Amos 9788839405913, 8839405917

Il presente commento è improntato alla convinzione che il libro di Amos, in tutte le sue parti, presupponga già la cadut

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Amos
 9788839405913, 8839405917

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ANTICO TESTAMENTO COLLABORATORI Walter Beyerlin, Walther Eichrodt, Karl Elliger, Erhard Gerstenberger, Siegfried Herrmann, Hans Wilhel m Hertzberg, Bernd Janowski, J org Jeremias, Christoph Levin, James A. Loader, Diethelm Miche), Siegfried Mittmann, Hans-Peter Miiller, Martin Noth, Jiirgen van Oorschot, Karl-Fr. Pohlmann, Norman W. Porteous, Gerhard von Rad, Hen nig Graf Reventlow, Magne Szbe, Ludwig Schm id t, Werner H. Schmidt, Hans - Chr is toph Schmi tt, Hermann Spieckermann, Timo Veijola, Artur Weis er , Peter Welten, Claus Westermann, A.S. van der Woude, Ernst Wiirthwein, Walter Zimmerl i a

cura di Orro KAISER e L oTHAR PERLIIT

VOLUME24/2 AMOS

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

AMOS Traduzione

e

commento di ] o RG ]EREMIAS

Traduzione

italiana di FRANco RoNCHI

PAIDEIA EDITRICE BRESCIA

Ai colleghi di Herrmannstadt e Klausenburg in segno di gratitudine per il conferimento della laurea ad honorem

Titolo originale dell'opera: Der Prophet Amos Obersetz und erklart von J6RG }EREMIAS Traduzione italiana di Franco Ronchi ·

© Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 1995 © Pai de ia Editrice, Brescia 2000

ISBN

88.394·0591.7

PREMESSA

Negli ultimi anni l'interesse della ricerca scientifica per il libro di Amos si è notevolmente spostato. Mentre nei decenni succes­ sivi al secondo conflitto mondiale l'attenzione era dedicata prin­ cipalmente, oltre che all '« ufficio» profetico, soprattutto alla cri­ tica sociale di Amos e alla ricostruzione dell'ambiente sociale del profeta, dopo lo splendido commento di Hans Walter Wolff (1969 , 3 1985) l'esegesi parte dalla premessa che un tale tipo d'in­ dagine poggi su una comprensione ingenua del testo, cioè sulla persuasione che immediatamente dietro il testo scritto de/ libro di Amos vi sia la sua parola orale. Il presente commento è im­ prontato alla convinzione che il libro di A mos, in tutte le sue parti, presupponga già la caduta del regno del Nord e in alcune parti anche la fine del regno meridionale di Giuda. Il messag­ gio di Amos viene presentato in retrospettiva, cioè alla luce del suo (parziale) avveramento e alla luce del rifiuto dei contempo­ ranei del profeta di farsi scuotere dalla sua parola; inoltre in una forma letteraria che costringe il lettore a correlare i conte­ nuti delle varie parti e, infine, in una rielaborazione e attualiz­ zazione durate secoli che testimoniano della grande conside­ razione goduta dal libro di Amos in età esilica e postesilica e del vivo dialogo con esso. Una ricostruzione della predicazione ora­ le di Amos è ancora possibile solo in rari casi e con un non pic­ colo grado d'incertezza. Chi volesse incontrare l'Amos storico farebbe bene a iniziare con la lettura delle visioni; a chi invece fosse interessato a conoscere il libro si consiglia di cominciare dalla lettura di J,I-17. l/ libro di Amos è, dal principio alla fine, uno scritto teologico e non un trattato di critica sociale, benché

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Premessa

i temi sociali vi svolgano certo un ruolo rilevante. Il libro ri­ specchia una storia degli effetti del messaggio di Amos pluricen­ tenaria e dalla stratigrafia complessa. L 'ostacolo di una lettura su più livelli comporta tuttavia, per il /ettore odierno, una faci­ litazione essenziale: il fossato della storia che ci separa da Amos si fa meno largo, la nostra applicazione all 'attualità nella predi­ cazione e nell 'insegnamento può rifarsi all'attualizzazione dei testi di Amos ad opera di autori biblici posteriori, per i quali l'Amos storico era già una figura de/ lontano passato. Per non confondere eccessivamente il /ettore ricorrendo a ca­ ratteri tipografici diversi, nella traduzione del testo sono state evidenziate in corsivo soltanto le elaborazioni esiliche e post­ esilich� (con un'eccezione: in Am. 6 sono in corsivo anche par­ ti preesiliche più antiche per differenziarle più distintamente). Talora queste parti più recenti sono segnalate nel commento uti­ lizzando un corpo minore al solo scopo di consentire un più fa­ cile orientamento e non per dare una valutazione teologica­ ad esempio i Padri della chiesa hanno citato più spesso di tutto il resto gli inni, probabilmente esi/ici, de/ libro di A mos. Come per il mio precedente commento a Osea, le indicazioni biblio­ grafiche delle singole sezioni sono di regola limitate a due tito­ li; nel commento vi si rivia col nome dell'autore seguito da op. cit., mentre ai commenti più comuni si rimanda con la semplice indicazione dell'autore e della pagina, o con ad loc. Nei casi in cui non è stato possibile, per ragioni di spazio, dare esauriente ragione di una determinata scelta seguita in questo commento, si rinvia alla mia raccolta di saggi Hosea und Amos, edita in concomitanza con quest'opera. Le sigle di riviste, collane e si­ mili seguono l'elenco redatto da S. Schwertner per la Theolo­ gische Realenzy klopadie, Ber/in - New York 21994. In rappresentanza dei numerosi collaboratori che devo rin­ graziare ricordo Annegret Pfirsch e Klaus-Peter A dam, nonché la mia segretaria di Monaco, Signora Daniela Fischer, per la cu­ ra con cui ha atteso a un manoscritto più volte rimaneggiato. joRG jEREMIAS Marburg, febbraio 1995.

INTRODUZIONE

1. I tempi e la persona di A mos

Stando alla soprascritta del libro, Amos ha svolto il ministe­ ro profetico durante il regno di Geroboamo II (secondo la da­ tazione comune nel 787-747 a.C. e quasi contemporaneamen­ te al regno di Ozia in Giuda, anch'egli menzionato in A m. 1, 1 ) . Gli oracoli di Amos tramandati sono diretti tutti, senza ec­ cezioni, contro il regno del N ord ( 1 , r b) dove anche sono stati pronunciati, presumibilmente soprattutto nella capitale, Sama­ ria (3,9-4,3; 6, r - r 1 ) , e in Bethel (7, 1 0- I 7; cfr. 4,4 s.; 5 ,4 s. ) . Se si prendono alla lettera le indicazioni cronologiche finali della so­ prascritta («due anni prima del terremoto»), la sua attività pro­ fetica dev'essere stata molto breve, tutt'al più di un anno circa. Il merito principale di Geroboamo II fu quello di aver po­ sto fine, vittoriosamente, alla decennale e sanguinosa guerra del regno del Nord contro gli aramei per il possesso della Trans­ giordania centrale, così che, in questa regione, il territorio sot­ to la sovranità d'Israele venne quasi a eguagliare l'estensione del regno di Davide (2 Reg. 14,20).1 Tra gli oracoli contro le nazioni di Amos il primo, diretto contro gli aramei (1,3 ss.), fa percepire ancora la vicinanza cronologica agli aspri combatti­ menti e lo stesso vale per la citazione dell'orgoglioso discorso del vincitore in 6, 1 3 . D'altra parte il corpus delle parole di Amos presuppone una situazione economica del regno del Nord piut­ tosto fiorente, concentrata nella capitale Samaria, come è imI . Sulla questione cfr. in particolare H. Donner, Geschichte des Volkes lsrael und sei­ ner Nachbam in Grundzugen n (ATD Erganzungsreihe 4/2), 1 986, 282 s.

IO

Introduzione

maginabile soltanto in tempo di pace. Scavi archeologici a Sa­ maria, H az or, Megiddo e D an hanno illustrato concretamente questo sfondo dei testi. Di nuovo, negli oracoli di Amos non si sente ancora nulla che preluda immediatamente al rombo del tuono che rintronò durante gli ultimi anni di regno di Ge­ roboamo n sotto forma del rafforzamento dell'impero assiro che ben presto sarebbe assurto al ruolo di potenza mondiale. A differenza dei suoi un po' più giovani contemporanei, Osea e Isaia, Amos non nomina mai gli assiri, almeno non per no­ me, bensì parla in termini generici di «un popolo» di cui J ahvé si sarebbe servito per punire (6, 14, ecc.). Così la tradizionale collosazione delle parole di Amos nella seconda metà del re­ gno di Geroboamo II è fondamentalmente corretta, anche se mancano notizie databili con precisione. Il periodo più proba­ bile sembra essere quello compreso tra il 760 e il 7 5 0 a.C.: non è possibile essere più precisi. Benché Amos abbia predicato nel regno del Nord, la sua patria natale era il regno di Giuda ( I , I ; 7, I 2 ) Questo fatto potrebbe spiegare le notevole differenze tra Amos e Osea, il suo contemporaneo cresciuto nel regno del Nord, il quale ini­ ziò solo poco più tardi il proprio ministero, come anche, al­ l'inverso, la talvolta sorprendente vicinanza all'ancora più gio­ vane Isaia, che era di Gerusalemme (v. sotto). Teqoa, il luogo di origine di Amos, è situata a buoni I 5 km a sud di Gerusa­ lemme, all'estremo lembo della terra coltivata, dove comincia la scoscesa china del deserto di Giuda. Questa posizione geo­ grafica rende comprensibile la sua doppia attività agricola che gli permise di essere un profeta economicamente indipendente: da un lato possedeva una mandria di bovini (forse anche bestia­ me minuto, se 7, 1 4 non riprende il linguaggio proverbiale) 3 e, dall'altro, lavorava i sicomori che crescevano bene nel favo revo.1

1. Spesso si è cercato, a torto, di aggirare questo effettivo rebus della biografia di Amos cercando una (sconosciuta) Teqoa nel regno del Nord; cfr. a 1 , 1 . 3 · Cfr. il commento. L'indicazione più recente delJa sua professione in I,I («allevato­ re di ovini») ha in ogni caso spiegato 7, 1 4 con un sinonimo.

Introduzione

II

le clima caldo della pianura del Giordano (7,14 s.). Questo am­ biente rurale nel quale crebbe Amos si riflette anche nel suo lin­ guaggio.4 Da Am. 10,7-17 si deve evincere che la sua attività profetica nel regno del Nord dovette interrompersi altrettanto bruscamente di come era cominciata. Se Amos sia stato rego­ larmente espulso dal regno del Nord oppure persino deporta­ to, come si è ipotizzato, oppure se abbia invece subito il mar­ tirio in Bethel (come narrano le Vitae Prophetarum del r seco­ lo d.C.), non è possibile sapere. 2. Il messaggio di Amos Le più antiche notizie di Amos che si abbiano sono i raccon­ ti delle sue visioni. Da queste si evince che nella sua attività pro­ fetica c'è stata una svolta radicale. Mentre in un primo momen­ to l'intervento dell'intercessione profetica riesce con successo ad allontanare dal popolo di Dio colpevole la tremenda cata­ strofe che Jahvé aveva preparato per Israele, Amos dovette ben presto imparare che c'è un limite alla pazienza divina davanti all'enormità della colpa, a motivo della quale l'intercessione profetica deve ammutolire: Amos fu costretto a mettersi tutto dalla parte di Dio quale messaggero del giudizio punitivo di Dio che porta alla «fine d'Israele» (8,2 ) 5 Tutti i testi del libro di Amos fuori dei racconti delle visioni presuppongono già que­ sto cambiamento nella comprensione del mandato profetico; ciò è. particolarmente evidente negli oracoli contro le nazioni che alludono variamente ai racconti delle visioni. Non è più possibile appurare se alcuni singoli oracoli orali risalgano al periodo precedente alla svolta suaccennata. Si tratta di oracoli che invece di riferirsi a Israele nel suo complesso (così indica il contesto) in origine condannano, in nome di Dio, determinati gruppi di uomini e donne ricchi e violenti (ad es. 3 , 1 2; 4,1-3 ; 5 , .

Cfr. H. Weippert, Amos, 1 -29. 5. Questo cambiamento radicale nella comprensione del ministero profetico è stato analizzato minuziosamente da E. Wiirthwein in Studien (spec. pp. 86-93). 4·

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In traduzione

6, I ss., ecc.). Ad ogni modo, Amos stesso (o un suo stretto collaboratore) ha evidentemente messo per iscritto i racconti delle visioni per provare ai suoi detrattori di non esser diven­ tato spontaneamente messaggero del Dio che puniva severa­ mente i suoi connazionali, come poi anche altri testi del libro di Amos mettono in evidenza il carattere compulsivo della pa­ rola divina (di giudizio) (3,3 -8; 7,14 s.). Ma le descrizioni delle visioni non costituiscono affatto un racconto di vocazione an­ che per il semplice fatto che esse conoscono una già preceden­ te attività profetica di Amos e, inoltre, non contengono alcun mandat-e- di proclamazione. Mentre nei racconti delle visioni la colpa d'Israele è soltanto sottintesa, ma non nominata, con tanta maggiore forza viene in­ vece denunciata nella strofe conclusiva degli oracoli contro le ·nazioni. In questi oracoli si parla degli orribili crimini di guer­ ra contro i deboli e gli indifesi commessi dai vicini d'Israele, ai quali Jahvé chiede severamente conto della loro crudeltà, anzi­ tutto perché con una svolta sorprendente e una crescente inten­ sità si mette in risalto quanto di gran lunga peggiore, trattan­ dosi di una colpa commessa contro la propria gente, sia la vio­ lenza sociale nello stesso Israele contro i poveri, gli indebitati, le donne, ecc.- una violenza che si compie nei limiti estremi del­ la legalità, ma abusando il senso delle istituzioni. Allo stesso tempo esce allo scoperto, per la prima volta, il tema centrale se­ greto di Amos, tema che i tradenti delle sue parole hanno can­ cellato con forza: la particolare responsabilità del popolo di Dio dovuta alle uniche esperienze di Dio nella sua storia (2,9). Nell'introduzione (che ha quasi funzione di titolo) alla rac­ colta degli oracoli del libro di Amos, la quale occupa la parte centrale del libro stesso (capp. 3 -6), i tradenti hanno applicato questo tema al concetto dell'elezione che distingue Israele dal­ le altre nazioni, ma gli impone anche altri metri di condotta (3, 2 ) . Amos, disperato, vede che la sua generazione non è affatto all'altezza di questi criteri e che manca particolarmente in tre ambiti: 1. in primo luogo soprattutto nella vita agiata e lussuo-

. I I;

Introduzione

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sa - per la quale la religione è un orpello (6, r -7) - della capita­ le Samaria (3 ,9-4,3 ; 6,r-rr), non perché il lusso sia un male in sé, ma perché nasce immancabilmente dalla violenza sui deboli (J, ro; 4, r; cfr. 5 , 1 1 ) e porta all'indifferenza nei riguardi del bi­ sogno altrui e anche alla rimozione dell'idea di un futuro di sventura ( 6,3 .6; cfr. 5 , 1 8-2o); 2. inoltre nell'abolizione del di­ ritto mediante la corruzione ( 5 ,7. I 0- 1 2. 1 4 s.24; 6, 1 2); il quale diritto, in quanto dono particolare di Dio a Israele, avrebbe do­ vuto comporre le liti, scoprire ed eliminare le ingiustizie: per il profeta un popolo che non ha una giustizia che funziona è in­ capace di vivere ( 5 , 1 5 ); 3· infine, nella malriposta fiducia nei pellegrinaggi e nelle splendide celebrazioni religiose (4,4 s.; 5,4 s.2 1 -24), che non solo rimangono inefficaci perché - senza che si attui la giustizia - non riguardano proprio più J ahvé («le vo­ stre feste» : 5 ,2 1 ; «a voi piace questo, a voi israeliti»: 4, 5 ), ma che portano dritto alla catastrofe perché cullano i colpevoli nel­ la loro sicurezza, aiutando proprio a ostacolare la conoscenza della colpa e fornendo una buona coscienza a un comportamen­ to malvagio (4,4; 5,24). Poiché i santuari, che avrebbero dovu­ to essere luoghi dove incontrare Dio nel raccoglimento, sono diventati luoghi di «peccato» (4,4) a motivo di tale perversio­ ne, la «fine d'Israele» (8,2) si verifica proprio con la distruzio­ ne delle case di Dio per mano dello stesso J ahvé, così che di­ venta impossibile qualsiasi contatto d'Israele con Dio (9,r -4; 5 , 5; cfr. J , I 4)· Di conseguenza lunghi passi dei capp. 5 e 6 (cfr. 8 , 3 ss.; 9,2 4) sono dominati dal lamento funebre. Nessuna meraviglia, quindi, che questo messaggio estrema­ mente duro di Amos sia stato variamente contestato, come si può dedurre dalle sue stesse argomentazioni. La forza pungen­ te di molte delle sue parole è data proprio dalle concezioni e dalle attese dei contemporanei che vengono completamente rovesciate (l'esempio più chiaro è 5 , 1 8-2o; cfr. 3 ,2. 1 2; 4,4 s.; 9, 7, ecc.) e i tradenti hanno seguito in questo le orme di Amos.6 -

6. Cfr. in particolare S. Gillingham, «Der die Morgenrote zur Finsternis macht»: EvTh S 3 ( 1 993) 109- 1 23 .

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Introduzione

È senz' altro notevole quanto le cause della «fine d'Israele» si differenzino da quelle addotte dal contemporaneo Osea, ap­ pena di poco più giovane di Amos e che come lui operò nel re­ gno del Nord, preannunciando con pari severità la rovina di Israele/ I temi della critica sociale e della giustizia, così cen­ trali per Amos, hanno in Osea soltanto una parte marginale. Nella critica al culto - in linea di principio comune a entrambi .- l'accentuazione è diversa: per Amos è centrale la discordan­ za tra la condotta colpevole nella vita di ogni giorno e la (finta) armonia con Dio mostrata nella celebrazione del culto; il pro­ blema vero, per Osea, è invece l'alienazione sostanziale del cul­ to dovuta all'accoglimento di concezioni religiose straniere, nel caso specifico della religione cananea di Baal. Per Osea la sto­ ria d'Israele quale luogo dell'esperienza di Dio ha un ruolo es­ senziale in una quantità di situazioni particolari (Os. 9- 1 3), mentre per Amos il valore di questa storia è più di carattere generale. Osea si scaglia con ira furente contro il vitello di Be­ thel (O s. 8,4-6; 10, 5 s.; 1 3,2), Amos non lo nomina nemmeno. Evidentemente queste differenze dipendono dalla diversa ori­ gine: Osea crebbe nel regno del Nord, Amos invece nel regno di Giuda. Anche la storia degli effetti dei due profeti si diver­ sifica in maniera rimarchevole. Amos ha molti temi in comune con Isaia, il di poco più giovane profeta di Gerusalemme, sul quale il suo messaggio ha avuto manifesta influenza: lo si nota soprattutto nell'insistenza sul «diritto e la giustizia» (/s. 1 ,2 1 ss.; capp . 3 e 5 ), nella tendenza alla critica del culto (/s. I , I o ss.), nel tema del «giorno di Jahvé» (Am. 5 , 1 8-20; /s. 2, 1 0 ss.), ecc. 8 Osea ha invece avuto un'influenza teologica di gran lun­ ga più intensa sul giovane Geremia 9 e, inoltre, sul Deuterono­ mio e sulla storiografia deuteronomistica. Amos fu il più duro di tutti i profeti biblici annuncianti il giu7· Per queste differenze cfr. in particolare H.-J. Zobel, Prophet in lsrael und ]uda: ZThK 82 { 1 98 5) 2 8 1 299, rist. in BZAW 2 1 2, 1 993, 77-96; jeremias, Hosea und Amos, 3 5 -37· 8. Cfr. Fey, Amos und ]esaja, 1963. 9· Cfr. Jeremias, Hoseas Einfluss auf das]eremiahbuch, in op. cit. {sop ra, n . 7), 1 22 ss. -

Introduzione

dizio di Dio in quanto in lui è difficilissimo, se non impossibi­ le, rintracciare un annuncio di salvezza. La conclusione positi­ va del libro con un oracolo di salvezza (9,8- I 5) è dovuta, con estrema probabilità, all'attualizzazione del messaggio profeti­ co per l'epoca postesilica e non è precedente a tale data. Prima di questo passo è possibile percepire una speranza di salvezza molto contenuta soltanto in 5 , 1 5 . Tale speranza è condiziona­ ta a un deciso volgersi « al bene» e da una duplice limitazione: «forse» si può scampare alla catastrofe, cioè non è compito del profeta annunciare questa salvezza, bensì essa viene riposta nel­ la volontà di Dio; inoltre essa riguarda comunque soltanto «un residuo di Giuseppe», cioè non tutto quanto il popolo di Dio. Persino questa speranza così timida è, a sua volta, già un'inter­ pretazione di un più antico oracolo di Amos avanzata dai tra­ denti, come ha dimostrato H .W. Wolff/0 e precisamente una spiegazione dell'unico monito di Amos che sia stato traman­ dato, una parola che per la sua concisione e per il carattere di citazione è già in sé di difficile comprensione: «Così ha detto Jahvé alla casa d'Israele: Cercatemi e allora vivrete! ». 3·

Il libro

A dire il vero, il messaggio di Amos che è stato appena e­ sposto può essere ricuperato soltanto con una complessa, e in gran parte solo ipotetica, opera di ricostruzione. Il libro di A­ mos non lo rispecchia affatto direttamente, bensì in forma di precipitato della storia della ricezione e degli effetti del messag­ gio stesso che non venne tramandato per interesse storico in un passato lontano, ma venne fissato per iscritto e, insieme, co­ stantemente attualizzato in virtù del suo significato per un pre­ sente in continua mutazione . Nella sua forma attuale il libro di Amos proviene dal (tardo) periodo postesilico (9, I I - I 5; cfr. 9,7- 1 o ) e ricevette la sua tipica forma soltanto dopo la caduta di Gerusalemme in epoca esilica e nella prima età postesilica. Io.

BK xrvj2, ad loc.

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lntroduzione

Già la prima stesura del libro, avvenuta dopo la caduta di Sa­ maria, fu sostanzialmente ampliata, circa un secolo più tardi, ai tempi di Geremia. 3 . 1 . Importanza essenziale riveste la consapevolezza che già i primi tradenti delle parole di Amos non si proponevano sol­ tanto di conservare alcuni importanti discorsi del profeta. A differenza del nucleo - probabilmente più antico 11 del libro di Osea (capp. 4- 1 I :� ) con la sua quasi ininterrotta sequenza di sin�li oracoli accostati tra loro a formare una continua espo­ sizione monolitica, il libro di Amos deve la sua prima forma a un'abile composizione stilistica che non può non essere notata da ogni lettore attento. Quattro tratti caratteristici saltano al­ l'occhio: 1. La forma più antica del libro di Amos presentava due composizioni, una che apriva (gli oracoli contro le nazio­ ni: Am. 1-2 ::- ) e una che chiudeva lo scritto (i racconti delle vi­ sioni: Am. 7-9:�), ognuna delle quali era composta di cinque strofe: due coppie di strofe più una strofe conclusiva che riba­ diva, accentuandone l'intensità, il contenuto delle precedenti. Le due composizioni erano poi variamente concatenate tra lo­ ro dalla temati ca. 1 2 Gli oracoli contro le nazioni contengono numerose allusioni che il lettore del libro riesce a cogliere pie­ namente soltanto dopo averlo letto tutto fino all'ultima visio­ ne di Amos. Allo stesso tempo gli oracoli contro Israele (capp . 3-6) devono essere letti non prescindendo da questa struttura letteraria del libro. Probabilmente una volta, all'inizio, gli ora­ coli contro le nazioni e i racconti delle visioni hanno costitui­ to (come anche i capp. 3-6::-) una raccolta indipendente (cfr. a 1,1 ) . 2. La sezione centrale del libro (Am. 3-6::·) è divisa in due parti di quasi pari lunghezza da due sottotitoli paralleli (3 , 1 e 5, I ) : la prima è presentata come un discorso di J ahvé contro il popolo di Dio, la seconda come discorso del profeta contro le -

11. Cfr. Jeremias, op.cit. (sopra, n . 7), 34 ss., spec. •P· 52s. 12. Cfr. Jeremias, op. cit. (sopra, n. 7), I 57 ss.

Introduzione

autorità. Ciascuna delle due parti contiene in sé un discorso di Dio e un discorso del profeta. Ma le due parti non richiedo­ no di essere considerate in questa suddivisione, bensì dal pun­ to di vista di ciascun sottotitolo, così che la loro sequenza non può essere invertita. 3· Oltre a tale divisione in due parti dei ca­ pitoli centrali, la materia è organizzata anche secondo un altro schema: il capitolo centrale (cap. 5 , più precisamente 5 , 1 I 7) è articolato a chiocciola, ossia segue uno schema concentrico e­ stremamente elaborato per il quale nel rapporto costituito dal­ l'antecedente della gravissima colpa del popolo e dal conseguen­ te della morte si insinua tra i due termini, per ben due volte, l'offerta (molto contenuta) della vita che in questo modo spezza il rapporto logico tra colpa e castigo. Evidentemente si è qui in presenza di un'elaborazione, destinata ai sopravvissuti alla catastrofe del regno del Nord, del duro messaggio di morte portato da Amos. 4· Entrambi i principi stilistici che hanno determinato la composizione, quello lineare e quello concen­ trico, sono rilevabili anche nella sezione seguente. Da un lato le due invettive di 5 , I 8-2 7 e del cap. 6 (che derivano dal lamen­ to funebre) sono formulate in maniera perfettamente parallela tra di loro; in questo parallelismo colpiscono in maniera parti­ colare le due domande ( 5,2 5 e 6, I 2) che esprimono la continua speranza di un rinsavimento e interrompono, in maniera ana­ loga all'offerta della vita nella pericope di 5 , I - 1 7, la logica del messaggio di morte che domina il contesto. Dall'altro entram­ be le raccolte con le accuse contro la classe dominante della ca­ pitale Samaria (3 ,9-4,3; cap. 6) sono raggruppate, a mo' di cor­ nice, intorno al centrale cap. 5. Mediante questa composizione letteraria i singoli oracoli di Amos sono collegati funzionalmente tra di loro in diversi mo­ di. Dal punto di vista teologico essi vengono modificati soprat­ tutto per tre aspetti: I . oracoli diretti in origine contro ben de­ terminati gruppi (ad es. 3 , 1 2; 4, 1 -3, ecc.; v. sopra) vengono col­ locati in un contesto nel quale si parla costantemente del po­ polo di Dio nel suo insieme (cfr. spec. 3 ,2). In questa maniera -

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lntroduzione

risulta impossibile fare una distinzione tra colpevoli principa­ li, colpevoli parziali e innocenti. 2. In passi chiave per l'erme­ neutica i tradenti hanno fatto ricorso a formulazioni fortemen­ te improntate al linguaggio e al pensiero di Osea (3 ,2; 5 ,2 5 ::-; 6, 8; cfr. nel periodo più recente 2,8 ; 7,9). In questo modo essi vo­ gliono obbligare i lettori a collegare le accuse di Amos con quelle di Osea, mettendo così in reciproco rapporto gli oracoli dei due profeti i quali, insieme, costituiscono l'unica verità di Dio per Israele, verità che ha trovato decisiva conferma nella ca­ duta di Samaria. 3· Mediante la posizione centrale della com­ posizione a chiocciola di 5 , 1 - 1 7 la tematica del diritto, che s'in­ contra soltanto nel cap. 5 (e in 6, 1 2), viene messa in evidenza quale vero nucleo e cuore del messaggio di Amos. A differen­ za della critica sociale di Amos, il tema «diritto e giustizia» non rimane limitato alle parole di accusa ( 5 ,7· 1 0. 1 2): senza eccezio­ ne, nell'edizione più antica del libro di Amos tutte le parole «aperte» che, per quanto sempre timidamente, prospettano an­ cora una possibilità di cambiamento dei sopravvissuti alla cata­ strofe militare del regno del Nord, menzionano, quale presup­ posto irrinunciabile della vita, la realizzazione di «diritto e giu­ stizia» , una richiesta che può avvenire indifferentemente in for­ :ma di imperativi ( 5 ,4 s. 1 4), di iussivi {5 ,24) o di interrogativi ( 5 ,2 5 :;.; 6, 1 2). 3 .2. Nel secolo successivo, ai tempi del profeta Geremia, le suddette tendenze teologiche in Giuda furono notevolmente rinforzate in quanto testi di Amos più antichi vennero combi­ nati tra di loro per spiegarsi reciprocamente (6,8 ss.; 8,3 ss.). Il destino di morte che riguarda tutto quanto Israele {6,9 s.; 8,3.9 s.) viene ora descritto minuziosamente; di nuovo le accuse di Osea vengono collegate con quelle di Amos (2,8; 7,9) e la cri­ :tica sociale di Amos viene spostata nella sfera del commercio (8,4-7). Ma soprattutto le riflessioni di Amos sul proprio uf­ ficio (cfr. 3,3- 8::- e anche i racconti delle visioni) ricevono una tale caratterizzazione anticipatrice della teologia deuteronomi-

Introduzione

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stica che a un Israele che presta più ascolto alle autorità politi­ che che alla parola profetica, viene annunciata inesorabilmente la rovina (7, I 0-17). 3 ·3 · La redazione più antica del libro di Amos subì le modi­ fiche più incisive dopo la caduta di Gerusalemme nel VI secolo a.C. In quest'epoca coloro che sono sfuggiti alla catastrofe vengono messi immediatamente in guardia, con l'ausilio del li­ bro di Amos, affinché non credano che la loro sopravvivenza fisica sia già la salvezza. Bisogna distinguere due correnti teo­ logiche diverse tra loro linguisticamente, ma in verità sostan­ zialmente affini. I . Nei passi della cosiddetta teologia deuteronomistica 13 la colpa del popolo di Dio viene definita in termini storico-salvi­ fici, cioè acuita mediante una contrapposizione con l' esperien­ za delle opere salvifiche di Dio e, quindi, riferita direttamente a Dio (2, I o; 3, I b). Allo stesso tempo la colpa viene messa in relazione con una volontà generale di Dio nota a Israele, rifiu­ tando la quale si rifiuta Dio stesso che viene confuso con gli idoli (2,4); nell'edizione più recente del libro di Amos il culto di Bethel (3, I 4; 5 ,6) insieme alle tendenze sincretistiche di Sa­ maria (come anche di D an e Beer-Sheba: 5 ,26; 8, I 4) funge da prototipo per gli idoli e per la degenerazione del culto in ido­ latria. Di pari passo si esalta in crescendo il grande valore della parola profetica: il popolo di Dio non va ancora incontro alla perdizione per l'enormità della colpa, bensì solo quando co­ mincia a rifiutare la parola profetica, giacché i profeti come A­ mos sono il mezzo estremo di Dio per avvertire Israele, quan­ do è scoccata l'ultima ora, dell'imminente catastrofe e ripor­ tarlo così alla ragione (2, 1 I s.; 3,7). La parola profetica è il ber3 . Cfr. l'esposizione sintetica in W.H. Schmidt, Dtr Redaktion, e anche Wolff, 1 3 7 s . Si tratta, i n primo luogo, d i Am. 1 ,9- 1 2; 2,4 s.ro- 1 2; 3,rb.7; 5 , 2 5 (nella forma defini­ tiva); inoltre i passi prossimi ai suddetti testi: 2,7b.9; 3 , 1 3 s.; 5 ,6.26; 8,1 1 - 1 4. Molti dei testi elencati vanno attribuiti a mani chiaramente diverse, senza che sia tuttavia possi­ bile, con i mezzi ora a disposizione, tracciare una chiara distinzione (ad es . in sotto­ gruppi della teologia deuteronomistica).

10

-Introduzione

ne più prezioso d'Israele che questo può perdere facilmente per disattenzione (8 , 1 1 s.). 2. L'altra elaborazione, se possibile ancora più rilevante e facilmente riconoscibile per il suo dettato innico, ha ripreso i propri temi teologici primari dalla liturgia penitenziale esilica. Il passo di A m. 4,6- r 3 è scritto sulla falsariga di una liturgia di questo tipo, come mostra il parallelo di 1 Reg. 8,30 ss. In que­ sto genere di liturgia gli inni assumevano il ruolo di «dossolo­ gie del giudizio» (F. Horst), cioè avevano la funzione di rico­ noscere che la catastrofe che aveva travolto Giuda era il giudi­ zio di Dio che il popolo si era giustamente meritato. N el libro esilico di Amos gli inni costituiscono sia la cornice esterna del libro stesso, cioè l'inizio e la fine ( 1 ,2; 9, 5 s.), sia anche la parte centrale effettiva (4, 1 3 ; 5,8 s.).14 A dire il vero, la funzione pri­ maria degli inni non è di ricordare in retrospettiva la di­ struzione di Gerusalemme, bensì di lodare la potenza del Dio creatore per sollecitare il popolo, con l'aiuto delle parole di Amos, a volgersi nuovamente a Dio (e ad abbandonare l'erro­ re del culto sincretistico di Bethel).1 s Questa sollecitazione de­ gli inni ha il tono severo dell'ultima opportunità: chi manca l'imminente incontro con Dio, nel quale si replica il nuovo inizio del Sinai (4, 1 2 ) , è definitivamente perduto. 3·4· Il lettore odierno trova l'epoca postesilica occupata a di­ scutere come possa conciliarsi il severo messaggio di giudizio del profeta Amos con le antiche tradizioni della salvezza e chi sia l'oggetto di quel messaggio (Am. 9,7-ro). La risposta a que­ st'ultima domanda suona: irrimediabilmente perduti sono sia lo stato, che con la sua sovranità autonoma si è posto al di so14. Maggiori particolari in Jeremias, Die Mitte des Amosbu�hes, in op.cit. (v. sopra, n. 7), 198 ss. Allo stesso tempo, in epoca più tarda, la frequenza, che non ha pari in tut­ to l'Antico Testamento, del titolo «Jahvé, Dio degli eserciti,. (cfr. l'excursus in Wolff, 3 3 2-3 34) allude di continuo al contenuto delle dossologie nelle quali il predicato ri­ corre due volte (4, 1 3 ; 9,5) con valore programmatico. 1 s . Su questo tema convergono entrambe le correnti teologiche; v. sopra.

Intraduzione

21

pra della parola profetica, sia anche tutti quegli uomini indif­ ferenti che non prendono sul serio tale parola. Indipendente­ mente dalla parola profetica non è possibile alcuna salvezza. Soltanto sulla base di questo chiarimento teologico redattori successivi hanno osato rappresentare questa salvezza di Dio sotto forma di un restaurato regno di Davide e della sicurezza ad esso collegata (9, 1 I - I 5�!-); infine, in un ultimo strato più re­ cente, questa nuova salvezza - e quindi l'intero messaggio di Amos è stata messa in relazione, in quanto parte del libro dei dodici profeti, con le affermazioni analoghe di Gioele e del libro di Abdia, i libri che rispettivamente precedono e seguo­ no il libro di Amos (9, I 2 s.). La crescita del libro di Amos durata diversi secoli rispecchia l'alta stima di cui lo scritto godeva già in epoca biblica e la vi­ talità del confronto con esso la quale costituisce gran parte della ricchezza di questo libro. Per il commentatore moderno dell'opera questa situazione implica che nel libro di Amos egli ha a che fare, in prima battuta, con la storia, esilica e postesili­ ca, degli effetti del messaggio di Amos. Ogni incursione negli strati più antichi del libro, per non parlare poi del tentativo di giungere alla parola orale di Amos, è necessariamente gravata da una misura (di grado variabile di caso in caso) d'incertezza. -

1,1-2. Soprascritta e motivo tematico 1 Le p arole di Amos di Teqoa, appartenente agli allevatori di ovini, ri­ guardanti Israele, che egli contemplò ai tempi di Ozia, re di Giuda, e ai tempi di Geroboamo, figlio di Ioas, re d'Israele, due anni prima del ter­ remoto. 2 Egli disse: È ]ahvé quello che ruggisce da Sion e da Gerusalemme fa rintronare la sua voce; allora si affliggono 1 i pascoli dei pastori e inaridisce la cima del Carmelo.

H.P. Fuhs, A mos 1,1. Erwagungen zur Tradition und Redaktion des Amosbuches, in H.J. Fabry (ed.), Fs. G.J. Botterweck, Bonn 1977, 271 -289; J . Jeremias, «Zwei ]ahre vor dem Erdbeben» (Am. 1,1), in Hosea und Amos, 1 83- 1 97; M. Weiss, lmages: Amos 1:2, in M. Weiss, The Biblefrom Within , Je rusalem 1 98•h 1 94-22 1 .

1. La soprascritta del libro di Amos ne rispecchia la storia del­ Ia crescita. Colpisce, in primo luogo, che prima dell'insolita e molto precisa indicazione cronologica «due anni prima del ter­ remoto» ce ne sia un'altra, molto più minuziosa, che menzio­ na il regno di due re. Poiché il re di Giuda, Ozia (presumibil­ mente 78 7-73 6 a. C.), precede Geroboamo II, re d'Israele {pre­ sumibilmente 78 7-747 a.C.), sebbene Amos - come attesta la stessa soprascritta - abbia operato nel regno del Nord e si sia scontrato col re Geroboamo II (Am. 7, 1 0- I 7), questa indicat. La traduzione un po' artificiale «si affliggono» (invece di «avvizziscono, si secca­ no») vuole salvare il rapporto con l'uso del medesimo verbo in 8,8 e 9, 5 dove si parla del comportamento umano; cfr. l'associazione analoga di uomini e natura «in lutto» in loel 1 ,9 s. E. Kutsch, Kleine Schriften zum Alten Testament (BZAW 168), 1 986, 8 8 s . h a dimostrato, con riferimento a J . Scharbert, Der Schmerz i m Alten Testament (BBB 8), 1 95 5, 47 ss., che l'ebraico ha un'unica radice 'bi.

Am. 1, 1-2

zione è chiaramente confezionata per i lettori giudaiti di una generazione successiva. Insieme alle informazioni analoghe di Os. 1 , 1 ; Mich. 1 , 1 ; Soph. 1 , 1 (cfr. /s. 1 , 1 ; ler. 1 ,2) Am. 1 , 1 nella sua forma definitiva costituisce la prova di una raccolta e reda­ zione dei profeti minori, databile molto probabilmente all' epo­ ca dell'esilio. - Dal medesimo periodo proviene presumibil­ mente l'aggiunta con l'indicazione della professione che s'in­ serisce, ostica, tra il nome e l'indicazione del luogo natale del profeta separandoli e disturbando soprattutto il nesso con la seconda proposizione relativa, più antica, che si riferisce alle parole di Amos (Wolff). Per quanto riguarda il contenuto la glossa si riallaccia aAm. 7, 14 s. e precisamente mediante un ter­ mine che è un prestito dall'accadi co (naqidu) e denota il pro­ prietario di greggi (distinguendolo dal semplice pastore sala­ riato); cfr. il re moabita Mesha in 2 Reg. 3,4.1 Ma anche la soprascritta più antica, preesilica, «le parole di Amos di Teqoa che egli contemplò, riguardanti Israele, due an­ ni prima del terremoto», non è esente da tensioni. Certamente anche in altri libri profetici è attestata la «contemplazione» di «parole» (/s. 2,1; Mich. 1 , 1 ; cfr. Aba c 1 , 1 ), ma in questi casi si tratta sempre di parole di J ahvé. La formulazione singolare di Am. 1,1 sembra spiegarsi al meglio con la confluenza di due distinte soprascritte parziali («le parole di Amos di Teqoa» e, ad esempio, «la parola che Amos contemplò riguardante Israe­ le ... ») (Wolff, Fuhs). Allora la seconda soprascritta avrebbe in­ trodotto, anzitutto, i racconti delle visioni, anche se queste usa­ no il verbo r' h, «vedere», insolito nelle soprascritte,3 mentre la prima sarebbe servita, a quanto pare, alla raccolta di oracoli dei capp. 3 -6 (cfr. l'io di Amos in 5 , 1 ). La raccolta degli ora.

2. Nessuno oggi sostiene più l'ipotesi, dimostrata ripetutamente falsa, ma cara agli anni ' 50, di una connotazione cultuale del termine sulla base di testi ugaritici. 3· Forse si deve convenire con Rudolph che si tratti delle visioni ampliate con la (più recente) narrazione di 7, 10- 1 7 perché il sacerdote Amazia si rivolge ad Amos chia­ mandolo «veggente» (radice �zh ) Per la distinzione tra i verbi («vedere» per indicare la singola visione, «contemplare, mirare, guardare» per indicare una legittimazione di fondo) cfr. H.F. Fuhs, Sehen und Schauen (fzb 32), 1 978, 1 77 ss. 305 ss. .

Am.

1,1-2

coli contro le nazioni è collegata, mediante molteplici nessi letterari, ai racconti delle visioni. 4 A questo dato stilistico ben si adatta che il terremoto ricordato nell'indicazione cronologi­ ca e riferito in I, I all'apprendimento visionario oltre che nei racconti delle visioni venga menzionato soltanto negli oracoli contro le nazioni (Am. 2, 1 3 ), ma mai nei capp. 3 -6. In questo modo Am. I , I fornisce la prova che il libro di Amos si è for­ mato mediante l'aggregazione di due raccolte parziali, dei capp. 3-6 e dei capitoli di cornice 1-2 e 7-9. Rispetto alle soprascritte di altri libri profetici Am. I , I con­ tiene soprattutto due insolite notizie. La prima è la frase «pa­ role di Amos» invece di «parole di Jahvé», come negli altri li­ bri profetici. Le analogie più prossime offrono le raccolte di sentenze di sapienti come «le parole di Agur» (Prov. JO, I ) o «le parole di Lemuel» (Prov. 3 I , I ). Questa osservazione è un indice dell'antichità del dato, che risalirebbe così a quando an­ cora non si era formalizzata una forma specifica di soprascrit­ ta per i libri profeti ci, e pure di un'alta autocoscienza del pro­ feta che anche nelle visioni viene enfaticamente chiamato per nome (Am. 7,8; 8,2). Il nome «Amos» è probabilmente la for­ ma abbreviata di un nome esprimente ringraziamento, la cui forma piena è «Amazia», «Jahvé ha portato», cioè Jahvé ha preservato il bimbo dalla sventura (2 Chron. 1 7, 1 6). In questo complesso rientra anche la patria natale del profeta che è al­ trettanto importante dell'inconfondibile nome per la compren­ sione del suo messaggio. Infatti Amos è originario del regno del Sud, precisamente di un luogo situato a buoni I 5 km a sud di Gerusalemme, dove il terreno declina verso il deserto della Giudea (l'odierno birbet tequ ) . Data la località, l'indicazione della professione di allevatore di bestiame appare abbastanza credibile, ma più importante ancora è che così si possono spie­ gare meglio le differenze considerevoli con la predicazione di '

4· Cfr., in prosecuzione delle linee tracciate da Wolff e H. Gese (Komposition, 74 ss.), J. Jeremias, Volkerspruche und Visionsberichte im Amosbuch, in Hosea und Amos, 1 57-171.

Am. 1, 1-2

Osea.s Già per tale ragione è inutile a priori andare alla conti­ nua ricerca di una Teqoa nel regno del Nord,6 come ha fatto l'esegesi rabbinica fino ai giorni nostri. La seconda notizia insolita è la precisa indicazione crono­ logica «due anni dopo il terremoto». I tentativi fatti per datar­ lo storicamente7 si sono dimostrati vani in considerazione del­ la frequenza di sismi in Palestina; 8 è comunque certo che deve essersi trattato di un fenomeno sismico di particolare intensi­ tà (cfr. Zach. 1 4, 5 ). Questo dato sta comunque a indicare che Amos - a differenza di Osea e Isaia - deve aver operato da pro­ feta per un tempo molto breve, difficilmente più di un solo an­ no. Ma l'informazione è stata registrata soprattutto perché per i tradenti neIl' esperienza del terremoto si dimostrò la verità del­ la parola di Amos. A dire il vero questa conferma non è intesa anzitutto come compimento, certo non come un compimento in senso pieno: che cosa il sisma significhi per il libro di Amos - dallo scotimento del tempio di Bethel fino allo scotimento del cosmo - lo si può vedere in parole come 2, 1 3 e 9,1 che ver­ ranno più tardi interpretate da 8,8 e 9, 5 s. Di certo il lettore è indotto a comprendere l'esperienza del terremoto come un pri­ mo passo della realizzazione della parola di Dio annunciata da Amos. Si tratta di uno dei temi segreti del libro di Amos che si schiudono completamente soltanto a partire dalla fine del li­ bro, cioè dal cap. 9, e si aspettano che il lettore abbia la lena di leggere con attenzione e intelligenza il libro fino a questa fine. Con l'inno del v. 2 posto all'inizio del libro si vuole fornire ai lettori di un'epoca successiva alla caduta di Gerusalemme un

�.

S· Per maggiori particolari al riguardo cfr. Jeremias, op. cit. , 3 5-37. 6. Cfr. in particolare H. Schmidt, Fs. K. Budde, 1920, 1 5 8 ss. e, più recentemente, K. Koch, Amos 11, 2. 7· Cfr., ad es., J.A. Soggin, Das Erdbeben von Amos r,r und die Chronologie der Ko­ nige Ussia und]otham von ]uda: ZAW 82 (1 970} 1 1 7- 1 2 1 . 8. U n catalogo dei terremoti a partire dal 64 a.C. si trova i n D.H. Kallner-Amiran: IEJ I, 1 9 50-5 I, 223-246; II, 1 9 5 2, 48-65.

Am.

r,r-2

aiuto per la lettura. Il versetto si ricollega alla forma delle de­ scrizioni di teofanie con le quali l'Israele più antico celebrava le proprie vittorie come atti di Jahvé il quale - come il dio me­ teorico dei popoli vicini - interveniva potente contro i suoi nemici facendo tremare tutta la natura (/ud. 5 ,4 s.; Ps. 68,8 s., ecc.).9 A m. 1,2 comunica un'esperienza di Dio del tutto oppo­ sta. L'espressione che tradizionalmente indica il rombo tonan­ te della potente voce del dio meteorico viene anticipatamente interpretata come spaventoso ruggito del leone; nel cap. 3 i vv. 4. 8. e 1 2 chiariscono quali immagini di morte siano associate a questo ruggito (in particolare l'intimo intreccio delle tremen­ de parole e azioni di Dio). Ma il pericolo mortale non riguar­ da i nemici: al contrario, il ruggito divino ha come conseguen­ za immediata l'inaridimento e la desertificazione dei territori più fertili del regno del Nord. 10 I pascoli dei pastori, indispen­ sabili per la sopravvivenza, il cui inaridimento simboleggia so­ vente, in età tarda, la più tremenda sventura (l'espressione so­ lita è «i pascoli del deserto o della steppa» : ler. 9,9; 23 , 1 0; loel 1 , 1 9.20, ecc.), vengono forse scelti a motivo della professione di Amos; 11 in quest'epoca il Carmelo, per la ricchezza dei bo­ schi, costituisce, col Basan (cfr. Am. 4, 1 ), il Libano oppure la pianura di Saron, il territorio più fertile della Palestina (cfr. /s. 3 3 ,9; 3 5 ,2; ler. 50, 1 9; Nah. 1 ,4). Ma soprattutto con l'espres­ sione «la cima del Carmelo» si crea un collegamento con la 5a visione (Am. 9,3 ). Presi insieme, i due versi descrivono la fine di ogni forma di vegetazione (Wolff, Weiss). Tuttavia - e que­ sta è l'affermazione più importante del versetto - non è una po­ tenza straniera che provoca tale devastazione, bensì «jahvé da 9·

Cfr. J. Jeremias, Theophanie (WMANT I o), 1 1 977· È sintomatico che negli altri due passi in cui i verbi «essere in lutto» (= avvizzire) e «inaridire» sono usati in paral1elismo (ler. 1 2,4 e 23,10) questo effetto della natura viene provocato direttamente dalla colpa d'Israele. Ritengo probabile che questa as­ sociazione sia presupposta nei lettori e abbia contribuito alla disarmonia della meta­ fora (il ruggito divino porta all'inaridimento). II. Per K. Koch: ZAW 86 ( 1 974) 33 i «pastori» significherebbero i ere» del versetto successivo, ma in tal modo viene meno la struttura poetica del detto. IO.

Am. 1,1-2

Sion» che nel severo giudizio del proprio popolo si dimostra potente (cfr. Ps. 5 0,2). Il lettore viene così preparato alle sezio­ ni inniche del libro di Amos (4, 1 3 ; 5 ,8 s.; 9, 5 s.) e al frequente r�correre dell>appellativo divino «Jahvé, il Dio degli eserciti». Ciò vale soprattutto per quella che in origine era la dossologia conclusiva del libro in 9, 5 s. (v. introduzione) nella quale il «lutto» dei pascoli dei pastori diventa il «lutto» degli uomini al cospetto del Dio che ha sottratto loro, con la distruzione del tempio, la propria presenza eppure viene riconosciuto e loda­ to quale Signore del mondo. L'inno introduttivo sottolinea così la perdurante validità del messaggio di Amos - anche dopo la distruzione di Samaria e di Gerusalemme - e menzionando «la cima del Carmelo» e il «lutto» della natura si riallaccia alla primitiva conclusione del libro in 9,6. Interventi successivi, facendo precedere il libro di Amos da quello di Gioele e dagli stretti paralleli di Ioel 4, 1 6 (cfr. A m. 9, 1 3 con loel 4, 1 8 ) hanno creato un ulteriore conte­ sto che costringe il lettore a considerare un tutto unico non solo il libro di Amos, bensì il libro dei dodici profeti minori (o un suo antecedente), cioè a vedere in quest'opera l'unica parola di Dio mediante diversi testimoni profetici.

PARTE PRIMA GLI ORACOLI CONTRO LE NAZIONI

(I ,J-2,1 6)

I ,J-2,J. La 3

4

colpa dei popoli con6nanti

Così ha detto J ahvé: per i tre misfatti di Damasco e per i quattro, non posso revocarlo: 1 perché hanno trebbiato Galaad con trebbie di ferro. Così manderò fuoco sulla casa di Hazael, che divori i palazzi di Ben Hadad. spezzerò la sbarra di Damasco spazzerò via il re 2 da Bi q 'a t Aven («valle del peccato»), e chi regge lo scettro da Betheden («casa del piacere»). Allora il popolo di Aram andrà in esilio a Qir ha detto J ahvé.

6 Così ha detto J ahvé:

per i tre misfatti di Gaza e per i quattro, non posso revo carlo: perché hanno deportato popol azi oni intere (solo) per consegnarle a Edom. 7 Così manderò fuoco sulle mura di Gaza, che divori i suoi palazzi. 8 Spazzerò via il re 2 da Asdod e chi regge lo scettro da Askalon; dirigerò la mia mano contro Eqron, che il resto dei filistei perisca ha detto Jahvé, il Signore} Per la questione dell,antecedente della particella pronominale cfr. il commento. Tutte le versioni leggono joseb come singolare collettivo «la popolazione». Ma il parallelismus membrorum e, soprattutto, l,ultima frase dei vv. s e 8 depongono a fa­ vore della traduzione «colui che siede sul trono». 3· Negli oracoli contro le nazioni questo appellativo divino supplementare si trova so­ lo qui; G non sembra ancora conoscerlo. La sua funzione è certamente quella di se1.

:z..

JO

Am. r,J-2,) 9

ro

11

I2

I

3

14

Is

Così ha detto jahvé: per i tre misfatti di Tiro e per i quattro, non posso revocar/o: perché hanno consegnato a Edom intere popolazioni, senza ricordarsi del patto di fratellanza. Così manderò fuoco sulle mura di Tiro, che divori i suoi palazzi. Così ha detto ]ahvé: per i tre misfatti di Edom e per i quattro, non posso revocar/o: perché ha perseguitato con la spada il fratello e ha soffocato la propria compassione. 4 La sua ira ha sbranato senza sosta, la sua collera è stata sveglia senza interruzione. s Così manderò fuoco su Teman, che divori i palazzi di Bosra. Così ha detto Jahvé: per i tre misfatti degli ammoniti e per i quattro, non posso revocarlo: perché hanno sventrato le donne incinte di Galaad (solo) per allargare il proprio territorio. Così manderò fuoco sulle mura di Rabba, che divori i suoi palazzi, con il grido di guerra nel giorno della battaglia, con il fragore nel giorno della tempesta. Allora il loro re 6 se ne andrà in esilio, lui con tutti i suoi funzionari ha detto J ahvé.

gnare una più profonda cesura, come in 7,6 (Gese, Komposition, 87 n. 4), e nel libro di Amos è stato anche altrove aggiunto spesso alla formula dell'oracolo divino. Cfr. n. 1 a Am. 7, 1 ss. e V. Maag, Text, 1 1 8 s. 4· G* legge: «E oltraggiò l'utero della propria madre (rapmo)». J· Molti propendono per una (minima) correzione del testo sulla base di Ier. 3,5: «Conservò di continuo la sua ira e tenne sempre sveglia la sua collera». Questo inter­ vento non è necessario, come hanno mostrato in particolare Wolff, 1 6 1 s. e Barthéle­ my, Critique, 642 s. Per la vocalizzazione del verbo dell'ultimo stico si tratta certa­ mente di una ntsiga (retrocessione dell'accento tonico): Wolff. 6. Testimoni testuali seriori (G partim; A, :E, V) hanno colto nel testo (cambiando la vocalizzazione delle consonanti) un'allusione al dio di Ammon, Milkom; cfr. il caso simile in Soph. 1 , 5 .

Am. I,J-2,J

]I

2, x Così ha detto J ahvé:

per i tre misfatti di Moab e per i quattro, non posso revocarlo: perché ha bruciato le ossa del re di Edom fino a calcinarle. 2 Così manderò fuoco su Moab, che divori i palazzi di Keriot; allora perirà Moab nel fragore della battaglia, tra gli urli di guerra e il suono del corno. 3 Spazzerò via il re dal suo 7 mezzo, e ucciderò con lui tutti i suoi 7 funzionari ha detto J ahvé.

P. Hoffken, Untersuchungen zu den Begrundungselementen der Volkerorakel im Alten Testament, diss., Bonn 1977, 46 ss . 102 ss.; J. Banon, Amos ' Oracles against the Nations (SOTS.MS 6), Cambridge 1 98o; J. Jeremias, Zur Entstehung der Volkerspru­ che im Amosbuch, in Hosea und Amos, 1 72- 1 82.

Nessun altro libro profetico della Bibbia inizia come il libro di Amos con oracoli di giudizio contro popoli stranie­ ri. Di solito - come nella forma finale dei libri di Isaia, Gere­ mia (qui solo nella versione greca), Ezechiele e Sofonia - si ha una raccolta di oracoli riguardanti le nazioni posta nel mezzo, tra gli oracoli di giudizio (all'inizio) e gli oracoli di salvezza (alla fine) rivolti a Israele. Questa posizione centrale degli ora­ coli alle nazioni ha un duplice significato: da un lato attesta che anche le nazioni sono colpevoli al cospetto di Dio e che devo­ no pertanto aspettarsi, come Israele, il castigo di Jahvé; dall'al­ tro che il giudizio delle nazioni prepara il futuro tempo della salvezza per il popolo di Dio. A quest'ultimo aspetto fa ri­ scontro il fatto che al tempo di Amos gli oracoli contro le na­ zioni fossero, implicitamente, oracoli di salvezza per Israele, an­ nunciando essi la punizione di Dio per i nemici d'Israele.8 Evi­ dentemente le parole di Amos dirette contro i popoli stranieri sono state raccolte e collocate nella posizione che occupano I ,J-2, 1 6 .

7. I suffissi femminili si riferiscono probabilmente a Keriot, giacché Moab viene usa­ to al maschile (Amsler, Wolff, Rudolph). 8. Cfr. J. Jeremias, Kultprophetie, 149. 1 78 e per lo sfondo concettuale J.H. Hayes, The Oracles against the Nations in the Old Testament, diss., Princeton 1 964; D.L.

Christensen, Transformations of the War Oracle in Old Testament Prophecy. Study in The Oracles against the Nations (HDR 3), Missoula 1 97 5 ; spec. P. Hoffken, op. cit.

J2

Am.

I,J-2,J

nel libro con un altro intento. In Am. 1 -2 l'accento è posto tut­ to sull 'aspetto comparativo: tra le nazioni confinanti con Israe­ le sono avvenuti misfatti terribili, soprattutto anche ai danni di Israele stesso - ma il popolo di Dio è incomparabilmente più colpevole di tutti i popoli vicini; perciò si deve anche parlare in maniera molto più ampia e particolareggiata del suo peccato e della relativa punizione (2,6- 1 6). Certamente da questi oraco­ li contro le nazioni non consegue alcuna salvezza per Israele. Ci si è domandati se gli oracoli contro le nazioni del libro di Amos non abbiano avuto fin dall'origine la funzione di servire da sfondo per la maggiore colpa d'Israele. Dalle differenze di forma tra gli oracoli contro le nazioni veri e propri e la strofe conclusiva relativa a Israele K. Koch ha dedotto che all'inizio le due unità fossero indipendenti tra di loro.9 Un quarto di se­ colo prima, E. Wiirthwein aveva anticipato tale ipotesi con mo­ tivazioni basate sul contenuto. Separando gli oracoli contro le ·nazioni ( I ,J -2,J ) dalla strofe dedicata a Israele e interpretando­ Ji nel loro nesso con le due prime visioni (7, 1 -6), isolate a loro volta dalle visioni seguenti, egli ricostruì una fase iniziale della proclamazione di Amos caratterizzata dall'annuncio profetico della salvezza e risalente a un periodo precedente a quello nel quale il profeta stigmatizzava duramente i peccati d'Israele. Ma le differenze tra gli oracoli contro le nazioni e la strofe conclusiva riguardante Israele - senza dimenticare i chiari ele­ menti iniziali comuni - vanno piuttosto spiegate in un altro mo­ do: la strofe dedicata a Israele con le sue variazioni formali de­ ve essere letta, sotto ogni riguardo, come gradazione delle stro­ fe precedenti. C'è tutta una serie di indizi che fanno apparire verosimile l'ipotesi che non ci sia stato in 2,6 alcun adattamen­ to a posteriori agli oracoli contro le nazioni di una strofe con­ tro Israele in origine indipendente (Koch), ma che le cose sia­ no andate proprio viceversa e che la forma letteraria degli ora­ coli contro le nazioni sia stata ricalcata sulla strofe contro Israe10



K. Koch, Amos n, 68 e passim; così anche G. Fleischer, Menschenverkaufer, 1 8 ss. E. Wiirthwein, Studien, 93 ss.

10.

