Alla fine il nulla? Sulla risurrezione e sulla vita eterna 8839905006, 9788839905000

Gerhard Lohfink si confronta con il tema della morte e della risurrezione. La sua riflessione si sviluppa sullo sfondo m

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Alla fine il nulla? Sulla risurrezione e sulla vita eterna
 8839905006, 9788839905000

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Gerhard Lohfink si confronta con il tema della morte e della risur­ rezione. La sua riflessione si svi­ luppa sullo sfondo mutevole del­ le concezioni e delle attese del nostro tempo. Le sue risposte si basano sulla sacra Scrittura, sul­ la tradizione e sulla ragione. Con un linguaggio che non vuoi essere convenzionale e scontato, l'autore fa risplendere la forza della risur­ rezione - la risurrezione di Cristo, che diventa poi la nostra. In parti­ mostra di parlare di eventi colare, J che non si collocano in un remoto futuro; la loro prossimità a noi, anzi, è tale da superare le nostre capacità di comprensione. All'alternativa tra "il nulla" e "la ri­ surrezione dei morti" generalmen­ te noi tentiamo di sfuggire in due modi: semplicemente rimuovendo il pensiero della nostra dipartita, oppure raccontandoci una qual­ che soluzione mediana - del tipo: "alla fine si scompare nella natu­ ra", o "si sopravviv e nei discen­ denti", come dicono i più raffinati. Lohfink prende in esame proprio queste soluzioni illusorie, mostran­ do come esse non siano delle vere •

u

possibilità. Alla fine resta un vero aut aut: o la risurrezione o l'inesorabile nulla. Ne va delle grandi domande del­ l'esistenza umana. Ne va dell'idea stessa di una giustizia.

«Come si può parlare oggi della risurrezione? Rispondendo a que­ sto interrogativo, c'è una cosa di cui ho avuto sempre timore e che ho cercato di evitare in ogni pagi­ na: annoiare il lettore».

GERHARD LOHFINK,

1934,

è stato

professore di esegesi del Nuovo Testamento all'Università di Tubin­ ga (Germania). Attualmente vive e lavora come teologo nella Katholi­ sche lntegrierte Gemeinde di Bad Tolz (Baviera). Presso l'Editrice Queriniana ha pub­ blicato, fra l'altro: Le grandi opere di Dio continuano

(1996);

Il Padre

nos t r o. Una nu ova s piegazione

(2009); Pregare ci dà (2012); Gesù di Nazaret. le- chi fu (20152).

u na casa Cosa vol­

Gerhard Lohfink

ALLA FINE IL NULLA? Sulla risurrezione e sulla vita eterna

QUERINIANA

A Gerlinde Back

Titolo originale: Gerhard Lohfink,

Am Ende das Nichts? Ober Au/erstehung und Ewiges Leben © 2017 by by Verlag Herder GmbH, Freiburg im Breisgau © 2020 by Editrice Queriniana, Brescia via Ferri, 75-25123 Brescia (ltalia/UE) tel. 030 2306925- fax 030 2306932

e-mail:

[email protected]

Tutti i diritti sono riservati. È pertanto vietata la riproduzione, l'archiviazione o la trasmissione, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, comprese la fotocopia e la digitalizzazione, senza l'autorizzazione scritta dell'Editrice Queriniana. - Le fotocopie per uso personale possono essere effettuate, nei limiti del 15% di ciascun volume, dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4-5, della Legge n. 633 del22 aprile 1941. Le fotocopie effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale, o comunque per uso diverso da quello personale, possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da CLEARedi (www.clearedi.org).

ISBN 978-88-399-0500-0 Traduzione dal tedesco di VALENT!NO MARALDI

www.queriniana.it Stampato da Mediagraf spa- Noventa Padovana (PD) -

www.printbee.it

PREFAZIONE

Dio è l'infinitamente vicino e l'infinitamente lontano; di Lui non si può parlare da una distanza intermedia. (Nicolas G6mez Ddvila1)

