune elaborazioni per la determinazione di specifici flussi, i cui valori non sono oggetto di riclassificazione. Ad esempio, le variazioni dei valori del capitale circolante netto, utilizzati per passare da un flusso finanziario a un altro 21, non sono evidentemente da riclassificare, perché ciò che interessa è il flusso ottenuto. Nelle Tabelle 7.12 e 7.13 è riportato il prospetto di raccordo tra rendiconto finanziario (OIC n. 10) e schema riclassificato che, in base a quanto scritto, presenta una struttura differente rispetto alle altre tavole. 21

Il passaggio è tra il flusso finanziario prima delle variazioni del ccn (punto 2) e il flusso finanziario dopo le variazioni del ccn (punto 3), come previsti nello schema OIC n. 10.

146

Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Tabella 7.12. – Prospetto di raccordo tra rendiconto finanziario e schema riclassificato Rendiconto finanziario OIC

Rendiconto finanziario riclassificato

Modalità indiretta Flusso finanziario dopo le variazioni di ccn Modalità diretta Incassi da clienti Altri incassi (se tipici) Pagamenti a fornitori per acquisti e servizi Pagamenti al personale Altri pagamenti (se tipici)

Caratteristica corrente

Flussi entrata/uscita immobilizzazioni materiali e immateriali Utilizzo di fondi

Caratteristica non corrente

Flussi entrata/uscita immobilizzazioni finanziarie Flussi entrata/uscita attività finanziarie non immobilizzate Interessi incassati Dividendi incassati

Complementare e accessoria (patrimoniale)

Incremento/decremento debiti a breve v/banche Rimborso finanziamenti Accensione finanziamenti Interessi pagati Finanziaria Aumenti capitale a pagamento Rimborsi di capitale Cessione/acquisto azioni proprie Dividendi pagati (acconti) Imposte sul reddito pagate Acquisti/cessioni di rami d’azienda

Tributaria Straordinaria

Va premesso, anche tenendo conto della relativa novità della tavola, che l’effettiva possibilità di una completa riclassificazione dipende dal livello di dettaglio del rendiconto pubblicato e dalle eventuali informazioni a supporto dello stesso. a) Il flusso finanziario dopo le variazioni di ccn può essere determinato in modo indiretto e diretto: nel prospetto di raccordo, in riferimento alla gestione caratteristica corrente, sono riportate entrambe le modalità. b) Per la determinazione del flusso finanziario finale, si devono effettuare delle rettifiche connesse alle variazioni di circolante: nel caso in cui si riscontrassero

147

La dimensione operativa della riclassificazione

voci del capitale circolante netto non riconducibili alla gestione caratteristica corrente, sarebbe necessario operare le necessarie modifiche. c) I flussi in entrata/uscita connessi alle immobilizzazioni finanziarie sono stati totalmente ricondotti alla gestione patrimoniale: nulla vieta, come già visto per lo stato patrimoniale, di attribuire alcuni valori, relativi alle partecipazioni più rilevanti, alla gestione caratteristica non corrente. d) La gestione finanziaria è divisa in due parti, corrispondenti ai finanziatori esterni e ai soci. e) Nell’area straordinaria è stato inserito solo un valore come esempio ma, a questa, ne possono anche essere ricondotti altri se ritenuto importante evidenziarli autonomamente. Si ricorda, tuttavia, che il medesimo risultato si può ottenere indicando separatamente tali valori all’interno di ciascuna gestione parziale: ad esempio, quello connesso agli acquisti/cessioni di rami d’azienda potrebbe essere attribuito alla gestione caratteristica non corrente. Nella Tabella 7.13 viene proposto uno schema più analitico, con la suddivisione tra impieghi e fonti. Tabella 7.13. – Prospetto di raccordo tra rendiconto finanziario e schema riclassificato Gestioni/aree parziali

Impieghi

Fonti Modalità indiretta

Flusso finanziario (negativo) dopo Flusso finanziario (positivo) dole variazioni di ccn po le variazioni di ccn Caratteristica corrente

Modalità diretta Pagamenti a fornitori per acquisti Incassi da clienti e servizi Altri incassi (se tipici) Pagamenti al personale Altri pagamenti (se tipici)

Caratteristica non corrente

Complementare e accessoria (patrimoniale)

Flussi uscita immobilizzazioni ma- Flussi entrata immobilizzazioni teriali e immateriali (investimenti) materiali e immateriali (realizzo) Utilizzo di fondi Flussi uscita immobilizzazioni finanziarie (investimenti) Flussi uscita attività finanziarie non immobilizzate (investimenti)

Flussi entrata immobilizzazioni finanziarie (realizzo) Flussi entrata attività finanziarie non immobilizzate (realizzo) Interessi incassati Dividendi incassati (Segue)

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Il primo momento di analisi: la riclassificazione delle tavole di sintesi

Finanziaria

Tributaria Straordinaria

 

Decremento debiti a breve v/ban- Incremento debiti a breve v/banche che Rimborso finanziamenti Accensione finanziamenti Interessi pagati Rimborsi di capitale Acquisto azioni proprie Dividendi pagati (acconti)

Aumenti capitale a pagamento Cessione azioni proprie

Imposte sul reddito pagate

Imposte sul reddito incassate

Acquisti rami d’azienda

Cessioni rami d’azienda

Parte Terza

L’analisi di bilancio per indici

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L’analisi di bilancio per indici

Capitolo 8

L’analisi della solidità patrimoniale e finanziaria

SOMMARIO: 8.1. La definizione di solidità. – 8.2. Gli indici di solidità. – 8.3. Le relazioni tra gli indici.

8.1. La definizione di solidità La solidità rappresenta il primo dei quattro poli strutturali per i quali si calcolano gli indici di bilancio. Se ne possono fornire due accezioni, tra loro correlate: 1. la prima, più ampia, richiama l’insieme delle condizioni di equilibrio (di medio-lungo periodo) tra investimenti (struttura patrimoniale) e finanziamenti (struttura finanziaria): il bilanciamento è inteso principalmente in termini di scadenze temporali; 2. la seconda, più limitata, fa riferimento alla dipendenza finanziaria da terze economie, cioè all’equilibrio tra fonti proprie e di terzi. Inoltre, all’interno di queste ultime, è importante analizzare il mix per scadenza e i soggetti di riferimento. Il collegamento tra le due definizioni è evidente: imprese caratterizzate da elevata dipendenza finanziaria non presentano, almeno in prima approssimazione, i presupposti per l’equilibrio di medio-lungo termine tra investimenti e finanziamenti. La solidità è, pertanto, definibile come la capacità di un’azienda di perdurare nel tempo in modo autonomo (solvibilità a lungo 1, facendo fronte con successo a eventi esterni e interni particolarmente significativi. L’ambiente economico può essere caratterizzato da fenomeni sfavorevoli, come fasi di recessione, crisi del proprio mercato di riferimento, tensioni valutarie, momenti di stretta creditizia; inoltre, internamente, l’impresa può trovarsi a gestire fasi di riorganizzazione, di ristrutturazione, di rapido sviluppo. Quanto più l’azienda è solida tanto più avrà la possibilità di superare con successo gli eventi problematici, senza compromet1

La solvibilità a lungo deve essere compatibile con quella a breve, per la cui valutazione si rinvia all’analisi della liquidità, capitolo 10.

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L’analisi di bilancio per indici

tere la capacità di produrre reddito e, quindi, senza pregiudicare la propria sopravvivenza. Oltre agli indicatori proposti, è necessario considerare in sede valutativa anche altri elementi che su di essa impattano, influenzandone il grado di rischiosità. A titolo di esempio: – le garanzie concesse a terzi, che potrebbero comportare futuri impegni; – gli strumenti finanziari, valutandone il ruolo di copertura o speculativo; – il livello di concentrazione delle vendite/crediti, indicatore di dipendenza; – la diversificazione del business, che incide sul rischio operativo. Per quanto scritto, l’analisi della solidità utilizza in prevalenza valori e aggregati contenuti nello stato patrimoniale riclassificato: per la costruzione degli indici, se non specificato diversamente, si fa ricorso ai valori di fine periodo. A questi indicatori se ne possono collegare altri relativi alla sostenibilità economica del debito (coverage ratio), che saranno approfonditi nell’ambito dell’analisi della redditività 2. La solidità di un’impresa è analizzabile utilizzando i seguenti indicatori primari 3: 1. rapporto di indebitamento; 2. grado di copertura dell’attivo fisso netto; 3. margine di struttura; 4. grado di ammortamento; 5. tasso di variazione del capitale investito; 6. tasso di autofinanziamento. I primi quattro indicatori sono tipici della dimensione in oggetto; gli ultimi due permettono di collegarla con altri due poli di analisi: lo sviluppo (n. 5) e la redditività (n. 6).

8.2. Gli indici di solidità Il rapporto di indebitamento può essere calcolato in molteplici modi: di seguito si presentano le due configurazioni ritenute più espressive che esprimono la dipendenza complessiva e finanziaria di un’azienda. Il primo rapporto proposto configura l’indicatore principale di solidità ed esprime la dipendenza finanziaria complessiva da terze economie. In altri termini, rappresenta la relazione esistente tra il capitale di prestito (mezzi di terzi) e il capitale risparmio (mezzi propri) 4: 2

Si veda in particolare il paragrafo 9.3. Nel paragrafo 8.3 ne saranno proposti altri collegati alla posizione finanziaria netta. 4 In alcune analisi, il rapporto di indebitamento viene calcolato togliendo ai mezzi propri le im3

 

 

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Rapporto di indebitamento complessivo Mezzi di terzi ____________ Mezzi propri Il suo campo di variazione è compreso tra zero 5 e “infinito”: più si incrementa, più si riduce il grado di solidità dell’azienda, poiché aumenta la dipendenza da terzi finanziatori. Non esiste, come talora si vuole far credere, un valore ottimale dell’indice: esso dipende dalle condizioni dell’ambiente in cui l’impresa opera e interne alla medesima, dal suo tasso di crescita, dalla capacità di produrre reddito, dalla tipologia del debito, dall’appartenenza a un gruppo. Ad esempio, tassi di indebitamento più elevati sono accettabili in comparti emergenti, in rapido sviluppo o con elevata redditività operativa. Quest’ultimo elemento è di importanza preminente per trarre valutazioni sulla congruità del rapporto di indebitamento 6. È inoltre essenziale verificare l’andamento del quoziente nel tempo e in rapporto alla crescita aziendale: un indicatore elevato ma in costante miglioramento in un’azienda in rapido sviluppo, è certamente un sintomo più favorevole rispetto a un indicatore basso ma crescente in un’azienda appartenente a un comparto maturo. In prima approssimazione, è plausibile affermare che valori elevati sono sintomo di sottocapitalizzazione: ciò significa che l’azienda è maggiormente esposta al rischio di tensioni se, per qualsiasi ragione, l’apporto dei terzi finanziatori venisse a mancare o a ridursi. Inoltre, un’alta incidenza dei debiti bancari, che implicano il pagamento di oneri finanziari, può incidere sulla capacità dell’azienda di produrre reddito portandola, nel medio periodo, a situazioni molto pericolose. Ancora, un’azienda molto indebitata dispone di un minor grado di fiducia presso il sistema bancario e presso i fornitori ed è, quindi, in maggior misura soggetta al rischio di limitazione o ritiro dei fidi concessi oppure di applicazione di tassi di interesse più alti. Infine, un ragguardevole indebitamento può essere di ostacolo o di condizionamento alle scelte gestionali (operative o strategiche) degli amministratori. Ci si può a questo punto chiedere quali siano i vantaggi dell’indebitamento, al di là della necessaria copertura dei fabbisogni finanziari emergenti. In termini molto sintetici, indebitarsi costa meno rispetto all’apporto di capitale di rischio, anche se questo ha durata non definita e non comporta vincoli “rigidi” (in termimobilizzazioni immateriali, sostenendo il fatto che la loro natura è molto aleatoria e non forniscono risorse per pagare i creditori. Si tratta di una proposta non condivisibile, in quanto le immobilizzazioni immateriali contribuiscono come le altre alla produzione del reddito e, di conseguenza, della liquidità. Le analisi di bilancio, infatti, sono fondate sul presupposto della continuità aziendale e non della sua liquidazione. 5 Questo valore presuppone l’esistenza di mezzi propri positivi, come avviene nella maggior parte dei casi. 6 Per approfondimenti si veda l’analisi della redditività, capitolo 9.

 

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ni di tempo e grandezza) di remunerazione. Se il ritorno ottenuto con l’investimento delle risorse finanziarie fornite dai terzi è superiore al costo sostenuto per ottenerle, il differenziale va a beneficio dei soci: gli oneri finanziari sono deducibili, seppur con qualche limitazione, dal reddito, generando un effetto definito “scudo fiscale”. Evidentemente tutto ciò è vero nella misura in cui l’impresa dispone di una buona capacità reddituale derivante dalla gestione caratteristica. Infatti, al crescere dei mezzi di terzi, si dilatano in proporzione i costi finanziari, che devono trovare copertura in redditi operativi crescenti. Oltre a ciò si ampliano anche gli impegni per il rimborso delle quote capitale: il rischio maggiore è, infatti, correlato alla mancanza o insufficienza di risorse liquide per far fronte al servizio del debito. A un’analisi più approfondita, due sono le cause di primo livello associate a un valore non soddisfacente dell’indicatore: a) l’effettiva sottocapitalizzazione, misurata dal grado di copertura dell’attivo fisso netto; b) la ridotta efficienza nell’impiego del capitale investito, misurata dal tasso di rotazione del capitale investito. Ricorrendo ad altri indicatori, è pertanto possibile meglio calibrare l’apprezzamento delle cause dell’eventuale significativa dipendenza da terze economie: nel seguito del paragrafo, si commenta l’indicatore sub a); nell’ambito dell’analisi della redditività si esaminerà il secondo il quale, a sua volta, è scomponibile in indicatori analitici. Un aspetto che comincia a emergere in modo incontrovertibile è l’assoluta impossibilità di procedere per singole dimensioni autonome: l’analisi per indici presuppone la simultanea interpretazione di tutti gli elementi disponibili, poiché costituenti un sistema. Un ulteriore approfondimento del grado di indebitamento, porta all’analisi della composizione e dell’incidenza dei mezzi di terzi, attraverso il calcolo di indicatori di secondo livello, espressivi della qualità e della struttura dell’indebitamento 7. Composizione dell’indebitamento Passivo a medio-lungo termine ___________________________ Mezzi di terzi

 

Passivo a breve termine ______________________ Mezzi di terzi 7

Alcuni di questi indicatori emergono dall’analisi verticale dello stato patrimoniale riclassificato e sono stati brevemente introdotti nel paragrafo 6.2.

 

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A parità di tasso di indebitamento è preferibile una maggiore incidenza dei finanziamenti a medio-lungo termine, in quanto meno esposti a oscillazioni e caratterizzati da un costo mediamente inferiore rispetto alle esposizioni a breve 8: il primo indicatore proposto ne determina l’incidenza percentuale 9. Si introduce, infine, una configurazione alternativa del rapporto di indebitamento complessivo, che esprime il totale degli investimenti finanziati dai soci: Mezzi propri ________________ Capitale investito  Il secondo rapporto di indebitamento proposto è il Rapporto di indebitamento finanziario, che esprime la relazione tra i debiti finanziari e i mezzi propri. Rapporto di indebitamento finanziario Debiti finanziari (MT*/DF) ________________________ Mezzi propri Per questo indicatore valgono le medesime osservazioni formulate per il precedente: l’elemento distintivo risiede nell’utilizzo delle sole passività esplicitamente onerose in luogo del totale dei mezzi di terzi. In tal modo si pongono a confronto due fonti di finanziamento che richiedono un’esplicita, anche se difforme, remunerazione. Per tale ragione, esso assume anche un ruolo chiave nella determinazione della leva finanziaria, algoritmo che permette di collegare la solidità alla redditività 10. Grado di copertura dell’attivo fisso netto e Margine di struttura I due indicatori vengono esaminati congiuntamente poiché entrambi espressivi del grado di equilibrio esistente tra fonti di finanziamento e struttura degli in-

8 In periodi caratterizzati da tassi di interesse molto bassi, la differenza tra quelli di breve e di medio-lungo termine è limitata. 9 Passivo a breve + Passivo a medio-lungo = Mezzi di terzi. Sempre al fine di palesare la configurazione della struttura finanziaria, si calcola il Rapporto tra fonti consolidate: Passivo a medio-lungo termine Mezzi propri ricordando che si ottiene moltiplicando i due seguenti quozienti: Mezzi di terzi Passivo a medio-lungo termine  Mezzi propri Mezzi di terzi

La leva finanziaria è trattata nel paragrafo 9.3. MT* identifica i mezzi di terzi esplicitamente onerosi (a differenza di MT che fa riferimento a tutti i mezzi di terzi), cioè i debiti finanziari (DF). 10

 

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vestimenti 11. Inoltre, si utilizzano i medesimi aggregati di stato patrimoniale per la loro costruzione. Grado di copertura dell’attivo fisso netto Mezzi propri _______________ Attivo fisso netto Il grado di copertura segnala le modalità attraverso le quali l’azienda finanzia gli investimenti durevoli, cioè vincolati per periodi non brevi: in particolare, ne evidenzia il grado di copertura interna (auto copertura). Risulta indiscutibile che, data la durata di tali investimenti e l’impossibilità di un loro tempestivo ed economico smobilizzo (almeno per quanto attiene le immobilizzazioni tecniche o strumentali), è necessario che vengano finanziati da fonti con caratteristiche analoghe. In particolare, la situazione ottimale si avrebbe nel caso in cui fosse il capitale di rischio, permanentemente vincolato all’impresa, a finanziare gli investimenti fissi. L’indicatore presenta un campo di variazione assai ampio 12, il cui punto di riferimento è l’unità. Da ciò emergono tre situazioni: a) MP/AFN > 1: il capitale di rischio, oltre a coprire gli investimenti durevoli è tale da sostenere un’eventuale espansione futura o bilanciare contingenti situazioni negative; b) MP/AFN = 1: denota un soddisfacente grado di capitalizzazione; c) MP/AFN < 1: è sintomatico di un modesto grado di capitalizzazione ma, di tutta prima, non è possibile sostenere l’assenza assoluta di equilibrio. Infatti, pur mancando la copertura interna totale, occorre verificare se almeno esista un bilanciamento tra scadenze (coerenza temporale tra investimenti e finanziamenti). 11 Sulla composizione degli investimenti si è già argomentato nel capitolo 4. Qui si riportano i due indicatori per la sua determinazione, ricordando l’inopportunità di calcolarli entrambi. Attivo a breve Capitale investito

Attivo fisso netto Capitale investito

Nel caso in cui si disponesse dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio funzionale, al capitale investito andrebbero rapportati gli investimenti della gestione caratteristica (corrente e non corrente) e gli investimenti extra caratteristici. Capitale investito gestione caratteristica Capitale investito Capitale investito gestione extra caratteristica Capitale investito 12

Con limite inferiore teoricamente pari a 0, salvo situazioni patologiche e necessariamente temporanee, con mezzi propri negativi.

 

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A tale proposito la situazione si considererebbe accettabile se la parte di investimenti durevoli eccedente rispetto ai mezzi propri fosse finanziata con passività consolidate. L’indicatore di secondo livello è il seguente: Grado di copertura dell’attivo fisso netto (secondo livello) Mezzi propri + Passivo a medio-lungo termine ________________________________________ Attivo fisso netto Se anche quest’ultimo indicatore assumesse valori inferiori all’unità, fornirebbe un segnale preoccupante: infatti, l’attivo fisso netto sarebbe, in parte, finanziato con risorse di terzi a breve termine, con permanenza o rinnovabilità non certa. Se ciò accadesse l’azienda si troverebbe in una posizione di criticità, dovendo o rinegoziare (se possibile) finanziamenti a tassi probabilmente superiori agli attuali o liquidare parte degli investimenti per far fronte agli impegni a breve. Le considerazioni sopra esposte hanno valenza generale: si tratta di comprendere, nella specifica realtà aziendale, l’effettiva gravità. Ad esempio, un’eventualità di questo tipo può verificarsi senza generare allarme, per brevi periodi, quando l’azienda realizza ingenti investimenti. Il giudizio è certamente peggiore quando la modesta capitalizzazione è continua, frutto di politiche “generose” di dividendi, con il capitale sociale che non viene regolarmente adeguato alla crescita aziendale oppure, situazione ancora più negativa, in assenza di crescita 13. Sempre per contestualizzare l’analisi, l’interpretazione dell’indicatore (e del successivo) deve anche considerare la composizione dell’attivo fisso netto: ad esempio, se ci fossero molti investimenti di natura patrimoniale, cioè non strumentali e riconducibili alla gestione complementare e accessoria, sarebbero accettabili anche valori minori, purché tali investimenti fossero, in caso di necessità, smobilizzabili. Margine di struttura (primo e secondo livello) Mezzi Propri – Attivo fisso netto Mezzi Propri + Passivo a medio-lungo termine – Attivo fisso netto 13 Nelle procedure di affidamento e nella valutazione effettuata da alcune società di rating, si fa ricorso all’Indice di sicurezza del debito: Immobilizzazioni materiali nette Passivo medio-lungo termine Indica la quota parte di finanziamenti durevoli “garantita” da immobilizzazioni materiali. È un indicatore particolarmente restrittivo, in parte superato considerando il contesto economico attuale, in quanto non considera le immobilizzazioni immateriali (in senso stretto) e si fonda sull’ipotesi che il valore netto contabile sia allineato all’eventuale valore di liquidazione. Si ritiene, tuttavia, poco adatto alle finalità perseguite nel lavoro, in quanto la liquidazione dell’attivo fisso equivale a estinzione dell’impresa.

 

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Il margine di struttura integra il precedente quoziente, fornendo l’informazione sul valore assoluto del divario, necessaria per meglio valutare l’equilibrio: va ricordato che questo indice è condizionato dalla dimensione aziendale e, quindi, mal si presta a confronti interaziendali, a differenza del precedente grado di copertura (Tabella 8.1). Tabella 8.1. – Il grado di copertura e il margine di struttura (I) Indici Mezzi propri Attivo fisso netto MP/AFN MP – AFN

A

B

C

1.500 1.000 1,5 500

12.000 8.000 1,5 4.000

90.000 60.000 1,5 30.000

D 300 200 1,5 100

La Tabella 8.1 evidenzia una situazione di solidità simile per le quattro imprese, anche se il margine di struttura è molto diverso. In modo analogo (Tabella 8.2) ci si potrebbe trovare di fronte a margini di struttura simili (nell’esempio di Tabella 8.2 sono uguali) che però denotano un differente grado di solidità: l’impresa A, infatti, è quella più carente, anche se tutte presentano un valore inferiore all’unità. Tabella 8.2. – Il grado di copertura e il margine di struttura (II) Indici Mezzi propri Attivo fisso netto MP/AFN MP – AFN

A

B

C

D

1.000 2.000 0,5 – 1.000

1.500 2.500 0,6 – 1.000

2.000 3.000 0,7 – 1.000

4.000 5.000 0,8 – 1.000

Inoltre, va rammentato che vi sono alcune operazioni che incidono solamente su uno dei due indicatori: ad esempio, una rivalutazione delle immobilizzazioni, modifica il grado di copertura ma lascia inalterato il margine di struttura (fatto salvo l’effetto fiscale). Può accadere che un rapporto di indebitamento a prima vista adeguato, si riveli successivamente insoddisfacente se i mezzi propri sono insufficienti a coprire le attività immobilizzate. Viceversa, un rapporto di indebitamento apparentemente elevato può essere meno preoccupante se i mezzi propri sono in equilibrio (cioè superiori) con le immobilizzazioni. Ciò rafforza l’esigenza di un’indagine congiunta.

 

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Grado di ammortamento Fondo ammortamento _____________________ Immobilizzazioni lorde Il rapporto espone la percentuale media di ammortamento, alla data di riferimento, delle immobilizzazioni possedute dall’azienda. Il valore dell’indicatore si colloca in un intervallo compreso tra zero e uno (cento se espresso in termini percentuali): se pari a zero significa che non sono ancora state contabilizzate quote di ammortamento; se pari a uno corrisponde a immobilizzazioni completamente ammortizzate. L’indicatore, che assume rilievo in base alla tipologia di azienda, è di complessa interpretazione, in quanto l’ammortamento rappresenta un valore congetturato caratterizzato nella realtà da significativa soggettività. Un valore tendente a uno può indicare impianti obsoleti o scarso rinnovamento tecnologico (si veda il grado di sviluppo strutturale), mettendo in evidenza la necessità, nel futuro a breve, di investimenti oppure essere il risultato di una politica di ammortamento molto rapida, al fine di contenere il carico fiscale 14. Come sempre, l’interpretazione è influenzata dal contesto in cui viene effettuata: in comparti in cui la tecnologia e l’innovazione continua sono importanti, un valore elevato è un segnale da approfondire, mentre non è rilevante in comparti a tecnologia stabile, con ridotta innovazione. Un ingente valore dovuto a scarso rinnovamento in un’azienda con forte dipendenza finanziaria da terzi, porta a una valutazione negativa della solidità. La tendenza verso lo zero può essere giustificata da investimenti recenti ma anche essere indotta da ridotti (o mancati) ammortamenti per migliorare, solo contabilmente, il risultato economico aziendale. Il grado di ammortamento, quando modesto, richiede pertanto l’esame della situazione reddituale, per comprendere se sono state attuate politiche strumentali proprio su questa voce di bilancio. In condizioni normali, se l’indice si riduce nel tempo, significa che i rinnovi sono superiori agli ammortamenti e alle dismissioni; una stabilità identifica, invece, una similarità tra i due movimenti. Due precisazioni per l’interpretazione dell’indice. Esso fornisce valori medi, relativi all’insieme delle immobilizzazioni: un approfondimento può riguardare le singole tipologie. Le immobilizzazioni lorde al denominatore sono quelle soggette ad ammortamento: si ritiene, per una migliore espressività dell’indice, di impiegare solamente le materiali, in quanto le immateriali – in non pochi casi – sono soggette a un processo di ammortamento con limitato significato economico. Nel caso in cui le immobilizzazioni materiali (o in generale le immobilizzazioni tecniche) risultino rilevanti nell’ambito dell’impresa, è opportuno sottoporle a in14

Non è infrequente che le imprese facciano comunque ricorso alle aliquote ordinarie fiscali per il calcolo delle quote, anche se queste non corrispondono al piano di ammortamento gestionale.

 

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dagine approfondita, costruendo alcuni indicatori di secondo livello. Tra i possibili, si segnalano i seguenti (si consideri un fondo ammortamento di 600, una quota di ammortamento di 100 e un costo storico di 1.000) 15. a) Tasso di ammortamento medio Il rapporto esprime la riduzione media annuale delle immobilizzazioni nel periodo analizzato, nell’esempio suesposto pari al 10%. Quota ammortamento ____________________ Immobilizzazioni lorde b) Durata media delle immobilizzazioni (Vita media) Immobilizzazioni lorde ____________________ Quota ammortamento Si tratta del tempo medio (“contabile”) di presunta permanenza delle immobilizzazioni nell’impresa, nell’esempio pari a 10 anni. È il reciproco dell’indice precedente ed è scomponibile nei due successivi. c) Età media delle immobilizzazioni Questo rapporto indica il numero di anni di utilizzo delle immobilizzazioni esistenti, pari a 6. Fondo ammortamento —————————–– Quota ammortamento d) Durata residua delle immobilizzazioni L’ultimo quoziente palesa il numero residuo di anni di impiego delle immobilizzazioni esistenti, nell’esempio pari a 4. Immobilizzazioni nette —————————— Quota ammortamento Tutti gli indicatori proposti, come già ricordato, esprimono valori medi 16: le singole classi di immobilizzazioni possono manifestare andamenti tra loro assai divergenti. In secondo luogo, assumono significato laddove il processo di rinnovamento non è repentino e continuo nel tempo. Inoltre, va sempre tenuto conto dell’esi15 16

 

Anche gli indici successivi possono essere costruiti per ciascuna tipologia di immobilizzazione. Essi si fondano, infatti, sull’ipotesi di quote costanti nel tempo.

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stenza di beni in leasing che, per le modalità di rilevazione contabile attuate in Italia, non vengono iscritti nello stato patrimoniale: una loro considerazione esplicita migliorerebbe in modo significativo l’analisi. Infine, particolare avvedutezza va posta nei confronti interaziendali, a causa delle differenti scelte valutative attuate. Oltre a un’autonoma esegesi, il grado di ammortamento va interpretato insieme ai precedenti indicatori di solidità. Si pensi a un’azienda (Old) con un grado di ammortamento elevato: esso segnala attività fisse ampiamente ammortizzate e un valore dell’attivo fisso netto ridotto. Un’altra azienda (New), molto simile a Old per valore delle immobilizzazioni lorde e per grado di capitalizzazione, ha invece un basso grado di ammortamento. Per Old sarà sicuramente più probabile evidenziare un grado di copertura delle immobilizzazioni nette superiore a uno e, quindi, ottenere un giudizio positivo che però presenta qualche riserva, se è probabile un prossimo rinnovo degli impianti e il valore dell’indicatore (grado di copertura) non è molto superiore all’unità. Ci si chiede, infatti, cosa succederà nel momento in cui si effettueranno i nuovi investimenti, cioè come essi saranno finanziati. Viceversa, se New riuscisse a coprire con mezzi propri gli impianti, poco ammortizzati e presumibilmente recenti, il giudizio sarebbe positivo e senza riserve. Tasso di variazione del capitale investito Capitale investito finale – Capitale investito iniziale ___________________________________________ Capitale investito iniziale 17 Il tasso di variazione del capitale investito permette di collegare la solidità allo sviluppo aziendale e consente di analizzare “dinamicamente” la prima 18. Nell’ambito del polo di analisi in oggetto, non è importante esprimere giudizi sullo sviluppo in sé ma verificare se si è manifestato in modo sostenibile, cioè se non è stato accompagnato da un costante peggioramento degli indicatori di solidità 19. Una crescita eccessiva rispetto alle potenzialità di finanziamento interno influisce negativamente sulla stabilità futura, provocando un aggravamento del rapporto di indebitamento. Tale fenomeno coinvolge, inoltre, il profilo reddituale, attraverso un maggior volume di oneri finanziari. La variazione del capitale investito deve essere esaminata osservando anche i due aggregati che lo compongo17 Ad esempio, il tasso di crescita del capitale investito nell’anno T2 (azienda con periodo amministrativo coincidente con l’anno solare) è pari a: Capitale investito 31/12/T2 – Capitale investito 31/12/T1 ________________________________________________

Capitale investito 31/12/T1 18

Si tornerà nei capitoli successivi (11 e 12) sui legami che intercorrono tra solidità e sviluppo. A questo proposito, nel capitolo 11 saranno approfonditi i tassi di variazione dei mezzi propri e dei mezzi di terzi. 19

 

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no: da una parte l’attivo fisso netto, che assume un ruolo cruciale nella solidità; dall’altra l’attivo a breve, il quale risente in misura determinante della crescita del fatturato o, in generale, dell’andamento dell’attività operativa. Tasso di autofinanziamento Anche quest’ultimo quoziente aiuta a meglio interpretare la crescita aziendale e il suo impatto sugli indici di solidità. Reddito netto – Dividendi ________________________ Mezzi propri Identifica il tasso di sviluppo dei mezzi propri per il duplice effetto: a) della gestione, cioè della capacità di produrre reddito; b) delle scelte di distribuzione degli utili, cioè delle politiche di autofinanziamento 20. Appare evidente che la crescita del capitale investito non coperta dall’autofinanziamento, richiede il ricorso o all’indebitamento o a nuovi finanziamenti da parte dei soci.

8.3. Le relazioni tra gli indici A conclusione del capitolo risulta importante collegare tra loro i principali indici presentati, al fine di meglio comprenderne le relazioni ed enfatizzare il nesso sistemico che li avvince (Figura 8.1). Prima, però, si vogliono proporre, seppur in modo sintetico, alcuni indicatori fondati sulla posizione finanziaria netta 21, intesa come indebitamento netto o surplus netto verso il sistema finanziario. 20

Nel capitolo successivo si approfondiranno le due determinanti, cioè la redditività netta dei mezzi propri e il tasso di ritenzione degli utili. Per valutare le politiche di autofinanziamento su periodi più ampi, si utilizza il Tasso di autofinanziamento cumulato, che misura l’incidenza, nell’ambito dei mezzi propri, degli utili non distribuiti. Riserve di utili . Mezzi propri In fase di interpretazione, va ricordato che l’indice perde espressività allorché si effettuino aumenti gratuiti di capitale (con l’utilizzo di tali riserve): nel caso citato l’operazione genera un elemento di discontinuità nell’analisi. 21 Per approfondimenti sulla sua costruzione e su altri indicatori, si veda C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015. Va premesso che gli indicatori seguenti poggiano sull’ipotesi che la posizione finanziaria netta sia negativa, cioè che l’indebitamento sia superiore agli investimenti finanziari, comprensivi della liquidità. Nel caso opposto, infatti, quanto di seguito illustrato perde di significatività.

 

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Rapporto di indebitamento finanziario Posizione finanziaria netta ______________________ Mezzi propri Il primo indicatore individua una modalità specifica di calcolo del rapporto di indebitamento finanziario e mette in evidenza la relazione tra l’esposizione netta verso il sistema finanziario e i mezzi propri: al crescere dell’indicatore peggiora, a parità di tutte le altre condizioni, la solidità aziendale. Tasso di assorbimento/incidenza dell’indebitamento finanziario netto Si tratta di indicatori che collegano la posizione finanziaria netta a parametri espressivi della capacità di rimborso, indiretta e diretta, dell’impresa: si fa riferimento alle vendite da una parte e all’EBITDA dall’altra. Posizione finanziaria netta ______________________ Vendite Le vendite rappresentano, nell’ambito della gestione caratteristica, la fonte primaria di liquidità, necessaria per la copertura delle uscite connesse ai costi operativi e per la produzione di surplus monetari da utilizzare in altre gestioni. Appare evidente che tanto più l’indicatore cresce di valore, tanto maggiore sarà la criticità finanziaria dell’impresa, cioè l’incapacità di assorbire l’indebitamento attraverso la produzione di flussi di cassa adeguati. Inoltre, al crescere dell’indicatore, peggiora l’incidenza degli oneri finanziari (sulle vendite) in conto economico, con effetti negativi sugli indicatori di redditività. Il secondo indicatore, quello maggiormente utilizzato è Posizione finanziaria netta _______________________ EBITDA Esso esprime la capacità della gestione operativa di un’azienda di produrre le risorse finanziarie necessarie a far fronte all’ammontare dei debiti finanziari netti esistenti, collegando la redditività alla liquidità. L’EBITDA è un risultato economico che ha anche una valenza finanziaria, in quanto è al lordo dei costi operativi non monetari (tipicamente ammortamenti, accantonamenti e svalutazioni). Il confronto con la posizione finanziaria netta indica i tempi medi di rimborso dell’indebitamento finanziario netto attraverso i flussi finanziari prodotti dalla gestione caratteristica. Ad esempio, se il valore dell’indice è 5, significa che l’azienda, con il solo ricorso all’EBITDA, impiegherebbe circa 5 anni per il rimborso completo. Appare evidente che al crescere dell’indice, la situazione finanziaria diviene critica: tuttavia, in normali condizioni di funzionamento dell’impresa, la posizione finanziaria netta non deve essere azzerata e, pertanto, il suo significato è quello di misurare la rischiosità delle scelte finanziarie attuate.