Am. I,J-2,)

33

le a motivo della maggiore intensità e rilevanza di questa. Due elementi formali dello schema stereotipato degli oracoli con­ tro le nazioni (v. sotto) sono infatti sviluppati partendo pro­ prio dalla strofe contro Israele: la formula numerica («per i tre misfatti di ... e per i quattro») e la formula della irrevocabilità ( « . . . non posso revocarlo» ). La formula numerica trova soltan­ to nella strofe contro Israele la sua verifica giacché qui - come ci si aspettava in base alla formula - vengono elencati quattro misfatti, mentre gli oracoli contro le nazioni si limitano a no­ minarne uno solo, cioè il peggiore tra tanti. La formula dell'ir­ revocabilità esclude, con la sua negazione, la possibilità di un modo d'influenzare la volo�tà divina, una possibilità che nel­ l' Antico Testamento è attestata, prima dell'esilio, soltanto per Israele e precisamente quale effetto dell'intercessione profeti­ ca. Infine una terza osservazione: il tipo di colpa chiamato pe­ sa '' «reato, misfatto», è spesso classificato tra i reati politici e denota la rivolta contro un signore o la defezione da lui. 11 In senso traslato il termine è stato usato in primo luogo per Israe­ le (cfr. Am. 4,4; 5 , r 2) e soltanto in un secondo tempo è stato applicato alle nazioni. Anzi si dovrà andare ancora oltre con le conclusioni. La for­ mula dell'irrevocabilità costituisce oggettivamente, per qualsia­ si attento lettore del libro di Amos, un collegamento con i rac­ conti finali delle visioni che non sono certamente articolati per puro caso in cinque strofe come gli oracoli delle nazioni (nel­ la loro, va subito detto, forma originaria); in entrambi i casi le _prime quattro strofe costituiscono due paia di strofe, mentre n

1 1 . Così già Hoffken, op. cit. , s6. 6s e più recentemente H.M. Niemann, Theologie in geographischem Gewand, in H.M. Niemann et al . (edd .), Nachdenken uber lsrael, Fs. K.-D. Schunck (BEAT 37), Frankfurt 1 994, 1 77- 1 96. Niemann ipotizza che il ci­ clo degli oracoli contro le nazioni sia nato (e sia cresciuto in più fasi) non prima della caduta di Samaria, riprendendo e sviluppando così una tesi di V. Fritz, Die Fremd­ volkerspruche des Amos: VT 37 ( 1 987) 26-3 8 che vede negli oracoli contro le nazioni un'interpretazione della storia a posteriori. 1 2. Cfr. R. Knierim, Die Hauptbegriffefur Sunde im Alten Testament, 1 1 967, I I 3- 1 84; Idem, THAT n , 488 -495(= DTAT II, 440-445); H. Seebass, ThWAT VI, 793 -8 1 o; e in particolare Beaucamp, Le pesha' d'Israel et celui des nations: ScEs 2 1 ( 1 969) 43 5-441 .

34

Am.

r,J -2,J

la quinta sta a sé, in evidenza e con una più intensa accentua­ zione. Ma nei racconti delle visioni, passando dalla prima alla seconda coppia di visioni, si segue un cammino sul quale il profeta Amos è stato avviato da Dio: esso porta dalla disponi­ bilità di Dio a rimandare o, addirittura, a sospendere il castigo d'Israele, in virtù dell'intercessione del profeta, alla dichiara­ zione della fine della pazienza divina: «Non posso più passar­ gli (= a Israele) sopra (risparmiandolo)» (7,8; 8,2). Questo trat­ to di strada evidentemente è già sbarrato quando si arriva agli oracoli contro le nazioni. La formulazione «non posso revocar­ lo» negli oracoli contro le nazioni non solo presuppone ogget­ tiva�ente, in base a quanto si è detto, la strofe contro Israele perché (almeno per quanto riguarda tutte le testimonianze pre­ esiliche veterotestamentarie) una «revoca» del castigo divino o della decisione di punire una grave colpa commessa è pensabi­ le per Israele soltanto in seguito all'intercessione profetica, ben­ sì, a sua volta, la strofe contro Israele presuppone oggettiva­ mente i racconti delle visioni nei quali si descrive la fine di una siffatta possibilità di opposizione da parte del profeta Amos. 13 Gli oracoli di Amos contro le nazioni non possono pertan­ to venire interpretati prescindendo dalla strofe contro Israele che li supera in severità, perché già le formule stereotipate de­ gli oracoli hanno di mira questa strofe che qui (con la strofe so­ stanzialmente affine contro Giuda) sta a sé soltanto per pratici motivi esteriori di più facile lettura. Quale sia la funzione de­ gli oracoli contro le nazioni nella fase orale della proclamazio­ ne di Amos è un argomento sul quale si ritornerà più avanti. I ,J-.1, 5· Se si prescinde un attimo dalle particolarità della stro­ fe contro Israele quale acme della composizione maggiore, al­ lora risulta evidente lo scheletro di formule sterotipate che reg­ ge la costruzione letteraria delle altre sette strofe mediante cin­ que frasi ricorrenti. 13.

Per una più esatta dimostrazione cfr. J. Jeremias, Vo/kersprnche und Visionsberich­

te im Amosbuch, in Hosea und Amos,

1 5 7- 1 7 1 .

Am. r,J-2,J 1.

35

In apertura si ha la formula del «messaggio dell'inviato»

(Botenformel) che deriva dal linguaggio diplomatico: come nel­

l'Oriente antico gli ambasciatori erano usi presentarsi con que­ sta formula (« così ha detto il re tal dei tali»), così essa serve ai profeti quale legittimazione del loro mandato divino nei con­ fronti degli ascoltatori. 2. Segue poi, a mo' d'introduzione del destinatario di turno e della sua colpa, una cosiddetta «formula numerica progres­ siva» (gestaffelter Zahlenspruch) sempre identica, nella quale compare, nel parallelismo degli stichi, prima una certa cifra (qui il tre) e poi la stessa + 1 (qui il quattro). In questa formula l'accento principale cade sullo stico col numero più alto della sequenza numerica. Questa formula deriva probabilmente dal sistema pedagogico d'Israele dove serviva da aiuto mnemoni­ co in quasi tutte le materie d'insegnamento: non è certo un ca­ so che la s'incontri con la massima frequenza nel libro dei Pro­ verbi e, più tardi, nel libro del Siracide. 1 4 3· Subito dopo segue, formulata sempre nei medesimi ter­ mini, la già summenzionata «formula dell'irrevocabilità» (Por­ mel der Unwiderrufbarkeit), cioè la solenne dichiarazione di J ahvé che gli è impossibile, a causa dell'enormità della colpa, sospendere la pena. Non fa alcuna differenza pratica se il so­ stituente indefinito (che si dovrebbe riferire a un nome se­ guente) della formula « ... non posso revocar/o» sottintenda l'an­ nuncio del castigo (così, ad es., Wolff) o il castigo stesso (così, ad es., Rudolph e la maggior parte degli interpreti); è invece de­ cisivo che per questa ultima lettura ci sia la già ricordata ana­ logia nei racconti delle visioni. 1 s 14. Cfr., ad es., Prov. 6, 16- 1 9; JO,I S s. 1 8 s.2 1 ss.29 s� .; Ecclus 2 5 ,7- 1 1 ; 26, 5 s.28. Al ri­ guardo cfr., tra gli altri, W.M.W. Roth, The Numerica/ Sequence x / x + r in the 0/d Testament: VT n (1 962) JOO-J I I ; H.W. Wolff, Heimat, 1964, 24- 30; M. Weiss, The Pattern of Numerica/ Sequence in Amos r-2 : JBL 86 ( 1967) 4 1 6-423 {con ]'improbabi­ le tesi che in Amos la formula significhi 3 + 4 = 7. misfatti); M. Haran, The Graded Numerica/ Sequence : vr 22 (1 972) 2)8-267. 1 5 . Altre, più astruse interpretazioni della formula sono elencate da Wolff, 1 60 e da M.L. Barré, The Meaning of l' 'Iybnw in Amos I:J-2:6: JBL 105 ( 1 ,986) 61 1 -63 1 . La ...

Am. I,J-2,J 4· Segue immediatamente, con un costrutto costantemente analogo (in ebraico: 'al con l'infinito), la menzione del reato specifico del popolo in questione, più esattamente: la menzio­ ne del reato peggiore indicato dalla cifra più alta della sequen­ za numerica della formula (Wolff, Haran) o - per dirla con i grandi esegeti giudaici medievali - quella colpa che fa traboc­ care il vaso della pazienza divina. Fino alla strofe contro Giu­ da (2,4 s.) si tratta sempre di crimini di guerra le cui circostan­ ze storiche vengono taciute (fatta eccezione per la strofe ini­ ziale contro gli aramei). 5 . La successiva comunicazione della pena dice, al primo po­ sto in tutti i casi, che Jahvé «manda fuoco» (solo in 1 , 1 4 «ap­ picca fuoco») 16 che, si precisa, «divorerà i palazzi di ... » . Come il reato è di natura politica, così anche il castigo colpisce anzi­ tutto i principali responsabili, i governanti. Con questa struttura articolata su formule fisse il testo co­ stringe i lettori a mettere in strettissimo rapporto tra di loro le singole strofe e a considerarle - insieme alla strofe contro Israe­ le, articolata anch'essa sugli elementi 1-4 esaminati sopra - una unica unità letteraria. Allo stesso tempo si notano visibili tracce di accrescimento. Mentre le quattro strofe più antiche fanno seguire all'annun­ cio del fuoco una descrizione (che varia molto nei singoli par­ ticolari) della presa della capitale, della cattura o dell'uccisione del re, dell'esilio della popolazione, ecc., nelle tre strofe più re­ centi manca qualsiasi accenno agli effetti concreti del «fuoco » . Presa d a sola, quest' osservaziqne non dovrebbe significare an­ cora molto; ma essa va ad aggiungersi ad altri aspetti singolari analoghi. Le quattro strofe più antiche rifiniscono la propria forma con un ha detto Jahvé» che fa riscontro all'iniziale «•••

proposta di quest'ultimo (61 I s.: «non lo [= il popolo in questione] faccio ritornare»), secondo la quale Jahvé impedirebbe al popolo colpevole di ritornare a sé quale som­ mo sovrano, mi sembra in realtà fuori strada nel caso delle nazioni. 1 6. La singolare variante presuppone forse un'influenza di ler. 17,27; 49,27 (Wolff, 1 62. 1 96; Gese, Komposition, 87 n. 40).

Am. I,J-2,]

37

«così ha detto Jahvé»; nelle tre strofe più recenti tale riscontro manca. Invece nelle strofe più recenti è interessante come al re­ lativo disinteresse per la forma assunta dal castigo divino fac­ cia riscontro un aumentato interesse per il misfatto del paese in questione. Non soltanto la colpa contestata viene descritta più minutamente che nelle strofe più antiche le quali, nono­ stante la formula numerica, nominano ciascuna un solo misfat­ to, ma vengono formulate anche altre frasi descrittive autono­ me (al perfetto o all'imperfetto consecutivo) che costituisco­ no, quanto alla forma, un'aggiunta ai summenzionati infiniti e usano, quanto al contenuto, categorie di reati diverse. A fian­ co di frasi delle strofe più antiche, che registrano sobriamente la crudeltà brutale, compare una terminologia di natura emoti­ va («fratello», «compassione», «ira», ecc.) che ricorre a propo­ sito di particolari legami storici o politici e per mezzo della quale vengono descritti «motivazioni e atteggiamenti interio­ ri» (Wolff). Nella strofe contro Giuda (2,4 s.) questa termino­ logia emotiva trapassa, senza soluzio�e di continuità, nella ter­ minologia specificamente teologica. In quest'ultimo e, senza dubbio, più evidente caso non riesce difficile classificare le ca­ tegorie secondo la storia della teologia: qui vengono riprese quasi continuamente espressioni linguistiche della cosiddetta storiografia deuteronomistica, la quale nel periodo dell'esilio descrisse la storia d'Israele da Mosè fino alla caduta del regno del Nord come storia di una colpa in crescendo, per mostrare quanto poco Giuda sia stato migliore d'Israele (2,6- 16). Con la strofe contro Giuda sono associate strettamente e indissolu­ bilmente le strofe contro Tiro ed Edom ( 1 ,9- 1 2) in quanto an­ che esse presentano - oltre i suddetti aspetti formali in comu­ ne con la strofe di Giuda - categorie di reati che indicano l'e­ poca dell'esilio. Così non è un caso che da lungo tempo se ne sia scoperta la più giovane età in base a considerazioni conte­ nutistiche, prima che la ricerca si accorgesse delle suesposte par­ ticolarità formali. 1 7 17. Per la ricerca più antica cfr., ad es., B.K. Marti, Zur Komposition von Amos

I,J-

Am.

I,J -2,J

Soltanto quando si sono individuate le trac­ ce di accrescimento delle strofe è possibile riconoscere la strut­ tura dell'unità maggiore. Cercando un principio di articola­ zione gli esegeti sono partiti spesso dal presupposto che la se­ quenza dei popoli seguisse un ordine geografico. Tuttavia i mol­ teplici tentativi di scoprire tale ordine devono essere conside­ rati - almeno per quanto riguarda i tempi di Amos - tutti falli­ ti senza eccezione. 1 8 Questo vale anche per il più influente e se­ guito tentativo, quello di A. Bentzen, il quale cercò di spiegare A m. I - 2 alla luce di un rituale egiziano nel corso del quale ve­ nivano frantumati vasi di argilla recanti i nomi di paesi e città con l'intento di far toccare, per via di magia mimetica, la me­ desima sorte alle nazioni e alle città nemiche. 19 Piuttosto la se­ quenza dei popoli è ordinata secondo uno schema a coppie /0 che in I ,9- I 2 (Tiro ed Ed o m) è stato anche ampliato con una coppia di nazioni o, nel caso di Giuda ( 2 ,4 s.) lo è stato in mo­ do tale da costituire, insieme alla strofe d'Israele ( 2,6- I 6), una nuova, quarta coppia. Lo schema a coppie è determinato so­ prattutto da ragioni di contenuto e storico-tradizionali, come 1,3- 8 . I 3-1 s; 2, 1 -3·

.z,J , in Fs. W.W. Graf Baudissin (BZAW 3 3 ), I 9 I 8, 323-330 (ma con esclusione della strofe contro i filistei) e per la discussione presente la minuziosa argomentazione di W.H. Schmidt, Dtr Redaktion, I 74- I 78 e, in particolare, Hoffken, op. cit. , 46 ss. I 1 2 ss. La ricerca più recente è presentata quasi al completo i n Gese, Komposition, 8 6 e in Fleischer, Menschenverkiiufer, I 9. Le poche voci contrarie vengono soprattutto dagli Stati Uniti e da Israele (con l'eccezione di W. Rudolph). I 8. Le cose stanno diversamente con la forma finale del ciclo degli oracoli contro le na­ zioni, la quale risale (al più presto) al periodo dell'esilio. Qui punti di vista geografici possono certamente aver avuto un ruolo; cfr. A.S. Steinmann, The Order of Amos ' Oracles against the Nations r:J-2:r6: JBL 1 I I ( 1992) 683 ss. 687; e, più recentemente, Niemann, op. cit. (sopra, n. I I). 1 9. A. Bentzen, The Ritual Background of Amos l 2 - Il r6: OTS 8 ( I 950) 8 5 -99. Bentzen e molti dei suoi seguaci ipotizzano non solo che la sequenza dei popoli in Am. I -2 sia dovuta al modello (pattern) dei testi egiziani di esecrazione, bensì anche che Amos abbia pronunciato questi oracoli in una situazione analoga (in senso molto lato). Per la confutazione di questa tesi cfr., ad es., Wolff, 1 75 ss. e anche M. Weiss, The Pattern ofthe «Execration Texts»: IEJ 19 (1 969) I 50- 1 5 7. 20. Sulla questione cfr. Wolff, 1 80. 1 84 e passim, seguito da Gese, il cui esame è mol­ to minuzioso (Komposition, 88 s.); Jeremias, Vo/kerspruche und Visionsberichte im Amosbuch, in Hosea und Amos, 1 5 7- 1 7 1 .

Am. I,J-2,)

39

si mostrerà tra poco, ma trova espressione anche sul piano este­ riore e formale in una duplice maniera, stilisticamente molto elaborata. Da un lato due strofe immediatamente successive si trovano strettamente connesse mediante particolari stilistici e terminologici loro peculiari. Le strofe contro Damasco e Gaza sono correlate in particolare dall'annuncio formulato delibera­ tamente in maniera identica «spazzerò via il re da ... e chi regge lo scettro da ... » ( 1 , 5 . 8), formula che non ricorre più in alcun altro oracolo. Le strofe contro Ammon e Moab hanno tutta una serie di caratteristiche formali comuni (v. sotto). Dall'al­ tro, le coppie di strofe così costituite vengono a loro volta messe in rapporto tra di loro. Esse mostrano un parallelismo nell'indicazione della colpa in quanto ogni prima strofe di cia­ scuna doppia coppia {la strofe contro Damasco e quella con­ tro Ammon) contiene l'accusa di grandi atrocità perpetrate a «Galaad», mentre la seconda strofe guarda a eventi accaduti al sud, riguardanti Ed o m. Anche l'annuncio del castigo segue un analogo parallelismo: ogni prima strofe di ciascun gruppo di quattro preannuncia l'esilio (della popolazione nel caso della prima coppia, dei funzionari reali nel caso della seconda), ogni seconda la morte. Esilio e morte denotano insieme una perdi­ zione disperata e non vogliono essere considerati due momen­ ti distinti e separati, quasi che l'esilio potesse significare in sé un destino un po' meno crudele. Quale può essere stata l'intenzione di questa abile struttura stilistica a coppie che costringe il lettore a mettere in stretto rapporto reciproco colpa e castigo di ciascuna coppia di popo­ li ? L'analogia (precedente) dei racconti delle visioni, la cui or­ ganizzazione a due a due è più che evidente, non offre una spie­ gazione sufficiente giacché essa persegue un fine ben diverso, cioè mostrare il cambiamento della funzione profeti ca di Amos. Il senso delle coppie di oracoli contro le nazioni sembra essere piuttosto un altro: ogni prima strofe di ciascun gruppo men­ ziona atrocità riguardanti direttamente il regno del Nord, men­ tre la seconda crimini o riguardanti direttamente Giuda (strofe

Am. I,J-.2,J

contro i filistei: 1 ,6) oppure, almeno principalmente, che scos­ sero i giudaiti in quanto vicini di Edom (strofe contro Moab : 2, 1 ) . Come ho tentato di dimostrare altrove/1 l a spiegazione migliore è che questa scelta stilistica vada fatta risalire al fatto che crimini degli aramei e degli ammoniti che Amos avrà pa­ ragonato, nella sua predicazione, con la colpa d'Israele, furono associati, per lettori giudaiti che ben li conoscevano, avendone provato orrore e sdegno, con misfatti compiuti dai vicini di Giuda all'unico fine di far risaltare la colpa di Giuda come an­ cor più grave di quella degli altri popoli confinanti. Presuppo­ sto di questa continua attualizzazione era il fatto che gli ora­ coli contro le nazioni (fatta eccezione per il primo, quello con­ tro gli aramei) non fanno riferimento a specifici eventi storici, ma menzionano crimini di guerra di natura generica, la cui ti­ picità consiste nella crudeltà contro gli inermi. Se questo tentativo di ricostruzione è esatto, si avrebbero due fasi di crescita: Amos stesso avrebbe paragonato con Israele, per la loro colpevolezza, due popoli; la forma più antica del li­ bro quattro; il libro di Amos nato nell'esilio, vale a dire il te­ sto attuale, sette. Comunque stiano le cose, un fatto è certo: let­ terariamente gli oracoli contro le nazioni sono concepiti a cop­ pie e pertanto devono venire interpretati a coppie. 22

Damasco e Gaza. Aramei e filistei introducono, for­ mando la prima coppia, la serie delle nazioni; questa loro po­ sizione è dovuta probabilmente al fatto di essere i nemici prin­ cipali d'Israele da quando questo era divenuto stato. Ci sono buone ragioni per le quali gli aramei stanno al primo posto: sono stati per decenni i nemici numero uno del regno del N ord e solo con Geroboamo 11, durante il cui regno Amos operò, si po­ se fine (probabilmente verso la metà del lungo regno di questo re: 787-747 a. C.) alle guerre con gli aramei durate quasi tutto un secolo e nelle quali Israele era stato più spesso la parte perI ,J - s. 6 - 8 .

21. 22.

Cfr. il saggio indicato nella bibliografia all'inizio del capitolo. Così Hoffken, op. cit. , 1 05 s. 109.

Am. r,J-2,)

dente che quella vincente; cfr. il sentimento di trionfo popola­ re che si sente dietro A m. 6, I 3 . Queste guerre avevano come obiettivo primario il possesso della Transgiordania centrale e settentrionale, soprattutto della zona intorno a « Galaad», cioè la zona boscosa a sud e, soprattutto, a nord dello Jabboq. I fi­ listei erano stati, invece, gli arcinemici d'Israele nel periodo precedente, più esattamente verso la fine dell'età dei giudici e nei primi tempi della costituzione dei due stati, giacché al tem­ po avevano occupato vaste parti d'Israele assoggettandole a tri­ buto, prima che Davide imparasse da loro l'arte militare per poi sconfiggerli con le loro stesse armi. I filistei rimasero co­ munque anche dopo i nemici naturali d'Israele, non tanto del regno del Nord, che ebbe con loro conflitti di frontiera solo all'inizio dello scisma dei due regni (1 Reg. 1 5 ,27; I 6, I 5 - I 7), bensì soprattutto del regno di Giuda al quale contesero all'ini­ zio il possesso della Sefela settentrionale, cioè del fertile terri­ torio collinare compreso tra la zona montuosa e la pianura co­ stiera. Quanto fossero accomunati - nonostante la distanza geo­ grafica - aramei e filistei nella coscienza di Amos (o dei lettori giudaiti del libro di Amos) per le esperienze vissute nella guer­ ra contro Aram (cfr. 2 Re g. I 2,28), lo mostra A m. 9,7. Per il di poco più giovane contemporaneo Isaia Israele venne a trovarsi nella situazione di maggior pericolo quando J ahvé gli incitò contro i due nemici storici, «gli aramei da davanti (est), i fili­ stei da dietro (ovest)» (/s. 9, I r ). 3-5. Il v.

3 accusa l'esercito arameo di terribili eccessi. L'imma­

gine della trebbiatura viene usata occasionalmente anche altro­ ve quale metafora dell'uccisione indiscriminata di una popola­ zione sconfitta/3 in 2 Reg. I 3,7 già una volta per una (prece­ dente) azione bellica degli aramei. L'atrocità viene accentuata mediante l'immagine di trebbie a strascico di ferro composte da spesse tavole di legno con lame di ferro fissate sulla parte 23.

Anche in orgogliosi resoconti bellici assiri; cfr. Hoffken, op. cit. , 449-4 5 1

n.

342.

Am.

r,J -2,J

. inferiore e sulle quali il contadino saliva durante la trebbiatu­ ra. 24 Il castigo di Jahvé colpisce - come in tutti i più antichi .o racoli di Amos contro i popoli - i sovrani, in quanto princi­ pali responsabili, e i loro palazzi (cfr. a 3 ,9). Già lo stato stesso viene contraddistinto quale territorio della dinastia regnante, che a sua volta prende il nome dal fondatore (così la «casa di Hazael» corrisponde alla denominazione «casa di Omri>> per indicare il regno del Nord in epigrafi assire). 2 5 Quale re del tempo viene indicato Ben Hadad; si tratta probabilmente di Ben Hadad I II, figlio di Hazael, salito al trono nell'8o2 a.C.26 Con grande arte ed efficacia si descrive nei versetti seguenti la fine del regno di Aram. Tra l'annuncio della caduta della capi­ tale Damasco e dell'esilio della popolazione - strumento del ca­ stigo divino sono probabilmente gli assiri - c'è la menzione di due piccoli stati vassalli o aggregati a Damasco in rappresen­ tanza di altri simili stati a sovranità limitata. La loro scelta non avviene per particolari ragioni storiche, bensì perché il loro no­ me aveva su ogni lettore un effetto in qualche modo evocati­ vo. Di certo il primo nome indica geograficamente quella che oggi si chiama el-Biqa', la fertile piana nella vallata tra i monti del Libano e dell' Antilibano; per quanto riguarda il secondo si è spesso pensato, a partire da E. Sellin, allo stato chiamato in assiro Bit A dini che si estendeva su entrambe le sponde del me­ dio Eufrate, ma che già nell'8 5 5 a.C. era diventato una provin­ cia assira. 17 Ma i nomi sono scelti in primo luogo come insulti, 24. H. Weippert: BRL\ 64. Dalman, Arbeit III, 88 -9 1 con tavv. 2 1 -23 (cfr. BRL 1 3 71 3 9) pensava invece (in considerazione di /s. 28,27 s.) a una trebbiatrice a ruote con dischi molto affilati. 25. Cfr. in merito Hoffken: ZAW 94 ( 1 982) 4 1 3 -4 1 5. 26. Forse ci fu tuttavia anche più tardi un altro sovrano col medesimo nome; cfr. S. Timm, Die Dynastie Omri (FRLANT 1 24), 1 98 1 , 242-24 5. Recentemente D. Viewe­ ger, Zur Herkunft der Volkerworte im Amosbuch. . , in Fs. H. Graf Reventlow, Frank­ furt 1 994, IOJ-I I 9, ha nuovamente reso probabile che durante il regno di Ben Hadad III si sia avuto un rafforzamento del regno di Aram. 27. La provincia assira Bit Adini fu amministrata subito dopo l'8oo a.C. per ben cin­ quant'anni da un governatore assiro molto convinto delle proprie capacità, Samsi-ilu, che era allo stesso tempo comandante in capo dell'esercito assiro (turtanu) e nel quale alcuni commentatori vogliono vedere, seguendo A. Malamat: BASOR 1 29 ( 1 9 5 3 ) 3 5 .

Am. I,J -2,)

43

un intento che trova espressione soprattutto nell'aggiunta di

'awen, «nullità, peccato», al primo nome. La punizione divina

finisce con l'esilio della popolazione. La destinazione dell'esi­ lio, Qir, luogo di origine e di partenza degli aramei (cfr. Am. 9 ,7), sta a significare che la storia degli aramei finirà definitiva­ mente (la minaccia analoga di Osea che Israele dovrà «ritorna­ re in Egitto» [Os. 8, I 3; 9,3] sarà servita da modello per questo versetto). 28 2 Reg. I 6,9 fissa il compimento di tale annuncio nell'anno 732 a.C. per mano degli assiri.

6-8. Risulta più difficile interpretare il rimprovero rivolto ai

filistei, rappresentati qui, come già gli aramei, dalla loro città più importante. Quando costoro - nel corso di scontri di fron­ tiera con Giuda; cfr. 2 Reg. I 2, I 8; 2 Chron. 26,6 - (letteralmen­ te} «esiliarono tutto quanto una popolazione di esuli», per «consegnare a Edom» i disgraziati, non si allude a una depor­ tazione nell'ambito di ampliamenti territoriali, bensì a razzie in località minori di frontiera per catturare schiavi. Il verbo sgr hifil viene solitamente usato per denotare la consegna, che po­ teva significare la morte, degli schiavi fuggiaschi (cfr. il divieto della riconsegna in Deut. 23, I 6); in Abd. I 4 il verbo indica la riconsegna ai nemici babilonesi di coloro che erano fuggiti da Gerusalemme e gli edomiti avevano catturati. In A m. I ,6 con il verbo si vuole indicare molto probabilmente l'avidità degli edomiti che avevano bisogno di schiavi per l'ampliamento del loro vasto sistema di miniere di rame. L'importanza della pista carovaniera da Gaza ed Askalon (passando per Kurnub) fin nel wadi Araba settentrionale e da lì avanti verso l'altopiano orientale è ampiamente attestata per il periodo di maggior pro­ sperità dei nabatei, ma risaliva certamente a molto tempo pri­ ma.19 - L'annuncio del castigo riguarda, oltre Gaza, altre tre s.,

il principe di Am. I ,5. Su questo personaggio cfr. in particolare E. Lipinski, ]ero­ boam II et la Syrie, in Fs. J.A. Soggin, Brescia I 99 I , I 7 1 - I76.

28. Cfr. Niemann, op. cit. (sopra, n. I I ), I Bo s. 29. La congettura «Aram» invece di «Edom» (P. Haupt: JBL 3 5 [ 1 9 1 6] 288; Haran: IEJ

44

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città della Pentapoli filistea; se la mancanza della quinta città, Gath, sia da attribuirsi a ragioni storiche {tornata nel frattem­ po sotto il dominio di Giuda ? già distrutta? In questo caso l'o­ racolo andrebbe datato non prima del 71 1 a.C.) o poetiche, ri­ mane incerto. Con formulazioni volutamente identiche a quel­ le di I, 5 sono i sovrani a essere il primo bersaglio del castigo; si preannuncia la fine del loro regno, mentre, alla fine, si an­ nuncia genericamente il triste destino della popolazione scam­ pata alla battaglia. Ammon e Moab. Anche la seconda coppia di nazio­ ·ni del testo più antico che vengono presentate col nome del po­ polo e non della capitale {cfr. tuttavia I , I 4: Rabba, «la Gran­ de», l'odierna Amman, e 2,2: Keriot, l'odierno qureyat 'aleyan) è tenuta insieme da nessi sia letterari sia oggettivi. Si tratta dei vicini transgiordanici nel sud d'Israele, confinanti tra loro e che secondo Gen. I 9,30 ss. erano considerati strettamente affi­ ni. Ancora una volta la colpa della seconda nazione, quella più meridionale (commessa contro un re di Edom), riguarda mol­ to meno il regno del Nord di quanto non riguardi il vicino di Edom, il regno di Giuda. Dal punto di vista letterario, in que­ sta coppia i vari elementi comuni ricorrono soltanto nell'an­ nuncio della punizione prevista per questi due popoli: I . l'in­ dicazione delle circostanze nelle quali viene appiccato il fuoco ai palazzi della capitale; il susseguirsi asindetico della medesi­ ma preposizione (quattro e tre volte h, «con, tra», in I , I 4b; 2, 2b) sta a segnalare la subitaneità degli eventi; 30 2. la voluta ri­ petizione delle parole in occasione di quel forte urlo, accom­ p agnato dallo squillo delle trombe, che segnala l'attacco e dà inizio alla battaglia ( I , I 4b; 2,2b); 3 · infine l'enfatica inclusione I , I J -2,J.

18 [ 1 968] 201 -2 1 2: 206 s.) non ha il supporto di nessun testimone testuale antico ed è superflua. 30. Come mostra 1 , 1 4 con i suoi elementi tipici della teofania («tra il brontolio del tuo­ no il giorno della tempesta»; cfr. !s. 29,6; Ezech. 1 ,4: Iob 3 8, 1 , ecc.), qui c'è qualcosa di più che un normale episodio bellico.

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dei funzionari governativi nella sorte riservata ai sovrani in quanto diretti responsabili, sia che tale sorte implichi la depor­ tazione (come nel caso degli aramei: I , I 5 ) sia che comporti la morte (come nel caso dei filistei: 2,3), mentre quello che sarà il destino delle popolazioni viene menzionato espressamente so­ lo per Moab. Si hanno connessioni con la prima coppia di nazioni non sol­ tanto nell'annuncio del castigo, bensì anche nella formulazio­ ne dell'accusa. Ancora una volta, come nella sequenza di I , J 8 , nella prima strofe (lì Damasco, qui Ammon) si denuncia un'atrocità spietata contro la popolazione di « Galaad» (in I, I 3 si pensa al territorio a sud dello J abboq) commessa, come ora si precisa esplicitamente, per annettersi una regione, senza che sia possibile sapere se le due azioni ostili siano collegate, cioè se gli ammoniti abbiano sfruttato a proprio vantaggio la vitto­ ria degli aramei. Come spesso avviene (cfr., ad es., 2 Reg. I 5, x 6; Os. 1 4 , I ), le atrocità toccano il culmine nel massacro della vita appena sbocciata. Di nuovo nella seconda strofe (lì Gaza, qui M o ab) si richiama l'attenzione su di un crimine riguardo al quale il luogo non ha alcuna parte essenziale, ma che ha sem­ pre a che fare con Ed o m. A dire il vero in 2, 1b Edom ha solo un ruolo passivo: i moabiti hanno commesso un sacrilegio inau­ dito contro il re di Ed o m. (Si pensa al cadavere oltraggiato ? o l'accento cade, come suggerisce il targum, sull'aspetto mate­ riale della «calce», così che il misfatto consisterebbe nell'uso della cenere ? lnvero sembra aver piuttosto ragione la Vulgata traducendo usque ad cinerem, così da suggerire la distruzione totale delle ossa e quindi dell' esistenza).3 1 Questa rampogna mostra, come si è spesso giustamente sottolineato, che il Dio di Amos non si preoccupa soltanto dei crimini di guerra com­ messi contro il suo popolo; ma essa mostra implicitamente an­ che il particolare legame che unisce (Israele e) Giuda a Edom, poiché in primo luogo si nominano quei delitti dei popoli vi3 1. Anche presso gli assiri sono attestate violazioni di tombe regali e macinazione del­ le ossa di un odiato nemico; cfr. Hoffken, op. cit. , 4 s 2 n. 3 5 1 .

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cini, commessi in giorni passati o presenti, che scuotevano for­ temente gli ascoltatori o lettori. La più recente strofe contro .Edom si riallaccia a questo particolare rapporto. 1,9- 11. Tiro ed Edom. I più recenti oracoli contro le nazioni, che spo­ stano l'interesse del lettore dall 'annuncio del castigo alla prova di colpe­ vol ezza e menzionano la sventura incombente servendosi soltanto della formula stereotipata del fuoco divoratore, probabilmente hanno l'espe­ rienza della distruzione di Gerusalemme gi à dietro le spalle. Ciò vale al­ meno per l'oracolo contro Edom, mentre l'oracolo contro Tiro è di più difficile interpretazione storica perché è una citazione continua.32 È scrit­ to imitando la strofe contro i filistei fin nei minimi particolari: ciò riguar­ da sia l'accusa, che viene ripresa col medesimo senso, anche se abbrevia­ ta, sia l'annuncio del castigo (il v. 10 corrisponde esattamente al v. 7), men­ tre l'idea del « patto fraterno» con Israele è formulata per creare un lega­ me con la strofe contro Edom. Una simile citazione non deve necessaria­ mente significare identità della colpa, bensì può riferirsi alla pari gravità del misfatto. 33 Poiché rapporti commerci ali tra Tiro ed Edom non sono provati storicamente e sono poco probabili,34 l'«Edom» di cui si parla e al quale Tiro consegna gli schiavi razzi ati potrebbe anche essere inteso in senso tipo logico, come lo è «Assur» in molti testi tardi dell'Antico Testamento. Nel linguaggio diplomatico dell 'Oriente antico si chiama­ no «fratelli» le parti contraenti di un patto o di un'alleanza; nel caso di Tiro il riferimento più naturale dovrebbe essere all'alleanza di (Davide e) Salomone con Hiram di Tiro (r Reg. 5 , 1 5 ss.; 9, 1 0 ss.; spec. 9, 1 3) che venne in seguito suggellata col matrimonio di Achab con la principessa lezabel di Tiro. Proprio questo richiamo alla storia antica d'Israele fa pensare che la scelta dell'immagine sia stata condizionata dalla strofe parallela contro Edom. Nel caso di Edom l'idea di «fratellanza» era scontata per qualsiasi let­ tore, date le comuni vicende storiche del passato attestate non soltanto

32. Wolff, 1 93 fa tuttavia notare, a ragione, che parole analoghe contro l'isola fortifi­ cata di Tiro sono attestate nell'Antico Testamento non prima del 6o4 a.C., mentre per la maggior parte sono notevolmente più recenti. Il tentativo più accurato di un'inter­ pretazione storica è quello di H.-P. Miiller, Phonizien und ]uda in exilisch-nachexili­ scher Zeit: WO 6 ( 1 970-71) 1 8 9-204. 3 3 · Probabilmente l'abbreviazione del rimprovero vuole significare che Tiro viene ac­ cusata per la mediazione nel commercio degli schiavi; così U. Kellermann, lsrael und Edom, diss . di abilitazione, Miinster 1975, 39 s. 34· Miiller, op. cit. (sopra, n. 32), 1 94 pensa, sulla base di loe/ 4,8 (un testo del IV seco­ lo a.C.), a un'intermediazione commerciale con Sheba come meta.

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dai racconti su Giacobbe ed Esaù, bensì anche da disposizioni come Deut. 23,8 s. o 2,4 s. (cfr. Num. 20, I 4). Con tanta maggiore rabbia fu quindi giu­ dicata l'attiva collaborazione di Edom alla conquista e distruzione di Ge­ rusalemme (partecipazione ai sacch eggi e consegna al nemico dei fuggia­ schi, ecc.), di cui si ha una descrizione in Abd. r O- I 4 (cfr. Ps. I 3 7,7; Lam. 4,2 I ), come anche l'occupazione della regione meridionale di Giuda su­ bito dopo questi eventi 35 e al1 a quale potrebbe a11udere la persecuzione con la spada. Queste due esperienze hanno portato a un profondo odio contro Edom nei testi seri ori dell'Antico Testamento (ad es. Ps. I 37; /s. 34; ler. 49,7 ss.; Ezech. 24, 1 2- 1 4; 3 5 ; Abd. ) e stanno a monte dei rimpro­ veri emotivi del v. I I che evidenziano la lunga durata dell 'inimicizi a (cfr. Ezech. 3 5 , 5 ) e la spietatezza del modo di agire che viene paragonato alla furia bestiale di un predatore. Nei più antichi oracoli contro le nazioni le colpe dei popoli sono collocate chiaramente nel passato, nella strofe contro Edom sono ancora un p enoso presente. Come appare diversa la presa di posizione profetica a favore di Edom in 2, I ! Quando quali de­ stinatari del castigo di J ahvé vengono indicate la regione di T eman con Bosra (oggi el-bu�era) per capoluogo, come avviene solitamente «soltanto a cominciare dalla letteratura esil ica e postesilica» (Wellhausen), invece della più antica Sel a (/ud. 1,36; 2 Reg. I 4,7), si rispecchia anche in questo particolare una datazione bassa. Così i due più recenti oracoli contro le nazioni che (con Israele) por­ tano a sette il numero (simbolo della completezza) dei popoli testimo­ niano che persone di un'epoca successiva hanno letto le parole di Amos non con un interesse storicistico, bensì attuale che nel periodo dell'esilio era dedicato soprattutto al tema della colpa.

Dalle due coppie di strofe iniziali il ragionamento più anti­ co scorreva in direzione costante verso l'acme della strofe di Israele. Eppure gli oracoli sulle nazioni sono qualcosa di più del semplice sfondo della strofe d'Israele. Certamente essi non mostrano ancora che J ahvé è un Dio universale - per la gene­ razione di Amos questo non era ancora un tema di attualità. Invece essi mostrano certamente che J ahvé è più e altro che una divinità nazionale, che anzi come punisce la colpa d'Israe­ le così punisce quella dei suoi vicini. Questo significa che vie­ ne riconosciuto loro - come ai gentili di Paolo in Rom. 1 - 3 3 5 · Cfr. le rassegne dei dati storici acquisiti in H. Wildberger, ]esaja (BK x!J), 1 982, 1 3 3 5- 1 3 39; M. Weippert, Edom und lsrael, TRE IX ( 1 982) 29 1 -299 (con bibl.); J.R. Bartlett, Edom and the Edomites: JSOT.S 77 ( 1 989).

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un senso della giustizia che viene attribuito loro indipendente­ mente da specifiche esperienze di Dio e che oggi si descrive­ rebbe con la frase «i diritti dell'uomo».36 Entro questi limiti le nazioni vengono messe fondamentalmente sullo stesso piano d'Israele, come mostra anche la comune forma degli oracoli. Anche i popoli commettono pesa ', «reati», nel senso di ribel­ lione al loro sovrano (v. sopra), e ciò non solo perché le vitti­ me dei loro crimini erano israeliti, come mostra il rimprovero di 2, 1 . D'altra parte si mostra di nuovo, in questa prospettiva, come il pensiero di Amos non muova dal generale, dall'idea di una conoscenza di Dio universale, al particolare, all'esperienza di Dio vissuta da Israele, bensì dalla particolare esperienza di .D io d'Israele traendone le conseguenze universali. 2.,4 s .6-16. 4

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(Giuda e) Israele: peggio delle nazioni

Così ha detto ]ahvé: per i tre misfatti di Giuda e per i quattro, non posso revocar/o: perché hanno respinto l'istruzione di Jahvé e non hanno osservato i suoi comandamenti. Le loro menzogne (= i loro dei bugiardi) li hanno sviati, quelle che (già) i loro padri avevano seguito. Così manderò fuoco su Giuda, che divori i palazzi di Gerusalemme. Così ha detto Jahvé: per i tre misfatti d'Israele e per i quattro, non posso revocarlo: perché vendono il giusto per denaro e il povero per una paio di sandali; perché calpestano 1 la testa degli umili pur nella polvere della terra 2

36. Cfr. S. Amsler, Amos et /es droits de l'homme, in De la Torah au Messie, Fs. H. Ca­ zelles, Paris 1 9 8 1 , I 8 I - 1 87; J. Barton, op. cit. , 39 ss. 1. Come mostrano G e il parallelo di 8,4 il verbo non va derivato da I'f («cercare di prendere», come legge il T.M.), che non è mai costruito con la preposizione 'al, bensì dalla radice più raramente attestata suf I , «calpestare» (hassa'fim). Cfr. il gioco di pa­ role con entrambe le radici in Gen. ) , 1 5 . · z . La glossa che supera d i molte misure i l metro vuole accentuare la più antica accusa.

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e piegano la via dei bisognosi; 3 un uomo e suo padre vanno dalla stessa ragazza, per profanare il mio santo nome; 8 e si piegano ( = si stendono) 4 su vesti prese in pegno, a fianco di ogni altare, e bevono il vino comprato coi soldi delle penali nel loro tempio. 9

Eppure sono stato io ad abbattere l'amorreo davanti a loro, lui, grande come un cedro, forte come una quercia: io ho strappato i suoi frutti in alto, ho cavato le sue radici in basso. Io Sono stato ancora io a farvi salire dalla terra d'Egitto e a guidarvi nel deserto, per quarant'anni, per farvi prendere possesso del paese degli amorrei. 1 I Io ho fatto sorgere profeti dai vostri figli e nazirei dai vostri giovani: non è stato veramente così, o israeliti? Oracolo di Jahvé. u. Ma voi avete dato vino da bere ai nazirei e ai profeti avete ordinato: Non potete profetare! 5 13

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Attenti, adesso sono io colui che spacca (il suolo) sotto di voi,6 come (lo) spacca il carro della mietitura quando è sovraccarico 7 di covoni. Allora anche per chi è veloce non ci sarà scampo, la forza non sosterrà l'uomo forte,

3 · Un uso linguistico probabilmente ellittico per significare «piegano la via del dirit­ to»; cfr. Prov. I 7,23 e le numerose testimonianze per n�h hifil con mispat come com­ plemento oggetto o di luogo {G. Liedke, Gestaltung und Bezeichnung alttestamentli­ cher Rechtssatze [WMANT 39], I 97 1 , 93 }; cfr. Wolff, I 63 . 20 I s. e per la «via» del dirit­ to I.L. Seeligmann, in Fs. W. Baumgartner (Vf Suppl. I 6}, 1 967, 268 s.; M. Schwan­ tes, Das Recht der Armen, 1 977, 90 s. 4· Probabilmente un uso linguistico ellittico per nth hifil + m #ta , «accamparsi»; cfr. HAL, 65 5 . L'ebraico usa il medesimo verbo del v. 7 («piegare la via»). 5. Imperativo negativo rafforzato (cosiddetto proibitivo = «vi è vietato profetare»} co­ m'è normale nei comandamenti, certamente riprendendo Am. 7, 1 6; cfr. G-K18 §§ 1070; I09c; I 5 2b. 6. Cfr. il commento. Il pronome di 2a pers . pl. «voi» probabilmente è un adattamento del più antico v. I J ai più recenti vv. I 0- 1 2. 7. /ab è un cosiddetto dativus commodi che in base al senso si trasforma nel suo oppo­ sto, il dativus incommodi (Rudolph e altri).

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il prode non salverà la propria vita; l'arciere non manterrà la posizione, il fante veloce non si salverà 8 grazie ai suoi piedi, il guerriero sul carro di guerra non salverà la propria vita; 16 anche il più coraggioso dei valorosi nudo fuggirà via in quel giorno. Oracolo di J ahvé. 15

G. Fleischer, Menschenverkaufer, 1 989, 1 8 -79 (spec. per i vv. 6- 8); M. Kockert, Das Gesetz und die Propheten in Amos r-2, in J. Hausmann - H.-J. Zobel (edd.), Alttesta­ mentlicher Glaube und Biblische Theologie, Fs. H.D. Preuss, Stuttgart 1 992, 1 4 5 - 1 54 (ai vv. 9-12).

6-16. La strofe contro Israele (come anche la strofe riguardan­

te Giuda che le è stata premessa e che qui si commenterà inve­ ce alla fine) si differenzia in maniera rilevante e molteplice da­ gli oracoli precedenti contro le nazioni, dai quali il presente commento la separa unicamente per ragioni pratiche di chia­ rezza espositiva. Sotto ogni riguardo questa strofe rappresenta il culmine della composizione, ma supera, sia per la forma sia per il contenuto, tutto quanto è stato detto in precedenza. Tan­ to per cominciare, basta nominare le quattro differenze più importanti. 1 . Salta subito all'occhio, per prima cosa, che i «tre, anzi i quattro misfatti» che nella formula introduttiva del di­ scorso divino vengono rimproverati a tutti i popoli elencati, soltanto in questa strofe vengono anche indicati tutti minuzio­ samente (vv . 6-8), pur lasciando tempo e spazio per la disputa se i reati vengano elencati in ordine crescente o decrescente di gravità.' 2. In ogni caso è palese che i reati d'Israele sono com­ messi in seno al popolo stesso, colpiscono i connazionali e non altre popolazioni; allo stesso tempo la cerchia dei colpe­ voli si allarga passando dai diretti responsabili politici degli oracoli contro le nazioni a quanti siano in una posizione di grande influenza. 3 · Il giudizio punitivo di Dio è descritto, per 8. Con la maggior parte delle versioni si deve vocalizzare il nifal. 9· La decisione davanti a tale dilemma dipende essenzialmente da come si giudichi la terminologia cultuale dei vv . 7-8: se un ampliamento (così soprattutto Wolff) oppure un ricercato punto culminante (così specialmente H. Gese, Komposition, 90 ss.). Pen­ so che abbia ragione Gese per quanto riguarda il testo così com'è oggi (v. al v. 8), e Wolff per il discorso di Amos che soggiace al testo stesso (v. sotto).

Am. 2,4 s. 6-r6 analogia, in maniera molto più ampia e comprensiva. Si tratta di un intervento diretto di Dio (v. 1 3), non più di un atto me­ diato dal fuoco, come nel caso degli oracoli contro le nazioni, e le conseguenze non ricadono, in gran parte, soltanto sulle capitali e su «chi detiene lo scettro», bensì costantemente su tutta quanta la popolazione {vv. 1 4 - r 6). 4 · L'aspetto più signi­ ficativo è tuttavia che tra l'accusa e l'annuncio del giudizio si inserisce un pensiero intermedio (v. 9} che richiama alla me­ moria le opere salvifiche di Dio ·a favore d'Israele, aggravando in pari misura e le colpe contestate e il castigo annunciato. Non è certo un caso che proprio questo inciso venga ampliato e ap­ profondito in epoca successiva (vv ro- 1 2): a motivo della sua esperienza con Dio Israele ha criteri di giustizia diversi da quelli delle nazioni; pertanto esso è anche diversamente colpe­ vole e diversamente punito. - Per la formazione di questa ben congegnata composizione cfr. introduzione . .

.2.,6-8. La colpa d'Israele. I «crimini d'Israele» (per il termine v. sopra, p. 3 3) elencati ai vv 6-8 rappresentano, pars pro to­ to, una società affatto egoistica. Per ragioni imprescindibili di forma, predeterminata dagli oracoli contro le nazioni, questi reati sono stati compressi stilisticamente al massimo; nella fase orale Amos sarà stato certamente meno evasivo e conciso. Nel ­ la sintetica formulazione scritta i versetti presentano notevoli difficoltà per il commentatore non coevo, proprio perché que­ sto passo si riferisce chiaramente a precise situazioni concrete come pochi altri versetti in tutto il libro di Amos. Comunque sia, i crimini vengono commessi da diverse categorie di perso­ ne, come mostrano già il passaggio dal complemento oggetto al singolare («il giusto» o « l'innocente», «il povero»: v. 6b) a quello al plurale («gli umili», «i bisognosi»: v. 7) e la mutevole sintassi nella descrizione della colpevolezza: all'inizio (v. 6b) si ha, come negli oracoli contro le nazioni, un infinito; il v. 7a usa (come non ha fatto nessun versetto prima di questo) il par­ ticipio; infine i vv. 7a�- 8 passano all'imperfetto, che in ebraico .

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vale a indicare la ripetizione e la durata di un'azione. Il tempo del participio e dell'infinito è indeterminato; invece gli imper­ fetti mostrano che - a differenza di quanto avviene negli ora­ coli contro le nazioni (dove le strofe più tarde giustamente pro­ lungano gli infiniti con i perfetti) - non si intende descrivere singoli atti di particolare rilievo, ma, al contrario, un tipico e costante comportamento della popolazione. Come fa apparire probabile la complessità della costruzione sintattica, i tradenti hanno raggruppato insieme diversi discorsi di Amos.

6. Probabilmente anche per lo stesso Amos il rimprovero più severo sta proprio all'inizio, in analogia con gli oracoli contro le nazioni, che menzionano, di volta in volta, soltanto il cri­ mine più grave. Nel v. 6 si tratta della vendita di uomini, cioè della fine dell'esistenza autonoma di contadini. Si allude alla istituzione di una (limitata nel tempo; cfr. Ex. 2 I ,2 ss.; Lev. 2 5 , 3 9 ss.; Deut. 1 5, 1 2 ss.) servitù per debiti; un contadino impo­ verito doveva vendere se stesso o un familiare come schiavo quando non era più in grado di pagare un debito consistente, neanche vendendo i suoi beni. Questa istituzione - di provata efficacia - era stata in origine concepita per mantenere in vita in stato di dipendenza una persona che fosse diventata irri­ mediabilmente povera, rendendogli possibile di ricostruirsi una esistenza autonoma {cfr. in particolare Deut. I 5, I 2 ss.). Ciò che Amos attacca è l'abuso grottesco di tale istituzione. A dire il vero non è chiaro se «vendono» sia usato in senso tecnico o generico. Chi effettua la vendita è solitamente il pater familias che nel bisogno vende membri della famiglia (Nehem. 5 ,2) o an­ che se stesso (Lev. 2 5 ,39.47 s.; Deut. I 5, 1 2; ler. 34, 1 4). Se l'uso linguistico non è preciso «vendono» dovrebbe allora significa­ re che i creditori costringono i debitori a vendersi. Nell'uso lin­ guistico tecnico l'espressione dovrebbe invece significare: i cre­ ditori alienano a terzi i servi per debiti, come Giuseppe viene venduto dai fratelli ai madianiti (Gen. 3 7,28), venendosi così a configurare una vera e propria vendita di schiavi {cfr. la diffe-

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renziazione tra servitù per debiti e schiavitù in Lev. 2 5 ,3 9 ss.)}0 Entrando nei particolari, si distinguono due differenti tipi di abuso. N el primo caso sta in primo piano il fine dell'azione: la vendita di debitori avviene soltanto a scopo di lucro e indi­ pendentemente da tutte le situazioni della storia individuale, dunque senza tener conto di fino a che punto il debitore sia o meno responsabile diretto della situazione di bisogno. Nel se­ condo caso si tratta invece dell'occasione che ha creato la si­ tuazione debitoria: già per un debito minimo (cfr. 1 Sam. I 2,3 G; Ecclus 46, I 9) i creditori procedono senza ritegno alla vendi­ ta del debitore. In entrambi i casi esseri umani diventano mer­ ce quantificabile e tutto ciò sotto jl manto della legalità. Le na­ zioni trattano come oggetti gli stranieri (A m. I ,6.9 ) , gli israeliti considerano i propri connazionali e i popoli vicini una merce! 11

La seconda accusa del v. 7a descrive, dapprima in termini ge­ nerali, la brutalità con cui si trattano esseri umani, per passare poi alla concreta specificazione dello stico parallelo. Chi si tro­ va in uno stato di subordinazione viene umiliato in maniera indegna di esseri umani; il proverbiale mettere la testa di qual­ cuno sotto i propri piedi era da tempi immemorabili un sim7·

Io. Probabilmente la differenza tra i due tipi di servitù consisteva nel fatto che la schia­ vitù fosse a tempo indeterminato, il che spiegherebbe il maggior guadagno; cfr. G. Flei­ scher, Menschenverki:iufer, so ss. I I . È estremamente improbabile, come sostengono alcuni, che in entrambi i casi si trat­ ti del medesimo unico rimprovero, cioè che nel testo originale le due diverse preposi­ zioni (il cosiddetto b pretii e la locuzione finale ba 'abur) abbiano il medesimo signifi­ cato. Per poter sostenere questa lettura o bksp dovrebbe significare (come non avvie­ ne mai nell 'Antico Testamento) «a causa del suo debito» (così B. Lang: VT 3 I [ I 98 I ] 482 s.) oppure, al contrario, il paio d i sandali dovrebbe indicare l o scopo della vendi­ ta. Con riferimento a Ruth 4,7 e a Ps. 6o, 1o (Deut. 25,9) si è quindi pensato a un'azione simbolica nella quale una calzatura potesse valere da titolo di proprietà; cfr. special­ mente E.A. Speiser, Of Shoes and Shekels: BASOR 77 ( 1 940) 1 5 -20 = E.A. Speiser, Orientai and Biblica/ Studies, I967, I 5 I - 1 59· Tuttavia i passi citati non provano affat­ to che la semplice menzione di un paio di sandali possa esprimere un titolo di proprie­ tà; gli atti simbolici menzionati nell'Antico Testamento parlano esplicitamente di una sola calzatura. Per la problematica cfr. da ultimo À ke Viberg, Symbols ofLaw (CB.OT 34}, Stockholm 1 992, 1 5 7 ss.

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bolo comune, rappresentato anche figurativamente, dei re me­ sopotamici per significare la sottomissione dei nemici. Dopo questa introduzione l'accusa più precisa di «piegare la via» non indica un relativamente innocuo spintonare per strada (Ru­ dolph), bensì impedire prepotentemente al misero l'accesso al­ le vie legali corrompendo i giudici, come mostra il verbo ana­ logo in 5 , r 2b e hanno dimostrato particolarmente Wolff, See­ ligmann e Schwantes con testimonianze parallele (v. sopra, n. 3 ). Inoltre il termine 'anif'anaw, «bisognoso, povero», che ri­ corre particolarmente nei salmi, implica molto spesso un dirit­ to a essere aiutati. Così si sottrae a persone disperate l'unico mezzo per potersi difendere da una ingiustizia patita. Come esporrà più minutamente A m. 5 ,7- r 5, con questo rimprovero si è andati dritti al cuore della vita sociale d'Israele, giacché al sistema giudiziario incombeva l'obbligo di eliminare liti e di­ sturbi di ogni genere in seno alla comunità, garantendo in que­ sta maniera l'ordine di una ottimale convivenza. Dove viene conculcato il diritto di quanti non abbiano i mezzi per ricor­ rere alla corruzione, la comunità è distrutta nel suo insieme. La terza accusa del v. 7b si differenzia dalle altre perché vie­ ne espressa con un'unica proposizione. Si deve cogliere l'indi­ gnazione del profeta nel rallentamento del ritmo (prima un doppio trimetro, ora un tetrametro). L'espressione concisa non facilita certo l'interpretazione, tanto più che mancano chiari paralleli. L'unica cosa che sia praticamente certa è che il verbo «recarsi, andare da» è usato nell'accezione sessuale. 1 1 Il termi­ ne generico «ragazza)) - che denota giovane età e minorità op­ pure la dipendenza personale da un padrone - potrebbe voler alludere in generale al deterioramento della convivenza nella grande famiglia, come la descrive in linea di principio Lev. I 8: Lev. r 8,8. I 5, ad esempio, vieta che il figlio abbia rapporti ses­ suali con la moglie del padre o il padre con la moglie del figlio. Nel contesto sembrerebbe più logico pensare a una qualche forI .l.

sa,

Testimonianze accadiche vengono citate da S.M. Paul: VT 32 (1 982) 492 s. Diver­ ma basata su ragioni poco convincenti, è l'opinione di Barstad, Polemics, 1 8 ss.

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ma di dipendenza: difficilmente si tratta di una schiava, che ge­ neralmente viene definita con maggiore precisione; 13 si tratte­ rebbe piuttosto di una serva facente parte della famiglia. I pa­ ralleli oggettivamente più stretti sono offerti da testi dell' Anti­ co Testamento che parlano di stupro. Così una violenza ses­ suale (Deut. 22,28 s.) su una ragazza non fidanzata o anche un rapporto sessuale consensuale con essa (Ex. 2 2, 1 5 ) comporta­ no l'obbligo di un matrimonio che non potrà più venire sciol­ to (Deut. 22,29) e l'intromissione violenta di un secondo uo­ mo in un matrimonio (del suddetto o di altro genere) esistente viene punita con la pena capitale (Deut. 22,23 -27). In questo modo il diritto cerca di proteggere la dignità della donna e gli obblighi che discendono dall'amore tra marito e moglie, men­ tre Amos si trova davanti la realtà di una società nella quale un desiderio sessuale determina la condotta, senza vergognarsi di scegliersi quali vittime persone socialmente indifese. Il quarto e finale rimprovero ritorna al tema iniziale della cri­ tica sociale in senso stretto. Ancora una volta si tratta del mo­ do spregiudicato, in due varianti, di trattare persone indebitate e ancora una volta si prende di mira l'abuso eccessivo di ordi­ namenti giuridici in sé legali. Qui non si ha, tuttavia, in primo piano il guadagno (come al v. 6b ), bensì il lusso dei creditori, e l'oggetto non è costituito da persone, bensì da beni reali d'im­ portanza vitale per i debitori. Nel primo caso Amos non si scaglia contro l'istituto del pegno in sé, bensì contro il pigno­ ramento di abiti - secondo Ex. 22,2 5; Deut. 24, 1 2 s. il mantel­ lo dei poveri non può essere trattenuto durante la notte per­ ché serve da coperta; è assolutamente vietato prendere in pe­ gno gli abiti della vedova (Deut. 24, 1 7r4 - quando ciò serva al8.

I J . Cfr. H.P. Stahli, Knabe-]ungling-Knecht: BET 7 ( 1 978) 244; Fleischer, op. cit. , 6 1 ss., spec. 67. Seguendo Maag, Text, 1 74 ss., Rudolph, a d loc. , dimostra allo stesso tem­ po a Sti:ihli come si debba escludere l'accezione, in passato spesso ipotizzata, di «pro­ stituta {templare)» (pp. 2J 8-24 1 ). 14. Cfr. la disperata supplica scritta di un mietitore giudaita del VII secolo al quale non è stato restituito il mantello dato in pegno (TGP, 70 s.). - Non si può escludere che

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lo scopo di sdraiarsi sugli abiti sequestrati invece che sui pro­ pri (in occasione di un festino). Tanto meno Amos critica (v. 8b) la riscossione in sé di penali e multe previste dalla legge so­ prattutto per violenze sulla donna (Ex. 2 1 ,22; Deut. 22, 1 9) qua­ le risarcimento di danni provocati. Anche in tal caso il profeta non discute se il risarcimento sia congruo o meno - tuttavia, in base all'analogia col v. Sa, si può pensare a una particolare severità 1 5 - mentre fa cadere tutto l'accento sullo scopo e le fi­ nalità delle misure coercitive: fare baldoria e bere ancora di più. Il profeta prende le difese di coloro che sono caduti in po­ vertà e si sono indebitati non solo quando sono innocenti (v. 6b ), bensì anche quando siano responsabili della situazione in cui si sono venuti a trovare; egli si adopera, cioè, per quei mem­ bri del popolo d'Israele che sanno aiutarsi meno. Proprio per questa ragione essi divengono per Amos il metro del popolo di Dio e della sua vita sociale. Le due indicazioni di luogo del v. 8 spostano la rampogna dell'oracolo orale di Amos nel senso della teologia di Osea; esse mostrano con quan­ ta naturalezza i tradenti di Amos abbiano associato il suo messaggio con quello di Osea. 16 Presupposta è la condanna tipica di Osea della molti­ plicazione dei santuari e dei sacerdoti (Os. 4,7 s.; 8,1 1 - 1 3 ; I O, I s., ecc.) che altrimenti in Amos si trova soltanto in 7,9 (un versetto da valutarsi in maniera analoga). L'espressione «il vostro tempio» - in pieno discor­ so diretto di Di o! - allude probabilmente a una presa di distanza dal santuario reale di Bethel, un aspetto che è ancora una volta tipico della teologia di Osea (Os. 8, 5 s.; 1 0,5 s.; 1 3,2). Nella sua forma definitiva il v. 8 è totalmente concentrato sui luoghi dove i credenti celebrano le loro feste. L'accusa di crudeltà sociale si è trasformata nel rimprovero di abul'indumento servisse da garanzia per il pegno. Non facendo fronte al debito il debito­ re sarebbe stato costretto a vendersi {de Vaux, Istituzioni, 1 67; Fleischer, op. cit. , 74). 1 s. 11 testo non offre il minimo spunto per l'ipotesi che i debitori siano necessariamen­ te vignaioli ai quali verrebbe sottratto proprio il necessario per poter vivere (Rudolph, ad loc. ; M. Fendler, Sozialkritik, 36). 16. Per Am. 2,7 s. cfr. già la lettera di A. Alt a K. Galling: ZDPV 67 ( 1 94 5 ) 37 s. e, sulle sue posizioni, Wolff e Soggin, ad loc. ; J.L. Sicre, « Con los pobres de la tierra», 1 9 84, I 10 e anche, per quanto riguarda le testimonianze parallele per l'accoglimento della teologia di Osea nel libro di Amos, J. Jeremias, Die Anfiinge des Dodekapropheton, in Hosea und Amos, 34 ss. 4 1 -5 2.