Dal titolo di questo libro trapela un 'alternativa: Alla fine il nulla - o la risurrezione dei morti. Sarebbe bene se oggi la riflessione sulla morte fosse guidata da questa netta alternativa. Purtroppo, non è così. Il semplice "o . . . o" è piuttosto raro. Per molti nostri contemporanei, al suo posto c'è una grande quantità di soluzioni intermedie , tranquille e rasserenanti, come quella di " scomparire nella natura" , di " sopravvivere nei discendenti " , o di avere " sempre nuove reincarnazioni " Spesso si condivide anche una concezione del mondo che porta semplicemente alla rimozione della propria morte. Questo libro prende in esame una ad una le soluzioni intermedie e appa­ renti, con l'intento di mostrare come esse non siano delle vere possibilità. Alla fine resta un vero "o . . . o" O la risurrezione o l'inesorabile nulla. "Nulla " , però, in questo caso significa non solo che le grandi domande dell'esistenza umana resteranno eternamente s . e nza risposta, ma anche che le innumerevoli persone che hanno subito violenze, che sono state crudel­ mente uccise, che sono state cancellate dalla storia, non riceveranno mai più indietro la loro vita né il loro onore. . Il libro affronta anche molte altre questioni. Perché, per esempio, per così tanto tempo non ci fu nell'Antico Testamento la speranza nella risur1 N !COLAS G6MEZ DAVILA, Aufreichnungen des Besiegten. Fortgesetzte Scholien zu einem inbegrt//enen Text, Karolinger Verlag, Wien 2012, 32.

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Prefazione

rezione? oppure, il carattere fortemente immanente della fede nell' aldiqua dell'antico Israele continua a restare ancora oggi qualcosa di fondamentale - anche per i cristiani che sperano nella risurrezione? Inoltre, la risurrezione di Gesù è soltanto una conferma della speranza cristiana nella risurrezione o è il punto di partenza fondamentale senza il quale non solo non c 'è risurrezione, ma senza il quale non è neppure possibile pensare la risurrezione in modo soddisfacente? Soprattutto , quando inizia la risurrezione? fra diecimila anni? in un lon­ tanissimo futuro? alla fine del mondo ? Chi pensa così, non segue forse uno schema temporale ingenuo che, anche secondo la fisica moderna, può essere valido solo entro certi limiti e che invece, nonostante dò, viene tra­ sferito al mondo oltre la morte? se, però, ogni forma terrena di tempo è ab­ bandonata con la morte, allora non siamo forse raggiunti immediatamente dalla risurrezione di Gesù e, con essa, dalla risurrezione di tutti i defunti? Poi, cosa risorge propriamente alla risurrezione? un essere umano astrat­ to? o invece tutta la storia di questo essere umano, con le sue sconfitte e vittorie, le sue miserie e le sue estasi - dunque con tutto ciò che questa persona ba pensato e voluto, desiderato e amato? Ancora, che ne è del cosmo, della materia, degli animali, degli ominidi che hanno preceduto la comparsa dell'essere umano, del numero stermina­ to di coloro che non sono nati, che non hanno avuto neppure la possibilità di venire al mondo - la risurrezione c'è anche per loto ? Infin�, nel cielo ci sarà soltanto Dio e nient'altro? oppure ci sarà tutto ciò che abbiamo desiderato, ci saranno tutti coloro che abbiamo amato - però appunto con Dio e in Dio, così che Dio sarà "tutto in tutti " ? Sono queste le domande per cui h o scritto questo libro. S i tratta delle domande che io stesso mi faedo. Ovviamente non cerco le risposte nella mia sapienza personale, tanto povera. Le cerco piuttosto nell'Antico e nel Nuovo Testamento, nella tradizione della fede cristiana e nella riflessione dei grandi teologi del passato e del presente. Le cerco però anche nella ragione, vale a dire in uno dei doni più grandi che Dio ha fatto all'essere umano. Poiché in questo libro ci sono le mie stesse domande, ho cercato sem­ pre di trovare il linguaggio più adatto. Come si può parlare oggi in modo responsabile di morte e risurrezione, di giudizio e purgatorio, di inferno e vita eterna, e come si può parlare del compimento della creazione? quale linguaggio potrebbe essere comprensibile alle persone del nostro tempo? quale linguaggio potrebbe essere quello giusto, un linguaggio che non suoni bigotto, ma che neppure voglia essere a tutti i costi accattivante?