 

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L’analisi di bilancio per indici

Figura 8.1. – Le relazioni tra gli indici di solidità RN – D  CI

MP

CI  MT* MT*

 MP

 MT

MP

MT

Indici composizione (sicurezza) MT

PFN MP PFN V

Composizione CI

MT*/DF MP

 AB/AC AB/AC  AFN AFN

 IM

MT

 IF  II

MP FA

PFN EBITDA

MP CI

MP

MP + PML

AFN

AFN

IL

Indici analitici MP – AFN MP + PML – AFN

  Lo schema pone al centro il tasso di variazione del capitale investito, cioè la crescita strutturale dell’impresa: l’analisi può essere sviluppata sia partendo dalla parte destra sia dalla parte sinistra della Figura 8.1. Nel primo caso si pone l’attenzione sulle scelte di investimento; nel secondo su quelle di finanziamento 22. L’investimento è a breve termine o duraturo: relativamente alla solidità interessa prevalentemente la parte a medio-lungo termine. Nel caso in cui la variazione riguardi le immobilizzazioni materiali, si ha impatto sul grado di ammortamento. Inoltre, vengono ad essere influenzati sia il grado di copertura dell’attivo fisso netto sia il margine di struttura. Questi ultimi due indici, però, risentono anche delle decisioni di copertura attuate. La crescita del capitale può essere, infatti, finanziata da: 1. fonti interne: autofinanziamento; 2. fonti a titolo di capitale risparmio (o proprio); 3. fonti esterne di terzi. In funzione delle concrete scelte, si producono effetti differenti sul rapporto di indebitamento e sugli altri indici sopra commentati: se l’impresa riesce a crescere strutturalmente senza peggiorare il rapporto di indebitamento e il grado di copertura, la situazione è da reputare ottimale. 22

 

Per l’esame degli indici analitici di sviluppo, si rinvia al capitolo 11.

Capitolo 9

L’analisi della redditività operativa e netta

SOMMARIO: 9.1. La definizione di redditività. – 9.2. L’analisi della redditività operativa. – 9.3. Il calcolo del differenziale tra rendimento e costo delle risorse finanziarie. – 9.4. La sostenibilità economica del debito. – 9.5. La redditività netta dei mezzi propri e l’effetto di leva finanziaria. – 9.6. Il tasso di autofinanziamento. – 9.7. Le relazioni tra gli indici.

9.1. La definizione di redditività Per redditività si intende, in prima approssimazione, il rapporto tra una prescelta configurazione di reddito e il correlato volume di capitale necessario per produrlo oppure tra il medesimo reddito e grandezze espressive dell’attività svolta, quale ad esempio il fatturato. Nella riclassificazione del conto economico sono stati evidenziati alcuni risultati economici intermedi: l’analisi della redditività verifica la loro congruenza rispetto alle risorse impiegate per ottenerli. Vale la pena di sottolineare che il numeratore e il denominatore degli indici di redditività variano in funzione dell’oggetto esaminato (azienda, divisione, business, prodotto): viste le finalità del lavoro, oggetto è solo l’azienda (gruppo) nel suo complesso. Questa dimensione strutturale permette di valutare il profilo reddituale in modo più completo e di operare confronti tra più aziende. Dopo aver prospettato gli indicatori principali, questi verranno disaggregati in modo da far risaltare le relazioni tra essi intercorrenti, al fine di meglio comprendere come e perché l’azienda ha ottenuto un definito livello di redditività, individuando le variabili su cui agire per migliorare i risultati futuri o mantenerli al livello degli attuali. L’approfondimento di questa dimensione avviene attraverso le fasi di seguito indicate e singolarmente commentate: 1. determinazione della redditività operativa (del capitale investito); 2. calcolo del differenziale tra rendimento e costo delle risorse finanziarie e valutazione della sostenibilità del debito;

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3. determinazione della redditività netta dei mezzi propri e dell’effetto di leva finanziaria; 4. calcolo del tasso di autofinanziamento.

9.2. L’analisi della redditività operativa La redditività operativa è il punto di partenza dell’analisi, il cui indicatore fondamentale è identificato nella redditività del capitale investito (ROI = Return on Investment) 1 che, in prima approssimazione, viene definito come: Reddito operativo ________________ Capitale investito  L’indice in oggetto esprime il rendimento del capitale investito in azienda, indipendentemente dalle scelte di finanziamento attuate. L’indicatore palesa il grado di efficienza ed efficacia della gestione aziendale e rappresenta il presupposto fondamentale della globale redditività: solamente un’impresa caratterizzata da elevato e stabile ritorno sugli investimenti, in particolare tipici, è in grado di garantire costantemente la remunerazione dei finanziamenti ricevuti, sia a titolo di prestito sia di capitale di rischio e di autofinanziare il proprio sviluppo. Un ROI soddisfacente è requisito necessario (ma non sufficiente) per il successo economico di qualsiasi azienda. Malgrado l’apparente semplicità e intuitività del concetto esaminato, in fase di applicazione sorgono una serie di problemi (comuni ad altri indicatori) che richiedono soluzione. Al riguardo assumono rilievo: a) la selezione del reddito operativo; b) la scelta del capitale investito; c) l’individuazione del momento temporale di riferimento per il capitale investito.

a) Il reddito operativo di riferimento Dalla riclassificazione del conto economico, sono derivate due configurazioni di reddito operativo (EBIT) 2: 1 Nella prassi tale indicatore di redditività, calcolato utilizzando al denominatore l’intero capitale investito (come da schema riclassificato), è denominato ROA (Return on Assets). Nel lavoro si utilizza l’acronimo ROI in quanto ritenuto più espressivo e maggiormente diffuso. Secondariamente, è importante considerare che non esiste un’unica definizione (come fra poco emergerà) di redditività del capitale investito, giacché si reputa inutile cercare una denominazione per le molteplici configurazioni esistenti: si preferisce, di contro, interpretare ciascun indicatore in base alle modalità con cui è stato costruito, dipendenti dalle finalità conoscitive perseguite. 2 Entrambe sono al lordo degli oneri finanziari espliciti, i quali rappresentano la remunerazione per la disponibilità del capitale di prestito.

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1. di gestione caratteristica; 2. aziendale 3. Nell’effettuazione di analisi esterne, il ROI di più semplice e immediata determinazione è quello globale. Redditività globale del capitale investito (ROI globale) 4 Reddito operativo aziendale ________________________ Capitale investito Il ROI globale evidenzia la redditività degli investimenti aziendali considerati nella loro totalità, indipendentemente dalla gestione a cui pertengono. La disponibilità del solo stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio base della liquidità (o finanziario) non può che portare alla costruzione di tale indice. La redditività globale permette di esaminare congiuntamente due gestioni intimamente connesse, la caratteristica e la patrimoniale: tuttavia, date certe condizioni, è possibile separare il contributo offerto da ciascuna. 3

Da un punto di vista concettuale il ROI e, quindi, il reddito operativo, dovrebbe essere determinato al netto dell’effetto fiscale. Infatti, è certamente più significativo sapere che un’impresa ha ottenuto un ROI del 7% (al netto, per ipotesi semplificatrice, di un carico fiscale del 30%) piuttosto che del 10% (lordo) e ha sostenuto un costo medio dell’indebitamento del 5,2% piuttosto che del 7,5%. In Tabella 9.1, nella prima colonna il reddito operativo e gli oneri finanziari sono al lordo delle imposte; nella seconda al netto. Tabella 9.1. – La redditività del capitale investito al lordo e al netto delle imposte Reddito operativo Oneri finanziari

1.000 – 600

700 – 420

Reddito di competenza Imposte

400 – 120

280

280 10.000 2.000 8.000 10,0% 7,5% 2,5%

280 10.000 2.000 8.000 7,0% 5,2% 1,8%

Reddito netto Capitale investito Mezzi propri Mezzi di terzi ROI OF/MT ROI – OF/MT

Tale operazione, nel contesto italiano e per l’analista esterno è irrealizzabile, per quanto esposto in altre parti del lavoro (capitolo 3): importante è essere consapevoli di tale effetto, in quanto le due serie di valori (al lordo e al netto di imposte) divergono esclusivamente per tale ragione. 4 Come anticipato, questo è l’indicatore denominato ROA. Nel capitolo 4, la seconda riclassificazione con il metodo finanziario aveva portato all’ottenimento di due tipologie di capitale investito: quello complessivo (assets) e quello finanziario o esplicitamente oneroso (investment). Il ROA esprime il Return on assets.

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Per fare ciò è necessario distinguere, all’interno del capitale investito, i valori destinati allo svolgimento della gestione tipica da quelli associati alla gestione patrimoniale (extra caratteristica). Mentre tale separazione è possibile e relativamente agevole quando attuata all’interno dell’impresa, diventa difficoltosa per un analista esterno. Si pensi alla determinazione del capitale investito extra caratteristico: mentre per i titoli e gli immobili non strumentali non sorgono difficoltà, queste emergono a fronte di altre classi di valori, quali le partecipazioni, i crediti finanziari (o di gruppo) e la liquidità, per le ragioni di seguito brevemente illustrate 5. Le partecipazioni in imprese che svolgono attività correlata a quella tipica, andrebbero considerate investimento dell’attività caratteristica: dal bilancio pubblico non sempre ciò traspare con chiarezza. I crediti finanziari, di tutta prima, sono da attribuire alla gestione complementare (patrimoniale): tuttavia, notevoli dubbi sorgono nei casi in cui i debitori siano imprese (appartenenti o meno al gruppo) che intrattengono rapporti commerciali con l’azienda. Infine, in relazione alla liquidità, è impossibile per l’analista esterno enucleare la quota da correlare alla gestione tipica o quella attribuibile alla gestione patrimoniale. Pertanto, visti i notevoli impedimenti, di norma si tende al calcolo del solo ROI globale 6. Qualora la predetta suddivisione fosse realizzabile, fornirebbe un’importante informazione circa la destinazione delle risorse aziendali: si ipotizzi un’incidenza percentuale elevata del capitale investito di gestione patrimoniale sul capitale investito totale 7. Tale eventualità denota l’esistenza di una “riserva” di risorse, a cui l’azienda può ricorrere qualora la gestione tipica richieda un incremento degli investimenti o si verifichino tensioni finanziarie: l’opportunità di mantenere tale riserva è in relazione al rischio del settore, alla variabilità dei mercati e al rendimento che le risorse temporaneamente distratte dalla gestione tipica offrono. Nell’ipotesi opposta, cioè di prevalenza del capitale investito caratteristico, le risorse aziendali sono primariamente destinate al business principale, dal quale si attendono ritorni adeguati. Alla luce di quanto precede, il ROI globale è scomponibile nei due seguenti indicatori di redditività parziale 8: 5

Su tale problematica si sono già effettuate delle considerazioni nel paragrafo 4.3. Va ricordato che in tutti i casi in cui lo stato patrimoniale si rielabora anche utilizzando il criterio di pertinenza gestionale, sono disponibili le informazioni per il calcolo dei ROI parziali fra breve presentati. 7 Sugli indicatori di incidenza, si veda il paragrafo 6.2. 8 La relazione tra i tre indicatori è la seguente: ROA ROGC CIGC RGCA CIGCA     CI CIGC CI CIGCA CI dove: ROA = Reddito operativo aziendale; CI = Capitale investito complessivo; ROGC = Reddito operativo gestione caratteristica; CIGG = Capitale investito gestione caratteristica; RGCA = Reddito gestione complementare/accessoria; CIGCA = Capitale investito gestione complementare/accessoria. 6

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a) ROI gestione caratteristica Reddito operativo gestione caratteristica ___________________________________ Capitale investito gestione caratteristica  b) ROI gestione complementare/accessoria (patrimoniale) Reddito gestione complementare/accessoria _____________________________________________ Capitale investito gestione complementare/accessoria  Se la redditività della gestione patrimoniale fosse costantemente al di sopra della redditività della gestione tipica, sarebbe il caso di individuare provvedimenti urgenti per migliorare le risultanze della funzione economica intesa in senso stretto. Se, viceversa, la redditività della gestione tipica fosse assai superiore a quella della gestione complementare e accessoria, sarebbe utile riflettere sulla effettiva necessità degli investimenti non caratteristici in relazione al rischio aziendale: più sono elevati rischio e instabilità nel mercato di riferimento più è opportuna una diversificazione, anche se ciò comporta diminuzioni (almeno nel breve termine) della redditività complessiva. Quanto scritto parte dal presupposto della piena significatività del ROI patrimoniale: questo indicatore deve essere utilizzato con estrema attenzione perché, a differenza del ROI caratteristico, è assai volatile nel senso che, trattandosi di investimenti accessori o complementari, possono nel tempo presentare un’elevata dinamica. Ad esempio, posso acquistare e vendere titoli più volte durante l’anno e questo influisce sul valore dell’indice. L’opportunità di calcolare i ROI parziali dipende, evidentemente, dall’incidenza della gestione patrimoniale. Se quest’ultima, come sovente accade nelle piccole e medie imprese, non è rilevante, è possibile utilizzare solo il ROI globale per le analisi successive, che non ne risulteranno influenzate. In caso contrario, gli approfondimenti presentati nel seguito del capitolo andranno effettuati a partire dal ROI di gestione caratteristica.

b) Il capitale investito di riferimento Da quanto sopra esposto, il secondo problema è di agevole soluzione: il capitale investito deve essere coerente con la configurazione di reddito posta al numeratore. Il ricorso al reddito operativo aziendale richiede il capitale investito globale; il reddito operativo di gestione caratteristica necessita del capitale investito correlato. Si consideri che contrapporre il reddito della gestione caratteristica al globale capitale investito genera una distorsione tanto maggiore al crescere del peso della gestione complementare e accessoria.

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c) Il momento temporale di riferimento per il capitale investito Nel calcolo dei principali indicatori di redditività (non solo del ROI) si utilizzano, al denominatore dei rapporti, valori di stato patrimoniale: ci si pone la domanda a quale momento temporale debbano riferirsi. Vi sono tre alternative che comportano il ricorso ai valori: – iniziali; – finali; – medi. Premettendo che qualsivoglia scelta presenta vantaggi e limiti, si ritiene che la soluzione migliore consista nell’utilizzo dei valori iniziali 9. Le ragioni della proposta sono due. In primo luogo, l’obiettivo è rapportare il reddito operativo al capitale investito che ha contribuito alla sua produzione: è logico supporre che i risultati della gestione siano stati ottenuti partendo dal capitale disponibile all’inizio del periodo. Si ipotizzi di considerare i valori finali: un impianto acquistato verso il termine dell’anno T2, il cui valore è parte del capitale investito al 31 dicembre, sarebbe accostato al reddito operativo dell’anno T2, anche se non ha concorso a produrre i risultati economici dell’esercizio. Il valore di un impianto ceduto a fine esercizio non sarebbe invece incluso nel valore del capitale investito pur avendo contribuito a generare reddito. In aggiunta va rimarcato che nelle situazioni caratterizzate da elevate immobilizzazioni, il ricorso al valore finale tende a migliorare la redditività, in quanto il reddito operativo (comprensivo di ammortamenti) viene correlato a un capitale investito al netto dei medesimi. Infine, anticipando una tematica successiva, si pensi al ROE, cioè alla redditività dei mezzi propri ottenuta mettendo a confronto il reddito netto ai mezzi propri. L’utilizzo del valore finale di questi ultimi porterebbe a un’evidente incongruenza: si rapporterebbe il reddito netto a un denominatore che lo comprende, almeno per la parte di autofinanziamento. Ciò, in termini di valutazione della redditività, è illogico. La scelta dei valori iniziali, in secondo luogo, permette importanti confronti tra l’andamento reddituale, la solidità patrimoniale e lo sviluppo e meglio si colloca nel sistema di indici presentato. È comunque molto diffusa la prassi di avvalersi dei valori finali. Un’alternativa consigliabile, specie quando la variabilità del capitale investito è elevata nell’esercizio oppure sono stati effettuati ingenti investimenti all’inizio del periodo in esame 10, è calcolare due serie di indicatori di redditività, sia con i valori iniziali sia con i valori finali di stato patrimoniale. Infatti, oltre all’importanza dell’indice nei singoli periodi compresi nell’analisi, fondamentale è valutare l’andamento nel 9

Ad esempio: Reddito operativo T2/Capitale investito al 31 dicembre T1. L’esempio introdotto nel testo identifica il limite all’impiego dei valori iniziali, nell’ipotesi in cui gli investimenti siano stati effettuati all’inizio del periodo e significativamente utilizzati. 10

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tempo: il trend, nelle due serie, è caratterizzato da analoga direzione ma differente pendenza. La terza soluzione, i valori medi, è di specie compromissoria e si ritiene non contribuisca al miglioramento delle conoscenze, rendendo malcerte non poche delle valutazioni effettuabili oltre che inattuabili alcuni collegamenti matematici con altri quozienti. Il ricorso al valore medio può dare solo l’illusione di un valore corretto: in realtà il valore medio della voce patrimoniale non è adeguatamente determinabile dall’esterno. Infatti, ricorrere ai valori medi, potrebbe avere in generale significato se tali valori fossero effettivamente espressivi di un dato che in qualche modo tenga conto della differente dinamica che ha caratterizzato il periodo esaminato. Questo, ad esempio, avverrebbe se fossero disponibili i valori mensili: poiché ciò non è possibile per l’analista esterno, in conclusione si ricorre al valore di inizio periodo (eventualmente integrato da quello di fine periodo).

La fase interpretativa Affrontati gli aspetti metodologici legati alla costruzione del ROI, si passa alla fase interpretativa. La redditività in oggetto, oltre a esprimere il ritorno sul capitale investito dall’impresa per lo svolgimento dell’attività economica, è indicatore di efficienza: al crescere del suo valore, migliorano le modalità di utilizzo delle risorse aziendali. Come per la maggior parte degli indici, non esistono valori di riferimento universalmente validi per la sua valutazione. Esso è influenzato dalla fase del ciclo di vita del comparto: valori modesti ma in crescita nella fase di introduzione, che sconta maggiori costi per la penetrazione nel mercato e volumi di produzione/ vendita non elevati; valori interessanti nella fase di sviluppo, grazie all’incremento dei volumi e alla maggiore efficienza acquisita con l’esperienza; valori più ridotti nella fase di maturità, quando la concorrenza cresce e la domanda è stabile; valori in calo nella fase di declino. Oltre a quelle citate, molte altre determinanti esterne possono influire sulle prestazioni aziendali: si pensi, ad esempio, alla tipologia di attività e al settore di appartenenza, alla tecnologia, alla dimensione, alla situazione congiunturale, all’andamento della domanda e dell’offerta, al grado di competitività. Il termine di paragone più significativo è il ROI di aziende direttamente concorrenti, che si trovano ad affrontare condizioni di mercato, ambientali, tecnologiche e distributive comparabili. Inoltre, come si leggerà nel seguito (paragrafo 9.3), il rendimento del capitale investito deve essere congruente con il costo delle fonti di finanziamento. Il ROI è scomponibile 11 in due indicatori analitici: la redditività delle vendite e il tasso di rotazione del capitale investito. 11

La scomposizione in oggetto ha significato sia per il ROI globale, soprattutto quando la gestione patrimoniale è limitata, sia per quello tipico.

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Redditività delle vendite (ROS = Return On Sales) Reddito operativo 12 __________________ Vendite 13 Rotazione del capitale investito (Turnover 14 ratio) Vendite __________________ Capitale investito Il ROI è pari al prodotto dei due precedenti indicatori parziali 15. Alcune aziende perseguono la redditività operativa tramite un elevato tasso di rotazione del capitale investito, con margini ridotti sulle vendite. È il caso, ad esempio, delle aziende della grande distribuzione, dei servizi di trasporto, delle imprese grossiste, dei rivenditori di auto di fascia medio-bassa. Altre aziende, invece, presentano modesti tassi di rotazione del capitale ma elevata redditività delle vendite: si pensi alle costruzioni meccaniche su commessa, alle immobiliari, alle imprese dell’ospitalità, alle vitivinicole. Altre ancora perseguono un mix equilibrato delle due componenti. Si consideri il seguente esempio (Tabella 9.2). Tabella 9.2. – La scomposizione del ROI A

B

C

D

Redditività delle vendite (ROS) Rotazione del capitale investito

10,0% 1,0

6,7% 1,5

5,0% 2,0

3,3% 3,0

ROI

10,0% 10,0% 10,0% 10,0%

Le singole imprese, pur ottenendo un’analoga redditività operativa, agiscono in modo differente sulle due determinanti. La conoscenza di entrambe risulta indispensabile per individuare prontamente dove intervenire al fine di ottenere un 12

Maggiore espressività si ha allorquando al numeratore è utilizzato il reddito operativo della gestione caratteristica, anche se è possibile fare ricorso al reddito operativo aziendale. Nel primo caso si avrà una redditività operativa delle vendite; nel secondo globale. 13 In alcune realtà economiche (ad esempio, nelle imprese che operano per grandi commesse o edili), in luogo delle vendite è preferibile utilizzare il valore della produzione nei singoli indicatori. 14 Il termine Turnover è utilizzato, nel linguaggio economico, per identificare molteplici elementi. 15 Questo è vero se i due sono omogenei, situazione sempre verificata quando si utilizza il reddito operativo aziendale. Infatti, in questo caso, il ROI è determinato con il capitale investito complessivo, sempre disponibile. Nel caso opposto, nel quale il ROS è ottenuto dal rapporto tra reddito operativo di gestione caratteristica e vendite, la rotazione del capitale investito dovrebbe utilizzare il capitale investito di gestione caratteristica che, come visto in precedenza, non è sempre calcolabile.

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miglioramento del ROI. Si ipotizzi, nell’esempio precedente, che le quattro aziende siano concorrenti: A è caratterizzata dal ROS più alto del settore. È assai probabile che essa debba attuare decisioni finalizzate a modificare la rotazione del capitale investito, in quanto tale determinante presenta (almeno teoricamente) i maggiori spazi di miglioramento. Si esaminano ora singolarmente i due indicatori per cercare ulteriori scomposizioni utili a meglio comprendere la redditività operativa o aziendale, senza dimenticare che essi sono caratterizzati da elevata interdipendenza 16. a) Redditività delle vendite 17 La redditività delle vendite, interpretabile come l’aspetto “economico” dell’efficienza, esprime la marginalità netta generata dall’attività caratteristica, grandezza determinante per la remunerazione del capitale investito. In altro modo, identifica il reddito disponibile all’azienda, per euro di fatturato, dopo la copertura di tutti i costi della gestione tipica: è particolarmente influenzato dalla dinamica dei mercati di sbocco, di approvvigionamento oltre che dalle scelte connesse al grado di rigidità della struttura produttiva. La valutazione dell’indicatore, da parte dell’analista esterno, si deve limitare al valore sintetico: non è possibile effettuare ulteriori disaggregazioni, in quanto le informazioni a tale scopo necessarie derivano dal sistema di contabilità analitica. Infatti, una possibile suddivisione presuppone la disponibilità dei costi classificati in base al grado di variabilità rispetto al volume di attività. Ciò permetterebbe di calcolare i due seguenti quozienti. Redditività primaria delle vendite Margine di contribuzione _______________________ Vendite Il quoziente esprime la redditività dell’azienda prima della copertura dei costi fissi. Anche questo valore, di per sé, risulta insufficiente: è invero importante scindere il margine di contribuzione per oggetti parziali (prodotti, linee di prodotti, canali di vendita, tipologie di clienti, business ed altro ancora).

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Si pensi all’espansione del fatturato: oltre a valutare l’effetto sul reddito operativo è necessario considerare anche la crescita del circolante (e, quindi, del capitale investito) ad esso associato. 17 Si approfondisce il ROS nell’ipotesi di reddito operativo di gestione caratteristica al numeratore ma similari considerazioni possono essere svolte nel caso di reddito operativo aziendale: entrambi sono disponibili nel conto economico riclassificato a valori percentuali. Il confronto tra i due indicatori, che si differenziano per il solo numeratore (al denominatore c’è sempre il fatturato), permette di capire il peso della gestione patrimoniale, valutandone la sua effettiva rilevanza.

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Effetto di leva operativa Reddito operativo _______________________ Margine di contribuzione  Il rapporto tra reddito operativo e margine di contribuzione individua il margine di sicurezza, espressivo del grado di rigidità della struttura dei costi e del rischio operativo dell’impresa 18. Al crescere dell’incidenza dei costi fissi, aumenta l’effetto sul reddito di variazioni del fatturato: questo è particolarmente rilevante in momenti caratterizzati da congiuntura negativa, dove il volume di attività tende a ridursi. Una linea di indagine alternativa sul ROS, meno incisiva ma attuabile dall’analista esterno, è l’esame del costo del venduto o dei costi operativi rapportati al fatturato o, meglio ancora, al valore della produzione. Questo permette, da un lato, di comprendere quali classi sono più (o meno) rilevanti rispetto ai concorrenti e, quindi, di individuare aree di debolezza (o di forza) nell’ambito della gestione tipica sulle quali concentrare l’attenzione; dall’altro è funzionale a cogliere l’evoluzione nel tempo delle medesime 19. b) Rotazione del capitale investito 20 Il secondo indicatore rilevante per l’analisi del ROI è la rotazione del capitale investito, che pone in relazione una grandezza operativa (fatturato) con una strutturale (capitale investito) 21. L’esame nel tempo può evidenziare problemi di crescita squilibrata: eccessiva, ad esempio, nella dimensione strutturale rispetto all’operativa, con l’effetto di ridurre il valore dell’indicatore. Esso rileva la velocità di “disinvestimento” delle risorse aziendali, cioè quante volte nel periodo esaminato il capitale investito ruota, trasformandosi in fatturato: per tale ragione è interpretabile come dimensione finanziaria dell’efficienza e come misura indiretta di “produttività”. In altri termini, permette di comprende18 Il margine di sicurezza è uno degli elementi per la determinazione e l’analisi dell’effetto di leva operativa, la quale esprime la variazione del reddito a fronte di modificazioni dei volumi di attività. Un secondo indicatore è il grado di leva operativa, reciproco del primo. 19 Si tratta di un esempio di applicazione dell’analisi verticale (paragrafo 6.2). 20 Come tutti gli indicatori, anche per questo il calcolo dovrebbe essere effettuato rendendo omogenei numeratore e denominatore, anche se di solito ciò non viene fatto in modo completo. Non tutti gli investimenti, infatti, sono funzionali all’ottenimento del fatturato (ad esempio i titoli) mentre per altri il legame è indiretto (ad esempio le partecipazioni). In definitiva, la massima espressività si avrebbe correlando il fatturato al capitale investito della gestione caratteristica, anche se questo non sempre è possibile per l’analista esterno. L’indicatore assume comunque significatività e il suo valore è tanto più sottostimato quanto maggiori sono gli investimenti non caratteristici. 21 Il reciproco dell’indice rappresenta il valore degli investimenti aziendali per ogni euro di fatturato, cioè l’intensità di capitale utilizzato.

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re se il volume di attività è adeguato alla struttura disponibile o, analogamente, indica le modalità di impiego degli investimenti. La rotazione è fortemente dipendente dal settore di attività e influenzata dai criteri valutativi adottati, oltre che dall’esistenza di eventuali operazioni di leasing, se mantenute nell’analisi secondo il metodo dei canoni 22. Per migliorare l’efficienza vi sono molte possibilità, che molto semplicemente possono portare a incrementare le vendite attuali impiegando lo stesso capitale investito, oppure a mantenere le vendite attuali riducendo il capitale. Nella realtà si opera attraverso un mix equilibrato delle due. Per quanto riguarda la prima alternativa, le decisioni devono indirizzarsi verso l’ampliamento del grado di sfruttamento della struttura, verificando se il mercato è in grado di assorbire un aumento delle quantità prodotte, se vi è la possibilità di entrare in nuovi mercati o se l’azienda può, senza costi eccessivi, espandere la propria quota di mercato. La seconda alternativa richiede un’ulteriore indagine, per riconoscere quali sono le aree critiche del capitale investito sulle quali intervenire: è, pertanto, necessario suddividere l’indicatore in indici esprimenti tassi di rotazione parziali, dell’attivo fisso e dell’attivo circolante 23. Tasso di rotazione dell’attivo fisso netto Vendite ________________ Attivo fisso netto Un aumento dello sfruttamento della struttura produttiva esistente incrementa il valore di questo indice. Il dimensionamento del fatturato rispetto all’attivo fisso è, inoltre, funzione del tipo di attività svolta: alcuni settori sono strutturalmente a elevata intensità di capitale. È indispensabile il confronto con aziende concorrenti per esprimere giudizi compiuti. Inoltre, l’indicatore dipende anche dal grado di ammortamento 24: più è elevato, minore sarà l’attivo fisso netto e maggiore, a parità di condizioni, il suo indice di rotazione. Solitamente, in luogo dell’intero attivo fisso netto si fa ricorso alle sole immobilizzazioni tecniche (escludendo quelle in costruzione): l’indice che si ottiene misura il grado di utilizzo della capacità produttiva in senso stretto.

22 Il leasing, a parità di tutte le altre condizioni, migliora la rotazione ma peggiora la redditività delle vendite. L’effetto complessivo sul ROI è neutro solamente nell’ipotesi in cui i maggiori costi (del leasing rispetto all’ammortamento) attribuiti alla gestione operativa incidano, sul minore capitale, per una percentuale pari al ROI nell’ipotesi di beni di proprietà. 23 È possibile rapportare le vendite a molte componenti del capitale investito: nel testo si presentano le relazioni più significative. Tutti gli indicatori di efficienza finanziaria (globale e parziali) sono rilevanti anche nell’ambito della liquidità (capitolo 10). 24 Si veda il capitolo 8 sull’analisi della solidità.

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Tasso di rotazione dell’attivo circolante Vendite —————————— Attivo circolante lordo Il tasso di rotazione in oggetto mette in relazione due grandezze strettamente correlate, fornendo informazioni sull’investimento lordo di circolante indotto dalle vendite 25. Si è introdotto il capitale circolante, grandezza fondamentale nell’analisi della liquidità: si denota, quindi, una profonda interdipendenza tra redditività e liquidità, in quanto nella prima si osservano gli effetti reddituali delle scelte di gestione sul circolante mentre nella seconda le medesime decisioni si esaminano privilegiando il profilo finanziario, cioè i fabbisogni indotti e le modalità di copertura. Si rinvia, pertanto, al capitolo successivo per un esame delle singole componenti il capitale circolante, ricordando che la correlazione sopra individuata è di specie logica e non matematica: l’indagine analitica sulla rotazione del capitale investito non deve indirizzarsi verso la ricerca di indicatori di secondo livello la cui sintesi matematica (somma o prodotto) porti all’indicatore di partenza ma verso elementi che, opportunamente studiati, ne spieghino i valori puntuali e l’andamento nell’intervallo temporale indagato. A conclusione della redditività operativa, si richiama l’attenzione su alcuni quozienti – denominati di produttività 26 – sovente utilizzati nelle applicazioni operative e finalizzati a collegare fattori produttivi specifici con l’attività svolta, misurata in termini di fatturato o valore della produzione. A parere di chi scrive tali indicatori sono concettualmente non corretti e dal significato parziale, in quanto tendono a separare ciò che per sua natura è unitario. La misurazione del contributo di un singolo fattore produttivo disgiuntamente dagli altri è operazione sterile in generale e altamente limitante se effettuata da un analista esterno 27. Inoltre, il ruolo del capitale umano è profondamente cambiato nel tempo aumentando, in non poche realtà, il grado di integrazione con la tecnologia. La composizione dei dipendenti (operai, impiegati, dirigenti, collaboratori più o meno strutturati; full time o part time; a tempo indeterminato o determinato) è assai variabile sia nel tempo sia nello spazio ma viene trascurata nel calcolo di questi indicatori 28. Un 25 Anche se frequentemente utilizzato nella realtà, si preferisce collocare al denominatore o il capitale circolante netto (fabbisogno netto di risorse) oppure il capitale circolante operativo (enfasi alla sola gestione caratteristica). Sui vari concetti di capitale circolante, si veda il capitolo 10. 26 Tra i più noti vi sono gli indici di produttività del lavoro: a) Fatturato pro-capite: Fatturato/Numero dipendenti; b) Valore della produzione pro-capite: Valore della produzione/Numero dipendenti; c) Valore aggiunto pro-capite: Valore aggiunto/Numero dipendenti. 27 Si ritiene che tali indicatori assumano significato solamente nelle analisi interne e quando riferiti a processi o a combinazioni economiche parziali. 28 Si considera esclusivamente il numero dei dipendenti e non la composizione.

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maggiore significato lo si potrebbe individuare nelle aziende di servizi, dove il ruolo delle risorse umane assume rilievo preminente non dimenticando, anche in questo caso, il differente grado di professionalità.

9.3. Il calcolo del differenziale tra rendimento e costo delle risorse finanziarie In questo paragrafo, a differenza del precedente, si introduce una visione “finanziaria” degli indicatori, che porterà al calcolo di un differenziale di grande rilevanza nell’analisi della redditività. Il punto di partenza consiste nell’identificare i valori da contrapporre, cioè quale costo e quale rendimento delle risorse finanziarie. A questo proposito si richiamano alcuni concetti sviluppati nel capitolo 4, dedicato alla riclassificazione dello stato patrimoniale: il capitale investito complessivo (assets); il capitale investito a remunerazione esplicita o netto (investment); i mezzi di terzi; i mezzi di terzi a onerosità esplicita o debiti finanziari. Il costo medio delle risorse finanziarie è determinabile, in prima approssimazione, nel seguente modo: Costo medio complessivo dell’indebitamento Oneri finanziari _______________ Mezzi di terzi  Gli oneri finanziari posti a numeratore, fanno però riferimento solamente ai finanziamenti esplicitamente onerosi: risulta, dunque, opportuno introdurre un costo medio che contrapponga due valori omogenei. Costo medio dell’indebitamento (finanziario) Oneri finanziari ______________________________________________ Mezzi di terzi esplicitamente onerosi (debiti finanziari)  In definitiva, sono calcolabili due costi medi: il primo (OF/MT), che considera in modo implicito il mix dei mezzi di terzi dell’azienda; il secondo che si concentra su quelli per i quali si corrisponde un prezzo-costo finanziario esplicito (OF/MT*) 29. Senza la modifica indicata, il costo medio effettivo dell’indebitamento risulta sempre sottostimato, in quanto il denominatore assume un valore maggiore. L’ultima osservazione è sulle modalità interpretative dell’indice, che pone a confronto una grandezza flusso (oneri finanziari) il cui processo di formazione av29

MT* equivale a DF (debiti finanziari).