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2,4

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sare le cerimonie religiose per festeggiamenti sregolati. Il v . 7b� (oltre un secolo più giovane) prosegue tale tendenza e promuove una critica sociale di Amos al grado di accusa religiosa, riallacciandosi al tipico lin­ guaggio di Ezechiele e della legge di santità. 17 .1,9- 1 .1. L'intervento di Dio in aiuto del debole Israele. I vv. 9- 1 2 hanno nel testo una funzione di cerniera. Da un lato ag­

gravano l'accusa, mettendo a confronto il comportamento del­ le classi dominanti d'Israele verso coloro che ne dipendono con la presa di posizione di J ahvé che ai tempi della conquista si è schierato dalla parte dell'inerme Israele. Israele non ha im­ parato nulla dalla sua storia. Dall'altro essi rendono più netto l'annuncio del castigo che colpirà Israele (vv. I J - 1 6), contrap­ ponendo l'intervento di Jahvé a favore d'Israele sotto forma di annientamento totale degli strapotenti nemici all'imminente intervento divino contro Israele che si rivelerà altrettanto coe­ rente e globale del precedente. 18 A rigor di termini, questa du­ plice connessione e accentuazione contestuale vale, tuttavia, soltanto per il v. 9· I vv. Io- I 2, che già si segnalano per il pas­ saggio a una prosa solenne e al discorso diretto che, seguendo le regole stilistiche, non sarebbe dovuto cominciare prima del­ l'annuncio della punizione (v. 1 3 ), introducono col ricordo del­ l' esodo il dato storico-salvifico fondamentale della confessio­ ne di fede d'Israele e con il tema del rifiuto dei profeti e dei na­ zirei una nuova accusa, di genere totalmente diverso da quella dei vv. 6- 8 . Già molto tempo fa si è riconosciuto che questi ver­ setti vanno rubricati come teologia deuteronomistica, apparten­ gono cioè alla nuova edizione esilica del libro di Amos. 19 9·

A dir il vero neppure il linguaggio e le idee del v. 9 sono quel-

17. W. Dietrich: ThZ 48 (I 992) 3 21 livella queste differenze quando classifica somma­ riamente i vv 7b 8 (insieme ai vv . 9- 1 2) come deuteronomistici. 18. Sia il verbo imd hifil, «annientare», del v. 9 sia anche le frasi dei vv 14- 16 proven­ gono dal contesto tradizionale della guerra di Jahvé o della «guerra santa». 19. Cfr. la dimostrazione di W.H. Schmidt, Dtr Redaktion, 178- 1 8 3 ; anche Wolff, ad loc. e ultimamente soprattutto Kockert, op. cit. , 1 47 ss. .

-

.

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li dell'Amos storico. 10 Tuttavia nell'esegesi moderna il v. 9 con­ tinua a essere oggetto di acceso dibattito.11 Io stesso reputo im­ pensabile che la strofe contro Israele sia esistita letterariamen­ :te un tempo senza il v. 9, giacché i suddetti riferimenti intra­ contestuali sono troppo stretti (mentre mancano, appunto, in maniera caratteristica, nei vv. 1 o- I 2) per consentire l'ipotesi di tale mancanza. D'altra parte il linguaggio del v. 9 è chiaramen­ te diverso da quello dei vv. 6-8; col termine «amorrei» esso ri­ prende le tradizioni del regno del Nord, con le immagini delle «radici» e del «frutto» di un albero per esprimere la distru­ zione totale e definitiva si riallaccia forse a O s. 9, I 6. u Come non lo sono gli altri testi di Amos, così neanche A m. 2,6- I 6 è una registrazione su nastro del discorso di Amos. Invece i tra­ denti concentrano in un unico discorso più oracoli del profe­ ta, con un occhio sempre al già esistente libro di Osea (cfr. al v. 8) e ad altri testi del regno del Nord. Nel riportare le parole di Amos la cosa per loro essenziale è che la colpa d'Israele ri­ salta in tutta la sua gravità quando venga considerata congiun­ tamente con la particolare esperienza del popolo di Dio che fu 20. smd, «sterminare», con un popolo intero per oggetto è corrente solo a partire dal vn secolo {ma cfr. Deut. 3 3 ,27; 2 Sam. 14,7. 1 1 ; /s. 10,7, ecc. e anche numerosi esempi più antichi di nifal); la denominazione di «amorrei» per indicare la popolazione della terra promessa prima della conquista israelita ricorre prevalentemente nel Deutero­ nomio, ma è comune anche prima (poi in tradizioni particolari come Iud. 1 , 34 ss.; 2 Sam. 2 1 ,2 e in testi del regno del Nord solitamente classificati come «elohistici»: Gen. 28,22; Num. 2 I ,2 1 .25 S.J I ; 22,2); cfr. M. Noth: ZAW 5 8 { 1 940-4 1) 1 8 1 - 1 89 = A ufs. z. bibl. Landes- und Altertumskunde I, 94- 1 0 1 . 2 1 . L'antichità del versetto è stata sostenuta soprattutto da H.W. Wolff, ad loc. ; A.J. Bj"rndalen, Rede, 1 986, 1 3 5 ss . e M. Kockert in A. Meinhold - R. Lux {edd.), Got­ tesvolk, Fs. S. Wagner, I98 8 , 69 n. 39; la posizione opposta è difesa, ad es., da J. Ver­ meylen, lsai'e II, 5 36 s.; L. Perlitt, Riesen im Alten Testament (NA WG 1990/I), .1.1 s. = Deuteronomium-Studien (FA T 8), I 994, 22 I s. 22. Così Vermeylen, ibid. Ma cfr. anche la simile formula di maledizione proveniente da Sidone, tre secoli dopo Amos (KAI nr. 1 4, righe I I s.) e /s. 14,29; Ezech. 1 7,9. D, al­ tra parte si deve riflettere come le esperienze di Dio nella storia abbiano un ruolo co­ stitutivo per la teologia di Osea e servano più volte per rendere più netta e severa l'ac­ cusa venendo introdotte da un «io invece... » avversativo pronunciato da Dio, come in Amos avviene soltanto in 2,9; cfr. Os. 7, 13 . I 5 {8, 1 2; 9, Io); ro, u ; I I ,J(-4); 1 3 ,4 s. e sulla questione K. Koch, Amos II, 1 2.

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2,4

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salvato da J ahvé in situazioni critiche quando sembrava ormai irrimediabilmente perduto. Questo pericolo è rappresentato nel v. 9 dalla proverbiale statura gigantesca degli abitanti preisrae­ litici di Canaan i quali, tuttavia, sono di solito chiamati anaki­ ti.13 Eppure questi giganti vennero annientati fino all'ultimo a motivo d 'Israele. Per la sua esperienza di Dio il popolo di Dio ha criteri di giustizia diversi da quelli delle nazioni: perciò è più colpevole di queste ed è chiamato al redde rationem con maggiore severità (cfr. 3,2). È soltanto in queseottica che la colpa d'Israele diventa, in senso stretto, colpa contro Dio; è soltanto per questo motivo che la somma dei singoli compor­ tamenti casuali dei vv. 6- 8 dà luogo alla colpa collettiva del po­ polo di Dio. Al tempo stesso il ricordo dello sterminio totale degli amori ti assume un carattere di minaccia (vv . 13 - 1 6) 1 0. Nell'esilio, ai sopravvissuti alla tragedia di Gerusalemme

viene spiegato che il popolo di Dio non ha vissuto soltanto l'esperienza della protezione dalla gigantesca popolazione in­ digena della Palestina, ma ha avuto ancora innumerevoli altre esperienze di Dio che avrebbero dovuto fornirgli il metro per la sua condotta. Al primo posto viene - come sempre in simili elenchi, al più tardi a partire dall'epoca esilica - l'esperienza an­ teriore alla liberazione dall'Egitto (cfr. già Os. 12, 1 0; 1 3,4) che proprio per la generazione dell'esilio divenne il contenuto cen­ trale della speranza. «Condurre su dall'Egitto», recita il testo (e non «condurre fuori») «quando si considera come un unico evento l'esodo e la conquista del paese» (Wolff).14 Ma il ricor­ do non si ferma al fine della liberazione (il senso della vittoria divina sugli amorrei del v. 9 viene formulato tradizionalmente 23. Si tratta di una tradizione locale legata in origine a Kaleb e Hebron (Num. I J ,zz; lud. I,zo) che in seguito fu ampliata a includere tutta la popolazione preisraelitica di Canaan (Num. I J ,z8; Deut. 9,2; los. 1 4, 1 2, ecc.). 24. Cfr. la dimostrazione in J. Wijngaards: VT 1 5 ( 1 965) 9 1 - 1 02. 99; H.J. Boecker, Die Beurteilung der Anfange des Konigtums... (WMANT 3 1 ), 1 969, 3 9-43 ; E. Zen­ ger: ZDM G Suppl. 1 ( 1969) 3 34-3 42; G. Wehmeier: THAT 11, 289 ( DTAT 11, 25 2); W.H. Schmidt, Exodus {BK n), 1 5 2 s. =

6o

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come conquista del loro territorio), bensì richiama anche il lun­ go ritardo nel raggiungere la meta dovuto alla peregrinazione nel deserto. Quando si precisa, nella migliore tradizione deute­ ronomistica (ad es. Deut. 1 ,3 ; 2,7; los. 5 ,7) e sacerdotale (P: Ex. 1 6,3 5 ; Num. 1 4,3 3 s.), che il viaggio nel deserto è durato qua­ rant'anni, si rammenta, implicitamente, la pazienza di Dio ver­ so il popolo insoddisfatto e adirato. 1 1 - 1 2. In maniera a prima vista sorprendente i vv . 1 1 - 1 2 pas­

sano a considerare l'azione di Jahvé su uomini rivestiti di par­ ticolare autorità. Ma per la teologia esilica non si tratta affatto di un tema di natura diversa (cfr. Iud. 6,8 I o; 1 Sam. 1 2,6 ss.; ler. 7 ,22-26). Quando, per così dire, il v. IO offre un Pentateu­ co in miniatura, esso vuole richiamare alla memoria le basi della fede d'Israele. Senza la conoscenza del v. I o nessun israe­ lita potrebbe formulare il proprio credo. Rispetto al v. I O, il v. 1 1 vuole invece ricordare le misure prese da Dio per preserva­ re questa fede nella storia mediante il dono di uomini partico­ lari. A questo scopo nazirei e profeti esercitavano funzioni mol­ to diverse. I nazirei, di cui parla soprattutto Num. 6 e il più no­ to dei quali fu Sansone (Iud. I 3 , 5 · 7; 1 6, r 7), avevano funzione di modello ideale, astenendosi in onore di Dio dall'alcool, dal­ l'impurità rituale e dal taglio dei capelli. In quanto «consacra­ ti» (è questo il significato del termine nazireo) a Dio e a lui de­ diti essi si offrivano «alla divinità come strumento particolar­ mente docile».25 Per contro, nell'ottica della teologia deutero­ nomistica i profeti avevano il compito di mettere in guardia dal giudizio di Dio un Israele che si rendeva colpevole, facen­ dogli vedere di continuo quale fosse la volontà di Dio. «Matti­ na e sera» (ler. 7,2 5 ; 2 5 ,4; 26,5, ecc.; cfr. 2 Reg. 1 7, 1 3 ) Jahvé ha inviato profeti perché ai suoi occhi non bastava ancora la col­ pa a perdere Israele, ma la perdizione arrivava inesorabile al-

2 5 . G. von Rad, Teologia delrAntico Testamento 1, Brescia 1 972, 8 5 ; cfr. M. Noth, Das vierte Buch Moses - Numeri (ATD 7), 50 s.; de Vaux, Istituzioni, 449 ss. - Ru­

dolph {p. 147) disegna un plausibile sviluppo del nazireato.

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6I

lorché Israele non ascoltava più i profeti di Dio che l o chiama­ vano al ravvedimento. 26 Ma Israele ha fatto proprio questo, vietando ai profeti di parlare - un'allusione a A m. 7, I o ss. (e for­ se anche a Ier. I I , 2 1 ) - e non permettendo ai nazirei di svolge­ re la loro funzione di esempio. L'artificioso linguaggio iussi­ vo, a imitazione dei comandamenti (v. sopra, n. 5 ), ha lo scopo di esprimere l'incompatibilità tra l'Israele caparbio e la parola vitale dei profeti. Con questo divieto Israele ha perso l'ultima opportunità di salvezza: per far riconoscere che le cose stanno proprio così il v. I I b pone ai lettori una domanda che sollecita una risposta affermativa. La lettura del libro di Amos è così importante per la generazione dell'esilio e per tutte quelle suc­ cessive perché Israele senza i suoi profeti è irrimediabilmente perduto, come ha dimostrato la distruzione di Gerusalemme, nella sua colpa che si presuppone duratura. Soltanto l'opera dei profeti che mette a nudo la colpevolezza e il loro invito al ravvedimento possono mantenere in vita Israele: «Non si può avere un considerazione più alta del profetismo» .27

2,13-16. La punizione d'Israele. Il castigo d'Israele è molto più severo di quello delle nazioni già perché J ahvé ora non manda più il fuoco (o gli assiri) quale strumento per infliggere la pena, bensì interviene personalmente e direttamente. Dai vv. 14- 1 6 si evince che la conseguenza di tale azione è una sconfit­ ta bellica devastante che finisce in una fuga panica senza scam­ po. Il v. 1 3 , che descrive l'opera stessa di Jahvé, parla tuttavia metaforicamente di un terremoto. L'associazione di terremoto e conseguenze di una guerra è insolita. Come ho esposto altro­ ve con maggiore ricchezza di argomenti, questa associazione va considerata più probabilmente un preludio dell'ultima vi­ sione. In A m. 9, I -4 s'incontra il medesimo accostamento fra terremoto e fuga disperata (v. r a) non soltanto per quanto ri­ guarda il contenuto, ma anche per la medesima forma stilistica 26. Per questa concezione dei profeti cfr. O.H. Steck, lsrael und das gewaltsame Geschick der Propheten (WMANT 23), 1 967, spec. 6o ss. 27. Kockert, op. cit. , 149·

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della Priamel (v. sotto) e per la terminologia usate per descri­ vere l'impossibilità della fuga (vv I b-4). 1 8 I tradenti di Amos non contavano su lettori di breve respiro che si limitassero a leggere le singole pericopi, bensì su persone che si prendevano il tempo per cogliere i sostanziali riferimenti interni del libro di Amos e come questi si illuminassero l'un l'altro. .

13. La punizione d'Israele si apre con un richiamo all'atten­ zione fuori (tri)metro che suscita l'attesa di qualcosa di straor­ dinario. Invece del futurum instans solito in ebraico (hinn eni col participio: «sto per fare quanto segue») il forte «io» di Dio (col participio) si ricollega all'altrettanto enfatico «io» iniziale del v. 9 (e del v. I o) . Entrambe le azioni sono tipiche di questo «io», cioè sono possibili soltanto a Dio, ma presentano segni premoni tori affatto diversi. Lo sterminio totale degli amorrei .a difesa d'Israele diventa lo sterminio totale, dal quale non c'è scampo, di Israele stesso (vv 1 4- r 6); e il paese che fu la ragio­ ne dell'annientamento degli amorrei diventa un terreno insta­ · b ile e friabile. Israele precipita nell'abisso senza fondo quando il fondamento vitale trema «sotto di voi». Per esprimere que­ sto annuncio inconsueto vengono scelti un verbo non comune e un'immagine altrettanto insolita. Come H. Gese ha valida­ mente proposto, sulla base dell'ebraico postbiblico, 19 il verbo 'wq hifil (hapax legomenon nell'A. T.) va inteso come l'arabo (e ugaritico) 'qq nel senso di «fendere, spaccare (il suolo)», dal quale si evince l'immagine di un carro 30 della mietitura sovrac.

28. Cfr. J. Jeremias, «Zwei ]ahre vor .dem Erdbeben» (A m. r, r), in Hosea und Amos, 1 83 ss.; cfr. ivi ( 1 72 ss.) anche il saggio Vo/kerspruche und Visionsberichte im Amos­ buch. - Per contro la singolare immagine del carro per la mietitura (v. 1 3) non permet­ te proprio d'interpretare il terremoto quale arma da guerra di Jahvé (Wolff).

2.9. H. Gese: VT 11 ( 1 96 2) 4 1 7-424; cfr. Wolff, 208 . HAL, 728 menziona altre alterna­ tive: «far scricchiolare» (con riferimento al rumore che accompagna il sisma) oppure «far ondeggiare», come legge il targum. Nonostante l'incertezza che regna a livello fi­ lologico, oggi è pacifico che si tratti di un evento sismico. 30. Per la forma del carro da trasporto trainato da una coppia di buoi (.2 Sam. 6,3 ) cfr. H. Weippen: BRL1, 3 5 6 (con illustrazione).

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carico di covoni che fende la terra allentata dalla pioggia. Le profonde tracce e i fossi così creati servono da similitudine per il terremoto. Questo sisma significa molto più di un semplice evento naturale. Col terremoto avviene la revoca della conces­ sione della terra promessa, come fa capire il nesso con il v. 9 (e I o). Ancor più: come mostra il suddetto collegamento con la quinta visione, è la catastrofe cosmica che si annuncia anche se in A m. 2 la visione dello sconvolgimento rimane per il momen­ to limitata alla sfera della vita d'Israele. Inoltre, come suggeri­ sce Gese, l'immagine del carro della mietitura allude alla quar­ ta visione (Am. 8 , 1 s.) e alla «fine d'Israele» ivi annunciata.

14-16. Quando i vv. 1 4- I 6 descrivono una (vana) fuga quale conseguenza del terremoto, tale azione non va intesa, in primo luogo, come il tentativo di alcuni sopravvissuti alla catastrofe naturale di salvarsi la vita. Piuttosto i fuggiaschi vengono pre­ sentati sotto ogni aspetto come guerrieri sbandati. Con una figura stilistica,3 la Priamel, sorta di accumulazione di esempi similari (spesso culminanti in un'acme) consecutivi, viene esclu­ sa qualsiasi possibilità di fuga. Ai vv. 14 e 1 5 si tratta di coppie di esempi nei quali il guerriero viene meno proprio in quella che dovrebbe essere la sua specialità professionale. Poiché al v. I 5 si fa ricorso a termini indicanti specifiche funzioni militari, anche la terminologia del v. 1 4 è sicuramente di tipo tecnico («il veloce» è forse il fante leggero o veli te, «il forte» l' opli­ ta).32 Infine (v. 1 6) si descrive, quale punto culminante, con l 'unico superlativo del testo, l'esempio del guerriero più prode che abbandona armi e bagagli per terra («nudo») e fugge spe­ rando di salvarsi, ma anche lui, come sottintende il contesto, r

3 1 . Cfr. W. Biihlmann - K. Scherer, Stilfiguren der Bibel: BiBe 10 { 1 973 ) 61 s. {con bibl.). }\Ila Priamel aveva già rimandato W.H. Schmidt: ThLZ 96 { 1 97 1 ) 1 84 per Am. 9,2--1-· 32. Così, ad es., W. Dietrich: ThZ 48 { 1 992) 3 26. - I vv. 1-1-b e 1 5a� sono glosse note da tempo che riprendono, combinandola, la terminologia del contesto. Probabilmen­ te il loro scopo è quello di portare al numero perfetto di sette le cinque descrizioni pri­ mitive.

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inutilmente. Non è espresso direttamente il motivo di questa fuga generale, ma si può evincere dallo sfondo storico-tradi­ zionale: J ahvé combatte con la medesima irresistibile irruenza usata a suo tempo contro gli amorrei, solo che adesso la rivol­ ge contro il suo stesso popolo. Nes suno può resistere a tanto guerriero. A differenza degli oracoli contro le nazioni l' annien­ tamento non colpisce soltanto i re e i responsabili politici, ben­ sì tutti quanti senza eccezione, perché tutti sono diventati col­ pevoli (cfr. al v. 9 ) .

.1,4- 5. Colp a e castigo di Giuda. Alla strofe contro Israele viene premes­ sa la più recente strofe contro Giuda con la sua caratteristica termino­ logia deuteronomistica. 33 Come il più recente racconto della creazione (Gen. 1) interpreta quello più antico (Gen. 2-3), così la strofe su Giuda vuole far vedere ai lettori del libro di Amos dopo la distruzione di Ge­ rusalemme in che consisteva la vera colpa del popolo di Dio che fu al­ l' origine dei crimini contro il prossimo di cui parlava Amos in 2,6-8. La colpa principale consisteva nel rifiuto, da parte del popolo di Dio, della volontà di Jahvé (fissata primariamente nell 'edizione ampliata del Deu­ teronomio) solo a esso rivelata e affidata (questa volontà divina vien e de­ nominata al singolare, sinteticamente, col termine più importante dell'e­ poca seriore, tora, «istruzione», poi caratterizzata nelle sue singole parti al plurale come «precetti» scritti}. Invece di seguire questa volontà divi­ na Giuda si è lasciato sedurre dagli dei delle nazioni, come prima di lui gi à avevano fatto le generazioni antiche, scambiando così il vero Dio con gli idoli che danno solo l'impressione della potenza e pertanto non sono che «menzogne» personificate. Soltanto qui Am. 2,4 s. (che altrimenti si serve del linguaggio della scuola deuteronomistica) ha una formulazione originale che si distacca da quella di 2 Reg. I 7,1 3- 1 5 . Nel complesso la strofe contro Giuda fa sì che le accuse di Amos vengano capite dai let­ tori del libro in senso strettamente teologico. 33· V. sopra, p. 3 7 e per la dimostrazione terminologica cfr., ad es., Wolff, ad loc. e an­ che B. Gosse: VT 38 ( 1 988) 29 s .

PARTE SECONDA LA RACCOLTA DELLE PAROLE DI AMOS

(capp. 3-6)

1.

La parola di Dio (capp. 3 - 4 )

3 , 1 -8. Il perché del messaggio di sventura 1 2

Ascoltate questa parola che Jahvé ha pronunciato contro voi, israeliti, contro tutta la genia che ho condotta su dal paese d'Egitto: Voi soli ho conosciuti tra tutte le famiglie della terra, per questo vi chiederò conto di tutte le vostre trasgressioni.

Due camminano insieme senza essersi prima incontrati ? 1 4 Ruggisce un leone nella foresta senza avere (già) una preda? Un leoncello fa risuonare la sua voce dalla tana 1 senza aver preso qualcosa? 5 Un uccello si precipita forse sulla terra 3 senza che ci sia una trappola innescata per lui ? Un a rete a molla scatta forse su senza catturare davvero qualcosa? 6 Oppure, in una città, si soffia nel corno senza che la gente venga presa dal terrore ? Oppure, in una città, avviene una disgrazia senza che Jahvé l'abbia provocata ? 7 Infatti il Signore, ]ahvé, non fa nulla senza aver prima rivelato la propria decisione ai suoi servi, i profeti. 3

Per la giustificazione di questa traduzione cfr. Rudolph, ad loc. «Dalla sua tana� è fuori metro; si tratta certo deWaggiunta di un luogo ·per armo­ nizzare il v. 4b agli stichi vicini (Wolff, Renaud). 3· Così G; il T.M. inserisce già qui, per errore, la «trappola» del v . 5 b. 1.

2.

66

Am. J, I-8

8

Il leone ha ruggito chi non deve aver paura? Il Signore 4 Jahvé ha parlato ­ chi non deve essere profeta ?

S. Mittmann, Gesta/t und Gehalt einer prophetischen Selbstrechtfertigung (Am. J,J8): ThQ 1 5 1 ( 1 97 1) 1 34- 145; B. Renaud, Genèse et Théologie d'Amos J,J-8, in De la Torah au Messie, Fs. H. Cazelles (AOAT 2 1 2 ) , 198 1 , 3 5 3-372.

Ca pp. 3-4. Con A m. 3 ha inizio l'importante parte centrale del libro di Amos che contiene parole contro Israele. Questa se­ zione centrale abbraccia A m. 3-6 ed è suddivisa a sua volta esat­ tamente in due parti, come mostrano le due soprascritte se­ condarie (J, r e 5 , 1 ) formulate in maniera volutamente paralle­ la (v. sotto). Nella sua forma attuale A m. 3-4 è a sua volta divi­ so in tre parti. In quella centrale c'è una raccolta di oracoli sparsi che mettono a nudo la colpevolezza dei gruppi influenti della capitale Samaria (3 ,9-4,3); la raccolta è inquadrata in una doppia cornice: all'inizio con la soprascritta (J , I ), un oracolo programmatico (3 ,2) e una pericope di legittimazione (3,3 -8); alla fine con una liturgia penitenziale (sicuramente esilica) �he si ricollega a un oracolo di critica del culto di Amos (4,4 s.6I 3). Entrambe le parti dell'inquadratura impediscono, ciascu­ na a modo suo, che le parole contro Samaria possano venire lette ancora (com'erano nella fase orale) come rimprovero di­ retto a gruppi particolari; nel testo attuale esse nominano - pars pro toto - la colpevolezza di tutto quanto Israele. In particolare è l'oracolo programmatico di 3,2 che funge da chiave ermeneutica di Am. 3-4. Che esso sia qualcosa di più di un semplice oracolo isolato si evince dalla sua collocazione: segue immediatamente la soprascritta (v. I ) e viene giustificato minuziosamente mediante l'unità argomentativa dei vv 3- 8. Per dirla diversamente: il v. r annuncia la parola di Dio pronun­ ciata da Amos, il v. 2 l'espone e i vv 3 -8 la legittimano. L'in­ clusione tra il v. I a (« ... la parola che Jahvé ha pronunciata con.

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4· Probabilmente la glossa presuppone già l'inserimento del v.



Am. J,r-8

tro voi») e il v. 8 («ha parlato Jahvé ... ») mostra che col v. 8 si è raggiunta una certa prima compiutezza del pensiero. I a. La soprascritta in J , I a deve venire interpretata insieme a quella corrispondente di 5 , 1 . Entrambe le soprascritte sono s·tate formulate in maniera volutamente parallela/ ma con due caratteristiche variazioni . All'imperativo «ascoltate questa pa­ rola» seguono in entrambi i casi una proposizione relativa con la determinazione prepositiva «contro voi » e un vocativo. Tut­ tavia la proposizione relativa introduce in ciascun caso un di­ verso soggetto del discorso. In J , I il soggetto è Jahvé, in 5 , 1 Amos. Analogamente ai soggetti anche i tempi sono diversi: Jahvé ha già parlato (al profeta; 3 , 1 : perfetto), la parola di Amos viene pronunciata nel presente attuale (5, 1 : participio). Il che sta a significare che per i tradenti l'ordine di successione nel ca­ pitolo è irreversibile; la parola di Amos è conseguenza e rea­ zione della parola di Dio che gli è stata comunicata. Di più difficile interpretazione è la seconda differenza tra le due soprascritte. In J , I gli ascoltatori vengono apostrofati con «voi israeliti», in 5 , 1 invece con «casa d'Israele». La variazione ha evidentemente valore programmatico, poiché l'espressione «voi israeliti» determina i capp. 3 -4 tanto esclusivamente {3 , 1 . 1 2; 4, 5 ) quanto l'espressione «casa d'Israele» i capp . 5 -6 { 5 , 1 . 3 . 4.2 5 ; 6, 1 . 1 4); il rispettivo termine alternativo non s i incontra mai. 6 La lettura più probabile è che «voi israeliti» o «gli israe­ liti» (come il semplice «Israele» e «popolo mio») sia una deno­ minazione del popolo di Dio che è stato ed ancora è oggetto dell'azione di Dio, mentre «casa d'Israele» si riferirebbe pri­ mariamente al regno del Nord come entità politica/ In parole povere, prese insieme, entrambe le differenze tra J , I e 5 , 1 si­ gnificano questo: in A m. 3-4 J ahvé precisa la colpa del popolo 5. Per contro 4, I è stato solo in un secondo momento messo in rapporto con queste due soprascritte; cfr. introduzione a 3 ,9-4, 3 · 6. G ha osservato questa differenza e assimila 3 , 1 all'uso linguistico dei capp. 5-6 («casa d'Israele»). 7· Cfr. la motivazione in Wolff, 1 99 s.

68

A m. J, r-8

di Dio, in Am. s-6 il profeta deplora l'imminente disgregazio­ ne della comunità nazionale. I tradenti di Amos hanno pertan­ to ordinato accuratamente le parole del profeta; nondimeno i singoli oracoli che sono stati recepiti non sempre si adattano perfettamente al loro principio ordinatore. x b. La soprascritta del v. I a allude già indirettamente al tema dell'elezio­ ne del v. 1: «gli israeliti» sono il popolo eletto, ma Jahvé deve ora parlare «contro» il proprio popolo. Il v. 1 b cerca di rendere ancora più forte questo nesso introducendo il discorso di Dio già nella soprascritta, ri­ prendendo nel v. 1 il termine «famiglia» dal v. 1, ma so p rattutto nomi­ nando già esflicitamente il tema dell'elezione; facendolo, in verità - a differenza de v. 1 - con la terminologia corrente delle retrospettive sto­ rico-salvifiche deuteronomistiche (cfr. a 1, 1 0). In questa maniera il v. 1 b ribadisce che per giudicare il popolo di Dio il metro decisivo è l'espe­ rienza del fondamentale atto salvifico dell'esodo.

3,2.. Le conseguenze dell'elezione. Ai rimproveri di Amos re­

lativi a singole situazioni di colpevolezza (vv. 9 ss.) i tradenti hanno premesso una sintesi della parola di Dio comunicata (v. 2. ) . La collocazione di questo versetto tra la soprascritta e la pe­ ricope di legittimazione mostra due cose: da un lato il grande peso di questa parola di Dio, che è rappresentativa di tutte le parole di Dio di Amos - «avrebbe anche potuto servire da motto per l'intero libro» (Wellhausen) -; dall'altro che, agli oc­ chi dei lettori, questa parola costituisce un'affermazione mol­ to insolita, anzi uno scandalo che necessita di una particolare giustificazione. Chi desideri capire il libro di Amos deve aver capito soprattutto Am. 3,2 nel senso della sua prima edizione. Tanto più singolare è il fatto che 3,2 sia redatto in una termi­ nologia insolita per il libro di Amos. I tradenti di Amos nella sintesi del suo messaggio si riferiscono consapevolmente ad altri testi, in particolare al messaggio di Osea, 8 poiché per loro en8. Ciò vale soprattutto per il termine «colpa» ('awon) che Amos non usa mai, pur par­ lando spesso della colpevolezza d'Israele, mentre è estremamente frequente ( 10 volte) in Osea; inoltre per il verbo «punire» (pqd) con Dio per soggetto (ricorre ancora solo in A m. 3 , 1 4 per dipendenza da Am. 3 , 2 mentre in Osea compare 7 volte); infine per il

Am. J,I-8

trambi i profeti sono testimoni dell'unica e stessa verità di Dio che riguarda anzitutto il regno del Nord, ma altrettanto anche il restante popolo di Dio (cfr. introduzione e la situazione ana­ loga in Am. 2,8 s.; 5 ,2 5 ; 7,9). 9 Il v. 2 vive del contrasto tra la prima e la seconda metà del versetto. La prima richiama alla memoria cose note (se il v. 2 fosse mai stato una parola pronunciata a voce, si sarebbero do­ vuti vedere tutti gli ascoltatori annuire col capo), la seconda trae delle conseguenze totalmente inaspettate. Il popolo di Dio ha dimenticato che elezione non significa soltanto privilegio, bensì anche una maggiore responsabilità che esso non ha sen­ tita. La colpa ha un peso molto superiore quando viene com­ messa pur conoscendo la salvezza divina {cfr. 2,6-9); il «servi­ tore spietato» (Mt. 1 8,23 -3 5 ) non può aspettarsi la clemenza del giudice perché ha abusato della bontà immeritata di Dio per infierire sul prossimo. Israele ha goduto della vicinanza di Dio in una maniera unica, la cui esclusività A m. 3 ,2 evidenzia addirittura doppiamente: mediante l'iniziale «solo voi» e me­ diante la differenza rispetto a tutte le altre nazioni. 1 0 Allo stes­ so tempo si sottolinea l'intensità di questo rapporto. Il verbo «conoscere» (jd') in ebraico significa molto più della semplice comprensione cognitiva; nella sfera umana descrive la più intiverbo «conoscere» con Dio per soggetto (Os. I 3,4: qui il verbo è s aldamente radicato nel gioco di parole con il conoscere umano). - L'espressione insolita «famiglie della terra», che evita la terminologia politica corrente, allude forse a Gen. 1 2,3 ( 28, I 4 ); cfr. tuttavia anche il simile uso linguistico più tardo di ler. I , 1 5 ; 2,4; 2 5 ,9; Ezech. 20,3 2 o, ancora più tardi, di Ps. 22,28; 96,7. - Anche indizi formali suggeriscono il carattere redazionale di A m. 3 ,2; cfr. K. Koch, Amos 11, I 5 e, in particolare, Melugin, Amos, 378. J 80 s. 9 · Entro questi limiti è vero, per quanto riguarda P intenzione dei tradenti, che Am. J , 2 «potrebbe servire d a motto non semplicemente per i l libro d i Amos, bensì per tutta quanta la profezia israelita fino al Deutero-Isaia» (Marti, ad loc. ). 10. Per questo aspetto Am. 3,2 è un precursore della locuzione deuteronomistica di una «elezione d'Israele di fra tutti i popoli» (Deut. 7,6 s.; 1 0, 1 5 ; cfr. 14,2 ) che a sua volta ha improntato l'epoca più tarda dell'Antico Testamento. Anche nel Deutero­ nomio viene sottolineata l'esclusività dell'elezione per accentuare l'obbligo d'Israele di essere «un popolo santo»; cfr. H. Wildberger, THAT r, 280 ss. (= DTAT I, 248 ss.); H. Seebass, ThWAT I, 6o2 ss. (con bibl.) (= GLAT 1, 1 2 1 8 ss.).

Am. J,I-8

ma comunione fino alla comunione sessuale (Gen. 4, 1 , ecc.) e per Osea designa la sperata comunione ideale d 'Israele con Dio (cfr. Os. 2,22; 4, 1 e il nostro comm. ad loc. ). Quando Dio è il soggetto, come in Am. 3,2 e Deut. 9,24, il verbo denota il suo particolare favore per Israele e la sua cura per esso. In maniera più forte del termine tecnico «eleggere» (bpr), il verbo jd' mi­ ra all'intima personale propensione di Dio,11 come risulta chia­ ramente dal fatto che il verbo viene usato con maggiore fre­ quenza per l'elezione divina di singole persone (Abramo: Gen. 1 8, 1 9; Mosè: Ex. 3 3 , I 2. I 7; Deut. 34, I o); nel caso del profeta Geremia l'indicazione temporale («ti ho conosciuto prima di formarti nel grembo di tua madre») chiarisce che il rapporto parte soltanto da Dio e il verbo parallelo ( « . . . ti ho consacra­ to») mostra che Dio unisce l'elezione di Geremia a un compi­ to. - Secondo A m. 2,3 Israele ha equivocato scambiando l' ele­ zione e la vicinanza di Dio per la tranquillità che discende dal privilegio invece di capire che il suo compito era quello di es­ sere un modello per gli altri popoli. «Vi ho conosciuti» (jd': v. 2 ) - «essi non sanno (jd') fare ciò che è giusto» (v. I o): così si presentano il «conoscere» di J ahvé e quello d'Israele. In que­ sto modo Israele ha perso la sua peculiare caratteristica tra le nazioni e verrà chiamato da Dio a rendere conto in base al cri­ terio della sua esperienza di Dio («perciò»). L'ispezione am­ ministrativa che il verbo pqd denota in origine, porta, come in Osea (cfr. a Os. 1 ,4), a un risultato totalmente negativo e per­ tanto alla conseguenza della «punizione» di «colpe», 11 la cui natura è specificata dai vv. 9 ss.

3,3-8. La costrizione a proclamare la sventura. Una procla­ mazione profetica come quella di Amos viene ovunque e sem1 1 . Questo aspetto è giustamente messo in risalto da Th.C. Vriezen, Die Erwahlung

lsraels nach dem Alten Testament (AThANT 24), 1 9 5 3 , 36 s.

1 2. A differenza del duro termine peia', «crimine», usato da Amos per denotare i sin­ goli fatti in questione (v. sopra a 1 ,3), i tradenti hanno preferito il termine 'awfm ri­ preso dalla terminologia di Osea perché denota la colpevolezza in senso più ampio.

Am. J, I-8 pre contestata. Lo illustrano i tradenti collocando, ancor pri­ ma della presentazione dei suoi singoli oracoli, la giustifica­ zione che, in forma di «disputa» (Disputationswort) abbastan­ za estesa, Amos dà di sé davanti agli avversari. Amos non era amato; ma quello che gli capitava non era un fatto personale, bensì il destino generale dei profeti. Come numerosi profeti dopo di lui, Amos non ha desiderato di ricevere la parola di Dio che doveva proclamare; questa gli fu imposta. I vv. 3 -6. 8 formano una lunga catena di domande didatti­ che 1 3 rivolte in origine sicuramente ad ascoltatori, ma che nel­ la forma attuale intendono convincere con argomenti ovvi un pubblico formato chiaramente da lettori. 14 Per capire questi interrogativi retorici è essenziale notare che essi non vogliono indurre un'unica, bensì (almeno) una triplice conoscenza. For­ malmente ciò si riconosce dalla successione in crescendo del tipo di proposizione interrogativa: si parte dalla forma comu­ ne dei vv. 3- 5 (ha), al v. 6 si ha una doppia domanda ('im, «op­ pure») e, infine, al v. 8 il pronome interrogativo retorico (mi, «chi ?»). Una varietà ancora maggiore presentano i relativi mem­ bri paralleli nei versetti, una varietà cui non è possibile rendere giustizia nella traduzione nella nostra lingua: nei vv 3- 5 i pa­ ralleli si alternano dapprima a coppie (bilti 'im con il verbo, «senza che .. »: vv. 3 .4b; we-x 'en col nome «e x non c'era?»: vv 4a. 5 a), 1 5 poi in crescendo con l'infinito assoluto («realmen­ te»: v. 5 b). Quando infine, ai vv. 6 e 8, i due interrogativi pa­ ralleli sono, per contro, formulati ogni volta in maniera volu.

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1 3 . Per quanto riguarda il contenuto si può rilevare la matrice sapienziale di questa in­ terrogazione didattica dalla combinazione di fenomeni naturali e comportamenti uma­ ni; cfr. H.W. Wolff, Heimat, 5 ss. I I . 14. Tale affermazione è confortata dai numerosi riferimenti al contesto e dal ragiona­ mento che si sviluppa in più fasi. - Allo stadio orale i vv. 4- 5 .6b (Renaud) e il v. 8 (W. H. Schmidt, Dtr Redaktion, 1 84; L. Markert, Scheltwort, 88 s.; Wolff, ad loc. ) po­ trebbero aver costituito unità separate di discorso, mentre il v. 3 serve a collegare i vv . 4 ss. al v. 2 e il v. 6a da collegamento tra le due unità, come ha dimostrato Renaud con un'acuta analisi (op. cit. , 3 5 8 s.). 1 5· Da questa osservazione risulta che il v. 3 non è affatto un'aggiunta letteraria alla unità, come talora si suppone (ad es. Marti, ad loc. e H. Gese: VT 12. [ 1 962.] 42 5).

.Am. J, r-8

tamente analoga, ciò sta a significare che, nel momento culmi­ nante, la forma stilistica viene abbandonata a favore dell'insi­ stenza e dell'assoluta chiarezza. 3-5. Già i vv . 3 - 5 presentano un contenuto che segue un anda­ mento ascendente e, anticipando in piccolo la forma di tutta la sezione, permettono di cogliere molteplici elementi. Mentre il v. 3 sembra, in un primo momento, riferirsi in maniera quanto mai generale al rapporto causa-effetto, introducendo così lo schema argomentativo usato costantemente in tutta la parte seguente, già il v. 4 non offre più un qualsiasi esempio per que­ sto tipo di ragionamento logico, bensì anticipa l'immagine del leone del v. 8 (e del v. 1 2). Al tenore della domanda («ruggisce un leone ... ?») il lettore associa, istintivamente, la paura di per­ dere la vita in una situazione di estremo pericolo. Nessuno che incappi in un leone riesce a sfuggirgli; il suo ruggito è un se­ gnale inequivocabile di una preda in potere dei suoi artigli. Letta dall'apice della pericope (v. 8) l'immagine acquista un'in­ negabile trasparenza per la posizione d'Israele davanti a Dio, il cui «ruggito» risuona perché Israele è la sua «preda» . 16 I sot­ totoni minacciosi del v. 4 divengono più forti nel v. 5 che a sua volta prelude al v. 6. L'esempio dell'uccellatore introduce l'immagine della trappola, facendo volgere lo sguardo del let­ tore dal risultato (v. 4: il leone davanti alla preda) al verificarsi della minaccia mortale: persino un uccello, che altrimenti sa­ rebbe inafferrabile per un uomo, non riesce a sfuggire a una trappola nascosta. 1 7 Mediante il verbo «catturare» (risultato =

1 6. Alla luce di tale trasparenza al v. 4 ci si può chiedere se anche al v. 3 «i due» che «camminano insieme» non vogliano significare - almeno celatamente - Jahvé e Israe­ le; G ha messo esplicitamente in evidenza questa implicazione con l'allusione al v. 2 («senza essersi conosciuti»). Anche il T.M. collega i verbi dei vv. 2 e 3 mediante un gioco di parole (radice j' d accanto a jd'). Meno verosimile appare l'ipotesi che si tratti di un'allusione (anticipatrice del v. 8) a jahvé e al profeta (Wolff, Renaud). 1 7. I due termini che indicano la trappola o la rete a scatto dell'uccellatore (moqes al v. sa e pab al v. sb) nell'Antico Testamento vengono usati quasi costantemente in pa­ rallelo. Considerazioni su un significato particolare di moqes (Vogt: Bib 43 [ 1 962] Bo

Am. J, r-8

73

il perfetto al v. 4b; procedimento imperfetto al v. 5 b) le due misteriose immagini di animali vengono collegate tra di loro e trasmettono al lettore l'idea di un destino di morte al quale non ci si può sottrarre; il rafforzamento del verbo mediante con l'in­ finito assoluto al v. 5 h («senza veramente catturare qualcosa») impedisce l'ultimo pensiero di un possibile scampo. =

6. Il v. 6, e con esso la seconda metà della duplice domanda re­ torica, abbandona le immagini tratte dal mondo animale. Tut­ tavia il v. 6a non si limita a segnare il passaggio ideale alla sfera esperienziale nell'ambito dei rapporti interumani, bensì effet­ tua un collegamento specifico con l'ambito di esperienza della città, di cui parla anche il v. 6b. Ne consegue chiaramente che la pericope dei vv. 3- 8 non a caso precede i vv. 9 ss. che danno alla «città» del v. 6 un nome ben preciso: Samaria. La situazio­ ne di incombente pericolo mortale unisce i vv. 4- 5 al v. 6a, do­ ve tuttavia compare un nuovo elemento, l'idea dell' avvertimen­ to. Ciò che nel regno animale avviene a livello istintivo - la percezione del pericolo - nella convivenza umana, e massima­ mente nell'ambito rassicurante della città, è demandato a una particolare istituzione che provvede a segnalarlo. Il corno del­ la vedetta che serve da segnale per il pericolo di attacco bellico è simbolo trasparente, unito al v. 8, della funzione del profeta, forse per influenza di Os. 8 , I (v. sotto).1 8 Le pericopi seguenti parlano del pericolo di guerra in maniera più precisa (vv. I 1 . I 5 ; 4,3}. Tuttavia l'accento non cade mai sulle particolari cir­ costanze della guerra, come illustra il v. 6b che, fissando un s.; Rudolph, ad loc. : «esca»; Marti, ad loc. ; Driver: JThS 39 ( 1 93 8) 262; Wolff, ad loc. : c bastone da tiro») sono abbastanza oziose. Per la pratica dell'uccellagione, che si può ricostruire grazie a raffigurazione egiziane, cfr. G. Dalman, Arbeit VI , 3 36-3 39; O. Keel, Die altorientalische Bildsymbolik, l 1 980, 78-84 con ili. I I O- I 20. 1 8 . Cfr. l'ampia esposizione di questa idea in Ezechiele (3, r 6-2 1 ; 3 3 ) che nella sua fun­ zione di sentinella deve mettere in guardia ogni singolo israelita dal pericolo mortale che lo minaccia e che pure, per un mistero imperscrutabile, è identico con chi dà l, or­ dine di lanciare l'allarme. In Ezechiele è esplicito ciò che in Am. 3 è soltanto implici­ to: il profeta, quale sentinella, ha la responsabilità di far giungere il suo allarme a tutti, ma non è responsabile deWesito del suo avvertimento.

74

Am. J, I-8

primo punto di arrivo del ragionamento, indirizza il lettore al­ l' origine ultima di ogni pericolo: J ahvé. Poiché Jahvé sta die­ tro il leone, poiché egli è l'uccellatore e il nemico aggressore, «nella città» si dovrebbe, anzi si deve temere e - cosa di gran lunga più importante - si dovrebbe e si deve dare fiato al cor­ no. Ogni altra misura non sarebbe che un sollievo limitato ai sintomi, senza fare attenzione alla causa prima della sventura. Col v. 6 il profeta non vuole divulgare alcuna dottrina genera­ le sulla causalità universale di Dio, 19 bensì si propone di scuo­ tere gli uomini così da renderli attenti al pericolo incombente su di loro: un pericolo che proviene da un Dio che essi si sono abituati a considerare fin qui soltanto quale garanzia di salvez­ za e di vita. 8. Amos ha incontrato questo Dio. Come non lo sono dopo di lui né Geremia (/er. 20,9 : «Mi dicevo: ... non parlerò più nel suo nome . . . » ) né Paolo ( 1 Cor. 9, 1 6: «Vi sono costretto .. . » ), così neanche Amos viene consultato per sapere se sia d' accor­ do a fungere da strumento divino o se le parole di Dio gli piac­ ciano: egli deve pronunciarle. I racconti delle visioni di Am. 79 mostrano come questa conoscenza sia stata comunicata ad Amos. Ma il v. 8 - che probabilmente una volta, nella fase ora­ le, era un oracolo separato - nel contesto non si limita a signi­ ficare che l'incarico ad Amos avvenne con una costrizione si­ mile al riflesso condizionato della paura all'udire il ruggito del leone. Si tratta del mandato a portare un messaggio di sventu­ ra. 2 0 Il Dio che parla ad Amos e la cui parola egli non può ta­ cere è come il leone che ruggisce sopra la preda (v. 4 ); in que­ sto senso nella città non si verifica alcuna sventura senza di lui (v. 6). Quando egli comincia ad artigliare la preda non resta 19. Riguardo a questo problema cfr. la disamina del versetto in F. Lindstrom, God

and the Origin of Evi/, Lund 1 983, 1 99 ss.

20. Diversamente intende W. Werner (BZAW 1 73), 1 988, 172 ss. il quale interpreta il v. 8 come una verità generale: «Qualunque uomo diventa profeta quando parla Jah­ vé'» (p. I 73).

Am.

J,r-B

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che una sola funzione profetica: «Porta il corno alle labbra ! » (Os. 8, 1 ) . Che trovi o no ascolto, i l compito d'importanza vi­ tale del profeta è di far notare la trappola dell'uccellatore, di annunciare l'attacco del nemico. Amos ha sentito il ruggito del leone (cfr. 1 ,2). egli deve spaventare e scuotere il suo popolo. 7· Tradenti successivi hanno cercato più tardi, successivamente alla distru­

zione di Samaria e anche di Gerusalemme, di trasformare questa giusti­ ficazione che Amos dà di sé in un dogma eternamente vero che, per l a forma prosastica, s i distacca dalla struttura poetica del pensiero e in quan­ to affermazione tetica (in ebraico si ha l'imperfetto invece del perfetto del v. 6) interrompe la catena argomentativa basata sui nessi causa-effet­ to degli interrogativi dei vv. 3 -6.8. Il detto parla la lingua della teologia deutcronomistica.2 1 Importante è la sua collocazione tra i vv. 6 e 8. Il v. 7 conferma con Amos l 'affermazione del v. 6b, che Jahvé è l'ultimo e il solo pericolo per Israele; unisce a questo pensiero le parole di Jahvé ad Amos prese dal v. 8 e generalizza la connessione di entrambe le asser­ zioni: Jahvé non porta mai su Israele una sventura i mprovvisa e, quindi, necessariamente incomprensibile; Jahvé invia regolarmente, prima di pro­ cedere col castigo, i profeti in quanto suoi più stretti collaboratori ( «ser­ vitori», come si legge spesso nella storiografia deuteronomistica; cfr. 2 Reg. I J, I J .2J; 2 1 , 1 0; 24,2) i quali, come Michea ben Imla (1 Reg. 22, 1 9 ss.) e Geremia (/er. 23 , 1 8.22), hanno accesso al «consiglio celeste» di J ahvé e quindi ne conoscono gli intenti e le «decisioni» più riposti (in ebraico entrambi i termini corrispondono a sod). Compito essenziale di questi profeti è quindi di mettere il popolo di Dio in guardia dalla sventura imminente, cioè di sollecitarlo a convertirsi e ravvedersi, giacché soltan­ to ciò può indurre Dio a richiamare la disgrazi a incombente. Il pericolo che minaccia l'Israele colpevole e la volontà di salvare e preservare Israe­ le sono i due lati dell'unico e stesso Dio. Per Israele l a conseguenza è che esso non è ancora perduto quando si rende colpevole verso Dio e verso il prossimo, bensì lo diventa non appena si rifiuti di ascoltare i profeti (cfr. 9, 1 0) o quando vieta di parlare agli inviati di Dio che lo mettono sull'av­ viso (cfr. 2, 1 2).21 Poiché Dio manda sempre profeti prima di agire con la Cfr. W.H. Schmidt, Dtr Redaktion, 1 83 ss. e anche Wolff, ad loc. 22. Per questa visione deuteronomistica dei profeti cfr. l'esposizione esauriente di O.H. Steck, lsrael und das gewaltsame Geschick der Propheten (WMANT 23), 1 967, spec. 6o ss. Le radici di questa concezione affondano nella teologia di Osea; cfr. il mio commento a Os. 6, 5 e, inoltre, Am. 7, 10- 1 7 (quale esempio di un precoce stadio della storia degli effetti del concetto). 21.

mano pesante, Israele è inescusabile quando si rifiuta di ascoltarli. Mettere in luce tale concetto è l 'intento primario del versetto dopo la distruzione di Gerusalemme. ),9-4,3 · Soprusi nella capitale Samaria 9

Fatelo udire sopra i palazzi di Asdod e sopra i palazzi del paese d'Egitto, dite: «Radunatevi sui monti di Samaria osservate i numerosi disordini in essa e gli oppressi 1 in seno ad essa! ». 10 Non sanno agire secondo giustizia - oracolo di Jahvé 1 coloro che accumulano nei loro palazzi violenza e sopruso. 1 1 Perciò il Signore 3 J ahvé ha parlato così: Un nemico 'circonderà' 4 il paese, colui che ti strapperà di dosso la potenza, così che i tuoi palazzi vengano saccheggiati. Così ha detto Jahvé: Come un pastore salva dalle fauci del leone due garretti o un lembo d'orecchio, così verranno salvati gli israeliti che siedono a Samaria sul rialto del divano, contro 'la testi era' s del letto. 13 Ascoltate e avvertite la casa di Giacobbe - oracolo del Signore ]ahvé, il Dio degli eserciti 1 4 che il giorno in cui le farò pagare i delitti d'Israele li vendicherò sugli altari di Bethel, così che i corni dell'altare verranno spaccati e cadranno in terra. 1 5 Colpirò il palazzo d'inverno e la casa d'estate, così che spariranno le dimore d'avorio e finirà i l gran numero di abitazioni - oracolo di J ahvé. 12

·

Oppure plurale astratto (come nella proposizione parallela): «Le oppressioni». In origine l'oracolo di Dio cominciava al v. I 1 con il solenne «messaggio dell'invia­ to» (Botenformel). Una mano successiva ha voluto usare la formula «oracolo di Jah­ vé» o per far derivare direttamente da Jahvé una parola di Amos tràdita oppure per ampliare il testi con una parola di Dio; cfr. la dimostrazione relativa nell'excursus di Wolff sulla formula (BK XIV/2}, 1 74. 3· Mentre al v. 12 il T.M. offre la più antica e breve forma del «messaggio dell'invia­ to», l'aggiunta «il Signore» manca in S nel caso del v. 1 r, in G e S nel caso di 4,2. 4· Cfr. BHS. f· V. il commento. 1.

2.

77 Ascoltate 6 questa parola, voi vacche di Basan, sul monte di Samaria, voi che opprimete i miseri, vessate i poveri, dite ai vostri signori: «Su, fateci portare da bere!». 2 Il Signore 3 J ahvé l'ha giurato per la sua santità: Ecco, vengono su di voi giorni quando vi spingeranno via con pungoli s e le ultime di voi con arpioni. s 3 Allora sarete costrette a passare per le brecce/ una alla volta; verrete sospinte 8 verso l'Hermon 8 - oracolo di J ahvé.

4, 1

S. Mittmann, Amos J, 12- 15 un d das Bett der Samarier. ZDPV 92 ( 1976) 1 49- 1 67; Flei­ scher, Menschenverki:iufer, 80-93 (su 4, 1 -3)· 20 1 -223 (su J,9- I I ) . 246-263 (su J, 1 2- 1 s).

Mentre in J , I s . la parola di Dio era stata riassunta in manie­ ra concisa e in 3 ,3-8 era stata qualitativamente limitata all'ora­ colo di sventura, ora in 3,9-4,3 viene illustrata con esempi. A ta­ le scopo i tradenti di Amos utilizzano una raccolta di tre ora­ coli contro Samaria (3 ,9- 1 1 . 1 2- 1 5 ; 4, 1 -3) ciascuno dei quali con­ tiene il rimprovero di una colpa e l'annuncio di una sventura che colpirà la capitale, ma che, quanto a genere letterario, van­ no nettamente distinti tra loro. Mentre in 3,9- I 1 si fa interve­ nire una corte internazionale a giudicare l'ingiustizia, l'origine del v. 1 2 si colloca chiaramente nell'ambito di una controver­ sia tra profeta e ascoltatori; infine 4, I -3 è diretto in maniera spe­ cifica a una certa fascia di donne. Almeno queste ultime due u­ nità minori risalgono a oracoli pronunciati effettivamente da Amos,9 come si può evincere già dal fatto che essi sono rivol­ ti contro determinati gruppi di persone: i proprietari di abita­ zioni con mobili di avorio (3, 1 2) e donne ricche (4, 1 ). Il conte­ sto non consente tuttavia di restare in questa prospettiva limi­ tata: i singoli oracoli stanno sotto il segno di 3, I -8 (e di 4,6- I 3 ) 6. Per I-alternarsi di forme maschili e femminili in 4, 1-3 cfr. G-K28 § 144a e 1 3 5 0 e il commento. 7· Accusativo del complemento di moto a luogo (G-K111 § I I 8h). 8. Cfr. G (e altre versioni antiche; cfr. BHS). - Barthélemy, Critique, 65 5 s. elenca i tentativi per spiegare la vocalizzazione insolita del T.M. 9· In 3 ,9- 1 I sorprende l'accumulo di termini astratti insolito per il libro di Amos, così che il passo potrebbe anche essere stato redatto come soprascritta per introdurre gli oracoli contro Samaria (Fleischer).

e l'orizzonte abbraccia quindi tutto quanto il popolo di Dio. È difficile decidere la delimitazione delle singole unità. A quanto sembra, per i tradenti 4, 1 -3 ha rappresentato la conclu­ sione delle parole contro Samaria. 10 Infatti 1 . la rampogna con­ tro le donne «che opprimono i miseri» (4, 1 ) costituisce la pa­ rentesi finale che chiude un inciso aperto con la corrisponden­ te parentesi iniziale di 3,9 (accusa formulata con la stessa ter­ minologia); 2. il castigo della deportazione che qui si annuncia (4,3) ribadisce con toni più forti il precedente annuncio di sven­ tura di 3 , 1 1 . 1 5 ; 3 · il successivo oracolo che critica il culto (4,4 s.) ha il suo riscontro soltanto al cap . 5 e non va separato dalla sua continuazione quasi liturgica in 4,6- 1 3 · D'altra parte l'ag­ giunta seriore di un monito (3 , 1 3 s.) col duplice risalto dato al verbo «vendicare, punire» (3, 1 4) va a chiudere un'inclusione iniziata con 3,2 che fa ora apparire 4, 1 come un nuovo inizio, come del resto ha riconosciuto la suddivisione in capitoli (nata solo nel medioevo). Invece, in origine l'invito «ascoltate que­ sta parola ... » di 4,1 non ha introdotto, come 4, I e 5 , 1 , raccolte maggiori, ma soltanto la piccola unità 4, 1 -3 . 1 1 3 ,9- 1 1. Disordini a Samaria. Ricorrendo alla terminologia di una «istruzione per l'araldo» 1 2 il profeta riveste i panni di un re

che manda messaggeri in paesi stranieri, più precisamente nel­ le loro capitali, che sono caratterizzate dai «palazzi», cioè dal­ le maestose costruzioni a più piani fatte senza badare a spese con pietre squadrate, dimora delle classi agiate (cfr. I ,4.7, ecc.). 1 3 10. Così già Wellhausen, a d loc. , la cui posizione fu però trascurata da molti esegeti venuti dopo di lui. 1 1 . Rispetto a J , I e 5 , 1 in 4, 1 manca soprattutto la proposizione relativa che indica soggetto e oggetto della parola in questione; inoltre la nota accusativi e il vocativo fanno capire che si tratta di un gruppo delimitato di persone; cfr. le considerazioni di K. Koch, Amos n, I 07 s. 1 2. Per il genere letterario e la topica cfr. F. Criisemann, Studien zur Formgeschichte von Hymnus und Danklied in Israel (WMANT 3 2), 1 969, 50 ss. 1 3 . Gli scavi di K. Kenyon a Samaria hanno mostrato che la città, protetta da mura, consisteva quasi esclusivamente di edifici governativi, mentre la popolazione abitava

79 Gli abitanti dei paesi stranieri dovrebbero farsi un'opinione di­ retta e a tale scopo radunarsi sui monti intorno a Samaria (non nella città stessa, come legge G, per conformarsi a 4, I e 6, I : «Sul monte di Samaria») che sono separati solo da una pianu­ ra, a tratti stretta, dalla cima arrotondata del monte di Samaria. In questa scena fittizia si tratta di dimostrare la colpa di Sama­ ria, la cui evidenza può essere facilmente accertata anche dal senso internazionale del diritto (cfr. I ,3 ss.). Se vengono citati a comparire due specifici testimoni come Asdod (G: «Assur», quale usuale parallelo alla grande potenza egiziana) e l'Egitto, ciò è dovuto, verosimilmente, agli splendidi palazzi ornamen­ to di quei paesi o forse anche, ironicamente, al fatto che si trat­ ta di due veri esperti di oppressione (Rudolph), in ogni caso alla loro competenza di giudizio (Asdod quale rappresentante di un popolo confinante, l'Egitto in rappresentanza delle gran­ di potenze ?). Ciò che tutti questi occhi vedranno sono «disor­ dini», «turbolenze», che per Prov. I 5 , I 6 costituiscono l' oppo­ sto del timore di Jahvé (nel passo analogo di Prov. I 6,8 l'op­ posto è «l'ingiustizia»). Queste «confusioni» scaturiscono dal fatto che a Samaria si è perso il senso comune di «ciò che è giusto» (cfr. l'antitesi tra «non sanno ... » e «voi soltanto ho co­ nosciuto» del v. 2; in entrambi i casi si ha il verbo jd'). Amos ricorre a termini sapienziali per mettere in risalto la palese evi­ denza di reati contro la giustizia che possono venire colti an­ che senza conoscere tradizioni specificamente bibliche del di­ ritto. Chi soffre di questa situazione sono i poveri e gli oppres­ si. Essi sono vittime di una duplice violenza: /:Jamas, «brutali­ tà», è in origine specificamente «l'atto di violenza che spegne la vita» - chiunque oda il grido di aiuto /:Jamas di chi corre il pericolo di venire ucciso è obbligato a correre in soccorso 1 4 -; sul declivio della collina su cui si ergeva la città stessa (K. Kenyon, Royal Cities in the Old Testament, London 1 97 1 , 82). 14. Oltre i lessici cfr. in particolare R. Knierim, Studien zur israelitischen Rechts- und Kulturgeschichte, 1. cht' und chms, diss. , Heidelberg 1 9 5 7, 1 2 5 ss.: 1 4 5 ; I.L. Seeligmann, in Fs. W. Baumgartner {VT Suppl. r 6), 1 967, 2 5 1 ss., spec. 257 ss. Il documento sacer­ dotale giustifica con questo termine la venuta del diluvio (Gen. 6, 1 1 - 1 3).