Prefazio ne

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C'è una cosa di cui ho avuto sempre timore scrivendo questo libro e che ho cercato di evitare: annoiare il lettore. Per questo motivo, il dibattito con le opinioni teologiche è stato rinviato , per quanto possibile, alle note a piè di pagina. Lì ci si può fare facilmente un'idea di questo dibattito, anzi a volte vi è stato sviluppato in modo piuttosto ampio. Chi non vuole, non è costretto a leggerle. La riflessione che ho condotto man mano nella stesura di questo libro mi ha reso nuovamente consapevole di quanto sia liberante la fede cristia­ na nella risurrezione dei morti. Chi si conferma in questa fede, può senza affanni vivere nell"' oggi" biblico, perché ogni istante dell a sua vita ha ora importanza e può essere vissuto nella speranza. Egli può anche investire le proprie energie nella costruzione di una società giusta, perché il mondo della risurrezione è la forma definitiva che Dio donerà proprio a quel mon­ do per il quale noi lottiamo qui in questa storia. Ancora una volta ho un debito di gratitudine verso il dott. Bruno Steimer della casa editrice Herder. Lo ringrazio di cuore per il suo generoso e fat­ tivo aiuto. Con sentimenti di stima e gratitudine dedico il libro alla signora Gerlinde Back, perché è suo il merito di aver dato l'impulso decisivo a questo lavoro. Monaco, marzo 2017

Gerhard Lohfink

parte prima CHE COSA SI PENSA

...

RIGUARDO ALL'ALDILA

t La domanda delle domande

Cosa c 1è dopo la morte? Quando i nostri antenati del mondo animale, n�l corso di un lento e lunghissimo spazio temporale, diventarono esseri umani, forse non potevano ancora distinguere tra lo stato vitale dei vivi e �o st�to mortale dei morti. Ci sono indizi per pensare che, nel primo stadio dell'umanità, gli esseri umani non possedessero ancora un'idea della defini­ tività della morte 1 • Ad un certo punto, però, questa definitività si mostrò in tn.odo inesorabile. E fu così che nel mondo comparve la domanda di cosa ne sia dell'uomo dopo la sua morte. Quanto fosse insopprimibile questa domanda, lo si può vedere dal numero impressionante dei riti di sepoltura. L� tombe più antiche che conosciamo risalgono al paleolitico, la prima età della pietra. Le ossa ritrovate in queste fosse rivelano con quanta cura venissero sepolti i morti. A volte la posizione ricordava quella del sonno. A volte erano rannicchiati in posizione fetale. Significa che si pensasse a una loro rinascita? Spesso avevano con sé l'attrezzatura necessaria a un lungo viaggio: accanto a loro venivano posti nella tomba armi, attrezzi in pietra, pezzi di carne come provvista per un cammino. Altrettanto antica era l'usanza di spargere polvere di ocra rossa sul cor­ po sepolto. Evidentemente, con l'ocra rossa si voleva rappresentare ritual­ m�nte il sangue e porre così un simbolo efficace del fatto che il defunto continuasse a vivere2• L'uso di colorare con terre rosse ebbe in seguito una l n fatto che animali altamente sviluppati possano mostrare dolore per la morte di un loro simile, È capitato spesso di osservare femmine di scimpanzé portare con sé, per diversi giorni, il cadavere del proprio figlio. Allo stesso modo, si sono visti elefanti ritornare per più giorni sul posto dove giaceva il cadavere di un loro compagno. Tuttavia, tutto ciò non deve essere ancora interpretato come conoscenza di ciò che è la morte. non è un argomento contrario.

.•

.2 Vuso delFocra può essere interpretato anche come misura pratica: l'ocra ha un effetto antibat­

terico e conservante. Certamente ciò non esclude in nessun modo - come nel caso delle mummie - il significato simbolico.