178

L’analisi di bilancio per indici

viene durante tutto l’anno, con una grandezza fondo, osservata a una certa data 30. In non pochi casi scaturiscono valori dell’indice non attendibili. Si pensi a un’azienda con elevato indebitamento all’inizio e nei primi mesi dell’anno ma rimborsato nei successivi: il costo medio risulterebbe sottostimato; nel caso opposto, con modesto indebitamento iniziale ma in forte crescita nell’anno, il costo risulterebbe sovrastimato. Pertanto, in queste eventualità, l’interpretazione dell’indice risiede nella sensibilità dell’analista, il quale deve prima verificarne la congruenza con la realtà. Infatti, i tassi medi di mercato sono noti: valori che se ne allontanano in modo eccessivo, vanno utilizzati con cautela 31. Dopo la determinazione del costo medio dell’indebitamento, occorre commisurarlo alla redditività del capitale investito: risulta evidente che un’impresa, per operare secondo economicità, deve investire le risorse disponibili a un rendimento superiore al costo delle medesime. Per il raffronto, deve esistere omogeneità tra i termini: l’utilizzo del costo medio finanziario presuppone il confronto con un ROI anch’esso rettificato. Quest’ultimo si consegue sottraendo dal capitale investito totale i mezzi di terzi che non hanno onerosità esplicita 32. Il ROI così ottenuto esprime la redditività del capitale a remunerazione esplicita (CI*) ed è denominato finanziario. ROI finanziario Reddito operativo aziendale _____________________________________ Capitale investito a remunerazione esplicita  Tale indicatore esprime il rendimento medio dei fondi investiti nell’azienda e provenienti da fonti a titolo di capitale risparmio e di debiti finanziari: in altri termini, il rendimento massimo “offerto” ai finanziatori. La necessità di ricorrere al capitale investito a remunerazione esplicita deriva, oltre all’esigenza di omogeneità con i MT* sopra ricordata, dalla considerazione che il reddito operativo è sottovalutato perché contiene oneri finanziari impliciti: dal capitale investito si escludono, pertanto, i finanziamenti causa di tali costi finanziari o che non ne generano. Se l’obiettivo è determinare il rendimento delle risorse che si debbono esplicitamente remunerare, è abbastanza evidente che dal calcolo vanno escluse tutte le forme di finanziamento di altra specie: a costo implicito di cui già si tiene conto nel reddito operativo e, appunto per questo, sono 30

Come per il capitale investito, anche i mezzi di terzi sono iniziali, come supposto nei successivi esempi. 31 A tale scopo si può anche fare riferimento a pubblicazioni ufficiali della Banca d’Italia, ad esempio il Bollettino economico (trimestrale) oppure a pubblicazioni sulle Economie Regionali, in caso di analisi più geo-localizzate. 32 Per approfondimenti si veda il capitolo 4.

L’analisi della redditività operativa e netta

179

già remunerate; a onerosità nulla perché non rilevanti. Ciò che si ricerca non è la redditività complessiva dell’azienda (già determinata con il ROI globale) ma la congruenza tra l’utilizzo delle risorse palesemente negoziate e il loro costo. Si è visto che il ROI finanziario viene contrapposto al costo medio dell’indebitamento anch’esso finanziario: il differenziale positivo 33 è condizione necessaria ma non sufficiente (quindi minimale) per esprimere un giudizio complessivo di adeguatezza sull’azienda, in quanto il ritorno atteso dal capitale di rischio deve essere certamente superiore alla remunerazione dei debiti finanziari. Ciò fa sì che la positività di cui si argomenta non assicuri che l’azienda generi valore, se la remunerazione attesa dai soci, determinata in funzione del livello di rischio dell’impresa, è superiore al ROE contabile 34. Questo indicatore si identifica con il ROI anglosassone, che esprime appunto il ritorno sugli investimenti. Per le modalità con cui è costruito e per il significato che concretamente assume, più che un ritorno sugli investimenti dovrebbe essere denominato come “ritorno per gli investitori” i quali si attendono, direttamente o indirettamente, una remunerazione esplicita 35.

9.4. La sostenibilità economica del debito Prima di affrontare la redditività netta dei mezzi propri è utile approfondire il tema del costo medio dell’indebitamento, affrontando l’impatto economico delle scelte di finanziamento. A tale proposito si fa ricorso agli indici di copertura, espressivi della relazione tra una specifica configurazione di reddito e gli oneri finanziari. Indice di copertura degli oneri finanziari (coverage ratio) Reddito operativo (EBIT) _______________________ Oneri finanziari Margine operativo lordo (EBITDA) _______________________________ Oneri finanziari

33

Sulla leva finanziaria si tornerà estesamente nel paragrafo successivo. Negli studi sull’analisi del valore si utilizzano tassi di redditività “rettificati”, la cui determinazione esula dagli obiettivi del lavoro. Si ricorda soltanto che un’impresa genera valore solamente quando produce livelli di reddito superiori a quelli necessari per compensare il livello di rischio globale. 35 Analogo al ROI o al ROI finanziario, vi sono altri indicatori di redditività operativa che qui non vengono approfonditi: a solo titolo di esempio, il ROCE (Return On Capital Employed) e il ROIC (Return on Invested Capital). 34

180

L’analisi di bilancio per indici

In merito al reddito operativo, può essere utilizzato sia quello caratteristico sia quello aziendale, perché entrambi presentano elementi di comparabilità con gli oneri finanziari, in particolare il secondo, che tiene anche conto dei ricavi derivanti dalla gestione patrimoniale o “finanziaria attiva”. In merito agli oneri finanziari, si fa riferimento a quelli di competenza, emergenti dal conto economico riclassificato. In alcune situazioni vi possono anche essere degli oneri finanziari capitalizzati: se l’operazione è stata effettuata correttamente, essi dovranno trovare copertura economica negli anni successivi. Tuttavia, con la capitalizzazione, non compariranno più nell’area finanziaria, non permettendo questo tipo di verifica futura 36. Appare evidente come l’indicatore debba mantenersi ben al di sopra dell’unità (più alto è meglio è): ciò che è importante, comunque, è il suo andamento nel tempo, cioè la sua stabilità, correlato a modificazioni del rapporto di indebitamento (Tabella 9.3). Tabella 9.3. – L’indice di copertura degli oneri finanziari

Reddito operativo (EBIT) Oneri finanziari Indice copertura degli oneri finanziari

T1

T2

T3

1.000 600 1,7

1.100 750 1,5

1.050 800 1,3

Nell’esempio si legge un sensibile peggioramento del grado di copertura, sintomo importante per valutare le successive scelte di investimento e finanziamento. Invertendo numeratore e denominatore, si ottengono indicatori analoghi, definiti di incidenza. Indice di incidenza degli oneri finanziari Oneri finanziari _______________________ Reddito operativo (EBIT) Oneri finanziari _______________________________ Margine operativo lordo (EBITDA) L’introduzione degli indicatori di copertura (o incidenza), permette di effettuare altri collegamenti. OF/V = OF/MT*  MT*/V Il primo correla l’incidenza degli oneri finanziari sulle vendite al costo medio 36

Sarà anche importante, nell’ambito dell’analisi della liquidità e del rendiconto finanziario, valutare la loro sostenibilità finanziaria.

181

L’analisi della redditività operativa e netta

dell’indebitamento finanziario, utilizzando il rapporto tra debiti finanziari e vendite, che esprime il tasso di intensità dell’indebitamento o, in questa analisi, anche il “punto di non ritorno”. Il superamento dell’unità da parte di questo indice (ma anche valori minori) assume, infatti, caratteristiche di fortissima criticità, in quanto i debiti finanziari hanno un valore superiore a quello del fatturato, che dovrebbe essere la base per il loro rimborso. Più l’indebitamento è a breve più la situazione è preoccupante. Nell’esempio di Tabella 9.4 l’impresa A presenta una situazione in sostanziale equilibrio, l’impresa B è al punto di non ritorno, l’impresa C l’ha superato. Tabella 9.4. – L’incidenza degli oneri finanziari (I)

Vendite Oneri finanziari Debiti finanziari (MT*) OF/MT* MT*/V OF/V

A

B

C

1.000 20 500 4,0% 0,5 2,0%

1.000 45 1.000 4,5% 1,0 4,5%

1.000 70 1.500 4,7% 1,5 7,0%

Il secondo collegamento utilizza l’EBITDA, un indicatore che assume anche valenza finanziaria, rappresentando un flusso lordo prodotto dall’attività tipica. Da una parte è rapportato al fatturato, misurando le risorse finanziarie prodotte per euro di vendite (redditività lorda sulle vendite); dall’altra misura l’incidenza degli oneri finanziari, cioè la quota assorbita per la remunerazione dei terzi finanziatori (Tabella 9.5). OF/V = OF/EBITDA  EBITDA/V Tabella 9.5. – L’incidenza degli oneri finanziari (II)

Vendite Oneri finanziari EBITDA OF/EBITDA EBITDA/V OF/V

A

B

C

1.000 10 100 10,0% 10,0% 1,0%

1.000 20 100 20,0% 10,0% 2,0%

1.000 30 100 30,0% 10,0% 3,0%

Passando dall’azienda A alla C, aumenta il peso degli oneri finanziari e l’assorbimento di EBITDA per il servizio del debito. A fronte della medesima capacità di produrre flussi finanziari, la differente struttura finanziaria produce effetti di-

182

L’analisi di bilancio per indici

vergenti: nell’azienda C, circa un terzo dell’EBITDA è destinato alla copertura degli oneri finanziari, un valore certamente elevato.

9.5. La redditività netta dei mezzi propri e l’effetto di leva finanziaria Il secondo indicatore fondamentale della redditività di un’azienda considera i mezzi propri (ROE = Return on Equity) 37. Redditività dei mezzi propri Reddito netto _____________ Mezzi propri  L’indice in oggetto misura il tasso medio di remunerazione dei mezzi propri investiti all’interno dell’azienda dai conferenti di capitale-risparmio 38: è un indice di estrema sintesi, in quanto esprime l’impatto della gestione aziendale nel suo complesso. Appare abbastanza intuitivo come tale indicatore risenta direttamente della redditività operativa, nel senso che un’impresa con ROI negativi o modesti, nel lungo termine non produrrà ROE soddisfacenti. Oltre che da tale variabile, esso è influenzato da altre tre: il grado di indebitamento, il costo medio dell’indebitamento, l’incidenza dei componenti straordinari e delle imposte. Ad esempio, un’azienda con una buona situazione operativa può compromettere la redditività netta dei mezzi propri con oneri finanziari eccessivi. Può anche accadere che un’azienda con un’insoddisfacente redditività operativa risollevi, nel breve termine, la redditività netta grazie a elevati componenti straordinari positivi. I quattro elementi che influenzano la redditività netta si collegano nel seguente modo: RN/MP = [RO/CI* + (RO/CI* – OF/MT* )  MT*/MP]  RN/RC dove: OF/MT* = costo medio dell’indebitamento (finanziario); MT*/MP = rapporto di indebitamento finanziario; RN = reddito netto; RC = reddito di competenza; RN/RC = incidenza dei componenti straordinari e delle imposte. La parte centrale di questa relazione (RO/CI*  OF/MT*)  MT*/MP 37 In conclusione di paragrafo verranno presentati altri due indicatori di redditività netta non legata ai mezzi propri, che utilizzano a numeratore il reddito netto. 38 Anche i mezzi propri posti al denominatore sono iniziali e al netto dei dividendi deliberati.

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L’analisi della redditività operativa e netta

è nota come Effetto di leva finanziaria. Di tale algoritmo si possono fornire due interpretazioni: una quantitativa e una qualitativa. Dal punto di vista quantitativo, il rapporto di indebitamento svolge una funzione moltiplicativa sul differenziale, tanto più evidente al crescere del suo valore: se la redditività del capitale investito è superiore al costo medio dei debiti finanziari, esso genera effetti incrementativi sulla redditività netta dei mezzi propri. È vero anche il contrario: se il differenziale rendimento/costo delle risorse finanziarie è negativo, il rapporto di indebitamento produce invece effetti riduttivi sul ROE, tanto maggiori al crescere del suo valore. Nell’esempio (Tabella 9.6) si pongono a confronto tre imprese con analoga redditività del capitale investito ma con differente struttura finanziaria 39. L’esempio evidenzia una leva positiva (differenziale di tre punti percentuali), sfruttata maggiormente dall’azienda C, la più indebitata. In termini generali, se si esclude l’effetto dei componenti straordinari, il beneficio della leva è tanto più alto al crescere del divario tra ROI e costo medio dell’indebitamento (Figura 9.1). A questo proposito, sempre nella Figura 9.1, viene riportato anche il ROE (ROE1) a fronte di un differenziale di un solo punto percentuale (ROI = 8%; OF/MT* = 7%). Tabella 9.6. – L’effetto positivo di leva finanziaria

Reddito operativo Oneri finanziari Reddito di competenza Componenti straordinari Imposte di competenza Reddito netto Capitale investito Mezzi propri Debiti finanziari Rapporto di indebitamento fin. ROI

Costo medio indebitamento fin. ROE

A

B

C

1.200 – 280 920 0 – 276 644 12.000 8.000 4.000 0,5 10,0% 7,0% 8,1%

1.200 – 420 780 0 – 234 546 12.000 6.000 6.000 1,0 10,0% 7,0% 9,1%

1.200 – 630 570 0 – 171 399 12.000 3.000 9.000 3,0 10,0% 7,0% 13,3%

 

39 Il costo medio dell’indebitamento è pari al 7%; l’aliquota di imposta, per semplicità di computo, al 30%; il calcolo degli indicatori, vista la disponibilità di un anno solo e con l’unico scopo di capire il meccanismo di funzionamento, viene fatta sui valori finali.

184

L’analisi di bilancio per indici

Figura 9.1. – L’effetto positivo di leva finanziaria

Redditività e costo dell'indebitamento

14,0% 12,0% 10,0% 8,0%

ROI

6,0%

OF/MT* ROE

4,0%

ROE1

2,0% 0,0% 0

0,5

1

3

Rapporto di indebitamento finanziario

Si considerino ora le medesime imprese a fronte di una significativa contrazione del ROI, a parità di tutte le altre condizioni (Tabella 9.7). Tabella 9.7. – L’effetto negativo di leva finanziaria

Reddito operativo Oneri finanziari Reddito di competenza Componenti straordinari Imposte di competenza Reddito netto Capitale investito Mezzi propri Debiti finanziari Rapporto di indebitamento fin. ROI

Costo medio indebitamento fin. ROE

A

B

C

600

600

600

– 280 320 0 – 96 224 12.000 8.000 4.000 0,5 5,0% 7,0% 2,8%

– 420 180 0 – 54 126 12.000 6.000 6.000 1,0 5,0% 7,0% 2,1%

– 630 – 30 0 9 – 21 12.000 3.000 9.000 3,0 5,0% 7,0% – 0,7%

185

L’analisi della redditività operativa e netta

Il differenziale tra rendimento e costo delle risorse finanziarie è minore di zero e il rapporto di indebitamento svolge una funzione riduttiva sulla redditività dei mezzi propri, direttamente proporzionale al valore dell’indebitamento. L’azienda C, infatti, non riesce a remunerare il capitale di rischio (Figura 9.2). Figura 9.2. – L’effetto negativo di leva finanziaria

Redditività e costo dell'indebitamento

8,0% 7,0% 6,0% 5,0% 4,0% ROI 3,0%

OF/MT*

2,0%

ROE

1,0% 0,0%

0

0,5

1

3

–-1,0% 1,0% –-2,0% 2,0%

Rapporto di indebitamento finanziario

  In conclusione si introducono i componenti straordinari, per esplicitare il loro effetto sul ROE. L’azienda di riferimento è la C, in tre ipotesi di incidenza (Tabella 9.8). La variazione del ROE si ottiene rapportando i componenti straordinari al netto delle imposte ai mezzi propri 40.  

40 L’ipotesi 2 rispetto alla 1 presenta componenti straordinari positivi pari a 200 che al netto dell’effetto fiscale divengono 140: rapportati a mezzi propri pari a 3.000 danno un valore del 4,7%, uguale alla differenza tra i ROE nelle due ipotesi (13,3% e 18,0%). La medesima considerazione vale confrontando le ipotesi n. 1 e n. 3, con componenti straordinari negativi per 200.

186

L’analisi di bilancio per indici

Tabella 9.8. – L’effetto dei componenti straordinari sul ROE

Reddito operativo Oneri finanziari Reddito di competenza Componenti straordinari Imposte Reddito netto Capitale investito Mezzi propri Debiti finanziari Rapporto di indebitamento ROI

Costo medio indebitamento ROE

1

2

3

1.200 – 630 570 0 – 171 399 12.000 3.000 9.000 3,0 10,0% 7,0% 13,3%

1.200 – 630 570 200 – 231 539 12.000 3.000 9.000 3,0 10,0% 7,0% 18,0%

1.200 – 630 570 – 200 – 111 259 12.000 3.000 9.000 3,0 10,0% 7,0% 8,6%

Tornando al ragionamento economico sottostante alla leva finanziaria, con l’evidenziazione del beneficio per i conferenti di capitale di rischio, si prende avvio dal ROI (Tabella 9.6, ipotesi C). Esso rappresenta il ritorno (al lordo delle imposte) sulle risorse fornite dai finanziatori, cioè la remunerazione massima che l’impresa è in grado di “offrire”. Nell’ipotesi teorica in cui le fonti fossero costituite solamente da mezzi propri si rileverebbe una perfetta coincidenza tra ROI al netto delle imposte e ROE (entrambi pari al 7%) 41. Nel caso specifico, invece, si consegue la seguente situazione, considerando che l’impresa è in grado di remunerare i finanziatori al 10%, pari al ROI finanziario: Debiti finanziari 9.000 × 10% = 900 – 630 Mezzi propri 3.000 × 10% = 300 – 0 Remunerazione lorda dei mezzi propri

270 300 570

Il ricorso all’indebitamento ha permesso ai conferenti di capitale di rischio di beneficiare della differenza tra remunerazione massima valida per tutti i finanziatori (900) ed effettiva (630), cioè quanto effettivamente pagato ai terzi, ottenendo un effetto positivo lordo di 270 che va ad aggiungersi alla remunerazione di 300. Al netto dell’effetto fiscale, vi è un ritorno di 399, pari al reddito netto. 41

Il valore si ottiene nel seguente modo: ROI × (1 – aliquota fiscale) = 10% × 70% = 7%.

187

L’analisi della redditività operativa e netta Remunerazione lorda dei mezzi propri Effetto fiscale (30%) Remunerazione netta dei mezzi propri

570 – 171 399

Il “risparmio” netto di remunerazione, generato dall’indebitamento, è di 189. Risparmio lordo remunerazione Effetto fiscale (30%) Risparmio netto di remunerazione

270 – 81 189

Il ROE è, quindi, composto da due parti: Risparmio remunerazione/Mezzi propri = 189/3.000 ROI netto imposte = 10% × 70% ROE

6,3% 7,0% 13,3%

Utilizzando direttamente i valori al netto dell’imposizione fiscale si otterrebbero immediatamente i dati per i calcoli precedenti: Debiti finanziari 9.000 × 7% = 630 – 441 Mezzi propri 3.000 × 7% = 210 – 000 Remunerazione netta dei mezzi propri

189 210 399

Si ribadisce, infine, che quanto sopra scritto persegue solamente l’obiettivo di delineare, a livello concettuale, l’impatto dell’indebitamento sul ROE poiché, come già scritto, l’aliquota fiscale effettiva diverge – anche sensibilmente – da quella nominale. Nella descrizione dell’effetto di leva finanziaria si è visto che il rapporto di indebitamento svolge una funzione moltiplicativa (vantaggiosa o svantaggiosa) solo a fronte di un differenziale (tra rendimento e costo delle risorse) diverso da zero: se nullo, l’effetto di cui si argomenta viene a mancare (Tabella 9.9). Nelle prime due colonne dell’esempio, il costo medio dell’indebitamento è pari al 6% e i conferenti di capitale risparmio di B beneficiano del maggiore indebitamento. Nelle due successive colonne, il costo si incrementa fino all’8%, uguale al ROI finanziario: il ROE delle due imprese è identico. Quanto esposto, teoricamente corretto, deve essere reinterpretato in seguito all’introduzione dell’IRAP, la cui base imponibile è differente da quella dell’im42  posta sul reddito delle società (Tabella 9.10). 42 Nell’esempio i dati sono analoghi al precedente, salvo la determinazione dell’IRAP (3,9%) su una base imponibile di 1.000, uguale per le due imprese: in tal modo la differenza nei rendimenti deriva solamente dagli oneri finanziari.

188

L’analisi di bilancio per indici

Tabella 9.9. – Il differenziale rendimento/costo e il rapporto di indebitamento

Reddito operativo Oneri finanziari Imposte Reddito netto Capitale investito Debiti finanziari Mezzi propri ROI ROE

A

B

A

B

800 – 180 – 186 434 10.000 3.000 7.000 8,0% 6,2%

800 – 420 – 114 266 10.000 7.000 3.000 8,0% 8,9%

800 – 240 –168 392 10.000 3.000 7.000 8,0% 5,6%

800 – 560 – 72 168 10.000 7.000 3.000 8,0% 5,6%

Tabella 9.10. – L’effetto dell’IRAP sulla redditività dei mezzi propri A Reddito operativo Oneri finanziari Imposte Imposte (IRAP) Reddito netto Capitale investito Debiti finanziari Mezzi propri ROI ROE

800 – 180 – 186 – 39 395 10.000 3.000 7.000 8,0% 5,6%

B 800 – 420 – 114 – 39 227 10.000 7.000 3.000 8,0% 7,6%

A 800 – 240 – 168 – 39 353 10.000 3.000 7.000 8,0% 5,0%

B 800 – 560 – 72 – 39 129 10.000 7.000 3.000 8,0% 4,3%

Nelle prime due colonne si osserva un peggioramento del ROE per entrambe le imprese: nelle due successive, non vale più l’uguaglianza sopra descritta ma l’impresa meno indebitata dispone di un ROE più alto, in quanto viene limitato lo “scudo fiscale” 43. L’interpretazione quantitativa, fino ad ora esaminata, enfatizza l’aspetto algoritmico della relazione e richiede, per una prudente valutazione, anche una riflessione qualitativa. Infatti, sembrerebbe che aumentare il tasso di indebitamento (e pertanto ridurre la solidità aziendale) in presenza di un differenziale positivo sia sempre conveniente. In realtà ciò non è vero, in quanto lo sfruttamento della leva finanziaria presuppone l’esistenza di almeno quattro condizioni: 43

Solo con riferimento all’IRAP.

L’analisi della redditività operativa e netta

189

a) valore assoluto del ROI elevato: indica la capacità dell’impresa di produrre un reddito adeguato alle risorse investite; b) variabilità del ROI ridotta: un ROI stabile nel tempo è sintomo di redditività aziendale non soggetta a modificazioni ampie e improvvise, tali da generare un differenziale negativo. La variabilità del ROI è, infatti, un importante segnale di rischio imprenditoriale: a fronte della sua crescita, è necessario adeguare il grado di capitalizzazione dell’impresa; c) valore assoluto del differenziale elevato: un divario ampio garantisce una certa sicurezza anche a seguito di mutamenti nelle condizioni del credito; d) grado di variabilità del rischio finanziario ridotta: a fronte di notevoli fluttuazioni dei tassi di mercato, è più rischioso sfruttare la leva finanziaria. Le quattro condizioni esposte, integrate da una valutazione sulla qualità del ROI 44 e dell’indebitamento 45, rappresentano elementi di riferimento fondamentali (anche in termini previsionali) per le decisioni di finanziamento della crescita strutturale: infatti, non vi è certezza che i nuovi progetti di investimento riescano a generare, almeno nel breve termine, un tasso di ritorno analogo all’attuale ROI. Nell’ipotesi in cui il differenziale fosse modesto e la scelta di copertura orientata verso i mezzi di terzi, ciò potrebbe generare, come risultato finale, un peggioramento del ROE. Come ulteriore considerazione, va rilevato che un incremento eccessivo del tasso di indebitamento può portare a una diminuzione della fiducia presso il sistema bancario, con il rischio di prezzi-costo finanziari maggiori. La redditività netta dei mezzi propri, si è visto, è anche influenzata dai componenti straordinari: aziende con redditività operativa modesta e con eccessivo indebitamento, possono “celare” (nel breve termine) la grave situazione con plusvalenze ottenute cedendo beni non strettamente necessari all’attività tipica come titoli, partecipazioni, immobili. In questo caso il giudizio non può che essere negativo, in quanto non si tratta di eventi che potranno ripetersi regolarmente nel tempo. Tuttavia questi componenti, come ampiamente visto, potrebbero non essere noti in futuro, influenzando in modo evidente le singole determinanti del ROE. A questo proposito, vale la pena di evidenziare che la riclassificazione nelle singole gestioni parziali di componenti positivi (negativi) ora considerati straordinari, genera un incremento (decremento) del differenziale tra costo e rendimento delle risorse finanziarie, non permettendo di valutare con completezza e attenzione il rischio finanziario esistente. Ultima grandezza che influenza l’indicatore è il carico tributario. Nella realtà, si fa anche ricorso a una differente scomposizione del ROE. Di seguito si effettuano alcune riflessioni su tale alternativa. In termini algoritmici: 44 45

Ad esempio, assenza di politiche di bilancio strumentali. Si fa riferimento alla composizione e ai gradi di vincolo esistenti.

190

L’analisi di bilancio per indici

Reddito operativo Capitale investito Reddito netto     Capitale investito Mezzi propri Reddito operativo Il primo indicatore, comune all’effetto di leva finanziaria sopra presentata, è il ROI. Il secondo è una variante del rapporto di indebitamento, denominata Leverage nella prassi. L’interpretazione è analoga a quella esposta nelle pagine precedenti, in quanto CI/MP = MT/MP + 1. Esso assolve una funzione moltiplicativa e identifica gli euro di capitale investito a fronte di un euro di mezzi propri. Il terzo quoziente esprime l’incidenza degli oneri finanziari, dei componenti straordinari e delle imposte: contrariamente a RN/RC, considera implicitamente l’aspetto finanziario, non permettendone un autonomo giudizio. Può essere interpretato come “leva reddituale” e, se si escludono i componenti straordinari, evidenzia l’incidenza del reddito per gli azionisti sul reddito complessivo per i finanziatori. I due schemi presentati sono evidentemente correlati: in linea generale si predilige il primo poiché più analitico, maggiormente adatto anche per analisi preventive, in grado di evidenziare autonomamente il ruolo delle scelte esplicite di finanziamento e meglio collocabile nel sistema complessivo di indici qui proposto. Il secondo fornisce un’informazione più sintetica e immediata del collegamento tra ROI e ROE ma certamente meno completa. A fianco della redditività netta dei mezzi propri, in alcune analisi, soprattutto comparative, potrebbe essere utile calcolare una redditività lorda degli stessi: ve ne sono più versioni, che si differenziano per il numeratore, visto che al denominatore ci sono sempre i mezzi propri. In particolare, si può fare riferimento al: a) reddito di competenza, al lordo dei componenti straordinari e delle imposte. Questo indicatore esprime l’impatto dell’attività ordinaria sulle risorse dei soci; b) reddito netto ante-imposte. In questo caso non si considera l’effetto fiscale che, soprattutto in confronti internazionali, potrebbe non permettere una comparazione omogenea. Redditività lorda dei mezzi propri

Reddito di competenza ____________________ Mezzi propri Reddito ante imposte ____________________ Mezzi propri Infine, a conclusione di paragrafo, si vogliono introdurre due indicatori, utilizzati nelle analisi operative, che esprimono altre forme di redditività netta, non relative ai mezzi propri.

L’analisi della redditività operativa e netta

191

Redditività netta delle vendite

Reddito netto _____________ Vendite Si ottiene dal conto economico riclassificato a valori percentuali ed esprime il ritorno complessivo sulle vendite, cioè l’incidenza delle risorse disponibili per i soci rapportata al valore delle vendite del periodo, misuratore dell’attività svolta. Ve ne sono più versioni con significato leggermente diverso: in alcuni casi al denominatore c’è il valore della produzione; in altri, al numeratore il reddito netto è al lordo dei componenti straordinari. Redditività netta del capitale investito

Reddito netto _______________ Capitale investito L’indicatore deve essere esaminato con attenzione e il suo potenziale informativo non è molto elevato. Il reddito netto è di pertinenza dei soci: se confrontato con il capitale investito può fornire un’idea complessiva di quante risorse sono state investite dall’azienda per fornire un determinato ritorno al capitale di rischio, cioè ai soci. A differenza del ROI, però, è troppo sintetico, in quanto risente anche delle scelte di finanziamento, dei componenti straordinari e dell’impatto fiscale.

9.6. Il tasso di autofinanziamento L’ultima fase dell’analisi della redditività riguarda la determinazione del Tasso di autofinanziamento, già introdotto nell’ambito della solidità: Reddito netto – Dividendi _______________________ Mezzi propri  L’indice denota: a) la capacità dell’impresa di generare e mantenere all’interno risorse finanziarie; b) la crescita del capitale investito sostenibile senza ricorrere a finanziamenti esterni; c) la quota di variazione dei mezzi propri dovuta alla ritenzione di utili 46, intesa come autoproduzione di risorse. 46 Se non vi sono variazioni di capitale sociale e di riserve, l’autofinanziamento coincide con la globale variazione dei mezzi propri (capitolo 11). Si ricordano le due condizioni che permettono tale uguaglianza: l’utilizzo dei mezzi propri iniziali al denominatore del rapporto; la riclassificazione nelle esigibilità dei dividendi deliberati.

192

L’analisi di bilancio per indici

Il tasso di autofinanziamento dipende da due elementi: a) dalla redditività dei mezzi propri: un’impresa con ROE negativi o modesti non è in grado di autofinanziarsi o lo fa in misura minima; b) dalla politica dei dividendi: l’autofinanziamento deriva, infatti, dalle scelte di ritenzione degli utili effettuate dai conferenti il capitale di rischio. In termini algoritmici: Reddito netto Reddito netto – Dividendi    Mezzi propri Reddito netto Il secondo quoziente è il Tasso di ritenzione degli utili, dal quale si può mettere in evidenza il tasso di dividendo, cioè il pay-out. Tasso di dividendo o Pay-out Dividendi   Reddito netto

In modo alternativo, il tasso di autofinanziamento si ottiene per differenza tra la redditività dei mezzi propri e la remunerazione immediata (finanziaria) dei mezzi propri: Reddito netto Dividendi   – Mezzi propri Mezzi propri In fase di scelta di destinazione del reddito prodotto, è necessario raggiungere un equilibrio tra la necessità di autofinanziamento e di remunerazione del capitale di rischio: da un lato, una politica di distribuzione eccessivamente “parsimoniosa” rischia di deludere le attese dei soci e di renderli meno disponibili verso richieste future di nuovi conferimenti; d’altro canto, una politica troppo “benevola” potrebbe indebolire l’azienda. Infatti, il tasso di autofinanziamento va confrontato con la crescita del capitale investito: di quest’ultima esprime la quota finanziata con risorse interne. In conclusione, è possibile individuare alcune situazioni in cui il rischio d’impresa tende a crescere: a) la variabilità della redditività del capitale investito è eccessiva rispetto al suo valore medio; b) il rapporto di indebitamento è troppo alto date le caratteristiche del ROI e del costo dell’indebitamento; c) il tasso di ritenzione degli utili è modesto in relazione alle esigenze di autofinanziamento; d) il tasso di ritenzione degli utili è eccessivo, andando contro le aspettative di remunerazione del capitale risparmio;

L’analisi della redditività operativa e netta

193

e) il tasso di crescita del capitale investito presenta valori sproporzionati rispetto all’autofinanziamento, cosicché risulta crescente il rapporto di indebitamento 47.

9.7. Le relazioni tra gli indici Dopo aver approfondito i principali indicatori di redditività, si sente l’esigenza di formulare delle considerazioni di sintesi sulle loro concrete modalità di impiego e interpretazione. La leva finanziaria individua certamente una situazione di minimo equilibrio che ciascuna impresa deve raggiungere: essa è definibile come condizione di “sopravvivenza”, nel senso che differenziali negativi ricorrenti nel tempo denotano un rischio talmente elevato da compromettere il funzionamento dell’impresa. Il necessario passo successivo è domandarsi se, oltre alla “sopravvivenza”, l’impresa produce concretamente ricchezza che, è bene evidenziarlo, non è automaticamente correlata all’esistenza di una leva finanziaria positiva anche se ciò è indubitabilmente una premessa essenziale. La produzione di ricchezza o, in altro modo definita, di valore, si ha solamente quando la redditività del capitale investito è superiore al costo medio del capitale (a titolo di prestito e di rischio): è abbastanza intuitivo che scelte pur positive in termini di leva finanziaria possono produrre un depauperamento del valore dell’impresa, cioè una distruzione effettiva di ricchezza. Anche se le decisioni di investimento di un’impresa portano a un incremento del ROI (finanziario) che si mantiene al di sopra del costo medio dell’indebitamento, con effetto quindi positivo sul ROE, l’impresa ha prodotto valore solamente quando il ROI è maggiore del costo medio del capitale: in caso contrario, anche se contabilmente si rileva un miglioramento, i soci non ne beneficiano in termini economici, poiché il valore dell’impresa non si è accresciuto. Tutto ciò porta a formulare le seguenti considerazioni: 1. gli indici di bilancio connessi alla redditività risultano utili per determinare le condizioni minime di successo di un’impresa: miglioramenti nel tempo sono indicativi di un processo positivo verso la produzione di valore; 2. l’esistenza di un differenziale positivo tra rendimento del capitale investito e costo medio dell’indebitamento, pur assicurando le condizioni minime di sopravvivenza, non implica la produzione di valore. Qualora tale differenziale sia minimo, si è certi del mancato raggiungimento dell’obiettivo; nel caso risulti molto elevato, è sintomatico di potenziale generazione di valore anche se, si ricorda, i valori idonei a tale calcolo derivano da elaborazioni specifiche e “interne” dei dati contabili; 47

Sul tema V. CODA, Aree critiche e rischio del finanziatore, in Ricerche economiche, n. 1, 1976.