8o sod, «oppressione», significa in senso proprio la devastazio­

ne di un territorio, ma in Amos «la violenza esercitata sui beni e sulla proprietà». 1 5 Associando i due termini Amos ha fatto scuola per i successori: cfr. ler. 6,7; 2o,8; Abac. I ,3; 2, I 7; Ezech. 4 5 ,9; fs. 6o, I 8, ecc. - MaJahvé porrà fine a questi comportamen­ ti mediante l'intervento di un nemico nelle cui mani cadranno le ricchezze accumulate con simili sistemi. Amos non parla ancora concretamente degli assiri, che cominciano a costruire il proprio impero poco dopo l'inizio del ministero del profeta. Molto più importante dell'identità del nemico è che Israele verrà privato della sovranità politica e diventerà territorio oc­ cupato; ancora più importante è che i palazzi - il termine te­ matico della pericope (vv. 9a. Iob. I I b) - diventeranno, in quan­ to punto d'origine della colpa, il luogo di esecuzione della pena. 3, 1 2- 1 5· Discussione su una possibilità di scampo. In 3, 1 2- 1 5

seguono due oracoli nei quali si considerano le possibilità che rimangono ai colpevoli per sfuggire all'annientamento. Le due parole giungono a conclusioni completamente diverse. Ciò di­ pende dal fatto che la parola più recente (vv. 1 3 s.) vuole tra­ sferire la parola di Amos più antica (vv. I 2. I 5 ) in una situazio­ ne storica che, passati circa duecent'anni, è fondamentalmente mutata: il periodo successivo alla caduta di Gerusalemme (v. introduzione). La parola più recente è inserita all'interno del­ l' oracolo primitivo che la racchiude come tra parentesi; la col­ locazione mostra che nonostante la distanza cronologica la nuova parola vuole essere compresa sempre nell'ambito del­ l'autorità profetica di Amos. 1 2.. Per mandato di J ahvé l'antico oracolo di Amos aveva nega­ to ai destinatari, senza mezzi termini, la possibilità di sottrarsi alla sventura annunciata. Esso si apre col «messaggio dell'in­ viato» e una similitudine attentamente formulata nella quale il 1 5.

Seeligmann, op. cit. (sopra, n. 14), 2 5 7.

81

paragone e il significato sono di pari lunghezza. 1 6 La compar­ sa affatto inattesa del termine tematico «salvezza» e del para­ gone successivo inteso a spiegarlo fanno vedere come si sia sintetizzata una disputa tra Amos e i suoi oppositori nel corso della quale costoro avevano rifiutato la parola di Dio portata da Amos facendo riferimento ad argomenti come l'elezione di Israele (v. 2) e l'intervento « salvifico» di J ahvé nei momenti di grave pericolo bellico ai primordi d'Israele. Dio è per natura aiuto e sostegno dei suoi, non il loro distruttore: questo è il fermo convincimento degli avversari di Amos. Per mandato di­ vino, il profeta risponde a questa sicumera circa la salvezza con amaro sarcasmo, citando un esempio tratto dal diritto pastori­ zio secondo il quale un pastore, nel caso di perdita di una pe­ cora per l'attacco di una fiera, deve provare di aver badato con attenzione al gregge mostrando brandelli dell'animale ucciso (Ex. 22,9- 1 2; cfr. Gen. J I ,J9)· In caso contrario deve risarcire il padrone del gregge. La «salvezza» di una piccola parte del corpo qui non è altro che la prova dell'impossibilità di evitare la morte dell'animale. Letta nel contesto dei vv. 3 -8, l'immagi­ ne significa, allo stesso tempo, che i lettori della parola profe­ tica devono capire che il Dio, sull'aiuto automatico del quale essi contano, ora è egli stesso il leone che sbrana e uccide. A dir il v�ro, proprio a proposito del v. I 2 si deve osservare che il profeta non parla, come nelle visioni, della distruzione del popolo di Dio nella sua totalità (così il contesto; cfr. gli «israeliti» ai vv . I e I 2). Perduti senza scampo sono princi­ palmente, per Amos, soprattutto i ricchi della capitale, che de­ vono il lusso in cui vivono all'oppressione dei poveri (v. I o; 4, I ) oppure ne godono senza preoccuparsi del destino di co­ storo e completamente indifferenti a esso ( 6,6). Amos, dun­ que, nell'oracolo isolato poteva fare una chiara distinzione tra colpevoli e vittime. I letti del v. I 2b, come il numero delle case 1 6. Questo particolare viene trascurato da tutti quegli autori che collegano il vocativo finale col v. r 3 (Gressmann, Weiser, Amsler), cosa che del resto è impossibile anche per il contenuto (v. sotto, al v. 1 3).

al v.

I 5 e le libagioni delle donne in 4, I, rappresentano, quali pars pro toto, le chiassose feste descritte con maggiori partico­ lari in 6, I -7. La terminologia relativa ai singoli mobili non è

già più capita dai copisti seriori del testo ed è stata tramandata in maniera errata. 17 In tempi più recenti i termini sono stati notevolmente chiariti da S. Mittmann grazie al contributo del materiale archeologico (letti assiri ed egiziani coevi). Ripren­ dendo la congettura b edabbeset, «gobba di cammello», che ri­ sale a B. Duhm, Mittmann sostiene che «spalliera» e «testiera (a forma di gobba)» indicano le due possibilità di sedersi sui due lati più stretti di un letto, dei quali il primo era costituito da un rialzo fisso e arrotondato (testiera) del letto, mentre il secon­ do era un cuscino che si poteva spostare. 18 Come mostra Mitt­ mann, gran parte di questi letti poggiava su gambe a forma di zampe di leone oppure erano adorni di protomi leonine o di raffigurazioni di leoni a simboleggiare protezione e sicurezza.

1 5. Il lusso della classe dominante finirà quando Dio distrug­ gerà Samaria per mezzo del nemico. Nel v. 1 5 si ha per ben quattro volte la parola tematica «casa» . Per quanto riguarda il v. I 5 a si è stati spesso incerti se «casa invernale e casa estiva» siano zone diverse del medesimo edificio (un pianoterra riscal­ dabile, un piano superiore più ventilato) oppure due costru­ zioni diverse. Il contenuto e la terminologia sono a favore di quest'ultima probabilità; già il re Achab aveva una reggia in­ vernale nella calda piana di Jizreel ( 1 Reg. 2 I , I ) oltre la reggia 17. Il T.M. pensa, forse anacronisticamente, al damasco (cfr. l'arabo dimaqs, «seta»), che però non è attestato prima dell'epoca islamica; G e altre versioni pensano, erro­ neamente, alla città di Damasco. 1 8. S. Mittmann, op. cit. , 1 49- 167. Interessante per Am. 3 , 1 2 è soprattutto la fig. 2 do­ ve su una raffigurazione veteroiranica (del x secolo?) due sposi siedono, uno di fronte all'altro, ai due lati minori del letto, separati da un tavolinetto (posto sul letto !) sul quale sono posti cibi e bevande, circondati da musici. - Sostanzialmente a un risulta­ to simile a quello di Mittmann era giunto dieci anni prima H. Gese: VT 1 2 ( 1 962) 427-432, leggendo 'ameiet e facendo derivare questo termine, quale prestito dall'ac­ cadico, da amar(t)ufamaitu, «testiera» (lato della testa); ma cfr. le considerazioni cri­ tiche di Mittmann, op. cit. , 1 s 2 ss.

di Samaria ( 1 Reg. 2 1 , 1 8); inoltre, dall'iscrizione su una stele (datata circa trent'anni dopo Amos) del re Bar-Rakib di Sam­ 'al nella Siria settentrionale si apprende che per un re di un pic­ colo stato sarebbe stato disdicevole non possedere una resi­ denza estiva oltre la reggia invernale. 1 9 Il v. 1 5 presuppone che le classi agiate di Samaria siano state liete di seguire i re in que­ sta opinione. Lo stesso vale per l'arredamento degli interni. Gli scavi archeologici nel quartiere reale di Samaria hanno portato alla luce grandi quantità di ricoperture, intarsi e piastre d'avo­ rio per i mobili, segno di un lusso estremo (cfr. 6,4).20 Per la «quantità di case» {letteralmente: «Le molte case») bisogna con­ frontare la medesima espressione in /s. 5 ,8 s. dove si descrive come il moltiplicarsi delle case e dei terreni di proprietà dei ricchi nella capitale presupponga l'espropriazione dei piccoli coltivatori e commercianti. 1 3- 14. Del tutto diversa è P intenzione dei vv. I 3 s. che, nonostante la for­ mula iniziale (v. I 2 ) del «messaggio dell'inviato», vengono identificati co­ me parola di Jahvé mediante una formula ancora più solenne.2 1 Con que­ sti versetti i lettori vengono scossi mediante l'urgenza dell'ultima ora da­ vanti alla catastrofe imminente. Un gruppo innominato di persone viene sollecitato a «mettere in guardia» la «casa di Giacobbe». Entrambi i ter­ mini escludono la spiegazione usuale, che gli imperativi siano diretti (co­ me al v. 9); agli abitanti dei palazzi di Asdod e dell'Egitto. Come hanno dimostrato nuovi studi, il verbo 'w d h i fil (con la preposizione b) non si­ gnifica «testimoniare», come si è generalmente tradotto in passato, bensì «ingiungere», «ammonire» o «avvisare (minacciando )». 11 Si tratta di un

19. Cfr. KAI I, testo 2 1 6, righe 16-20 e il commento relativo in KAI II, 233 s. 20. Una selezione rappresentativa è offerta, ad es., da A. Parrot, Samaria, die Haupt­ stadt des Reiches lsrael. Bibel und Archaologie III, 1957, 49- 5 7; K. Kenyon, Royal Cities of the O/d Testament, 197 1 , 71 ss., spec. 83 -89; BRL\ 67-72. 2 1 . Il predicato «Jahvé, (il) Dio degli eserciti» ricorre con una frequenza insolita nel libro di Amos (ben 8 sulle 1 8 volte di tutto l'Antico Testamento) e precisamente, an­ che altrove, associato soprattutto (come in 3, 1 3 ) a formule di contorno come «così di­

ce Jahvé» e «oracolo di Jahvé»; cfr. per la questione specifica l'excursus di H. Wolff, 3 32-3 34. Presumibilmente questo titolo riflette la lettura del libro di Amos nel culto dell'età postesilica e anticipa la solenne conclusione della prima dossologia di giudi­ zio in 4, 1 3b� con la quale condivide la polemica contro Bethel (cfr. v . 14 ) . 22. Dibattuta è tuttavia l'etimologia del verbo; cfr. da un lato I.L. Seeligmann, Zur

verbo che nella stragrande maggioranza dei casi è tipico della teologia deu­ teronomistica e da qui passato poi, in seguito, nella teologia cronachisti­ ca.13 «Avvertimento» indica lì per lo più il modo i n cui Jahvé - preva­ lentemente mediante i suoi profeti - cerca di riportare alla ragi one il po­ polo colpevole in vista di un imminente castigo; tenta, cioè, di farlo con­ vertire dalle sue «vie malvagie», che a loro volta sono dovute alla disub­ bidienza verso la volontà di J ahvé tramandata e «ingiunta» sempre di nuovo. Questo uso linguistico ha probabilmente origine nel culto, in par­ ticolare nel culto dell 'epoca deuteronomica e deuteronomistica, uso del quale sono testimonianza, nei salmi festivi, la predica di ammonimento o di ravvedimento di leviti o profeti.14 In due di questi salmi questo ti­ po di predica viene introdotto, a nome di Dio, con queste parole: «A­ scolta, popolo mio, voglio ammonirti/avvisarti ('wd hi:fil)» (Ps. 5 0,7; 8 r , 8), prima di passare a parlare della disubbidienza del popolo. Evidente­ mente A m. 3, I 3 si riallaccia a tale uso linguistico del culto nel quale i ver­ bi «ascoltare» e «avvisare» sono gi à saldamente associati, con la diffe­ renza che nei salmi «ascoltare» ha per soggetto il popolo e «avvisare» Dio, mentre in A m. 3, I 3 si spera che entrambe le azioni vengano com­ piute dall e medesime persone. Ciò può soltanto significare che ogni sin­ golo membro del popolo di Dio al quale, mediante la parola di Amos e l'esperienza della fine del regno del Nord e del regno di Giuda, si sono aperti gli occhi sulla colpa d'Israele, è invitato a chiamare a penitenza i propri contemporanei, richiamandosi all'ufficio di sentinella del profeta (v. 6a). Il tema del contesto è appunto l'impossibilità della salvezza! Per­ ché questi sopravvissuti si chiamino «casa di Giacobbe» lo mostra più avanti Am. 9,8- I o: è una designazione della nuova comunità che grazie ali ' ascolto costante della parola di Dio portata da Amos ha rinunciato, do­ po l'esilio, alle tentazioni del potere politico.25 In questo senso i lettori del libro di Amos devono diventare prima «casa di Giacobbe». Ma inoltre devono imparare anche dalla sorte di Bethel. La minaccia Terminologie fur das Gerichtsverfahren, in Fs. W. Baumgartner (VT Suppl. 16), 1967, 25 1 -278; 265 s.; dall'altro O.H. Steck, lsrael und das gewaltsame Geschick der pro­ pheten (WMANT 23}, 1967, 69 s. n. 2; infine T. Veijola, Zur Ableitung und Bedeu­ tung von he'id l im Hebriiischen: UF 8 (1 976) 343-3 5 1 (con bi bl. } ; C. van Leeuwen, THAT n, 209-22 1 : 2 1 6 s. (= DTAT n, 190-200: 1 93 s.); H. Simian-Yofre: ThWAT v, 1 986, 1 1 07- 1 1 28. 1 1 23- 1 1 2 5 . 2 3 . Basti cfr. Deut. 8 , 1 9; 32.46; 1 Sam. 8,9; 2 Reg. 1 7, 1 3 . 1 5 ; /er. 1 1 ,7 e anche Nehem. 9,26.29. 30. 34; 2 Chron. 24, 19 . .2.4.

Per le attestazioni specifiche circa la datazione e il predicatore cfr. J. Jeremias,

Kultprophetie, 1 2 5 - 1 27. 25. V. sotto, a 9,8-10 e cfr. il più esauriente saggio di J. Jeremi as, Jakob im Amosbuch, in Hosea und Amos, 2 5 7 ss. (su J , I J : 268-270).

con la quale i predicatori dei vv. I 3 s. danno forza al loro avvertimento in un costrutto molto contorto (Marti) si riferisce sostanzialmente all'ul­ tima visione di Amos (Am. 9, I ) , linguisticamente (col duplice uso del verbo «vendicare») alla sentenza temati ca dei tradenti in 3,2 e stilisti ca­ mente {proposizione consecutiva con cambio di soggetto) agli annunci di sventura dei vv. 1 rh e I 5 b. Negli oracoli che risalgono a lui, Amos ha sempre chiamato per nome Bethel soltanto insieme a Gilgal (4,4; 5 , 5 ). Per i redattori posteriori a Bethel è sempre associata la colpa più grave immaginabile («il crimine d'Israele» come in 2,6-8), in quanto lì fu pro­ nunciato il divieto di profetizzare (7, 1 0- 1 7) e avvenne - reato ancora peggiore - il «peccato di Geroboamo», cioè lo scambio di Jahvé col vi­ tello (cfr. l'excursus a Os. 8,4-6). Perciò comincia a Bethel l'attuazione della «vendetta» divina di cui parl a 3,2. 2 6 L'altare distrutto e sconsacra­ to dal re Giosia (2 Reg. 2 3 ,4. 1 5 ), che non poté più ritornare a essere luo­ go di asilo e di rifugio sotto la protezione di J ahvé, è, come il terremoto ( I , I ), prova conclusiva della verità della parola di Dio proclamata da Amos e, quindi, anche dell 'annuncio della sventura per la generazione successiva se non permette di venire chiamata al ravvedimento. La quin­ ta visione, che con la distruzione del tempio preannuncia la fine di ogni relazione d'Israele con Dio, è diventata in parte realtà nella distruzione di Bethel e di Gerusalemme; diventerà totalmente reale se la «casa di Giacobbe» non accetterà, una volta per tutte, l'avvertimento che viene dal messaggio profetico. 4,1 - 3 . Contro le donne dell'alta società. 4, 1 -3 costituisce un

oracolo di giudizio completo in sé, redatto in prosa aulica, che rispecc� ia il discorso orale in maniera più diretta della maggior parte delle altre parole del profeta raccolte nel libro di Amos. L'oracolo conclude la composizione {3,9-4,3 ) in virtù del se­ vero annuncio del castigo. Inoltre esso collega le accuse dell' op­ pressione {3 ,9- 1 1 ) e del lusso {J, I 2. I 5 ) degli oracoli precedenti. Amos insulta le signore dell'alta società della capitale con un termine («vacche di Basan») nel quale si è voluto leggere, a torto, passando per l'ugaritico btn, «serpente», (oppure per Ps. 68, 1 6 s.) un significato mitologico profondo, 2 7 ma che invece 2.6. L'espressione «il giorno nel quale vendicherò .. . » ricorre soltanto nel contesto dell'esilio (Ex. 32,34; Ier. 27,22; cfr. Ier. 32, 5). 27. Ciò vale anche per la prudente ipotesi di K. Koch, Amos n, 23 e Die Propheten 1, 58 s., che si tratti di una autodenominazione cultuale delle donne in quanto adoratrici

86 descrive efficacemente il fatto che esse sono nutrite a sazietà. L'altopiano di Basan (altezza 5 0o-6oo metri), a est del Lago di Gennezaret (oggi en-Nuqra in territorio siriano; ma probabil­ mente la zona comprende anche le alture del Golan) 1 8 è un terreno di pascolo estremamente fertile per il suolo basaltico decomposto dagli agenti atmosferici, famoso per il «bestiame da ingrasso» (Ex. 39, 1 8 ; Deut. 3 2, 1 4) e per i tori possenti (Ps. 22, 1 3 ). In realtà ad Amos non interessa molto la manifestazio­ ne esteriore della vitalità, neanche lo sfarzo appariscente quale espressione di vanità e arroganza (che invece Isaia rimprovera alle donne di Gerusalemme: /s. 3, 1 6 s. 24), bensì il godersi egoi­ sticamente la vita con il continuo bisogno di feste costose («be­ re» vino è, come i letti di 3 , 1 2b, una sineddoche per indicare simili feste, descritte più ampiamente in 6,4-6). Questi conti­ nui festeggiamenti ingoiavano molto denaro che a sua volta doveva venire procurato sfruttando i poveri delle classi infe­ riori. Forse l'insolito termine «signori» è usato ironicamente per significare i mariti di siffatte dame (Rudolph) oppure si tratta (a motivo dei suffissi maschili) dei signori degli sfruttati (Fleischer); ad ogni modo sono le donne a decidere la misura delle feste e delle orge. 'sq, «opprimere» può significare sia lo sfruttamento dell'insolvibilità sia la concussione, mentre rss, · «vessare», in origine designa la rottura di una canna o di un b �­ stone. Proprio quest'ultimo verbo fa capire che per Amos non si tratta del singolo sopruso, bensì della distruzione dell' esisten­ za di intere famiglie. Soltanto in quest'ottica si capisce la du­ rezza della punizione divina. La forma stilistica del giuramen­ to di Dio per se stesso 19 in tutto il profetismo preesilico s'indel «toro di Samaria» (Os. 8,5 s.). Koch introduce nel libro di Amos idee di Osea. Per quanto riguarda l'interpretazione cultuale di Barstad (Polemics, 37 ss.), eccessiva ed estranea al testo, Fleischer, op. cit. , 86-88, ha detto quello che andava detto. - Una chiara e sobria interpretazione dell'immagine è offerta da H. Weippert, A mos, 10 s. 28. Cfr. M. Noth, Die Welt des Alten Testaments, 4 1 962, 5 7· 2.9. Così in Gen. 22,16; fs. o�f.5,23; fer. 22,5; 49, 1 3 . Altre formule: «per la sua vita» (Am. 6,8; fs. 5 1,14); «per la sua santità» (A m. 4,2; Ps. 8 9 ,3 6); «per la sua destra» (fs. 62,8); «per il suo grande nome» (/er. 44,26).

contra, oltre che in Amos (4,2; 6,8; cfr. 8,7 ), soltanto in Isaia (5 ,9; 22, 1 4; cfr. 14,24); essa sottolinea - in maniera similare a quanto si ha negli oracoli contro le nazioni («non posso revo­ carlo»: 1 ,3 ; 2,6, ecc.) e nei racconti delle visioni («non posso più passargli [ a Israele] sopra»: 7,8; 8,2) - la fondamentale impossibilità di una revoca del giudizio. Come in 4,2 anche in Am. 6,8 il giuramento divino è associato ai festini dei samari­ tani abbienti e all'annuncio della deportazione. H. W. Wolff, ad loc. , ha fatto notare che nella letteratura deuteronomistica, vi­ ceversa, la promessa della terra viene confermata da Dio con un giuramento (Deut. 6, r o. r 8 .23, ecc.; cfr. Gen. 24,7; Ex. 1 3 , 5 , ecc.), ma ha avanzato giustamente l'ipotesi, in verità, che tale uso linguistico sia più recente di Amos.30 Tuttavia il contrasto fra i due contesti del giuramento divino fa cogliere la quasi in­ sopportabile durezza dell'annuncio del castigo: la predizione di un'imminente deportazione significa la revoca della promes­ sa fatta ai padri! Il genere letterario del giuramento divino nel contesto dell'annuncio dell'esilio fa capire al lettore (con l'uso del pronome maschile «voi») che insieme alle donne ricche, cui era rivolto l'oracolo pronunciato da Amos, tutte le perso­ ne agiate di Samaria (6,7), anzi tutto quanto Israele ( 5 ,27; cfr. 8,2) hanno cessato di essere, una volta per tutte, il popolo di Dio. Il v. 2b mette dapprima in evidenza l'orrore della depor­ tazioné restando nell'immagine del v. 1 («vacche di Basan» ): le donne possono ritenersi ancora fortunate se vengono punte soltanto da dietro, come il bestiame, con la punta di un pu n ­ golo per i buoi; 3 1 chi tra di loro non si sbriga viene trattata con «spine per pesci», cioè viene trascinata via con attrezzi da pe=

30. Cfr. in merito l'analisi esauriente di L. Perlitt, Bundestheologie im Alten Testa­ ment (WMANT 36), 1 969, 62 ss. 3 1 . Letteralmente: spine (artificiali) (Marti, Rudolph; cfr. G-K38 § 87o). - Talora si è anche cercato di derivare �en dali , accadi co #nnatu (S.J. Schwantes: ZAW 79 [ I 96 7] 8 2 s.; Wolff, ad loc.), così che le donne sarebbero «trascinate via legate con funi»; tutta­ via il parallelismo favorisce la lettura •spina, pungolo» (Prov. 22,5) e la nasiera di cor­ da in accadico si chiama solitamente �erretu (cfr. HAL, s. v. e S.M. Paul: JBL 97 [ 1 978] I 84 s. ).

88 sca (così l'interpretazione più comune) o - cosa più probabile - strattonata con arpioni (così Wolff, Rudolph). Il v. 3 abban­ dona l'immagine e si colloca nella situazione di una città con­ quistata: attraverso le brecce aperte nelle sue mura le donne prese prigioniere e isolate una dall'altra passano «gettate via» come di solito si fa con i cadaveri (8,3), una massa umana di­ sprezzata. La meta della deportazione viene indicata in manie­ ra molto approssimativa con «verso l'Hermon», cioè in dire­ zione della montagna più alta (m 2 8oo) dell'odierno Israele, visibile da molto lontano.32 La colonna s'incammina in dire­ zione nord-est, verso il territorio degli aramei (5 ,27) o verso la Mesopotamia. 4,4- 1 3 . 4

Il ritorno negato

Venite a Bethel - per commettere delitti, 1 a Gilgal - per moltiplicare ancora i crimini ! 1 Offrite la mattina le vostre vittime, il terzo giorno le vostre decime; fate salire il fumo della massa di lievito in sacrificio di grazie, 1 decantate le offerte volontarie, il più forte possibile: 1 poiché è propri o questo che piace a voi, lsraeliti - oracolo del Signore 3 Jahvé.

6 Perciò, a mia volta, vi ho dato denti puliti in tutte le vostre città 7

e mancanza di pane in tutte le vostre località: ma voi non siete ritornati a me - oracolo di ]ahvé. Così, a mia volta, vi ho negato la pioggia, quando mancavano ancora tre mesi al raccolto, anzi ho fatto piovere su una città 4 e non sull'altra;

3 2. Numerosi interpreti antichi pensano che invece dell'Hermon si tratti delle «mon­ tagne dell' Armenia»; cfr. Barthélemy, Critique, 654 s. 1 . Quando in ebraico si susseguono due imperativi sindetici il secondo assume spesso valore consecutivo o anche finale; cfr. 5 ,4 e G-K18 § 1 1 of. 2. Imperativi collegati per asindeto come anche (all'inizio del v. s ) un infinito assolu­ to con la medesima funzione esprimono fretta, severità, inesorabilità; cfr., ad es., A. Weiser, Profetie, 1 62. 3· V. sopra, a 1,8. 4· Il perfetto al v. 7aa. menziona sommariamente i dati di fatto mentre gli iterativi nei vv. 7af3b e Sa indicano le circostanze più precise o le conseguenze; cfr. G-K 18 § 1 1 2h. Lo stesso vale per il v. 9·

·

··. un campo ricevette la pioggia, ma quello che non la ricevette 5 inaridì. 8 Allora due, tre città andarono barcollando a un 'altra città, per bere acqua, ma senza soddisfare la sete; ma voi non siete ritornati a me - oracolo di]ahvé. 9 Vi ho colpiti con il carbone e la carie del grano, 'ho fatto seccare' 6 i vostri giardini e vigneti, la locusta ha divorati i vostri fichi e ulivi: ma voi non siete ritornati a me - oracolo di ]ahvé. 10 Ho mandato in mezzo a voi una pestilenza come contro l'Egitto/ ho ucciso con la spada i vostri g iovani, i vostri cavalli sono diventati bottino di guerra; vi ho fatto salire nel naso il fetore dei vostri accampamenti: ma non siete ritornati a me - oracolo di]ahvé. 1 x Ho provocato nel vostro mezzo un crollo, come Dio fece crollare So doma e Gomorra, così siete diventati come legno strappato al fuoco: ma non siete ritornati a me - oracolo dijahvé. 12 Perciò agirò (proprio) così con te, Israele! poiché io ti farò questo, sii pronto a incontrare il tuo Dio, Israele! 13 Sì, ecco: colui che forma le montagne 8 e crea il vento, che fa conoscere all'uomo quale sia il proprio disegno;' colui che rende notte l'alba 1 0 e cammina sulle alture della terra: ]ahvé, Dio degli eserciti, è il suo nome!

3• pe�s. femm. con valore di neutro (Wolff, Rudolph}; cfr. G-K28 § 144c. 6. T.M.: «(colpii ... ) più volte» oppure «(colpii) la massa (dei vostri giardini ... )•; si tratta probabilmente di un errore di scrittura («il carbone del grano» mal si adatta a giardini e vigneti) per heberabti (Wellhausen) oppure berabti (van Hoonacker), «feci seccare» . 7· Letteralmente: «alla maniera dell'Egitto», sicuramente una locuzione proverbiale; cfr. da un lato fs. 1 0,24.26; dall'altro Deut. 28,27.60. 8. Una variante (che facilita la comprensione del testo) che non è attestata da alcuna altra versione antica è offerta da G: «Colui che forma il tuono». 9 · L'hapax lego meno n feb è probabilmente una forma secondaria del più comune sib (Robinson, Rudolph). Forse in questo modo si vuole differenziare terminologica­ mente il disegno divino dai disegni umani (W olff). I o. Alcuni manoscritti ebraici e G leggono: «Colui che fa l'alba e la tenebra», forse per influenza di s, 8. J·

W. Brueggemann, Amos IV 4-13 and lsrael's C()7)enant Worship: VT 1 5 ( 1 965) 1 - 1 5; Jeremias, Die Mitte des Amosbuches (Am. 4,4-13; J, I- IJ), in Hosea u. Amos, I98-2 1 3.

Contrariamente a quanto avviene di solito nel libro di Amos, la grande sezione 4,4- 1 3 segue senza soluzione di continuità, cioè senza alcuna formula di transizione, la raccolta degli ora­ coli contro Samaria (3 ,9-4,3) che, a sua volta, si era conclusa con un finale di grande efficacia (4,2 s.). D'altra parte l'unità 4, 4- 1 3 si distingue nettamente da quella precedente sia per la for­ ma (gli imperativi iniziali) sia per il tema {la critica del culto, che altrimenti non compare prima del cap. 5 ) . I passi che pre­ sentano la maggiore analogia col nostro - 8,(3)4 ss. e 9, 7 ss. suggeriscono che in 4,4- 1 3 si abbia la continuazione di un con­ testo letterario più antico (3, 1 -4,3 ). Questo seguito scritto e aggiunto in un secondo tempo è di estrema importanza per la comprensione del libro di Amos nella sua redazione finale. Sotto l'aspetto della storia delle forme, Am. 4,4- 1 3 è com­ posto di due parti che vanno nettamente separate: la prima è un ironico invito al pellegrinaggio (vv. 4 s.) che risale diretta­ mente ad Amos stesso; la seconda è una liturgia penitenziale in sei strofe databile, come sembra più probabile, all'epoca del­ l' esilio, o forse anche alla prima età postesilica. Comunque sia, nel testo attuale le due parti formano un'unità letteraria inscin­ dibile, giacché la liturgia penitenziale si apre con una locuzio­ ne avversativa («a mia volta. .. ) che rimanda all'oracolo di Amos («è proprio questo che piace a voi.. . ) al quale dunque il passo in questione si riallaccia esplicitamente. La parola di A m. 4,4 s. è pensabile quale unità retorica in origine autono­ ma, e verosimilmente lo era, mentre la liturgia di 4,6 ss. non lo è né per la forma né per il contenuto perché è oggettivamente necessario un riferimento a una grave colpa precedente il v. 6. »

» ,

ÀJ,4- 5 · Un pellegrinaggio per rinsaldare i peccati. Con

Am.

4,4 s. nel libro di Amos si apre un tema completamente nuovo che verrà continuato nel cap. 5 : la colpa nel culto. (Pertanto nella redazione originale del libro di Amos l'oracolo di 4,4 s.

potrebbe aver fatto parte del cap. 5 , tanto più che il testo con­ tiene soltanto l'elemento dell'accusa, ma non quello dell'an­ nuncio del castigo né di una ingiunzione positiva). Col nuovo tema il discorso non è rivolto più a singoli gruppi della capita­ le come in 3 ,9-4,3, bensì, come nella parola tematica di J , I s., all'intero popolo di Dio apostrofato con un «voi, israeliti» (v. 5 h). In 4,4- 5 il profeta riveste i panni di un sacerdote che col termine tecnico bo ' u («venite a... », «entrate in ... ») invita al pel­ legrinaggio in nome di Dio (cfr. Ps. 95 ,6; 96,8; I oo,2.4; /s. I , I 2, ecc.). Il seguito dell'invito, nella sua forma usuale e completa, prevede che il sacerdote indichi quale fine e scopo del pellegri­ naggio la lode di Dio e l'omaggio a lui, spieghi con altri impe­ rativi (che espongono a grandi linee lo svolgimento del culto) l'appello al pellegrinaggio e, infine, giustifichi le esortazioni con la volontà di J ahvé. Con amaro sarcasmo, Amos ha trasfor­ mato tutte e tre le fasi formali seguenti l'invito al pellegrinag­ gio, soprattutto, e nella maniera più incisiva, la prima. «Delit­ ti, crimini», la parola più dura e comparativamente più rara del­ l' Antico Testamento per indicare un reato commesso contro persone (v. sopra, a 1 ,3), designa il fine del culto. La scelta di questo termine preso dalla sfera del diritto chiarisce che Amos non considera «crimini» né il culto in sé né particolari atti re­ lativi alla sua celebrazione, bensì l'acquietamento delle coscien­ ze 9rodotto dal pellegrinaggio, così che nella vita quotidiana si possa beatamente continuare ad agire per il profitto personale. Questo giudizio astrae da quale dei due famosi e celebrati san­ tuari storici si ti nella regione meridionale del regno del Nord venga qui indicato come meta del pellegrinaggio: se Bethel (burg betin, I 8 km a nord di Gerusalemme), il santuario cen­ trale del regno e culla della tradizione di Giacobbe (Gen. 28, I o ss.; 3 5) oppure Gilgal, nella fossa del Giordano {presso bir­ bet el-mefgir, 2 km a nord di Gerico), il luogo della comme­ morazione della conquista del paese (/os. 3 s.). La seconda fase II

I I. Cfr. J. Begrich, Die priesterliche Tora ( 1936), in Ges. St. , 1 964, 232 ss., spec. 247.

·formale viene variata da Amos che aggiunge agli atti di culto il suffisso pronominale della 23 pers. pl.: «le vostre vittime sacri­ fìcali», «le vostre decime». Il culto è ormai fine a se stesso e viene celebrato per stare in pace con se stessi; non tocca più Jahvé, non crea più alcuna comunione con lui. I singoli termi­ ni cultuali rappresentano tutto quanto il culto relativo al pelle­ grinaggio nel suo complesso e non denotano, ad esempio, sin­ goli atti rituali che il profeta possa ritenere particolarmente cri­ ticabili. In maniera abbastanza clamorosa il giudaita Amos non menziona neanche con una sola parola il vitello di Bethel che per l'israelita Osea, poco più giovane di lui, è un abominio. Gli animali sgozzati quali «vittime sacrificali», il tipo di sacrificio più comune all'epoca, erano estremamente graditi perché for­ nivano la carne necessaria al banchetto festivo (cfr. O s. 8 , 1 3 ; 4, 1 3 ) ; con questi sacrifici s i cominciava il culto i l mattino del giorno successivo all'arrivo. Le «decime» da consegnare carat­ terizzavano il giorno seguente, «il terzo», che probabilmente costituiva l'apice della festa, se è lecito prendere a metro di giudizio Ex. I 9, I 1 . I 5 . Secondo Gen. 28,22 l'offerta delle deci­ me a Bethel risale già a Giacobbe; stando alla più antica norma di Deut. 14,22 le decime consistevano in prodotti della campa­ ·gna, cui vennero aggiunti, in seguito, anche olio e vino (Deut. 1 2, 1 7; I 4,23), utilizzati anche questi per il banchetto della fe­ ·s ta. 11 I «sacrifici fumanti» sono costantemente associati da Osea, il contemporaneo di Amos, al culto alieno di Baal cele­ brato sulle alture (Os. 2, 1 5 ; 4, 1 3 ; 1 1 ,2); invece Amos stesso im­ piega il termine in maniera neutrale collegandolo all'offerta di ringraziamento, 13 la risposta a un atto di salvezza o di prote1 2 . Come avveniva per gli olocausti, così anche parte delle decime andava probabil­ mente ai sacerdoti: cfr. Deut. I 8,4 e sull'argomento O. Eissfeldt, Erstlinge und Zehn­ ten im Alten Testament (BWAT 22 ) , I 9 I 7, 40 s. 50 s.; W.H. Schmidt, Zehnten: RGGJ VI, I 878. Per la storia delle decime cfr. F. Criisemann, Der Zehnte in der israelitischen Konigszeit: WuD N.F. 1 8 ( 1 98 5) 2 1 -47. I 3· Che si offra, per questo genere di sacrificio, «una porzione di massa del lievito di pasta» è attestato altrove solo in Lev. 7, 1 3 a, mentre testi meno antichi (come Lev. 7, 1 2) prescrivono pane non lievitato e una vittima animale. Per la traduzione e l'interpre-

93 zione divina da una sventura compiuto a favore di singoli o di gruppi. Il sacrificio di grazie veniva offerto fuori del normale culto sacrificale o in una fase successiva ad esso, nella quale veni­ vano anche oblate le offerte personali volontarie che, nella mag­ gior parte dei casi, erano anch'esse segno di un ringraziamento dovuto 1 4 e che, proprio per non essere obbligatorie, venivano volentieri pubblicizzate a gran voce in quanto «buone opere». Tagliente e sarcastico com'era cominciato, l'oracolo si conclu­ de con la variazione della terza fase del rito: in tutti gli atti che si sono compiuti non si è mai chiesto che cosa sia accetto a J ah­ vé e che cosa egli «ami» - egli «ama» la giustizia e la rettitudi­ ne (Ps. 1 1 ,7; 3 3, 5 ; 37,28; /s. 6 1 ,8), ma «odia» le celebrazioni re­ ligiose delle feste dove mancano le cose che egli ama (A m. 5, 21) -, ma si va avanti facendo quello che si è deciso di fare per tranquillizzare la propria coscienza. Questo tipo di culto non solo non crea alcuna sensibilità per la colpa che si commette nella vita normale, bensì - che orribile perversione ! - impedi­ sce proprio un riconoscimento di colpa e incrementa, invece di questo senso di colpevolezza, la brutalità nei rapporti reci­ proci tra persone.

4,6- 13. L'incontro con Dio, bivio tra la vita e la morte. Alla volontà autonoma d'Israele, con la quale si chiudeva l'oracolo di Amos, fa riscontro l'azione di Dio {v. 6: «io a mia volta», «io, da parte mia») messa in voluto risalto. Di solito, questa formula viene usata nei profeti (attestazioni in Wolff, 2 5 1 ) e nella serie di maledizioni di Lev. 26 (sei volte) per correlare un'accusa e la relativa punizione. A m. 4,6 ss. presuppone, sor­ prendentemente, che nel frattempo il castigo sia stato già ese­ guito, precisamente sotto forma di revoca della benedizione, che è invece proprio lo scopo che il culto intendeva raggiuntazione cfr. H.-J. Hermisson, Sprache und Ritus im altisraelitischen Kult (WMANT 1 9), 1 965, 33 s. 14. Cfr. il frequente parallelismo tra questo tipo di offerta e l'offerta votiva; inoltre anche j. Conrad, ThWAT v, 1 986, 237 ss. spec. 239 s.

94 gere (vv. 4 s.). I vv. 6- I I , composti in una prosa aulica, guar­ dano al passato, a una quintuplice azione punitiva di J ahvé, la quale è sì la pena per il culto colpevole dei vv. 4 s., ma allo stesso tempo avrebbe dovuto avere anche una funzione peda­ gogica, incontrando però sempre la stessa caparbia ostinazio­ ne d'Israele (ritornello sempre ripetuto alla lettera alla fine dei vv . 6.8.9. I O. I I : «Ma voi non siete ritornati a me - oracolo di Jahvé» ). Le cinque strofe sono costruite per la massima parte in maniera parallela (azione di Dio alla I pers. sg. del perfetto; seguono una particella con suffisso della 2 pers. p l. e un com­ plemento oggetto all'accusativo o un avverbio), ma con lun­ ghezza variabile. Spesso sono state fatte osservare tracce di ag­ giunte {soprattutto ai vv. 7 s. e I o), che hanno a che fare anche con i singolari cambi di tempo dei verbi (v. sopra, n. 4), ma che sostanzialmente non sono di grande rilevanza; i tentativi fin qui compiuti di ricostruire un testo poetico primitivo non hanno gran che convinto. Il numero cinque e l'accennata strut­ tura a coppie (vv. 6.7 s. : «io a mia volta»; vv. 9· 1 0: perfetto perfetto - imperfetto o imperfetto consecutivo; v. 1 I l'acme) po­ trebbe suggerire che i racconti delle visioni (e gli oracoli con­ tro le nazioni) siano serviti da modello per la composizione. Guarda verso il futuro soltanto il quasi incomprensibile v. 1 2: un avvertimento a Israele a prepararsi, nell'imminenza di una azione punitiva di Dio, all'incontro con Dio, seguito poi da un breve inno {v. I J) che trova riscontro in 5 ,8 s. e 9, 5 s. Che senso ha la composizione ? Intanto risulta evidente, an­ che a una prima affrettata lettura, che i passati interventi puni­ tivi di Dio, che avrebbero dovuto riportare Israele alla ragio­ ne, non si riferiscono a precisi eventi storicamente identifica­ bili, bensì rappresentano piaghe tipiche; 1 s basta confrontare la triade di piaghe (fame-spada-pestilenza) così comune nei libri di Geremia ed Ezechiele. I loro paralleli più stretti (talora iden­ tici persino nella terminologia) si trovano (non in /s. 9,7 ss., a

a

1 s . Ciò è stato rilevato con grande chiarezza, per primo, d a H . Graf Reventlow, Amt, 78 ss.; cfr. R. Fey, Amos undjesaja, 95 s.; L. Markert, Scheltwort, 1 22.

95 bensì) nei grandi capitoli esecratori che concludono la legge di santità e la legge del Deuteronomio (Lev. 26 e Deut. 28); solo che in questi testi, a differenza di Am. 4, le piaghe rappresen­ tano una minaccia per il futuro o, meglio, per il caso in cui non si ubbidisca al Codice appena menzionato, la cui importanza e rilevanza viene impressa nella coscienza dell'ascoltatore o del lettore con la minaccia di queste maledizioni. 1 6 Oltre A m. 4 c'è un unico altro testo nel quale la comune successione delle piaghe di A m. 4 (fame - sete / siccità - cattivi raccolti - locuste pestilenza - spada) sia presentata in un elenco paragonabile (sconfitta - sete / siccità - fame - pestilenza - cattivo raccolto locuste - pericolo nemico; qui sono notevoli le coincidenze ter­ minologiche nella triade siccità - pestilenza - cattivo raccolto) come già verificatasi: la preghiera di Salomone in I Reg. 8,3 3 ss. A dire il vero qui non si usa il perfetto come indicazione di tempo, ma il futuro anteriore. Questo testo è la chiave per in­ terpretare A m. 4,6- 1 3 nel suo complesso. Intanto è questo il solo altro passo nel quale ogni singola piaga sia collegata, co­ me in A m. 4, al tema del «ritorno» (Wolff) - in Lev. 26 avvie­ ne una cosa analoga, ma con riferimento generico a tutte le pia­ ghe precedenti - e quindi nel disegno divino le piaghe hanno, come in Am. 4, una esplicita funzione pedagogica. In secondo luogo (e questo è il punto di gran lunga più importante) in 1 Reg. 8 lo sperato ritorno a causa delle piaghe è inserito in un andamento liturgico che si presuppone evidentemente ben no­ to ai lettori di A m. 4, 6 ss. In tutte le strofe di I Reg. 8,3 3 ss. (vv. 33 s.3 5 s. 3 7-40; cfr. la più esauriente e, linguisticamente, un po' più recente strofe dei vv. 46 ss.) si descrive una succes­ sione di eventi pressoché identica: colpevolezza d'Israele - la punizione/piaga decisa da J ahvé - ritorno d'Israele - lode di r6. Cfr. l'elenco dei contatti terminologici soprattutto con Lev. 26 in Reventlow, op.

2 5 2 . Qui Wolff fa notare che la più antica for­ ma di minaccia delle maledizioni potrebbe essersi ancora conservata nei vv. 7a�b.8.9ay (perfetto consecutivo o imperfetto; v. sopra, n. 4). Io stesso ritengo verosimile che Lev. 2 6 sia servito agli autori di Am. 4 quale modello letterario; cfr. il mio saggio citato nel­ la bibliografia a questo capitolo.

cit. , 86 s. e soprattutto in H.W. Wolff,

Jahvé cantata da Israele - invocazione di misericordia con con­ fessione di colpa - esaudimento della preghiera - perdono e al­ lontanamento della piaga. Salomone prega Dio per il caso in cui Israele si renda colpevole e provochi così l'inevitabile azio­ ne punitiva di Dio, non chiedendo, dunque, direttamente il perdono, ma invocandolo in considerazione a) del ritorno, b) della lode del nome di Jahvé e c) implorando e scongiurando di avere misericordia (v. 3 3). Come questi tre momenti si dif­ ferenzino tra di loro è difficile dirlo, anche perché nella strofe parallela (v. 3 5 ) la serie recita: implorazione - lode del nome ritorno. Ma, evidentemente, i tre atti vanno distinti anche se nella terza strofe (v. 3 8) si parla, riassumendo, solo dell'implo­ razione di misericordia e il v. 47 soltanto del ritorno e dell'im­ plorazione accompagnata dalla confessione di colpevolezza, senza menzionare la lode di Jahvé. Ad ogni modo, anche Am. 4 conosce evidentemente tutta la serie di questi diversi atti di contrizione, giacché qui si distingue chiaramente tra ritorno (vv. 6- 1 1 ) e lode del nome di Jahvé (v. 1 3 ). Si dovrebbe quindi pensare che sotto l'aspetto della storia delle forme il difficile v. 1 2 («sii pronto a... ») costituisca il riscontro dell'implorazione di 1 Reg. 8,3 3 . 3 5 . 3 8 ? A favore di questa supposizione c'è il fatto che nell'Antico Testamento l'invito alla prontezza (kwn nifal) è usuale soltanto in associazione o con la guerra (los. 8, 4; Ezech. 3 8,7) o con il culto al santuario (v. sotto). Per l' «im­ plorazione» di 1 Reg. 8 è tuttavia caratteristico che essa ricorra soltanto al v. 3 3 , «in questa casa», avvenga cioè nel tempio di Gerusalemme, come ci si sarebbe aspettati nel caso della pre­ ghiera di Salomone in occasione della consacrazione del tem­ pio. Per contro al v. 3 5 l'implorazione avviene più precisamen­ te «in direzione di questo luogo di culto» e al v. 3 8 «in dire­ zione di questa casa», mentre la strofe più tarda (vv. 46 ss.) fa capire meglio che cosa si voglia dire: dal paese in cui Israele è stato deportato (v. 47) la preghiera viene rivolta «in direzione del loro paese, che tu hai dato ai loro padri, della città, che tu hai scelta, e della casa che io ho costruito a tuo nome» (v. 48).

97 In breve: la preghiera di Salomone avviene a nome della gene­ razione dell'esilio e per essa, come comprova anche, da un pun­ to di vista esterno, il linguaggio deuteronomistico da lungo tempo individuato.17 Per A m. 4,6 ss. valgono, con grande probabilità, considera­ zioni analoghe. Da un lato i rituali di esecrazione di Lev. 26 e Deut. 2 8 nella forma presupposta da Am. 4 sono già di età esi­ lica-postesilica ed essenzialmente postprofetica. 18 Dall'altro, l'ultima strofe (v. I 1 ) della poesia col ritornello (A m. 4,6 ss.), l'unica che non abbia un parallelo né nel rituale esecratorio né in 1 Reg. 8, usa una locuzione stereotipa («come Dio fece crol­ lare Sodo ma e Gomorra») che viene attestata soltanto a partire dall'età esilica (Deut. 29,22; /s. I 3 , 19; ler. 49, I 8; 5 0,40) e pre­ suppone evidentemente l'esperienza della distruzione di Geru­ salemme. La successione dei pensieri di A m. 4,6- I 3 si orienta, dunque, apertamente su un rituale penitenziale della comunità

dell'esilio.

A dire il vero la prospettiva di Am. 4 è chiaramente diversa da quella di I Reg. 8. Mentre questo passo intende mettere a disposizione un modello liturgico per situazioni critiche di va­ ria natura, mediante il quale Israele (con le tre fasi: ritorno implorazione - lode) può ottenere che Jahvé allontani il peri­ colo, Am. 4 espone una teologia della storia che è vicina alla teologia deuteronomistica. A m. 4 si rivolge a un Israele che flnora, in tutte le avversità, ha costantemente rifiutato quel ri­ torno, al quale I Reg. 8 vuole invogliare i suoi lettori, anzi che l'ha ancora rifiutato persino quando Jahvé è ricorso a un ca­ stigo che non era previsto in alcun programma di piaghe: il «crollo» (v. I r ) Poiché neanche questo estremo atto divino ha conseguito il suo fine pedagogico, l'imminente incontro con Dio (v. I 2) è presentato come l'ultima e unica occasione per .

1 7. Cfr. in particolare M. Noth (BK Ix), 1968, 1 7 5 . 1 86 ss. e E. Wiirthwein (ATD n/ 1 ), 1 1 98 5, 9 5 S . 98. 1 8. Cfr. la dimostrazione in J. Jeremias, Kultprophetie, 164 ss., spec. 1 70 s . , riprenden­ do le posizioni di Baentsch, Noth, Kilian e Feucht.

Israele di sopravvivere, se lo vuole. Affinché si prepari a que­ st'ultima occasione, alla comunità dell'esilio viene dato il libro di Amos con le sue aspre rampogne e dimostrazioni di colpe­ volezza che culminano con la presentazione del culto degene­ rato di Bethel (e Gilgal). A questo culto i vv. I 2 s. vogliono contrapporre il vero culto con «implorazione» e «lode del no­ me di Jahvé». ·6- 1 1 . Prima di giungere a questo punto la comunità deve tut­

tavia essersi convinta, sulla base delle accuse di Amos, di non essere stata mai, in passato, pronta a pentirsi e, quindi, della inevitabilità di sempre nuove punizioni divine. Deve compren­ dere che Jahvé, nella sua grande pazienza, ha sempre rimanda­ to del continuo il ricorso al mezzo estremo per castigare il pro­ prio popolo, la catastrofe dell'esilio (v. I I ) , per cercare di far ·r insavire Israele con castighi di breve durata. In tale ottica la serie di carestia - siccità - cattivi raccolti - cavallette - epidemie .- spada non va verificata storicamente - la ricerca, tentata così spesso, di prove in testimonianze storiche è vana già per prin­ cipio - né essa vuole elencare le esperienze di un'unica gene­ razione e tanto meno eventi che si siano succeduti esattamente in quell'ordine. Indubbiamente la successione delle piaghe se­ gue un ordine crescente. Da una parte la prima e la secon­ da strofe (fame e siccità / sete: vv. 6-8), reciprocamente corre­ late dall'inizio analogo, menzionano ancora eccezioni, come la ·m ancanza di pioggia nel periodo critico per il raccolto; 19 la terza (v. 9) passa da danni più frequenti e noti subiti dal rac­ colto (siddafon, «il carbone del grano», è causato dal caldo ven­ -to orientale che soffia dal deserto; jeraqon, «la carie del gra­ ·Do», è l'ingiallimento di cereali attaccati e svuotati da un ver19. Si parla delle piogge primaverili (febbraio-marzo); cfr. le esperienze comunicate da Dalman, Arbeit 1, I J O- I J J · - La lunghezza, la prolissità di alcune formulazioni e uno scarso rigore di pensiero (ad es. parlare dei campi mentre si sta parlando delle città) sono chiari indici di accrescimenti successivi nei vv. 7 s. Considerazioni analo­ ghe valgono per il v. roay.

99 me) 10 alla temuta piaga delle cavallette (cfr. in particolare loel 1 , 4 ); passa poi dai cereali, il cibo quotidiano, alla verdura e frutta degli orti e giardini fino a prelibatezze come fichi, olio e vino. Dall'altra parte la quarta strofe (v. zo) nomina la peste, un'epidemia che oltre il bestiame (cfr. Ex. 9) colpisce anche gli uomini, e passa dal paragone storico («come contro l'Egitto») all'immediata esperienza storica («spada», «fetore»: cfr. Io el 2, 20). La progressione ascendente è, naturalmente, quanto mai chiara al v. I I dove si abbandona il linguaggio tipico e tradi­ zionale delle esecrazioni e si parla di un «crollo» così totale da poter essere paragonato soltanto, per averne un'idea, a quello di Sodoma e Gomorra. Il crollo, o lo sconvolgimento di cui si parla qui non riguarda, come talora si suppone (ad es. Wolff), la caduta di Samaria, ancor meno (come intendono molti e da ultimo Rudolph) un terremoto, per indicare il quale non si ri­ corre mai a questo verbo nell'uso assoluto, 1 1 bensì molto più verosimilmente la distruzione di Gerusalemme e del suo tem­ pio nel 5 86 a.C., come sembrano suggerire già le succitate te­ stimonianze esiliche e postesiliche della locuzione stereotipa «come Dio fece crollare Sodoma e Gomorra» . Nell'Antico Te­ stamento è assolutamente impensabile un evento che sia più tre­ mendo e sconvolgente di questa esperienza. Essa implica che gli ascoltatori/lettori devono considerarsi «legno strappato al fuoco» (cfr. l'identica immagine usata per il sommo sacerdote Giosuè, alla fine dell'esilio, in Zach. 3,2), notando, al proposi­ to, che nel testo originale il verbo tradotto «strappare» è iden­ tico con quello «salvare» di J , I 2 al quale forse si allude voluta2.0. Cfr. Dalman, Arbeit n, 334 e I, 32.6 s. e anche, più di recente, R. Gradwohl, Die Far­ ben im Altem Testament, 1967, 3 1 s. Entrambe le malattie del grano ricorrono sem­ pre contemporaneamente; la testimonianza più antica della loro presenza è contenuta nel capitolo delle maledizioni del Deuteronomio {2. 8,2.2.); ne parlano anche Ag. 2., 1 lj 1 Reg. 8,37; 2 Chron. 6,28. 2.1. Già nel passo fondamentale di Gen. 1 9,2 1 -2.5 oggetto del «crollo» sono «città» e la conseguenza solita di un «crollo» è che non si può più dimorare nella località col­ pita (/s. 1 3 , 1 9; Ier. 49, 1 8; 50,40 e Rudolph stesso, ad loc. ). Soltanto un'unica volta (/oh 9,5), ma ora senza possibilità di equivoco, si parla di «crollo delle montagne».

I OO

mente. I sopravvissuti alla catastrofe del 5 86 non sono affatto ancora «i salvati», bensì possono e devono considerare il fatto di essere in vita come un miracolo immeritato, che chiede si traggano determinate conseguenze. 1 2. Ma neppure il «crollo» con la perdita di tempio, paese e re, né l'esilio sono riusciti a indurre Israele al «ritorno a Jahvé», ritorno che nella terminologia di Am. 4 (sub 'ad) è anche il te­ ma centrale degli ammonimenti dei discepoli di Osea (O s. I 4, 2-4), ma soprattutto del predicatore deuteronomistico del ri­ sveglio durante l'esilio (Deut. 4,30; 3 0,2; cfr. 1 Sam. 7,3; 2 Reg. 1 7, 1 3). 11 Come suggeriscono i vv. 1 2 s. insieme ai vv. 4 s. (e 3, 1 4), questo ritorno in A m. 4 significa, in particolare, abbando­ nare il culto idolatrico di Bethel (e Gilgal) per tornare al vero ·culto della tradizione del Sinai. Tuttavia per i sopravvissuti questo ritorno non è una fac­ ·cenda da ponderare, ma è questione di vita o di morte. In net­ to contrasto con l'accusa litanica e dispersiva dei vv. 6- I I , ri­ volta ai singoli apostrofati al plurale, si pone, introdotto col ti­ pico «perciò», il tagliente e secco oracolo di giudizio del v. I 2 · c on la sua allocuzione collettiva col «tu» rivolta alla comunità radunata, che viene chiamata due volte, solennemente, «Israe­ le» . Le diverse esperienze dolorose dei singoli (discorso alla 2 'p ers. p l. «voi» ai vv . 6- I I ) richiedono una reazione della co­ munità nel suo compl e sso (v. I 2 ) : con questa concezione i tra­ denti di un'epoca più recente si collocano al fianco di Amos. L'oracolo di giudizio è tuttavia inficiato da una brevità che lo rende di difficile comprensione, perché in ultima analisi l' ac­ cento non è posto su di esso, bensì sull'incontro con Dio al quale esso vuole preparare. Quel suo «così (ti tratterò)» molto dibattuto è stato interpretato in tre modi fondamentalmente diversi (quando non si è ipotizzato un testo corrotto): I . si è

a

.12. Per loro il ritorno è «la decisiva e ultima parola di Mosè per la generazione deWe­ silio•: H.W. Wolff, Das Kerygma des Deuteronomistischen Geschichtswerks ( 1 96o), in Ges. St., 1I973, 3 2 1 .

IOI

pensato a un'azione simbolica (del tipo di quella di ler. I 9 : un vaso d'argilla mandato in frantumi) che avrebbe accompagna­ to la parola e alla quale si sarebbe riferito il «così» del profeta, o a una disgrazia già avvenuta sulla quale il dito di chi parlava si sarebbe puntato perché i presenti capissero il riferimento; 13 il lato debole di questa interpretazione è che l'elemento deci­ sivo - l'azione simbolica - deve essere aggiunto. 2. Si è anche riferito il «cosÌ» a quanto segue immediatamente, cioè al giu­ dizio connesso con l'incontro con Dio; ma in questo caso si è dovuto argomentare con un testo incompleto o corrotto, 14 poi­ ché il v. I 2b distingue chiaramente azione minacciata di Dio e incontro con Dio. 3 · La più probabile soluzione è quindi la ter­ za: il «così» si riferisce a ciò che precede, dunque all'esperien­ za della distruzione di Gerusalemme (v. I 1 ) , e va pertanto tra­ dotto «(ancora) cosÌ» oppure «alla stessa maniera» . Allora il v. 1 2 chiarirebbe ai superstiti della catastrofe di Gerusalemme che un ulteriore rifiuto di ritornare a Jahvé significherebbe la mor­ te non solo di singoli individui, come avvenuto fino a quel mo­ mento, ma dell'intera comunità.15 In questa maniera i tradenti riprendono, in un periodo più tardo, il duro messaggio di Amos sulla «fine d'Israele» (8,2). I vv. I 2b- I 3 descrivono come si possa impedire questa mor­ te. Il v. I 2b utilizza una terminologia cultuale ripresa, in parti­ colare, dalla tradizione del Sinai: l'intimazione a «essere pron­ ti» (kwn nifal, sia come verbo di modo finito sia come partici13. Per la prima variante cfr., ad es., A.R. Johnson, The Cultic Prophet and lsrael's Psalmody, 1 979, 1 83 s. n. 1; per la seconda variante Wolff, ad loc. il quale s'immagina

che la liturgia sia stata pronunciata al santuario di Bethel distrutto da Giosia. 14. Rudolph, ad loc. congettura (seguendo Budde, Sellin e Morgenstern): «Poiché tu ti sei fatto ciò da solo, preparati ... »; lo segue Koch, Amos n, 27. 1 5 . Così intende soprattutto W. Berg, Die sog. Hymnenfragmente im Amosbuch, 1 974, 242 ss.; simile è la posizione di K. Eberlein, Gott der Schopfer - lsraels Gott, 1986, 229 ss. Al medesimo risultato porterebbe l'ipotesi che a monte della minaccia ci sia la formula di spergiuro «la divinità mi faccia questo e quest'altro (in ebraico: così e co­ sì), se io non ... » (r Reg. 19,2, ecc.). Il «così e cosÌ» denoterebbe comunque un fatto e­ stremo, la morte. Un ragionamento analogo vale per la possibilità che il «cosÌ» vada riferito proletticamente al successivo cap. 5; anche qui il tema dominante è la morte.