parte prima

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diffusione stupefacente: lo si è potuto riscontrare in tombe ritrovate in Europa, in Africa e in America. Spesso i defunti venivano sepolti rivolti a oriente, verso il sorgere del sole. Oppure i morti venivano mummifìcati per conservare i corpi e garantire loro una sopravvivenza nell'aldilà. Molto presto deve essere iniziata l'usanza di celebrare pasti p resso le tombe dei defunti - certamente non solo come consolazione per i vivi. Si trattava piuttosto di essere certi che la comunione con il defunto non veniva meno. Un pasto festoso era, infatti, segno di comunione, creava un legame stabile, donava vita. Ciò che doveva servire ad assicurare una vita nell' aldilà aveva però un'e­ stensione molto più ampia: in molte culture si praticavano offerte cultuali per i defunti. Spesso si facevano libagioni per procurare ai morti una ri­ serva d'acqua buona. In questo modo si voleva tutelarli dall'utilizzare le cattive acque degli inferi. Anche le formule magiche erano molto diffuse. Esse servivano ai defunti per superare gli ostacoli che potevano incontra­ re nell'insidioso viaggio nella terra al di là della morte. Il Libro dei morti dell' antico Egitto, una specie di guida per l'aldilà, mette a disposizione dei vivi delle formule con cui poter superare il giudizio che avrà luogo dopo la loro scomparsa3 Con l'aiuto di queste formule il defunto potrà dire ai 42 giudici dei morti quali sono i delitti che non ha compiuto4. Poi, insieme a molte altre dichiarazioni di innocenza, pronuncerà le formule seguenti [trad. it. , in Testi religiosi egizi, UTET, Torino 1970, 3 17 (capitolo C:XXV )]: Io non ho imprecato contro il dio. Non ho sottratto beni a un povero. Non ho provocato [con la magia] malattie [ad altri]. Non ho fatto piangere [altri]. Non ho ucciso. Non ho ordinato di uccidere. Non ho inflitto sofferenze a nessuno. Non ho rubato i pani di offerta ai morti. Non ho commesso ad ulterio.

Tutto l'evento ha un carattere fondamentalmente magico. Se il morto riesce a pronunciare correttamente queste ed altre dichiarazioni di innocen­ za, le divinità che devono giudicarlo lo lasceranno passare ed egli entrerà 3 ]. AssMANN, Tod und]enseits, 336: «Dall'inizio dd nuovo Regno, intorno al1580 a.C., i testi funebri non sono più scritti sui sarcofagi ma su rotoli di p apiro. Chiamiamo questi rotoli libri dei morti». giudizio dei defunti cf ibid., 106-115.

Sul

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Gli studiosi parlano di " confessione negativa delle colpe"

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Che cosa si pensa riguardo all'aldilà

nei campi della vita eterna. È però evidente che credere in queste prove nell'aldilà modifica già la vita nell'aldiquà. Chi è in vita, mentre impara e interiorizza le formule, sa bene che, dopo la sua morte, non potrà mai mentire ai giudici divini. Tuttavia, i popoli antichi non si sono confrontati con la morte soltanto tentando di superarla in questo modo. Essi lo hanno fatto anche attraverso la fatica del pensiero filosofico. li filosofo greco Platone (428/27 -.348/47) nel dialogo Pedone ( Dunque, di certo una cosa è chiara: l'opinione di quel prete in cura d'anime mi ha fatto riflettere, ma non ho potuto essere d' accordo con lui. Naturalmente è vero che ci sono tantissime persone che non fanno grandi discorsi sulla vita, che a stento si interrogano sull'aldilà, ma che accettano la propria vita e sono assolutamente disponibili per gli altri. Tutto questo è vero. Tuttavia, l'umanità silenziosa non può essere tutto. Per quanto nobile ed equilibrato possa essere l'atteggiamento delle persone che cercano di accettare in silenzio ciò che è imperscrutabile, l'essere umano, per sua stessa natura, pone domande, e precisamente è un essere che si interroga sul tutto e che non cessa mai di domandare. È proprio questo suo interrogare ciò che lo distingue dagli animali. In realtà la domanda sul "perché" e sul "dopo" si presenta sempre di nuo­ vo. Durante l'infanzia c'è una fase in cui i bambini chiedono continuamente perché. Non è un bene che gli adulti interrompano così velocemente e totalmente l'intensità che anima questo loro domandare. Allo stesso modo i bambini domandano continuamente sul " dopo " Recentemente c'erano davanti a me, lungo la strada, una mamma e il suo bambino. «Presto arriverà l'inverno», disse la mamma, proprio nel momento in cui mi accorsi di loro. «E dopo?», chiese il bambino. «Dopo nevicherà» . «E dopo?». «Dopo andremo sulla slitta>>. «E dopo?». «Dopo arriverà primavera>> . «E dopo?». «Dopo andrai a scuola». «E dopo?». «Dopo imparerai un mestiere . . . ».