194

L’analisi di bilancio per indici

3. gli indici di redditività sono, comunque, strumenti fondamentali per misurare il grado di perseguimento dell’economicità nel tempo ma, nel contempo, parziali, nel senso che debbono essere integrati da altre misurazioni, tra cui quelle fondate sul valore; 4. i medesimi indici rappresentano gli unici strumenti per l’analisi di un’impresa effettuata dall’esterno e, da questo punto di vista, risultano insostituibili; 5. quanto sopra scritto ribadisce e rafforza la necessità di un approccio valutativo slegato da qualsiasi automatismo. Una considerazione di ordine generale, valevole per l’intera dimensione della redditività, riguarda i componenti straordinari e la scelta della normativa italiana di escluderli dall’evidenza autonoma in conto economico. Il tema è stato ampiamente affrontato trattando della riclassificazione a cui si rinvia 48: qui si vuole rimarcare che non sempre tali componenti saranno facilmente identificabili e questo potrebbe generare alcune difficoltà in fase interpretativa, soprattutto nelle analisi comparative tra imprese. L’indicatore maggiormente influenzato sarà il ROI nelle sue varie configurazioni, per il quale potrebbe venire meno il significato di misuratore della capacità di produrre reddito dalla gestione caratteristica attraverso l’attività ordinaria, comportando anche una maggiore variabilità nel tempo dei valori, non dovuta a scelte di gestione tipica ma dipendente dal manifestarsi di operazioni con effetti classificabili come straordinari. Per il ROE, di contro, il problema è minore in quanto già oggi li incorpora: tuttavia, potrebbe ridursi il potenziale informativo della leva finanziaria, poiché alcuni componenti straordinari determinerebbero direttamente il differenziale, modificandone il significato. In conclusione, si evidenziano, nella Figura 9.3, le principali relazioni tra gli indici di redditività presentati nel capitolo, che vedono come elementi centrali la redditività del capitale investito (nelle sue varie configurazioni) e la redditività dei mezzi propri.  

48

Il tema è trattato nel capitolo 3.

195

L’analisi della redditività operativa e netta

Figura 9.3. – Le relazioni tra gli indici di redditività OF EBIT

OF

EBITDA

EBITDA

V

OF

ROA/ROGC

V OF

RO

MT

CI MT*

*

CI

+

RO CI

*



RN

RN

RN

CI

V

MP

RC MP RAI MP

×

*

MT

×

RN – D RN

MT*

×

MP

=

RN – D MP

RO

D

D

CI ×

RN

MP

CI MP × RN RO

 

OF

×

V CIGC/CIGCA

V RO

RO

V CI

Indici analitici

RN

V

V

RC

AFN

AC

Indici analitici (Liquidità)

196

L’analisi di bilancio per indici

Capitolo 10

L’analisi della liquidità

SOMMARIO: 10.1. La definizione di liquidità. – 10.2. Gli indici per la sua valutazione. – 10.3. L’analisi della liquidità della gestione caratteristica. – 10.4. Gli indicatori connessi al rendiconto finanziario. – 10.5. Le relazioni tra gli indici.

10.1. La definizione di liquidità La liquidità si collega all’equilibrio finanziario e monetario (solvibilità) di breve periodo. Un’azienda con adeguata liquidità ha la capacità di generare flussi finanziari e monetari tali da mantenere un costante bilanciamento tra attivo e passivo a breve, ovvero l’attitudine a far fronte tempestivamente (senza ritardi) ed economicamente (a costi accettabili) ai propri impegni verso i finanziatori. L’analisi di questo polo strutturale richiama necessariamente i valori a breve scadenza dello stato patrimoniale (attivo e passivo) con lo scopo di individuare potenziali rischi o squilibri. Per la costruzione degli indicatori si utilizzano i valori finali dello stato patrimoniale riclassificato secondo il criterio finanziario. La liquidità presenta stringenti collegamenti con la solidità, differenziandosi per l’orizzonte temporale, di breve per la prima e di medio-lungo termine per la seconda. Ad esempio, se a breve l’equilibrio fosse carente perché i debiti finanziari sono eccessivi ma in termini di solidità la situazione fosse sostenibile, dovremmo consolidare il debito. La liquidità ha un intervallo temporale convenzionalmente definito (un anno) e, pertanto, il problema legato ai tempi e al rispetto delle scadenze è prioritario; la solidità non fa invece riferimento a un orizzonte specifico.

10.2. Gli indici per la sua valutazione Prima di presentare i singoli quozienti, è conveniente precisare che alcuni di essi forniscono una visione sincronica della situazione di liquidità che, per essere

198

L’analisi di bilancio per indici

correttamente interpretata, necessita anche di una rappresentazione diacronica, ottenuta con il rendiconto finanziario e con indici costruiti ricorrendo ai flussi finanziari e monetari. In questo paragrafo e nel successivo l’attenzione sarà posta sull’analisi che si potrebbe definire “statica”; nel quarto si introdurrà la dimensione dinamica. Indice di liquidità primaria 1 Se ne possono costruire più versioni. La prima (cash ratio), più restrittiva e meno usuale soprattutto nell’ambito delle piccole e medie imprese, esprime la quota di impegni a breve scadenza che l’azienda sarebbe immediatamente in grado di fronteggiare attingendo alle proprie risorse liquide. Liquidità immediate __________________ Passivo a breve Raramente questo indicatore si avvicina a uno poiché è improbabile e poco vantaggioso per un’impresa detenere liquidità 2 tanto elevata da uguagliare la propria esposizione di breve periodo. Inoltre, consistenti riserve liquide possono essere segno, se mantenute nel tempo, di incapacità dell’azienda a crescere e investire nel business tipico o in attività complementari oppure di attuare scelte di diversificazione: tale sintomo è facilmente verificabile osservando il valore di altri indicatori e, in particolare, della variazione del capitale investito, complessiva o degli aggregati da cui è composto 3. La seconda versione dell’indice, più ampia, è la seguente: Liquidità immediate + Liquidità differite ___________________________________ Passivo a breve Con valori molto inferiori all’unità, l’azienda è potenzialmente a rischio, poiché mancano i presupposti per una piena copertura delle uscite future. Affinché la tensione non sfoci in crisi (di “liquidità”) è essenziale disporre di riserve potenziali (affidamenti non utilizzati) o della pronta capacità di sostituire le fonti di finanziamento in scadenza 4.

1 L’indice di liquidità primaria è anche denominato acid-test o quick ratio. L’indicatore può essere “graduato”, in quanto la composizione del numeratore è variabile, rappresentando un esempio evidente della possibilità di avere lo stesso nome per più indicatori. Nel paragrafo sono commentate due versioni. 2 Le liquidità immediate possono contenere i titoli considerati cash equivalent. 3 Sullo sviluppo si veda il capitolo 11. 4 In alcuni casi, in luogo delle liquidità differite, si utilizzano i soli crediti verso clienti.

L’analisi della liquidità

199

Margine di tesoreria 5 Liquidità immediate – Passivo a breve Liquidità immediate + Liquidità differite – Passivo a breve Pone a confronto, per differenza, le medesime grandezze utilizzate per il calcolo dell’indice di liquidità primaria fornendo, in valore assoluto, il divario tra investimenti prontamente liquidabili e finanziamenti esigibili nel breve termine. Se negativo e di importo elevato, è un forte segnale di rischio finanziario, in quanto evidenzia un eccesso di indebitamento a breve; se positivo è rivelatore di risorse liquide nette disponibili. Nella versione più estesa (con i crediti verso clienti o le liquidità differite in toto) il significato in parte cambia, poiché le risorse sono fruibili ma non in modo immediato. Liquidità netta Liquidità immediate – Liquidità negative Esprime la posizione netta di breve termine verso il sistema bancario, mettendo a confronto le forme più liquide di attività e passività a breve. Indice di liquidità secondaria Attivo a breve _______________ Passivo a breve L’indice include al numeratore, rispetto ai precedenti, anche le disponibilità (composte in prevalenza dal magazzino). In un’analisi statica e per la generalità delle imprese, una soddisfacente situazione di liquidità presuppone un valore maggiore dell’unità. Tuttavia, tale requisito è solo condizione necessaria ma non sufficiente per esprimere un giudizio positivo. A tale proposito, è necessario compiere alcune considerazioni, soprattutto attinenti il magazzino. Mentre le liquidità immediate sono di pronto utilizzo, le differite trasformabili in flussi monetari in breve tempo (anche sostenendo costi finanziari), il magazzino richiede l’effettuazione di ulteriori operazioni (di trasformazione e di vendita) prima di generare liquidità. Inoltre, diventa importante analizzare la sua composizione e i criteri di valutazione utilizzati. La prevalenza di materie prime e di prodotti in corso di lavorazione rende maggiormente difficoltoso trasformare in liquidità il magazzino in tempi brevi: tale azione è più agevole se costituito da prodotti finiti, purché dispongano di mercato. In merito ai criteri di valutazione, un magazzino valutato a LIFO fornisce generalmente un valore più prudenziale rispetto all’impiego di altri criteri, in quanto il costo corrente è usualmente superiore al contabile. 5

Il termine “tesoreria” è invalso nella prassi, anche se il suo utilizzo non è sempre appropriato in questi indicatori.

200

L’analisi di bilancio per indici

La seconda riflessione riguarda l’effettiva possibilità di disinvestimento dell’attivo a breve in modo rapido e senza perdite per far fronte agli impegni assunti: ciò impone, quindi, che per essere giudicato positivamente, l’indice deve superare in modo rilevante l’unità e crescere all’aumentare del grado di incertezza su alcune classi di valori. Se minore di uno la situazione è, per la generalità delle imprese, senza dubbio squilibrata: ci si è avvalsi di passività a breve per finanziare investimenti fissi. Quanto scritto in relazione al magazzino rappresenta lo spunto per introdurre un ulteriore ragionamento riguardante la necessità di esaminare la composizione dell’attivo a breve 6 e valutarne l’andamento nel tempo (Tabella 10.1). Tabella 10.1. – La composizione e l’evoluzione dell’attivo a breve T1 Liquidità immediate Liquidità differite Disponibilità Attivo a breve Passivo a breve Indice di liquidità secondaria Indice di liquidità primaria

80 200 50 330 206 1,6 1,4

24% 61% 15% 100%

T2 10 250 120 380 237 1,6 1,1

3% 66% 31% 100%

T3 50 270 210 530 331 1,6 1,0

9% 51% 40% 100%

Dall’anno T1 all’anno T3 si denota un costante peggioramento della “qualità finanziaria” dell’attivo a breve, con una crescita dell’incidenza delle disponibilità: anche se l’indice si mantiene costante, la sua interpretazione non è pienamente positiva (il quoziente primario, nella sua versione più estesa, passa da 1,4 a 1). Non vi sono, quindi, automatismi tra la sua crescita (stabilità) e il miglioramento (stabilità) della situazione di liquidità. Va anche considerato che un indice elevato, seppur funzionale alla liquidità, comporta un fabbisogno di finanziamento, in quanto il circolante netto non è altro che una delle tipologie di investimento aziendali: pertanto, tale grandezza, se cresce eccessivamente, può generare ripercussioni sfavorevoli a livello finanziario (oneri finanziari e solidità). Inoltre, trattandosi di un impiego di risorse, esso deve generare un congruo ritorno: le decisioni sul circolante sono, in primis, da interpretare per l’impatto che provocano sul profilo reddituale e, secondariamente, su quello monetario. In sostanza si deve osservare che l’analisi della liquidità tramite quozienti si fonda su valori che possono modificarsi rapidamente nel tempo e sulla cui scadenza non vi sono informazioni specifiche. Unico dato conosciuto è la breve du6

Appare evidente che le medesime analisi possono essere effettuate sul passivo a breve ma l’attivo assume certamente maggiore criticità.

L’analisi della liquidità

201

rata: pertanto, tale rapporto nulla esprime sull’equilibrio monetario nel brevissimo termine. Tuttavia ciò non deve portare a ritenere che i sintomi desumibili dagli indici siano di poca espressività: essi richiedono di essere accuratamente interpretati. Ad esempio, un indice di liquidità secondaria pari a tre sta a significare che l’impresa assai difficilmente entrerà in una profonda e irreversibile crisi di liquidità anche se ciò non esclude la possibilità di tensioni durante l’anno, in quanto le scadenze di singoli debiti o la trasformazione in liquidità di specifici investimenti possono manifestarsi in tempi differenti; inoltre, le modalità di rinnovo di investimenti e finanziamenti sono assai divergenti. È, infatti, evidente che le attività e le passività a breve (in particolare crediti verso clienti, magazzino, debiti verso fornitori) sono soggette a continua sostituzione: solamente un significativo surplus delle prime sulle seconde sono segnale di positività futura. In definitiva, non è ragionevole leggere dagli indici di liquidità più di quanto essi possono fornire, cioè l’indicazione dell’eccedenza o del deficit delle attività a breve sulle passività a breve in un dato momento. In funzione del valore assunto si può inferire sull’evoluzione attesa, ben sapendo che indicazioni efficaci non possono che essere ottenute disponendo di dati previsionali. Tali indici sono molto utilizzati nella realtà perché semplici da costruire e relativamente facili da interpretare. Per affinare l’analisi, è assai utile, come già scritto, integrare l’apprezzamento della liquidità con i flussi finanziari e monetari. Le osservazioni formulate sull’indice di liquidità secondaria (estendibili al quoziente successivo) debbono essere adattate in alcune specifiche realtà dove, per le caratteristiche della combinazione economico-produttiva, risultano disponibili rilevanti risorse monetarie investite in attività differenti da quella tipica intesa in senso stretto. Ciò vale, ad esempio, per le imprese della grande distribuzione nelle quali la situazione di liquidità deve essere interpretata alla luce degli investimenti generanti proventi finanziari e delle politiche di pagamento ai fornitori. Capitale circolante netto finanziario Attivo a breve – Passivo a breve Il margine in oggetto corrisponde, in valore assoluto, all’indice di liquidità secondaria. In questo caso il valore soglia è pari a zero. È interessante porre a confronto il capitale circolante netto finanziario con il margine di struttura (di primo livello) in quanto la negatività del primo comporta anche un’assenza di equilibrio nelle scelte di finanziamento, dovuta a sottocapitalizzazione ed a copertura di investimenti durevoli con passività a breve termine 7 (Figura 10.1). Certamente più composita è l’interpretazione della situazione in cui il capitale circolante netto è positivo: ad esso si può associare un margine di struttura sia negativo (Figura 10.2) sia positivo (Figura 10.3). 7

Il capitale circolante negativo, indipendentemente da valutazioni sul grado di capitalizzazione, denota carenza di fonti di finanziamento a lungo termine.

202

L’analisi di bilancio per indici

Figura 10.1. – Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (I)

Attivo a breve

Passivo a breve Capitale circolante netto

Attivo fisso netto

Passivo medio-lungo

Margine di struttura

Mezzi propri

  Figura 10.2. – Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (II)

Attivo a breve Capitale circolante netto

Passivo a breve

Passivo medio-lungo Margine di struttura

Attivo fisso netto

Mezzi propri

 

203

L’analisi della liquidità

Figura 10.3. – Le relazioni tra capitale circolante netto e margine di struttura (III)

Passivo a breve Attivo a breve Capitale circolante netto

Passivo medio-lungo

Margine di struttura

Attivo fisso netto

Mezzi propri

  Nel primo caso (Figura 10.2) significa che al finanziamento di investimenti durevoli concorrono anche passività consolidate; nel secondo che l’impresa è assai capitalizzata in quanto copre investimenti a breve anche con mezzi propri. Come qualsiasi altro indicatore, esso rende manifesto un sintomo: importante è comprendere come si è giunti a questa situazione e quali sono le prospettive evolutive. Da quanto scritto e dalle figure si può osservare che il valore del capitale circolante netto e del margine di struttura di secondo livello coincidono. Fino ad ora si è discussa una definizione di capitale circolante netto in senso lato o finanziario, direttamente derivante dalla riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio della liquidità/esigibilità, come contrapposizione tra investimenti e finanziamenti a breve termine. Un’alternativa è costituita dal calcolo del capitale circolante netto in senso stretto, attraverso il raffronto tra attività e passività correnti: si tratta, eccezion fatta per la liquidità netta, di investimenti e finanziamenti connessi alla sola gestione caratteristica corrente 8. 8

A titolo di esempio, il circolante finanziario comprende le quote in scadenza dei mutui mentre nel circolante in senso stretto sono escluse, in quanto riconducibili alla gestione finanziaria; i crediti verso clienti con scadenza superiore ai 360 giorni sono considerati immobilizzazioni finanziarie, mentre sono inseriti nel circolante in senso stretto; i ratei e i risconti identificanti valori comuni a due esercizi rientrano nel circolante in senso lato mentre, per includerli nell’altro, è necessario verificare se derivano dalla gestione caratteristica corrente. Per approfondimenti, C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili, Giappichelli, Torino, 2015, capitolo 3.

204

L’analisi di bilancio per indici

Capitale circolante netto in senso stretto Attivo corrente – Passivo corrente La prima configurazione di circolante (in senso lato) presenta una spiccata eterogeneità in termini di contenuto (correlazione con più gestioni parziali) ma omogeneità di “scopo”, individuato nella determinazione della condizione finanziaria dell’impresa a breve. La seconda, invece, è di composizione omogenea, poiché tutti i valori sono riconducibili alla gestione caratteristica corrente. Infine, la prima è agevolmente determinabile dall’analista esterno (e per tale ragione ad essa si è fatto prevalente riferimento); la seconda richiede molteplici ipotesi non sempre facilmente effettuabili. Il capitale circolante netto in senso stretto ha posto l’attenzione sulla gestione caratteristica corrente dell’impresa, evidenziando come quest’ultima rivesta un’influenza cruciale anche sulla posizione di liquidità. Nel paragrafo successivo si approfondisce la tematica. Come già evidenziato per l’indice di liquidità secondaria e per il capitale circolante in senso lato, anche questo indice richiede specifiche interpretazioni nelle imprese, come quelle della grande distribuzione, caratterizzate da situazioni nelle quali i debiti verso fornitori, per scelta gestionale, assumono valori assai elevati, in termini relativi, rispetto al circolante lordo 9. Infine, mettendo a rapporto l’attivo e il passivo corrente, si ottiene un indice analogo a quello di liquidità secondaria. Indice di liquidità secondaria (in senso stretto) Attivo corrente _______________ Passivo corrente

10.3. L’analisi della liquidità della gestione caratteristica La gestione caratteristica deve contribuire in modo rilevante al mantenimento di una soddisfacente situazione di liquidità: in caso contrario, vi sono elevate probabilità di incorrere in tensioni finanziarie anche gravi. Capitale circolante operativo Al fine di apprezzare l’impatto della gestione caratteristica sul profilo di liquidità complessivo dell’impresa, un primo indicatore è il Capitale circolante operativo (CCO): Clienti + Magazzino – Fornitori È un aggregato esprimente l’efficienza finanziaria della gestione tipica, in quan9

Tale condizione influenza anche la riclassificazione del conto economico.

L’analisi della liquidità

205

to rappresentativo – se positivo come nella maggior parte dei casi – dell’impiego netto di risorse da essa indotto: le classi che lo compongono, infatti, derivano direttamente dal ciclo acquisto-trasformazione-vendita 10. Obiettivo dell’azienda è rendere minimo tale indicatore, gestendo al meglio le condizioni di regolamento degli scambi e i tempi di produzione e permanenza in magazzino. Nell’ipotesi in cui fosse uguale a zero 11, significherebbe che l’azienda finanzia gli investimenti in crediti verso clienti e in magazzino con i debiti verso fornitori. In altri termini, il tempo medio di dilazione ottenuto dai fornitori sarebbe sufficiente a coprire il periodo di giacenza in magazzino dei beni e le dilazioni accordate ai clienti. Il ciclo operativo si autofinanzierebbe senza bisogno di ricorrere all’indebitamento bancario: quanto più il valore del circolante operativo è basso tanto più l’azienda tende a questa condizione. Risulta indubbia, per la gran parte delle aziende, l’impossibilità di raggiungere tale situazione: ciò non limita, anzi accresce, la criticità dell’indicatore, i cui elementi componenti debbono essere oggetto di meditate politiche di programmazione e controllo. Di particolare interesse è rapportare il capitale circolante operativo al fatturato, così da valutare nel tempo l’evoluzione della sua incidenza. Grado di incidenza del capitale circolante operativo Capitale circolante operativo _________________________ Vendite A questo punto è giovevole sintetizzare, ricorrendo a ipotesi semplificatrici, le valutazioni sin qui esposte attraverso i collegamenti tra alcune grandezze rilevanti. Si consideri il seguente schema semplificato 12 (Figura 10.4). Figura 10.4. – Le relazioni tra capitale circolante netto e operativo

Liquidità immediate Clienti

Magazzino

10

Liquidità negative Fornitori Capitale circolante netto

Nel testo si è fatto riferimento alle tre componenti principali ma nel capitale circolante operativo si possono anche inserire altri valori strettamente connessi al ciclo operativo. 11 Nelle imprese della grande distribuzione non è infrequente che tale indice assuma valori negativi. 12 La semplificazione consiste nell’aver utilizzato solamente alcune delle componenti il capitale circolante netto: ciò al fine esclusivo di meglio comprendere i legami con il capitale circolante operativo.

206

L’analisi di bilancio per indici

Dalla Figura 10.4 (semplificata) appare come il capitale circolante netto dipenda dalla liquidità netta (indicatore relativo al governo della liquidità) e dal capitale circolante operativo (relativo al governo dell’efficienza finanziaria della gestione tipica). Infatti: Capitale circolante netto = Liquidità netta + Capitale circolante operativo In tal modo si sono individuate le principali classi su cui intervenire per influire sul capitale circolante netto, soprattutto quando risulta inadeguato. Utili allo scopo, partendo dai valori di bilancio, sono gli indicatori di durata media relativi a tre elementi rilevanti: 1. i crediti verso i clienti; 2. il magazzino; 3. i debiti verso i fornitori. Di seguito si approfondiscono i singoli indicatori, ricordando che essi non sono altro che il reciproco del corrispondente indice di rotazione: rispetto a questi ultimi sono preferibili, giacché risulta più agevole l’interpretazione quando il dato viene espresso in giorni 13. “Durata media” dei crediti verso clienti (crediti commerciali) Crediti verso clienti 14 ___________________ Vendite/360 Il quoziente, ampiamente utilizzato, abbisogna di alcune considerazioni, poiché normalmente viene costruito e interpretato in modo non corretto. Nella forma sopra esposta, esso misura i giorni medi di vendite ancora da incassare e non, come normalmente si presume, la dilazione media concessa ai clienti. A tale scopo, infatti, sarebbe necessario conoscere le vendite a credito dell’azienda. L’indice si trasformerebbe nel modo seguente: Crediti verso clienti ___________________ Vendite a credito/360 Solamente in questa seconda versione 15 sarebbe espressivo dell’intervallo temporale compreso tra la vendita e l’incasso. Vi è, però, un ulteriore problema poiché il numeratore e il denominatore non sono tra loro omogenei, dato che i credi13

Si pensi proprio ai crediti verso clienti: è certamente più immediata un’informazione sulla loro durata (ad esempio, 90 giorni) che sulla loro rotazione (pari a 4). 14 I crediti da considerare sono quelli correlati alle vendite: ad esempio, non va utilizzato un credito derivante dalla cessione di un’immobilizzazione. 15 Nel caso in cui non vi siano vendite con regolamento in contanti o anticipato, questa versione coincide con la precedente.

L’analisi della liquidità

207

ti verso clienti comprendono l’imposta sul valore aggiunto: è allora indispensabile conformare i due termini o aggiungendo l’imposta alle vendite o scorporandola dai crediti verso clienti. Senza questa modifica, il valore ottenuto è sovrastimato. Crediti verso clienti ___________________ Vendite  1,x/360 16 Crediti verso clienti/1,x _____________________ Vendite/360 Per concludere la trattazione dell’indice, va osservato che i quozienti presentati sono adatti quando tutto il fatturato è nazionale: nel caso di vendite estere, laddove esistono le informazioni 17, è preferibile calcolare due indici di durata, uno relativo ai clienti nazionali e uno ai clienti esteri 18. Se ciò non fosse possibile, è necessario ponderare l’aliquota IVA, poiché le esportazioni non sono ad essa soggette. Ciò avviene moltiplicando l’aliquota corrente per la percentuale di fatturato ottenuta all’interno del territorio nazionale: tale proposta, pur soddisfacente, non è certamente ottimale. Crediti verso clienti Italia ______________________ Vendite Italia  1,x/360 Crediti verso clienti estero _______________________ Vendite estero/360 Valori elevati dell’indice (rispetto al termine di riferimento prescelto) sono rilevatori di estese dilazioni concesse, di modesto potere contrattuale verso la clientela, di scarsa selezione dei clienti con l’effetto di incassi ritardati o insolvenze 19. L’indicatore deve essere esaminato insieme al tasso di variazione del fatturato, al fine di comprendere se la durata è stata utilizzata come leva per l’espansione delle vendite o, in altri termini, per capire l’effetto di modificazioni del fatturato sul valore dei crediti. 16 L’aliquota IVA da utilizzare è quella in vigore nell’anno di analisi o caratterizzante l’attività svolta: nell’indice è identificata da x. 17 Si tratta delle vendite e dei crediti, nazionali ed esteri. 18 Nulla vieta di calcolare anche più indicatori per le vendite fuori confine, dando ad esempio evidenza all’area euro. 19 Per il calcolo è importante sommare ai crediti commerciali iscritti in stato patrimoniale (indipendentemente dalla scadenza), il valore degli effetti scontati e non scaduti, se indicati in nota integrativa. Particolare attenzione va dedicata ai crediti verso clienti a medio-lungo termine che, pur derivando dalle vendite, potrebbero rappresentare situazioni di contenzioso o di rinegoziazione e fuorviare l’interpretazione dell’indice.

208

L’analisi di bilancio per indici

Durata media del magazzino In termini generali, è calcolato nel modo seguente: Magazzino _____________ Vendite/360 L’interpretazione è analoga alla precedente: identifica i giorni medi di permanenza o, anche, il magazzino necessario a fronte di ogni euro di fatturato 20. È influenzato dai criteri di valutazione adottati 21, dalla tipologia dei beni prodotti e venduti, dalla gamma offerta, dalla lunghezza del ciclo produttivo, dall’eventuale ricorso a politiche speculative e da altri elementi ancora: se di valore elevato, può essere sintomo di scorte eccessive, di inefficienza nella loro gestione, di obsolescenza del magazzino (non svalutato), di previsioni di vendita (e, quindi di produzione e acquisto) errate, di acquisti speculativi. Nel caso opposto (valore modesto), oltre a un’interpretazione speculare alla precedente, è necessario chiedersi se la situazione attuale, apparentemente soddisfacente, genererà delle debolezze nel prossimo futuro: si pensi, soltanto, alla crescita improvvisa della domanda o alla difficoltà di approvvigionamento. Nonostante la sua ampia utilizzazione, appare in modo chiaro che i due termini posti a confronto non sono omogenei: infatti, sarebbe auspicabile calcolare un indice specifico per ogni tipologia di rimanenza. Tale operazione non è però completamente attuabile da un analista esterno in quanto, pur essendo conosciuta la suddivisione analitica del magazzino, non sono determinabili in modo puntuale alcune delle grandezze da contrapporre a denominatore. Gli indici specifici sono, comunque, di seguito riportati. a) Materie prime Magazzino materie prime _______________________ Consumi/360 Questo indicatore è sempre determinabile e assume particolare rilievo al crescere del peso delle materie prime. b) Prodotti in corso di lavorazione Magazzino prodotti in corso di lavorazione _____________________________________ Costo del prodotto ottenuto/360

20

La seconda informazione si ottiene senza dividere le vendite per 360. Il reciproco, cioè il tasso di rotazione, indica quante volte il magazzino si rinnova nell’arco dell’anno. 21 L’effetto prodotto è limitante per i confronti interaziendali. Inoltre, va ricordato che il ricorso al LIFO sottostima l’indicatore.

L’analisi della liquidità

209

È di ridotta utilità in generale, vista la complessa interpretazione dei prodotti in corso di lavorazione. c) Prodotti finiti Magazzino prodotti finiti _______________________________ Costo industriale del venduto 22/360 A denominatore si possono anche utilizzare le vendite: in questo caso, modificazioni del valore nel tempo possono anche dipendere da variazioni nella marginalità. “Durata media” dei debiti verso fornitori 23 Fornitori ____________ Acquisti/360 L’interpretazione è analoga a quella dei clienti, salvo alcune considerazioni sulla possibilità di effettivo impiego da parte dell’analista esterno. Dal punto di vista informativo non vi sono dubbi sulla sua utilità, anche se in fase di costruzione sorgono una serie di problemi, in alcuni casi non solubili e tutti correlati alla potenziale dissonanza tra numeratore e denominatore. Mentre, infatti, non sussistono incertezze sulla logica contrapposizione tra crediti verso clienti e vendite (salvo alcune situazioni particolari quali la vendita di cespiti) non sempre ciò vale tra acquisti e fornitori. Infatti, i debiti verso fornitori fanno riferimento a tutte le tipologie di acquisti di beni e servizi rilevati in conto economico (salvo, ad esempio, il fattore lavoro): il solo accostamento agli acquisti di materie prime (come l’integrazione di questi ultimi con altri costi quali le prestazioni di servizi e il godimento di beni di terzi) porta a risultati non corretti. Inoltre, vi è anche un problema legato ai fornitori: è prassi diffusa (ma errata) non distinguere tra fornitori di beni a fecondità semplice e ripetuta; qualora gli investimenti siano rilevanti e non si possa isolare la quota parte di debito, l’indice perde di significatività. In definitiva, tale indicatore è da costruire nei casi in cui si è certi dell’espressività dei valori confrontati. In conclusione è opportuno ribadire che tutti gli indicatori di durata forniscono informazioni medie e si fondano sull’ipotesi di distribuzione uniforme durante l’anno delle classi reddituali (vendite, acquisti, consumi): pertanto, laddove è rile22 Tale aggregato, come il precedente (costo del prodotto ottenuto), non sono costruibili dal bilancio pubblicato. In caso di disponibilità, il valore dell’indice rappresenterebbe i giorni di vendite per i quali in magazzino sono già esistenti i beni, a parità di margine medio. Se il costo industriale del venduto fosse disponibile, si potrebbe utilizzare anche per il calcolo dell’indice generale di durata, dove a numeratore ci sono tutte le rimanenze. 23 Per le problematiche relative all’IVA, si rinvia all’indice di durata dei crediti verso clienti.

210

L’analisi di bilancio per indici

vante il fenomeno della stagionalità, essi perdono di espressività, in quanto il loro valore è sottoposto, nel periodo amministrativo, a frequenti ed elevate oscillazioni.

10.4. Gli indicatori connessi al rendiconto finanziario Si ritiene opportuno, seppur in modo sintetico, introdurre alcuni indicatori fondati sul rendiconto finanziario, al fine di identificare la dimensione “dinamica” dell’analisi 24. I flussi rappresentano un significativo completamento degli indici di bilancio e un momento di raccordo tra l’equilibrio reddituale, patrimoniale e finanziario. Attraverso il rendiconto finanziario si legge in modo differente il bilancio di esercizio: infatti, i dati elementari necessari per la sua costruzione sono ottenuti dalle medesime tavole di sintesi (conto economico e stato patrimoniale) ma elaborati con criteri difformi rispetto al calcolo degli indici (fino ad ora trattati) e integrati dalle informazioni contenute nella nota integrativa e, eventualmente, nella relazione sulla gestione. Per questa ragione, è particolarmente interessante e proficuo il ricorso ai flussi finanziari e monetari per la costruzione di indicatori di liquidità utili, oltre che per valutare la dimensione strutturale in oggetto, anche per una più consona interpretazione di altri indicatori del globale sistema 25. Il primo gruppo pone l’attenzione esclusivamente sulla gestione caratteristica sia corrente sia non corrente. Si prende avvio richiamando la redditività delle vendite (ROS), la quale evidenzia l’effetto reddituale dell’attività tipica, senza considerare in modo esplicito i profili finanziario e monetario. A tale scopo essa deve essere integrata dai due seguenti indicatori 26. 24

Approfondimenti sui principali indicatori connessi al rendiconto finanziario, sono in C. TEOIl rendiconto finanziario, cit., cap. 8. 25 Nel paragrafo si forniscono alcuni esempi di codeste connessioni. Gli indici di seguito presentati sono tratti da: C. TEODORI, Il rendiconto finanziario, cit., capitolo 8. 26 Il flusso di capitale circolante della gestione caratteristica corrente è determinabile con due modalità: diretta e indiretta. La seconda, più utilizzata, consiste nell’intervenire sul reddito operativo escludendo tutti i valori che hanno contribuito a determinarlo ma che non generano variazioni finanziarie:

DORI,

 Reddito operativo gestione caratteristica + Costi non finanziari/monetari – Ricavi non finanziari/monetari = Flusso di capitale circolante netto della gestione caratteristica corrente

Nell’ambito dei costi non finanziari/monetari sono compresi, per lo più, le seguenti classi di valori:  

L’analisi della liquidità

211

Grado di “potenziale monetizzazione” delle vendite Flusso di capitale circolante netto gestione caratteristica corrente ______________________________________________________ Vendite L’indicatore fornisce informazioni sul circolante netto prodotto (fonte) o assorbito (impiego) da ogni euro di fatturato. I valori al numeratore e al denominatore sono grandezze flusso con esclusiva rilevanza finanziaria, in quanto ancora non si sono vagliate le scelte relative alle singole componenti del circolante, necessarie per conoscere il concreto effetto monetario prodotto dalla gestione caratteristica. A tale scopo si calcola il secondo indice, a parere di chi scrive uno dei più rilevanti in assoluto. Grado di “monetizzazione” delle vendite Flusso monetario gestione caratteristica corrente _________________________________________ Vendite Segnala il ritorno monetario sul fatturato: se espresso in valori percentuali indica quanti euro di liquidità ha prodotto la gestione tipica a fronte di cento euro di fatturato. Per le modalità con cui è costruito, su di esso influisce sia la dimensione reddituale sia quella finanziaria (Tabella 10.2). Nell’esempio si osserva che a fronte di margini di redditività positivi, le scelte sul circolante producono risultati manchevoli a livello monetario, a causa di una crescita significativa dei crediti verso clienti e del magazzino, limitatamente compensata da un accrescimento dei debiti verso fornitori 27. Ammortamenti e svalutazioni immobilizzazioni materiali Ammortamenti e svalutazioni immobilizzazioni immateriali Trattamento di fine rapporto Accantonamenti ai fondi non compresi nel capitale circolante netto

Il flusso monetario della gestione caratteristica corrente si ottiene, invece, nel seguente modo:  Flusso di capitale circolante netto della gestione caratteristica corrente + Variazioni decrementative di attività correnti + Variazioni incrementative di passività correnti – Variazioni incrementative di attività correnti – Variazioni decrementative di passività correnti = Flusso monetario della gestione caratteristica corrente 27

I due flussi della gestione caratteristica possono anche essere comparati, tramite la costruzione di un indice specifico, per la valutazione della liquidità. In particolare, dal rapporto tra il flusso monetario e il flusso di circolante della gestione caratteristica corrente si ottengono informazioni sulla capacità di trasformare flussi potenziali di liquidità in flussi effettivi: attenzione in fase interpretativa deve essere riposta sul segno del numeratore e del denominatore.