102 pio con hjh) - come si è già detto, in altri casi l'espressione è attestata soltanto in contesti bellici - viene rivolta, in quella tradizione, a Mosè (Ex. 34,2) e a Israele (Ex. 1 9, I L I 5 ) e ri­ guarda sempre un incontro con Dio, che in Ex. I 9, I 7 è indica­ to esattamente con la medesima espressione: «incontrare Dio» (letteralmente: «[andare] incontro a Dio» ) .16 A questo propo­ sito la prontezza di Ex. I 9 include riti di santificazione come lavare gli abiti e praticare l'astinenza, poiché essa è preparazio­ ne nell'attesa della santità di Dio, la cui vicinanza è mortale (Ex. I 9 , I O- I 5; cfr. 2o, r 8-2 I ). Questi forti echi di Ex. I 9 vo­ gliono certo significare che nell'imminente incontro d'Israele col Dio inavvicinabile e pericoloso, incontro che avviene nel culto, si deve prendere la medesima decisione di principio co­ ·me nel primo incontro del popolo con Jahvé al Sinai. Se in -quell'occasione si gettarono le basi del rapporto d'Israele con Dio, adesso, poiché Israele si rifiuta di ritornare a Dio, quel rapporto viene messo in gioco. Forse si pensa anche al parti­ colare giorno che Israele deve essere «pronto»: il terzo giorno (Ex. 1 9 , 1 1 . 1 5); allora questa data verrebbe messa in netta con­ trapposizione col terzo giorno del culto incriminato di Bethel (e Gilgal) (Am. 4,4) . Non è tanto il terzo giorno in sé che è importante, ma la realtà che si venera: se il dio di Bethel (v. sotto, comm. a 4, 1 3 b, e sopra, a 3 , 1 4; i teologi deuteronomisti­ ci parlano del «peccato di Geroboamo») o il Dio del Sinai. Co­ sì dipende da Israele se il suo incontro con Dio - per dirla con le parole di Amos che seguiranno - porterà a un «attraversa­ mento» letale di Dio (5, 1 7: 'abar be, «passare, camminare at­ traverso (un luogo)») oppure a un benevolo «sorvolo» divino d'Israele {letteralmente: «passare sopra a», 'abar le: 7,8; 8,2). 1 3 . Tutto dipende dal fatto se Israele sa ancora o capisce di nuovo chi è che gli sta di fronte. L'inno del v. 1 3 , accolto nel

26. È stato in particolare Brueggemann, op. cit. , 2-6 a richiamare l'attenzione su que­ ste connessioni; peccato che sia stato troppo precipitoso nell'interpretarle in senso li­ turgico («rinnovamento del patto»).

testo e introdotto col grido profeti co per richiamare l' atten­ zione («ecco»), svolge nel contesto una duplice funzione. Da un lato rappresenta il momento che in 1 Reg. 8, 3 3 ss. è detto «lode del nome di 1ahvé» e lì era indissolubilmente unito con col ritorno, la confessione di colpa e l'implorazione di miseri­ cordia.27 Si tratta di quell'atto che F. Horst ha chiamato «es­ somologesi» (Exhomologese), «che era al tempo stesso confes­ sione e dossologia (acclamazione) al cospetto della divinità che manifestava una potenza (punitiva)», 18 e che da allora viene co­ munemente chiamato «dossologia del giudizio» ( Gerichtsdo­ xologie). Con questa particolare dossologia Israele riconosce pubblicamente la distruzione di Gerusalemme e l'esilio come giusto giudizio di J ahvé che il profeta Amos aveva preannun­ �iato. La seconda funzione va oltre questa prima, formale, e riguarda il contenuto. In maniera sorprendente l'inno non parla né di colpa né di perdono. Invece viene fatto vedere bene a Israele, che sta in bilico tra la vita e la morte (v. 1 2 ) , chi sia questo 1 ahvé che esso è chiamato a incontrare. A tale proposi­ to è determinante per l'interpretazione delle singole sentenze che nel v. 1 3 (come in 5 ,8 [s.] e 9, 5 s.) i predicati innici che ven­ gono ripresi ricevano nel contesto un nuovo significato. Excursus. Le dossologie nel libro di Amos. Altre due volte s'incontra nel libro di Amos la lode del creatore che regna sovrano sugli uomini e sulla natura; ogni volta la lode interrompe bruscamente il contesto del discorso profetico, ogni volta si ha una costruzione rigorosamente par­ ticipiale che si conclude col ritornello «Jahvé è il suo nome»: 5 ,8(9) e 9, 5 s. Mentre l'esegesi più antica, fino alla Grande Guerra, riteneva trattar­ si soprattutto di glosse di pii lettori o redattori, 29 in seguito si affermò la 27. Considerato il contesto, il verbo jdh hifil, «lodare», può talora assumere il signifi­ cato di «confessare la colpa»; cfr. in particolare Ps. 32,5. 28. F. Horst, Die Doxologien im Amosbuch (1 929), in Gottes Recht (TB u}, 196 1 , 1 s s 166: 1 64. Cfr. l'excursus seguente. 29. Cfr. l'esauriente panoramica della storia dell'esegesi di W. Berg, op. cit. (sopra, n. 2 5 ), 53 ss. spec. 2 1 3 ss. e anche, più conciso, J.L. Crenshaw, Hymnic Affirmation o[Di­ vine ]ustice. The Doxologies of A mos and Related Texts in the Old Testament (SBL DS 24), 1 975, 5 ss. spec. 25 ss.

104 nozione che le tre sezioni inniche, considerati gli elementi comuni sia formali sia di contenuto, dovevano venire interpretate insieme, avendo, molto probabilmente, costituito una volta un unico inno comune. Si è cercato in molti modi di ricostruire l'inno originario, facendo spesso ri­ corso al più stretto parallelo (/oh 9, 5 - I o), senza che alcuna delle solu­ zioni proposte sia riuscita sin qui ad imporsi. F. Criis emann ha inoltre cercato, con molti sforzi, di dimostrare che dietro le dossologie del libro di Amos c'era un tipo di inni preesilici autonomo, non attestato nel sal­ terio.30 A dire il vero i paralleli veterotestamentari alle dossologie di Amos (testi del Deutero-Isaia, del giovane Geremia e di Giobbe) sono tutti, sen­ za eccezioni, più recenti. Tutto sembra i ndicare che le dossologie del li­ bro di Amos datino, al più presto, dall'esilio (Berg, Crenshaw; più tardi: Foresti, Mathys; v. sotto), siano cioè, secondo l'ipotesi più probabile, coe­ ve di 4,6- I 2, di cui 4, 1 3 costituisce una componente inseparabile. A Crii­ semann va riconosciuto il merito di aver portato alla luce gli stretti rap­ porti dei predicati divini nelle dossologie di Amos con gli inni del­ l'Ori ente antico e, in particolare, la funzione di polemica religiosa del ri­ tornello «Jahvé il suo nome». Più di rado ci si è posti il problema di come andassero interpretate nel contesto del libro di Amos le affermazioni degli inni inseriti nel testo, sebbene, come si è detto più sopra, già nel 1 929 F. Horst avesse scoper­ to la loro nuova funzione di «dossologia del giudizio», dimostrando il n esso degli inni col diritto sacro mediante riferimenti a iscrizioni espia­ torie microasiatiche, al diritto alessandrino e specialmente a Ios. 7 e Ioh 5 e 9.3 1 Singolare e finora inspiegato è perché vengano usate per simili dossologie del giudizio proprio inni con la tematica della creazione, an­ che se è vero che essi non presentano le affermazioni classiche sulla crea­ zione. Poiché tal e situazione strana vale anche per il libro di Giobbe (/oh 9, 5 - 1 0; cfr. 5,8- 1 6), non può trattarsi di un caso. Secondo me sono due i temi (apparentemente opposti) degli inni che hanno fatto apparire que­ sti adatti alla loro nuova funzione nei libri di Amos e Giobbe: 3 2. 1 . la sta30. F. Criisemann, Studien zur Formgeschichte von Hymnus und Danklied in Israel (WMANT 3 2 ), 1 969, 8 3 ss. spec. 9 5 ss. 3 1 . V. sopra, n. 28. Tra gli autori che hanno proseguito su questo cammino vanno ri­ cordati in particolare G. von Rad (Gerichtsdoxologie, in Fs. A. Jepsen, 1 97 1 , 28-3 7 Ges. St. n, TB 48, 1 973 , 24 5-2 54), H.W. Wolff e J.L. Crenshaw (opp. citt.}. In prece­ denza si era pensato (ad es. Morgenstern, Weiser), a confessioni comu nitarie dopo la lettura di sezioni del libro di Amos nel servizio liturgico . 32. Recentemente si è attestato su una posizione simile S. Gillingham, «Der die Mor­ genrote zur Finsternis macht». Gott und Schopfung im Amosbuch: EvTh 5 3 ( 1 993 ) 109- 1 23; I 14 S. =

105 bilità di cielo (Am. 9,6}, astri ( 5,8), terra e montagne (4, I 3) che mostra che Jahvé regna e governa su questo mondo, nonostante l, apparente ripudio d'Israele con la distruzione di Gerusalemme; 2. inoltre la forte afferma­ zione che è questo stesso Jahvé che può provocare il «crollo» (4, 1 1 ), che cioè « cambia la tenebra in aurora» come, viceversa, «rende il giorno not­ te oscura» ( 5 ,8) o, «nella sua ira» «fa crollare» anche le montagne (/oh 9, 5), la cosa più salda che l'uomo conosca, e scuote la terra (Am. 9, 5; Iob 9,6}; in breve: colui che può sconvolgere in qualsiasi momento le situa­ zioni che all'uomo appaiono fatti naturali e davanti al quale nulla che gli si opponga può resistere; il quale può rendere luminose persino le tene­ bre, al cui cospetto, quindi, un Israele colpevole e castigato deve umi­ liarsi se non vuole scomparire, ma invece andare incontro a un nuovo futuro.33 Di conseguenza le parole degli inni vanno interpretate con cau­ tela su due livelli, vale a dire che il loro messaggio originale nella tradi­ zione deve essere distinto dal loro nuovo significato nelle dossologie del giudizi o del libro di Amos.34 Interpretazioni aggiunte (come il secondo stico di A m. 4, I 3 ) illustrano questa differenza. Anche la serie dei predi­ cati divini è così composta, mediante molteplici ripetizioni dei medesimi motivi (cfr. 4, I 3 terzo stico con 5 , 8 secondo + terzo stico; 5 ,8 quarto + quinto stico con 9,6 terzo + quarto stico ), che l'intento delle affermazio­ ni diventa sempre più chiaro. Esso deve, in ultima analisi, venire descrit­ to partendo dalla fine, cioè da 9, 5 s. È solo partendo da qui che diventa comprensibile, in particolare, la dimensione cosmica che caratterizza tut­ te le dossologie. Negli ultimi tempi, infine, si è posto anche il problema di storia delle forme di che cosa significhi per la comprensione del libro di Amos nel suo complesso la collocazione degli inni. Mentre K. Koch ha interpreta­ to, con motivazioni illuminanti, l 'ultima dossologia (9, 5 s.) come antica fine del libro,3 5 io stesso, nel saggio citato all'inizio di questo capitolo, 33· Il doppio senso delle affermazioni che mentre mettono con urgenza in guardia dal­ la rovina, allo stesso tempo vogliono indurre a un nuovo inizio, è stato sottolineato re­ centemente, a ragione, da H.-P. Mathys, Dichter und Beter. Theologen aus spiitaltte­ stamentlicher Zeit: OBO 1 3 2 ( 1 994) 1 09 s., in contrasto con F. Foresti: Bib 61 ( 1 98 1 ) 1 69- 1 84 che vede nelle dossologie, unilateralmente, annunci protoapocalittici d i una punizione che colpirà tutta la terra. 34· K. Koch è l'esegeta che ha osservato meglio questo principio metodico (v. n. 3 5 ). 3 s . K. Koch, Die Rolle der hymnischen Abschnitte in der Komposition des Amos­ Buches: ZAW 86 ( 1 974) 504-5 3 7· Convince meno la sua lettura degli altri due inni che stanno vicini tra loro (4, 1 3 e s ,8) quali conclusioni di raccolte parziali (prima di lui ave­ va avanzato la medesima ipotesi Guthe, HSAT [K] n, 4 1 913, 3 7). D'altro canto Koch ha il merito di aver fatto rientrare nella discussione anche l'inno affine all'inizio del li­ bro di Amos (Am. 1 ,2), riprendendo alcune considerazioni di Wolff.

1 06 ho cercato di mostrare che le pericopi 4,4- 1 3 e 5, 1 - 1 7 costituiscono, con le loro dossologie, la parte centrale del (più recente) libro di Amos e la chiave per capirlo nell'ottica dell'esilio. Cfr. introduzione. Al riguardo è da osservare, in particolare, che le dossologie di 4, 1 3 e 5,8 (s.) si riallaccia­ no a imperativi (4, 1 2; 5,4-6), mentre l'ultima (9, 5 s.) all'annuncio della di­ struzione del tempio (9, I -4). Esse lodano così al tempo stesso, nell'esi­ lio, il giusto giudizio di Jahvé (9, 5 s.) e la ripetuta possibilità di un nuo­ vo inizio che egli offre al «legno strappato al fuoco» (4, 1 I ) . Finora non è stata sfruttata al massimo l'osservazi one fatta da Wolff a proposito di Sellin e della sua discussa tesi di una nuova edizione del li­ bro di Amos ai tempi di Giosia, cioè che le prime due parti inni che si tro­ vano nell'immediata vicinanza di passi che menzionano Bethel (4,4 s. e 4, 1 3 inquadrano 4,4- 1 3 ; 5,8 è nelle immediate vicinanze di 5 ,4-6), men­ tre la terza segue la quinta visione che pur non menzionando esplicita­ mente Bethel, senza dubbio si riferisce a questo luogo di culto quando parla del santuario distrutto da Jahvé {v. sotto).3 6 La funzione simbolica del nome Bethel per il rituale penitenziale esilico-postesilico si può os­ servare, ad esempio, in Os. 10,1 5· Alla menzione fatta da Osea della cit­ tà di Bet Arbel, che fu rasa al suolo e la cui popolazione fu massacrata senza pietà, un teologo esilico aggiunge queste parole: «Una cosa del tut­ to analoga vi ha fatto Bethel a motivo della vostra immensa malvagità». Bethel rappresenta la colpa primordiale del popolo di Dio punito, quel peccato che la storiografia deuteronomistica chiama in maniera stereoti­ pa «il peccato di Geroboamo»,37 perché, al momento dello scisma, Ge­ roboamo I elevò al rango di santuari del regno Bethel (e Dan) in con­ correnza con Gerusalemme. Fin dalla caduta del regno del Nord Bethel è il simbolo del culto idolatrico sincretistico (.2 Reg. 1 7,7 ss.) e, allo stes­ so temf o, del mancato incontro con Dio nel culto dei santuari sulle al­ ture, a quale culto le dossologie contrappongono la lode del vero Dio che distrugge gli alti luoghi (4, I 3 b) cui egli oppone il proprio santuario cosmico (9,6). La salvezza può venire sol tanto da lui.

In A m. 4, 1 3 sono soprattutto il primo e il terzo stico a veni­ illuminati dalla tradizione innica ripresa nel testo: in quanto creatore 38 di montagne e del vento Jahvé è responsabile sia per

re

36. BK XIV/2, I J 5- I J 7 e passim; cfr. Wolff, Das Ende des Heiligtums in Bethel, in Fs. K. Galling, 1970, 287-298 . 3 7· Cfr. il saggio dallo stesso titolo d i J . Debus (FRLANT 93), 1 967, spec. 9 3 ss. 38. Il primo verbo (hr) indica in origine l'attività del vasaio, il secondo (br') è riserva­ to a Dio. Wolff, ad loc. , fa osservare che i due verbi insieme si ritrovano solo nel D eute­ ro-Isaia (/s. 43 , 1 .7; 4 5 ,7· 1 8), particolare che conforta la datazione sopra proposta.

tutto ciò che è saldo e certo (Ps. 30,8; 46,3; 6 5 ,7 s., ecc.) sia an­ che per tutto ciò che è mobile e sorprendente in questo mon­ do (Ps. 48,8; I 39,7, ecc.); come colui che può mutare l'aurora in oscurità facendo salire le nubi 39 egli può mutare in un bat­ ter d'occhio la storia, un'affermazione che se contiene in pri­ mo luogo una minaccia, pure, come mostra 5 ,8, va intesa an­ che in senso positivo. Tra le due sentenze c'è una frase che, co­ me si è visto da tempo, non può essere appartenuta al più anti­ co inno alla creazione. In più questa frase è ambigua: o Dio scopre i piani dell'uomo - e in questo caso si avrebbe un certo riferimento al rifiuto del ravvedimento dei vv. 6- I I oppure, lettura molto più verosimile nel contesto e in considerazione del verbo «rivelare», Dio non lascia l'uomo all'oscuro dei pro­ pri disegni.40 In questo caso la sentenza sarebbe estremamente vicina, per la sostanza, ad Am. 3,7: Israele è inescusabile giac­ ché è informato dell'imminente azione di Dio, perché ha pro­ feti. Infine l'ultimo stico («colui che cammina sulle alture della terra») ha una lunga storia nella tradizione degli inni, una sto­ ria che risale molto addietro nell'età preisraelitica e nella quale canta la potenza vittoriosa e la superiorità di Dio; 41 nel conte­ sto di Am. 4 il verso va inteso molto probabilmente, come il suo più stretto parallelo sostanziale (Mich. I ,J), nel senso della distruzione degli alti luoghi di culto al verificarsi della teofa­ nia di Jahvé, con un preciso riferimento a Bethel (vv. 4 s.).42 Il creatore delle montagne (v. I 3a) distrugge le alture degli uo-

39· Quando Rudolph, ad loc. , seguendo Wellhausen e altri, traduce, contro la norma­ le sintassi (quando si ha un doppio accusativo l'obiettivo sta normalmente in seconda posizione; G-K 18 § I 1 7ii), «colui che trasforma la tenebra in aurora», perché altrimen­ ti «il pieno giorno si frappone tra questa e quella» (p. 1 7 1 ), mostra di non aver presta­ to attenzione alla differenza tra tradizione e redazione. 40. Per la giustificazione di tale lettura cfr., oltre Wolff, ad loc. , soprattutto Koch, op. cit. (sopra, n. 3 s ), p 3 - p s ; Mathys, op. cit. (sopra, n. 3 3}, l I I s. 41. Cfr., ad es., R. Hillmann, Wasser und Berg. Kosmische Verbindungslinien zwischen dem kanaaniiischen Wettergott undjahwe, diss., Halle 1 96 5 , t 8 s - 1 94; J.L. Crenshaw, «wedorek 'al-bamote 'are�» : CBQ 34 ( 1 972) 39- 5 3 . 4 2 . Così intendono anche, ad es., Wolff, ad loc. ; Criisemann, op. cit. (sopra, n . 30), 1 02 s. n. s; Koch, op. cit. (sopra, n. 3 5 }, so8 -s 1 3; Crenshaw, op. cit. (sopra, n. 4 1 ), 43·

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108

mini (v. 1 3b), rendendo così impossibile qualsiasi futura con­ fusione tra un Jahvé baalizzato {il dio adorato a Bethel: vv. 4 s. ) e il Dio del Sinai. Dovunque nel libro di Amos risuoni (per ben nove volte) il solenne nome «Jahvé, {il) Dio degli eserci­ ti», che in 4, 1 3 amplia il più antico ritornello «Jahvé il suo no­ me» {5, 8; 9,6), è possibile cogliere l'eco di tale contrapposizio­ ne. N on c'è più nulla che ostacoli il «ritorno» d'Israele. 2. La parola del profeta (capp. s-6) s , I - 1 7. Morte e vita 1 Ascoltate questa parola che elevo contro di voi quale lamento funebre, o casa d'Israele: 2 È caduta, non si rialza più

la vergine Israele; giace distesa sul suo suolo, nessuno l'aiuta a rialzarsi! 3 Così ha infatti detto il Signore 1 J ahvé: Alla città che scende in campo con mille, non ne rimangono che cento; e a quella che scende in campo con cento, non ne restano che dieci. Riguarda la casa d'Israele. 1 4

Così infatti ha detto Jahvé alla casa d'Israele: Cercatemi e allora vivrete! 3 Ma non cercate Bethel e non andate in pellegrinaggio a Gilgal, e non attraversate per raggiungere Beer-Sheba! Perché Gilgal finirà inevitabilmente in esilio e Bethel diventerà un luogo di sventura.

Cfr. BHS e v. a 1 ,8. Le due costruzioni poetiche col dativo, fuori metro, che concludono i vv. 3 e 6, van­ no intese al meglio come glosse di commento scritte sotto. Cfr. W.H. Schmidt, «Su­ chet den Herrn, so werdet ihr leben», in Ex Orbe Religionum, Fs. G. Widengren 1, Lei de n I 97 2, I 3 3 n. 1. Per il senso v. sotto, al v. 6. l· Cfr. la costruzione analoga di un imperativo consecutivo o finale in 4,4; per il co­ strutto cfr. G-K18 § 1 1 of. 1.

2.

Am. J, I-17 6

1 09

Cercate ]ahvé e allora vivrete! Altrimenti invaderà 4 la casa di Giuseppe come un fuoco che divora e nessuno può spegnere. Riguarda Bethel. 1 7

Voi, che stravolgete il loro diritto in assenzio e gettate la giustizia per terra! 8 (Ma è lui) colui che creò le Pleiadi e Orione

9

10 11

12



che fa cambiare la tenebra in aurora, ma oscura il giorno fino a render/o notte; che chiama le acque del mare e le versa sulla faccia della terra: Jahvé il suo nome! Colui che porta 5 la 'rovina' sull'uomo forte e fa venire 6 distruzione sulle fortezze.

Odiano chi alla porta pronuncia un giusto giudizio e aborriscono chi parla in maniera schietta. Perciò, poiché riscuotete 7 il vostro fitto dal disperato e pretendete da lui tributi sui cereali: vi siete costruiti case in pietra squadrata, ma non vi dimorerete; avete piantato vigneti pregiati, ma non ne goderete il vino. Sì, so quanto siano molteplici i vostri crimini e quanto siano numerosi i vostri delitti, voi che siete ostili agli innocenti, prendete soldi [di corruzione e respingete i poveri alla porta!

Le possibili accezioni del verbo #b in A m. 5,6 sono elencate in HAL, 96 I ; E. Puech: Sem 21 ( 1 97 1 ) 5 - 1 9 e M. Szbe: THAT II, 5 p - 5 56 (= DTAT II, 496- soo). Il contesto ri­ chiede un senso che corrisponda sostanzialmente alla formulazione più comune di ler. 4,4 e 2 1 , 1 2 . 5 · big i n Am. 5,9 è probabilmente affine all'arabo big che nella forma causativa signi­ fica «causare, far emergere» a.J. Gliick: OTWSA.P 7/8 [ 1 964-65] I I 5 s . ) . Come og­ getto G ha letto probabilmente seber invece di sod («devastazione»}, che nel T.M. si è sicuramente insinuato dal v. 9b, e vocalizza 'oz («la fonezza») invece di 'az («l'uomo fone»), probabili levigature del ruvido T.M. (Barthélemy, Critique, 662 s.). 6. Tutte le Vrs. leggono bw ' hifil (invece del q al del T.M.: «viene distruzione»). 7· Questo hapax legomenon viene comunemente o derivato, seguendo Torczyner: JPOS 16 ( 1 936) 6 s., dall'accadico sabasu (con metatesi della prima radicale) oppure si pensa a una doppia grafia (bus e bus del verbo più comune per «calpestare». Il paral­ lelismus membrorum fa propendere per la prima soluzione.

� IO

Am. J, I-17

1 3 Perciò in quel tempo l'intelligente tace,

infatti è un tempo malvagio.

14 Cercate il bene e non il male,

1s

16

17

affinché continuiate a vivere, così che J ahvé, il Dio degli eserciti, sia (davvero) con voi, come affermate! Odiate il male, amate il bene alla porta tenete alta la giustizia: forse Jahvé, il Dio degli eserciti, mostrerà pietà per il residuo di Giuseppe!

Perciò ha parlato così J ahvé, il Dio degli eserciti, il Signore: Su tutte le piazze un lamento funebre, in tutte le strade si grida: Poveri noi, poveri noi ! Si chiama a piangere il lutto un contadino, 'al lamento funebre' 8 coloro che elevano pianti. Perfino nei vigneti (regna) ovunque il lamento funebre, giacché io passo in mezzo a te, ha detto J ahvé.

N.J. Tromp, Amos V 1- 17. Toward a Stylistic and Rhetorical Analysis (OTS XXIII), 1 984, s6-84; J. Jeremias Tod und Leben in Am. J, I- IJ, in Hosea und A mos, 2 14-230; G. Fleischer, Menschenverkaufer, 94 ss. (spec. sui vv . 7. 10-1 2).

Con 5 , I si è giunti alla sezione più importante della parte centrale del libro di Amos. Ai capp. 3-4 introdotti program­ maticamente quali parola di Dio fa ora riscontro nei capp. 5 -6 la parola del profeta stesso, introdotta in maniera analogamen­ te programmatica. Questa parola del profeta non vuole certa­ mente essere intesa come una sorta di reazione ai capp. 3 -4, bensì si richiama anch'essa, in punti decisivi, a nuove parole di Dio (in 5 , 1 - 1 7 ciò avviene ai vv. 3 ·4 s. e 1 6 s.). I capp. 5 -6 si ar­ ticolano in tre parti: a una composizione a struttura circolare estremamente sofisticata ( 5 , 1 - I 7) seguono due unità costruite, nei particolari, in maniera volutamente parallela, ciascuna aper8. O nel T.M. si ha uno scambio di parole oppure si tratta di un voluto caso di ipalla­ ge (cfr. W. Biihlmann - K. Scherer, Stilfiguren der Bibel, 1 973, 75); così Barthélemy, Critique, 664 s.

Am. J, I-17

III

ta da un «guai» ( 5 , 1 8-27 e cap. 6),9 la parola principale del la­ mento funebre, che già la soprascritta di 5 , 1 menziona quale tema della parola del profeta. Am. 5 non costituisce il centro del libro di Amos soltanto esteriormente, cioè in base alla numerazione dei capitoli, bensì anche in termini di contenuto. 1 . Nella struttura dell'edizione più antica del libro di Amos il cap. 5 ha costituito il nucleo intimo della composizione. Co­ me gli oracoli contro le nazioni (A m. 1 -2 ) e i racconti delle vi­ sioni (A m. 7, 1 -9,6) - che sono in molteplici modi tra loro cor­ relati e intrecciati - hanno costituito una specie di cornice ester­ na attorno alla raccolta di oracoli dei capp . 3 -6, così all'interno di questa raccolta di parole del profeta le due unità letterarie maggiori che si concentrano sui peccati della capitale Samaria (3,9-4,3 e cap. 6) racchiudono il centrale cap. 5 . 2 . Per quanto riguarda i l contenuto, il capitolo tratta in maniera molto più generale e in linea di principio del rapporto d'Israele con Dio di quanto non facciano i capitoli circostanti; morte e vita sono i motivi dominanti, il culto e il diritto i temi principali. Al riguardo non si presta quasi mai la dovuta atten­ zione al fatto, per nulla secondario, che la tematica centrale del libro di Amos, «diritto e giustizia», è limitata ai capp. 5 -6. 3 · Sopra ogni altra cosa, tuttavia, l'unità letteraria 5 , 1 - 1 7 è strutturata stilisticamente in una maniera che non ha eguali nel libro di Amos. Poiché quest'elaborata struttura artistica non è stata riconosciuta adeguatamente che in tempi recenti, la criti­ ca esegetica è intervenuta sul testo tradito ripetutamente, ma senza motivo. Sebbene pochi autori abbiano eguagliato gli ec­ cessi, ad esempio, di A. Weiser e di W. Rudolph, che nei loro commenti hanno rivoluzionato l'ordine di successione di inte­ ri gruppi di versetti, pure la stragrande maggioranza dei com9· Già in considerazione di questa trasparente struttura non vi è proprio alcun moti­ vo per inserire arbitrariamente un ulteriore «guai» in 5 ,7 (o in 5 ,9: Koch), come fa la maggior parte dei commentatori moderni senza che la tradizione testuale offra il ben­ ché minimo spunto per tale aggiunta.

Am. 5, 1-17

1 12

mentatori ha ritenuto di trovarsi in presenza di pesanti errori di trasmissione testuale che portarono a illogiche cesure nel testo (il v. 7, ad es., è collegato chiaramente col v. r o; il «per­ ciò» del v. 1 6 presuppone il contenuto dei vv 10- 1 2, ecc.). Ep­ pure, dalla fine degli anni '70 si è riconosciuto che il passo di 5 , 1 - 1 7 forma una cosiddetta «figura concentrica» o «composi­ zione ad anelli» artificiosamente costruita con grande perizia nella quale stanno reciprocamente di fronte un giro esterno col tema della morte (vv 1 - J . 1 6- 1 7), un giro interno col tema della vita (vv 4-6. 1 4- 1 5), una parte centrale col tema della vio­ lazione del diritto (vv 7. 10- 1 3) e un nucleo con un inno (vv 8-9 ) 10 Ai rispettivi temi corrisponde ogni volta una diversa forma e topica, rilevabile nella maniera più chiara nel caso del tema della «vita» che è caratterizzato tutto dall'imperativo, pre­ cisamente dall'invito «cercate» (vv 4· 5 .6. 1 4). Nelle sue parti l'unità 5,1 - 1 7 si articola quindi secondo lo schema seguente: .

.

.

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.

A (vv. 1 -3) B (vv. 4-6) C (v. 7) D (vv. 8 s.) C' (vv. 1 0- 1 3) B' (vv. 14 s.) A' (vv. 1 6 s.).

Queste singole parti non vogliono né possono venire interpre­ tate isolatamente. Invece il lettore deve seguire passo passo lo svolgersi del ragionamento che incomincia con l'inesorabile lamento funebre per la morte d'Israele e finisce anche con esso (A-A') perché questo popolo di Dio impedisce al diritto di af­ fermarsi (C-C'); la logica apparentemente stringente di siffatto ragionamento viene però bruscamente interrotta, giacché s'in­ serisce tra il lamento funebre e la sua ragione, inaspettato, un Io. Il merito principale va attribuito a J. de Waard, The Chiastic Structure of Amos V

1- 17:

VT 27 (1 977) 1 70- 1 77· Oltre le opere citate nella bibliografia all'inizio del capi­ tolo cfr., tra molti, G. Crocetti, ((Cercate me e vivrete», in Quaerere Deum (Atti del­ la xxv Settimana Biblica), ed. A. Bonora, Brescia 1 98o, 8 5 - 1 05 : 92-94; A.V. Hunter, Seek the Lordi, Baltimore 1982, 102- 104; R. Martin-Achard, 3 8 s.; G. Fleischer, Men­ schenverkiiufer, 94 s.

Am. J, I-17

113

duplice invito a cercare Dio con la promessa che così si trove­ rà anche la vita: il che non può che significare che il legame tra la colpa e la morte può essere sciolto se si segue l'invito (B-B'); infine, giunto alla parte centrale, sulla quale nelle strutture a chiocciola cade sempre l'accento principale, il discorso sfocia in una lode del Dio che uccide e dona la vita (D). Come ho cer­ cato di mostrare nel saggio citato nella bibliografia iniziale, lo scheletro di questa struttura costruita consapevolmente così ad arte risale già ai primi tradenti di Amos, mentre il nucleo della dossologia (v. 8) e la sua interpretazione nel v. 9 (come anche i vv 5 a�.6. 1 3) furono inseriti nel testo non prima del periodo esilico-postesilico. Alla base della composizione si trovano tre oracoli di Amos in origine separati, ciascuno dei quali si richia­ ma a una parola di Dio: vv . 2 s.; vv 4 s.; vv 7. 1 0. 1 2. 1 6 s. (even­ tualmente c'è anche un quarto oracolo: v. 1 I ) . .

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s,I -3 (A). Lamento funebre su persone ancora in vita. La soprascritta del v. I è formulata come immagine invertita di 3, 1. Infatti la costruzione corrisponde pedettamente a 3 , I , solo che proprio così si vedono ancor meglio quattro variazioni: I . il soggetto parlante non è più Dio, ma il profeta; 2. il tempo verbale è mutato: J ahvé ha parlato; di conseguenza il profeta comincia adesso a parlare; 3 . il gruppo che viene apostrofato col vocativo non è più formato dagli «Ìsraeliti», cioè dal popo­ lo di Dio, bensì è «la casa d'Israele», cioè la comunità politica organizzata; questo termine caratterizza dal principio alla fine i capp. 5 -6 ( 5 , 1 . 3 .4·2 5; 6, 1 . I 4), mentre la designazione «gli israeliti» (3 , 1 . 1 2; 4, 5 ) viene ora coerentemente evitata. 4· Ma, so­ prattutto, nella soprascritta viene anticipato nella maniera più drastica il contenuto del discorso che seguirà, la cui natura è tut­ ta in quella sorta di titolo: «lamento funebre». Poiché il popo­ lo di Dio ha fallito completamente nei confronti del suo Signo­ re, i membri dello stato vengono chiamati dal profeta al loro 11

I I . Cfr. t•excursus «> dai vv I o e I 2; il termine «giustizia/diritto» dal v. 7· Si possono dunque capire i vv I 4 s. soltanto se si sono letti i vv 7- 1 3 ::. e non è as­ solutamente lecito (come fanno Rudolph e altri) far seguire i vv I 4 s. direttamente ai vv 4-6. Nei vv 1 4 s. non si tratta della possibilità di vita in generale, bensì di una possibilità di vita in presenza della condanna a morte pronunciata da Dio (A) a motivo della violazione del diritto compiuta da Israele (C). In altre parole: i vv 14 s. non sono stati mai (al contrario, probabilmente, dei vv 4 s.) un oracolo isolato; non sono più antichi della stessa composizione concentrica, bensì ne costi­ tuiscono il cardine in quanto mettono in rapporto reciproco il messaggio di sventura di Amos e la sua promessa di vita e in tal modo pongono il problema della proclamazione di Amos nella sua totalità. .

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.16. Anche in Mich. 2,3 il «tempo malvagio» denota la situazione dopo l'esilio.

Am. J, I-17

Per i vv. 1 4 s. valgono quindi due osservazioni apparente­ mente contrastanti: da un lato è assodata la condanna capitale d'Israele pronunciata da Dio - il ragionamento va in direzione .dei vv. 1 6 s. - e dall'altro questa morte non è un fato inelut­ tabile, bensì un evento in linea di principio evitabile. Anzi, quando Amos e i suoi tradenti trasformano l'invito a «cercare Dio» (v. 4b) nell'invito a «cercare il bene», sembra che per lo­ ro ci sia bisogno soltanto di un'unica cosa estremamente ov­ via, per non dire della cosa più alla portata di tutti. N o n è un mistero per nessuno che abbia familiarità con l'Antico Testa­ mento che dietro questa parola «bene» non si nasconde alcun sistema filosofico con la sua dottrina delle virtù. Ugualmente impossibile è riassumere con questo termine tutte le disposi­ zioni dei comandamenti. Vale invece ciò che G. von Rad scri­ veva nel 1 96o: 27 «Non è questo il linguaggio di chi vorrebbe regolare tutta la vita secondo norme di legge. Ciò che J ahvé ·p retende da Israele appare al profeta molto chiaro e semplice» . In questa posizione Amos e i suoi tradenti stanno in numero­ sa compagnia. In maniera del tutto simile hanno potuto parla­ re del «bene» i coevi Osea (8,3), Isaia ( 5 ,20) e soprattutto Mi­ �hea (3,2). Più di un secolo più tardi Geremia usa per la me­ desima realtà una terminologia un po' diversa: «fare ciò che è retto e giusto» equivale per lui alla «conoscenza di J ahvé» (/er. 2.2, 1 5 s., ecc.) e l'ignoto profeta di Mich. 6,8 si rivolge indivi­ dualmente a «ogni uomo» ricordandogli che «ti è stato detto ciò che è buono ... » . I particolari accenti della parola di Amos risultano da tre osservazioni. Tanto per cominciare, i vv. r 4 s. provengono da una situazione di dialogo e argomentano po­ lemicamente contro una fede nella salvezza che dall'assicura­ zione della presenza protettrice di Dio nel culto faceva discen­ dere un libertinismo del comportamento. Una simile fede nel­ la salvezza è attestata soprattutto per Gerusalemme (cfr. Mich. ) , I I : «Jahvé è in mezzo a noi: nessuna sventura ci potrà mai 27.

G. von Rad, Teologia dell'Antico Testamento

n,

Brescia

1 974,

220 s.

Am. J, I-17

1 27

colpire», oppure il discorso di Geremia nel tempio, ler. 7) e la formulazione del v. 14b, che fa ricordare i salmi di Sion,18 sug­ gerisce con forza che le categorie per descrivere questa con­ trapposizione polemica furono prese dal culto di Gerusalem­ me. In secondo luogo, l'invito a cercare il bene (v. 1 5) viene re­ so concreto in maniera tale che, da una parte, l'orrore del ma­ le 19 occupa il primo posto e viene espresso volutamente col medesimo verbo che al v. 1 0 denota il disgusto dei colpevoli per il corretto verdetto del giudice; d'altra parte, tuttavia, con il concetto contrario di «amore per il bene» l'invito viene ad essere caratterizzato da una carica emotiva. Infine è soprattut­ to nel terzo momento che il «bene» assume un aspetto concre­ to essenziale: il giudizio e la pronunzia non devono essere in­ fluenzati da fattori esterni, quindi «ristabilite il diritto alla por­ ta», con riferimento ai vv. 7- 1 3 ::- . Per Amos e i suoi tradenti tutto dipende interamente da questa libera e corretta giurisdi­ zione, senza la quale Israele non può essere popolo di Dio e in assenza della quale una sopravvivenza d'Israele è impossibile. Ma se si ritrova questa giusta giustizia, la sopravvivenza è an­ cora possibile, considerati i danni irreversibili verificatisi in se­ no al popolo di Dio ? Questo pensiero si affaccia molto timi­ damente e con grande cautela alla fine. In ogni caso una sal­ vezza è ancora possibile per «il residuo di Giuseppe» . Con «Giuseppe» si vuole significare o (come con «Efraim» in Os. 4 ss.) il moncherino del regno del Nord rimasto sull'altopiano centrale dopo che gli assiri nel 73 3 a.C. (circa trent'anni dopo 2.8. Cfr. in particolare P uso del plurale in «Jahvé con voi» col ritornello di Ps. 46 ( «Jah­ vé Sabaot con noi »). Ai salmi di Sion si può quindi ricollegare più tardi anche il so­ lenne predicato divino, la cui misura va fuori metro, «Jahvé, il Dio degli eserciti» (vv. 14b. q b. I 6a), titolo che vuole richiamare alla memoria dei lettori postesilici il conte­ nuto delle dossologie (4, I 3; 5,8; 9,5 s.). Per il suo significato polemico (contro il culto di Bethel) cfr. comm. a 4, I 3 . 2.9. Con questo termine i tradenti riprendono formalmente l'avvertimento d i Amos a guardarsi dalla ricerca sbagliata di Dio nei pellegrinaggi (si ripete ogni volta «non cer­ cate . . . » ) . Quanto al contenuto, il «male» è stato spiegato esplicitamente ai vv. 7. I o- I 2. I due momenti (culto e giustizia) sono indissolubilmente uniti anche in 5,2 I -24.

12 8

Am. J, I-17

il ministero di Amos) gli ebbero amputato le province di Dor, Megiddo e Galaad, oppure la popolazione sopravvissuta alla caduta di Samaria nel 722 a.C. Comunque sia, ricorrendo al nome di «Giuseppe» (non impiegato da nessun altro profeta dell 'viii secolo) si evita volutamente di menzionare «Israele». Se nel concetto di «residuo» sia presente anche l'idea che l'o­ racolo presuma che solo un limitato numero di abitanti sia in grado di cambiare comportamento, non si può più sapere con certezza. Ma anche questo «residuo» capace di mutamento po­ trà «forse», solo forse, salvarsi. Amos era chiamato ad annun­ ciare a un Israele colpevole la «vendetta» di Dio (3 ,2) o la sua mortale vicinanza ( 5 , 1 7); i suoi tradenti non osano dipingere la salvezza di Dio a chiare tinte alla loro generazione, che al­ meno in parte aveva sperimentato tale giudizio sulla propria pelle, ma lasciano alla libertà di Dio spazio per limitare la sua azione punitiva, per far prevalere la misericordia, che a loro ap­ pare ancora impensabile. Questo «forse» ha avuto una signifi­ cativa storia degli effetti nell'Antico Testamento: cfr. in parti­ colare Soph. 2,3 ; loel 2, 14 e Gion. 3,9. Si tramanda che rabbi Ami piangesse ogni volta che gli capitava di leggere passi bi­ blici col divino «forse» (blfagigah 4b) . Nel contesto questo «forse» non ha tuttavia soltanto valore limitativo, bensì vuole allo stesso tempo richiamare il favore con cui Dio guarda an­ che all'uomo degno di morte quando questi trova la forza di cambiare, una tenerezza che supera la fedeltà alla propria pa­ rola di castigo.

s,I6- I 7 (A'). La vicinanza mortale di Dio. Per i tradenti di

Amos come per Amos stesso l'unica cosa certa è l'incarico di­ retto ricevuto e questo è il lamento funebre, come si legge a mo' di soprascritta in testa ai capp. 5 -6 (cfr. v. I ). Questa la­ mentazione è assolutamente totale, non esclude nessuno e vale sia dentro che fuori, per tutti gli angoli della città e anche per la campagna. Si deve andare a chiamare i contadini perché dia­ no manforte alle prefiche, queste non sono più sufficienti per

1 29

Am. j,I B-27

il numero dei morti. Lo sguardo si sposta infine sui vigneti, luoghi di grande allegrezza, giacché la vendemmia e la raccolta delle ulive costituivano in Israele la festa gioiosa per antono­ masia: ma anche le vigne si sono tramutate in luogo di cor­ doglio. Dopo tutto questo elenco dei luoghi di lamento e delle persone colpite dal lutto, la breve motivazione di due sole pa­ role, confermata ancora una volta per amor di completezza come oracolo di J ahvé, ha l'effetto di un colpo di maglio: non è l'assenza di Dio che porta la morte a Israele, bensì «io passo per di mezzo a te>>. Con questa sentenza conclusiva formulata al singolare la composizione ritorna alla prospettiva collettiva dell'inizio («la vergine Israele»: 5 ,2; cfr. per contro gli impera­ tivi al plurale: «Cercate ... » ai vv. 4.6. 14). L'affermazione con­ tiene in sé due associazioni. Una è di tipo storico-tradizionale e richiama alla memoria l'evento dell'esodo come viene nuo­ vamente commemorato ad ogni pasqua: con questa festa Israe­ le celebra lo scampato pericolo, quando fu risparmiato la volta che Jahvé «passò attraverso l'Egitto>> per colpire i primogeniti. Ora, invece, è Israele a essere colpito, non solo i suoi primoge­ niti. La seconda associazione riguarda la terza e quarta visione di Amos. Lì la fine della pazienza di Dio e della sua disponibi­ lità al perdono viene descritta usando il medesimo verbo, co­ struito però con una preposizione diversa, in modo tale che a Jahvé non sarebbe ora più possibile «passargli ( Israele) so­ pra>> ('abar le: 7,8; 8,2). 5 ,7 menziona l'alternativa rimasta: il mortale «attraversamento>> ('abar be). Quando Jahvé agisce in questa maniera, Israele è perduto; la sua «fine è giunta>> (8,2). In tale situazione il «forse» divino di 5, I 5 è l'unica speranza. =

5 , 1 8-27. Il primo guaio (iJ giorno di jahvé) 1 8 Guai a coloro che attendono impazienti il giorno di Jahvé! 19

Che sarà mai per voi il giorno di Jahvé? Sarà tenebra e non luce. Sarà come quando uno fugge da un leone e s'imbatte in un orso;

I JO

20

Am. J,I B-27

riesce ad arrivare in casa, appoggia la mano al muro e lì lo morde un serpente: allora non è dunque tenebra il giorno di Jahvé e non luce, oscurità 1 e senza alcun chiarore?

2 1 Odio, rifiuto 2 le vostre feste

non posso più sentire l'odore delle vostre sagre.

22 A meno che non mi offriste olocausti! 3

Le vostre offerte di cibo non le voglio accettare e neanche guardare la carne del vostro bestiame da ingrasso. 23 Via da me la confusione dei tuoi canti né voglio udire il suono della tua cetra, 24 finché il diritto non scorra con forza come l'acqua e la giustizia come un torrente inesauribile. 25 Mi avete offerto vittime e cibo nel deserto, per quarant'anni, o casa d'Israele ? 2 6 E avete portato il vostro 4 Sakkut, s vostro re, e Kewan, 5 vostre immagini, vostre divinità astrali, che vi siete fatte da soli? 27 Così vi condurrò in esilio, oltre Damasco, ha detto Jahvé, Dio degli eserciti il suo nome. C. van Leeuwen, The Prophecy of the Yom YHWH in Amos V r8-2o: OTS 19 ( 1 974)

I I J - I J4; E. Wiirthwein, Kultpolemik oder Kultbescheid?, in Fs. A. Weiser, Gottingen 1963, 1 1 5 - 1 3 1 , rist. in E. Wiirthwein, Wort und Existenz, Gottingen 1 970, 1 44- 16o; A.B. Ernst, Weisheitliche Kultkritik: BThSt 23 ( 1 994) 99- 1 26.

1 . Tutte le versioni antiche vocalizzano l'ebraico indicando il sostantivo, soltanto il T.M. legge l'aggettivo («oscuro»). 2. Come spesso avviene per i verbi di sentimento e di pensiero il perfetto ha valore di presente; cfr. Joiion, Gr. § 1 ua; Br., Synt. § 4 1 c. }· L'ipotesi frequentemente espressa che il v. 22aa vada inteso come un'accusa di cui si sia persa per errore la seconda parte non sta in piedi già per il fatto che soltanto il v. 22aa: interrompe il discorso in prima persona di Jahvé e unicamente gli «olocausti» del v. 22acx non hanno il suffisso personale «vostri ». 4· Diversi interpreti moderni (ad es. Weiser, Rudolph) intendono il verbo del v. 26 co­ me perfetto consecutivo, cioè in senso futuro, come un annuncio di sventura. Si oppo­ ne a tale lettura non solo l'opinione di tutte le versioni antiche, bensì anche il contenu­ to dell'ultima aggiunta al testo stesso ( « che vi siete fatti da soli»). Importanti obie­ zioni oggettive sono avanzate da A.S. van der Woude, Fs. H. Cazelles (AOAT 2 1 2), 1 98 1, 486 s. Per le due possibili traduzioni cfr. G-K18 § 1 1 2x e 1 1 2rr. 5. I masoreti hanno vocalizzato i nomi delle divinità assiro-babilonesi con le vocali di siqqu!, «obbrobrio». •••

Am. J, rB-27

IJI

A m. 5 , 1 8-27 è composto da due unità retoriche in origine tra loro indipendenti: una invettiva sulla speranza nutrita dai contemporanei di Amos di un compimento definitivo della salvezza a opera di 1 ahvé nel «giorno di 1 ahvé», nella quale si coglie ancora chiaramente il carattere di dialogo o di disputa (vv. I 8-20: discorso del profeta) e un oracolo di critica del cul­ to che termina con un annuncio del giudizio, passando per una esortazione a praticare il diritto e la giustizia (vv. 2 1 -27: di­ scorso di Dio). Tuttavia le due unità, separate nella fase orale, ora devono essere lette come un testo scritto unitario . Lo si capisce non solo perché il v. 2 I si ricollega senza soluzione di continuità né transizione ai vv. I 8-20, ma soprattutto perché i vv. I 8-27 nel loro insieme (mediante l'inserimento del v. 2 5 ) mostrano una struttura esattamente parallela a quella del cap. 6. Entrambe le composizioni presentano un'articolazione in quattro tempi. I. All'inizio, sotto forma di discorso del profe­ ta, c'è in entrambi i casi un'invettiva contro persone sicure di sé la quale racchiude un pensiero compiuto ( 5 , 1 8-20; 6, I -7); 2. si ha poi un discorso di Dio nel quale vengono espresse, con immaginabile severità e parzialmente con la medesima termi­ nologia («odio» : 5,2 1 ; 6,8 ), la ripugnanza e l'avversione di Jah­ vé per la condotta e la vita d'Israele; 3· segue quindi una do­ manda ( 5 ,2 5; 6, 1 2 ), l'elemento più singolare e che più richiede un'interpretazione; 4· infine il verdetto con la punizione divi­ na annuncia deportazione e persecuzione per mano di un po­ polo nemico (5 ,27; 6, I 4). Nonostante le variazioni nei partico­ lari questa costruzione parallela comune a 5 , 1 8-27 e al cap. 6 è così evidente che i due testi devono venire interpretati in ana­ logia tra loro, come due strofe di un'unica poesia. 5,1 8-2o. Il giorno di Jahvé. Le due unità maggiori comincia­ no entrambe con un « guai» che nel testo originale aveva un suono molto più dolente del nostro modo di lamentarci « ahi­ mè, povero me! » . hoj è il termine centrale del lamento funebre, come viene annunciato a mo' di soprascritta in 5 ,I ed è stato

132

Am. J,I B-27

già es�guito subito prima della nostra pericope {v. I 6: ho-ho). Il grido delle p refi che, 'abba ' halak, hoj hoj, «il padre se n'è an­ dato: guai, guai», si poteva sentir echeggiare per le strade di Ge­ rusalemme fino a pochi decenni fa. Per l'esclamazione «guai ! » vale così quanto si è già detto a proposito del lamento funebre di 5 ,2: Amos è probabilmente il primo 6 a usare in maniera ar­ dita e assolutamente nuova una forma letteraria corrente, non solo riferendo a una collettività un genere squisitamente indi­ viduale (il lamento per il singolo morto), ma soprattutto apo­ strofando come già morte persone ancora in vita che lo stanno ascoltando. Come già altrove (3 , I 2; 5 ,7; 6, 1 3 ) egli usa il parti­ cipio per caratterizzare - come mostra il seguito col vocativo - i colpevoli, solo che qui (e anche nel brano successivo dei vv . 2 I ss.) non viene rimproverata la loro ingiustizia, bensì la ca­ rente o addirittura assente consapevolezza della colpa. Il concetto del «giorno di J ahvé» segna l'intera storia della profezia dopo Amos, particolarmente nell'epoca postesilica. Gli esempi più noti sono fs. 2 e I J, Soph. I e, soprattutto, il li­ bro di Gioele, del quale il «giorno di J ahvé» costituisce il tema centrale. In maniera sempre più chiara si delinea una serie di tratti costitutivi dell'intervento sventurato di J ahvé contro Israele, ma anche contro i suoi nemici. In A m. 5 , la testimo­ nianza più antica, non si coglie ancora questo consolidato com­ p lesso di immagini stereotipe. Invece il testo rispecchia un' ap­ passionata polemica tra Amos e gli ascoltatori circa la natura del «giorno di Jahvé». (Cfr. nell'invettiva le domande retori­ che del tutto atipiche ai vv. I 8b e 20 con le quali, in realtà, il profeta non intende valutare diversi punti di vista, bensì far ve­ dere che si tratta di una questione di vita o di morte, come mo­ stra il «guai»). Amos non ha creato l'espressione, ma contesta 6. E. Gerstenberger: JBL 8 1 ( 1 962) 249-263 e H.W. Wolff, 284 ss. (a 5 ,7) e già prima in Amos' geistige Heimat, 1 2 ss. hanno ipotizzato che già la sapienza familiare abbia formulato invettive con participi. Questa tesi è stata accolta con scetticismo dalla mag­ gior parte degli studiosi e contestata con validi argomenti da Chr. Hardmeier, Text­

theorie un d biblische Exegese. Zur rhetorischen Funktion der Trauermetaphorik in der Prophetie (BEvTh 79}, 1 978, spec. 2 5 6 ss.

Am. J , r 8-27

133

energicamente il contenuto che essa ha nella mente degli ascol­ tatori. Dal contesto si può soltanto evincere con chiarezza che nell'opinione dei contemporanei di Amos il « giorno di Jahvé» fosse qualcosa di molto desiderabile e di estremamente auspi­ cabile, evidentemente il compimento della salvezza senza più l'assillo di alcun nemico e con la rivelazione definitiva di Dio/ Amos non contesta che il «giorno di J ahvé» potrebbe fonda­ mentalmente possedere tali caratteristiche, ma lo contesta per i suoi contemporanei (cfr. l'enfatico «per voi» nella domanda del v. 1 8b ). Per il profeta il «giorno di Jahvé» sembra manife­ stare la propria definitività nel portare alla luce, definitivamen­ te, il rapporto tra Jahvé e Israele. Ma questo rapporto è diven­ tato di tale natura che l'incontro d'Israele col suo Dio può fi­ nire soltanto in maniera letale, come nel versetto immediata­ mente precedente l' «attraversamento» di Dio era portatore di analoga morte. Le due similitudini intrecciate tra loro, tratte dall'esperienza di un allevatore di ovini (v. 1 9), vogliono do­ cumentare proprio questa situazione: iniziano entrambe con un uomo che riesce fortunatamente a scampare da un gravissi­ mo pericolo (fuga e ritorno a casa, nella sicurezza delle mura domestiche) e finiscono con l'inattesa e mortale azione di un animale; prese insieme dicono che nonostante tutte le passate esperienze di protezione e salvezza, che Amos conosce altret­ tanto bene dei suoi ascoltatori così sicuri di sé, per Israele c'è una sola cosa certa nel « giorno di Jahvé» : la morte improvvisa, comunque possa verificarsi. Per l'inevitabilità della morte cfr. 7·

Il primo aspetto si deduce indirettamente dalla similitudine del v. 19, l'ultimo dal­ l'accostamento del v. 1 8 al v. 1 7 (dove la vicinanza di Dio significa morte per Israele), entrambi insieme dalla negazione del termine conclusivo nogah, «lume, chiarore» (v. 1ob) che in numerosi passi (Ps. I 8, 1 J .l9 par. 2 Sam. ll, I J.l9; Abac. J ,4. 1 1 ; cfr. /s. 9, 1) denota l'apparizione di jahvé in aiuto del suo popolo; cfr. F. Schnutenhaus, Das Kom­ men und Erscheinen Gottes im Alten Testament: ZAW 76 ( 1 964) 98 s. - Le afferma­ zioni contenute in questo testo non sono sufficienti per ricostruire un'attesa escatolo­ gica popolare (cfr. in particolare H. Gressmann, Der Ursprung der israelitisch-judi­ schen Eschatologie [FRLANT 6], 1905, 1 4 1 ss.) o un'escatologia comunicata nel culto (S. Mowinckel, Psalmenstudien, n . Das Thronbesteugungsfest ]ahwi:is und der Ur­ sprung der Eschatologie, Osio 1914, 229 ss.).

1 34

Am. J,IB-27

2, 1 4- 1 6 e 9,2-4. Alla morte mira anche il linguaggio simbolico, comune soprattutto nei salmi, che fa da cornice alle similitudi­ ni degli animali e precisamente sia come tesi anticipatrice {v. 1 8b�) e come morale della similitudine {v. 2o) ; il questo lin­ guaggio la «luce» è simbolo di vita (Ps. 3 6, I o, ecc.), la «tene­ bra» di morte (ls. 9, 1 , ecc.). Si tratta allo stesso tempo del lin­ guaggio che il primo giorno della creazione distingue la con­ dizione per la vita (la «luce» creata) dal caos precedente (la «te­ nebra»), dal quale la «luce» viene espressamente separata ( Gen. 1 ,2-4). L'affermazione conclusiva « . . . e senza alcun chiarore» soffoca sul nascere anche il più piccolo barlume di speranza. 8 Il rifiuto del culto. Il passo di 5 ,2 1 -27 si raccorda sen­ za soluzione di continuità a 5 , 1 8-20, ma passa a sorpresa, sen­ za alcuna introduzione, dal discorso del profeta al discorso di Dio che, formalmente, è riconoscibile come tale soltanto dalla formula dell'oracolo di Dio che compare alla fine del v. 27. Il rapporto logico tra le due parti è analogo a quello tra il v. 2 e il v. 3 : come qui il lamento funebre del profeta su Israele ha bi­ sogno della parola di Dio quale motivazione, così la tesi pro­ fetica di 5 , 1 8 ss., che il «giorno di J ahvé» significa per Israele morte, si fonda sul rifiuto divino del culto offerto da Israele. Senza possibilità di contatto con Dio Israele è già un morto vivente. La comprensione della pericope 5 ,2 1 -27 che contiene la più aspra critica di Amos al _c ulto non ha cominciato a essere og­ getto di discussioni e polemiche intense a partire dall'Illumini­ smo, bensì già al tempo dello stesso Antico Testamento, come mostrano le tre interpretazioni - totalmente diverse tra di lo­ ro, ma tutte in prosa - che sono venute ad aggiungersi al testo al v. 22aa, al v. 2 5 e al v. 26. In epoca moderna l'interpretazio­ ne più influente fu quella della teologia liberale che vide in 5, 5,2. 1 -.17.

8 . Come hanno messo in rilievo Weiser e Rudolph, l'oscurità dell'affermazione finale

è sottolineata in ebraico dal suono sordo di numerose «o» che continuano il suono del

termine hoj del lamento funebre.

Am. J, I B-27

135

2 1 ss. il cuore del messaggio di Amos e lo sintetizzò nella for­ mula facilmente assimilabile che Amos avrebbe richiesto giu­ stizia invece del culto, cioè il superamento della religione cul­ tuale mediante la giusta condotta degli uomini, i quali sareb­ bero stati liberati dalle pastoie delle cerimonie esteriori.9 Tutti gli esegeti successivi si confrontano, in maniera esplicita o im­ plicita, con questa posizione.

L'esegesi deve partire da una duplice base: 1 . il rifiuto del culto comincia con un colpo di timpani: in apertura si han­ no i verbi più duri e dalla carica emotiva più forte, precisa­ mente nel perfetto assertivo, mentre a partire dal v. 2 1 b pre­ valgono le forme verbali modali o iterative. Poiché il rifiuto di Dio comincia oggettivamente dall'aspetto comprensivo, dalle feste (v. 2 1 ), e menziona solo in seguito sacrifici (v. 22) e mu­ sica (v. 23}, è chiaro che non si tratta di una critica rivolta al contenuto di aspetti particolari del culto; invece la menzione di feste, sacrifici e musica è una sineddoche (pars pro toto) per indicare il culto nella sua totalità e questi elementi costituisco­ no, complessivamente, una antitesi a «diritto e giustizia» (v. 24). Per questo rispetto la lettura della teologia liberale ha ap­ parentemente ragione. 2. Come in 4,4 s., Amos riprende de­ liberatamente il linguaggio sacerdotale e lo trasmuta radical­ mente; egli indossa ancora una volta i panni di un ufficio che gli è estraneo. Per i sostantivi la cosa è evidente: il sacerdote in­ vitava alle «feste» (sono chiamate così, in primo luogo, le tre grandi feste legate ai pellegrinaggi} e alle «assemblee festive» (il termine ebraico si riferisce soprattutto all'astensione dal la­ voro); i sacrifici - nel v. 22 si considerano soprattutto i sacrifi­ ci legati alle due funzioni essenziali dei primordi: la funzione di dono (offerte di cibi) e la funzione di natura comunitaria 2. 1 -.1 3 .