Non se il piccolo abbia continuato ancora. Le nostre strade si separaro­ no. Ovviamente per lui era un gioco. Questo ping-pong con le parole era quasi un rituale. Ma era solamente un gioco? dietro a questo gioco non c'era una domanda elementare -la domanda di tutte le domande?

Che cosa si pensa riguardo all'aldilà 2.

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Tra scetticismo e credenza nell'anima

Leggendo le iscrizioni funerarie sulle tombe greche o romane, è subito evidente quanto l'interrogarsi sul dopo abbia occupato gli antichi. Cer­ tamente, questo interesse non è testimoniato da tutte le iscrizioni. Molte omettono la questione dell' aldilà, dicendo semplicemente chi sia sepolto in quel luogo. Così si legge, per esempio, su un sepolcro romano nel sud della Francia6: Fabio Zoilus per sé e per la sua carissima consorte Consuadullia Primilla. In vita feci fare [questo sepolcro] affinché alla fine lo avessimo.

Il testo latino è molto più conciso. Ha il carattere di formula, come molte delle nostre odierne iscrizioni funerarie. Dalla lapide non trapela il benché minimo contenuto sulle convinzioni personali di questo Fabio e della sua Consuadullia. C'è però un numero consistente di antiche steli funerarie e di sarcofaghi in pietra che sono più loquaci. Di certo, non d dicono sempre esattamente quale fosse l'idea del mondo e dell' aldilà di coloro che li fecero prepa­ rare. Dobbiamo pensare che anche nell'antichità le botteghe di lapidi e sarcofaghi proponessero alla scelta dei loro clienti una lista di testi già formulati. I clienti, però, potevano scegliere appunto il testo che meglio corrispondeva alla loro visione del mondo, e questa poteva essere assai diversificata. Da molte iscrizioni non emerge altro se non mestizia e ras­ segnazione. Esse rivelano indirettamente che per il loro committente non c'era nessun " dopo " Così, per esempio, un'iscrizione romana sulla tomba di una giovane ragazza7 :

Q voi che passate, piangete sul mio triste destino e fermatevi un momento davanti alle mie povere ceneri. Piangete su di me, infelice, causa della pena che giorno e notte affligge i miei genitori, distrutti da tanto dolore. Soltanto sventura fu per loro l'avermi generato, delle mie nozze non poterono gioire. Nessun cantore, dolcemente inebriato, intonò per me un canto nuziale davanti al mio talamo.

6 Romische Grabinschri/ten, n. 575. L'originale latino recita: Fabius Zoilus sibi et Consuadulliae Primillae marftae karissimae. Vivus ut haberemus feci. 7 Griechische Grabgedichte, n. 320.

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parte prima

Altre iscrizioni, invece, sono piene di fiducia, come per esempio quella composta per un defunto di nome Menelao8: Menelao è 'il mio nome. Qui riposa soltanto il mio corpo. La mia anima però abita nell'etere immortale.

Dietro questi epitaffi c'erano anche certe concezioni che si formavano sulla base della cosmologia e della fisica antica. Molti filosofi dell'antichità immaginavano che l ' " etere" fosse la dimensione superiore del cosmo, che irradiava luce. Coincideva con il fuoco celeste ed era considerato dimora degli dèi. Se non era uno scettico, l'uomo del tempo aveva questa opinio­ ne: il corpo umano è materia, è dunque pesante e inerte. L'anima umana è invece leggera. Per questo, dopo la morte sale al cielo, allo stesso modo in cui, sopra un fuoco, l'aria calda sale verso l'alto. Le innumerevoli stelle, che brillano nel firmamento, non sarebbero altro che le anime dei defunti. Questa conce?ione è presente in molte iscrizione, come per esempio nella seguente9: ·

li mio nome è Filostorgo, mi allevò Nike [mia madre], dovevo essere la sicurez­ za nella sua vecchiaia, ma vissi soltanto vent'anni. [ . . ] Fui preda della morte improvvisa e si compì il destino tessuto per me dalla Divinità. Madre, non piangere su di me! A cosa giova? No, guarda devotamente verso il cielo, perché una stella sono diventato, che sorge presto nel cielo della sera. .