212

L’analisi di bilancio per indici

Tabella 10.2. – Gli indici di redditività, di “potenziale monetizzazione” e di “monetizzazione” delle vendite

Crediti verso clienti Rimanenze Debiti verso fornitori Vendite Costi finanziari/monetari Costi non finanziari/monetari Reddito operativo gestione caratteristica Costi non finanziari/monetari Flusso di circolante gestione caratteristica Variazione crediti verso clienti Variazione rimanenze Variazione debiti verso fornitori Flusso monetario gestione caratteristica Redditività delle vendite (ROS) Grado di “potenziale monetizzazione” Grado di “monetizzazione”

X

X1

2.500 800 500

3.900 1.200 650 10.000 – 8.500 – 500 1.000 500 1.500 – 1.400 – 400 150 – 150 10,0% 15,0% – 1,5%

L’ultimo indicatore del primo gruppo, sempre derivante dal rendiconto, prende in considerazione l’intera gestione caratteristica, sia corrente sia non corrente, esprimendone l’impatto monetario complessivo. Flusso netto gestione caratteristica Flusso monetario gestione caratteristica corrente ± Impieghi/fonti gestione caratteristica non corrente Valori positivi sono indicativi del contributo della globale gestione caratteristica alla copertura di fabbisogni derivanti da altre gestioni; valori negativi conducono ad argomentazioni opposte, anche se da collocare nello specifico contesto: in situazioni di forte espansione degli investimenti è assai evidente che l’indicatore può avere segno negativo senza che ciò porti a giudizi in tal senso. Il secondo raggruppamento, sempre teso a far risaltare il ruolo della gestione tipica, è composto da indicatori denominati di copertura e assorbimento 28, attraverso i quali si correla il flusso corrente da essa prodotto ai globali flussi finanziari e monetari o ad alcuni aggregati appartenenti ad altre gestioni. 28

Cfr. C. TEODORI, Il rendiconto finanziario, cit., capitolo 8.

L’analisi della liquidità

213

Indice di copertura dei fabbisogni di circolante Flusso positivo di circolante gestione caratteristica corrente __________________________________________________ Totale fabbisogni finanziari Indice di assorbimento delle fonti di circolante Flusso negativo di circolante gestione caratteristica corrente __________________________________________________ Totale fonti finanziarie Indice di copertura dei fabbisogni monetari Flusso monetario positivo gestione caratteristica corrente _________________________________________________ Totale fabbisogni monetari Indice di assorbimento delle fonti monetarie Flusso monetario negativo gestione caratteristica corrente _________________________________________________ Totale fonti monetarie I quattro indicatori esprimono l’incidenza del flusso della gestione caratteristica: nel caso degli indici di copertura evidenziano le risorse disponibili per far fronte ai fabbisogni aziendali; nel caso degli indici di assorbimento la quota delle fonti complessive destinate all’attività tipica corrente. Come esempio di connessione tra flussi caratteristici e aggregati parziali di altre gestioni, si propone l’indice di copertura dei finanziamenti, espressivo della capacità dell’impresa di produrre risorse monetarie congruenti con i fabbisogni indotti dal rimborso dei finanziamenti e dal pagamento degli oneri finanziari. Indice di copertura dei finanziamenti Flusso monetario gestione caratteristica corrente _________________________________________ Rimborso di debiti + Oneri finanziari Nell’ipotesi di valori negativi significa che la gestione caratteristica non è in grado di generare liquidità per far fronte al servizio del debito: risulta evidente la gravità di una siffatta situazione, in quanto altre gestioni parziali (ad esempio la finanziaria, peggiorando ulteriormente il quadro complessivo) dovrebbero fornire le risorse necessarie per la copertura. Se l’indice presentasse valori positivi ma inferiori a 1 (o 100%) la gestione tipica produrrebbe, invece, risorse ma insufficienti allo scopo; se superiore all’unità si rileverebbe la congruenza cercata 29. 29  

In luogo dei flussi negativi associati ai finanziamenti (e modificando la denominazione), al deno-

214

L’analisi di bilancio per indici

Tutti i ragionamenti riguardo la liquidità vanno integrati dall’esame delle riserve di credito di cui l’azienda può beneficiare. Per riserve di credito si intende la capacità dell’impresa di negoziare sul mercato nuovi finanziamenti alle condizioni correnti o di fare ricorso ad affidamenti non utilizzati. Si tratta di una variabile abbastanza aleatoria, difficile da valutare ma strettamente collegata all’immagine dell’azienda, alla sua passata puntualità nei pagamenti, alla sua redditività e solidità. Evidentemente, se l’azienda potesse attingere a queste riserve, il rischio di tensione, anche in presenza di indicatori di liquidità non particolarmente soddisfacenti, non sarebbe elevato almeno nel breve termine.

10.5. Le relazioni tra gli indici Come per le altre dimensioni strutturali, si presenta (Figura 10.5) la sintesi degli indicatori proposti nel capitolo. Gli indicatori di liquidità, che si costruiscono utilizzando in prevalenza lo stato patrimoniale e il rendiconto finanziario, sono esposti mettendo in evidenza: – gli indicatori generali, cioè relativi all’impresa nel suo complesso, senza riferimento a una specifica gestione parziale; – gli indicatori relativi alla gestione caratteristica, dove almeno una delle grandezze utilizzate fa riferimento all’attività tipica. Lo spazio dedicato alla gestione caratteristica, come più volte evidenziato nel capitolo, deriva proprio dalla rilevanza da questa assunta per il mantenimento di una adeguata situazione di liquidità nel tempo.  

minatore degli indici di copertura possono essere collocati anche altri elementi, tra i quali i fabbisogni vincolati, i dividendi, i fabbisogni minimi necessari per il mantenimento della capacità produttiva.

215

L’analisi della liquidità

Figura 10.5. – Le relazioni tra gli indici di liquidità

AC – PC

AC

CCO

CCO

PC

FMGCC FCCNGCC

V

Flusso CCN gestione caratteristica corrente

CL

MAG

FOR

Vendite

V/360

V/360

ACQ/360

Flusso monetario gestione car. corrente Vendite

Differenti versioni

Flusso (+) CCN gest. caratteristica corrente

Indici analitici

Totale fabbisogni finanziari Flusso monetario (+) gest. caratt. corrente Totale fabbisogni monetari Flusso (–) CCN gest. caratteristica corrente Totali fonti finanziarie Flusso monetario (–) gest. caratt. corrente Totali fonti monetarie Flusso netto gestione caratteristica

LI

LI + LD

AB

PB

PB

PB

Flusso monetario gest. caratt. corrente Rimborso di debiti + Oneri finanziari

LI – PB

 

LI + LD – PB

AB – PB CCN

LI – LN

216

L’analisi di bilancio per indici

Capitolo 11

L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio

Sommario: 11.1. La definizione di sviluppo. – 11.2. Lo sviluppo strutturale. – 11.3. Lo sviluppo operativo. – 11.4. Le relazioni tra gli indici e l’estensione temporale.

11.1. La definizione di sviluppo L’analisi dello sviluppo focalizza l’interesse sulla crescita aziendale, nel duplice profilo strutturale e operativo. È indispensabile per ogni azienda verificare se il tasso di crescita perseguito è sostenibile, senza compromettere la redditività e la solidità. Molte crisi aziendali hanno avuto origine proprio da una crescita non controllata, che ha condotto a un aumento sproporzionato dell’indebitamento e, quindi, a oneri finanziari eccessivi e all’incapacità di rimborsare il capitale alle scadenze contrattuali. Vale, evidentemente, anche la situazione opposta, di crisi indotte da mancata crescita, cioè dall’incapacità di adattarsi al mutato contesto economico. È inoltre importante misurare il proprio tasso di sviluppo operativo per confrontarlo con quello dei concorrenti e del comparto (o del settore), per capire in tal modo se l’azienda guadagna o perde posizioni in termini di quota di mercato. È, infine, essenziale verificare l’equilibrio tra la crescita operativa e la crescita strutturale. Lo sviluppo dipende da molteplici variabili, sia esterne sia interne d’impresa. Solo per introdurre qualche esempio, esternamente risente del settore di attività e del suo ciclo di vita, della situazione congiunturale e strutturale, del quadro macroeconomico, dell’evoluzione dei mercati di sbocco; internamente, invece, del ciclo di vita dei prodotti principali, delle strategie perseguite, del livello di innovatività e tecnologia, del grado di internazionalizzazione, delle risorse finanziarie disponibili. Sinteticamente, gli indicatori di sviluppo permettono di attuare due tipologie di analisi, strettamente interconnesse:

218

L’analisi di bilancio per indici

a) la prima consiste in un confronto con l’esterno, attraverso la comparazione tra la crescita dell’impresa e dei concorrenti, sia in termini operativi sia strutturali; b) la seconda nella valutazione della congruenza interna dello sviluppo, in termini di impatto finanziario e di redditività delle politiche perseguite. Nel capitolo l’attenzione è posta sulla dimensione quantitativa, cioè sulla crescita, senza porre l’attenzione, se non in modo indiretto, sulla dimensione qualitativa. Il concetto di sviluppo è, infatti, più ampio, dovendo anche considerare come la crescita è avvenuta, cioè ponendo l’attenzione anche su aspetti di natura sociale, ambientale, culturale.

11.2. Lo sviluppo strutturale La crescita strutturale richiede l’esame di grandezze di stato patrimoniale, sia dal lato degli investimenti sia dei finanziamenti. Sono significativi i seguenti tre indicatori primari: 1. tasso di variazione del capitale investito; 2. tasso di variazione dei mezzi propri; 3. tasso di variazione dei mezzi di terzi. Tasso di variazione del capitale investito  Capitale investito ______________________ Capitale investito iniziale Il potenziale informativo è già stato chiarito nell’ambito dell’analisi della solidità 1. In questa sede è rilevante comprendere quali aggregati del capitale investito sono maggiormente aumentati (o diminuiti). Tasso di variazione dell’attivo fisso netto 2  Attivo fisso netto ______________________ Attivo fisso netto iniziale   1

Si veda il paragrafo 8.2.

2

Nelle aziende caratterizzate da ingenti investimenti in immobilizzazioni materiali è utile la determinazione del Tasso di accumulazione:  Immobilizzazioni materiali lorde ————————————————— Immobilizzazioni materiali lorde iniziali 

L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio

219

Tasso di variazione dell’attivo a breve/corrente  Attivo a breve/corrente ___________________________ Attivo a breve/corrente iniziale  Come già anticipato, i cambiamenti debbono essere interpretati sia alla luce del contesto economico in cui l’impresa opera (settore in espansione o maturo; modesto o elevato grado di concorrenza) sia correlandoli ad altre variabili aziendali. A titolo esemplificativo: a) se gli investimenti fissi sono aumentati in modo significativo è importante verificare che ciò non abbia comportato una crescita squilibrata del tasso di indebitamento e gli effetti sul grado di copertura; b) se l’aumento si è verificato nell’area dell’attivo a breve/corrente è opportuno confrontare questo tasso di crescita con la variazione del fatturato: se sono allineati, si tratta di un andamento fisiologico; se il primo è inferiore alla seconda, si è operata una razionalizzazione nella gestione del circolante; nel caso opposto vi possono essere riflessi negativi sul tasso di rotazione del capitale investito e, quindi, sulla redditività; c) se il capitale investito decresce è fondamentale comprenderne le ragioni, verificando la destinazione delle risorse liberate. Tasso di variazione dei mezzi propri  Mezzi propri ————————— Mezzi propri iniziali  Tasso di variazione dei mezzi di terzi  Mezzi di terzi 3 ————————— Mezzi di terzi iniziali Il tasso di espansione del capitale investito 4 va commisurato al tasso di variazione dei mezzi propri e dei mezzi di terzi per verificare se lo sviluppo strutturale ha portato a un peggioramento della solidità. In particolare, un confronto assai significativo si ha con la variazione dei mezzi propri e, all’interno di questa, con il tasso di autofinanziamento. Al fine di collegare i tre indicatori primari di sviluppo strutturale, si introduce una relazione che, quando rispettata, mantiene costante il rapporto di indebitamento: CI% = MT% = MP% 3 L’analisi può essere estesa ai singoli elementi componenti, tra i quali il passivo corrente e il passivo a medio-lungo termine oppure i debiti finanziari. 4 Considerazioni opposte vanno formulate in caso di decremento.

220

L’analisi di bilancio per indici

Se il tasso di crescita del capitale investito è superiore a quello dei mezzi propri, anche quello dei mezzi di terzi lo sarà, determinando così un peggioramento del grado di indebitamento. Da un punto di vista strutturale è fondamentale che ogni azienda determini il proprio tasso di crescita interno sostenibile, cioè la variazione del capitale investito compatibile con la situazione di redditività e di solidità. Nell’ambito dello sviluppo strutturale, è opportuno considerare alcuni aspetti che ne rendono l’analisi più efficace e completa. a) Ci deve essere omogeneità tra il capitale investito di cui si misura la variazione e le grandezze connesse alla dimensione finanziaria, tra cui i mezzi di terzi. Il ricorso al capitale investito a onerosità esplicita presuppone il ricorso ai soli mezzi di terzi finanziari 5. Analoghe considerazioni vanno fatte quando oggetto di approfondimento sono le grandezze ottenute dalla riclassificazione dello stato patrimoniale secondo il criterio funzionale. b) In funzione delle specificità aziendali, potrebbero essere necessari alcuni approfondimenti: ad esempio, laddove l’incidenza dell’attivo fisso netto è elevata, è importante evidenziare il tasso di crescita delle immobilizzazioni, soprattutto materiali e immateriali, per illustrare la rilevanza dello sviluppo tecnologico e digitale dell’impresa, oltre al capitale intangibile. c) Con riferimento al punto precedente, può essere di rilievo il riferimento al CAPEX (CAPital EXpenditure), che richiama il tasso di crescita degli investimenti caratteristici, rimarcandone le fattispecie specifiche (innovazione, ampliamento, espansione, sostituzione).

11.3. Lo sviluppo operativo Lo sviluppo operativo comporta il ricorso a grandezze di conto economico, dalle quali discendono i due seguenti quozienti primari: Tasso di variazione delle vendite Vendite anno T – Vendite anno T – 1 ________________________________ Vendite anno T – 1 Tasso di variazione del valore aggiunto Valore aggiunto anno T – Valore aggiunto anno T – 1 _____________________________________________ Valore aggiunto anno T – 1

5

La relazione è la seguente:

CI*% = MT*% = MP%.

L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio

221

I due indici sono un importante termine di comparazione con i concorrenti, per comprenderne i rapporti di forza e la loro evoluzione. L’interpretazione è agevole e intuitiva: importante è leggerli congiuntamente per potere esprimere una valutazione compiuta. La crescita del valore aggiunto è sicuramente un fenomeno assai positivo: se superiore a quella del fatturato significa che l’azienda incrementa il valore della propria attività e riesce, pertanto, a trattenere una quota maggiore di risorse per remunerare i propri “fattori produttivi”. Se si escludono le situazioni estreme (ottimale quando entrambi gli indici crescono e critica quando entrambi decrescono), è fondamentale individuare le cause sottostanti a variazioni di segno opposto. Ad esempio, una crescita del fatturato accompagnata da riduzione del valore aggiunto può collegarsi alla sostituzione dei beni prodotti internamente con altri commercializzati, dal privilegiare prodotti “facili da vendere”, da un calo di efficienza. Il caso opposto può identificare il lancio di nuovi prodotti o l’adeguamento della gamma con prodotti “originali”, che nel breve termine manifestano un impatto limitato sul fatturato. La variazione delle vendite rappresenta un indicatore del cambiamento nel livello di attività svolta: in alcune imprese tale informazione è meglio espressa dal valore della produzione che, a differenza del precedente, si presta meno a confronti interaziendali. Tasso di variazione del valore della produzione Valore produzione anno T – Valore produzione anno T – 1 _________________________________________________ Valore produzione anno T – 1  Come già indicato per lo sviluppo strutturale, i tassi di variazione si possono calcolare per qualsiasi elemento o aggregato: particolare cautela deve però essere prestata ai redditi (intermedi o di sintesi), perché sono maggiormente soggetti, rispetto ad altri indicatori, a cambiamento nel segno.

11.4. Le relazioni tra gli indici e l’estensione temporale La dimensione strutturale e quella operativa devono utilmente essere messe in relazione, accostando il tasso di crescita del capitale investito con quello relativo al fatturato, così da permettere un collegamento con la redditività. Se il primo è cresciuto più del secondo, la rotazione del capitale investito diminuisce e, pertanto, la redditività operativa, in assenza di altre modificazioni (redditività delle vendite) risulta, almeno temporaneamente, peggiorata. In modo analogo la variazione delle vendite va correlata con gli indici di durata o, più in generale, con gli indici di liquidità connessi alla gestione caratteristica, per valutare l’impatto finanziario a breve della crescita (decrescita). A loro volta,

222

L’analisi di bilancio per indici

tali grandezze (clienti e magazzino) influenzano la variazione dell’attivo a breve/corrente e, quindi, del capitale investito. In Figura 11.1 sono indicate le principali relazioni tra gli indicatori presentati e richiamati nel capitolo. Figura 11.1. – Le relazioni tra gli indici di sviluppo V CI

RO

×

V

RO

=

CI

RN – D MP

 VP

V

 VA

VP

V

VA

 AB/AC  MP MP

AB/AC  CI CI

 MT

 AFN

MT

AFN

 MT* MT*

In conclusione, con riferimento all’estensione temporale, si vuole brevemente introdurre un indicatore abbastanza utilizzato nella realtà e denominato CAGR (Compound Annual Growth Rate), che esprime il tasso di crescita medio annuale di un valore su un periodo di tempo definito. Il CAGR sottintende una crescita costante nel tempo, in quanto il dato che fornisce rappresenta il tasso che, applicato al valore iniziale di ciascun anno del periodo, porta a ottenere il valore finale. La formula di calcolo è la seguente (V = Vendite). Si considerino i seguenti esempi relativi al fatturato (Tabella 11.1).  1    V(Tn )   Tn  T1 

    V(T1 )   

1

223

L’analisi dello sviluppo e del suo grado di equilibrio

Tabella 11.1. – La misurazione dei tassi di crescita

Ricavi Tasso di crescita annuale Tasso di crescita totale

T1

T2

T3

T4

T5

10.000

12.000 20,0%

13.500 12,5%

15.000 11,1%

18.000 20,0% 80,0% 15,8%

T1

T2

T3

T4

T5

10.000

12.000 20,0%

9.000 -25,0%

11.000 22,2%

10.000 – 9,1% 0,0% 0,0%

T1

T2

T3

T4

T5

10.000

9.000 – 10,0%

11.000 22,2%

12.000 9,1%

9.000 – 25,0% – 10,0% – 2,6%

CAGR

Ricavi Tasso di crescita annuale Tasso di crescita totale CAGR

Ricavi Tasso di crescita annuale Tasso di crescita totale CAGR

Come si può osservare, i tre tassi di crescita ci forniscono informazioni complementari: il primo (annuale) ci illustra, periodo per periodo, la modificazione del fatturato; il secondo (totale) fornisce il tasso cumulato sul periodo; il terzo il tasso medio di crescita. Quest’ultimo non è però uguale alla media dei tassi di crescita annuali, in quanto composto. Inoltre, non tiene conto degli anni centrali del periodo esaminato, in quanto i valori utilizzati per il calcolo sono il primo e l’ultimo.  

224

L’analisi di bilancio per indici

Capitolo 12

I collegamenti tra le dimensioni di analisi

SOMMARIO: 12.1. Dai singoli sottosistemi al sistema integrato di indici. – 12.2. I collegamenti tra solidità e redditività. – 12.3. I collegamenti tra solidità e liquidità. – 12.4. I collegamenti tra solidità e sviluppo. – 12.5. I collegamenti tra redditività e sviluppo. – 12.6. I collegamenti tra redditività e liquidità. – 12.7. I collegamenti tra liquidità e sviluppo.

12.1. Dai singoli sottosistemi al sistema integrato di indici Si è più volte scritto che gli indici rappresentano uno strumento efficace di analisi solamente se costituiscono un sistema integrato. Di conseguenza, in fase di valutazione, diventa rilevante non soltanto esaminare il grado di equilibrio parziale all’interno di una dimensione strutturale ma anche le interconnessioni tra le stesse: ciò equivale a valutare l’equilibrio globale. Quest’ultima fase non può certo considerarsi susseguente alla precedente ma concomitante: in altri termini, nella verifica dell’equilibrio parziale, cioè relativo a una singola dimensione, si deve accertare anche il bilanciamento con le altre. D’altro canto si è già visto come esistano alcuni indici di bilancio riferibili a più ambiti di analisi (ad esempio, la variazione del capitale investito) o algoritmi che ne considerano più di una (effetto di leva finanziaria). Per semplicità di esposizione si esaminano, nei paragrafi successivi, coppie di dimensioni rilevanti, riprendendo brevemente anche concetti già illustrati in precedenza: un quadro sinottico del sistema di indici è riportato in Figura 12.1 1, utile per cogliere le interrelazioni di seguito commentate, che faranno riferimento a connessioni di tipo matematico, logico e di mutua dipendenza.

1 Nella figura sono inseriti tutti gli indici di primo livello e alcuni di secondo: gli esclusi sono immediatamente correlabili all’indicatore principale da cui derivano. Inoltre, per esigenze di chiarezza espositiva, non compaiono molti degli indici di composizione presentati nel paragrafo 6.2.

 

 

RN CI

PFN EBITDA

PFN V

PFN MP

RAI MP

RC MP

RN V

RO CI × CI MP × RN RO

RN MP

RO CI* –

OF MT*

MT* V

OF V

 MT* MT*

D RN

MP CI MP

MT MP

RO V

EBITDA V

 AB/AC AB/AC

Indici composizione (sicurezza) MT

 CI CI

MP – AFN MP + PML – AFN

AFN

MP + PML

 II

CCO V AB PB

Flusso monetario gest. caratt. corrente Rimborso di debiti + Oneri finanziari

Flusso netto gestione caratteristica

Totali fonti monetarie

Totali fonti finanziarie Flusso monetario (–) gest. caratt. corrente

Flusso (–) CCN gest. caratteristica corrente

Flusso monetario (+) gest. caratt. corrente Totale fabbisogni monetari

Flusso (+) CCN gest. caratteristica corrente Totale fabbisogni finanziari

Flusso monetario gestione car. corrente Vendite

Flusso CCN gestione caratteristica corrente Vendite

FMGCC FCCNGCC

 VA VA

LI – LN

Indici analitici

FOR ACQ/360

V V

 VP VP

AB – PB CCN

MAG V/360

CL V/360

Differenti versioni

LI + LD – PB

LI + LD PB

 IF

Indici analitici

FA IL

 IM

 AFN AFN

LI – PB

LI PB

AC PC

CCO

AC – PC

V CI

V AC

×

V AFN

CIGC/CIGCA Indici analitici MT* RN × × RC MP

ROA/ROGC

OF EBITDA

RO CI

 MT MT

 MP MP

AFN

D MP

RN – D RN – D = RN MP

RO CI*

MT*/DF MP

×

+

OF MT

OF EBIT

Figura 12.1. – Il sistema di indici per la valutazione dell’assetto economico globale

226 L’analisi di bilancio per indici

I collegamenti tra le dimensioni di analisi

227

12.2. I collegamenti tra solidità e redditività La solidità aziendale influisce sulla redditività: infatti, una struttura equilibrata dei finanziamenti, con sufficienti mezzi propri, consente di ridurre il peso degli oneri finanziari. Anche la qualità dei mezzi di terzi 2 e la solidità percepita dai finanziatori esterni influenzano il costo medio dell’indebitamento. La congruenza temporale tra attività e passività, inoltre, rende improbabile il ricorso a forme di finanziamento non programmate e, come tali, maggiormente costose. Una buona solidità, quindi, incide in positivo sul costo medio dell’indebitamento, che a sua volta è tra le principali determinanti della redditività netta dei mezzi propri. Il tasso di indebitamento finanziario costituisce, inoltre, il “fulcro” della leva finanziaria, agendo da moltiplicatore del differenziale tra redditività operativa e costo medio dei mezzi di terzi: il suo incremento, in presenza di un differenziale positivo, porta al miglioramento della redditività netta. In questo caso parrebbe che un peggioramento della solidità potrebbe migliorare la redditività: bisogna però prestare attenzione a non aggravare eccessivamente il profilo di rischio, per evitare di subire un aumento dei tassi di interesse che ridurrebbe la redditività netta nel lungo termine o la renderebbe incoerente con il livello di rischio dell’impresa. Inoltre, è importante esaminare la redditività operativa attesa, per verificare la sostenibilità reddituale del maggior indebitamento: rapporti crescenti sono accettabili solamente laddove la redditività operativa è elevata. Infine, è necessario comprendere se l’eventuale incremento dell’indebitamento è fenomeno programmato dall’impresa o effetto inevitabile indotto da altre circostanze. D’altro lato la redditività, tramite l’autofinanziamento, incide sulla solidità. Se la redditività dei mezzi propri è adeguata e la politica dei dividendi è oculata, parte dell’utile prodotto rimane in azienda, contribuendo all’accrescimento dei mezzi propri: qualora tale incremento “generato dalla gestione” sia superiore al tasso di crescita del capitale investito, il rapporto di indebitamento si ridurrebbe e la solidità aziendale si rafforzerebbe. In caso contrario, con redditi assai modesti o perdite di esercizio oppure con politiche di destinazione degli utili poco accorte, il grado di autonomia finanziaria tende a peggiorare. In modo più indiretto, poi, un’elevata redditività accentua l’immagine di solidità aziendale percepita dai terzi, contribuendo a rafforzare la fiducia verso l’impresa. Profonde risultano, quindi, le interrelazioni tra le due dimensioni: una cospicua redditività rende sostenibile una non eccellente solidità, poiché si sfrutta pienamente l’effetto di leva finanziaria; una modesta redditività, nel lungo periodo, necessita di elevata solidità, pena l’attivazione di circoli viziosi del tipo: redditi modesti o perdite, limitato o nullo autofinanziamento, maggiore indebitamento, maggiori oneri finanziari, minore reddito.

2

Intesa come composizione dell’indebitamento in termini di onerosità e scadenze.

 

 

228

L’analisi di bilancio per indici

12.3. I collegamenti tra solidità e liquidità La liquidità presenta stringenti collegamenti con la solidità, differenziandosi per l’orizzonte temporale, di breve per la prima e di medio-lungo termine per la seconda: la liquidità ha un orizzonte temporale definito (un anno) e, pertanto, il problema legato ai tempi e al rispetto delle scadenze è prioritario; la solidità non fa invece riferimento a un orizzonte specifico. La capacità della gestione (in particolare caratteristica) di originare autonomamente risorse finanziarie e assicurare la puntualità nell’onorare gli impegni a breve (cioè buona liquidità), contribuisce al mantenimento nel tempo di condizioni di solidità, in quanto evita all’impresa il ricorso a finanziamenti imprevisti, più costosi dei programmati. Anche in questo caso l’immagine di solidità dell’azienda risulta irrobustita e con essa la fiducia percepita dal sistema bancario. Nell’ipotesi in cui la gestione tipica non producesse flussi monetari adeguati ai fabbisogni, sarebbe inevitabile il costante ricorso a finanziamenti di terzi, con detrimento della solidità. D’altro lato, se l’azienda non presentasse elevati gradi di dipendenza finanziaria, le risorse generate dalla gestione non sarebbero vincolate alla remunerazione e al rimborso dei debiti, aumentando la possibilità di mantenere adeguate riserve di liquidità o di rafforzare ulteriormente l’autonomia finanziaria. Una buona solidità è, inoltre, condizione fondamentale per avere a disposizione riserve di credito presso il sistema bancario, da utilizzare in momenti di tensione finanziaria. Infine, la maggior parte dei valori degli indici di solidità e liquidità derivano dallo stato patrimoniale riclassificato, ragione per cui le interrelazioni sono forti: a una modesta solidità, corrisponde generalmente una modesta liquidità e viceversa.

12.4. I collegamenti tra solidità e sviluppo La relazione tra le due dimensioni è particolarmente stringente nel medio periodo. Uno sviluppo del capitale investito eccessivo rispetto alla crescita sostenibile con i mezzi propri (in particolare con l’autofinanziamento), incide negativamente sulla solidità incrementando la quantità e, talvolta, peggiorando la qualità dell’indebitamento. A tale proposito vanno richiamate le due tipologie di sviluppo: operativo e strutturale. Il primo porta, a parità di condizioni, a una crescita del capitale circolante netto che si riflette sul capitale investito, cioè sulla crescita strutturale. Di differente specie è la modificazione della struttura aziendale, attraverso politiche di investimento non correnti. Una crescita strutturale finanziata esclusivamente con risorse di terzi peggiora la solidità e, in particolare, i due indicatori più rappresentativi: il rapporto di indebitamento e il grado di copertura dell’attivo fisso netto.

 

 

I collegamenti tra le dimensioni di analisi

229

L’impatto sulla solidità è, quindi, da valutare in funzione del genere di investimento: si ritiene che, per una situazione di equilibrio, l’autofinanziamento debba coprire almeno la variazione del capitale necessaria a mantenere l’attuale posizione competitiva. Nell’altro senso, un’ottimale situazione di solidità pone l’azienda nella posizione migliore per cogliere opportunità di sviluppo offerte dal mercato, mentre un’azienda poco solida, di fronte a occasioni di crescita, potrebbe dovervi rinunciare per mancanza di risorse finanziarie da impiegare o per difficoltà nel reperirle.

12.5. I collegamenti tra redditività e sviluppo Lo sviluppo influenza la redditività attraverso il grado di sfruttamento della capacità produttiva (si pensi, ad esempio, alla leva operativa). Inoltre, una modificazione non proporzionata della dimensione operativa rispetto alla strutturale, incide sulla redditività tipica, attraverso la rotazione del capitale investito. In particolare, se la crescita del capitale investito è superiore a quella del fatturato, la rotazione del capitale investito diminuisce con evidente effetto negativo sul ROI (e indirettamente sul ROE), bilanciabile solo con un miglioramento della redditività delle vendite. La redditività, a sua volta, generando un certo tasso di autofinanziamento potenziale, definisce lo sviluppo sostenibile dall’impresa senza intaccare la propria solidità, cioè senza il ricorso a fonti esterne, influenzandone il grado di autonomia finanziaria.

12.6. I collegamenti tra redditività e liquidità Il legame tra redditività operativa e flussi finanziari è molto stringente: ad esempio, l’EBITDA è un indicatore reddituale ma con spiccata valenza finanziaria. Tale indicatore permette anche di collegare queste due dimensioni alla solidità, ad esempio attraverso la relazione con la posizione finanziaria netta. Una soddisfacente redditività operativa è premessa fondamentale per una buona situazione di liquidità. La differenza tra ricavi e costi monetari di gestione caratteristica dà origine al flusso di capitale circolante netto della gestione tipica. Da questo flusso, considerate le politiche correnti sui tempi di incasso, di pagamento e di magazzino, si ottiene il flusso di cassa, determinante per il raggiungimento di un apprezzabile grado di liquidità. Tutte le scelte relative al circolante, in particolare operativo, presentano effetti sulla redditività e sulla liquidità: ad esempio, un’estensione delle dilazioni concesse ai clienti è funzionale al mantenimento o all’espansione del fatturato e dei margini operativi ma, contemporaneamente, causa fabbisogni da coprire con potenziali effetti sugli oneri finanziari è può, inoltre, generare una riduzione della ro-

 

 

230

L’analisi di bilancio per indici

tazione del capitale investito. Gli indicatori citati sono un ottimo elemento di collegamento tra redditività (visti come rotazione) e liquidità (visti come durata): produttività nel primo caso, impatto finanziario nel secondo. Espresso in altri termini, nella redditività si osservano gli effetti reddituali delle scelte di gestione del circolante, mentre nella liquidità le medesime decisioni si esaminano privilegiando il profilo finanziario, cioè i fabbisogni indotti e le modalità di copertura. Un modesto o negativo reddito operativo non permette il raggiungimento di una soddisfacente situazione di liquidità: infatti, i fabbisogni indotti da gestioni differenti dalla caratteristica corrente, richiedono fonti finanziarie esterne per essere coperti. Ciò produce anche un peggioramento nella solidità. L’assenza di problemi di liquidità 3, d’altra parte, contribuisce a ridurre il costo dei mezzi di terzi, migliorando la redditività. Infine, eventuali eccedenze di liquidità, opportunamente investite, possono offrire ritorni interessanti a sostegno della redditività operativa aziendale ed essere disponibili per finanziare la futura crescita.

12.7. I collegamenti tra liquidità e sviluppo Lo sviluppo richiede l’impiego di risorse finanziarie ed è difficilmente perseguibile in situazioni di tensione di liquidità. A differenza della solidità, qui assume rilievo diretto lo sviluppo operativo, in particolare il fatturato, che genera fabbisogni finanziari a seguito dell’aumento dei crediti e delle rimanenze (al netto dei fornitori). Fondamentale è verificare le scelte di finanziamento a fronte della crescita: il ricorso al capitale di prestito pone dei vincoli al futuro operare e alla liquidità, identificati nel servizio del debito (interessi passivi e quote capitale da rimborsare). Con un elevato sviluppo l’azienda potrebbe avere, nel breve periodo, una possibile tensione di liquidità, mentre nel medio periodo potrebbe generare maggiori risorse liquide: questo, evidentemente, solo allorquando il ritorno sugli investimenti è maggiore del loro costo. Una contrazione (tasso di variazione negativo) può, invece, produrre benefici effetti sulla liquidità nel breve termine, liberando risorse finanziarie: ma ciò può riflettersi negativamente su un arco temporale più prolungato, al di là delle possibili conseguenze sulla fiducia percepita dai finanziatori. Tutto dipende dalle ragioni per cui vi è flessione: una riduzione del fatturato connesso a perdite di quote indotte da prodotti qualitativamente insoddisfacenti, va letta differentemente da decrementi temporanei connessi al lancio di nuovi prodotti che stanno attraversando la fase di introduzione.

3 Per assenza di problemi di liquidità si intende una situazione di gestione programmata e, pertanto, di equilibrio tra entrate e uscite cosicché non si denotano sintomi particolari negli indici di liquidità.

 

 

Parte Quarta

I principi contabili internazionali

232

 

I principi contabili internazionali

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

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Capitolo 13

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

SOMMARIO: 13.1. L’evoluzione della regolamentazione contabile. – 13.2. La comparabilità tra le imprese. – 13.3. Lo IAS n. 1 e i riflessi sulla riclassificazione e sull’analisi di bilancio.