•o



La posizione più radicale fu quella di P. Volz: ZSTh 14 ( 1 937) 63 -85 che in Am. 5 vide compiersi il divorzio tra religione profetica e religione cerimoniale. Cfr. ancora ai giorni nostra la soprascritta nel commento di Rudolph: «Non culto, ma giustizia». 10. Cfr. R. Rendtorff, Studien zur Geschichte des Opfers im Alten lsrael (WMANT

Am. J,IB-27

136

- li immolava naturalmente il sacerdote; la musica che accom­ pagnava il culto («canti» vocali e «musica» strumentale sono termini comuni nei salmi; la «cetra» oppure «lira» o, com'è sta­ to anche suggerito, il «liuto» è uno dei due più antichi stru­ menti a corda dell'Antico Testamento) era affidata - almeno a Gerusalemme - ai sacerdoti oltre che a musicisti di profes­ sione e a corporazioni canore (o, più tardi, ai levi ti). Molto più importanti dei sostantivi sono comunque i verbi e la loro funzione, verbi che provengono, quasi senza ecce­ zioni, dal vocabolario dell'ufficio sacerdotale. L'esempio più chiaro è quello del verbo «accettare, accogliere» (r�h) con Dio per soggetto (v. 22 ) . Con questo verbo il sacerdote comunica­ va l'accoglimento o il rifiuto di una vittima o di un'azione sa­ crificale, secondo che l'animale o il gesto fossero conformi o meno alle regole rituali (Lev. I ,J s.; 7, I 8 ss.; 9, 5 -7; 22,23.27, ecc.; cfr. Ier. I 4, I 2; Ps. 5 I , I 8). 12 Sostanzialmente analoga è la situazione per quanto riguarda l' «odore» dei sacrifici che J ah­ vé sente (cfr. Gen. 8,2 I ; Lev. 26,3 I ; I Sam. 26, I 9); in verità il verbo «odorare/sentire l'odore» non è mai usato in senso tec­ nico nelle norme rituali e in A m. 5 ,2 I viene usato liberamente per indicare il culto nel suo complesso. In un altro ambito del giudizio emesso dal sacerdote porta invece la coppia di verbi «(amare- )odiare» con J ahvé per soggetto: essa viene presa dal­ la torà, cioè dalle istruzioni per la vita quotidiana (cfr. Ps. I I , 5 . 7; 3 3, 5 ; 3 7,28 e spec. /s. 6 1 ,8; uso volutamente anomalo in Am. 4 , 5 ) . 3 In un terzo e ultimo ambito di tale giudizio si colII

I

24), 1 967, 1 9 1 s. La limitazione della minpa all'offerta di cibi vegetali avviene solo in età posteriore (Rendtorff, op. cit. , 192 s .). La menzione del «bestiame ingrassato» per il banchetto sacrificale (soltanto qui neWA.T. si ha il singolare slm) fa già riecheggiare la tematica del godimento di Am. 6t4-6; cfr. inoltre anche Os. 8, 1 3; ler. 7,2 1 . 1 1 . Cfr. Wolff, ad loc. ; recentemente H.-P. Riiger : BRLZ, 234-236 e H . Seidel, Musik in Altisrael (BEAT 12), 1989 (entrambi con bibl.). 1 2. Cfr. le testimonianze in Rendtorff, op. cit. , 2 5 3 ss.; prima ancora in ThLZ 8 1 ( 1 9 5 6) 3 3 9-342 e già E. Wiirthwein, Amos J,2 I-27 ( 1 947), in E . Wiirthwein, Wort und Existenz, Gottingen 1 970, 5 5 -67. 1 3 . Al tempo stesso dal contesto si ricava ciò che Israele pertanto «odia»: poiché Israe-

Am. J, I B-27

137

loca il verbo «ascoltare» o «non ascoltare» con J ahvé per sog­ getto, verbo col quale di solito il sacerdote comunicava al sin­ golo orante se J ahvé aveva ascoltato o rifiutato la sua preghie­ ra (cfr. in particolare Ier. I 4, I I s.). 14 A dire il vero vi sono tre differenze fondamentali tra l'uso originale di questo linguaggio da parte dei sacerdoti e il nuovo uso che ne fa Amos: I . i sacerdoti comunicavano impersonal­ mente (il cosiddetto passivum divinum) l'accettazione o meno del sacrificio e trasmettevano la torà con distacco pedagogico («ciò che J ahvé amafodia» ); Amos pronuncia il suo giudizio con l'autorità dell' «io» di Jahvé. 2. Con la loro autorità i sa­ cerdoti avevano il compito di accettare o respingere, per man­ dato divino, un'unica vittima, un solo gesto, un'unica preghie­ ra; il giudizio di Amos rifiuta, in nome di Dio, il culto d'Israe­ le nel suo complesso. Nel linguaggio sacerdotale stesso una si­ mile possibilità non era neanche prevista. q 3 · I sacerdoti invi­ tavano alle «feste per J ahvé», ai «sacrifici per J ahvé»; il Dio di Amos vede davanti a sé solo «le vostre feste», «le vostre offer­ te>>, cioè riti che non lo raggiungono, che non lo toccano (cfr. 4, 5 : «Poiché è questo ciò che voi amate ... >>). In A m. 5 ,2 I ss. non si valuta dunque l'importanza del culto contro l'impor­ tanza dell'etica, svalutando in questo modo il culto rispetto al­ l'ethos, come pensava la teologia liberale, bensì si dice a un Israele colpevole che il suo culto non giunge più a Dio e per­ tanto è degenerato in un «servizio a se stessi». Per Amos ciò è le «odia» non «il male» (v. 1 5 ), ma il giudizio giusto (v. 1o), jahvé «odia» di conseguen­ ze le sue feste, cioè il contatto con Israele. 1 4. Ho cercato altrove (Kultprophetie, 1 5 9) di dimostrare, seguendo J. Begrich, Das priesterliche Heilsorakel ( 1 936), in Ges. St. , 1964, 2 1 7 ss., che questa era una funzione squisitamente sacerdotale e non profetica, come sostiene E. Wiirthwein, Kultpolemik,

144- 1 60: I 5 5 SS.

I 5 . Questa differenza si vede in modo molto chiaro quando si passa all'uso dei verbi non sacerdotali: al v. 2 1 col severo «respingo» e al v. 23 con il passaggio all'imperati­ vo (o infinito assoluto) «lungi da me ... », col quale è collegato il passaggio dalla 2a pers. pl. alla 2 a pers. sg. che vuole sicuramente essere un segno di crescente intensità del di­ scorso. Da parte sua il crescendo critico quando arriva al canto dei salmi va a toccare proprio la sfera più intima del culto.

138

Am. J, I B-.27

vero, non perché si sarebbe sacrificato nella maniera sbagliata (così il più recente, di certo postesilico v. 22aa), neanche per­ ché si sarebbe reso omaggio a potenze straniere (così l'aggiun­ ta posteriore al v. 26), ma perché senza «diritto e giustizia» (v. 2.4) un contatto d'Israele con Dio è impossibile. Israele celebra J ahvé come se il suo rapporto con Dio fosse integro e non si accorge nemmeno che J ahvé non è presente alla festa. In que­ sto senso nel rifiuto del culto già si affaccia la «fine d'Israele» (8,2). L'inefficacia e l'inutilità del culto è un segno evidente che Israele è solo apparentemente ancora vivo, ma in realtà non soltanto è votato alla morte, bensì è già morto e quindi ogget­ to del lamento funebre che il profeta intona ai vv. 1 s. I 6 s. e I 8 . 24. A questo proposito ciò che Dio si aspetta d a Israele, ' 6 ma che proprio l'automatismo del culto ostacola, non sarebbe, ad esempio, un grosso sforzo o un'impresa eccezionale, bensì una cosa che per il popolo di Dio dovrebbe essere la più vicina e naturale del mondo. Come si è già detto commentando il v. 7, per Amos e gli altri profeti classici «diritto e giustizia» non sono fini che determinano la condotta, bensì prima di tutto doni di Dio che Israele può valorizzare e promuovere o invece ostacolare, anzi persino «sovvertire» ( 5 ,7; 6, 1 2). Amos non pen­ sa affatto a una convivenza regolata da una serie di norme pre­ cise, bensì alla possibilità di risolvere in maniera imparziale con­ flitti verificatisi nella comunità («diritto») e a un atteggiamen­ to di fondo dei singoli individui che orienti la condotta verso il miglioramento della comune convivenza e per tale fine ab­ bia una considerazione particolare per i deboli e i poveri. Nel­ l' Antico Testamento «giustizia» è un concetto relazionale; per­ ciò non esiste una gradazione della giustizia, cioè non esiste una giustizia parziale o approssimativa, bensì soltanto una «giu16.

La più antica lettura del v. 24 come oracolo di giudizio (Keil, Sellin, Weiser), che

è problematica già per la presenza dello iussivo al v. 24a, ma poi e soprattutto a moti­

vo

delJ'immagine del v. 24b, è stata spesso confutata; cfr. ad es. Rudolph, 2 1 1 s. e J. Vollmer, Ruckblicke, 4.2. s . n. 1 5 4.

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1 39

stizia» attuata o una «giustizia» assente. In questa ottica succe­ de che nel concetto di «giustizia» azione e conseguenza coin­ cidano; la «giustizia» denota dunque, in pari maniera, l'azione che promuove la comunione e anche il bene comune che essa produce (cfr., ad es., il Ps. 72, dove la condotta giusta del re [v. 2] produce effetti positivi addirittura nella natura [v. 3]). Que­ sto benessere, tuttavia, non è, in ultima analisi, opera dell'uo­ mo, bensì è il favore di Dio. Perciò nella festa dell'intronizza­ zione la comunità implora così insistentemente Dio, proprio col succitato Ps. 72, affinché conceda al re (Ps. 72, 1 ) «la tua de­ lega a giudicare» e «la tua giustizia», perché questi doni di Dio sono la condizione di ogni giusta azione e quindi la condizio­ ne di ogni prosperità. Col suo paragone Amos vuoi dire che Israele ha avuto così tante esperienze della «giustizia» di Dio, cioè della salvezza divina - ad esempio quando fu aiutato a non soccombere davanti ai ben più potenti amorrei (2,9) - che non può fare veramente altro che far scorrere liberamente e costan­ temente (questo significa il paragone col torrente «inesauribi­ le», cioè perenne, ricco di acque anche d'estate) la «giustizia». Amos intravede forse ancora una possibilità di cambia­ mento per Israele che «getta a terra il diritto e la giustizia» (v. 7) ? A questa domanda è ancora più difficile trovare una rispo­ sta che nel caso di 5 ,4. Tuttavia non si può trascurare che nel libro di Amos la coppia «diritto e giustizia» rimane limitata ai capp . 5 -6, che a differenza di tutti gli altri capitoli del primiti­ vo libro di Amos mostrano ancora, nonostante i toni lugubri del lamento funebre, una certa apertura sia mediante i moniti (ad es. 5 ,4 -6. 1 4 s.) sia mediante le domande didattiche (ad es. 5, I 5 e 6, I 2) che vogliono aiutare a conseguire un certo discer­ nimento. Almeno i tradenti di Amos, se non il profeta stesso, non hanno utilizzato la coppia di termini «diritto e giustizia» in maniera massiccia nell'atto di accusa (così 5 ,7), bensì se ne sono piuttosto serviti, ammonendo e interrogando, per indi­ care un cammino. I tradenti hanno precisato queste indicazio� 5·

Am. j, I B-27 ni sul cammino da seguire riagganciandosi, dopo il 722 a.C., alla teologia di Osea, mettendo a confronto, con la domanda didattica del v. 2 5 , il presente caratterizzato dal culto sacrifica­ le con la peregrinazione nel deserto quale epoca ideale della comunione con Dio. 17 Con questa domanda i tradenti non in­ tendevano dare una lezione di storia ai contemporanei - la di­ scussione su «un'età mosaica senza sacrifici» esula dal testo -, bensì condurli dalla fiducia nell'automatismo di una «giustizia» persegui bile mediante l'esecuzione del numero più alto possi­ bile di sacrifici (cfr., ad es., Os. 8 , 1 1 - 1 3; 1 0, 1 s.) agli inizi bene­ detti di una genuina comunione con Dio nel deserto (ad es. Os. 9, 1 o; 2, 1 6 s.) quale modello di «giustizia» vissuta. Per Osea e, sulla sua scia, per i discepoli di Amos (e anche per i tradenti di Geremia: ler. 2,2 s.; 7,22 s.) il tempo della peregrinazione nel deserto era un modello di «giustizia» vissuta e attuata in quan­ to allora non era stato ancora possibile alcun pericolo di adul­ terazione della fede mediante il culto estraneo di Baal, come si manifestò spesso nella mentalità sacrificale d'Israele: 1 8 Israele dipendeva totalmente da Jahvé. Amos stesso non parla mai di pericolo del baalismo, ma i tradenti di Amos sono stati affatto consapevoli che la sua critica del culto fu portata avanti, in ma­ niera congeniale, dal profeta del regno del Nord, Osea. 26.22a. La ricezione della condanna del culto di Baal in Osea ha offerto lo spunto per scrivere, in età esilica o postesilica, ulteriori aggiunte alla critica di Amos al culto. Questo intervento sposta l'accusa del testo sul piano della venerazione di divinità straniere, come Amos n on aveva mai 17. Verosimilmente i «quarant'anni» sono una glossa concresciuta nel v. 2 S giacché al­ trimenti questo numero di anni è attestato soltanto a partire dall'esilio, nel contesto della teologia deuteronomistica e del codice sacerdotale (v. sopra, a 2, 1 o). Un'osser­ vazione analoga vale certamente anche per la menzione, comune in età tarda, dell' «of­ ferta di cibo» al singolare (il v. 22 ha il plurale) che risulta strana associata a «sacrifici animali» al plurale. Con entrambi i termini, che probabilmente denotano rispettiva­ mente offerte di natura vegetale e di natura animale (sacrifici cruenti), si vuole indica­ re il culto sacrificale nella sua globalità. V. sopra, n. 1 0. 1 8. Questa mentalità sacrificale è rappresentata, tanto in Osea quanto in Am. s,2 s , dai «sacrifici animali» (zbb); cfr. in particolare Os. 6,6; 8,13.

Am. J,I B-27

fatto . N o minando le divinità astrali Sakkut e Kewan si allude alla forza di attrazione del culto assiro - babilonese degli astri - più precisamente, del culto di Saturno - che fu introdotto con l'occupazione assira e con il trasferimento di popolazione babilonese in quello che era stato una vol­ ta il regno del Nord (2 Reg. 1 7, 1 9-3 I) e più tardi rappresentò un perico­ lo per i giudaiti durante l'esilio babilonese (/s. 40,26, ecc.). 19 Il verbo «portare)) si riferisce certamente a processioni e stendardi. Infine la più recente, postesilica interpretazione del v. 22aa spiega il rifiuto del culto col tipo sbagliato di sacrifici offerti, contrapponendo loro il tipo princi­ pale di sacrificio praticato nel tempio postesilico, l 'olocausto in cui la vit­ tima veniva totalmente bruciata e offerta alla divinità, come poi l'espres­ sione «offrire olocausti» caratterizza in particolare la tarda storiografia del Cronista.

2 7· Una cosa è tuttavia certa sia per i tradenti sia per Amos: un Israele che si dimostra incapace d'incamminarsi radicalmente in direzione della «giustizia» data da Dio deve necessariamen­ te prendere la via dell'esilio, lontano da Dio. È questo l'aspet­ to concreto della «morte» della «vergine Israele» (v. 2 ) per i superstiti della battaglia. La terra d'esilio è però un «paese im­ puro» (7, 1 7), cioè un paese dove non è possibile celebrare il culto né morire di una morte benedetta vicino a Dio. Ciò che Amos immagina e descrive come «ben oltre Damasco» (cioè le esperienze vissute nella passata guerra contro gli aramei) quan­ do i tradenti mettono per iscritto le sue parole è diventato da lungo tempo una realtà sotto forma della deportazione a opera degli assiri e la comunità ancora più tarda, che pronunciò sul libro di Amos le dossologie del giudizio, lesse anche il desti­ no dell'esilio giudaita a Babilonia alla luce dell'antica parola di 1 9. Il «Sukkot-Benot» nominato in 2 Reg. 1 7,30 non va affatto distinto dal Sakkut di Am. 5 ,26; cfr. W.H. Schmidt, Dtr Redaktion, 1 90. - Del resto la costruzione piena di particolari del versetto mostra come esso sia cresciuto in più fasi: le apposizioni si ri­ feriscono in parte a una sola divinità in parte a due. Il nucleo è costituito certamente da termini del culto astrale assiro-babilonese (E.A. Speiser: BASOR 108 [ 1 947] 5 s.; Barstad, Polemics, 1 2J - 1 2 5), anche se solo la divinità Kewan è attestata quale dio astra­ le (R. Borger: ZAW 100 [ 1 98 8] 7o-8o). Infine il linguaggio del divieto delle immagini ha influito sul testo, precisamente in una forma comune soprattutto in Ezechiele (7, 20; 1 6, 1 7).

Am. J, I 8-27

Amos, come mostra l'inserimento di 4, I 3 b� nella conclusione solenne del v. 27. Già ai suoi stessi tempi A m . 5,2 1 ss. ha esercitato un effetto insolitamen­ te ampio. Tale effetto è riconoscibile in una quantità di testi profetici che rispondono ad A m. 5. Sia i di poco più giovani contemporanei Osea (6,6; 8, 1 3) e, il più vicino ad Amos, Isaia ( I , I 0- 1 7) sia anche (oltre un se­ colo più tardi) Geremia (6, 1 9 2 1 ; 1 4, 1 I s.) sia, infine, in epoca postesili­ ca, Malachia ( 1 , 1 0; 2, 1 3) hanno completato del tutto l'ardito trasferi­ .mento dei responsi sacerdotali circa i singoli sacrifici, comportamenti e preghiere al culto globale del loro tempo. L'interconnessione di questi testi tra loro è stata osservata nella maniera più attenta da E. Wiirthwein, che però ha sbagliato quando ha voluto spiegarla ipotizzando una forma letteraria del «parere profetico sul culto» che avrebbe improntato i testi in parola rispetto al modo di parlare del servizio divino; alcuni commen­ ·tatori moderni (Wolff, Soggin) lo hanno seguito su questa via. Sono fer­ ·mamente convinto che un genere letterario di questo tipo non sia mai esistito.10 Non a caso tutti i testi summenzionati pronunciano un giudi­ zio negativo sul culto, mentre gli ipotetici tratti caratteristici positivi del presunto genere letterario avrebbero constatato soltanto ciò che era un ovvio presupposto di qualsiasi forma di culto, cioè che Dio possa venire contattato nel culto. In questa ipotesi si misconosce l 'aspetto insolito dell'utilizzo profetico del linguaggio sacerdotale, soprattutto l'estensio­ ne di giudizi e responsi riguardanti atti singoli (il singolo sacrificio, la sin­ · gola preghiera, ecc.) al culto nel suo insieme. Invece la parola di Amos si è impressa indelebilmente, come poche altre parole, nei profeti contem­ poranei e per loro tramite nei lettori di un'epoca successiva. -

A dire il vero, Amos non fu un assoluto innovatore nel co­ niare questa sentenza. Lo avevano preceduto le parole dei sa­ pienti che contrapponevano il culto alla realtà quotidiana in questi termini: «Pratica il diritto e la giustizia: a Jahvé ciò è più gradito di un sacrificio» (Prov. 2 1 ,3 ; cfr. v. 27 e 1 5 ,8). Simili comparazioni valutative di contenuto affine sono attestate già nella sapienza egizia di epoca prebiblica; ma queste sentenze 21

20. Ho cercato di dimostrare ciò minutamente nel mio saggio Kultprophetie, 1 5 7- 1 62; di parere simile è anche Rudolph, 209 e n. 3 . Questo giudizio non sposta minima­ mente la mia ferma convinzione che si debba a Wiirthwein quella che è certamente la più profonda interpretazione della critica di Amos al culto. 2 1 . Insegnamento per Merikara, riga 1 29; cfr. W. Beyerlin (ed.), Testi religiosi per lo studio dell'Antico Testamento, Brescia 1 992, 79· -

Am. 6

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didattiche mirano al comportamento del singolo e per tale lo­ ro caratteristica sono lontane mille miglia dal giudizio di Amos sul culto. Cap. 6. 11 secondo guaio (l'arroganza di Samaria)

1 Guai agli spensierati che stanno sul Sion, 1

a coloro che sul monte di Samaria sono gonfi di fiducia, ai maggiorenti della primizia delle nazioni, ai quali la casa d'Israele continua a ubbidire. 1 2 Attraversate, arrivate a Kalne e guardate; da lì andate a Hamat la Grande e scendete fino a Gat dei filistei: siete forse migliori di quei regni o è 'il vostro' territorio più esteso del 'loro '? 3 3 Essi che allontanano il giorno della sventura benché voi abbiate fatto venire il dominio 4 della violenza! -; 4 che giacciono su letti di avorio, sdraiati sui loro divani, mentre mangiano gli agnelli del gregge e i vitelli delle stalle da ingrasso; che cantano sguaiati 5 al suono della cetra, accompagnati da sempre nuovi strumenti; 6 1 . Amos stesso si è rivolto unicamente al regno del Nord, come indica anche il manda­ to ricevuto (A m. 7, 1 s) per il regno d'Israele; quanto segue è chiaramente diretto con­ tro Samaria. Ma «Sion» non è mai usato altrove nell'Antico Testamento per indicare genericamente la cittadella di una capitale (contro Fohrer, ThWNT vn, 294 [= GLNT x n, 260]), bensì denota sempre lo spiazzo del tempio di Gerusalemme (oppure l'inte­ ra città). Si potrebbe avanzare l'ipotesi che una mano tarda, che voleva esser certa che i lettori giudaiti riferissero a se stessi l'oracolo, abbia mutato un termine più antico che designava la rocca reale di Samaria (ad es.: ma�or) in «Sion»; cfr. il caso analogo, ma più evidente in Os. 12,3 «Giuda» invece di «Israele»). Ma è più probabile che il testo scritto avesse fin dall'inizio di mira lettori giudaiti, descrivendo nella loro pro­ spettiva (fiducia in Sion) le condizioni in Samaria. Marti, Snaith e WoHf (quest'ulti­ mo con una minuziosa argomentazione) ritengono che tutta la costruzione al dativo «agli spensierati che stanno sul Sion» sia una rilettura tarda, ma in questo modo fan­ no cadere il parallelismo. 2. Perfetto consecutivo con significato iterativo (van Gelderen, 1 5 7). 3· T.M .: « È il loro territorio più grande del vostro ?»; questa lezione si basa probabil­ mente su un cambiamento tendenzioso dei suffissi (Rudolph, seguendo Geiger e Wellhausen). 4· Letteralmente: «i troni» (Wellhausen); cfr. r , s .8. 5· Per i possibili significati di questo hapax legomenon cfr. HAL, .910. 6. Letteralmente: «si sono inventati strumenti musicali come Davide». Il paragone con

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che bevono il vino dai crateri e si ungono con olio di prima scelta; senza preoccuparsi affatto della rovina di Giuseppe. 7 Perciò ora devono andare in esilio, primi fra tutti, ed è finito il banchetto dei convivi sdraiati/ 8 8 Jahvé, il Signore, l'ha giurato per la sua vita ­ oracolo di ]ahvé, il Dio degli eserciti 9 -: per me l'arroganza di Giacobbe è un abominio, I o odio i suoi palazzi; così consegnerò la città con tutto ciò che è in essa. 9 E se die ci uomini sopravviveranno in una casa - anch 'essi dovran­ . no mortre. I 10 E se uno zio o un altro parente 1 lo solleva per portarne il cadave­ re fuori di casa e chiede a un altro che sta nell'angolo più lontano della casa: « Ce n 'è un altro lì?» e quello risponde: «No, nessuno», allora ilprimo dirà: «Zitto! Solo non nominare il nome di]ahvé!». n Ecco, Jahvé l'ha comandato: allora si riduce in macerie la grande casa, a pezzi la casa piccola. 6

Davide, che va fuori metro e che G non sembra conoscere, è probabilmente di origi­ ne più recente; la storiografia cronistica è la prima a riferire notizie sugli «strumenti di Davide» (cfr. r Chron. 23,5 ; 2 Chron. 29,27, ecc.) e la scrittura piena del nome non viene usata prima dell'età postesilica (Fleischer, op. cit. , 233 n. 45). Probabilmente tut­ to il v. 5 è un'aggiunta, giacché la terminologia è attestata particolarmente per l'età più tarda (Fleischer, ibid.). 7· Spesso si cerca di imitare l'allitterazione del testo ebraico; ad es. Duhm traduce: «da verlernen das Larmen die Liimmel» («allora i cafoni dimenticano il canto cacofo­ nico») oppure Wolff: «und fertig ist das Fest der Flazenden» («ed è finita la festa del­ la feccia»). 8. L'aggiunta manca ancora in G; v. sopra, a 1,8. 9· La formula dell'oracolo divino, superflua dopo la formula di giuramento, manca an­ cora in G ed è stata sicuramente inserita soltanto a motivo del predicato divino. Per il suo significato v. sopra, a 4, 1 3 . to. L'insolita grafia {t'h, altrove «desiderare», invece di t'b) vuole forse allontanare da Dio la forte carica emotiva (così Wolff, seguendo Geiger}. 1 1 . Generalmente s'interpreta il T.M. collegandolo etimologicamente con la radice irp, cii suo bruciatore»; ma questa lettura è molto poco probabile, visto che la cremazio­ ne dei cadaveri è prassi insolita in Israele. L'hapax legomenon non è stato ancora spie­ gato. La tradizione rabbinica {Maag, 164 s.; Barthélemy, Critique, 670 s.) pensa a un grado di parentela (lo zio materno) paragonabile a dod (lo zio paterno). Presumibil­ mente le prime tre parole sono state tutte trasmette in modo errato.

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1 2 Cavalli corrono sulle rocce

o si ara con buoi 'il mare' ? 1 1 Ma voi avete trasformato il diritto i n veleno e il frutto della giustizia in assenzio; 1 3 voi che vi rallegrate per Lodebar, che dite: Non è forse con la nostra sola forza che abbi amo conquistato Carnaim? 14 Ecco, faccio sorgere contro voi un popolo, o casa d'Israele ­ oracolo di Jahvé, il D io degli eserciti 1 3 che v'incalzerà da Lebo-Hamat fino al torrente dell'Araba. G. Fleischer, Menschenverkaufer, 2 24-24 5; S.D. Snyman, Amos 6:1-7 as an Intensifica­ tion ofAmos 3:9- 1r : In die Skriflig 2 8 ( 1994) 2 1 3-222.

Il cap. 6 completa la composizione di Am. 3 -6 per due ri­ spetti. Da un lato introduce un secondo guaio, che con la sua articolazione in quattro momenti corrisponde esattamente, co­ me si è mostrato sopra, al primo guaio di 5 , 1 8-27: a) all'inizio si ha un'invettiva formalmente indipendente in seno al discor­ so profetico contro il senso di sicurezza degli abitanti di Sama­ ria (vv 1 -7); b) passaggio al discorso di Dio nel quale si espri­ mono la ripugnanza e l' «odio» di Jahvé (v. 8 con i vv 9- 1 1 qua­ le conseguenza di questo discorso); c) introduzione a sorpresa di una domanda che intende rendere i lettori consapevoli di una verità (vv 1 2 s.); d) annuncio finale di sventura in un nuovo discorso di Dio (v. 1 4). Dall'altro il cap. 6 offre una raccolta di oracoli diretti particolarmente contro gli abitanti della capita­ le, che trova il suo riscontro sostanziale nella prima raccolta tematica (3,9-4,J), con una quantità di corrispondenze nei par­ ticolari; 14 le due raccolte abbracciano parenteticamente le par­ ti centrali 4,4 s. (6- 1 3 ) e 5 , 1 -27. Il capitolo ha come base oltre .

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1 2. Come già fu rilevato nel XVIII secolo Q.D. Michaelis), il T.M. si basa sulla fusione di due oracoli indipendenti. 1 3 . Anche questa formula allargata di oracolo divino, che esce dal metro consueto, è ancora sconosciuta a G*; cfr. il v. 8. 1 4. Per questo rispetto 6, 1 -7 si ricollega particolarmente a 3 ,9- 1 1 (Snyman; ma col v. 4 anche a 3 , 1 2; col v. 6 a 4, 1 , ecc.); lo stesso vale per 6,8 (ma cfr. anche 4,2), mentre 6,1 1 si correla con J , I 5 ·

Am. 6

la minuziosa invettiva (vv I -7) almeno un oracolo orale auto­ nomo (vv I 3 s.; forse anche v. I 2) e diverse unità minori che sviluppano già precedenti parole di Amos più antiche (per il v. 8 cfr. 4,2 e 3,9- I I ; per il v. I I cfr. J , I 5; per il v. 1 2 cfr. 5 ,7) e che sono state successivamente glossate con i vv 2.6b e 9 s. in prosa. .

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Le feste di Samaria. Come Am. 5 , I 8 ss. anche Am. 6 è sotto il segno di un lamento funebre su persone ancora in vita (per il «guai» cfr. 5 , I 8 ). Al v. I a e poi ancora a partire dal v. 3 il lamento si unisce ai participi così comuni in Amos (e nei suoi discepoli), che vengono seguiti poi ai vv I b e 3b (cfr. vv s b .6b) da forme più libere (sostantivi o forme verbali finite). Infine il lamento sfocia in un annuncio di sventura («perciò» : v. 7) che, come nel comune oracolo profetico di giudizio, at­ tende che si verifichi nel futuro l'ormai certo destino di morte dei compianti. Per l'interpretazione esatta del lamento funebre è decisivo sapere se i banchetti descritti ai vv 4-6 sono di natura pubbli­ ca o privata. Soltanto quando si è appurato che si tratta di ban­ chetti istituzionali il testo assume i suoi netti connotati. Sol­ tanto in quest'ottica si notano allora, nel loro voluto significa­ to, i singolari paralleli alla caratterizzazione del culto in 5 ,2 I 2 3 (consumo di carne - strumenti musicali - canti) 1 5 e anche il collegamento analogo di senso di sicurezza, allontanamento di ogni sventura e celebrazione festosa del culto in 5 , I 8 -2o e 5 ,2 I ss. come anche in 6, I .J e 6,4 ss. 6, 1 -7.

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Excursus. Il banchetto rituale (mrz� ) . La questione si decide in base al­ l 'interpretazione della penultima parola (marzea�) che nell'Antico Testa­ mento ricorre solo un'altra volta, in ler. 1 6, 5 dove nella «casa del mar­ zea�» ha luogo il banchetto funebre, che è tuttavia attestato molto spes­ so fuori d'Israele. G non è coerente: traduce ler. 1 6,5 col termine tecni­ co « banchetto rituale» (thiasos), ma Am. 6,7 (forse per un malinteso ri ­ guardo all'ultima parola) «il nitrito dei cavalli» (tuttavia in entrambi i pasrs.

Cfr. E. Otto: ZAW 89 ( 1977) 9 S ·

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si � traduce hetairia, «confraternita»; cfr. la Vulgata: factio o co nv i vium ). Il termine mrzp indica, fuori dell'Antico Testamento, un'istitu­ zione che è attestata «dal Pireo nel nord fino a Elefantina e Petra nel sud e da Cartagine e Marsiglia a ovest fino a Palmira ad est»; 1 6 le testimo­ nianze sono costituite da iscrizioni ugaritiche, aramaiche, punico-feni­ cie, nabatee e palmirene che coprono uno spazio di 2000 anni (dal XIV sec. a.C. in Ugarit fino al vr sec. d.C. sul mosaico di Madeba; va comun­ que detto che la maggior parte del materiale è notevolmente posteriore ad Amos) e, nei particolari, evidenziano molteplici differenze. Si tratta, in parole povere, di associazioni religiose (Eissfeldt: «associazioni di cul­ to») paragonabili ai thiasoi greci; il ruolo centrale lo aveva il banchetto rituale e particolarmente il consumo di vino. Inoltre sono attestati altri elementi: l'elezione di un presidente, contratti di affitto e documenti di donazioni per la casa di riunione; anche specifici obblighi sociali delle associazioni che rappresentavano anche un fattore essenzialmente eco­ nomico e riunivano, di regola, persone appartenenti alle classi superiori di una città, giacché soltanto benestanti potevano permettersi il lusso dei conviti e dei contributi per i compiti sociali. È conforme a tale situazio­ ne il fatto che il termine mrzp poteva denotare non solo l'istituzione, ben­ sì anche la solennità cultuale e il luogo di raduno. 17 Il primo a mettere in relazione A m. 6,7 con l'uso linguistico di un'iscri­ zione fenicia e di una punica fu C h. Clermont-Ganneau (CRAI 1 898, 3 5 5 ); nel 1 92 1 H. Gressmann (ZNW 20, 224-230) si faceva forte già di n ove attestazioni extrabibliche. Negli anni seguenti il numero di queste testimonianze salì rapidamente. La più recente ricerca tedesca mostrò tuttavia di essere fortemente improntata alla tesi del massimo esperto d ei testi, O. Eissfeldt, che volle separare le due testi monianze bibliche da quel­ le extrabibliche facendole derivare etimologicamente da un'altra radice, rzp n, «urlare», invece che da rzp I, «radunarsi». 1 8 Ma questa distinzio­ ne è alquanto artificiale, tanto più che fino ad oggi non è stata chiarita la derivazione etimologica di mrzp; si può comunque dire con R. Meyer ­

16. O. Eissfeldt, Kl. Schr. v, 1 973, 1 1 9. Per il materiale e la sua interpretazione cfr., oltre i contributi di Eissfeldt, che sono raccolti ivi ( I I 8 ss.), soprattutto D.B. Bryan, Texts Relating to the Marzeap: A Study of an Ancient Semitic lnstitution, diss., Bai­ timore 1973; H.M. Barstad, Polemics, 1 27- 142. Ulteriore bibliografia in H.J. Fabry, marzeap, ThWAT v, 1984, 1 1 - 16. 17. Per quanto riguarda i testi ugaritici più antichi si dibatte soprattutto sul rapporto dell'istituzione col culto dei morti. Questo problema è tuttavia interessante solo per ler. 1 6, s , mentre non ha alcuna rilevanza per Am. 6. 1 8. O. Eissfeldt: OrAnt 5 ( 1 966) 1 6 5 - 1 76 Kl. Schr. IV, 1 968, 2 8 5 -296. Lo hanno se­ guito, ad es., Wolff e Rudolph. =

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· che il termine biblico possiede un significato più ampio di «associazione di culto».19 Probabilmente il rapporto di Am. 6 con l'istituzione è rile­ vabile nella maniera più chiara in una serie di particolari: il vino viene ver­ sato da contenitori che di solito sono menzionati soltanto in contesto cultuale, come recipienti per il sangue degli animali sacrificati, per l'olio quale componente dell,offerta di cibi, eventualmente anche per libagio­ ni (mizra q : v. 6; HAL traduce «ciotola per l'aspersione», che è corretto n egli altri casi). 20 Anche il verbo «ungere» (mib) del v. 6 ricorre quasi esclusivamente in contesti cultuali.21 1 .3. Qualsiasi opinione si possa nutrire circa la misura in cui le ·forme organizzate del marzeap attestate fuori della Bibbia sia­ no presupposte dal testo di Amos, una cosa è certa: Amos si riferisce evidentemente a riunioni che non sono soltanto sem­ plici e spontanee feste private. D'altra parte, va detto, in A m. 6 non c'è alcuna forte accentuazione del carattere cultuale degli incontri; 22 un accenno soltanto indiretto in tal senso si ha (ol­ tre che nel v. 6 appena ricordato) nella singolare somiglianza tra il convito festoso (vv. 4-6) e la descrizione dei particolari del culto in 5 ,2 I -2 3 . Il nerbo della critica di Amos è che i banchet­ ti rituali inducono quel senso di sicurezza in se stessi di cui parlano i vv. I e 3 . Tal e senso di sicurezza si basa su una serie di presunti assiomi. I . Per cominciare, sul luogo in cui si ten­ gono le feste. Quando più tardi gli abitanti di Gerusalemme yengono avvertiti, sulla base della parola di Amos, a guardarsi dalla «spensieratezza sul Sion», l'accostamento tra Sio n e «mon­ te di Samaria» rivela che alla fortezza reale di Samaria veniva attribuita una posizione paragonabile a quella di Sion (è possi­ bile tradurre il secondo stico anche «coloro che confidano nel 1 9. R. Meyer: UF I I ( I 979) 6o4. 20. Cfr. la preziosa coppa del IV secolo pubblicata da N. Avigad e J. Greenfield, la quale era stata offerta, come legge ]'iscrizione fenicia, «per il mrz � del dio Sole» (IEJ 3 2 [ 1 98 2] 1 1 8- 1 28). 2 1 . Le eccezioni sono fs. 2 1 ,5 e ler. 22, 1 4. 22. Non è neanche lecito, basandosi sul semplice termine m rz p , leggere nel testo, co­ me fa Barstad (op. cit. , 1 4 1 ; cfr. 1 29), una polemica contro un costume religioso stra­ niero; proiettarla, oltre tutto, in un testo che diventa per Barstad la chiave per capire la critica di Amos al culto.

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monte di Samaria») benché non fosse collegata a un tempio di Jahvé (e dopo la rivoluzione di Jehu neanche a un tempio di Baal). È possibile che i banchetti rituali avessero la funzione di riempire questo vuoto. 2. Segue poi la fede popolare nell'ele­ zione, secondo la quale Israele è «primizia» delle nazioni, per­ ché la convinzione che «Jahvé è con noi» ( 5 , I 4) scaccia qual­ siasi preoccupazione di sconfitta o di sventura (v. 3; cfr. v. I 3 ). Davanti a siffatti convincimenti l'annuncio profetico di un «giorno di Jahvé» che sarà «buio», cioè che porterà il giudizio di Dio invece della sua salvezza ( 5 , I 8-2o), non può che suona­ re assurdo (cfr. la simile invettiva di Isaia contro i gerosolimi­ tani che festeggiano «ma non guardano all'opera di Jahvé» : /s. 5, 1 I s.). 3 · La tranquilla incoscienza si fonda anche sulla posi­ zione sociale. Sono soltanto i maggiorenti {letteralmente:�· «quel­ li segnalati», cioè «gli ottima ti») che partecipano ai conviti; ma allo stesso tempo è la classe dominante che fa da bussola per la massa disorientata. 23 4· Un ultimo motivo di assiomatica sicu­ rezza è dato dal potere indiscusso sui subalterni che si esercita con una «violenza» che può rovinare l, esistenza (per il termi­ ne v. sopra, a J , I o e 4, I ), «violenza» della quale parla, in un in­ ciso allocutivo dalla forte carica emotiva, il v. 3b (cfr. l'analo­ go passaggio al discorso diretto nell'invettiva di 5 , I 8); un fer­ mo convincimento basato cioè sul monopolio del potere e del benessere ottenuto e mantenuto mediante la limitazione dello spazio vitale dei più poveri. 4-6a. Forte di questa sua intima sicurezza, la classe dominante festeggia. I giacigli sui quali ci si distende (il verbo non è mai usato altrove con riferimento a uomini, ma solo a vestiti che pendono appesi) sono riccamente intarsiati e ornati con lavori in prezioso avorio (v. sopra, a J , I 2. I 5 ). Si mangia solo carne di 2.3 . A onor del vero si ritiene spesso che il v. 1b� contenga, nella sua affermazione sin­ golarmente generica (alla lettera: «ai quali viene la casa d)Israele» ), un errore, senza che finora nessuno sia riuscito a spiegare chiaramente quale sarebbe questo errore. Per il concetto di «casa d'Israele» v. sopra, a J , I e 5 , 1 .

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prima qualità: degli agnelli migliori e più teneri o dei vitelli le ­ gati nelle stalle, dove la mancanza di movimento li fa ingrassa­ re prima e meglio. 24 L'analogia sostanziale con il culto e i suoi sacrifici di 5 ,22 («animali da ingrasso») è volutamente stabilita e la raffinata ricerca di una qualità sempre migliore viene fatta apparire come un crescendo della colpevolezza. I banchetti so­ .no accompagnati dalla musica; 2 5 anche qui non ci si acconten­ ta più del tradizionale strumento a corda, lira o liuto che sia (v. sopra, a 5,23), ma si ricercano nuove emozioni (si ha un'ul­ teriore gradazione rispetto al culto) con strumenti più costo­ si (cetre ? cimbali ? timpani ?) usati per accompagnare i canti a squarciagola. Ma il rimprovero principale non arriva prima del v. 6 dove il preciso e voluto risalto in cui si mette che si beva direttamente dai «crateri» o dalle «coppe» non ha la funzione di sottolineare tanto l'abbondanza esagerata delle bevute quan­ to il superamento del limite tra Dio e uomo, poiché le «cop­ pe» in questione, come si è già accennato, sono solitamente menzionate soltanto nel contesto di sacrifici. Il v. 6a� costitui­ sce un'efficace conclusione della serie di participi giacché col termine tradotto «di prima scelta» riporta alla «primizia» delle nazioni (v. 1 ) : quale perversione dell'elezione quella che cer­ ca ora di realizzarsi nel lusso, invece di dedicare il meglio dei propri beni a Dio, secondo l'antica usanza! Nell'Antico Testa­ mento, come anche altrove nell'area del Vicino Oriente, l'olio è spesso nominato insieme al vino quale segno di benessere; qui il riferimento è all'uso dell'olio nella cura del corpo e co­ me cosmetico. 26 24. Diversamente intende H. Weippert, Amos, 7- 10 che pensa ai vitellini ancora legati a1la madre. 2. 5 . Wolff, ad loc. , ricorda giustamente la quantità di raffigurazioni dell'epoca con 'scene di conviti rallegrati dalla musica. 26. Cfr. ltindicazione che si trova su abbondanti ostraka ritrovati negli scavi di Sa- · maria: smn rb�, «olio lavato» (?), indicazione di qualità superiore del prodotto; per la produzione e l'impiego di questo tipo d'olio cfr. V. Sasson: JSS 26 ( 198 1 ) I - S e so­ prattutto L.E. Stager: JSS 28 ( 1 983) 24 1 -245.

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7· L'invettiva si conclude con un «perciò» che introduce l'an­ nuncio di sventura che specifica meglio il genere e il modo della morte che colpirà i destinatari dell'oracolo, riallacciando­ si, nella sostanza, a 5 ,27. Il diritto di priorità della «primizia» delle nazioni non si manifesterà, in futuro, nel «primato quali­ tativo» dei suoi beni di lusso, bensì nella «primaria esperien­ za» della prigionia che porrà fine agli eccessivi festeggiamenti («sdraiati» riprende il v. 4) dei suoi campioni. Il convito cul­ tuale che sarebbe dovuto servire a stabilire un contatto con Dio, ammesso che qui si sia data la giusta interpretazione al termine mrzp, ha invece definitivamente separato da Dio gli ottimati di Samaria avendoli resi del tutto insensibili alla vita delle classi inferiori (vv . I . J ) . La celebrazione nella comunità festosa che avrebbe dovuto trasmettere il massimo di forza vitale simboleggia, nella sua alienazione da Dio, l'irrimediabile abbandono al potere della morte («guai! ») di persone che con­ fondono il lusso con la religione. Quelli che partecipano ai fe­ steggiamenti sono i primi che Dio allontana da sé. Ciò che 5 , 2 7 aveva detto nell'oracolo divino per Israele in quanto comu­ nità religiosa, il profeta puntualizza in 6,7 ad personam, con­ tro i principali responsabili della capitale. Per completare il qua­ dro si deve ricordare in che situazione di pace esterna e di be­ nessere interno Amos parli in simili termini a Israele! .1. Quando i discepoli di Amos scrissero il cap. 6, l'oracolo di Amos ave­ va già lasciato nel frattempo il segno sui lettori . A meno di volersi rifu­ giare in quella che è un'ammissione d'imbarazzo, cioè che il v. 2, il quale interrompe in maniera così sorprendente lo stile dell'invettiva con un'e­ sortazione, alluderebbe a un'ipotetica e a noi sconosciuta crisi economi­ ca in Kalne e Hamat (Rudolph, Soggin), non si potrà facilmente separa­ re il versetto dagli eventi dell'anno 73 8 a.C. In quel periodo, il fondato­ re dell'impero assiro Tiglat-Pileser III, sconfitto il vicino settentrionale Urartu, si era rivolto contro la Siria settentrionale e aveva assoggettato, oltre alcuni regni minori come quello del nord-ovest di cui era capitale Kalne (in assiro: Kullani), anche l'importante regno di Hamat (oggi Ha­ ma), riducendolo al suo territorio centrale (distruzione della città di Ha­ mat nel 720); si chiama «la Grande Hamat» perché dopo l'8oo a.C. ave-

Am. 6 va raccolto in sé I 9 regni parziali in origine autonomi.17 A seguito di que­ sta vittoria il regno del Nord (come altri regni e gli aramei) aveva pagato un tributo a Tiglat-Pileser III. Tuttavia il v. 2 presuppone che gli abitanti di Samaria continuassero anche in questa situazione storica a dare prova di un ininterrotto senso di sicurezza che esso vuole scuotere. Non è chia­ ro perché venga menzionata anche Gat (probabilmente l'attuale tell e�­ $afi, a ovest di Aseka), l'unica città filistea di cui Am. I ,6-8 non parli e che, a differenza di Kalne e Hamat, era più piccola del regno del N or d. La città era stata forse conquistata da Tiglat-Pileser III nella campagna contro i filistei del 734 (l'assoggettamento definitivo avviene solo nel 7 I I ) ? In ogni caso l a menzione di Gat avviene a uso dei lettori giudaiti poiché ia città era situata vicino alla frontiera con Giuda cui era appartenuta per un certo tempo. 1 8 - Per la storia degli effetti dell'esortazione «attraver­ sate ... » cfr. Ier. 2, I o; per la storia degli effetti delle domande retoriche cfr. 2 Reg. I 9, I I - I 3 . 6b. Al contrario, col suo singolare cambiamento di tempo dei verbi, il v. 6b presuppone almeno gli eventi del 73 3 a.C. (se non la caduta di Sama­ ria nel 712-72 I a.C.), se l'interpretazione qui proposta del nome « Giu­ seppe» (che resta limitato ai capitoli 5 -6) è fondata (v. sopra, a 5 , 1 5 ). Quella volta il regno del Nord venne privato, in seguito alla cosiddetta guerra siro-efraimita, dei territori più ricchi d'Israele che divennero le province assire di Dor, Megiddo e Galaad, e ridotto all'altopiano mon­ tuoso centrale. Persino queste vicende traumatiche non sembrano aver turbato le feste dei maggiorenti di Samaria (il testo recita, alla lettera, «non provano dolore o malessere p er ... >>); in questa incoscienza si pote­ va effettivamente intravedere il collasso definitivo del moncherino poli ­ tico di «Giuseppe». Da un punto di vista formale, il modello potrebbe esser stato fornito da /s. 5, 1 2.

6,8-1 1 . La fine della capitale. Senza alcun aggancio termino­

logico con i vv. 1 -7, ma invece con insuperabile carica emoti­ va, col v. 8 riprende nuovamente il discorso diretto di Dio che mediante le due «parentesi» della duplice locuzione «oracolo di J ahvé, il Dio degli eserciti» termina, almeno per i lettori più tardi, al v. I 4, ma che formalmente resta dapprima confinato al 27. Cfr. A. Alt, Kl. Schr. III, 2 1 4 ss. e in particolare J.D. Hawkins, Kullani: RLA VI, 305 s. e Hamath: RLA IV, 67-70 (entrambi con bibliografia). 28. Forse faceva ancora parte di Giuda persino al tempo di Amos; cfr. 2 Chron. 2.6,6 e in merito P. Welten, Geschichte und Geschichtsdarstellung in den Chronikbuchern (WM ANT 42} , I 97J , 1 5 J- I6J.

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v. 8. S e l'«odio» di Jahvé (v. 5 ,2 1 ) aveva portato al «rifiuto» del culto d'Israele, ora ( 6,8 ) il suo «odio» (quale opposto del­ l' «amore» di Dio nella definizione della sua volontà) e la sua «ripugnanza» (il sentimento che Dio prova nei profeti più re­ centi generalmente davanti agli idoli e alla loro adorazione) portano all'abbandono di Samaria ai nemici. Il crescendo emo­ tivo ha la sua motivazione oggettiva nel fatto che il culto di 5,2 r ss. non è stato rifiutato da Dio per se stesso, bensì perché era disgiunto dal diritto e dalla giustizia, anzi ne aveva preso il posto; invece in 6,8 (riprendendo 3,9- 1 1 ) si nomina il luogo (i «palazzi» degli ottimati) nel quale si pratica concretamente la colpa vera e propria, «la violenza e l'oppressione» (J, I o; cfr. 4 , 1 ; 6,3 ), e nel quale si celebra, allo stesso tempo, sotto forma dei conviti rituali descritti prima (vv . 4-6), una festa che impedisce addirittura il riconoscimento della colpevolezza. In pari tem­ po questa colpa viene precisata con un termine («arroganza») che abbraccia insieme tutti gli aspetti: la prepotenza, i ban­ chetti e la presunzione politica descritta più avanti (vv. 1 3 s.). I tradenti di Amos hanno probabilmente ripreso questo termi­ ne dalla predicazione di Osea (cfr. Os. 5 , 5 ; 7, 1 o; 1 2,8 s.; 1 3 ,6); in Am. 6,8 esso denota quella incrollabile sicurezza di sé che non ha bisogno di Jahvé perché non ritiene che da lui possa venire male alcuno (cfr. 6, I .J ), lo ritiene dunque «il caro buon Dio». Come mostra più avanti 8,7, per i lettori il termine ha un significato cangiante: esso denota l'elezione («la nobiltà di Giacobbe») e insieme la perversione dell'elezione («l' arrogan­ za di Giacobbe»). 29 L' «odio» e la «ripugnanza» di Dio per la violenza che si annida nei palazzi di Samaria assumono connotati ancora più forti in virtù dell'introduzione del versetto. La forma del giu­ ramento divino che non è attestata prima di Amos 30 si riallacCfr. J. Jeremias,]akob im Amosbuch, in Hosea und Amos, 2 5 7 ss. 30. Dio può giurare solo per se stesso. Le particolari sfumature della locuzione «per la sua vita» possono essere colte considerando i riti di giuramento che accompagna­ vano la conclusione di patti in Mesopotamia; cfr. Wolff, ad loc. 29.

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eia a 4,2 dove era stata parimenti usata a proposito della colpa dei maggiorenti di Samaria e delle loro feste associate all' op­ pressione. È una formula che annuncia una punizione inevita­ bile, assolutamente irrevocabile, una decisione definitiva come quella espressa, a modo loro, dalla frase stereotipa «non posso revocarlo (il disastro)» negli oracoli contro le nazioni ( I ,J, ecc.) e dall'espressione «non posso più passargli ( a Israele) sopra (risparmiandolo)» nei racconti delle visioni (7,8; 8,2). Sa­ maria viene abbandonata con tutta la ciurma, come una nave in balia delle onde; il nemico non agisce per proprio conto, ma è lo strumento di Dio (v. 1 4). Poiché la colpa di Samaria ha raggiunto una dimensione tale da non permettere la benché minima speranza di cambiamento, non è più possibile distin­ guere tra colpevoli e innocenti. Così, al comando divino, con i palazzi (v. 8 ) crollano anche le altre case, tanto quelle costruite con pietre squadrate (cfr. 5 , 1 r ) quanto quelle tirate su fragil­ mente con mota e sassi: esse vengono o «frantumate» o «spac­ cate», per usare l'espressione della rima finale del testo origi­ nale. Forse un tempo il v. I I era la conclusione di un oracolo a sé stante; più probabilmente rappresenta uno sviluppo raffor­ zativo di 3, I 5 (dove si ricorre al medesimo verbo «colpire» per denotare la distruzione delle case di Samaria). L'introduzio­ ne «ecco» accenna già, proletticamente, all'analoga conclusione del v. I4 che usa, come il v. 8, l' «io» di Jahvé. =

9- 1 0. Con i vv. 9- 1 0 i tradenti hanno inoltre gettato un ponte tra le due p arole di Dio: si tratta di una costruzione in p rosa dal tono narrativo, una sorta di commento per spiegare sia la fine del v. 8 sia, anticipatamen­ te, il successivo v. 1 1 . Per raffigurare Pinevitabilità dell'annientamento di tutti gli abitanti di Samaria, il v. 9 presenta il caso di un'unica abitazio­ ne rimasta in piedi con dieci persone (il numero minimo previsto perché si potesse avere una comunità) 31 sopravvissute in essa. Molto probabil-

3 1. Cfr. Am. 5,3 e specialmente Gen. 1 8,3 2; /s. 6, 1 3 come anche Rudolph, ad loc. , e H.A. Brongers, Die Zehnzahl in der Bibel und in ihrer Umwelt, in Studia biblica et semitica, Fs. Th.C. Vriezen, 1966, 30-4 5; 32. Cfr. il minjàn praticato fino ai nostri gior­ ni, cioè la regola che perché si possa celebrare il culto giudaico è richiesta la presenza di almeno dieci uomini.

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mente questo esempio deriva da una combinazione del v. 8 b («la città») con 5 ,J («la città ... che scende in campo con cento uomini, non ne con­ serverà che dieci») e intende rafforzare 5,3. Ma questo caso viene esclu­ so e subito si discute un altro caso nel quale ci sarebbe stato un solo so­ pravvissuto nell'angolo più nascosto della casa, dove viene scovato da uno degli uomini che stanno portando fuori i cadaveri (se l'inizio del v. 10 è stato tramandato correttamente, la menzione dello zio significhe­ rebbe che tutti i parenti più prossimi e più giovani sono già morti). Do­ po che si è escluso che nella casa ci possa essere un secondo sopravvis­ suto, il dialogo tra i due necrofori v erte sul termine has, «silenzio! », che nel culto è usato per ingiungere il silenzio in considerazione della presen­ za di Dio (Abac. 2,20; Soph. I ,7; Zach. 2, I 7; Nehem. 8, I I ) , ma che qui vuo­ le evitare la mortale vicinanza di Dio che potrebbe verificarsi minaccio­ sa alla sola menzione del nome divino (ad es. nel lamento funebre; cfr. anche 8,3).32 Così l'ultimo sopravvissuto di una città ridotta a un cumu­ lo di macerie sarà, col suo silenzio, testimone del Dio che giudica, men­ tre prima la capitale in festa aveva sempre in bocca questo nome, pro­ nunciandolo senza riflettere (5 ,2 1 ss.; 6, 1 ss.).

6, 1 2- 14. L'ultima domanda. Il passo di 6, 1 2- 1 4 è composto da due unità in origine indipendenti tra loro. Mentre l'accusa del v. 1 3 , che aggiunge ora il tema della superbia militare al­ l' arroganza sociale e religiosa di 6, 1 -7, è strettamente collegato con l'annuncio di una terribile sconfitta nel v. I 4, la domanda del v. I 2 introduce, con l'accusa di pervertire il diritto e la giu­ stizia, un pensiero di tutt'altra natura nel capitolo che altri­ menti si dimostra, quanto a contenuto, estremamente omoge­ neo; un pensiero che trova in 5 ,7 un parallelo preciso talora si­ no alla lettera. Nella sua struttura coesa il v. I 2 potrebbe esser stato una volta un oracolo a sé stante; tuttavia, nel presente contesto, i vv. 1 2 e I 3 sono legati sin tatticamente tra di loro in maniera indissolubile. H 32. Cfr. W. Schottroff, «Gedenken» im Alten Orient und im Alten Testament (WMA NT I s), 2 1 967, 250 s. - Su tale sfondo il ritornello delle dossologie «Jahvé il suo no­ me» (4, 1 3; 5,8; 9,6) assume per le generazioni successive un tono di giubilo. 3 3 · L'espediente cui molti esegeti fanno ricorso aggiungendo un ulteriore «guai» al v. 1 3 è del tutto ingiustificato e arbitrario, proprio come nel caso di 5 ,7.

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Molto più importante è l'osservazione che in Amos il tema diritto e giustizia altrove { 5 ,7. I4 s.24) non è affatto riferito spe­ cificamente a Samaria (cfr. la diversa terminologia di 3 , I o) né viene limitato in alcun modo ad essa. Questo stato di cose non può venire spiegato, tentando un'armonizzazione, col dire che Samaria avrebbe violato il diritto in misura sempre crescente. Parlare della giustizia in termini comparativi è del tutto inade­ guato all'oggetto stesso del discorso, com'è stato spiegato più sopra a 5 ,24. Piuttosto il v. I 2 è un «corpo estraneo» introdot­ to volutamente dai discepoli di Amos in un capitolo (cap. 6) che altrimenti si limita strettamente a temi legati a Samaria. Il v. 1 2 interrompe il filo logico dei vv . 8 - I I (l'inevitabilità della condanna a morte per tutti) appellandosi al buon senso dei let­ tori e intendendo far vedere loro concretamente, mediante pa­ ragoni assurdi (per il primo paragone è essenziale sapere che ai tempi di Amos i cavalli venivano usati non come animali da sella, bensì da tiro per trainare carri normali e da guerra), l'as­ surdità della loro condotta. A questo scopo il v. 1 2 presuppo­ ne nuovamente {come 5 ,7 . 24; v. ad loc. ) una concezione di «di­ ritto e giustizia» quali perfetti doni dati a Israele, che esso può «sovvertire», cioè pervertire (in aggiunta all'assenzio amaro di 5 ,7 l'immagine parla ora anche di veleno mortifero ), ma non deve «raggiungere» o «adempiere» nel senso di un fine o di un ideale che determina la condotta. Per quanto contenuto, un simile appello conta fondamen­ talmente ancora sul rinsavimento e conseguente cambiamento; nella struttura del capitolo, inoltre, esso s'inserisce esattamen­ te nel punto corrispondente a quello nel quale si trovano, nel primo «guai» { 5 , I 8-27), 5 ,24 {l'invito a far scorrere liberamen­ te «diritto e giustizia») e 5 ,2 5 (la domanda della tradizione di Osea, se Dio abbia richiesto una mentalità sacrificale invece di diritto e giustizia) e come lì nella tensione logica tra una con­ danna assoluta («odio, rifiuto... »: 5 ,2 I ) e un ultimo appello ad aprire gli occhi. 12.