Si può immaginare come si sia arrivati a simili concezioni. L'intelligenza è veloce cpme il lampo. Il pensiero arriva rapidamente ovunque. Lo spirito si appropria di interi mondi. Il corpo, invece, si muove assai più lentamente. Anzi, spesso è un impedimento, specialmente quando si comincia ad avere una certa età. Spesso il desiderio di viaggiare resta, ma è il corpo che non lo vuole più. Alla fine il corpo diventa una prigione. Nell'antichità ciò fu espresso molto efficacemente, in particolare seguen­ do il pensiero del filosofo Pitagora: cr&J.ta/soma - crfiJ.talséma, dicevano i greci. " Il corpo - una tomba" . Secondo questa concezione, ciò che è vera­ mente proprio dell'essere umano è l' anima. Il corpo è soltanto un impe­ dimento. Nella morte l'anima viene come liberata da una tomba, anzi da

8

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Griechische Grabgedichte, n. 250. Griechische Grabgedichte, n. 304.

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un carcere. Come abbiamo visto, anche

il pensiero d i Platone, esposto nel va nella stessa direzione. La seguente iscrizione funebre, trovata su una tomba romana del III secolo d.C., ha per questo un suono davvero platonico10:

Pedone,

Questo sepolcro racchiude qui il giovane Kalokairos, dopo che l'anima immor­ tale lasciò il tenero corpo del ragazzo. Essa si affrettò verso il divino, lasciando dietro di sé le preoccupazioni dell'amara vita e salendo pura verso il cielo. Soltanto un'ancora, scolpita nella pietra sotto l'epigramma, fa intendere che si tratta dell'iscrizione funebre di un cristiano. Se ci si ferma alla for­ .rpulazione del testo, non si riscontra nessuna differenza rispetto ad altre is.cdzioni sepolcrali non cristiane. Ci sono molti altri esempi di questo gene­ re. Le formulazioni pagane sulla sopravvivenza dell'anima immortale sono recepite nelle iscrizioni delle tombe cristiane senza modificazioni. Sono solo determinati simboli a far capire di essere di fronte a una tomba cristiana: una colomba, un pesce, un'ancora o il monogramma di Cristo. te differenze, però, esistevano lo stesso, anche nei casi in cui non erano chiaramente rilevabili a partire dai testi. Infatti, la credenza antica nell'e­ sistenza dell'anima è caratterizzata molto spesso dall'idea che l'anima dell'uomo sia qualcosa di divino, e precisamente- questo è decisivo- che sia di natura divina. Con la morte, dunque una volta liberata da tutte le catene, questo elemento divino, presente nell'essere umano, giungereb­ be finalmente a sé stesso. L'anima salirebbe al firmamento. Viene accolta nella sfera dell'eterno, vale a dire nel luogo dal quale era venuta e al quale essa appartiene. La sopravvivenza dell'anima significa, così, che l'elemento divino-eterno dell'essere umano continua ad esistere. Era una concezione molto accattivante, come si può vedere anche dalla sua parziale penetrazione nel cristianesimo. Essa, infatti, trovò tanti angoli in cui annidarsi, pur essendo contraria alla visione cristiana tanto della creazione quanto della redenzione11• Nel libro di preghiere di una suora anziana un giorno trovai i seguenti versi che suonano molto devoti, ma che in realtà sono pagani:

Venni sulla terra senza vestimenti, con me non ho portato assolutamente nulla da là tranne l'anima mia.

10

Griechische Grabgedichte, n. 296.

Questa penetrazione si verificò soprattutto con la gnosi, una delle eresie più pericolose delle origini cristiane.

parte prima

20 Non prenderò con me di nuovo niente ritornando là nel giorno della luce se non ancora la sola anima. Quale vanità terrena mi terrorizza, se solo in veste lucente e senza gli ammanchi del mondo la mia anima sola ritorna volando nella santa mano paterna di Dio.