13.1. L’evoluzione della regolamentazione contabile I principi contabili internazionali stanno significativamente influenzando, in via diretta e indiretta, la regolamentazione italiana in tema di bilancio. Per quanto riguarda l’influenza diretta, cioè l’utilizzo di tali principi per la predisposizione del bilancio, è importante illustrare molto brevemente l’evoluzione avvenuta nell’Unione Europea che ha portato, dal 2005, al loro pieno riconoscimento operativo. Il processo di armonizzazione, pur essendo iniziato alcuni anni prima, nel 2000 ha avuto un primo decisivo impulso a seguito della comunicazione della Commissione Europea sulla strategia dell’Unione in tema di informativa finanziaria e, successivamente, a seguito del Regolamento Europeo n. 1606 del 19 luglio 2002 nel quale: a) si obbligavano tutte le società quotate a redigere, a partire dal 2005, il loro bilancio consolidato conformemente agli IAS adottati nell’Unione; b) si attribuiva agli Stati membri la facoltà di permettere o prescrivere alle società quotate di applicare gli IAS sopra richiamati, anche nella predisposizione dei conti annuali (bilancio individuale); c) si assegnava agli Stati membri la facoltà di permettere o prescrivere anche alle società non quotate di applicare gli IAS in oggetto. Con il D.Lgs. 28 febbraio 2005, n. 38 (e successive modificazioni) 1, attraverso il quale si sono esercitate le facoltà contenute nel Regolamento Europeo, il legi1

Il D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139 ha ampliato e meglio dettagliato l’applicazione da parte delle imprese finanziarie, con applicazione a partire dal 1° gennaio 2016.

 

234

I principi contabili internazionali

slatore italiano ha permesso anche ai gruppi non quotati di adottare volontariamente i principi internazionali, ampliando in modo considerevole la potenziale platea dei destinatari. In termini generali, la situazione relativa al bilancio consolidato è la seguente: – società quotate (escluse le assicurazioni): obbligo dal 2005; – società con strumenti finanziari diffusi: obbligo dal 2005; – società finanziarie (escluse le assicurazioni): obbligo dal 2005; – assicurazioni quotate: obbligo dal 2005; – assicurazioni non quotate: obbligo dal 2005; – società non quotate che predispongono il bilancio consolidato: facoltà dal 2005. Con riferimento, invece, al bilancio individuale, il quadro è il seguente: – società quotate (escluse le assicurazioni): facoltà dal 2005, obbligo dal 2006; – società con strumenti finanziari diffusi: facoltà dal 2005, obbligo dal 2006; – società finanziarie (escluse le assicurazioni): facoltà dal 2005, obbligo dal 2006; – assicurazioni quotate: obbligo dal 2006 (divieto se presenta il consolidato); – assicurazioni non quotate: divieto; – società non quotate che predispongono anche il bilancio consolidato: facoltà dal 2005; – società controllate e collegate da parte di una partecipante che predispone il bilancio consolidato secondo gli IAS/IFRS: facoltà dal 2005; – società diverse dalle precedenti: facoltà dal 2015 2; – società con i requisiti per predisporre il bilancio in forma abbreviata: divieto. Per quanto riguarda l’influsso indiretto, si fa riferimento al processo di modernizzazione contabile in atto sempre a livello europeo. Ciò si è riflesso, in Italia, nel recepimento delle Direttive UE (2001/65, 2003/51 e 2013/34) in materia di bilanci individuali e consolidati, con l’esigenza quindi di modificare anche la regolamentazione contabile relativa alla generalità delle imprese, cercando di favorirne – seppur non in via obbligatoria – il graduale avvicinamento proprio ai principi internazionali. Per questa ragione a livello comunitario vi è stato un intervento sulle preesistenti direttive contabili, soprattutto attraverso l’emanazione delle tre seguenti già sopra introdotte (ve ne sono altre qui non richiamate): a) la Direttiva 2001/65/CE (c.d. “Direttiva fair value”) in materia di regole di valutazione per i bilanci di taluni tipi di società nonché di banche e di altre istituzioni finanziarie, che ha previsto la possibilità di valutare al fair value alcuni strumenti finanziari; b) la Direttiva 2003/51/CE (c.d. “Direttiva modernizzazione”) in materia di bilanci di taluni tipi di società nonché di banche e imprese di assicurazioni, che 2

Tale previsione deriva da una modifica introdotta con l’art. 20, comma 2, lett. a) del D.L. 24 giugno 2014, n. 91, convertito con modificazioni dalla Legge 11 agosto 2014, n. 116.

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

235

ha introdotto varie disposizioni volte ad armonizzare la normativa contabile europea ai principi internazionali, assicurando condizioni di parità competitiva; c) la Direttiva 2013/34/UE, relativa ai bilanci d’esercizio, ai bilanci consolidati e alle relative relazioni di talune tipologie di imprese, che ha sostituito la IV e la VII Direttiva. Nelle direttive sono previste sia disposizioni obbligatorie sia disposizioni opzionali per gli Stati membri. In Italia, sono state recepite con il D.Lgs. 30 dicembre 2003, n. 394 per quanto riguarda la Direttiva 2001/65; con il D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 32 per quanto attiene la Direttiva 2003/51; con il D.Lgs. 18 agosto 2015, n. 139 in merito alla Direttiva 2013/34. La lunga premessa è necessaria per comprendere le ragioni del capitolo: i principi contabili internazionali muovono da presupposti culturali, economici e tecnici difformi da quelli italiani e ciò si riflette sull’approccio al bilancio, sui principi generali e particolari di predisposizione, sui criteri valutativi e, infine, sui criteri di rappresentazione. Indipendentemente dalle singole opinioni in merito a questi principi e all’opportunità di esteso impiego in Italia, rimane un fatto incontrovertibile: tali principi assumeranno un ruolo sempre più di rilievo anche all’interno della regolamentazione italiana e per la generalità delle imprese.

13.2. La comparabilità tra le imprese L’esistenza di principi contabili difformi genera seri problemi a livello comparativo e, quindi, anche in fase di analisi. Si pensi, molto semplicemente, a due imprese italiane, una delle quali utilizza la normativa civilistica e l’altra i principi IAS/IFRS: vi può essere, su alcune voci di bilancio, l’impiego di criteri valutativi assai differenti, con effetti sul risultato economico e sulla situazione patrimoniale e finanziaria. Si consideri, ad esempio, l’avviamento, sottoposto ad ammortamento in Italia e a impairment test a livello internazionale. Si ripropongono, anche se con modalità difformi, le medesime problematiche esistenti (soprattutto in passato) a fronte della comparazione con un’impresa estera: il confronto è possibile ma richiede particolare attenzione in fase interpretativa. Come si leggerà nel seguito del capitolo, diverrà di particolare rilievo la dimensione qualitativa dell’analisi: in altri termini, non sempre sarà sufficiente un semplice accostamento degli indici per esprimere un giudizio ma sarà necessario esaminare in modo approfondito i criteri di valutazione, i valori non realizzati 3, l’applicazione del fair value 4 a differenti classi di valori. 3 Sul tema della realizzazione, si veda M. PIZZO, L’iscrizione dei ricavi tra realizzazione e recognition, Cedam, Padova, 2005. 4 Sul fair value si rinvia a M. PIZZO, Il “fair value” nel bilancio d’esercizio, Cedam, Padova, 2000;  

 

236

I principi contabili internazionali

Anche oggi, evidentemente, l’analisi qualitativa è fondamentale ma è certamente resa più agevole da un corpus di principi che, pur con alcune opzioni, è unico 5: ciò permette anche il ricorso a indicatori medi di settore o di comparto, con i quali confrontare gli indici di un’impresa. In futuro, la comparabilità dipenderà in larga misura dalle scelte del legislatore a fronte di modifiche nella regolamentazione nazionale: maggiori saranno le similarità con i principi contabili internazionali, maggiore sarà la comparabilità tra imprese che li adottano direttamente e imprese che predispongono il bilancio secondo la normativa italiana. Oggi, anche se su alcuni criteri di redazione e valutazione c’è stato un avvicinamento, permangono ancora significative differenze. I problemi da affrontare sono, quindi, due, tra loro molto correlati: 1. la metodologia di analisi da utilizzare a fronte di un bilancio predisposto secondo i principi contabili internazionali; 2. la comparabilità tra imprese che utilizzano principi difformi. Nel seguito si cercherà di fornire una risposta soprattutto al primo problema e, su alcuni punti rilevanti, si affronterà anche il secondo: il capitolo, come sopra ricordato, ha comunque valenza introduttiva. In ogni caso, a differenza del passato, oggi la prima verifica da compiere a fronte dell’analisi di bilancio, è individuare il corpus di principi utilizzato dall’entità economica, singola impresa o gruppo 6. Il momento iniziale della fase di analisi, dopo la lettura del bilancio, è la riclassificazione delle tavole. Nei capitoli precedenti si sono presentati alcuni schemi specifici per stato patrimoniale, conto economico e rendiconto finanziario, con l’obiettivo di permettere, anche attraverso la successiva costruzione di indici, la più adeguata interpretazione della complessiva situazione economica dell’impresa. Inoltre, nel settimo capitolo, si sono proposti gli schemi di riconciliazione tra le tavole civilistiche e quelle riclassificate. A questo proposito diviene rilevante occuparsi degli IAS/IFRS, in quanto, a differenza della regolamentazione italiana, non sono previsti schemi vincolati ma vengono solamente indicate delle informazioni di riferimento o minimali, che debbono sempre essere presenti. Per questa ragione non è possibile, così come fatto per il bilancio italiano 7, predisporre degli schemi di riconciliazione, in quanto ciascuna impresa utilizzerà, pur nella comunanza delle indicazioni M. PIZZO, L’adozione degli IAS/IFRS in Italia. Fair value, Giappichelli, Torino, 2006; M. PIZZO-N. MOSCARIELLO, Il fair value, in AA.VV., I principi contabili internazionali: caratteristiche, struttura, contenuto, Giappichelli, Torino, 2013. 5 Il riferimento è ancora all’Italia ma può essere esteso anche ad altri Paesi. 6 Per le imprese italiane non quotate, il riferimento principale è oggi al codice civile e al D.Lgs. n. 127/1991, salvo che abbiano adottato volontariamente gli IAS/IFRS. La verifica propedeutica da effettuare consiste anche nell’appurare se l’entità fa ricorso al bilancio in forma abbreviata o alle semplificazioni per le micro imprese. 7 Per bilancio italiano si intende il documento predisposto secondo la normativa attuale.

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

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generali fornite, delle tavole coerenti con le proprie caratteristiche. Inoltre, le tavole IAS/IFRS sembrano (e per alcuni aspetti lo sono) già parzialmente riclassificate (su questo punto si tornerà nel seguito) e potrebbero in qualche modo generare alcune difficoltà operative 8. Quello degli schemi già riclassificati (o presunti tali) non è un problema nuovo, in quanto nei fascicoli di bilancio è già oggi possibile trovarli come informazione volontaria. A fronte della disponibilità di tavole già rielaborate, l’analista si trova di fronte a due alternative: a) utilizzare direttamente gli schemi; b) effettuare delle elaborazioni specifiche. Non vi è, indubbiamente, una sola risposta, in quanto la scelta dipende dalle finalità perseguite e dall’attendibilità delle informazioni. Ad esempio, se si sta esaminando l’evoluzione temporale di un’impresa, si possono certamente utilizzare gli schemi già disponibili, dopo averne ben compreso i criteri di costruzione che però normalmente non vengono specificati. Discorso completamente difforme se si trattasse di un’analisi comparativa, in quanto l’evidente premessa sarebbe la comunanza dei criteri di riclassificazione: ciò non significa automaticamente che gli schemi riclassificati debbano ex-novo essere costruiti ma che prima dell’interpretazione è necessario valutare con attenzione l’omogeneità sopra richiamata. Non è semplice trovare schemi condivisi, perché ciascuna impresa si muove in modo autonomo, cercando di personalizzare la tavola. Inoltre, a differenza della costruzione diretta, lo schema riclassificato predisposto dalle imprese può essere caratterizzato dal limite di non disporre del dettaglio dei singoli aggregati. Per poter interpretare uno schema, è invece fondamentale conoscere in modo analitico il contenuto dei singoli raggruppamenti perché, a fronte di denominazioni comuni vi possono essere contenuti differenti o, viceversa, a fronte di denominazioni diverse possono esservi contenuti comuni. Quanto scritto sugli schemi riclassificati vale anche per gli indici che, se già disponibili, prima di essere utilizzati richiedono l’esame della composizione del numeratore e del denominatore (o dei singoli valori utilizzati per la predisposizione). Inoltre, l’utilizzo di tavole già riclassificate influenza direttamente la costruzione (e l’interpretazione) degli indici, in quanto si possono impiegare solo gli aggregati disponibili. In conclusione, va sottolineato che la finalità della fase di riclassificazione non si modifica a fronte di schemi di bilancio differenti, anche se ciascuna regolamentazione, presentando elementi di specificità, ne può in qualche modo influenzare lo svolgimento. Analogo discorso vale per gli indici: il loro significato rimane inalterato, anche se dovranno essere letti in funzione dei principi valutativi utilizzati

8

La domanda da porsi è se utilizzare direttamente queste tavole per la costruzione degli indici oppure sottoporle a una nuova riclassificazione.

 

238

I principi contabili internazionali

per la costruzione del bilancio. Si consideri come esempio il ricorso al fair value e all’incremento di valore dello specifico bene (si pensi a un titolo): nel conto economico si iscrive il maggior valore (non realizzato) che influisce positivamente sul reddito. A fronte del calcolo di un indice di redditività si deve tenere conto, a livello interpretativo, soprattutto su periodi brevi, dell’esistenza di questo valore, anche se l’indicatore esprime di per sé pur sempre il ritorno sugli investimenti effettuati. Nel paragrafo successivo, dopo aver brevemente introdotto lo IAS n. 1, l’attenzione sarà posta sulle tavole di sintesi secondo l’impostazione degli IAS/IFRS, analizzandone la forma, la struttura e il contenuto, approfondendo su taluni aspetti la tematica della comparabilità qui introdotta.

13.3. Lo IAS n. 1 e i riflessi sulla riclassificazione e sull’analisi di bilancio Lo IAS n. 1, Presentation of financial statements 9, fornisce i riferimenti di ordine generale per la predisposizione del bilancio destinato alla generalità degli utilizzatori anche se, secondo l’impostazione internazionale, il principale destinatario è l’investitore, insieme ai finanziatori e agli altri creditori. In particolare, nel principio l’attenzione è posta sui seguenti aspetti: 1. la finalità e la composizione del bilancio; 2. i principi generali e particolari di predisposizione; 3. la struttura e il contenuto delle singole tavole; 4. il contenuto delle note al bilancio. La finalità del bilancio è fornire informazioni sulla gestione, sui risultati raggiunti, su alcune variabili chiave necessarie per comprendere l’evoluzione economica attesa dell’impresa. Si fa riferimento in particolare ad attività, passività, patrimonio netto, costi e ricavi, variazioni del patrimonio netto per operazioni compiute dagli azionisti, flussi finanziari. Nel paragrafo i punti di maggiore interesse sono il terzo e il quarto, cioè la struttura e il contenuto delle tavole e le note al bilancio. Va però opportunamente premessa la composizione del bilancio secondo lo IAS n. 1, difforme da quella attualmente esistente in Italia. Il bilancio IAS, infatti, comprende 10: a) il prospetto della situazione patrimoniale e finanziaria (stato patrimoniale) alla data di bilancio (Statement of financial position as at the end of the period);

9

Il paragrafo fa riferimento allo IAS n. 1 rivisto nel settembre 2007, con successive modificazioni nel 2008, 2011 e 2014. 10 Si fa riferimento al bilancio in “senso stretto” (financial statement), senza considerare la relazione sulla gestione (narrative section) a cui si collega il management commentary.

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

239

b) il conto economico e il conto economico complessivo (Statement of profit or loss and other comprehensive income for the period); c) il prospetto delle variazioni del patrimonio netto (Statement of changes in equity for the period); d) il rendiconto finanziario (Statement of cash flows for the period); e) le note al bilancio (Notes); f) lo stato patrimoniale a inizio periodo al verificarsi di determinate condizioni (Statement of financial position as at the beginning of the preceding period when an entity applies an accounting policy retrospectively or makes a retrospective restatement of items in its financial statements, or when it reclassifies items in its financial statements). Ad eccezione del prospetto delle variazioni del patrimonio netto (e dello stato patrimoniale di cui al punto f) da predisporre solo al verificarsi di determinate condizioni, vi è similarità di contenuto con la nuova regolamentazione italiana, che ha permesso la sostanziale convergenza in termini di potenziale informativo disponibile.

Lo stato patrimoniale Come anticipato, il principio individua un contenuto minimale, prevedendo le seguenti classi di valori 11: a) immobili, impianti e macchinari; b) investimenti immobiliari; c) attività immateriali; 11 Al par. 54 dello IAS n. 1 è indicato il seguente elenco: «(a) property, plant and equipment; (b) investment property; (c) intangible assets; (d) financial assets (excluding amounts shown under (e), (h) and (i)); (e) investments accounted for using the equity method; (f) biological assets within the scope of IAS n. 41 Agriculture; (g) inventories; (h) trade and other receivables; (i) cash and cash equivalents; (j) the total of assets classified as held for sale and assets included in disposal groups classified as held for sale in accordance with IFRS n. 5 Non-current Assets Held for Sale and Discontinued Operations; (k) trade and other payables; (l) provisions; (m) financial liabilities (excluding amounts shown under (k) and (l)); (n) liabilities and assets for current tax, as defined in IAS n. 12 Income Taxes; (o) deferred tax liabilities and deferred tax assets, as defined in IAS n. 12; (p) liabilities included in disposal groups classified as held for sale in accordance with IFRS n. 5; (q) non-controlling interests, presented within equity; and (r) issued capital and reserves attributable to owners of the parent».

 

240

I principi contabili internazionali

d) attività finanziarie (esclusi i valori esposti nei punti e), h) ed i)); e) partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto; f) attività biologiche (IAS n. 41); g) rimanenze; h) crediti commerciali e altri crediti; i) disponibilità liquide e mezzi equivalenti; j) totale delle attività disponibili per la vendita e delle attività inserite in un gruppo da dismettere; k) debiti commerciali e altri debiti; l) fondi; m) passività finanziarie (esclusi i valori esposti ai punti k) ed l)); n) passività e attività per imposte correnti, come definite nello IAS n. 12 (Imposte sul reddito); o) passività e attività per imposte differite, come definite nello IAS n. 12; p) passività direttamente associate a un gruppo da dismettere; q) quote di pertinenza di terzi, presentate nel patrimonio netto; r) capitale e riserve attribuibili agli azionisti della capogruppo. La presenza di un elenco minimale produce come effetto che ciascuna impresa può aggiungere nuove voci qualora ciò sia funzionale alla piena comprensione degli investimenti e delle loro modalità di finanziamento. A questo proposito si deve tenere conto di alcuni elementi quali: la natura e il grado di liquidità delle singole voci; la funzione assolta da un’attività nell’impresa; l’ammontare, la natura e le caratteristiche temporali di una passività. Inoltre, appare opportuno scomporre alcune delle voci sopra indicate quando all’interno vi sono valori derivanti dall’applicazione di criteri valutativi difformi (si pensi, ad esempio, alle attività immobilizzate espresse a costo oppure secondo il revaluation model). Nel bilancio IAS, visto il contenuto minimale previsto, assumono rilevanza fondamentale (come peraltro anche nel bilancio italiano) le note esplicative, all’interno delle quali debbono essere fornite tutte le informazioni analitiche necessarie a comprendere la situazione patrimoniale e finanziaria complessiva dell’impresa. A solo titolo di esempio, si possono trovare: il dettaglio delle immobilizzazioni per fattispecie, le principali categorie di debitori e creditori, le tipologie di rimanenze, la natura dei fondi, le modalità di determinazione delle imposte. Il livello di approfondimento dipende dalle caratteristiche dell’impresa, dalla sua dimensione, dalla sua complessità e dalle scelte comunicative perseguite. Definito il contenuto della tavola, è ora necessario introdurre un aspetto particolarmente rilevante, cioè il criterio di classificazione utilizzato, fondamentale per la necessaria fase di riclassificazione. Il principio contabile, pur non prescrivendo l’ordine o il formato attraverso il quale le singole voci devono essere presentate, introduce due distinti criteri di classificazione dei valori: 1. il primo, da ritenersi prioritario, richiama la distinzione tra valori correnti e non correnti;

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

241

2. il secondo, da utilizzare quando di maggiore espressività rispetto al precedente, è fondato sulla liquidità. Prima di illustrare sinteticamente i due criteri, evidenziandone gli aspetti di differenziazione, pare opportuno rilevare che in ogni caso, vista la finalità della tavola, è obbligatorio indicare per ciascuna voce che ne presenta le caratteristiche (ad esempio, crediti, debiti, attività e passività finanziarie), la quota a breve (con manifestazione monetaria attesa entro i dodici mesi successivi rispetto alla data di bilancio) e a medio-lungo (con manifestazione oltre i dodici mesi). L’esistenza dei due criteri, peraltro utilizzabili anche congiuntamente, è giustificata dal fatto che il principio è destinato alla generalità delle imprese e, quindi, deve essere in grado di permettere sia il soddisfacimento di esigenze informative difformi, sia l’adeguata rappresentazione degli effetti finanziari di operazioni connesse a combinazioni economico-produttive (cicli operativi o economico-tecnici) anche totalmente differenti. Si pensi, a livello esemplificativo, alla differenza esistente tra un’impresa finanziaria (dove il criterio della liquidità è certamente più espressivo per la gran parte dei valori) e una di ingegneria, operante per grandi commesse, dove la classificazione corrente/non corrente è molto importante anche se, in via subordinata, informazioni rilevanti derivano pure dal criterio della liquidità. 1. La classificazione dei valori in correnti e non correnti Questo criterio classificatorio valorizza il riferimento al ciclo operativo, considerando correnti i valori connessi alla normale operatività, cioè all’utilizzo della struttura e che, come tali, rientrano nel capitale circolante. In altri termini, si dovrebbe fare riferimento, per semplificare, al ciclo acquisto-trasformazione-vendita, considerando correnti i valori da esso derivanti. Lo stesso principio fornisce una definizione di ciclo operativo (par. 68), inteso come il tempo intercorrente tra l’acquisizione di fattori produttivi e l’ottenimento di disponibilità liquide o mezzi equivalenti. Inoltre, quando il normale ciclo operativo di un’entità non è chiaramente identificabile in termini di durata, si suppone che questa sia di dodici mesi. Come si può vedere, l’impostazione del principio – per una necessaria semplificazione – è ampia e assai flessibile, generando una parziale sovrapposizione tra i due criteri classificatori sopra richiamati. Infatti, secondo lo IAS n. 1, un’attività deve essere considerata corrente se: a) si prevede venga realizzata, venduta o consumata nel normale svolgimento del ciclo operativo; b) è posseduta prevalentemente a scopo di negoziazione (trading); c) si prevede la realizzazione entro dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio; d) si tratta di disponibilità liquide o mezzi equivalenti (si veda lo IAS n. 7) non vincolati. In definitiva, sono considerate correnti le tipiche attività operative (ad esem-

 

242

I principi contabili internazionali

pio le rimanenze, i crediti commerciali, gli altri crediti derivanti dall’attività caratteristica) indipendentemente dalla scadenza; le attività a breve realizzo; le quote a breve di realizzo di attività non correnti (ad esempio un credito finanziario). Si può quindi osservare che non vi è una piena identificazione con gli schemi riclassificati presentati nel capitolo 4, in quanto: 1. la gestione caratteristica, pur essendo rilevante, non rappresenta l’unico riferimento, come nello stato patrimoniale riclassificato secondo la pertinenza gestionale; 2. solamente per alcuni valori si utilizza il tempo (dodici mesi) come discriminante, come invece previsto nello stato patrimoniale riclassificato secondo la liquidità. In modo analogo alle attività, una passività è considerata corrente se: a) si prevede venga liquidata/estinta nel normale svolgimento del ciclo operativo; b) è posseduta prevalentemente a scopo di negoziazione; c) si prevede la liquidazione entro dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio; d) l’entità non ha alcun diritto incondizionato a differire il regolamento della passività per almeno dodici mesi dalla data di riferimento del bilancio. Per le passività, valgono osservazioni speculari a quelle formulate per le attività. Sono considerate passività correnti: i debiti operativi (ad esempio fornitori, debiti verso il personale, debiti per enti assistenziali e previdenziali) indipendentemente dalla scadenza; i debiti o, in genere, le passività liquidabili entro dodici mesi (debiti a breve verso le banche, debiti tributari); le quote a breve dei debiti a medio-lungo termine. Come caratteristica fondamentale dei principi contabili internazionali vi è la prevalenza della sostanza sulla forma, che va applicata anche in questo contesto. Di conseguenza, un debito va considerato a breve se effettivamente darà luogo a un’uscita o verrà estinto nel breve termine e non se la sua scadenza formale è fissata entro i dodici mesi. Le attività e le passività che non rientrano nelle precedenti definizioni sono da considerarsi non correnti. Infine, come in qualsiasi altro schema, il patrimonio netto rappresenta un aggregato autonomo. In sintesi, lo stato patrimoniale fondato sulla classificazione corrente/non corrente dei valori, se applicato in modo appropriato, non si identifica con gli schemi riclassificati ma permette agevolmente, con l’utilizzo delle note al bilancio, la loro costruzione: non si rilevano, pertanto, particolari elementi di criticità. Tuttavia, lo stato patrimoniale IAS/IFRS può anche essere immediatamente utilizzato a fini interpretativi, in quanto vi è coerenza classificatoria tra l’attivo e il passivo: viste le richieste dello IAS n. 1 e la semplificazione in esso prevista

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

243

(ciclo operativo ipotizzato di dodici mesi se di difficile determinazione), si ritiene che le informazioni contenute si avvicinino maggiormente allo schema di riclassificazione fondato sulla liquidità/esigibilità 12. Questa conclusione deriva anche dall’analisi dei bilanci pubblicati, dove i termini corrente e non corrente sono frequentemente utilizzati come sinonimi di breve e medio-lungo termine. Appare comunque evidente che senza la fase di riclassificazione sopra prospettata, alcuni degli indici illustrati nei capitoli precedenti non sono calcolabili, almeno nella forma e con il significato con cui sono stati presentati. 2. La classificazione dei valori secondo la liquidità Il criterio della liquidità non viene commentato in quanto ampiamente noto. Lo IAS n. 1 prevede che quando si utilizza questa modalità di rappresentazione dei valori, tutte le attività e le passività devono essere presentate in ordine di liquidità: se correttamente applicato, si identifica completamente con lo schema riclassificato presentato nel capitolo 4. 3. Alcuni esempi Nella Tabella 13.1 si riporta lo schema esemplificativo contenuto nel principio contabile internazionale (nella parte di guida all’applicazione). Tabella 13.1. – Un esempio di stato patrimoniale secondo lo IAS n. 1 XYZ Group – Statement of financial position as at 31 December 20X7 (in thousands of currency units) 31 Dec. 20X7

31 Dec. 20X6

ASSETS Non-current assets Property, plant and equipment Goodwill Other intangible assets

350,700

360,020

80,800

91,200

227,470

227,470

Investments in associates

100,150

110,770

Available-for-sale financial assets

142,500

156,000

901,620

945,460 (Segue)

12 Non vi è comunque piena identificazione: si pensi ad un credito verso clienti, tipico esempio di attività corrente, indipendentemente dalla sua scadenza. Pertanto, se il credito scade tra quindici mesi, per intero sarà inserito nelle attività correnti; utilizzando invece lo schema riclassificato secondo il criterio finanziario, sarebbe inserito nelle attività a medio-lungo termine.

 

244

I principi contabili internazionali 31 Dec. 20X7

31 Dec. 20X6

Current assets Inventories Trade receivables Other current assets Cash and cash equivalents

135,230

132,500

91,600

110,800

25,650

12,540

312,400

322,900

564,880

578,740

1,466,500

1,524,200

Share capital

650,000

600,000

Retained earnings

243,500

161,700

10,200

21,200

903,700

782,900

70,050

48,600

973,750

831,500

120,000

160,000

28,800

26,040

Total assets EQUITY AND LIABILITIES Equity attributable to owners of the parent

Other components of equity Non-controlling interests Total equity Non-current liabilities Long-term borrowings Deferred tax Long-term provisions

28,850

52,240

177,650

238,280

Trade and other payables

115,100

187,620

Short-term borrowings

Total non-current liabilities Current liabilities

150,000

200,000

Current portion of long-term borrowings

10,000

20,000

Current tax payable

35,000

42,000

5,000

4,800

Total current liabilities

315,100

454,420

Total liabilities

492,750

692,700

1,466,500

1,524,200

Short-term provisions

Total equity and liabilities

Nella Figura 13.1, invece, vi sono due esempi di stato patrimoniale (situazione patrimoniale e finanziaria) al 31 dicembre 2015 predisposti da società quotate italiane secondo i principi internazionali in vigore.  

 

245

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Figura 13.1. – Esempi di stato patrimoniale secondo lo IAS n. 1 Situazione patrimoniale e finanziaria consolidata (migliaia di euro)

Note

31 dic. 2015

01 02 03 23

31.479 101.045 5.429 15.678

di cui con parti correlate

31 dic. 2014

di cui con parti correlate

29.649 80.157 4.786 13.307

11.475 32

ATTIVITÀ NON CORRENTI

Attività immateriali Immobili, impianti e macchinari Altre attività finanziarie non correnti Imposte differite attive Totale attività non correnti

14.212 32

153.631

127.899

04 05 06 07 08

143.957 45.628 2.157 15.843 86

125.114 45.051 1.023 14.873 44

09

48.075

53.635

10

961

495

256.707

240.235

ATTIVITÀ CORRENTI

Rimanenze Crediti commerciali Crediti tributari Altri crediti ed attività correnti Altre attività finanziarie correnti Disponibilità liquide e mezzi equivalenti Attività per strumenti finanziari derivati correnti Totale attività correnti Attività non correnti possedute per la vendita

11

21

765

-

411.103

368.134

13.600 57.915 85.380 33.338

13.600 57.915 60.182 33.060

190.233

164.757

6.934 – 389

6.841 – 1.273

Totale patrimonio netto di terzi

6.545

5.568

TOTALE PATRIMONIO NETTO

196.778

170.325

TOTALE ATTIVITÀ

31

PATRIMONIO NETTO

PATRIMONIO NETTO DI GRUPPO Capitale sociale Riserva sovrapprezzo azioni Altre riserve Risultato netto di Gruppo

12 12 12 12

Totale patrimonio netto di gruppo PATRIMONIO NETTO DI TERZI Capitale e riserve di terzi Risultato netto di pertinenza di terzi

12 12

(Segue)

 

246

I principi contabili internazionali

(migliaia di euro)

di cui con parti correlate

Note

31 dic. 2015

31 dic. 2014

13 14 15 16 17 23

3.033 648 52.742 1.799 7.486 2.370

3.310 947 42.450 2.663 4.908 3.280

10

412

467

68.490

58.025

di cui con parti correlate

PASSIVITÀ NON CORRENTI

Passività per benefici a dipendenti Fondi per rischi ed oneri Debiti verso banche non correnti Debiti finanziari non correnti Altre passività non correnti Imposte differite passive Passività per strumenti finanziari derivati non correnti Totale passività non correnti PASSIVITÀ CORRENTI

Debiti commerciali Debiti verso banche correnti Debiti finanziari correnti Debiti tributari Passività per strumenti finanziari derivati correnti Altre passività correnti

18 19 20 21

68.826 47.782 1.405 1.575

1.767

62.185 48.709 1.682 1.152

10 22

4.182 22.065

6.244 19.812

Totale passività correnti

145.835

139.784

Totale passività

214.325

197.809

TOT. PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ

411.103

368.134

625

  Prospetto della situazione patrimoniale e finanziaria (migliaia di euro)

Note

31 dic. 2015 31 dic. 2014

Variazioni

ATTIVITÀ NON CORRENTI

Immobili, impianti e macchinari Investimenti immobiliari Avviamento Attività immateriali Partecipazioni contabilizzate con il metodo del patrimonio netto Partecipazioni in altre imprese Attività per imposte anticipate Altre attività non correnti Totale attività non correnti

05 05 06 07

4.110.673 22.148 1.603.107 75.805

4.173.957 23.974 1.584.870 92.930

– 63.284 – 1.826 18.237 – 17.125

08 09 21 10

203.224 19.310 84.410 145.788

207.567 46.278 84.304 208.556

– 4.343 – 26.968 106 – 62.768

6.264.465

6.422.436

– 157.971 (Segue)

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio (migliaia di euro)

Note

31 dic. 2015 31 dic. 2014

247 Variazioni

ATTIVITÀ CORRENTI

Rimanenze Crediti commerciali Altre attività correnti inclusi gli strumenti derivati Crediti tributari Partecipazioni, obbligazioni e crediti finanziari correnti Disponibilità liquide Attività possedute per la vendita Totale attività correnti TOTALE ATTIVITÀ

11 12

704.611 562.512

723.357 635.656

– 18.746 – 73.144

13

252.789 25.143

283.793 17.405

– 31.004 7.738

83.604 537.092 177.941 2.343.692 8.608.157

49.377 551.525 – 2.261.113 8.683.549

34.227 – 14.433 177.941 82.579 – 75.392

14 14 15 16 17

401.715 711.879 103.398 – 58.690 1.850.782

401.715 712.049 39.668 – 58.690 1.988.082

– – 170 63.730 – – 137.300

18

3.009.084 790.716 3.799.800

3.082.824 808.157 3.890.981

– 73.740 – 17.441 – 91.181

22 19 20 21

2.095.528 287.955 206.243 200.407 68.115 2.858.248

2.296.753 313.231 206.565 184.741 52.444 3.053.734

– 201.225 – 25.276 – 322 15.666 15.671 – 195.486

22 22

310.597 377.676 571.092 1.386 19.838 612.352 57.168 1.950.109 4.808.357

219.825 285.382 577.026 1.053 35.734 619.814 – 1.738.834 4.792.568

90.772 92.294 – 5.934 333 – 15.896 – 7.462 57.168 211.275 15.789

8.608.157

8.683.549

– 75.392

36.1 24

PATRIMONIO NETTO

Capitale Riserva sovrapprezzo azioni Riserve Azioni proprie Utili a nuovo Patrimonio netto attribuibile ai soci della controllante Partecipazioni di terzi Totale patrimonio netto PASSIVITÀ NON CORRENTI Passività finanziarie Benefici ai dipendenti Fondi Passività per imposte differite Altre passività non correnti Totale passività non correnti PASSIVITÀ CORRENTI

Debiti verso banche e prestiti a breve Passività finanziarie Debiti commerciali Fondi Debiti tributari Altre passività correnti Passività possedute per la vendita Totale passività correnti Totale passività TOTALE PATRIMONIO NETTO E PASSIVITÀ

 