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13- 14. Una cosa, comunque, è certa: gli arroganti di Samaria, così sicuri di sé, sono e rimangono perduti perché il loro be­ nessere non permette loro di dubitare della propria «giusti­ zia». La loro lontananza da Dio viene ora (v. 1 3 ) dimostrata in un altro campo che per il popolo di Dio dell'Antico Testamen­ to era particolarmente delicato, come mostrano, ad esempio, i racconti del libro dei Giudici, che battono e ribattono sul con­ cetto che soltanto Dio ha evitato a Israele pesanti disfatte con­ tro nemici più forti, o il cosiddetto «memoriale» di Isaia col noto tema della «fede» (/s. 7). La casta militare di Samaria è e­ mancipata, non ha bisogno di Dio per le sue guerre e decide i propri obiettivi da sola. Lodebar (un'ancora i,!Dprecisata loca­ lità a nord dello Jabboq) 34 e Karnaim (oggi Seb Sa 'd, a nord dello Jarmuk, 6 km a sud di Nawa) H furono evidentemente prese agli aramei poco prima che Amos iniziasse il proprio mi­ nistero.3 6 Karnaim era la più importante città del Basan e di­ venne, dopo la caduta di Damasco nel 73 2 a.C., capitale di una provincia assira; allora Lodebar potrebbe rappresentare, per analogia, Galaad. È tuttavia possibile che le due località siano state scelte per la possibilità del gioco di parole che il loro no­ me offriva: «Voi che vi rallegrate per un Niente (così la voca­ lizzazione del T.M. e di G); voi che dite: Non abbiamo forse preso con le nostre sole forze Corna (quale simbolo di for­ za) ?».37 Comunque stiano le cose, questo sentimento di orgo­ glio militare per questi successi locali cambierà rapidamente quando Dio stesso interverrà ora (il cosiddetto futurum in­ stans) nella storia e «un popolo» (cfr. 3 , I I : «un nemico») Amos non parla ancora degli assiri - sarà il suo strumento. Come una volta faceva «sorgere» salvatori quando Israele si 34·

M. Metzger: ZDVP 76 (1 960) 97- 102 la cerca nei pressi di Mahanajim; Z. Kallai,

Historical Geography of the Bible, Jerusalem 1986, 265 la colloca molto più a nord. Una plausibile soluzione di mezzo è suggerita da S. Mittmann, Beitrage zur Siedlungs­ und Territorialgeschichte des nordlichen Ostjordanlandes (ADPV 1 970), 242-246.

3 5 · D. Kellermann: ZDVP 97 ( 1 98 1 ) 45 ss. 36. Cfr. M. Haran: Vf 17 ( 1 967) 278-28 3. 37· Z. Kallai, op. cit. , con n. 348. Cfr. i giochi di parole analoghi in 1 ,4.

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trovava in situazioni critiche (Iud. 3 ,9, ecc.), così ora Dio fa «sorgere» la potenza che assesterà a un Israele colpevole il col­ po di grazia. Forse che con il verbo «opprimere, incalzare» si fa volutamente riferimento all'esperienza in Egitto (Ex. 3,9 E), come farà più tardi Osea (Os. 8, 1 3; 9,3 : «Devono ritornare in Egitto») ? Il v. 1 4b disegna per il regno del Nord uno spazio geografico comprensibilmente ampio: nel caso di Le bo-H amat, che denota più volte nell'Antico Testamento l'estrema frontie­ ra settentrionale d'Israele (ai tempi del regno di Davide con la sua estensione), dovrebbe trattarsi più di una città (M. Noth) che di una regione («la Porta di Hamat» ); recentemente si sta affermando l'identificazione con l'odierna lebwe, a sud della sorgente dell'Oronte.38 Il «Torrente dell'Araba», cioè della fos­ sa meridionale del Giordano, viene ricercato o a ovest della sponda nord del Mar Morto nel wadi el-qelt o a est di esso nel wadi kefren. In ogni caso si pensa al regno del Nord nella sua massima espansione lungo l'asse nord-sud.39 38. Cfr. O. Keel - M. Kiichler - C. Uehlinger, Orte und Landschaftcn der Bibel 1, 1 984, 247 e B. Mazar, Lebo-hamath and the Northern Border of Canaan, in B. Mazat, The Early Biblica/ Period, 1 986, 1 89-202, dove si citano anche le fonti egiziane e assire per la località. Di recente sostiene invece che si tratti di un territorio H. Donner, Geschich­ te des Volkes lsrael II, 1986, 283; cfr. O. Eissfeldt, Kl. Schr. v, 205 -2 1 I . Per la discus­ sione tra Noth ed Elliger negli anni 193 5-36 cfr. W. Zimmerli (B K XIII), I 2 I J- I 2 I6. 39· La descrizione della frontiera collima singolarmente con l'oracolo profetico di sal­ vezza ricolto a Geroboamo II in 2 Reg. I 4,2 s. Era Amos che con la sua parola voleva di proposito contestare quell'oracolo (così O. Eissfeldt, Kl. Schr. IV, 1 40) oppure, vi­ ceversa, era 2 Reg. I 4,2 5 che voleva contestare il messaggio di Amos (così F. Criise­ mann, in Fs. G. von Rad, 1 971, 57 ss.) ?

PARTE TERZA LE VISIONI

(7, 1 -9,6)

7, 1 - 8; 8 , 1 -2. Le prime quattro visioni 7, 1 Così mi ha fatto vedere il Signore 1 Jahvé: Ecco, stava proprio for­ mando uno sciame di cavallette, quando cominciava a spuntare la semi­ na tardiva - come si sa, la semina tardiva viene subito dopo la mietitura del re. 2 Quando lo sciame cominciò a divorare completamente 1 ciò che era spuntato sul terreno, io dissi: «Signore Jahvé, suvvia perdona! Co­ me potrebbe resistere Giacobbe ? È così piccolo! ». 3 Allora Jahvé si pen­ tì. «Non deve accadere! », ha detto Jahvé.

Così mi ha fatto vedere il Signore Jahvé: Ecco, stava proprio chiaman­ do 'una pioggia di fuoco' 3 - il Signore jahvé4 - e questa divorò la Gran-

4

1. V. sopra, a 1 ,8. Ai vv I .4.6.7.; 8, 1 il titolo manca in una parte importante della tra­ dizione testuale di G. Evidentemente il titolo è stato ripreso in epoca molto recente in relazione con l'intercessione di Amos (vv 2.5). 2. Il T.M. formula in una maniera stranamente prolissa e con una forma verbale (whjh) che di solito indica un'azione futura (così G) o ripetuta, che non si adatta al contesto. Wolff, ad loc. suggerisce opportunamente di considerare lezione più antica il semplice wtkilla, in analogia con il v. 4b; v. sotto, n. 5· Tentano di spiegare il T.M. Gese, Komposition, 76 n. 3; Th. Seidl: BN 37 ( 1 987) 1 29- 1 3 8 (senso durativo; a tale lettura si oppone il valore semantico del verbo klh piel, «completare, portare a termi­ ne») e anche H.-J. Stipp, in Fs. W. Richter, St. Ottilien 1 99 1 , 5 2 1 -5 48; 541 s. 3 · Il T.M. («litigare col fuoco», dove la preposizione b col verbo rib denota la contro­ parte in un processo) secondo l'ipotesi migliore deriva, in seguito a una divisione er­ rata delle parole, da lirbib , es (Hillers: CBQ 26 [I 964] 22 I -22 5 e Wolff, 3 3 8}. Il sostan­ tivo, attestato altrove nell'Antico Testamento solo sei volte, al plurale è attestato in ugaritico nella forma singolare (rbb e rb); ciò serve forse a spiegare anche l'uso fem­ minile in A m. 7,4: rb e # («rugiada»} costituiscono gli elementi del nome di una figlia di Baal: «la Rugiadosa, nata dalla pioggia». Il T.M. potrebbe essere frutto dell'influ­ enza degli oracoli contro le nazioni (cfr. J. Limburg: CBQ 3 5 [ 1 973] 346-349). 4· Il nome di Dio che qui è un elemento di disturbo e sembra aggiunto successivamen­ te (per «il Sign ore » che lo precede vale quanto detto sopra, n. r) appartiene in origine sicuramente al v. 7a dove invece manca sorprendentemente nel T.M. .

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de Gora. Ma quando cominciò a divorare s i campi, 5 io dissi: «Signore Jahvé, suvvia lascia stare! Come potrebbe resistere Giacobbe ? È così pic­ colo ! ». 6 Allora Jahvé si pentì. «Anche questo non deve accadere! », ha detto il Signore J ahvé. 7 Così mi ha fatto vedere 'il Signore J ahvé: 6 Ecco, egli - il Signore - sta­ va dritto accanto a un muro di stagno e nella sua mano c'era un pezzo di stagno. 8 Allora Jahvé mi disse: « Che vedi, Amos ?». D issi: «Stagno». Allora il Signore disse: «Ecco, io sto per mettere stagno in mezzo al mio popolo Israele. Non posso più passargli sopra (risparmiandolo) ! ».

8, 1 Così mi ha fatto vedere il Signore J ahvé: Ecco, c'era un cesto con "frutta estiva (qaji�). 2 Egli disse: «Che vedi, Amos ?». Dissi: «Un cesto con frutta estiva». Allora Jahvé mi disse: «La .fine (qe�) è giunta per il mio popolo Israele. Non posso più passargli sopra (risparmiandolo)! ».

W. Beyerlin, Bleilot, Brecheisen oder was sonst? Revision einer Amos- Vision (OBO 8 1 ), 1988; ]. Jeremias, Volkerspruche und Visionsberichte im Amosbuch, in Hosea und Amos, 1 5 7- 1 7 1 ; H.G.M. Williamson, The Prophet and the Plumb-Line. A Redaction­ Critical Study of Amos VII: OTS 26 ( 1 990) 101- 1 22.

Amos non è stato il solo a ricevere visioni. In alcuni libri profetici si parla già nella soprascritta alle parole profetiche tramandate di una «visione» (/s. I , I ; Abd. I ; Nah. I , I ; cfr. il verbo relativo in A m. I , I ; Abac. 1 , 1 ) . Sorprende come nell'an­ tica profezia dell'Antico Testamento si consideri minima la differenza tra ascoltare e vedere. Le circostanze sia della rice­ zione della parola sia della visione, che ha dato così tanto da fare alla ricerca del passato (v. sotto), non hanno in sostanza importanza alcuna. L'accento cade tutto su ciò che si è udito o sulla parola ricevuta nel corso della visione per spiegare ciò che si è visto. In questo contesto le visioni di Amos si distin­ guono da quelle di altri profeti per tutta una serie di caratte­ ristiche. I . Amos è l'immediato interlocutore di Dio e viene inter­ pellato direttamente da lui («Amos, che vedi ?»: 7, 8; 8 ,2). Non compare alcun angelo interprete al suo fianco per spiegargli s . La voluta differenza di tempo verbale tra il v. 4ba (tempo narrativo) e v. 4b� (per­ fetto consecutivo) intende mettere in rilievo la compiutezza del primo evento e l'incompiutezza del secondo (Rudolph). 6. V. sopra, n. 4·

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un evento misterioso, come avviene nelle visioni più tarde di Zaccaria e Daniele. 2. Nelle visioni Amos non riceve mai l'incarico di portare un messaggio. Pertanto non è affatto possibile caratterizzare senza riserve le visioni di Amos .come visioni di .vocazione. Invece esse rappresentano, per prtma cosa, esperienze prtvate e molto personali la cui comunicazione o divulgazione non è af­ fatto prevista dal loro stesso contenuto. Ciò si nota in partico­ lare dal fatto che non si parla della colpa d'Israele, sebbene es­ sa sia chiaramente presupposta in tutte. 3· Per quanto riguarda l'aspetto letterario, le prime quattro visioni sono formulate volutamente e con arte a coppie, come mostra prima di ogni altra cosa l'identico « esito» delle visioni in ciascuna coppia (revoca della sventura: 7,3 .6; fine di ogni ri­ guardo: 7,8; 8,2), ma già la loro struttura (nella prima coppia un evento distruttivo, nella seconda un gioco di parole che ri­ chiede l'interpretazione). Certo Amos ha evidentemente avu­ to le visioni separatamen te, una alla volta, di sicuro a distanza di molto tempo una dall'altra, come fanno capire i riferimenti stagionali in esse contenuti; 7 tuttavia il profeta non le ha mes­ se per iscritto separatamente, bensì esposte retrospettivamente nel loro rapporto reciproco. Va da sé che ogni visione deve es­ sere interpretata nel complesso della coppia cui appartiene; ma anche le due coppie non vanno lette disgiunte e isolate, bensì nell'ordine seguito dal testo (con la quinta e ultima visione che ne rappresenta culmine e fine, ma che qui viene trattata sepa­ ratamente per esigenze espositive e per maggiore chiarezza). In­ fatti la terza e quarta visione finiscono un'azione di Dio («non posso più passare sopra»: 7,8; 8,2) che le prime due visioni de­ scrivono ancora in atto. 8 In breve: le visioni di Amos vo.

7· Nel più antico calendario della Palestina, ritrovato nel 1 9o8 a Gezer, datato al x sec. a.C., ricorrono i termini «semina tardiva• (prima visione) e «frutta estiva» (quarta vi­ sione) come nomi di «mesi» per indicare rispettivamente il terzo e l'ottavo (e ultimo) periodo dell'anno agricolo; v. sotto, n. 3 1 . 8. Da queste considerazioni risulta necessariamente che Am. 7,9- 1 7 e S,J - 1 4 che inter-

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

gliono essere lette come una serie ordinata di eventi successivi, come una via per la quale il profeta fu condotto da Dio; esse presuppongono che questo cammino sia già concluso e lo de­ scrivono, pertanto, in retrospettiva. Il testo non offre né vuole offrire un accesso diretto alle singole esperienze di Amos; esso passa anche sotto assoluto silenzio i sentimenti provati da Amos durante e dopo ogni singola visione.9 4· Con questa struttura a coppie delle prime quattro visioni nel testo si pone l'accento sul punto decisivo di svolta che cam­ biò dalle radici la missione profetica di Amos. Ciò che gli riu­ scì all'inizio, nelle due prime visioni - ottenere grazie alla sua intercessione la revoca o almeno il differimento del castigo di Israele - non gli è più concesso a partire dalla terza visione. Amos dovette imparare che c'è un limite alla pazienza divina, cioè una misura della colpa d'Israele che non lascia più alcuno spazio a questa sopportazione. Così la funzione del profeta subisce un cambiamento radicale. Se all'inizio egli era un me­ .diatore tra Jahvé e Israele, in quanto possedeva la conoscenza dei piani di Dio per Israele, ma allo stesso tempo poteva influ­ ire su essi a vantaggio d'Israele, ora, a partire dalla terza visio­ ne, la sua funzione autorevole viene cambiata e stravolta: essa viene ridimensionata, in quanto viene tolta ad Amos la possi­ bilità di intercedere ulteriormente; viene rafforzata, in quanto -ora Amos sta tutto dalla parte di J ahvé, Jahvé parla per suo tramite (e non più per mezzo di numerosi altri rappresentanti di istituzioni religiose: cfr. 7, 1 0- 1 7) e da allora in poi la parola di Amos è l'immediata parola di Dio (cfr. Am. 3,8). Nella prirompono la successione della terza e quarta visione, e della quarta e quinta, sono ag­ giunte di una mano più recente che le ha inserite nel ciclo delle visioni come loro commento. Cfr. l'introduzione e J. Jeremias, op. cit. , 46 s. 9· Quando nei decenni intorno ai due conflitti mondiali si poneva come oggetto di pri­ mario interesse il problema delle esperienze del profeta (ad es. G. Holscher, Die Pro­ pheten, 1 9 1 4 ; F. Haussermann, Wortempfang und Symbol in der alttestamentlichen Prophetie, 1 932; L.P. Seierstad, Die Offenbarungserlebnisse der Propheten Amos, ]e­ saja und]eremia, 1 946), ciò avveniva non per un'esigenza insita nel testo stesso, bensì proprio contro la sua intenzione.

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

ma fase Amos rappresenta per i contemporanei il profeta clas­ sico, come essi lo intendevano comunemente; nella seconda fa­ se, quella legata al severo messaggio della «fine d'Israele», rap­ presenta un qualcosa di totalmente nuovo. Così non è affatto un caso che a tutte le visioni, cominciando dalla terza, siano sta­ ti aggiunti lunghi commenti {7,9 ss.; 8,3 ss.; 9, 5 ss.), mentre le prime due non avevano alcuna necessità di simili spiegazioni. Queste considerazioni fanno capire chiaramente, allo stesso tempo, il senso della divulgazione delle visioni. Esse vogliono mostrare ai lettori come Amos si sia trasformato da messagge­ ro della pazienza divina in messaggero dell'inflessibile giudizio di Dio. In altre parole: le visioni servono a legittimare il mes­ saggio profetico di giudizio contro Israele. Esse provano quan­ to poco Amos abbia desiderato essere il messaggero di sventu­ ra che fu costretto a diventare in seguito alle visioni ricevute e come egli abbia lottato con tutte le forze contro questa ridefi­ nizione della propria funzione. D'altro canto esse provano che Israele non è ancora spacciato se si carica di colpe, ma è perdu­ to nel momento in cui Dio impedisce al suo profeta di oppor­ si, con la forza della sua intercessione, al disegno distruttivo di Dio. 5. I racconti delle visioni del libro di Amos non si trovano all'inizio (cfr. Ier. I , I I ss.; Ezech. 1 ,4 ss.; Zach. 1 ,7 ss.), bensì alla fine del libro. A tutta prima questa collocazione stupisce, tanto più che la nuova comprensione del compito del profeta di J ahvé trasmessa dai racconti delle visioni è già presupposta in tutti gli altri testi del libro di Amos: in A m. 1 -2 in maniera esplicita, in quanto la dura sentenza stereotipa del discorso di Dio «a motivo dei tre misfatti di ... e dei quattro, non posso re­ vocarlo (cioè il castigo)» condensa in una formula, per così di­ re, la conoscenza acquisita nei racconti delle visioni; in A m. 3 6 in maniera implicita, in quanto in questi capitoli non si fa che descrivere la «fine d'Israele» {quarta visione: Am. 8,2). Se il libro di Amos avesse avuto anche un minimo d'interesse bio­ grafico i racconti delle visioni avrebbero dovuto trovarsi all'ini-

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

zio del libro stesso. La loro collocazione nella parte finale del libro di Amos si spiega al meglio con la logica che determina la struttura del libro: è necessario che venga menzionata dap­ prima l'enorme colpa d'Israele (capp. 2-6) affinché diventino poi comprensibili l'insensibilità di Jahvé davanti all'intercessio­ ne profetica e, quindi, la nuova funzione di Amos. La prima coppia di visioni è chiaramente strutturata se­ condo un andamento parallelo, con la seconda visione che rap­ presenta un crescendo rispetto alla prima. Nelle parole iniziali il soggetto è Jahvé: 1 . prima in maniera accentuata nell'identi­ ca introduzione alla visione, così che il lettore non viene pre­ disposto a un'esperienza di Amos, bensì a una pretesa di Dio (così anche nella terza e nella quarta visione); 2. poi quale cau­ sa prima e diretta di un evento tremendo (distruzione del rac­ colto o della campagna). 3 · Con parole sostanzialmente identi­ che segue quindi l'intercessione spontanea di Amos a favore di Israele, facendo valere la medesima motivazione; 4· come con­ seguenza, anch'essa espressa con parole identiche, si ha un cam­ biamento della decisione divina e 5 . l'assicurazione di Jahvé che l'evento contemplato nella visione non si verificherà. Le due visioni presentano un'analoga caduta di tensione: dalla sventura decisa da Dio alla sua revoca. Tuttavia, mentre il disastro contemplato nelle visioni varia in crescendo dalla pri­ ma alla seconda, l'intercessione di Amos e la reazione divina a essa conservano, quasi alla lettera, la medesima e identica for­ mulazione, per imprimersi così ancor meglio nella memoria del lettore. Nell'arco che va dalla visione iniziale della catastrofe alla revoca divina l'accento principale cade decisamente sulla intercessione di Amos, la quale provoca il mutamento nella vo­ lontà decisionale di Dio. 7, 1 - 6.

Per l'Antico Testamento Dio non è un destino ferreo, ma è invece influ­ enzabile. Per questo motivo furono dati al popolo di Dio i grandi per­ sonaggi del suo passato (specialmente Mosè e Samuele; cfr. Ier. 1 5 , 1 ) e poi i profeti. Nel caso di Mosè gli autori biblici più tardi misero in così

Am. 7, 1-8; 8, 1-2 tanto risalto la possibilità d'influenzare Dio, che talora questi deve pre­ gare Mosè di non intervenire: «Suvvia, fammi fare, che la mia ira s'infiam­ mi contro loro ... » (Ex. J 2, I o; cfr. Deut. 9, 1 4; Ps. I o6,23). Di conseguen­ za, Mosè deve «prima acconsentire, per così dire, a che il popolo subisca il castigo», 10 altrimenti Dio rimane con le mani legate. A motivo della lo­ ro riconosciuta autorità a intercedere, si rivolgevano ai profeti sia singo­ li israeliti, soprattutto in casi di malattia (ad es. 1 Reg. 1 4, I ss.; 2 Reg. I ,2 ss.; 8,8 ss.), sia anche rappresentanti del popolo, in caso di calamità na­ zionali (ad es. 2 Reg. 1 9,2; 22, I 2; Ier. 2 1 , 1 ; 37,3), perché pregassero e in­ tercedessero per loro. 11 Partendo da simili presupposti si è talora ipotiz­ zato che le prime due visioni offrissero uno spunto per affermare che, al­ meno inizialmente, Amos avrebbe esercitato un'attività profetica ufficia­ le a corte o nel tempio.12 Ma poiché nel caso delle due prime visioni si trat­ ta di uno spontaneo intervento davanti alla visione di una devastazione, una conclusione del genere non è affatto inevitabile. Tra le parole traman­ date di Amos non ce n'è una sola che possa venire classificata in una sif­ fatta particolare prima fase.

Il fattore decisivo per l'intercessione di Amos e per la com­ prensione del suo buon esito è dato dalla logica interna dei racconti. Per prima cosa, Amos non chiede una punizione me­ no severa, quasi sperasse in un mutamento radicale d'Israele ­ il profeta sa che il castigo previsto da Dio per Israele è adegua­ to; quando al v. 2 prega per il perdono, Amos parte dunque, come Dio, dalla convinzione che la colpa d'Israele meriti la morte. Invece il profeta invoca la compassione di Dio: « Gia­ cobbe» non potrebbe resistere ai colpi di Dio, non potrebbe sopravvivere. Evidentemente il profeta evita il nome «Israele» la cui ambiguità - il nome denota sia il popolo di Dio sia lo Io. J. Scharbert, Heilsmittler im Alten Testament und Alten Orient, Freiburg 1 96�h 97; cfr. L. Perlitt, Mose als Prophet: EvTh 3 I ( 1 97 1 ) s 88-6o8 e da ultimo E. Aurelius, Der Furbitter lsraels. Eine Studie zum Mosebild im Alten Testament, Stockholm 1,988. 1 1 . Cfr. specialmente C. Westermann, Die Begriffe fur Fragen und Suchen im Alten Testament: KuD 6 ( 1 96o) 2-30 = Ges. St. 11 (TB 5 s), 1 974, 1 62- 1 .90; ]. Jeremias, Kult­ prophetie, 1 40 ss. 12. Così specialmente E. Wiirthwein, Studien, 86 ss.; senza la suddetta distinzione cro­ nologica: A.H.J. Gunneweg, Erwagungen zu Am. 7, 14 : ZThK 57 ( 1 960) 1 - 1 6; 8 ss. Sola Scriptura, Gottingen 1983, 9-24; 1 6 ss.; H. Graf Reventlow, Amt, 30 ss. =

1 66

Am. 7, 1-8; B, r-2

stato - caratterizza le due soprascritte della parte centrale del­ l'odierno libro di Amos (3 , 1 ; 5 , 1 ). Né in Amos né nei suoi successori nel libro di Amos (cfr. in particolare 9,8b) « Gia­ cobbe» designa mai lo stato, bensì sempre quel popolo che ha quale riferimento esclusivo Dio e che dipende totalmente da lui: infatti Giacobbe è «piccolo», cioè umile, debole e quindi incapace di vivere senza l'aiuto e la provvidenza del suo Dio che si è legato ai deboli. '3 Non appena sente il nome « Giacob­ be» Dio non può non provare misericordia - ma dove le visio­ ni descrivono la fine della pazienza divina, Dio parlerà allora, con maggiore distacco, del «mio popolo Israele» {7,8; 8,2) e infine di «tutti loro» (9, 1 ). È il nome di Giacobbe e quanto è associato a questo nome che permette il buon esito dell'inter­ cessione, non già l'appello alla giustizia di Dio. In secondo luogo, per Amos l'esaudimento dell'intercessio­ ne non significa semplicemente che Dio perdoni, come richie­ sto da Amos, la colpa d'Israele, quasi che questa colpa perdes­ se così di virulenza e cessasse di esistere. Considerato il conti­ nuo e spietato esercizio della violenza da parte dei potenti di Israele (cfr. ad es. 2,6-8) una simile opera di Dio non è più pos­ sibile, come presuppone il ciclo delle visioni nel suo insieme. Invece il testo dice che Dio scarica un po' di tensione facendo un respiro profondo (così il significato fondamentale della ra­ dice npm al nifal, «pentirsi, rincrescersi» ), desistendo - a favo­ re di «Giacobbe» - dal disegno di distruggere Israele. Amos ottiene un cambiamento nella volontà di Dio che permette a Israele di sopravvivere. Pertanto, dopo la prima visione e no­ nostante la sua colpa degna di morte, Israele vive unicamente grazie alla compassione del suo Dio che non se la sente di an­ nientare il «piccolo Giacobbe» e quindi desiste dal suo {giu­ sto ! ) proposito di distruzione. Il più stretto parallelo sostan­ ziale a questa affermazione insolita è fornito da O s. 1 1 ,8 s. In un'età più tarda, Israele confessa più volte di essere sopravvisIJ.

Per una minuziosa giustificazione di queste affermazioni cfr. J. Jeremias,]akob im

Amosbuch, in Hosea und Amos, 2 5 7 ss.

Am. 7, 1-8; 8, 1 -2

suto soltanto grazie al cambiamento, in suo favore, della vo­ lontà divina il quale rappresenta l'estrema possibilità lasciata a Dio di risparmiare il suo popolo destinato alla morte anche quando non gli è più possibile perdonare. 14 Il crescendo delle due visioni nella catastrofe contemplata presuppone l'implicito crescendo della colpa d'Israele e inten­ de evidentemente far capire che il pericolo ha raggiunto e su­ perato il livello di guardia. Già la prima visione, descrivendo come tutta la semina tardiva del grano e del foraggio in aprile venga distrutta dai temuti sciami di cavallette (cfr. Ioel I ), fa il quadro di una catastrofe pesante per gli uomini, perché quello che gli insetti hanno divorato era l'ultimo raccolto possibile per molto tempo; x s non può venire sostituito perché in Palestina, appunto, dopo maggio non piove più per sei mesi. Per questa ragione l'intercessione di Amos «come può sopravvivere Gia­ cobbe ?» è più che comprensibile per lettori che vivono nel paese della Bibbia. Ancora di più ciò vale per la seconda visio­ ne che per sottolineare l'accresciuta gravità della situazione fa ricorso al linguaggio e alle immagini del mito. La «Grande Go­ ra» che viene consumata dal fuoco è l'Oceano cosmico che nu­ tre dal di sotto la terra con acqua (Gen. 7, I I ; 49,2 5 , ecc.); senza questo abisso di acque si esauriscono tutte le sorgenti. Rimane incerto se sia effettivamente lecito associare alla «pioggia di fuoco» il destino di Sodoma e Gomorra o vedervi allusioni an­ cora più remote a miti ittiti o alla teogonia di Esiodo, come ipotizzano Hillers e Wolff. 16 Ma anche se si volesse semplice14. Al riguardo cfr. l'esauriente analisi in J . Jeremias, Die Reue Gottes (BSe 65), 1975, 1 1 99 5, 40 SS. 7 5 SS. 1 5. Questo vuole certamente indicare alla fine del v. 1 la breve digressione (dovuta a mano tarda) riguardo al privilegio reale sul raccolto. In che cosa consistesse esattamen­

te questo raccolto anticipato nel tempo, che è designato con una terminologia insoli­

ta, non è del tutto chiaro. Persino un esperto conoscitore del paese come G. Dalman è incerto e pensa dapprima a una germinazione spontanea (Arbeit I/2, 4 1 1 s.), poi (e

qui ha certamente ragione) alla falciatura precoce dell'orzo prima che questo spunti più tardi una seconda volta per la vera mietitura (lettera a Budde: JBL 44 [ 1 92 5 ], 67 n. 8; A.rbeit vi, 1 78 . 2 1 3). 16. Op. cit. (sopra, n. 3).

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Am. 7, 1 -8; 8, 1-2

mente pensare a normali eventi naturali in una loro manifesta­ zione estrema - come una gravissima siccità provocata dai cal­ di venti di sud -est che soffiano a maggio, a causa della quale il livello delle acque si abbassa e il terreno si spacca 17 - il testo in­ tende un pericolo al quale i contadini della Palestina non sa­ rebbero stati assolutamente in grado di sopravvivere. Il loro campo e quindi la base della loro stessa esistenza sarebbe stata distrutta. L, obiezione di Amos diventa di conseguenza più im­ plorante, ma anche più timida; egli non osa più chiedere (co­ me al v. 2 ) il perdono, ma solo che termini la tremenda visione («basta», «lascia stare»). In questo modo egli è riuscito ancora una volta a provocare un cambiamento nella volontà di Dio e a salvare Israele. 7, 7- 8 ; 8 , 1 -�.

Anche la seconda coppia di visioni è chiaramente costruita, come la prima, in parallelismo, nonostante nel testo attuale venga separata da una lunga interposizione (7,9- 1 6). Co­ me già nella prima coppia di visioni, anche qui Jahvé è men­ zionato in apertura per sottolineare come egli stesso sia l'auto­ re delle due visioni; le quali, tuttavia, a differenza di 7, 1 -6, non consistono in un evento disastroso, bensì in un'immagine sta­ tica che richiede di essere interpretata. Dopo la visione inizia­ le, Dio domanda ogni volta ad Amos: «Che cosa vedi, Amos ?» e la seguente concisa descrizione dell'oggetto visto fatta dal profeta guida i pensieri del lettore all'elemento centrale della vi­ sione. E soltanto dopo che Dio stesso ha spiegato l'immagine, servendosi di un gioco di parole, che si rivela il significato ne­ fasto della visione e il risultato finale viene esposto ogni volta, per rimarcarlo, con la stessa identica frase. Anche nella terza e nella quarta visione ha dunque luogo un dialogo tra Dio e profeta come nella prima coppia di visioni, ma si tratta di un dialogo di natura radicalmente diversa. Men1 7. Dalman, Arbeit I/z, 3 20; H. Weippert, Amos, 23 s. Cfr. in particolare la siccità de­ scritta in Ioel 1 , 1 8 s. in concomitanza con la piaga delle cavallette: anche questa sicci­ tà è provocata da «Un fuoco divorante».

Am. J, I-8; 8, 1-.2

tre le prime due visioni mostrano l'intervento, coronato dal successo, del profeta che intercede in virtù della propria auto­ rità, riuscendo così a influire su Dio, un atto simile sarebbe inimmaginabile nelle visioni della seconda coppia. Qui, per co­ sì dire, Amos deve sedersi sul banco della scuola di Dio e compiere un processo di apprendimento in conseguenza del quale il profeta stesso deve pronunciare e invocare la sventura che Dio spiega subito dopo nei particolari. In conformità di ciò il risultato finale della seconda coppia di visioni costituisce un netto contrasto col risultato delle prime due visioni. Se nel­ la prima coppia si dice «{la sciagura) non dovrà accadere, ha detto Jahvé» (v. 3; cfr. v. 6), ora, nella seconda, si dice «non posso più passargli sopra (risparmiandolo)» (7,8; 8,2). L'espe­ rienza delle prime due visioni è terminata definitivamente con la terza e quarta visione. 7,7-8. A dire il vero

la terza visione è difficilmente interpre­

tabile con precisione nei particolari perché il discorso è condi­ zionato dal termine anak, intorno al quale esso ruota e che ri­ corre ben quattro volte: si tratta di un prestito dall'accadico, hapax legomenon per quanto riguarda l'Antico Testamento. ,

Diverse possibilità interpretative si confrontano. 1 8 La spiegazione più co­ mune, dal medioevo a oggi, intese 'anak come «piombo>> e vide in que­ sto sostantivo una descrizione abbreviata di un «piombino» o filo a piom­ bo. Il senso della visione sarebbe allora che nell'immagine del muro di cin­ ta Israele venga controllato di nuovo da Dio, il costruttore, per stabilir­ ne la funzionalità, con esito negativo. lnvero ricerche fil ologiche specia­ listiche hanno dimostrato che in accadico an(n)aku non significa in pri­ mo luogo piombo, ma stagno. 19 Ma allora nella visione non si può tratI 8. Per quanto riguarda le diverse proposte degli ultimi decenni cfr. l'accurata infor­ mazione offerta da Williamson, op. cit. , 1 0 5 ss. 1 9. Cfr. in particolare B. Landsberger, Tin and Lead: JNES 24 ( 1 965) 28 5 -296 (con bibl.). Lo seguono il Chicago Assyrian Dictionary e per Am. 7 - talora con argomenti supplementari - G. Brunet: VT 1 6 ( 1966) 3 87-395; W.L. Holladay: VT 20 ( 1 970) 492494; ]. Ouellette: RB So ( 1 973) J2 I -J J I ; C. van Leeuwen, in Fs. A.R. Hulst, Nijkerk 1977, IOJ-I u; G. Bartczek, Prophetie und Vermittlung, 1980, 1 1 9 ss.; H. Gese, Kom­ position, So s.; Hayes, 204 s. Questa posizione è stata recentemente rafforzata minuzio-

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

tare di un procedimento di controllo; 2 0 è invece molto più verosimile che «stagno» significhi per sineddoche (pars pro toto) armi, giacché lo sta­ gno veniva usato quasi esclusivamente per ottenere il bronzo {lega di ra­ me e stagno) impiegato nella fabbricazione delle armi. Era la componen­ te di gran lunga più costoso della lega, benché l'altro, il rame, venisse usa­ to in misura almeno sei volte superiore. Ciò valeva particol armente per la Palestina con la sua produzione interna di rame, mentre tutto lo sta­ gno doveva venire importato, probabilmente attraverso Cipro. 2 1

Il significato «Stagno» per ,anak e il senso «armi» risultano effettivamente plausibili per il discorso finale di Dio che nelle parole «ecco, sto per mettere stagno in mezzo al mio popolo Israele» ha un tono decisamente minaccioso, poiché con esse si segna la fine della protezione d'Israele e la fine della pazien­ za divina. Si adatta benissimo a questa lettura il versetto suc­ cessivo, un versetto di passaggio all'episodio di Amazia (vv . 1 0- 1 7), che recita «io (= Dio) mi ergerò con la spada contro la casa di Geroboamo» (v. 9). Evidentemente in questo versetto si ha una spiegazione che precisa il senso dello «stagno in mez­ zo a Israele», anche se il numero delle persone coinvolte si re­ stringe dal popolo di Dio ai governanti. Si confronti anche la spada personificata nell'ultima visione (9,4; cfr. 9, 1 ). Con le armi dirette al centro d'Israele si stabilisce poi un ef­ ficace contrasto col «muro di stagno» visto all'inizio della vi­ sione. Il senso di questa associazione di parole è predetermi­ nato dalla storia della tradizione. Questa espressione non vuo­ le assolutamente indicare, a motivo della duttilità del metallo samente da W. Beyerlin, op. cit. , 1 8 ss. e anche, rifererendosi criticamente a Beyerlin, da Chr. Uehlinger: BN 48 ( I 989) 89-1 04 e K. Baltzer, in Fs. W. Richter, I 99 I , I 1 - 1 6 (purtroppo sostengono una posizione diversa i lessici più recenti, HAL e Gesenius, 1 8a ed., rielaborata da R. Meyer e H. Donner, fascicolo I, 1 987, s. v. , che neppure rico­ noscono il problema). I suddetti autori ritornano così a un'ipotesi formulata molto tempo fa da A. Condamin: RB 9 ( 1 900) s 86- S94· In epoca postbiblica - molto prima del medioevo con la sua interpretazione del «piombino» - i due metalli vennero spes­ so confusi; cfr. ad es. Brunet, op. cit., J9I n. 3; Williamson, op. cit. , I I I . Partendo da queste premesse, è facile capire l'opinione dei grandi esegeti giudaici medievali. 20. Nonostante la proposta di compromesso di Williamson, op. cit. , I I 1 s. ·2 1 . R. Maddin - T.S. Wheeler - J.D. Muhly, Tin in the Ancient Near East: Expedition

1 9/2 ( 1 977) 3 5 -47·

Am. 7, 1-8; 8, 1-2 puro, la debolezza e l'inutilità del muro di cinta, come talvolta si suppone; 22 già la frase «stagno nella mano di Dio» non si adatterebbe a una simile associazione. Piuttosto gli antichi tra­ duttori hanno indicato già molto tempo fa la via giusta, tradu­ cendo il metallo con adamas (così G, :E, S), un ferro estrema­ mente duro, acciaio o diamante. In maniera analoga il profeta Geremia viene reso «un muro di bronzo» (/er. I , I 8; 1 5 ,20) ed Ezechiele un «muro di ferro» (Ezech. 4,3 ). L'immagine del muro di cinta della città fatto di bronzo o di ferro non simbo­ leggia protezione e sicurezza soltanto nei passi profetici succi­ tati, ma anche fuori della Bibbia, soprattutto in testi egiziani e nell'antichità classica. Così, ad esempio, il faraone dell'esodo d'Israele, Ramses n, si gloria: «Non sapete che io sono il vo­ stro muro di ferro?» e il re vassallo di Tiro, Abimilki, descrive il faraone, suo signore, come «un muro di bronzo, eretto per me ( ?)» .23 Ma quando il profeta vede ora Jahvé «ritto sul muro di sta­ gno» (non «accanto» a esso, come si evince dalla medesima ter­ minologia di 9, 1 ), con questa precisazione non si vuole raffor­ zare ulteriormente la funzione protettiva del muro, come ri­ tiene Beyerlin (46 s.), bensì l'immagine (per analogia con 9, I dove J ahvé sta «ritto sull'altare» per distruggere il tempio) fa prevedere un atto divino di distruzione, che fa piazza pulita di tutte le sicurezze. 24 Infatti Dio tiene già lo «stagno in mano» 22. Landsberger, op. cit. , 287; così anche Ouellette, op. cit. Cfr. la convincente critica mossa da Williamson, op. cit. , IOS - I 07. 23. Ouellette, op. cit. , 3 24 s. nn. 22-23 . Altre testimonianze di questo genere ha raccol ­ to A. Alt, Hic murus aheneus esto: ZDMG 86 ( r 933) 33-48. Cfr. da ultimo S. Herr­ mann, Die Herkunft der «ehernen Mauer», in Fs. A.H.J. Gunneweg, Stuttgart 1 987, 344-3 5 2 che ha cercato di dimostrare l'origine storico-tradizionale di tale affermazio­ ni negli attributi dell'incrollabile città del dio Sole, e anche le testimonianze classiche in Gese, op. cit. , So s. n. r 8 . - È possibile che per i contemporanei di Amos sullo sfon­ do dell'immagine del «muro di stagno» ci sia anche l'usanza (grandiosamente esage­ rata) di armare le torri con bastioni di scudi posti in alto, come attestano raffigurazio­ ni assire della conquista di Lakish (ad es. BRL 498) . .z-t. Come ha dimostrato soprattutto Uehlinger, op. cit. , 94 ss. con convincenti argo­ menti sia linguistici sia iconografici.

A m. 7, 1-8; 8, 1-2

che tra poco dovrà «essere calato in mezzo al mio popolo Israe­ le». Jahvé è diventato un guerriero contro Israele (cfr. Am. 2, I 3 - I 6) e in considerazione di ciò qualsiasi tentativo di ottene­ re protezione è destinato a fallire a priori. In altre parole: la me­ desima potenza che Israele ha sperimentato fino a questo mo­ mento come protezione («muro di stagno») la sperimenta ora, proprio con la medesima intensità, come distruzione («stagno in mano a Jahvé che sta ritto sul muro»). Ma perché questo pensiero è espresso nella visione in manie­ ra così contorta e con un termine insolito ? Penso che non vi sia che una sola risposta: come avviene nella visione seguente col gioco di parole tra qaji�, «frutta estiva» , e qe�, «fine», così anche qui il termine insolito anak dovrebbe richiamare parole affini. Si è pensato spesso ad 'ana�a, «sospiri, gemiti» («ecco, io pongo gemiti in mezzo al mio popolo Israele»); 1s ma di gran lunga più prossimo, sia linguisticamente che oggettivamente, è un gioco di parole con 'anoki, «io».16 Infatti questo gioco di parole è già attestato in accadico dal quale è stato preso il so­ stantivo anak, 2 7 e viene precisato meglio nell'interpretazione offerta dalla parola di Dio. In questa parola di Dio lo sguardo si sposta molto presto dall'arma in mano a Dio, simboleggiata dallo stagno, a Dio stesso. 2 8 La dichiarazione di Dio «io non posso più passargli (= a Israele) sopra {risparmiandolo)» ('abar le) è la variazione di un'espressione riferita a Dio in un passo ,

,

.1 5 . F. Horst, Die Visionsschilderungen der alttestamentlichen Propheten: EvTh 20 ( 1 960) 1 93-205: 20 1 ; Ouellette, op. cit., 3 29; Gese, op. cit. , 81 s . .16. Così, in particolare, F. Praetorius: ZAW 3 s ( 1 9 1 5) 23. Egli propone una duplice

traduzione: «Ecco, io porrò l'io (prima, in traduzione più libera: Ecco, io porrò me stesso) in mezzo al mio popolo Israele». Cfr. R.B. Coote, Amos among the Prophets, 92 s.; Williamson, op. cit., I 17 s. n. 69 e specialmente Baltzer, op. cit. (sopra, n. 1 9). 27. NeW/nno a !star, col. 4 1 , righe 23-24: anaku anaku anak siparri [anaku], «stagno sono io, lo stagno del bronzo [sono io]», citato secondo A. Falkenstein: ZA s6 ( 1 964) 76; cfr. Beyerlin, op. cit. , 2 8 s.; Baltzer, op. cit. , 14. 2 8 . Rudolph, ad loc. , che rifiuta il gioco di parole per motivi grammaticali, riconosce tuttavia giustamente che il cambiamento essenziale tra la seconda e la terza visione è costituito dal fatto «che Jahvé intraprende direttamente la sua opera di distruzione: infatti le piaghe da lui mandate si erano lasciate fermare . . . » (p. 236).

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

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precedente del libro di Amos, che non ha la negazione, ma è costruita con un'altra preposizione: «lo attraverso in mezzo a te» ( 5 , 1 7: 'abar be). Dove ciò avviene, dove Dio entra «in mez­ zo al suo (colpevole) popolo Israele», ogni scampo è precluso; da ogni parte si alza il lamento funebre ( 5 , 1 6 s.). Allo stesso tempo dal risultato finale («non posso più ... ») si evince chiara­ mente che la protezione del «muro di stagno» era, in ultima analisi, la protezione propria di Dio, e precisamente non solo dai nemici esterni, bensì soprattutto da se stesso perché egli non può sopportare l'ingiustizia e la violenza contro i deboli nel suo popolo e le punirà. Così la terza visione obbliga il lettore a procedere dall'asso­ ciazione di una città difesa da Dio all'idea di un incontro con Dio dall'esito letale, passando per l'immagine della guerra nel­ la quale Dio è l'aggressore. La pazienza di Dio vers9 il suo po­ polo colpevole è alla fine. proprio perché Israele è e rimane per Dio «il mio popolo» (7,8; 8,2) c'è un limite a ciò che Dio può sopportare. 8, 1-.1. La quarta visione presenta la medesima struttura e il me­

desimo svolgimento della precedente, con un'importante tri­ plice differenza: ciò che si contempla non è più - come nelle tre visioni precedenti - un evento nella sua fase incipiente (in ebraico: verbo al participio), bensì un oggetto; unicamente in questa visione Dio stesso non compare - la visione si compie mentre Dio stesso si è ritirato dallo svolgimento dell'azione ­ e l'interpretazione di ciò che si è visto non usa il futuro (7,3 .6), neanche il futurum instans per indicare il futuro immediato (7, 8), bensì il perfetto; 19 ciò che si è visto è già realtà, senza che Israele per il momento se ne accorga. L'oggetto visto da Amos nella visione suscita le associazio­ ni più diverse. In primo luogo il cesto di frutta è il simbolo del29. A una - teoricamente possibile - lettura del verbo come participio (.:la fine sta per venire») osta la posizione delle parole. Cfr. anche la storia degli effetti di questa paro­ la all"interno deWAntico Testamento in Ezech. 7; Lam. 4, 1 8; Gen. 6, 1 3 P; Dan. 8,1 7.

1 74

Am. 7, 1-8; 8, 1-2

la stagione gioiosa per eccellenza nella quale Israele celebrava la sua festa principale, la festa del vino e dell'olio, dei fichi e delle melegranate, la festa del ringraziamento per i preziosi do­ ni della terra, la festa del giubilo sfrenato e delle danze. Ma già per il fatto che Amos è costretto, come nella terza visione, a parlare e a dire che cosa veda, nel lettore si affacciano altri pen­ sieri. Il raccolto, simboleggiato dal cesto di frutta, nella profe­ zia è anche simbolo del giudizio, come mostra già l'immagine del carro della mietitura sovraccarico e traballante di A m. 2,1 3 · L a tarda profezia dell'An ti co Testamento è piena d i testimo­ nianze in questo senso, nelle quali solitamente il tertium com­ parationis è la raccolta dei covoni; forse Amos fu il primo a usare l'immagine del raccolto quale immagine del giudizio.30 In ogni caso, tuttavia, il gioco di parole qaji� (radice qj�, «esse­ re caldo»), «frutta estiva» qe� (radice q��, «recidere»), «fine», che domina la visione, è più di un'associazione linguistica ori­ ginale, puramente casuale. Non si sa neanche se la grafia e la pronuncia delle due parole non fossero identiche ai tempi di Amos e i lettori contemporanei cogliessero quindi, forse, sem­ pre insieme i due significati.3 1 In ogni caso per i lettori del tem­ po i due sostantivi coincidevano anche sostanzialmente, in mi­ sura molto maggiore dei nostri termini «mietitura» e giudizio, e per gli orientali il nome di una cosa conteneva il segreto del­ la sua natura in maniera del tutto diversa di quanto non sia, ad esempio, per l'antichità classica o per noi oggi. Comunque stiano le cose, la parola dell'interpretazione di­ vina stabilisce chiaramente ciò che si è visto e lo fa nel modo più crudo possibile. Nella quarta visione si compie così un ca­ povolgimento ancora più terribile che nella terza: dall'imma-

30. Sulla base di simili considerazioni è stata avanzata anche la traduzione «cesto per la raccolta» per A m. 8, 1 s., pensando quindi a un cesto vuoto (H. Weippert, Amos, 24; E. Zenger, Die eigentliche Botschaft des Amos, in E. Schillebeeckx [ed.], Mystik und Politik, Fs. J.B. Metz, Mainz 1988, 394-406: 399 s.). 3 I . Nel famoso Calendario di Gezer del x sec. a.C. l'ultimo mese si chiama q�, che può significare sia «mese della frutta estiva» sia anche «ultimo mese» e forse tutte e due le cose insieme; cfr. B. Rathjen: JBL 83 ( 1 964) 4 1 6 s.

gine della festa all'idea dell'annientamento. Se per Dio non è più possibile risparmiare Israele, il popolo di Dio non è più soltanto maturo - come lo era fino a quel momento - per la «mietitura», bensì è giunto alla «fine». Esso è vissuto già mol­ to tempo soltanto a) nonostante la sua colpa e b) perché Dio l'ha risparmiato (cfr. l'idea analoga in Os . 1 1 ,8 s.). Poiché la pazienza di Dio è finita, la «mietitura» e la «fine» d'Israele non sono eventi di un lontano futuro, ma stanno già per iniziare. Con la terza e la quarta visione Amos è diventato un messagge­ ro di morte. Come si compia la «fine» lo dice l'ultima visione. 7,9- 1 7. Imposizione del silenzio ad Amos 8 Allora i l Signore dis�e: Ecco, sto per mettere stagno in mezzo al mio popolo Israele. Non posso più passargli sopra (risparmi andolo) ••.

.

9 Allora saranno devastate le alture di !sacco

e i santuari d'Israele verranno distrutti; poiché mi ergerò con la spada contro la casa di Geroboamo.

10 Amazia, il sacerdote di Bethel, mandò a Geroboamo, re d'Israele, il seguente messaggio: Amos ha congiurato contro di te in seno alla casa d'Israele. Il paese non può più sopportare tutte le sue parole. 1 1 Amos ha infatti detto: Geroboamo morirà per la spada e Israele dovrà per for­ za andare in esilio, lontano dalla propria terra. 12. Allora Amazia disse ad Amos: Veggente, avanti, rifugiati nel paese di Giuda, mangia lì il pa­ ne e fa lì il profeta! 13 Ma a Bethel non puoi più fare il profeta, perché que­ sto è un santuario reale, è un tempio dello stato ! 14 Allora Amos rispo­ se e disse ad Amazia: Sebbene non (fossi) un profeta, 1 membro di una con­ fraternita di profeti, 2 bensì uno che all eva bovini e lavora i sicomori, 15 Jahvé mi tolse da dietro il bestiame più piccolo e Jahvé mi disse: Avan­ ti, parla da profeta al mio popolo Israele! 16 Ma ora ascolta la parola di 1. La proposizione nominale viene resa qui come proposizione dipendente; per tale lettura cfr. R. Bach, Erwagungen zu Amos 7, 14, in J. Jeremias - L. Perlitt (edd.}, Die Botschaft und die Boten, Fs. H.W. Wolff, Neukirchen 198 1 , 2.0J -2. I 6; 2 1 2 s. 2.. Poiché nelle due frasi «non (ero) un profeta» e «non {ero} membro di una confra­ ternita di profeti» la seconda contiene un'affermazione parziale della prima più gene­ rale, la congiunzione wt va intesa con valore dichiarativo («cioè»); cfr. G-KlB § 1 54 n. t b e i testi a sostegno in E. Vogt: ExpT 68 ( 1 956-s7) 301 s. e Rudolph, ad loc. Nella traduzione è da tralasciare.

Jahvé: Poiché tu dici: Non fare 3 il profeta contro Israele e non sbavare 3 contro la casa di Isacco, 1 7 perciò Jahvé ha detto così: Tua moglie diventerà una prostituta nella città,4 i tuoi figli e le tue figlie cadranno per la spada, la tua terra verrà divisa col nastro misuratore, tu stesso morirai in terra impura; ma Israele dovrà comunque andare in esilio, lungi dalla sua terra. 8,2b Allora J ahvé mi disse: La fine ha raggiunto il mio popolo Israele. Non posso più passargli sopra (risparmiandolo). ..•

A .J. Bjerndalen, Erwiigungen zur Zukunft des Amazja und lsraels nach der Oberlie­ ferung Am. 7, 10-I7, in R. Albertz et al. (edd.), Werden und Wirken des Alten Testa­ ments, Fs. C. Westermann, Gottingen 1980, 236-2 5 1; H. Utzschneider, Die Amazja­ erziihlung (Am. 7, 1-17) zwischen Literatur und Historie: BN 4 1 ( 1 98 8) 76- 1 0 1 .

10- 1 7. Am. 7, 10- 1 7, l'unico racconto (di un discepolo ?) che riguardi il profeta in tutto il libro di Amos, costituisce il sin­ golo testo più conosciuto del libro; numerosi studi particolari fino ai nostri giorni testimoniano dell'interesse particolare de­ gli esegeti per questo passo. 5 A dire il vero, questo racconto è stato spesso vittima di un duplice equivoco. La critica più an­ tica (Marti, Sellin, A. Weiser, 1929 e altri) aveva voluto inter­ pretare il testo in senso biografico e anche alcuni esegeti pre­ senti seguono questa tradizione (ad es. Watts, Hammershaimb e Andersen-Freedman). Per tale lettura ci si è richiamati, ad esempio, al fatto che il racconto inizi molto bruscamente, con3· In entrambi i casi si ha una negazione rafforzata dell'imperativo (il cosiddetto proi­ bitivo) come nel caso dei comandamenti; cfr. G-K21 § 1 070 ; 109c; 1 5 2b e l'uso della forma in 2, 1 2 . 4 · Seguendo � talora s i è suggerita l a vocalizzazione passiva: « sarà trattata come una prostituta». Ma le altre versioni antiche leggono come il T.M. 5. Oltre i suddetti saggi di Bjerndalen e Utzschneider cfr. in particolare, tra le ultime pubblicazioni, G.M. Tucker, Prophetic Authenticity. A Formcritical Study of Amos 7:ro- r7: Int 27 ( 1 973 ) 423-437; P.R. Ackroyd, A ]udgment Narrative Between Kings and Chronicles? An Approach to Amos 7,9-17, in Canon and Authority. Essays in 0/d Testament Religion and Theology, edd. G.W. Coats e B.O. Long, Philadelphia 1 977, 71 -87; R. Bach, op. cit. ; C. Hardmeier, Alttestamentliche Exegese und linguistische Er­ •••

ziihlforschung. Grundfragen der Erziihltextinterpretation am Beispiel von Amos 7,

ro- 17':·: WuD N.F. 1 8 ( 1 98 5 ) 49-71 . In tutti questi studi si fa riferimento alla lettera­ tura precedente, tra la quale desidero mettere in particolare evidenza i saggi di H.H. Rowley (Fs. Eissfeldt, 1 947), Wiirthwein (ZAW 1 949-50) e Smend (EvTh 1 963).

1 77 eludendo che a monte sarebbe pertanto esistito un complesso narrativo più ampio. Una simile interpretazione deve tuttavia già scontrarsi col fatto che il lettore non viene neanche infor­ mato di quello che succede al profeta Amos in seguito allo scon­ tro tra quest'ultimo e il sacerdote Amazia: se il profeta torna nel regno del Sud (Weiser, Wolff, Rudolph), se viene deporta­ to nel regno di Giuda (Kapelrud, Amsler, R.R. Wilson, Proph­ ecy and Society in Ancient Israel, 19 80, 270) oppure se muore martire a Bethel (Herntrich e Ackroyd, seguendo le cristiane Vitae Prophetarum )� ecc.; tutte possibilità che dagli esegeti so­ no considerate la logica conseguenza del testo, ma che, appun­ to, questo non menziona affatto. Tanto per cominciare, il rac­ conto non dice se Amos sia stato già più volte a Bethel, se ab­ bia predicato in occasione di una festa importante, come il re abbia reagito alla denuncia di Amazia, ecc. Il testo mira piut­ tosto alla parola di Dio alla fine e alla precedente parola diret­ ta ad Amos; per il resto limita tutte le informazioni alle circo­ stanze di queste parole di Dio necessarie per il lettore. Anche queste notizie si limitano praticamente a cose dette (dal sacer­ dote Amazia) e a citazioni di parole (Wolff richiama giustamen­ te i cosiddetti apoftegmi dei vangeli). Un secondo e ancor più diffuso malinteso è dovuto al fatto che, nella maggior parte dei casi, il racconto venga interpretato come testo a sé stante, nella convinzione che sia capitato, più o meno per caso, nel posto in cui oggi si trova. Tuttavia i vv. I O­ I 7 presentano nessi così molteplici col loro contesto che il rac­ conto non può essere capito completamente senza questo con­ testo. Questo collegamento vale sia per quanto riguarda la fine della precedente terza visione («in mezzo al mio popolo Israe­ le», 7,8b l «in mezzo alla casa d'Israele», 7, 1 ob ; «non posso più ... », 7,8b l «tu non puoi più ... », 7, 1 3 a) sia per quanto ri­ guarda la fine della seguente quarta visione ( « ... al mio popolo Israele, 8 ,2b l « ... al mio popolo Israele», 7, 1 5 b; «io non posso più ... », 8,2b l «tu non puoi più . . . », 7, I 3a) sia anche, e in manie­ ra più forte, per il versetto di transizione (v. 9; cfr. «le alture di

!sacco», v. 9 l «la casa di !sacco», v. I 6 - il nome di l sacco non compare altrove nel libro di Amos -; i «santuari di Israele>>, v. 9 l «il santuario reale», v. I 3; la «casa di Geroboamo» che fini­ rà per la spada, v. 9 l «Geroboamo perirà di spada», v. I I a). È merito particolare di H. Utzschneider aver fatto notare, con tutta chiarezza, queste connessioni. Non è affatto dovuto a un caso e ancor meno alla scarsa maestria dei redattori che il rac­ conto di A m. 7, 1 0- 1 7 interrompa, separandola, la coppia, in ori­ gine unita, delle visioni di 7,7 s. e 8, 1 s. Piuttosto il racconto è collocato tra la terza e la quarta visione perché vuole spiegare a lettori di una generazione successiva perché l'intercessione di Amos, che nella prima e seconda visione era stata coronata da successo, a partire dalla terza visione non si faccia più sentire e non riesca più a convincere Dio a desistere dal suo proposito distruttivo. I racconti delle visioni stessi non dicono a quale punto finisca la pazienza di Dio, la sua sopportazione del po­ polo colpevole. N ella versione più antica del libro di Amos il complesso dei capp. I -6 serviva proprio a tale scopo. L'incontro tra il sacerdote Amazia e il profeta Amos viene descritto in due parti di estensione pressoché uguale. Entram­ bi i contendenti prendono la parola una volta ciascuno (vv. I 01 3 e 1 4- 1 7), certamente entrambi in un discorso articolato in maniera più complessa, nel quale cambia il destinatario delle parole (nel caso di Amazia) o nel quale si menzionano, o cita­ no, soggetti parlanti diversi (nel caso di Amos) . La complessi­ tà dei discorsi dipende dal fatto che entrambi i dialoganti non devono venire rappresentati anzitutto nella loro controversia reciproca, bensì nel loro rapporto con le autorità nel cui nome e per il cui mandato essi agiscono. Il sacerdote del santuario reale di Bethel viene mostrato al lettore dapprima nell' eserci­ zio delle sue funzioni istituzionali; egli fa pervenire, com'è suo dovere, al suo superiore politico, il re, un messaggio, prima di rivolgersi direttamente ad Amos. In maniera del tutto analoga, Amos viene presentato innanzi tutto in rapporto al suo supe­ riore, Dio, prima di rivolgere ad Amazia la parola ricevuta da

1 79 Dio. A ciò si aggiunge che entrambi i dialoganti riferiscono al rispettivo superiore, alla lettera o a senso (vv. I 1 . I 6), quello che la controparte ha detto. Con questi espedienti il narratore ot­ tiene che fin dall'inizio nelle figure del sacerdote Amazia e del profeta Amos si trovino a confronto da un lato gli interessi po­ litici e dall'altro la volontà divina. 1 0. Fino a che punto Amazia sia per il narratore un rappresen­ tante dello stato si capisce subito dalla prima parola del suo rapporto ufficiale al re. L'attività di Amos viene valutata in termini squisitamente politici come «congiura» contro lo stato o contro il suo massimo rappresentante. Nei libri dei Re si de­ notano comunemente con questo termine cospirazioni e rivo­ luzioni (o tentativi di colpo di stato) contro il sovrano in cari­ ca, tra le quali la più gravida di conseguenze fu la rivoluzione di Jehu (2 Reg. 9, I4; I o,9). 6 Il re Geroboamo 11 7 corre dun­ que, secondo Amazia, un gravissimo pericolo se permette che Amos continui ancora la sua azione sovversiva. Nell'avverti­ mento l'accento cade sul luogo di questa attività e la formula­ zione insolita allude chiaramente alla terza visione (7,8): come in questa visione Jahvé è diventato un pericolo mortale «in mezzo al mio popolo Israele», così, secondo il rapporto di Amazia, Amos è diventato un pericolo mortale per Geroboa­ mo «in mezzo alla casa d'Israele». La differenza tra le due for­ mulazioni è questa: in un caso è in pericolo l'elezione («il mio popolo»), nell'altro lo stato («la casa d'Israele»; v. a 5 , I ). Così diverse sono fin dall'inizio le prospettive di Dio e di Amazia. Ma le conclusioni che essi traggono sono di nuovo analoghe. La terza visione mostra la fine della pazienza divina: «N on pos­ so più (passargli sopra risparmiandolo )». Il racconto di Ama­ zia mostra la fine della pazienza dello stato: «Tu non puoi più (fare il profeta a Bethel)», ordina al profeta il sommo sacerdo6. Cfr. il materiale e la relativa discussione in Ackroyd, op. cit. , 77 s. 7· L,apposizione «il re d,Israele» fa capire chiaramente che il testo si rivolge a lettori giudaiti.

1 80

te, nominato dallo stato (v. 1 3 ), mentre prima, nel suo messag­ gio al re, si dice con una formulazione diversa: «Il paese (cioè il territorio dello stato) non può più sopportare tutte le sue parole», e dietro questo linguaggio si scorge l'immagine di un vaso che trabocca. In questa ottica la logica della narrazione nel contesto del ciclo delle visioni è chiara: dove re e sacerdo­ te, in quanto rappresentanti dello stato, decidono la misura in cui la parola di Dio, dalla quale pure dipende la loro esistenza e la loro autorità, va dosata a loro e ai loro sudditi, Dio decide la fine di questo stato al quale egli non può più rivolgersi. Questa idea di fondo viene sviluppata, passo dopo pas­ so, in quanto segue. Per quanto riguarda la sintesi del messag­ gio di Amos, che gli viene esplicitamente attribuita (diversa­ mente si esprime il profeta stesso ai vv . 1 6 s.), è notevole da un lato che non si faccia alcun accenno a una colpa di Israele, dun­ que che non si dica mai chiaramente che la parola profetica intende indurre una consapevolezza, dall'altro che all'annun­ cio dell'esilio d'Israele, di cui si hanno molteplici attestazioni (cfr. 4,3 ; 5 , 5 .27; 6,7) si aggiunga la predizione della morte di Ge­ roboamo, di cui non si ha traccia alcuna nel libro di Amos, e di nuovo senza motivazione di sorta. Chiaramente si colloca in primo piano, una volta di più, l'interesse politico. In questo contesto il consiglio del sacerdote ad Amos, cui egli si rivolge chiamandolo stranamente «veggente» (cfr. 1 , 1 ) e non «profe­ ta» (cfr. v. 14), 8 di fuggire nella vicina Giudea, cioè nella sua terra di origine, non è affatto espressione di un conflitto di au­ torità (Wolff), ma piuttosto il tentativo di eliminare al più pre­ sto la minaccia per lo stato. Amazia non è interessato alla pu­ nizione di Amos, bensì alla tranquillità politica del regno del Nord. Come il sommo sacerdote di Gerusalemme sovrinten­ deva «su tutti i pazzi che predicono il futuro» (/er. 29,26), così I I - I J.

8. Un «veggente» è distinto, primariamente, da particolari doti personali (cfr., ad es., 1 Sam. 9), non da una funzione istituzionale {cfr. v. 1 4). Con questa apostrofe del sa­ cerdote il narratore vuole forse alludere alle visioni di Amos?

anche Amazia in quanto sommo sacerdote di Bethel. Da inca­ ricato del re egli deve controllare ciò che viene detto al santua­ rio ufficiale del regno. Amos non va privato della sua profes­ sione né dei guadagni legittimi che ne trae (v. 1 2b); a Bethel (e nel relativo territorio dello stato: v. 1 6) le cose che egli dice ­ in particolare contro il re - non possono essere sopportate. 14- 1 5· La risposta di Amos ai vv. 14 s. inizia con una doppia antitesi. Al doppio «io non ero ... » (v. I 4a) fa riscontro, quale affermazione positiva, da un lato un «io ero invece ... » (v. I 4b) e dall'altro, ancora più pesante perché collegato con un cam­ bio di soggetto, un «ma Jahvé... » (v. I 5 ). Questa successione di pensieri va tenuta a mente quando si riflette sull'antica e dibat­ tuta questione, che risale agli albori dell'interpretazione della Bibbia e che a tutt'oggi non è stata ancora risolta, se le propo­ sizioni nominali senza verbo del v. 14 vadano tradotte con un presente («non sono un profeta») o con un passato («non ero un profeta» .9 Da un punto di vista sintattico la soluzione col verbo al passato è quella più naturale, che è anche la scelta fat­ ta da G e S (diversamente V), perché la continuazione («ma Jah­ vé mi prese .. . ) - tuttavia a differenza del precedente v. I 3 - è formulata al passato, il tempo narrativo. La differenza sostan­ ziale è questa: se si intende il v. 14 al presente, Amos rifiute­ rebbe il titolo di profeta, ma reclamerebbe invece al v. I 5 la funzione profetica; se invece si intende al passato, si ritiene in genere che Amos rifiuti il titolo di profeta solo per il passato, ma non per il presente. In base al testo non è possibile decide­ re con certezza. Le due possibili spiegazioni si avvicinano no­ tevolmente tra loro se si ammette che la seconda parte della pro­ posizione del v. I4 («né membro di una confraternita di pro­ feti») non intende essere un'affermazione supplementare, ben­ sì una precisazione limitativa della prima, molto ampia asser»



Wolff e Rudolph, ad loc. , nominano soluzioni ancora più remote: proposizione interrogativa senza particella interrogativa (Driver e altri); diverse interpretazioni di Jo•, cnon,., nelle prime due proposizioni (Cohen e altri).

Am. 7,9-17

zione.10 Detto questo, è possibile interpretare con maggiore precisione anche quel punto di partenza certo d eli' esegesi, no­ minato all'inizio, l'antitesi tra il v. 1 4a e i vv . 1 4b e 1 5 . Ribat­ tendo ad Amazia, Amos gli fa notare di non avere «studiato» da profeta, cioè di non aver seguito quella formazione che è attestata, con la medesima terminologia («discepolo di profe­ ta», «membro di un gruppo profetico» ), nei racconti di Eliseo .(2 Reg. 2,3 . 5 ; 4, 1 ; 6, 1 ; 9, 1 , ecc.) e in 1 Reg. 20,3 5 , dovendo, in­ vece, la sua attività profetica a un inatteso intervento di Dio nella sua vita di normale agricoltore, intervento che lo costrin­ se a iniziare la sua missione profetica nel regno del Nord (cfr. 3 ,8 per il carattere coattivo di questo incarico). Questo chiari­ mento contiene due implicazioni. Da un lato Amos, mettendo in evidenza la sua vita di agricoltore, sottolinea la propria in­ dipendenza economica. L'attività profeti ca non gli fornisce i mezzi di sostentamento, così che il sacerdote, vietandogli di e·. sercitare a Bethel, potrebbe metterlo in difficoltà. Possiede ar­ ·, menti (boqer è hapax legomenon che deriva dal termine co­ . mune baqar, «bovini») e anche ovini, a meno che l'espressione usata anche per Davide («ti presi da dietro alle pecore»: 2 Sam. 7,8) non sia di tipo proverbiale; inoltre lavorava sicomori, che crescono rigogliosi nel caldo clima della depressione del ·Giordano, verso la quale è orientata la sua città natale di Te­ qoa; il processo di lavorazione consisteva nell'incidere rego­ larmente la corteccia del frutto (una sorta di fico) per favorir­ ne la maturazione e ottenere un grado zuccherino maggiore, una pratica che ancora oggi continua in alcune zone. 11 SeconII

I o.

Per la grande sfera semantica del titolo di profeta cfr., ad es., J. Jeremias, THAT 7-26 (= DTAT n, 6-2 1 ); H.P. Miiller, ThWAT v, 1 40- 163. Il v. 14 non sembra giu­ 'stificare una riduzione del concetto a quello di profeta cultuale, un argomento che ha monopolizzato la discussione negli anni 5o e '6o. . 1 1 . Cfr. H. Schult, Amos 7, 15a und die Legitimation des Aussenseiters, in H.W. Wolff (ed.), Fs. G. von Rad, Miinchen 197 1 , 462-478, che nonostante tutto difende la stori­ cità della notizia (475 s .), in favore della quale parla anche 1 , 1 ; cfr. l'esauriente disa­ mina in H.-J. Stoebe: WuD N.F. 5 ( 1 9 5 7) 1 6o- 1 8 I ; S. Segert: VT.S 16 { 1 967) 279-283. 1 2. Procedimento e scopo della lavorazione sono descritti esaurientemente da J. Gal il, u,

,

Am. 7,9-17

do il targum Amos possedeva terreni per questo tipo di colti­ vazione nella Shefelah. In ogni caso Amos dispone di diverse fonti di reddito.

16-17. Molto più essenziale del chiarimento sulla sua indipen­

denza economica è l'accentuazione dell'autorità del ministero profetico di Amos: «Non io . . . » (v. 14), «bensì Jahvé ... » (v. 1 5 ). A questo punto lo scontro viene alzato al livello che gli si ad­ dice. Lo scontro non è tra Amazia e Amos, ma sono Geroboa­ mo n, o lo stato, e J ahvé che si fronteggiano. Come Amos non ha desiderato fare il profeta né si è preparato professional­ mente per questa funzione, così anche non ha potuto scegliere il posto dove esercitare la sua missione. Il sacerdote vieta ad Amos, nel nome dello stato, di parlare nel santuario del regno e cerca di fatto di vietare a Dio di parlare al suo popolo e di operare su di lui. All'ordine del sacerdote: «Avanti, vattene ... » (v. 1 2) si contrappone il mandato di Dio: «Avanti, parla da profeta al mio popolo Israele ... » (v. I s ). Il v. 16 mostra l'op­ posizione in termini ancora più netti: «Tu dici: n on fare il pro­ feta ... » (cfr. v. I 3). Con questo divieto (formalmente reso più radicale: v. sotto, n. 3) di Amazia il mandato divino viene ri­ dotto ed equivocato due volte: Amos era mandato «a» Israele, per «parlare a esso»; Amazia lo fa diventare un atto «contro» Israele (v. I 6). Ancora più importante: Amos era mandato da Dio «al mio popolo Israele» (cfr. nelle visioni 7,8 e 8,2); Ama­ zia conosce solo la terminologia politica: «Non sbavare con­ tro la casa di Isacco ! ». 1 3 Così, in maniera conseguente, non è An Ancient Technique for Ripening Sycomore Fruit in East-Mediterranean Countries: Economie Botany 22 ( 1 968) 1 78- t ,o; 1 88 s. 1 3 . Il verbo tradotto «sbavare» indica in origine il parlare «insalivato» dell'estatico; ai tempi di Amos (cfr. specialmente Mich. 2,6) l'impegno appassionato per una cosa. ­ Ancor oggi senza spiegazione è l'uso del nome «lsacco,. che, fatta eccezione per Am. 7,9. 16, nell'Antico Testamento non sta mai in parallelo con Israele e non viene mai usa­ to per indicare il regno del Nord. Rudolph, 237 n. 3 elenca i vari tentativi di soluzio­ ne. La cosa più probabile, come suggerisce Wolff, Heimat, 54 s., è di mettere in rela­ zione questo uso linguistico con la singolare duplice menzione di Beer-Sheba ( 5 , 5 ; 8, 1 4) nel libro d i Amos, giacché nella Genesi (specialmente Gen. 26) Beer-Sheba è sal-

perciò più Amos, ma Dio che risponde a un Amazia che pure, una volta, era anche suo sacerdote, ma ora è soltanto un orga­ no dello stato che si adopera per ostacolare la parola scomoda di Dio e pertanto proverà sulla propria pelle la sua veracità. Le parole di sventura contro di lui sono concepite in crescendo e inizialmente si riallacciano alla tradizione orientale antica della maledizione (Wolff). L'oltraggio pubblico della moglie (certa­ mente a opera dei nemici), la morte violenta dei figli (cfr. vv . 9· I I ) e la perdita delle proprietà terriere, già un indizio del de­ stino della deportazione, non sono che il preludio di quella che per un sacerdote è la sorte più atroce pensabile: la morte «su terra impura», cioè nel paese della lontananza da Dio nella quale non c'è alcuna possibilità di contatto con Dio nel culto (per una descrizione più esatta cfr. Os. 9,3 ss.). Eppure questo duro destino è solo un'esperienza esemplare di ciò che tocche­ rà a tutto quanto Israele. Alla fine si ripete perciò, a conferma, esattamente alla lettera la parola di Amos al v. I I b, solo che ora è messa sulle labbra del suo vero autore, Dio. 14 Il sacerdo­ te, che per garantire la tranquillità dello stato voleva proibire ad Amos di parlare, dovrà provare sulla propria pelle e in tutta la sua durezza la veracità della parola di Dio portata dal profe­ ta. Ma la pazienza di Dio verso il suo popolo è definitivamen­ te esaurita (7,8; 8,2) quando questo popolo non solo è perma­ nentemente colpevole nei suoi riguardi, ma anche, servendosi degli organi statali, vuole impedirgli di parlare tramite i profe­ ti, cioè di denunciare la colpa commessa. Senza la dimostra­ zione di colpevolezza dei suoi profeti (e senza la loro interces­ sione: 7, I -6) Israele è perduto senza scampo. Nella retrospet­ tiva del testo ciò significa: il popolo di Dio sarebbe stato can­ cellato già da molto tempo se non avesse avuto i profeti.

damente collegata con la tradizione di !sacco. Tuttavia la polemica di 5 , 5 e 8,14 è chia­ ramente più recente e sicuramente non preesilica. 1 4. Cfr. la constatazione terminologicamente identica del verificarsi di questo annun­ cio nella storiografia deuteronomistica: 2 Reg. 1 7,23 per il regno del Nord e 2 Reg. 2.5,2 1 per il regno del Sud. - Per la storia degli effetti di Am. 7, 10- 1 7 cfr. il molto con­ troverso capitolo 1 Reg. 1 3.



La narrazione di Am. 7, 1 0- I 7 intende motivare e rendere comprensi­ bile la terza visione. In ragione di questa funzione tra il racconto della vi­ sione e la narrazione è stato inserito il v. 9, un versetto in poesia, che ha funzione di cerniera e vuole precisare l'annuncio generico del v. 8 («non posso più passargli sopra [risparmiandolo]) riprendendo la terminologia usata nel racconto che generalizza o varia anticipandola. Invece che del­ la morte di Geroboamo (v. I I ), il v. 9 parla della fine della «casa di Gero­ boamo» (Geroboamo n era forse già morto di morte naturale); invece che del santuario di Bethel (v. I 3) parla al plurale di «santuari d'Israel e»; invece che della «casa di Isacco» (v. I 6; v. sopra) delle « alture di !sacco». Il senso di questo modo di procedere si evince osservando con quale forza questo versetto di raccordo unisca idee di Amos con idee di Osea. Nel libro di Amos è solo in Am. 7,9 che si parla di « alture», soltanto al v. 9 vengono distinti i luoghi di culto nazionali («santuari») da quelli lo­ cali («alture»); solo al v. 9 si predice la sventura per una dinastia; ma, soprattutto, è solo nel v. 9 che vengono nominati in stretta associazione monarchia e luoghi di culto, politica e religione (cfr. v. I I ). Tutto quello che si è detto è invece abbondantemente testimoniato in Osea: i culti sul­ le alture sono un tema centrale in 4,4 ss., spec. 4, I I ss.; i santuari nazio­ nali in 8,4 ss.; I o, 5 ss. e I 3,2 e precisamente collegati sempre nel contesto col tema della monarchia; della dinastia di Jehu si parla subito in apertu­ ra del libro ( I ,4). Evidentemente i tradenti del libro di Amos, unendo co­ sì le parole di Amos e di Osea, vogliono imprimere nei lettori l'idea che si devono ascoltare insieme le voci e di Amos e di Osea per poter cono­ scere la misura totale della colpa di Israele e capire il limite della pazien­ za divina della quale parlava la terza visione (Am. 7,8). Il preesistente rac­ conto di 7, I O- I 7 aveva anticipato questo sviluppo in quanto con l'annun­ cio della perdita della terra (vv. I I . I 7) aveva toccato un tema centrale di Osea. Infine con questo collegamento tra loro di due libri profetici si avvia in silenzio quel processo che porterà più tardi alla nascita del libro dei dodici profeti. 1 s Cronologicamente la caduta del regno del Nord nel 72272 I a.C. è chiaramente presupposta e, probabilmente, sono già trascorsi parecchi decenni da quell'evento; infatti anche la storia di Amazia, già presupposta nel v. 9, è stata redatta sol o molto tempo dopo la caduta di Sa­ maria. 1 t;

1 5 . Cfr. J . Jeremi as , Die Anfiinge des Dodekapropheton, in Hosea und Amos, 34 ss. 16. Utzschneider, op. cit., 98 ss. Cfr. la dimostrazione decisiva di Williamson, op. cit. (sopra, bibl. alle visioni ), 1 1 6- u r : Am. 7, 10- 1 7 è molto vicino alla di poco più giova­

ne teologia deuteronomistica.

8,3 - 1 4. Scene della fine �b . . N on .

3

Allora J ahvé mi disse: La fine ha raggiunto il mio popolo Israele. posso più passargli sopra (risparmiandolo ). Quel giorno leveranno lai le cantatrici 1 del palazzo oracolo del Signore J ahvé -: Quanti cadaveri! Li si getta in ogni luogo. Silenzio!

4 Ascoltate questo, voi che calpestate 2 i poveri

e volete eliminare i bisognosi del paese.3 Voi pensate: 4 Quando r asserà il novilunio, per poter vendere cereali, quando i sabato, per mettere in vendita il grano,5 così che rimpiccioliamo l' efa, appesantiamo il si cl o e storciamo l e bilance ingannevoli, 6 per comprare gli umili per denaro e i poveri per un paio di sandali ? Vogliamo vendere anche gli scarti dei cereali! 6 7 Jahvé ha giurato per l'orgoglio di Giacobbe: non di menticherò mai tutte le loro azioni ! 8 La terra non deve forse tremare per questo e tutti coloro che vi abitano essere in lutto, così che essa si sollevi tutta come 'il Nilo'/ sia smossa 8 e si abbassP come il Nilo di Egitto?

9

Quel giorno, oracolo del Signore ]ahvé, farò tramontare il sole a mezzogiorno e oscurerò la terra in pieno giorno.

I . Invece di sirot, «canti» (nell'Antico Testamento il plurale è sempre maschile; v. qui, al v. Io), si legge generalmente sarot, «cantatrici » (oppure sarot, «principesse»). Ma allora hekal indica la reggia; a differenza di questa, non è mai attestata la presenza di cantatrici nel tempio. Se si leggesse con Gordis e Hayes surot, «mura» (cfr. G: soffitto di una camera) si dovrebbe invece pensare piuttosto (per influenza di 9, 1 ss.) alle mura del tempio. �- V. sopra, n. 2 a 2,7. 3 · Letteralmente: « ... e ciò con l'intenzione, di eliminare ... i bisognosi». Per la funzio­ ne della copula prima dell'infinito costrutto cfr. G-K21 S I I 4P· La forma dell'infinito hifil è contratta (G-Kz8 § 5 3q). 4· La prima parola del v. 5 appartiene poeticamente di certo ancora al v. 4 (Gese, op. cit. [sotto, bibl ], 6 1 ). 5 · Letteralmente: «Aprire (il sacco o simili del) grano». 6. Il v. 6b è un'aggiunta che stilisticamente esce dallo schema perché non presenta né infiniti (come i vv. 4b. s b.6a) né proposizioni finali (come il v. sa). 7· Per la lezione originale cfr. il versetto parallelo 9,5 e BHS. 8. Il verbo, che viene a trovarsi fuori misura, manca ancora in G e anche nel versetto parallelo di 9, 5 . .

Am. 8,J -I4 10

Allora tramuterò le vostre feste in lutto e tutti i vostri canti in lamenti funebri; rivestirò di sacco tutti i fianchi e su ogni testa una rasatura; lo farò diventare come il lutto per il figlio unico e quello che segue come un giorno amaro.

Ecco, vengono giorni, oracolo del Signore ]ahvé , quando manderò la fame nel paese, non la fame di pane né la sete di acqua, ma di sentire le parole 9 di]ahvé. 1 2 Allora barcolleranno da mare a mare vagheranno in qua e in là dal settentrione all'oriente, per cercare la parola di Jahvé, ma non la troveranno.

11

1 3 Quel giorno

14

le belle vergini cadranno svenute e gli uomini giovani per la sete, essi che giurano per Ashima 10 di Samaria e dicono: « Com 'è vero che il tuo dio vive, Dan!» e: « Com 'è vero che la Potenza 10 di Beer-Sheba vive!» Essi cadranno e non si rialzeranno più.

H. Gese, Amos 8,4-8: Der kosmische Frevel handlerischer Habgier, in V. Fritz - K.-F. Pohlmann - H.-C. Schmitt (edd.), Prophet und Prophetenbuch, Fs. O. Kaiser (BZAW 1 8 5), 1 989, 5 9-72; J. Jeremias, Am. 8,4-7 - ein Kommentar zu 2,6 f, in Hosea und Amos, 2 3 1 -243 ; G. Fleischer, Menschenverkiiufer, 1 74-200.

Am. 8,3 - 1 4 offre un'interpretazione di 8 , 1 s., vuole cioè ren­ dere comprensibile per i lettori l'enigmaticamente breve e du­ ra sentenza della quarta visione («la fine ha raggiunto il mio po­ polo Israele» o «è arrivata la fine per il mio popolo Israele»): lo fa mediante una nuova e particolareggiata dimostrazione di colpevolezza (vv 4-7. 1 4) e la descrizione della «fine» letale (vv 3. 8- 1 4). A differenza della narrazione di 7, 1 0- 1 7, nel testo in esame non viene ripresa la terminologia della visione stessa, bensì vengono citate precedenti parole di Amos (che ogni let­ tore attento non avrà difficoltà a riconoscere), combinate in .

.

9· La maggior parte delle versioni antiche legge il singolare, per armonizzazione con il v. 1 2. 10. V. il commento.

188

Am. B,J -14

parte anche con altre parole di Amos, comunque rivisitate e let­ te in un senso che va oltre quello originale. I tradenti di Amos avevano già applicato un procedimento simile in 6,8 - I I ; ma 8 ,3 - I 4 appartiene a un'epoca sensibilmente più tarda {le parti più antiche datano, probabilmente, dal tempo di Geremia; quelle più recenti sono esili che o postesiliche) . Ciò si rileva an­ cor prima di considerare il contenuto perché in quasi tutte le pericopi (a eccezione del v. 8 e dei più recenti vv. I I s. che ci­ tano la serie di piaghe di 4,6 ss.) le citazioni delle parole di Amos più antiche seguono un ordine artificiale, alludendo per primi a quei versetti che nel detto originale occupano invece la se­ conda o terza posizione: insomma, l'ordine dei pensieri viene invertito. Ai vv. 3 e 7 che servono a inquadrare l'accusa (vv. 46), si cita prima 6,9 s. e poi 6,8; anche nei vv. 4-6 si cita prima 2.,7 e poi 2,6; nei vv. 9 s. e I 3 s. (che alludono entrambi a Am. 5 ) si cita dapprima (vv. 9 s.) 5 , I 6 s. I 8-2.o e poi (8, I 3 s.) 5 ,2.. C'è ancora un ulteriore indizio formale che suggerisce una età avanzata. A m. 8,3 - I 4 è caratterizzato da una quantità di for­ mule tipiche (Rahmenformeln) che articolano il testo, formule che nei capitoli precedenti sono usate con grande parsimonia e delle quali si fa invece uso abbondante nel periodo più tardo della profezia. Due di queste formule tipiche vengono nuova­ mente riprese nella parte più recente del libro di Amos (9, I I 1 5 ) con riferimento a 8 , I I . I 3 . La formula allargata dell' oraco­ lo divino («oracolo del Signore J ahvé») si trova soltanto due volte nel resto del libro di Amos (3 , I 3 ; 4, 5 ), ma in 8,3 - I 4 è pre­ sente ben tre volte (vv. 3 ·9· I I ); lo stesso vale per la ricorrente formula tipica «in quel giorno» (prima solo in 2., I 6; dopo in 9, I I ; qui in 8,3 .9· 1 3 ); a questa si aggiunge la formula piena nel v. I 1 «ecco, vengono giorni» che prima compare soltanto in 4, 2. (e più avanti solo in 9, 1 3). In questa maniera i vv. 9 s. I I s. I 3 s. sono formalmente distinti con chiarezza dai vv. 3 -8 (e dai vv. 3 .4-7.8). Si tratta, come verrà mostrato, di successive aggiunte ai vv . 3 -8. 11

1 1.

Cfr. Weiser, Prophetie, 2 6 ss.; Willi-Plein, Schriftexegese, 49; Jeremias, op. cit.

Am. 8,J -I4

3· Il v. 3 è un versetto di raccordo tra il racconto della visione

la sua interpretazione, formulato formalmente (perfetto con­ secutivo e persino forma maschile con un soggetto femminile) sulla falsariga dell'analogo versetto di passaggio dopo la terza visione (7,9); usa una formula tipica («in quel giorno»; cfr. vv. 9· I J; 9, I I ) che negli scritti profetici viene impiegata molto fre­ quentemente nelle aggiunte a testi più antichi. 13 Questo verset­ to imposta due temi da sviluppare in seguito: il primo, l'ammu­ tolirsi d'ogni allegrezza e la sua trasformazione in lamento, per­ sino nell'ambito della reggia, il luogo per eccellenza dove si ce­ lebrano feste, un preludio della temati ca del v. I oa; il secondo, con la ripresa di idee di 6, I o, i mucchi di cadaveri gettati lì, do­ ve capita, perché mancano i necrofori - il verbo «gettare» po­ trebbe voler illustrare il destino delle donne di Samaria (4,3 ) ­ e l'inutile tentativo di proteggersi dalla mortifera vicinanza di Dio col silenzio, come si deve fare durante il culto in conside­ razione della presenza del Santo (v. sopra, a 6, I o), un preludio dei vv. 1 ob e 13 s. Il v. 3 è unito ai vv. 4- 8, in particolare al v. 7, mediante il comune riferimento a 6, I o; il v. 7 riprende in ma­ niera evidente anche 6,8. e

8,4-7 (8). L'eliminazione dei

12

p o ve ri . La natura di commento

dei vv. 4 ss. è chiara fin dall'introduzione. Infatti l'invito «ascol­ tate questo» non riguarda ciò che segue, poiché i vv. 4-6 con­ tengono soltanto una più precisa caratterizzazione degli ascol­ tatori o lettori cui è rivolto, col vocativo, l'appello, o, ancora meglio, vogliono mettere a nudo le loro segrete intenzioni; es­ so riguarda invece ciò che precede, la «fine di Israele» (v. 2) e i mucchi di cadaveri (v. 3 ). Perciò anche il giuramento divino (v. 7) non è seguito {come avviene di solito in Amos) da un annun­ cio del castigo (cfr. 4,2; 6,8 ), bensì soltanto dall'assicurazione I 2. Per il contenuto la menzione della reggia coincide solo approssimativamente con

la menzione (unica nel libro di Amos) della «casa di Geroboamo» in 7,9; cfr. Weiser,

op. cit. (sopra, n. 1 1 ), 2 5 . 1 3 . Cfr. P.A. Munch, The Expression Bajjom Hahu ', Osio 1 936.

Am. 8,) -14 che Dio ha sempre presenti davanti ai suoi occhi le azioni dei colpevoli. La punizione è stata già da molto tempo {vv. 2 e 3) annunciata in tutta la sua immensa severità. Il v. 4 non ha mai introdotto un oracolo a sé stante, bensì i vv. 4 ss. vogliono, in quanto testo scritto, far capire bene a lettori futuri l'inesorabi­ le definitività della quarta visione, esponendo una colpevolez­ za di dimensioni così enormi da rendere già a priori impossi­ bile un perdono come quello che Amos aveva implorato da Dio nelle prime visioni (7, r -6). In che consiste questa colpa? A differenza di tutti gli altri testi del libro di Amos che con­ tengono accuse, nei vv. 4-6 non si nominano principalmente azioni compiute dai colpevoli (a eccezione dell'inizio il v. 4a con il participio citato da 2,7), bensì progetti e i propositi più reconditi. Nel testo ebraico si usa, per esprimere tali intenzio­ ni nascoste, una lunga e ininterrotta serie di infiniti che giunge fino al v. 6 e che non è possibile imitare nella nostra traduzio­ ne. All'inizio (v. 4a) e alla fine {v. 6) di questa serie vengono citati 14 (con minime variazioni) A m. 2,7 e 2,6, mentre i verset­ ti centrali {vv. 4b- 5 ), che sono così incorniciati, introducono nel libro di Amos una tematica affatto nuova {la truffa in com­ mercio) che serve per spiegare i termini ripresi nelle citazioni. In questa organizzazione del testo si esprime sostanzialmente il fatto che i vv. 4-6 vanno considerati un'unità letteraria coesa e inseparabile e non la somma di diverse singole azioni come nel più antico testo che è servito da fonte (2,6-8). 4-6. Di conseguenza l'interesse dei vv. 4-6 è totalmente diver­ so da quello del più antico testo di A m. 2,6- 8. Questo voleva .

1 4 . Il carattere di citazione risulta chiaramente, in entrambi i versetti, soprattutto per­

ché non solo 2,7 e 2,6 vengono ripresi alla lettera (il particolare più evidente è la gra­ fia insolita del primo verbo del v. 4), ma anche perché i termini ebraici ripresi per in­ dicare i poveri ( 2 volte 'ebjon; 'anawim, dallim) vengono riprodotti in parte in una nuova collocazione, ma sempre esattamente nel caso usato nel testo citato, così che in 8,4 e 8,6 si corrispondono nel parallelismus membrorum, in maniera molto insolita, un singolare e un plurale. Inoltre in 8,6 viene mantenuta la differenziazione delle pre­ posizioni di 2,6 che però risulta sostanzialmente insignificante.

Am. 8,J -I4

dimostrare, per mezzo di esempi, con accuse che riguardavano diversi ambiti della vita, quanto maggiore fosse la colpa d'Israe­ le rispetto a quella dei popoli vicini che pure si comportavano in maniera tanto riprovevole. Am. 8,4-6 motiva la «fine d'Israe­ le» con un'unica, ma gravissima colpa. Questa colpa viene no­ minata al v. 4b con un abile gioco di parole col sabato (lasbit, «preparare una fine, eliminare») in quello stico che è un po' una soprascritta e ne svela i tratti essenziali, prima che i vv. 5 s. ne espongano le manifestazioni particolari. Per quanto riguar­ da il ricorso alla violenza (citato da 2,7) nei confronti dei «po­ veri» (che all'inizio [v. 4a] e alla fine [v. 6] vengono nominati al singolare in quanto categoria primaria), per il v. 4b si tratta di una eliminazione pianificata dell'esistenza autonoma dei pic­ coli agricoltori e degli artigiani. Quando essi vengono chiama­ ti «bisognosi» ('anawim), i lettori di un'epoca successiva col­ gono l'eco del linguaggio dei salmi: i «bisognosi» sono parti­ colarmente vicini a Dio, possono contare sul suo aiuto perché non sono in grado di aiutarsi da soli (cfr. Ps. 22,2 5 . 27; 34,3 ; 3 7, I 1; 69,3 3, ecc.). I mezzi con sui si procede a questa privazione delle possibilità di esistere sono nominati al v. 5 , dove la for­ mulazione non dipende da A m. 2,6 s. Qui si riprende un tema sapienziale tradizionale, la falsificazione degli strumenti di mi­ surazione (cfr. Prov. I 1 ; 1 ; 1 6, 1 1; 20, I0.2J, ecc.) r s e lo si espo­ ne subito in tre variazioni (a. diminuzione delle misure di ca­ pacità usate nella vendita di derrate: I efa l 4o ca. ; b. maggio­ razione delle pietre usate per pesare l'argento: 1 siclo g I r , 5 ca.; le monete furono introdotte solo a partire dall'epoca per­ siana; c. manipolazione della bilancia piegando ne il giogo), col­ legandolo anche con la tematica della santificazione delle feste: per gli avidi mercanti, incapaci di godere del riposo e della gioia dei giorni festivi, il novilunio (cfr. 1 Sam. 20, 5; 2 Reg. 4, 23; Os. 2, 1 3 ; /s. r , I J , ecc.), il cui carattere festivo non è noto nei particolari, significa solo un giorno al mese di mancato gua=

=

15.

Cfr. le attestazioni in Wolff, ad loc.

e

in Heimat, 42 s.

Am. 8,J -I4

dagno che va ad aggiungersi al sabato, a quell'altro giorno in cui, ogni settimana, non si batte cassa, perché in esso è vietato portare qualsiasi genere di peso (/er. I 7,2 I ss.) ed esercitare qualsiasi commercio (Nehem. I J , I 5 ss.).1 6 Prescindendo dalla letteratura sapienziale, questo genere di truffa in commercio viene combattuta aspramente soprattutto al tempo di Geremia (Deut. 2 5 , I J - I 5 ; Mich. 6,9 ss.}, tempo dal quale è molto pro­ babile che provenga anche il nostro testo. In A m. 8,4-6 questa truffa è tuttavia soltanto un mezzo per raggiungere un fine che il v. 6 menziona, riprendendo e variando 2,6.17 L' «elimina­ zione dei bisognosi» (v. 4b) avviene con questo meccanismo: coloro che nel commercio fraudolento sono andati in rovina per il denaro che è stato loro sottratto con (b strumentale} la truffa commerciale, non appena sono insolvibili anche di poco («per un paio di sandali»}, 18 diventano economicamente dipen­ denti del commerciante al quale devono o prestare un servizio o versare somme di denaro. Inoltre essi vengono «comprati» da costoro. Questa importantissima variazione rispetto all'ori­ ginale di 2,6 («venduti») mostra che in 8,6 non si tratta più del problema della schiavitù per debiti in senso tecnico, bensì che si è in presenza di un uso linguistico traslato. Anche l' occasio­ ne dell'acquisto (in 2,6 vengono venduti «innocenti») non ha più alcun ruolo se i mezzi che permettono la «compera» sono misure, pesi e bilance falsificate. 19 Anche se si potrebbe avere 16. Recentemente è stata avanzata e sostenuta la tesi che al tempo di Amos il sabato avrebbe avuto il carattere di una festa mensile del novilunio; cfr. Fleischer, op. cit. , 1 90 ss. con bibl. 1 7. Quando Gese, op. cit., 62. considera il v. 6a una glossa, toglie all'argomentazione dei vv. 4-7 il punto culminante, la conclusione. 1 8. R. Kessler, Die angeblichen Kornhandler v on Am. VIII 4-7: VT 39 ( 1 989) I J -2.2., si domanda ( 20 ) se il paio di sandali potrebbe essere menzionato in quanto pegno per un prestito. 1 9. Wolff, ad loc. vede nei vv. 5 e 6 due rimproveri distinti e Rudolph, ad loc. vede in questi due versetti addirittura diverse categorie di persone all'opera (commercianti di derrate e mercanti di schiavi): queste posizioni cozzano però con la sintassi del ver­ setto, che non viene tenuta in debito conto. Vi sono tuttavia anche motivi oggettivi che non consentono una simile separazione; cfr. in particolare R. Kessler, op. cit. e

Am. 8,J -I4

1 93

l'impressione che Am. 2,6-8 esprima con maggiore forza il di­ sprezzo per gli uomini, la maggiore intensità di 8,4-6 rispetto al testo più antico andrebbe vista nella serie dei numerosi infi­ niti che mettono a nudo una strategia pianificata e graduale, me­ diante la quale uomini diventano per altri uomini una merce di­ sponibile per aumentare ulteriormente la propria ricchezza. 7· Il peso della colpa viene reso ancora più pesante, come più non si può, mediante il solenne giuramento di Dio: esso è la garanzia che Dio terrà sempre presente la colpa, cioè che le ri­ percussioni di questa colpa ricadranno sui responsabili (cfr. /s. 22, 14).20 Estremamente insolito, anzi singolare in questo ver­ setto è che Dio non giuri - come in tutti gli altri casi nei libri profetici - per se stesso o per la propria santità, per il suo nome, per la sua destra, ecc., bensì per il ga 'on di Giacobbe. Questa peculiarità non è comprensibile senza fare riferimento a 6,8 . An­ che qui Jahvé giura, ma giura per la sua vita, davanti al ga'on di Giacobbe, che qui significa l' «arroganza» d'Israele che Jah­ vé «odia» e «aborre». Per questa «arroganza» Jahvé non può giurare come per se stesso, come fa negli altri casi, anche se di­ versi esegeti, a cominciare da J. Wellhausen, hanno cercato una simile spiegazione. Piuttosto nell'espressione «ga 'on di Gia­ cobbe» si ha un gioco di parole, giacché fuori del libro di Amos il termine denota la «sovranità di Giacobbe», cioè il paese di Israele (Ps. 47, 5 ; Nah. 2,3 ), che a sua volta è manifestazione del­ la «sovranità di Dio», cioè del suo regno.21 In questa maniera nasce una profonda ironia, che certamente appare anche molto prima ancora M. Krause, Soziale Kritik, 1 972 , 3 3 -3 9; B. Lang, Sklaven und Unfreie 3 1 ( 1 98 1 ) 482-488. - Quest'ultimo menziona un interessante pa­ rallelo da un testo di Alalab nel quale viene usato parimenti il verbo 4> è il tempo di Dio, si allude cioè al tempo ideale dell'inizio di Dio con la dinastia di Davide (cfr. 2 Sam. 7), prima che la colpa dei re rendesse vani i piani di Dio. Tut­ tavia nel v. I 2 non si mira al primitivo rapporto di Davide con Dio (cfr., ad es., /s. I I , I s.), come ci si aspetterebbe in base al v. 8 , bensì all'ambito della sovranità dei davididi: e ciò avviene con un singolare passaggio stilistico dalla poesia alla prosa e dalla 3 pers. sg. femm. alla 3 pers. p l. masch. senza che venga menzionato alcun nuovo soggetto. A questa frattura stilistica e allo spostamento della tematica si aggiunge ancora un elemen­ to sostanziale che prova come il v. 1 2 sia meno antico del v. I I . Il v. I 2 ha evidentemente davanti agli occhi i popoli e i con­ fini dell'antico regno davidico, giacché Dio menziona popo­ li «sui quali viene nominato il mio nome». La proclamazione del nome indica un atto giuridico mediante il quale qualcosa passa in possesso di colui che enuncia quel nome. Ma di tut­ te queste popolazioni è menzionato per nome soltanto Edom, il popolo fratello, che in occasione della distruzione di Geru­ salemme e subito dopo questa catastrofe si era comportato in maniera estremamente ostile nei riguardi di Giuda per trarre il maggiore vantaggio possibile dalla situazione (occupazione di tutta la parte meridionale del regno di Giuda). Tuttavia si parla, con una terminologia che ricorre soltanto qui, del «resto a

a

20

20.

Cfr. K. Galling, Die Ausrufung des Namens als Rechtsakt in lsrael: ThLZ 8 1 ( 1956)

6s -7o.

Am. 9,7-11

2 I9

di Edom» e questa espressione non può che significare che an­ che Edom, a sua volta, aveva nel frattempo subito la perdita di larghe parti di territorio, come effettivamente avvenne a parti­ re dal v sec. a.C. in seguito all'immigrazione di tribù arabe/ 1 Nel testo più antico la promessa termina solennemente con un impegno di J ahvé («colui che farà questo»), forse scelto in con­ trasto con la minaccia di 4, 1 2 («perché io ti farò questo»). 1 3. La sezione finale guarda, con la formula introduttiva di

8,

I I, al lontano futuro. In questo futuro, come conseguenza del­ la monarchia voluta da Dio e giusta, non cambierà né si com­ pirà (vv . 14 s.) soltanto il destino dell'uomo, ma anche quello della natura (v. I 3). Il nesso tra monarchia giusta e natura fer­ tile è ampiamente attestato nell'Oriente antico; 22 nell'Antico Testamento questa concezione può essere colta nella maniera più chiara in Ps. 72. A tale proposito il cambiamento della na­ tura è costantemente riferito agli uomini; in A m. 9,1 3 l' ammor­ bidimento delle montagne serve soltanto, come mostra l' affer­ mazione parallela, ad aprire anche le ultimi superfici brulle del paese alla fertilità traboccante, che renderà possibile una ven­ demmia totalmente nuova. Probabilmente con questo crescen­ do si vuole stabilire un collegamento con la promessa di bene­ dizioni della legge di santità di Lev. 26, 5 a: «La trebbiatura vi durerà fino alla vendemmia e la vendemmia fino alla semina» . Qui si tratta «di un raccolto così abbondante che con la treb­ biatura del grano [prima della lunga siccità estiva] durerà fino alla raccolta dei frutti [dopo il lungo periodo di siccità]; questa a sua volta durerà così a lungo nella preparazione delle cantine dell'olio e del vino, che subito dopo bisognerà pensare alla nuo­ va semina» .23 Senza siccità estiva e senza il suo effetto non ci sarà più povertà (v. sotto per gli echi di /oe/ 4, I 8). 2 1 . M. Weippert, Edom und lsrael, TRE IX ( 1 982) 296. 22. Rudolph rimanda, con ragione, soprattutto a L. Diirr, Ursprung ... der Heilands­ erwartung, 1 92 5 . 2 3 . M. Noth, Levitico, Brescia 1 989, 249 s. I n Am. 9,1 3 nel primo stico l'immagine è

220 14- 1 5. Nel testo più antico il v. I 4 seguiva immediatamente il

I I (con la formula conclusiva del v. I 2b). Entrambi i verset­ ti sono molto cauti nelle loro attese della salvezza, entrambi par­ lano della ricostruzione di ciò che era stato distrutto, entrambi dichiarano all'inizio, programmacicamente, il proprio tema {ri­ costruzione della capanna di Davide o svolta del destino del popolo di Dio) passando poi a svilupparne il contenuto. A dif­ ferenza del v. I J , nei vv. 1 4 s. non si tratta ancora di disegnare -un tempo della salvezza che andrà oltre tutte le esperienze de­ .gli uomini fino a quel momento, bensì del mutamento fonda­ mentale nel destino del popolo di Dio dalla disgrazia alla sal­ vezza. Per questa svolta la teologia postesilica ha coniato un ter­ mine tecnico (alla lettera: «girare la svolta»; la maggior parte delle versioni antiche traduce: «Rigirare la prigionia») 24 che non significa la restituzione della condizione precedente (così la maggior parte dei commentatori), bensì una restitutio in in­ tegrum nel senso che il vero disegno di Jahvé con Israele final­ mente può essere attuato. Lo scopo che Dio si prefigge con Israele non è la distruzione di città e campagne, che caratteriz­ za la situazione reale al tempo della composizione dei versetti e che vengono spiegate ai lettori come adempimento della pa­ rola di giudizio di Amos. Piuttosto Dio renderà possibile an­ cora una volta una vita quotidiana normale e tranquilla nella quale a un'azione assennata corrisponde il risultato che ci si at­ tendeva (cfr. /s. 6 5 ,2 1 s.). Queste moderate dichiarazioni di spe­ ranza possono essere veramente capite nella loro vera inten­ zione soltanto se vengono lette sullo sfondo di A m. 5 , I I come revoca della maledizione divina (alla quale poté collegarsi sen­ za soluzione di continuità la più recente descrizione del tem­ po della benedizione al v. I 3). - Il v. I 5 riprende dall'idea della v.

analoga in quanto tra l, aratura dopo la prima pioggia di autunno (a ottobre) e la mie­ titura precedente (aprile-maggio) c'è la lunga estate arida; il secondo stico è identico a Lev. 25,5· 2 4 . Cfr. l'equilibrata discussione della letteratura in HAL IV, 1 990, 1 2 89 s. - Forse il verbo Iub allude qui antiteticamente al medesimo verbo in 2,4.6: «A motivo dei ... mi­ lfatti di Giuda/Israele non posso revocarlo (il castigo)» (Coote, Amos, 1 1 2).

22. 1

Am. 9,7-15

piantagione, ricollegandosi a Os. 2,2 5 ; 1 4,6-9; Ier. 2,2 I, ecc., una nuova sfumatura che va ancora oltre l'immagine corrente: non vengono «piantati» soltanto vigneti, bensì lo stesso popo­ lo di Dio viene «piantato». Il fine della metafora sta nella qua­ lità permanente e sicura della svolta verso la salvezza. Il forte «non più» («così che non verranno più sradicati dal suolo») costituisce qui l'antitesi del «non più» della terza e della quar­ ta visione («non posso più passargli sopra [risparmiandolo] » : 7,8; 8,2), mentre l'immagine dello «strappare, sradicare» s i col­ loca nella tradizione delle metafore di Geremia (ler. I , I o; 24,6, ecc.). Il versetto si chiude solennemente - e con esso l'intero li­ bro di Amos - col ricordo del dono della terra, che ancora una volta viene promessa con un deciso impegno di Dio in tal sen­ so di quel Dio che viene definito, col linguaggio rassicurante che si richiama al rapporto individuale di fiducia, «tuo Dio» . Il discorso è diretto alla comunità alla quale (a differenza dello stato colpevole che viene «spazzato via dalla superficie della ter­ ra»: v. 8) è ora concesso di sapere che l'esilio rimarrà un'espe­ rienza unica e irripetibile. Per l'analoga promessa di Dio in /s. 5 4,7 ss. si cita l'impegno assunto da Dio medesimo in Gen. 8 -9: nonostante la perdurante colpevolezza degli uomini non ci sa­ rà più alcun diluvio. Dio limita ulteriormente a favore del suo popolo le proprie possibilità di punire. Da quel momento il popolo, piegandosi sotto la severità delle parole di Amos (vv 8- I o), può contare con certezza sul «non più» della revoca del disegno salvifico di Dio. .

Diversamente dai vv I 1 . 1 4 s., i vv I 2. I J (già esaminati) che intensificano le promesse dei versetti più antichi hanno presente non solo tutto quanto il libro di Amos (e anche quel­ lo un po' più antico di Osea, come mostrano le numerose al­ lusioni dei tradenti), 25 bensì anche il libro dei dodici profeti, co­ me ha recentemente dimostrato con argomenti convincenti J. Nogalski.26 Il v. 1 2 riprende il tema del libriccino di Abdia e 1.1- I J .

2 S . Cfr. t•introduzione.

.

26. J. Nogalski, op. cit. ,

.

104

ss.

222

Am. 9,7-15

fa da ponte verso di esso, mentre il v. I 3 lancia il suo ponte al­ l'indietro, verso /oel 4, I 8, costituendo così, allo stesso tempo, un'inclusione con l'inizio del libro, dove A m. I ,2 allude a Ioel 4 , 1 6. Senza che si debba entrare qui nella difficile questione della priorità dei contatti è comunque chiaro che i riferimenti intendono impedire al lettore del libro di Amos di affrontare la lettura del libro in isolamento. Invece si fa credito al lettore di una certa resistenza per poter considerare il libro di Amos insieme agli altri scritti del libro dei dodici profeti. Il lettore deve affrontare la lettura del libro di Amòs con la serietà di 9,9 s., che fa dipendere dalla lettura del libro la salvezza o la per­ dizione del singolo lettore; il quale deve però sapere anche che la testimonianza di Amos costituisce un tutt'uno con le altre testimonianze del libro dei dodici profeti. Solo nel rapporto reciproco e nell'unione tra di loro le voci di questi testimoni costituiscono la parola del Dio d'Israele sul futuro.

ABBREVIAZIONI E SIGLE

Antico Testamento Genesis Exodus Leviticus Numeri Deuteronomium Iosue Iudices Ruth 1 -1 Samuelis (= LXX 1 -1 Regnorum; Vg. 1 - 2 Regum) 1 -1 Regum ( = LXX 3-4 Re­ 1 -1 Reg. gnorum; Vg. 3 -4 Regum) 1 -2 Chron. Chronica (; LXX 1 -2 Par.) 1 -3 Esdr. 1 -3 Esdrae ( Vg. 3 Esdr. [a­ pocr.], Esdr. I+II [= T.M. Esdr. capp. I - I o; Nehem. capp. I 1 -2 3]) Tobias Tob. Iudith Iudith Esther Est h. Iob lob Psalmi Ps. Proverbi a Prov. Ecclesiastes (hebr. Qohelet) Ecci. Canticum Canticorum Cant. Gen. Ex. Lev. Num. Deut. los. Iud. Ruth 1 -1 Sam.

=

Sapientia Salomonis Ecclesiasticus (LXX Sir.) Isaias leremias Baruch Lamentationes Epistula Ieremiae (Vg. Bar. cap. 6) Daniel (Vg. cap. 1 3 = Susanna 14 Bel et Draco) Ezechiel Ezech. Daniel D an. Mal. Malachias Os. Oseas A m. Amos Mieh. Michaeas loel Ioel Abd. Abdias Io n. lonas Nahum Nah. Abac. Abacuc Sophonias Sop h. Aggaeus Ag. Zacharias Zach. 1-4 Mach. 1 -4 Machabaeorum (3-4 apocr.) Sap. Ecclus ls. ler. Bar. Lam. Ep. Ier.

=

Nuovo Testamento M t. Mc. Le. Io. A et.

Evangelium Matthaei Evangelium Marci Evangelium Lucae Evangelium Ioannis Actus Apostolorum

Rom. . 1 -1 Cor. Gal. Eph. P hil.

Epistula ad Romanos Epistulae ad Corinthios 1 -1 Epistula ad Galatas Epistula ad Ephesios Epistula ad Philippenses

224 Col .

1-2 Thess.

1 -2 Tim. Ti t. Phi lm.

Abbreviazioni e sigle Epistula ad Colossenses Epistulae ad Thessalonicen-

ses 1 -2 E pistulae ad Timotheum 1 -2 Epistula ad Titum Epistula ad Philemonem

Hebr. lac. 1-2 Petr. 1 - 3 Io.

Iudae Apoc.

Epistula ad Hehraeos

Epistula Iacobi Epistulae Petri 1 -2 Epistulae Ioannis 1 -3 Epistula Iudae Apocalypsis Ioannis

Testimoni testuali T.M. G T s

v

A

:E 8 E

Testo Masoretico (ebraico) Septuaginta (greco) Targum (aramaico) Peshitta (siriaco) Vulgata {latino) Aquila (greco) Simmaco (greco) Teodozione (greco) Quinta (greco)

L

I QH IQS

Vrs.

Vetus Latina (latino) Inni di Qumran, grotta (ebraico) Re gola della comunità

l

di Qumran, grotta 1 (ebraico) Le versioni (a indicare nel loro insieme le traduzioni antiche dell'A.T.)

Edizioni critiche BHK BHS Ziegler

Biblia Hebraica, ed R. Kittel, Stuttgart J 193 3 (Liber XII Prophetarum, a cura di O. Procksch) Biblia Hebraica Stuttgartensia, ed. K. Elliger e W. Rudolph, Stuttgart 1970 (Liber XII Prophetarum, a cura di K. Elliger)

Duodecim prophetae. Septuaginta, Vetus Testamentum Graece, auctorita­ te Soc. Litt. Gott., ed. J. Ziegler, vol. XIII, Gottingen 2 1 967

Commenti al libro dei Dodici Profeti {l'anno di

pubblicazione è quello del commento ad Amos)

AncB: F.l. Andersen - D.N. Freedman, 1 989; ATD: A. Weiser, 8 1 98 5 ; BAT: H. Frey, ' 1988; BK: H.W. Wolff, 3 1 9 8 5 ; CAT: S. Amsler, 1 1 982; CBC: H. McKeating, 1 97 1 ; COT: C. van Gelderen, 193 3 ; EB: F . Notscher, 1 948; EtB: A. van Hoonacker, 1 908; EzAT: O. Procksch, 11929; HAT: Th.H. Robinson, J 1 964; Hermeneia: S.M. Paul, 1 99 1 ; HK: W. Nowack, 3 1 922; HSAT: J. Theis, 193 7; ICC: W.R. Harper, 190 5 ; KAT: E. Sellin, 1·3 1 929-30; W. Rudolph, 1 971; KeH: F. Hitzig, � 1 8 8 1 ; KHC: K. Marti, 1 904; NEB: A. Deissler, 198 1 ; OTGu: A.G. Auld, 1 986; OTL: J.L. Mays, 1 969; SAT: H. Gressmann, 2 1 92 1 ; SB(F): G. Rinaldi, 1 9 5 2; SB(C): M. Delcor, 1 96 1 ; WBC: Stuart, 1987; fuori collana: J. Wellhausen, Die kleinen Propheten, 4 1 963; B. Duhm, Die Zwolf Propheten, in den Versmassen der Urschrift ubersetzt, 1 910; B. Duhm, Anmerkungen zu den Zwolf Propheten, 191 1 .

Singoli commenti ad Amos R.S. Cripps, A Criticai and Exegetical Commentary on the Book of Amos, London 1 9 5 5 ; E.H. Hammershaimb, The Book of Amos, Oxford 1 970; J.H. Hayes, Amos, Nashville 1 98 8; R. Martin-Achard - S.P. Re'emi, God's People in Crisis. A Comment­ ary on the Book of Amos and on the Book of Lamentations, Edinburgh 1 984; G.V. Smith, Amos, Grand Rapids 1 989; N.H. Snaith, The Book of Amos r-2 , London 1 94 5 46; J . A . Soggin, Il profeta Amos. Traduzione e commento, Brescia I 982 { tr. ingl. Lon­ don 1 987); J.M. Ward, Amos and lsaiah, Nashville 1 969.

Opere citate in forma abbreviata Barstad, Polemics Banhélemy, Critique Bjerndalen, Rede BRL/BRL1 Br., Synt. Coote , A mos Dalman, Arbeit Ehrlich, Randglossen v

H.M. Barstad, The Religious Polemics of Amos (VT Suppl. 34}, Leiden 1 984 D. Barthélemy, Critique textuelle de l'Ancien Testament III: Ezéchiel, Daniel et les 12 Prophètes (OBO so- s 3 }, Got­ tingen, Fribourg 1992 A.J. Bjerndalen, Untersuchungen zur Allegorischen Rede der Propheten Amos und ]esaja (BZAW 165}, Berlin - New York 1 986 K. Galling (ed.; la edizione}, Biblisches Reallexikon (HAT I, 1), Tiibingen 1937, 1 1 977 C. Brockelmann, Hebraische Syntax, Neukirchen 1 956 R.B . Coote, Amos among the Prophets, Philadelphia 198 I G. Dalman, Arbeit und Sitte in Palastina I-VII, Giitersloh 1 928- 1 942 Hildesheim 1 964 A.B. Ehrlich, Randglossen zur hebraischen Bibel, vol. v. Ezechiel und die kleinen Propheten, Leipzig 1 9 1 2 Hildes­ heim 1968 M. Fendler, Zur Sozialkritik des Amos: EvTh 3 3 { 1 973} 3 2=

=

Fendler, Sozialkritik

53

R. Fey, Amos und ]esaja. Abhi:ingigkeit und Eigenstiin digkeit des ]esaja {WMANT 1 2 }, NeukirchenfVluyn 1 963 Fleischer, Menschenverki:iufer G. Fleischer, Von Menschenverkaufern, BaschankuFey, Amos und ]esaja

Gese, Komposition Ges.-B.

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226 HAL

Jeremias, Kultprophetie

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1970

Jeremias, Hosea und Amos J. Jeremias, Hosea und Amos (FAT I J), Tiibingen I99 5 P. Joiion, Grammaire de l'Hébreu biblique, Roma I 923 Joiion, Gr

=

1 96s

KAI Koch, Amos Krause, Soziale Kritik

Donner - W. Rollig, Kanaaniiische und aramiiische In­ I - I I I , Wiesbaden I 962-1 964 K. Koch (e a.), Amos, untersucht mit den Mitteln struktu­ raler Formgeschichte, 3 tomi (AOAT 30), Kevelaer-Neukir­ chenfVluyn I 976 M. Krause, Das Verhaltnis von sozialer Kritik und kommen­ H.

schriften

der Katastrophe in den Unheilsprophezeiungen des Amos (diss. teol.), Hamburg 1 972 V. Maag, Text, Wortschatz und Begriffswelt des Buches Maag, Text Amos, Leiden I 9 5 1 L. Markert, Struktur und Bezeichnung des Scheltworts. Ei­ Markert, Scheltwort ne gattungskritische Studie anhand des Amosbuches (BZAW 1 40), Berlin - New York I 977 R.F. Melugin, The Formation of Amos. An Analysis of Ex­ Melugin, Amos egetical Method, in P. Achtemeier (ed.), SBL Seminar Pa­ pers, Missoula 1978, 369-3 92 H. Graf Reventlow, Das Amt des Propheten bei Amos Reventlow, Amt (FRLANT So), Gottingen 1962 Schmidt, Dtr Redaktion W.H. Schmidt, Die deuteronomistische Redaktion des Amos­ buches: ZAW 77 ( 1 965) 1 68- 1 93 K. Galling (ed.), Textbuch zur Geschichte Israels, Tiibin­ TGP gen 1 1 968 de Vaux, Istituzioni R. de Vaux, Le Istituzioni dell'Antico Testamento, Casale Monf. I 964 Vermeylen, Isai"e J. Vermeylen, Du prophète Isafe à l'apocalyptique n {EtB), Paris 1978 J. Vollmer, Geschichtliche Ruckblicke und Motive in der Vollmer, Ruckblicke Prophetie des Amos, Hosea und ]esaja (BZAW 1 1 9), Berlin 1 97I P. Weimar, Der Schluss des Amos-Buches. Ein Beitrag zur Weimar, Schluss Redaktionsgeschichte des Amos-Buches: BN I6 ( 198 1 ) 6o100 Weippert, Amos H. Weippert, Amos - seine Bi/der und ihr Milieu, in H. Weippert - K. Seybold - M. Weippert, Beitrage zur prophe­ tischen Bildsprache in lsrael und Assyrien (OBO 64), Got­ tingen-Fribourg 1 9 8 s , 1 -29

Abbreviazioni e sigle

2 27

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des Alten Testaments. Untersuchungen zum literarischen Werden der auf Amos, Hosea und Micha zuruckgehenden Bucher im hebr. Zwolfprophetenbuch {BZAW 1 23), Berlin

Wolff, Heimat Wiirthwein, Studien

- New York 1 971 H.W. Wolff, Amos ' geistige Heimat {WMANT 1 8), Neu­ kirchen r 964 E. Wiirthwein, Amos-Studien, in E. Wiirthwein, Wort und Existenz, Gottingen 1970, 68- u o (= ZAW 62 [1 950] 1 0- 5 2)

INDICE GENERALE

Premessa . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

7

Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

9

Soprascritta e motivo tematico ( I , I -2) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

23

Parte prima. Gli oracoli contro le nazioni ( 1 ,3 -2, 1 6) . . . . . . . . . . . .

29

La colpa dei popoli confinanti ( 1 , 3 - 2 , 3) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . (Giuda e) Israele: peggio delle nazioni (2,4 s.6- 1 6) . . . . . . . . . . . .

29 48

Parte seconda. La raccolta delle parole di Amos (capp. 3 -6) . . . . . .

65

1 . La parola d i Dio {capp. 3 -4) . . . . . . . . . . . . . . . . . I l perché del messaggio di sventura (3, I -8) . . . . . . Soprusi nella capitale Samaria {3,9-4,3 ) . . . . . . . . . Il ritorno negato {4,4- I 3 ) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 2. L a parola del profeta (capp. 5 -6) . . . . . . . . . . . . . . Morte e vita ( 5 , I - 1 7) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . I l primo guaio (il giorno di Jahvé) (5,I 8- 27) . . . . . Il s econdo guaio (l'arroganza di Samaria) (cap. 6)

. . . . . . . .

. . . . . . .

. . . . . . .

. . . . . . . ...

. . . . . . .

. . . . . . . ..

. . . . . . .

. . . . . . .

. . . . . . . ...

. . . . . . .

. . . . . . .

. 65 . 65 . 76 . 88 . I o8 . 108 . 1 29 . . . I 43

Parte terza. Le visioni (7, 1 -9,6) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 59 Le prime quattro visioni (7, 1 -8; 8, 1 -2) . . . . . . . . . Imposizione del silenzio ad Amos (7,9- 1 7) . . . . . . Scene della fine (8,J - I 4) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . La quinta visione: Dio sull'altare (9, 1 - 6 ) . . . . . . . . Uno spiraglio: la svolta verso la salvezza (9,7- 1 5) .

. . . . . . . . . . . . I 59 . . . . . . . . . . . . 1 75 . . . . . . . . . . . . 1 86

. . . . . . . . . . . . 200

. . . . . . . . . . . . 209

Abbreviazioni e sigle . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 22 3