20 23 24

248

I principi contabili internazionali

Il conto economico In relazione al conto economico si rilevano differenziazioni maggiormente significative rispetto alla regolamentazione italiana, derivanti dalla diversa gerarchia assunta dai singoli principi di redazione del bilancio. La prima osservazione riguarda la denominazione, Statement of profit or loss and other comprehensive income, che enfatizza un concetto di reddito ampio (reddito potenzialmente prodotto 13) che si allontana in misura significativa dal concetto di realizzazione dei valori tipico della nostra impostazione contabile. Ciò significa – e fra breve si approfondirà il tema – che nel conto economico troveranno collocazione non solo i costi e i ricavi realizzati ma anche quelli non realizzati e contabilizzati nel pieno rispetto del principio di competenza. L’impostazione sottostante trae anche fondamento dal presupposto che le variazioni di patrimonio netto possono essere riconducibili solo a due cause: le operazioni compiute nel periodo amministrativo (con sintesi nel conto economico); le operazioni poste in essere dai soci. In altri termini, tutti i componenti che corrispondono alla definizione di income ed expense devono essere attribuiti al conto economico (ad esempio, gli effetti della valutazione delle immobilizzazioni con il revaluation model) e non considerati come autonome variazioni di patrimonio netto. Non è possibile, dunque, presentare alcuni componenti di reddito esclusivamente nel prospetto delle variazioni del patrimonio netto, perché in tal modo non si avrebbe una visione immediata e unitaria del reddito prodotto nel periodo amministrativo, indipendentemente dal fatto che esso abbia trovato oppure no manifestazione con i terzi. Si tratta di una visione più estesa, rispetto a quella italiana, sulle performance ottenute attraverso le scelte gestionali compiute, che come tali di periodo in periodo introducono modificazioni nel patrimonio netto, indipendentemente dalle operazioni compiute dai soci in qualità di soci e non di organo di governo. La differenziazione tra valori realizzati e non realizzati, dà luogo ad una situazione per certi aspetti singolare: le singole entità che predispongono il bilancio possono inserire i singoli ricavi e costi in un unico prospetto oppure predisporne due 14. Più in dettaglio: a) nel primo caso, in un’unica tavola vengono esposti, opportunamente differenziati in sezioni specifiche, tutti i valori positivi e negativi di reddito, con la determinazione del reddito potenzialmente prodotto; b) nel secondo caso si tende a separare l’impostazione tradizionale da quella più innovativa. Nel primo prospetto (Statement of profit or loss) trovano collocazione i costi ed i ricavi che portano al risultato del periodo, valorizzando il concetto di

13

Sul concetto di reddito potenzialmente realizzato, M. PIZZO, Il “fair value”, cit. Si utilizza in modo semplificato il concetto di realizzazione per discriminare tra i due prospetti, anche se in realtà la problematica è ben più complessa. 14

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

249

realizzazione, con particolare riguardo ai componenti positivi; nel secondo prospetto (Other comprehensive income) si trae avvio dal risultato precedente, integrandolo con gli altri componenti reddituali. A parte la scelta sul numero delle tavole (una o due), tutto sommato di rilievo limitato, va osservato che analogamente allo stato patrimoniale, lo IAS n. 1 fornisce un elenco minimale di valori che debbono essere presenti, con le opportune integrazioni e dettagli nelle note esplicative. In merito al primo prospetto o alla prima sezione (profit or loss), devono essere inserite le seguenti voci: a) i ricavi; b) gli oneri finanziari (in senso ampio); c) la quota dell’utile o perdita di collegate e joint venture contabilizzate con il metodo del patrimonio netto; d) le imposte; ea) un singolo valore comprendente il risultato, al netto degli effetti fiscali, derivante delle attività operative cessate 15. In merito, invece, al secondo prospetto o alla seconda sezione (other comprehensive income), non vi sono prescrizioni analitiche. Il principio, infatti, si limita a richiedere l’indicazione: a) dei componenti, classificati per natura, determinanti l’other comprehensive income, suddivisi in due categorie: – gli elementi che non potranno mai essere riclassificati nella prima sezione (profit or loss); – gli elementi che, al verificarsi di specifiche condizioni, potranno essere riclassificati nella prima sezione; b) della quota dell’other comprehensive income di collegate e joint venture contabilizzate con il metodo del patrimonio netto, con la medesima suddivisione 16. 15 Il par. 82 dello IAS n. 1 prevede che «In addition to items required by other IFRSs, the profit or loss section or the statement of profit or loss shall include line items that present the following amounts for the period: (a) revenue; (b) finance costs; (c) share of the profit or loss of associates and joint ventures accounted for using the equity method; (d) tax expense; (ea) a single amount for the total of discontinued operations (see IFRS n. 5)». 16 Il par. 82A dello IAS n. 1 prevede che «The other comprehensive income section shall present line items for the amounts for the period of: (a) items of other comprehensive income (excluding amounts in paragraph (b)), classified by nature and grouped into those that, in accordance with other IFRSs: (i) will not be reclassified subsequently to profit or loss; and (ii) will be reclassified subsequently to profit or loss when specific conditions are met. (b) the share of the other comprehensive income of associates and joint ventures accounted for using the equity method, separated into the share of items that, in accordance with other IFRSs:  

 

250

I principi contabili internazionali

Deve infine essere distintamente indicata, per entrambi i risultati economici, la quota attribuibile alle minoranze e la quota riconducibile alla capogruppo (nel bilancio consolidato) 17. L’elenco contenuto nel principio contabile appare veramente sintetico e, per un’opportuna interpretazione della dinamica reddituale del periodo, è necessario fare riferimento alle note esplicative, auspicando che le singole entità forniscano già nella tavola (o nelle tavole) un livello di dettaglio assai maggiore rispetto al minimale. Ciascuna entità ha la possibilità di presentare lo schema di conto economico più coerente alle caratteristiche della propria combinazione economicoproduttiva: questo, se da un lato riduce almeno apparentemente l’immediata comparabilità (in tal senso ci penserà la fase di riclassificazione), dall’altra permette di cogliere al meglio (sempre da un punto di vista potenziale) le determinanti della redditività aziendale. Il contenuto minimo previsto per il conto economico, oltre a poter essere volontariamente integrato, deve obbligatoriamente esserlo a fronte di valori da considerarsi rilevanti. In questo caso è necessario indicarli separatamente, specificando natura e importo. Esempi indicati dallo stesso IAS n. 1 (par. 98) sono: a) la svalutazione di rimanenze al valore netto realizzabile; di immobili, impianti e macchinari al valore recuperabile; lo storno di tali svalutazioni e il conseguente ripristino di valore; b) le ristrutturazioni delle attività di un’entità; gli storni di eventuali accantonamenti per i costi di ristrutturazione; c) le dismissioni di immobili, impianti e macchinari; d) le cessioni di investimenti; e) le attività operative cessate; f) gli accordi su contenziosi; g) gli altri storni di accantonamenti. Queste informazioni assumono rilievo in fase di analisi (riclassificazione) e interpretazione ma dipendono dal significato concreto che l’impresa attribuisce al concetto di “rilevante”. In Tabella 13.2 sono riportati gli esempi presenti nello IAS n. 1. (i) will not be reclassified subsequently to profit or loss; and (ii) will be reclassified subsequently to profit or loss when specific conditions are met». 17 Al paragrafo 81B si richiede la suddivisione del reddito prodotto e del reddito potenzialmente prodotto tra i destinatari. «An entity shall present the following items, in addition to the profit or loss and other comprehensive income, as allocations of profit or loss and other comprehensive income for the period: (a) profit or loss for the period attributable to: (i) non-controlling interests, and (ii) owners of the parent. (b) total comprehensive income for the period attributable to: (i) non-controlling interests, and (ii) owners of the parent».

 

251

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Prima di porre l’attenzione sui riflessi della parte innovativa dello schema di conto economico sull’analisi di bilancio, si formulano alcune osservazioni sulla prima sezione, la più tradizionale. Nello schema di conto economico, non è previsto alcun obbligo in merito ai risultati economici intermedi: essi non sono indicati ma certamente ammessi. Per questa ragione sarà quindi necessaria la fase di rielaborazione della tavola, salvo che le singole entità in modo volontario introducano risultati analoghi a quelli emergenti dalla riclassificazione. Tabella 13.2. – Un esempio di conto economico secondo lo IAS n. 1 XYZ Group – Statement of profit or loss and other comprehensive income for the year ended 31 December 20X7 (illustrating the presentation of profit or loss and other comprehensive income in one statement and the classification of expenses within profit or loss by function) (in thousands of currency units) 20X7 Revenue Cost of sales Gross profit Other income Distribution costs Administrative expenses Other expenses Finance costs Share of profit of associates Profit before tax Income tax expense Profit for the year from continuing operations Loss for the year from discontinued operations PROFIT FOR THE YEAR Other comprehensive income Items that will not be reclassified to profit or loss: Gains on property revaluation Remeasurements of defined benefit pension plans Share of other comprehensive income of associates Income tax relating to items that will not be reclassified Items that may be reclassified subsequently to profit or loss: Exchange differences on translating foreign operations Available-for-sale financial assets Cash flow hedges Income tax relating to items that may be reclassified

20X6

390,000 (245,000) 145,000 20,667 (9,000) (20,000) (2,100) (8,000) 35,100 161,667 (40,417) 121,250 – 121,250

355,000 (230,000) 125,000 11,300 (8,700) (21,000) (1,200) (7,500) 30,100 128,000 (32,000) 96,000 (30,500) 65,500

933 (667) 400 (166) 500

3,367 1,333 (700) (1,000) 3,000

5,334 (24,000) (667) 4,833 (14,500)

10,667 26,667 (4,000) (8,334) 25,000 (Segue)

 

252

I principi contabili internazionali 20X7

Other comprehensive income for the year, net of tax TOTAL COMPREHENSIVE INCOME FOR THE YEAR Profit attributable to: Owners of the parent Non-controlling interests Total comprehensive income attributable to: Owners of the parent Non-controlling interests Earnings per share (in currency units): Basic and diluted

20X6

(14,000) 107,250

28,000 93,500

97,000 24,250 121,250

52,400 13,100 65,500

85,800 21,450 107,250

74,800 18,700 93,500

0,46

0,30

Alternatively, items of other comprehensive income could be presented in the statement of profit or loss and other comprehensive income net of tax: Other comprehensive income for the year, after tax: Items that will not be reclassified to profit or loss: Gains on property revaluation Remeasurements of defined benefit pension plans Share of other comprehensive income of associates Items that may be reclassified subsequently to profit or loss: Exchange differences on translating foreign operations Available-for-sale financial assets Cash flow hedges Other comprehensive income for the year, net of tax

20X7

20X6

600 (500) 400 500

2,700 1,000 (700) 3,000

4,000 (18,000) (500) (14,500) (14,000)

8,000 20,000 (3,000) 25,000 28,000

  XYZ Group – Statement of profit or loss for the year ended 31 December 20X7 (illustrating the presentation of profit or loss and other comprehensive income in two statements and the classification of expenses within profit or loss by nature) (in thousands of currency units) Revenue Other income Changes in inventories of finished goods and work in progress Work performed by the entity and capitalised Raw material and consumables used Employee benefits expense Depreciation and amortisation expense Impairment of property, plant and equipment Other expenses

20X7

20X6

390,000 20,667 (115,100) 16,000 (96,000) (45,000) (19,000) (4,000) (6,000)

355,000 11,300 (107,900) 15,000 (92,000) (43,000) (17,000) – (5,500) (Segue)

 

253

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio 20X7 Finance costs Share of profit of associates Profit before tax Income tax expense Profit for the year from continuing operations Loss for the year from discontinued operations PROFIT FOR THE YEAR Profit attributable to: Owners of the parent Non-controlling interests Earnings per share (in currency units): Basic and diluted

20X6

(15,000) 35,100 161,667 (40,417) 121,250 – 121,250

(18,000) 30,100 128,000 (32,000) 96,000 (30,500) 65,500

97,000 24,250 121,250

52,400 13,100 65,500

0,46

0,30

  XYZ Group – Statement of profit or loss and other comprehensive income for the year ended 31 December 20X7 (illustrating the presentation of profit or loss and other comprehensive income in two statements) (in thousands of currency units) 20X7 Profit for the year Other comprehensive income Items that will not be reclassified to profit or loss: Gains on property revaluation Remeasurements of defined benefit pension plans Share of other comprehensive income of associates Income tax relating to items that will not be reclassified Items that may be reclassified subsequently to profit or loss: Exchange differences on translating foreign operations Available-for-sale financial assets Cash flow hedges Income tax relating to items that may be reclassified Other comprehensive income for the year, net of tax TOTAL COMPREHENSIVE INCOME FOR THE YEAR Total comprehensive income attributable to: Owners of the parent Non-controlling interests

20X6

121,250

65,500

933 (667) 400 (166) 500

3,367 1,333 (700) (1,000) 3,000

5,334 (24,000) (667) 4,833 (14,500) (14,000) 107,250

10,667 26,667 (4,000) (8,334) 25,000 28,000 93,500

85,800 21,450 107,250

74,800 18,700 93,500

Alternatively, components of other comprehensive income could be presented, net of tax. Refer to the statement of comprehensive income illustrating the presentation of income and expenses in one statement.

 

254

I principi contabili internazionali

Un altro punto di estremo interesse riguarda la classificazione dei costi, che possono essere presentati secondo uno dei due seguenti criteri: a) per natura, impostazione tipica della tradizione contabile italiana; b) per destinazione, impostazione di matrice anglosassone. Non pare certo necessario approfondire le caratteristiche dei due criteri, sia perché ampiamente note sia in quanto non generano particolare impatto sugli schemi riclassificati: si riportano esclusivamente gli esempi contenuti nel principio contabile. La classificazione dei valori per natura dei fattori è il criterio presente nel conto economico predisposto secondo la regolamentazione italiana e consiste nel rappresentare i costi nella tavola in base alla loro tipologia (Tabella 13.3). Tabella 13.3. – La classificazione dei costi per natura Revenue

X

Other income

X

Changes in inventories of finished goods and work in progress

X

Raw materials and consumables used

X

Employee benefits expense

X

Depreciation and amortisation expense

X

Other expenses

X

Total expenses Profit before tax

(X) X

È un criterio semplice, che non richiede ipotesi di attribuzione di valori a specifici oggetti (ad esempio le singole funzioni) e, a livello di rappresentazione, è da ritenersi oggettivo. La classificazione dei valori per destinazione (function of expense), di contro, valorizza la modalità di impiego delle risorse e, quindi, presuppone l’utilizzo di criteri di ripartizione dei costi, connotandosi per maggiore soggettività. Nel caso in cui un’impresa faccia ricorso a tale criterio, deve comunque fornire informazioni aggiuntive anche sulla natura dei costi, in quanto ritenute dallo IAS n. 1 importanti per la valutazione dei futuri cash flow. In Tabella 13.4 si riporta l’esempio del principio.  

 

255

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Tabella 13.4. – La classificazione dei costi per destinazione Revenue

X

Cost of sales

(X)

Gross profit

X

Other income

X

Distribution costs

(X)

Administrative expenses

(X)

Other expenses

(X)

Profit before tax

X

Ciascuna modalità classificatoria apporta dei benefici informativi e, in funzione della scelta effettuata, si possono cogliere maggiormente alcuni aspetti piuttosto di altri. A livello riclassificatorio, come anticipato, i due criteri non generano particolari problemi in quanto per la costruzione degli indici l’informazione di maggiore rilievo appare il valore complessivo dei costi operativi, sempre determinabile. L’unico problema lo si potrebbe cogliere nell’applicazione dello schema a valore della produzione e valore aggiunto, qualora le note al bilancio non fossero sufficientemente analitiche: infatti, la suddivisione tra costi interni ed esterni è fondata sulla natura dei medesimi e non sulla destinazione. Per una soddisfacente applicazione, appare comunque sufficiente identificare le due principali tipologie di costi interni, associati al lavoro e agli ammortamenti ed accantonamenti. Tale informazione è comunque disponibile in quanto lo IAS n. 1 la richiede esplicitamente 18. Si presentano ora alcuni esempi di schemi di conto economico (uno con i costi classificati per destinazione), limitando per ora il commento alla prima sezione o al primo schema (Figura 13.2). Si tratta di conti economici scalari che richiamano ma non coincidono con quelli riclassificati: a) è presente il reddito operativo, che tende ad identificarsi maggiormente con quello della gestione caratteristica. A questo proposito è però necessario leggere nelle note al bilancio la natura dei singoli componenti che lo hanno determinato, in quanto non è presente nel principio la definizione di attività operativa da cui dovrebbe derivare il reddito e ciascuna impresa si muove in autonomia, pur nell’ambito di un’evidente ragionevolezza;

18 «An entity classifying expenses by function shall disclose additional information on the nature of expenses, including depreciation and amortisation expense and employee benefits expense» (par. 104).

 

256

I principi contabili internazionali

b) ogni impresa utilizza tavole specifiche, con differenti tipologie di risultati economici intermedi: per tale ragione è necessaria un’operazione di omogeneizzazione, soprattutto se l’obiettivo è un’analisi comparativa; c) in alcuni casi gli oneri e i proventi finanziari sono separati, in altri è disponibile un valore netto: per l’impostazione utilizzata nel lavoro è importante disporre dei singoli valori, poiché riconducibili a gestioni parziali differenti. Figura 13.2. – Esempi di conto economico secondo lo IAS n. 1 Conto economico consolidato (valori in milioni di euro)

Note

Esercizio 2015

Esercizio 2014

Ricavi delle vendite e prestazioni di servizi

12.1

3.435,5

3.373,8

Altri ricavi e proventi

12.2

Totale ricavi

89,3

40,5

3.524,8

3.414,4

Costo del personale

12.3

520,5

537,5

Acquisti, prestazioni di servizi, costi diversi

12.4

1.638,4

1.544,5

Ammortamenti e svalutazioni

12.5

1.134,4

1.083,7

3.293,4

3.165,7

231,4

248,7

Perdite/(ripristini) di valore delle immobilizzazioni Totale costi Risultato operativo Oneri finanziari

12.6

– 99,1

– 101,0

Proventi finanziari

12.7

49,7

30,7

Risultato delle partecipazioni

12.9

Risultato prima delle imposte Imposte sul reddito

12.10

Risultato netto delle attività in funzionamento

15,0

– 39,8

197,2

138,5

– 86,6

– 61,7

110,6

77,0

110,6

77,0

4,0 106,6

23,7 53,3

0,00 0,00

0,02 0,02

Utile/(perdita) derivante da attività destinate alla cessione Risultato netto dell’esercizio

12.11

Attribuibile a: – Capogruppo – Interessi di minoranza Utile/(perdita) per azione: – Base – Diluito

12.12

(Segue)

 

257

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Conto economico complessivo consolidato (valori in milioni di euro)

Note

Risultato netto consolidato (a) Utili/(perdite) complessivi che transitano da Conto Economico Utili e perdite derivanti da conversione di bilanci di imprese estere

Esercizio 2015

Esercizio 2014

110,6

77

– 13

22,9





Parte efficace di utile/(perdite) sugli strumenti di copertura di flussi finanziari (cash flow hedge)

9.5

– 12,4

26

Utili e perdite derivanti da attività disponibili per la vendita

9.4

– 5,4

5,4



0,2

Altri utili/(perdite) da società valutate con il metodo del patrimonio netto Altri utili/(perdite) complessivi





Effetto fiscale

4,9

– 8,7

Utili/(perdite) complessivi che non transitano da Conto Economico

0,7

– 7,3





Variazione riserve da rivalutazione Utili/(perdite) attuariali da piani a benefici definiti

9.5

2

– 9,8

Altri utili/(perdite) da società valutate con il metodo del patrimonio netto

9.4

0,1







Altri utili/(perdite) complessivi Effetto fiscale

– 1,5

2,5

– 12,3

15,7

98,3

92,7

– soci della controllante

– 6,3

38,1

– interessenze di pertinenza di terzi

104,6

54,6

Totale altri utili/(perdite) al netto dell’effetto fiscale (b) Risultato complessivo del periodo (a + b) attribuibile a:

 

4 4 5-6 4 31 31 31 9

Margine Operativo Lordo Ammortamenti Rettifiche di valore su immobilizzazioni

Risultato operativo Proventi finanziari Oneri finanziari Differenze cambio e derivati netti Rettifiche di valore di attività finanziarie Risultato società contabilizzate con il metodo del patrimonio netto

Risultato ante imposte Imposte Utile (perdita) del periodo

4 30 30 30

Margine Operativo Lordo corrente Plusvalenze nette da cessione di immobilizzazioni Costi non ricorrenti per riorganizzazioni Altri proventi (oneri) non ricorrenti

4 32

8

26 27 28 29

4

Note

Ricavi Altri ricavi e proventi operativi Variazioni rimanenze Lavori interni Costi per materie prime e accessori Costi per servizi Costi per il personale Oneri e proventi operativi diversi

(in migliaia di euro)

Prospetto del conto economico

3,5

– 100.169 – 69.317

14.141 30.852

0,7

13,6

– 412.648 – 22.965 148.410 43.544 – 162.209 – 13.034 –

14,8

12.814 – 58.662 – 6.403 584.023

100

%

4.301.640 30.432 – 13.573 43.627 – 1.722.975 – 1.102.707 – 877.510 – 22.660 636.274

2015

79.608 – 128.540 – 48.932

11694

233.954 24.393 – 160880 – 2.709 – 26.844

651.421 – 408.263 – 9.204

656.387 5.479 – 7.320 – 3.125

4.155.641 32.067 30.152 43.247 – 1.674.002 – 1.045.544 – 848.069 – 37.105

2014

– 1,2

1,9

5,6

15,7

15,8

100

%

– 20.385

– 48.756

– 85.544

– 67.398

– 20.113

145.999

Variazione

(Segue)

– 41,7

– 61,2

– 36,6

– 10,3

– 3,1

3,5

%

258 I principi contabili internazionali

 

Rivalutazioni della passività (attività) netta per benefici dei dipendenti – partecipazioni in società contabilizzate con il metodo del patrimonio netto Imposte sul reddito Totale delle voci che non saranno riclassificate nel conto economico

Utile (perdita) del periodo Altre componenti di conto economico complessivo Componenti che non saranno riclassificate successivamente nel conto economico Rivalutazioni della passività (attività) netta per benefici dei dipendenti

(in migliaia di euro)

Prospetto del conto economico complessivo

– Soci dell’entità controllante – Partecipazioni di minoranza Utile per azione – Base – Diluito

Attribuibile a:

Note

34

Note

– 43.324

13.566

– 51.797

– 48.932

2014

– 0,355 – 0,355

– 107.131 58.199

2014

–1 8.474

– 1,6

%

%

1 – 3.765

17.330

– 69.317

2015

– 0,347 – 0,347

– 119.981 50.664

2015

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

– 1,2

%

%

56.890

– 20.385

Variazione

– 12.850 – 7.535

Variazione

(Segue)

%

259

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

259

 

Totale altre componenti di conto economico complessivo Totale conto economico complessivo Attribuibile a: Soci dell’entità controllante Partecipazioni di minoranza

Riserva di conversione delle gestioni estere Riserva di conversione delle gestioni estere – partecipazioni in società contabilizzate con il metodo del patrimonio netto Variazioni di fair value della copertura dei flussi finanziari Variazioni di fair value della copertura dei flussi finanziari – partecipazioni in società contabilizzate con il metodo del patrimonio netto Variazioni di fair value delle attività finanziarie disponibili per la vendita Imposte sul reddito Totale delle voci che potrebbero essere riclassificate successivamente nel conto economico

Componenti che potrebbero essere riclassificate successivamente nel conto economico

260

33

Note

– 211 19.546 – 216 235.312

83 – 5.567 2.170 77.905

– 40.458 62.612

22.510 120.546

191.988 143.056

– 15.223

– 6.033

91.471 22.154

4.896

– 4.890

2014

226.520

2,1 0,5

%

92.142

2015

I principi contabili internazionali

4,6 3,4

%

– 62.968 – 57.934

– 100.517 – 120.902

– 157.407

Variazione

260 I principi contabili internazionali

261

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Conto economico (dati in migliaia di euro) Ricavi delle vendite e delle prestazioni Totale ricavi e proventi Costo del venduto Risultato lordo Altri ricavi Costi di distribuzione Spese generali ed amministrative Svalutazione avviamento Proventi ed oneri finanziari Utile e perdite su cambi Risultato prima delle imposte Imposte sul reddito dell’esercizio Risultato dell’esercizio

Nota

2015

2014

6

402.878 402.878 – 334.263 68.615 1.371 – 2.275 – 33.983 -4.000 – 4.675 5.428 30.481 – 9.950 20.531

260.726 260.726 – 198.980 61.746 1.834 – 2.819 – 26.759

26 27 28 29 9 30

32

– 2.252 1.705 33.455 – 10.291 23.164

Conto economico complessivo (dati in migliaia di euro)

Nota

2015

2014

20.531

23.164

16

–2 1

2 –1

20

– 238 65

526 – 135

2.684

419

– 653 147

– 106 162

2.004 22.535

867 24.031

Risultato dell’esercizio Componenti che saranno successivamente riclassificati nel risultato d’esercizio Variazioni del fair value di attività finanziare disponibili per la vendita Effetto fiscale Variazioni del fair value di strumenti finanziari di cash flow hedge Effetto fiscale Utili/(perdite) derivanti dalla conversione dei bilanci di imprese estere Componenti che non saranno successivamente riclassificati nel risultato d’esercizio Utili/(perdite) attuariali dei piani a benefici definiti Effetto fiscale Totale altri utili/(perdite) Risultato economico complessivo

 

 

19

262

I principi contabili internazionali

In definitiva, per la costruzione dell’intero sistema di indici presentato nei capitoli precedenti, si ritiene comunque importante la fase di riclassificazione, anche se taluni commenti possono già essere effettuati partendo dagli schemi non rielaborati. È tuttavia necessario verificare la comparabilità dei singoli dati: si consideri a solo titolo di esempio il reddito operativo (con varie denominazioni) presente nei conti economici di Figura 13.2. Volendo costruire l’indice di redditività operativa (ROI), si pone il problema di quale capitale investito utilizzare: nello stato patrimoniale IAS/IFRS è disponibile il valore complessivo che, come tale, non è omogeneo con il reddito operativo del conto economico, in quanto alcuni elementi (ad esempio i proventi finanziari) non partecipano alla sua determinazione ma rappresentano, nella sostanza, “ritorni” degli investimenti. A questo punto è necessario o intervenire sul capitale investito o sul reddito operativo: queste operazioni non sono niente altro che la riclassificazione la quale, quindi, rimane necessaria. Prima di illustrare e commentare la seconda sezione (o il secondo schema) del conto economico IAS/IFRS, si vuole riprendere un aspetto rilevante che in passato era elemento di ampia differenziazione con la normativa italiana: i componenti straordinari 19. L’eliminazione dal conto economico, anche nella normativa italiana, dei componenti straordinari ha certamente avvicinato, su questo aspetto, i principi nazionali e internazionali, anche se questi ultimi sono maggiormente restrittivi, in quanto non prevedono l’indicazione neppure nelle note di eventuali valori “straordinari”, fatto salvo evidentemente il principio generale della rilevanza. Il codice civile, di contro, prevede in nota integrativa l’indicazione di valori classificabili come “eccezionali”, ampliando leggermente le potenziali informazioni disponibili. Nei capitoli precedenti 20 si è sostenuto (e si continua a sostenere) che per la migliore interpretazione dei risultati economici ottenuti nel tempo da un’entità, è opportuno separare l’ordinario dallo straordinario, così da meglio cogliere gli eventi che hanno influenzato l’utile o la perdita netta nei vari periodi. Come analista, d’altro canto, non si può non tenere conto della base informativa esistente, cioè della forma e della struttura del bilancio (complessivamente inteso) e dei principi contabili utilizzati per la sua predisposizione. Ora appare evidente che se il concetto di straordinario non è più previsto neppure nel conto economico italiano, per questi valori – così come li abbiamo fino ad ora intesi – potrebbero non trovarsi indicazioni adeguate nelle note al bilancio, anche se è pur vero che qualora siano di rilievo (materiality) dovrebbero essere opportunamente illustrati: tuttavia il concetto di materiality è sostanzialmente soggettivo e, pertanto, di difficile generalizzazione. 19 «An entity shall not present any items of income or expense as extraordinary items, in the statement(s) presenting profit and loss and other comprehensive income or or in the notes» (par. 87). 20 Per approfondimenti si veda il capitolo 3.

 

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

263

Su questa tematica vi possono quindi essere più soluzioni operative, in funzione delle caratteristiche o delle scelte contabili delle imprese da analizzare e della documentazione disponibile. Se non fosse possibile isolare l’area straordinaria, la sua assenza nello schema riclassificato non significherebbe che i componenti straordinari non esistono: di essi si dovrà tenere conto in modo differente rispetto al passato, cioè solo in fase interpretativa e a livello qualitativo. Appare comunque evidente che laddove l’impatto delle operazioni non ricorrenti sia particolarmente significativo, non è escluso che si possano calcolare degli indicatori (connessi in prevalenza alla redditività operativa) depurati da tali effetti. Si tratta di una valutazione specifica dell’analista che certamente non potrà ritenere elevata la qualità del reddito prodotto da un’impresa se su questo influiscono valori che per loro natura non sono ricorrenti. L’analisi delle problematiche connesse ai componenti straordinari, permette di introdurre un punto molto importante riguardante il bilancio conforme agli IAS. Generalmente si sostiene, correttamente, che il bilancio è destinato a una molteplicità di utilizzatori che in esso possono individuare le informazioni per interpretare la situazione economica complessiva di una impresa o di un gruppo. Ciò che non viene molte volte sottolineato è che il bilancio è un documento per esperti e la qualificazione necessaria per l’interpretazione aumenta in misura significativa con i bilanci fondati sui principi contabili internazionali. Sempre in tema di principali differenziazioni con la normativa italiana, si vuole introdurre un ulteriore aspetto, cioè il leasing. È noto il differente metodo di contabilizzazione esistente (patrimoniale o dei canoni per l’Italia e finanziario a livello internazionale 21) che si riflette in misura anche rilevante sulla rappresentazione dei valori di bilancio e degli indici che da essi si calcolano. Vi è ampia condivisione sul fatto che il metodo di maggiore espressività, che valorizza la sostanza del contratto rispetto alla sua forma, è quello finanziario: oggi sono disponibili in nota integrativa le informazioni per poter effettuare l’aggiustamento in oggetto, che si ritiene opportuno. In realtà, quanto si propone, doveva già essere effettuato in passato, indipendentemente dagli IAS/IFRS 22. È ora opportuno tornare allo schema di conto economico e affrontare la tematica relativa a come utilizzare i valori contenuti nella seconda sezione (other comprehensive income). Si possono, in prima approssimazione, formulare due ipotesi sul loro impiego: a) solo a fini interpretativi, a supporto dei costi e ricavi della prima sezione; b) per il calcolo degli indici, dando luogo a degli indicatori complessivi che potranno affiancare o sostituire quelli tradizionali.

21 Il recente IFRS n. 16, Leases, che entrerà in vigore il 1 gennaio 2019, ha regolamentato in modo completo la problematica. 22 Per approfondimenti sulla tematica, si veda il capitolo 3.

 

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I principi contabili internazionali

La prima ipotesi pare non soddisfacente, in quanto porterebbe a un confronto non omogeneo con il denominatore, in quanto le attività (o il patrimonio netto) comprenderebbero i maggiori valori anche se non realizzati e, quindi, tutti gli indici di redditività sarebbero sottostimati. Appare inoltre poco realistico, sia a livello concettuale sia a livello operativo, pensare di depurare il denominatore degli indici di redditività per escludere i valori contenuti nella seconda sezione del conto economico: ammesso anche di poterlo fare per un anno, diviene complesso perseguire la comparabilità temporale. La seconda ipotesi deriva invece anche dalla considerazione che le due sezioni del conto economico (o i due documenti che lo compongono) non sono indipendenti ma interdipendenti, in quanto al verificarsi di determinate situazioni richiedono la riclassificazioni dei valori (reclassification adjustment). Si pensi, come esempio, a un’attività finanziaria disponibile per la vendita che nel tempo aumenta il suo valore rispetto al costo di acquisto. In questo caso, alla fine di ciascun periodo, nella sezione dell’other comprehensive income verrà contabilizzato il guadagno potenziale derivante dall’investimento effettuato, cioè l’incremento di valore manifestato nel periodo. Nel momento in cui si venderà l’attività, si rileverà un plusvalore da contabilizzare nella prima sezione del conto economico (profit or loss): per evitare duplicazioni, nella seconda sezione (si consideri l’ipotesi di incremento continuo del valore) si dovranno riclassificare (con segno negativo) gli incrementi potenziali contabilizzati nei precedenti periodi. Ora appare abbastanza evidente che se nel calcolo degli indici non si utilizza la seconda sezione del conto economico, il plusvalore si considererà solamente nell’anno di cessione ma l’investimento finanziario sarà contabilizzato a fair value nell’attivo patrimoniale; di contro, se si utilizzasse al numeratore il reddito potenzialmente prodotto, si terrebbe conto della progressiva crescita di valore. Anche oggi il plusvalore (per continuare con l’esempio e con riferimento alla normativa italiana) partecipa alla determinazione del reddito solamente nell’anno in cui avviene la cessione ma la differenza fondamentale sta nel fatto che il titolo è valutato a costo e, quindi, non incorpora il maggiore valore che nel tempo si forma. Nel momento in cui per il calcolo degli indici si utilizzano anche i valori della seconda sezione, è necessario ricondurre ciascuno di questi alla gestione di appartenenza. Sullo schema di conto economico, vi sono ancora due considerazioni da formulare per meglio valutare le modalità di impiego delle informazioni delle singole sezioni che lo compongono. La prima richiama le due fattispecie di valori, realizzati e non realizzati: entrambe rispondono al principio di competenza economica. Non vanno quindi confusi i valori non realizzati con i valori straordinari in quanto sono tutti da ritenersi ordinari. L’altra attiene alla seconda sezione del conto economico, la quale richiede particolare attenzione in fase interpretativa. Infatti, da una parte essa comprende i valori che si sono formati nel periodo (ad esempio l’incremento di valore del

 

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titolo), dall’altra contiene le riclassificazioni a fronte del passaggio di un valore nella prima sezione del conto economico (ad esempio, a fronte della cessione del titolo). Questi valori hanno segni contabili opposti e pertanto, nella valutazione del dato complessivo, si deve necessariamente tenere conto della composizione. Sarà certamente importante calcolare un indicatore di composizione del reddito, che permetta di individuare l’incidenza delle due determinanti (profit or loss and other comprehensive income) sul reddito potenzialmente prodotto. Una volta affrontate, seppur in modo preliminare, le problematiche connesse allo schema di conto economico, un altrettanto importante aspetto (che non attiene evidentemente al solo conto economico), riguarda la comparabilità nello spazio o interaziendale, tematica introdotta nel paragrafo precedente. L’enunciazione del problema è semplice: come si possono comparare un’impresa che predispone il bilancio secondo i principi nazionali, dove la prudenza e la realizzazione assumono un peso significativo, con un’impresa che utilizza i principi contabili internazionali? È necessario suddividere la risposta in due parti: a) in relazione alla costruzione degli indici (ad esempio di redditività), un confronto completo è complesso e molto difficile, in quanto l’utilizzo del reddito potenzialmente prodotto non risulta omogeneo con il risultato emergente dal bilancio italiano; d’altro canto l’impiego del risultato fondato sulla sola realizzazione (prima sezione del conto economico IAS) non risulta coerente con gli elementi patrimoniali che incorporano i maggiori valori anche se non realizzati. In questo caso, una possibile soluzione, non certo soddisfacente, consiste nell’utilizzare esclusivamente i valori iniziali al denominatore, che da un certo punto di vista riducono l’eterogeneità ma non la eliminano, in quanto numeratore e denominatore si “muovono” nel tempo secondo modalità differenti. Non appare invece proponibile, come già scritto e proprio per l’impostazione del bilancio IAS, pensare a depurare i valori patrimoniali per eliminare l’effetto connesso agli other comprehensive income; b) a livello interpretativo qualsiasi soluzione appare accettabile, in quanto il commento può agevolmente tenere conto dei difformi principi utilizzati. Si tratta, in sostanza, di una valutazione più fondata sull’analisi qualitativa che sul confronto quantitativo. Infine, nella trattazione del conto economico si sono richiamati più volte, per evidenti ragioni, gli indici di redditività. Va tuttavia evidenziato che il reddito potenzialmente prodotto e il fair value influenzano anche gli indicatori delle altre dimensioni strutturali di analisi, quali la solidità e la liquidità: si pensi, ad esempio, all’indicatore di liquidità secondaria (o al capitale circolante netto) in presenza di titoli espressi a valori correnti.

 

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I principi contabili internazionali

Il rendiconto finanziario Lo IAS n. 1 non tratta direttamente del rendiconto finanziario ma rinvia allo IAS n. 7 (Statement of cash flows), ad esso dedicato. Vista la sua rilevanza, nel seguito si illustra il modello proposto dai principi internazionali, formulando anche alcune considerazioni sulla fase interpretativa, a completamento di quanto già scritto nel paragrafo 10.4. Prendendo avvio dalla risorsa di riferimento, essa si identifica con la liquidità (cash o disponibilità liquide) e con gli investimenti equivalenti alla prima (cash equivalent): in particolare, un investimento è considerato equivalente se a breve termine (monetizzazione entro tre mesi dall’acquisto), di pronta convertibilità in un ammontare determinato di moneta e soggetto a trascurabili rischi di variazione di valore 23. Tuttavia, in alcuni Paesi (tra cui certamente l’Italia) è possibile far rientrare nella risorsa anche i debiti a breve (a vista) verso il sistema bancario, poiché relativi più alla gestione della liquidità (cash management) che alla più ampia gestione finanziaria 24. In tal modo vi è un richiamo molto evidente alla liquidità netta, che appare risorsa ottimale sia per la comunicazione esterna sia per le analisi interne. Lo IAS n. 7 non propone dei modelli specifici di rendiconto 25 ma richiede che tutti i flussi elementari siano ricondotti a tre aree o tipologie di attività, di seguito brevemente commentate: a) di esercizio (operating activities); b) di investimento (investing activities); c) finanziaria (financing activities). Le operating activities sono da intendersi in senso ampio fino a identificarsi con la gestione reddituale e non con quelle indicate nel lavoro come caratteristica o aziendale 26. Esse comprendono, a scopo esemplificativo 27: 23 «Cash equivalents are held for the purpose of meeting short-term cash commitments rather than for investment or other purposes. For an investment to qualify as a cash equivalent it must be readily convertible to a known amount of cash and be subject to an insignificant risk of changes in value. Therefore, an investment normally qualifies as a cash equivalent only when it has a short maturity of, say, three months or less from the date of acquisition. Equity investments are excluded from cash equivalents unless they are, in substance, cash equivalents, for example in the case of preferred shares acquired within a short period of their maturity and with a specified redemption date» (par. 7, IAS n. 7). 24 «Bank borrowings are generally considered to be financing activities. However, in some countries, bank overdrafts which are repayable on demand form an integral part of an entity's cash management. In these circumstances, bank overdrafts are included as a component of cash and cash equivalents. A characteristic of such banking arrangements is that the bank balance often fluctuates from being positive to overdrawn» (par. 8). 25 «An entity presents its cash flows from operating, investing and financing activities in a manner which is most appropriate to its business» (par. 11). 26 L’effettivo contenuto delle attività di esercizio dipende dalle scelte classificatorie delle imprese: raramente però si identifica con la gestione tipica. 27 Il riferimento è al paragrafo 14 del principio, a cui si rinvia per approfondimenti.

 

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a) entrate derivanti dalla cessione di beni e dalla prestazione di servizi; b) entrate derivanti da royalties, commissioni, diritti ed altri ricavi; c) uscite connesse al pagamento di fornitori di merci e servizi; d) uscite associate al costo del lavoro; e) entrate e uscite derivanti dai rapporti con imprese di assicurazione; f) uscite (entrate) per imposte, salvo che siano specificamente riconducibili alle attività di investimento e di finanziamento; g) entrate e uscite derivanti da contratti stipulati a scopo di negoziazione o commerciale. A quelle descritte, si possono aggiungere altre operazioni che influiscono direttamente sull’utile o sulla perdita di esercizio, le quali generano, ad esempio, interessi attivi e passivi, dividendi: in questi casi appare evidente l’allontanamento dalla gestione caratteristica. Il flusso derivante dalle operating activities può essere determinato sia in via diretta sia indiretta: il principio predilige la prima modalità anche se ammette la seconda. È pure possibile (e certamente consigliabile per migliorare la capacità informativa) la determinazione di flussi intermedi nell’ambito dell’area in oggetto: esempi potrebbero essere il flusso netto derivante dalla gestione operativa (in senso stretto), dalla gestione finanziaria (interessi passivi e altri oneri finanziari), dalla gestione tributaria. Le attività di investimento (caratterizzate da flussi in entrata e uscita) sono relative agli effetti monetari legati alla gestione degli investimenti in immobilizzazioni materiali, immateriali, finanziarie; inoltre, rientrano in tale area anche gli investimenti e i disinvestimenti connessi alla gestione patrimoniale, eventualmente comprensivi dei proventi e dei costi monetari da essa derivanti 28. 28

Nel par. 16 del principio sono riportati alcuni esempi: a) «cash payments to acquire property, plant and equipment, intangibles and other long-term assets. These payments include those relating to capitalised development costs and self-constructed property, plant and equipment; b) cash receipts from sales of property, plant and equipment, intangibles and other long-term assets; c) cash payments to acquire equity or debt instruments of other entities and interests in joint ventures (other than payments for those instruments considered to be cash equivalents or those held for dealing or trading purposes); d) cash receipts from sales of equity or debt instruments of other entities and interests in joint ventures (other than receipts for those instruments considered to be cash equivalents and those held for dealing or trading purposes); e) cash advances and loans made to other parties (other than advances and loans made by a financial institution); f) cash receipts from the repayment of advances and loans made to other parties (other than advances and loans of a financial institution); g) cash payments for futures contracts, forward contracts, option contracts and swap contracts except when the contracts are held for dealing or trading purposes, or the payments are classified as financing activities; and h) cash receipts from futures contracts, forward contracts, option contracts and swap contracts ex 

 

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I principi contabili internazionali

Le attività di finanziamento sono sostanzialmente riconducibili alla gestione finanziaria: si tratta, in altri termini, degli effetti monetari derivanti dalle scelte di reperimento delle risorse finanziarie a remunerazione esplicita. Riguardano i mezzi propri, l’indebitamento finanziario a medio-lungo termine (compreso il leasing) e quello a breve, se non ricompreso nella risorsa di riferimento 29. Dopo aver commentato le tre aree che compongono il rendiconto è opportuno formulare alcune brevi annotazioni finalizzate, da una parte, a sciogliere alcuni dubbi classificatori e, dall’altra, a migliorare l’espressività del documento: 1. non possono essere effettuate compensazioni, salvo i limitati casi previsti dal principio (paragrafi 22, 23 e 24): ad esempio, debbono essere distintamente indicati i pagamenti per l’acquisizione di immobilizzazioni e gli incassi per la cessione, le entrate associate a nuovi mutui e i pagamenti per le quote di rimborso; 2. i flussi connessi agli interessi (attivi e passivi) e ai dividendi (ricevuti) debbono essere evidenziati in modo autonomo e attribuiti a una delle tre aree, purché il criterio seguito non si modifichi nel tempo. Ad esempio, oltre che alle operating activities, gli interessi passivi possono essere attribuiti alle attività di finanziamento mentre gli interessi attivi e i dividendi ricevuti alle attività di investimento. Si predilige, in quanto maggiormente espressiva a fini informativi, l’esclusione di tali valori dalle operating activities: va prestata molta attenzione, in fase interpretativa, alla loro collocazione. Anche per i dividendi pagati è possibile una doppia classificazione, nelle operating activities oppure nelle financing activities: si ritiene certamente più appropriata la seconda destinazione; 3. i flussi associati alle imposte debbono essere indicati singolarmente e normalmente attribuiti alle operating activities: qualora fosse possibile una loro scomposizione per area, questa è ammessa purché chiaramente evidenziata; 4. gli effetti monetari delle operazioni connesse all’ottenimento o alla perdita del controllo in un’altra entità, devono essere autonomamente indicati nell’ambito delle attività di investimento. In particolare, deve essere riportato il flusso monetario totale, la quota relativa alle disponibilità liquide (compresi i cash equivalent) dell’entità, il valore delle altre attività e passività, diverse dalle disponibilità liquide, aggregate per macro categorie; cept when the contracts are held for dealing or trading purposes, or the receipts are classified as financing activities». 29 Si ricorda che potrebbero rientrare nella risorsa di riferimento, cioè essere ricondotti alla definizione di cash (evidentemente con segno negativo), anche gli scoperti bancari rimborsabili a vista o altre forme di indebitamento a breve, se parte integrante delle politiche di cash management. Nel par. 17 del principio sono riportati alcuni esempi: a) «cash proceeds from issuing shares or other equity instruments; b) cash payments to owners to acquire or redeem the entity’s shares; c) cash proceeds from issuing debentures, loans, notes, bonds, mortgages and other short-term or long-term borrowings; d) cash repayments of amounts borrowed; and e) cash payments by a lessee for the reduction of the outstanding liability relating to a finance lease».

 

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I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

5. le operazioni definibili come “non-cash transaction” non debbono comparire nel rendiconto finanziario ma essere commentate in altra parte del bilancio; 6. è necessario illustrare in modo adeguato la composizione della risorsa di riferimento, agevolando la riconciliazione con i valori contenuti nello stato patrimoniale. Inoltre va indicata, se significativa, la quota di disponibilità liquide vincolata, cioè non liberamente utilizzabile. Le Tabelle 13.5 e 13.6 rappresentano degli schemi ricostruiti in base alle indicazioni del principio internazionale, il quale contiene un esempio in appendice che, tuttavia, non è considerata parte integrante del principio. L’assenza di modelli standard, da una parte permette all’impresa di adattare la tavola alle caratteristiche specifiche del business; dall’altra, riduce l’immediata comparabilità nello spazio. La scelta dell’organismo internazionale appare coerente con quella contenuta nello IAS n. 1 in merito alle altre tavole di sintesi: non sono proposti modelli ma definiti o il contenuto minimale o gli elementi di riferimento ai quali ricondurre i valori elementari, lasciando alla discrezionalità del redattore la scelta del grado di analiticità. Va comunque ricordato che tavole eccessivamente sintetiche presuppongono un’ampia informativa nelle note al bilancio, così da assicurare il necessario livello di completezza al bilancio. Tabella 13.5. – Statement of cash flows (IAS n. 7, metodo diretto) Attività di esercizio (operating activities) Entrate per incassi da clienti Uscite per pagamenti a fornitori di beni e servizi Uscite per pagamenti a dipendenti Altre entrate/uscite operative Cassa generata dalle attività operative Uscite per interessi passivi (1) Entrate per interessi attivi e dividendi ricevuti (2) Uscite per dividendi pagati (3) Uscite per imposte (4) Flusso di cassa netto dall’attività di esercizio

…. …. …. …. …. …. …. …. …. ….

….

…. …. …. …. …. ….

….

Attività di investimento (investing activities) Uscite per investimenti (differenti tipologie) Entrate per disinvestimenti (differenti tipologie) Entrate per interessi attivi (5) Entrate per dividendi ricevuti (5) Uscite per imposte (5) Flusso di cassa netto dalle attività di investimento

(Segue)

 

270

I principi contabili internazionali

Attività di finanziamento (financing activities) Entrate per aumenti di capitale Uscite per rimborsi di capitale Entrate per ottenimento di finanziamenti a medio-lungo Entrate per ottenimento di altri finanziamenti Uscite per interessi passivi (5) Uscite per rimborsi di finanziamenti a medio-lungo Uscite per rimborsi di altri finanziamenti Uscite per dividendi pagati (5) Uscite per imposte (5) Flusso di cassa netto dalle attività di finanziamento

…. …. …. …. …. …. …. …. …. ….

….

Variazione totale della liquidità Liquidità a inizio periodo Liquidità a fine periodo

…. …. ….

(1)

Collocazione alternativa nelle attività di finanziamento. Collocazione alternativa nelle attività di investimento. (3) Collocazione alternativa nelle attività di finanziamento. (4) Se possibile, le imposte possono essere ripartite nelle tre aree. (5) Collocazione alternativa nelle attività di esercizio. (2)

Tabella 13.6. – Statement of cash flows (IAS n. 7, metodo indiretto) Attività di esercizio (operating activities) Reddito netto prima delle imposte Variazioni dovute a: Ammortamenti e svalutazioni Redditi da investimenti (interessi attivi e dividendi ricevuti) Interessi passivi Valori reddituali i cui effetti monetari sono ricondotti ad altre aree Reddito operativo prima delle variazioni del capitale circolante netto Variazione crediti v/clienti Variazione magazzino Variazione debiti v/fornitori Altre variazioni di capitale circolante Cassa generata dalle attività operative Uscite per interessi passivi (1) Entrate per interessi attivi e dividendi ricevuti (1) Uscite per dividendi pagati (1) Uscite per imposte (1) Flusso di cassa netto dalle attività di esercizio

…. …. …. …. …. …. …. …. …. …. …. …. …. …. …. ….

…. (Segue)

 

271

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Attività di investimento (investing activities) Uscite per investimenti (differenti tipologie) Entrate per disinvestimenti (differenti tipologie) Entrate per interessi attivi (1) Entrate per dividendi ricevuti (1) Uscite per imposte (1) Flusso di cassa netto dalle attività di investimento

…. …. …. …. …. ….

….

…. …. …. …. …. …. …. …. …. ….

….

Attività di finanziamento (financing activities) Entrate per aumenti di capitale Uscite per rimborsi di capitale Entrate per ottenimento di finanziamenti a medio-lungo Entrate per ottenimento di altri finanziamenti Uscite per interessi passivi (1) Uscite per rimborsi di finanziamenti a medio-lungo Uscite per rimborsi di altri finanziamenti Uscite per dividendi pagati (1) Uscite per imposte (1) Flusso di cassa netto dalle attività di finanziamento Variazione totale della liquidità Liquidità a inizio periodo

…. ….

Liquidità a fine periodo

….

(1)

Le collocazioni alternative di alcune classi di valori valgono, evidentemente, anche per questo schema (vedere Tabella 13.5).

È, infine, opportuno effettuare alcune osservazioni relative allo schema derivante dallo IAS n. 7, utili per la fase interpretativa: le medesime considerazioni sono, nel complesso, valide anche per l’OIC n. 10. I flussi elementari sono aggregati per aree di attività, all’interno delle quali vi sono sia fonti sia impieghi: per questa ragione l’analisi deve, da una parte, valutare l’impatto di ciascuna delle tre tipologie di attività e, dall’altra, cercare correlazioni logiche tra specifiche fonti e singoli impieghi. In merito all’attività di esercizio, l’interpretazione dipende molto dalla sua estensione: appare evidente che qualora essa comprendesse anche gli interessi attivi e passivi oltre che i dividendi ricevuti e pagati, il flusso complessivo identificherebbe la capacità dell’impresa di produrre liquidità in grado di rimborsare i prestiti, mantenere la propria capacità operativa, effettuare investimenti senza ricorrere a fonti di finanziamento esterne. Tuttavia, si ritiene che una definizione troppo ampia delle attività di esercizio non permetta proficui commenti, fatto salvo il caso in cui siano presenti (o calcolati dall’analista) alcuni aggregati intermedi, tra i quali

 

272

I principi contabili internazionali

il flusso della gestione tipica o caratteristica, già ampiamente trattato. In ogni caso è comunque appropriato: 1. correlare gli interessi attivi e i dividendi ricevuti alle attività di investimento (di natura finanziaria), in quanto da queste scaturenti; 2. associare gli interessi passivi e i dividendi distribuiti alle attività di finanziamento, in quanto ne rappresentano il costo diretto esplicito. Il flusso complessivo delle attività di investimento evidenzia l’impatto finanziario delle scelte strutturali: importante è individuare l’entità dei flussi positivi e negativi e le singole fattispecie (ad esempio, immobilizzazioni materiali, immateriali o finanziarie), con particolare attenzione alle partecipazioni di controllo. Va ricordato che in tale area sono ricondotti gli investimenti (e i disinvestimenti) derivanti da due gestioni parziali: la caratteristica non corrente e la patrimoniale. L’ammontare del flusso va collegato a quelli emergenti dalle altre due aree di attività e interpretato in funzione della situazione specifica dell’impresa: ad esempio, in momenti di forte espansione, il flusso delle attività di investimento sarà negativo e diverrà importante comprendere come è stato coperto. Anche flussi positivi debbono essere interpretati con molta attenzione, in quanto presuppongono il prevalere dei disinvestimenti (ed eventuali interessi attivi e dividendi) sugli investimenti: fondamentale è individuare la ragione sottostante e valutarne l’impatto nel medio periodo. Per le attività di finanziamento non vi sono, invece, osservazioni particolari da formulare. In Figura 13.3 sono proposti due esempi di rendiconto finanziario. Figura 13.3. – Esempi di rendiconto finanziario secondo lo IAS n. 7 Rendiconto finanziario Esercizio 2015

Esercizio 2014

Risultato Operativo + Ammortamenti e svalutazioni + Altri Accantonamenti e variazioni non monetarie + Variazione crediti commerciali + Variazione debiti commerciali + Variazione altre attività e passività – Interessi (versati)/incassati – Imposte sul reddito pagate

231,4 1.134,4 18,4 105,0 239,8 – 119,1 – 1,0 – 70,9

248,7 1.083,7 2,0 38,3 128,3 – 69,2 – 5,4 – 66,9

Disponibilità liquide nette derivanti dall’attività operativa [A]

1.538,0

1.359,5

(dati in milioni di euro)

Note

ATTIVITÀ OPERATIVA:

(Segue)

 

273

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

Esercizio 2015

Esercizio 2014

3,5 10,8 0,5 – 623,3 – 33,3 – 85,3 – 29,4 – 467,3 44,6 – 1,1 2,6 – 85,4 100,0

18,6 361,6 1,1 – 1.672,9 – 0,8 – 31,4 – 3,6 625,2 9,4 0,5 2,8 – 17,1 280,2

– 1.163,1

– 426,4

– 238,6 – 121,9 – 66,9 – 53,2

– 307,5 – 328,3 8,8 – 46,4

Disponibilità liquide nette derivanti/impiegate dall’attività di finanziamento [C]

– 480,6

– 673,4

VARIAZIONE DISPONIBILITÀ LIQUIDE E MEZZI EQUIVALENTI [D = A + B + C]

– 105,7

259,8

DISPONIBILITÀ LIQUIDE E MEZZI EQUIVALENTI ALL’INIZIO DEL PERIODO [E]

457,3

197,6

DISPONIBILITÀ LIQUIDE E MEZZI EQUIVALENTI ALLA FINE DEL PERIODO [F = D + E]

351,6

457,4

(dati in milioni di euro)

Note

ATTIVITÀ DI INVESTIMENTO:

Incassi per vendita di immobilizzazioni Incassi per vendita di partecipazioni Interessi (versati)/incassati Investimenti in diritti televisivi e cinematografici (Incrementi)/decrementi anticipi per diritti Investimenti in altre immobilizzazioni Investimenti in partecipazioni Variazione debiti per investimenti Incassi/(pagamenti) derivanti da operazioni di copertura (Incrementi)/decrementi di attività finanziarie Dividendi incassati Aggregazioni d'impresa al netto delle disponibilità acquisite Variazioni quote in società controllate

13.1

13.2 13.3

Disponibilità liquide nette derivanti/impiegate dall’attività di investimento [B] ATTIVITÀ DI FINANZIAMENTO:

Variazione azioni proprie Variazione netta debiti finanziari Prestito obbligazionario Pagamento dividendi Variazione netta altre attività/passività finanziarie Interessi (versati)/incassati

 

 

13.4

274

I principi contabili internazionali

Rendiconto finanziario (migliaia di euro) A) Flusso dell’attività operativa Risultato ante imposte Rettifiche per: Ammortamenti e svalutazioni Storno risultato non distribuito delle partecipazioni contabilizzate con il metodo patrimonio netto (Plusvalenze) minusvalenze vendite immobilizzaz. Variaz. fondi per benefici v/ dipendenti e altri fondi Storno oneri finanziari Flusso dell’attività operativa ante imposte, oneri/proventi finanziari e variazione del capitale d’esercizio Variazione capitale di esercizio Flusso dell’attività operativa ante imposte e oneri/proventi finanziari Oneri finanziari netti pagati Imposte pagate Totale A) B) Flusso da attività di investimento Investimenti in immobilizzazioni: Immateriali Materiali Finanziarie (Partecipazioni) al netto della tesoreria acquisita (*) Totale investimenti Realizzo disinvestimenti per immobilizz. nette cedute Totale disinvestimenti Variaz. altre attività/passività finanziarie a lungo termine Totale B) C) Flusso da attività di finanziamento Nuovi debiti finanziari a lungo termine Rimborsi debiti finanziari a lungo termine Variazione debiti a breve termine Dividendi distribuiti Altre variazioni del patrimonio netto Variazione capitale sociale e riserva sovrapprezzo azioni Variazioni delle interessenze partecipative in società controllate Altre risorse e impieghi Totale C)

Note

36.2

2015

2014

30.852

79.608

437.767

447.618

2.038 – 31.158 – 20.452 133.269

7.041 – 5.474 – 51.674 130.538

552.316 136.924

607.657 21.688

689.240 – 127.407 – 112.185 449.648

629.345 – 124.521 – 114.075 390.749

– 11.460 – 348.054

– 11.445 – 507.255

– 1.071 – 360.585 58.978 58.978 – 13.584 – 315.191

– 4.066 – 522.766 25.218 25.218 – 10.107 – 507.655

28.532 – 96.217 4.929 – 108.421 – 2.709 – 170

155.938 – 27.052 70.132 – 83.159 – 1.390 487.162

– 32.009 – 142.047

– 457.709 2.326 146.248 (Segue)

 

275

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio (migliaia di euro) D) Differenze di conversione e altre variazioni E) Variazione disponibilità liquide (A + B + C + D) F) Disponibilità liquide iniziali Disponibilità liquide a fine periodo (E + F) di cui: Disponibilità liquide finali di attività possedute per la vendita Disponibilità liquide finali di attività in funzionamento (*)

Disponibilità liquide di società acquistate e consolidate

Note

2015

2014

36.1

8.427 837 551.525 552.362

41.797 71.139 480.386 551.525

15.270 537.092

551.525

2.783

26

Il prospetto delle variazioni del patrimonio netto La tavola in oggetto permette di esaminare in profondità i cambiamenti avvenuti nel capitale di riferimento degli azionisti, con l’indicazione delle ragioni sottostanti. Il prospetto fornisce informazioni particolarmente utili nella fase di analisi qualitativa della struttura finanziaria, in quanto consente di delineare le cause che hanno condotto a un incremento o un decremento dei mezzi propri, con effetti correlati alla solidità. Lo IAS n. 1 non prevede schemi specifici per la sua predisposizione ma si limita a definire, in termini generali, il suo contenuto, identificando le variazioni di patrimonio derivanti dalla gestione e da operazioni compiute dai soci, con specifico riferimento anche alla distribuzione di dividendi. Il prospetto deve contenere (IAS n. 1, par. 106): a) il reddito complessivamente prodotto nell’esercizio, distinguendo tra maggioranza e minoranza; b) gli effetti dell’applicazione retroattiva o della rideterminazione retrospettiva di valori, rilevati secondo quanto previsto dallo IAS n. 8, per ciascuna voce del patrimonio netto; c) per ciascuna voce del patrimonio netto, le cause di variazione nel periodo, indicando separatamente la causa, specificando quelle derivanti da utile o perdita; singole voci delle altre componenti del conto economico complessivo; operazioni dei soci, indicando distintamente la distribuzione di dividendi. In Tabella 13.7 è riportato un esempio sempre tratto dal principio internazionale, mentre in Figura 13.4 vi sono alcuni esempi tratti dai bilanci. Questo prospetto non è previsto in modo esplicito nella normativa italiana, anche se alcune delle richieste informative dell’art. 2427 (nota integrativa) potrebbero essere assolte attraverso questa tavola.  

 

 



Transfer to retained earnings

650,000



Total comprehensive income for the year

Balance at 31 December 20X7



50,000

Dividends

Issue of share capital

Changes in equity for 20X7

600,000



Total comprehensive income for the year

Balance at 31 December 20X6



600,000



600,000

Dividends

Changes in equity for 20X6

Restated balance

Changes in accounting policy

Balance at 1 January 20X6

Share capital

243,500

200

96,600

(15,000)



161,700

53,200

(10,000)

118,500

400

118,100

Retained earnings

5,600



3,200





2,400

6,400



(4,000)



(4,000)

Translation of foreign operations

3,200



(14,400)





17,600

16,000



1,600



1,600

Investments in equity instruments

(800)



(400)





(400)

(2,400)



2,000



2,000

2,200

(200)

800





1,600

1,600









Cash flow Revaluation hedges surplus

903,700



85,800

(15,000)

50,000

782,900

74,800

(10,000)

718,100

400

717,700

Total

XYZ Group – Statement of changes in equity for the year ended 31 December 20X7 (in thousands of currency units)

Tabella 13.7. – Un esempio di prospetto delle variazioni di patrimonio netto secondo lo IAS n. 1

70,500



21,450





48,600

18,700



29,900

100

29,800

Non-controlling interests

973,750



107,250

(15,000)

50,000

831,500

93,500

(10,000)

748,000

500

747,500

Total equity

276 I principi contabili internazionali

Capitale sociale

Riserva legale





1.179

Saldo al 31 dicembre 2015

Altri movimenti

Variazioni area di consolidamento e operazioni “under common control” 2.720

57.915



2.515

80.145

– 10

– 2.144 33.338

190.233

– 10

– 2.144

1.039

– 8.160



34.751

1.413

33.338

Variazione quota di possesso della minoranza in ... per eliminazione opzione put

13.600

– 33.060

33.338

33.338

164.757



1.039

Utile dell’esercizio 33.060

Tot. Patrimonio netto di gruppo

Incrementi di patrimonio netto per versamenti da soci di minoranza

33.060 – 8.160

Distribuzione dividendi

77

77

56.283

Destinazione utile dell’esercizio

1.336



57.915 1.336



2.720

Riserva sovr. azioni

Tot. Utile/(perdita) complessiva



13.600

Riserva vers. soci c/capitale

Altri utili/(perdite)

Utile dell’esercizio

Saldo al 1° gennaio 2015

(in migliaia di euro)

Riserva da conver.ne

Prospetto dei movimenti del patrimonio netto consolidato al 31 dicembre 2015

Altre riserve

Figura 13.4. – Esempi di prospetto delle variazioni di patrimonio netto secondo lo IAS n. 1

Tot. Patrimonio netto di terzi 6.545

–1

810

139

611

– 275



– 307

82

– 389

5.568

Totale Patrimonio netto (Segue)

196.778

– 11

– 1.334

1.178

611

– 8.435



34.444

1.495

32.949

170.325

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

277

 

 

Capitale sociale





– 240

Saldo al 31 dicembre 2014

Altri movimenti

Variazioni area di consolidamento e operazioni “under common control”

Incrementi di patrimonio netto per versamenti da soci di minoranza

Distribuzione dividendi

Destinazione utile dell’esercizio

13.600

2.720

359

57.915



1.179

1.419



57.915

Totale Utile / (perdita) complessiva –

2.361

Riserva vers. soci c/capitale 1.419



13.600

Riserva da conver.ne

Altri utili / (perdite)

Utile dell’esercizio

Saldo al 1° gennaio 2014

(in migliaia di euro)

Riserva legale

I principi contabili internazionali

Riserva sovr. azioni

278

Altre riserve 56.283

2

– 1.583

– 7.480

30.117

– 2.715

– 2.715

37.942

Utile dell’esercizio 33.060

– 30.476

33.060

33.060

30.476

Tot. Patrimonio netto di gruppo 164.757

2

– 1.583

-

– 7.480



31.764

– 1.296

33.060

142.054

Tot. Patrimonio netto di terzi 5.568



249

3.519

– 475



– 885

388

– 1.273

3.160

Totale Patrimonio netto 170.325

2

– 1.334

3.519

– 7.955



30.879

– 908

31.787

145.214

278 I principi contabili internazionali

 

712,0

5,6

401,7

Saldi al 31 dicembre 2014

367,9 – 2,3

119,2

Variazione % di controllo e area di consolid.

Aumento di capitale

Distribuzione di utili: Dividendi

Stock option



– 20,1

– 0,3

– 15,7

114,8

3,7



– 60,6

– 42,8

168

– 58,7



– 58,7

Totale capitale e riserve

279

1.988,1

27,8

– 16,7

– 149,4

3.082,8

– 13,9

487,1

– 16,7



22,5

129,6

– 107,1

2.126,40 2.603,80

19,6



168

– 185,8

Tot. conto economico complessivo rideterminato

111,1

– 42,3

– 15,7

– 4,1

Utili a nuovo

19,6

– 11,7

Riserva per Azioni Altre differenze proprie riserve di convers.

Totale altre componenti di conto economico rideterminato

344,1

Riserva Riserva fair value fair value per attività per strumenti finanziarie finanziari disponibili per derivati la vendita

– 107,1

282,5

Riserva Capitale sovrappr. sociale azioni

Utile (perdita) del periodo rideterminato

Saldi rideterminati al 31 dicembre 2013

(milioni di euro)

Riserve

Attribuibile ai soci della controllante

Prospetto consolidato delle variazioni nel patrimonio netto

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

808,2

– 426,7

– 64,9

120,5

62,3

58,2

1.179,20

(Segue) 

3.891,0

– 440,6

487,1

– 81,6



143,1

192

– 48,9

3.783,00

Totale Partecipaz. Patrimonio di terzi netto

I principi contabili internazionali e l’analisi di bilancio

279

 

711,9

0,1

– 23,9

112,9

401,7

Saldi al 31 dicembre 2015



– 1,9

– 0,2

– 3,8

Variazione % di controllo e area di consolid.

Aumento di capitale

Distribuzione di utili: Dividendi

Stock option

– 5,5



Totale conto economico complessivo



– 5,5

– 3,8

I principi contabili internazionali

Totale altre componenti di conto economico

Utile (perdita) periodo

280

14,3

74,9

74,9

– 58,7



1.850,8

– 0,1

-31,1

– 106,1

13,9

– 12,0

3.009,1

–2

– 0,2

– 31,1



– 40,5

79,5

– 12,0

790,7

– 3,3

– 76,8



62,6

12

50,7

3.799,8

– 5,3

– 0,2

– 107,9



22,2

91,5

– 69,3

280 I principi contabili internazionali

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Bibliografia

Finito di stampare nel mese di febbraio 2017 nella Stamperia Artistica Nazionale S.p.A. - Via M. D’Antona, 19 – 10028 Trofarello (TO)

Collana

DETERMINAZIONE E COMUNICAZIONE DEL VALORE NELLE AZIENDE

Serie Ricerche Volumi pubblicati:

1. P. ANDREI (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia: impatti contabili e profili gestionali, 2006, pp. XIV-398. 2. P. ANDREI (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia: concentrazioni aziendali e bilancio consolidato, 2006, pp. XII-256. 3. V. TIBILETTI, Concentrazioni aziendali. Profili critici di analisi e riflessi sul sistema dei valori d’impresa, 2006, pp. XIV-274. 4. C. TEODORI (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia: le attività immateriali e l’impairment test, 2006, pp. X-202. 5. A. QUAGLI (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia: i piani di remunerazione a base azionaria, 2006, pp. XII-216. 6. M. ALLEGRINI (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia: impatti sostanziali e formali sul bilancio. Operazioni di leasing e fondi per rischi e oneri, 2007, pp. X-182. 7. M. PIZZO (a cura di), Leasing: recognition e rappresentazione in bilancio. Profili evolutivi, 2007, pp. VI-98. 8. F. AVALLONE, L’impatto dell’informativa contabile di tipo volontario sui mercati finanziari. Principali evidenze empiriche e problemi di misurazione, 2008, pp. XIV-286. 9. M. PIZZO (a cura di), L’adozione degli IAS/IFRS in Italia. Fair value, 2008, pp. VI-102. 10. M. PIZZO, La dimensione d’azienda e la comunicazione economico-finanziaria: analisi teorica ed empirica nel contesto delle PMI, 2010, pp. XII-132. 11. C. CARINI, Il business report di settore. Ruolo informativo e principi di predisposizione, 2009, pp. XII-196. 12. G. BOESSO, Lo stakeholder reporting nei bilanci delle società quotate. Percezioni dei manager e comunicazione volontaria, 2011, pp. XX-148. 13. E. GIACOSA-A. MAZZOLENI, Il progetto di risanamento dell’impresa in crisi, 2012, pp. X-350. 14. C. TEODORI-M. VENEZIANI (a cura di), L’evoluzione della disclosure nella sezione narrativa. L’impatto dei principi contabili internazionali e del processo di armonizzazione, 2013, pp. XIV-194. 15. A. MECHELLI, La Value Relevance del bilancio di esercizio. Modelli, metodologie di ricerca ed evidenze empiriche, 2013, pp. XVI-280. 16. T. MAZZA, Audit Quality. Misure individuali e multidimensionali, 2016, pp. XVI-256.

Serie Didattica Volumi pubblicati:

1. P. ANDREI-A.M. FELLEGARA (a cura di), Contabilità generale e bilancio d’impresa. Terza edizione, 2016, pp. XIV-314. 2. C. TEODORI, L’analisi di bilancio. Lettura e interpretazione. Terza edizione, 2017, pp. XXIV-288. 3. C. TEODORI, Il rendiconto finanziario: ruolo informativo, analisi, interpretazione e modelli contabili. Seconda edizione, 2015, pp. XVI-192. 4. M. VENEZIANI, La costruzione del rendiconto finanziario, pp. XII-200, 2009. 5. S. AZZALI (a cura di), Il bilancio d’esercizio tra armonizzazione e difformità dei principi contabili, 2009, pp. XIV-466. 6. L. FORNACIARI (a cura di), Gruppi aziendali e bilancio consolidato in Italia. Seconda edizione, 2013, pp. VIII-228. 7. S. AZZALI (a cura di), Financial reporting and Accounting standards. Seconda edizione, 2017, pp. XIV-402.