Certamente questi versi erano intesi in senso cristiano, e si può anche intenderli così. Tuttavia considerati più precisamente non rispecchiano al­ tro che antiche concezioni: l'anima è l'elemento eterno dell'uomo. Il corpo non è altro che qualcosa di prowisorio. L'anima governa il corpo come il timoniere la nave. Viene, però, il momento in cui il timoniere abbandona la nave. È giunto alla meta del viaggio. Tuttavia, non si deve pensare che questa sia stata l'unica concezione del mondo antico. Per molto tempo i greci avevano pensato che l'esistenza dell'essere umano terminasse sotto forma di esistenza umbratile nell'oscuri­ tà degli inferi. Poi, non ci fu affatto soltanto la credenza nell'anima. Accanto ad essa, ci fu anche un materialismo crasso, per cui con il corpo iniziava e finiva tutto ciò che l'essere umano è. Questo materialismo molto spesso era accompagnato da un profondo scetticismo, soprattutto dalla convinzione che dopo la morte finisse tutto. Con la morte l'essere umano ritornerebbe nel nulla assoluto. Chi è morto non ha più un " io " , né memoria, né co­ scienza, né futuro. Anche di questa concezione sono rappresentative numerose iscrizioni sepolcrali. Esse rispecchiano spesso una totale assenza di speranza. Non di rado utilizzano un linguaggio quasi esistenzialistico. Così leggiamo, per esempio, su un sepolcro dell'antica Roma12 : Siamo nulla, e fummo mortali. O tu che leggi, considera: in brevissimo tempo dal nulla ricadiamo nel nulla.

12 Romische Grabimchriften, n. 442 . Testo originale: Nzhil sumus etfuimus morta/es. Respice, lector: In nihil ab nzhilo quam cito recidimus.

Che cosa si pensa riguardo all'aldilà

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Similmente, con una concisione laconica, su un altro sepolcro troviamo13: Non ero, non sono, non so niente, non spetta a me.

Nell'iscrizione di un sepolcro, ad Aquileia, si legge14: Rendi piacevole la tua vita, o amico ! - Perché dopo la morte non si riderà più, non si farà più l'amore, non ci sarà più nessun altro piacere.

Come capita spesso nelle tombe antiche, qui si danno consigli ai vivi, a coloro che passano per la via. Così anche sull a tomba di un certo Tiberio Claudio Secondo, a Roma 15: Bagni, vino e amore corrompono il nostro corpo. Ma sono i bagni, il vino e l'amore, che fanno la nostra vita.

Molte altre iscrizioni si esprimono allo stesso modo . I passanti sono in­ vitati a concedersi in vita tutto il bene possibile: devono mangiare, bere e godere del piacere dell'amore. Infatti, l'arrivo della morte è descritto spesso in questi termini: «Sarete circondati d'oscurità e avvolti d'oblio eterno». Su alcuni sepolcri ci sono vere e proprie piccole prediche rivolte ai passanti, che sono invitati a non farsi mancare nessun piacere della vita. Viceversa, altre iscrizioni si rivolgono verso l'interno del sepolcro. Per esempio, si può dire al defunto, con tutto il sarcasmo di cui si era capac� nell'antichità16: A cosa ti giova ora aver vissuto tanti anni con rigore?

In realtà, naturalmente, questo sarcasmo non era rivolto al defunto. Anch 'esso era destinato a quanti passavano davanti alla stele funeraria. 13

Romische Grabt'nschrzften, n . 43 3 . Testo originale: Non fueram, non sum, nesào, non ad me pertinet. Romz'sche Grabinschri/ten, n. 436. 1' Romische Grabinschrz/ten, n. 460. Testo originale: Balnea, vz'na, Venus corrumpunt corpora nostra! s.ed vitam /aàunt balnea, vina, Venus. 16 Romische Grabinschri/ten, n. 437. Il testo originale è un esametro: Quid tibi nunc prodest strt'cte vixisse tot an n fs? 14

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parte prima

Nell'antichità, quindi, non c'era soltanto la credenza nell'anima. Rispetto alla morte e all'aldilà erano ugualmente diffusi anche scetticismo, sarcasmo, perplessità e amarezza. Le figure che a volte si trovano scolpite sulle tombe - spesso è la forma di una donna che piange - non eli rado fanno trasparire nei volti un profondo senso eli tristezza e dolore. Le espressioni eli scetticismo dell'antichità sono riprese ai nostri giorni. li giovane Bertolt Brecht ( 1 898-1956) , sotto forma eli una predica in rima intitolata Canto notturno di Lucz/ero, ci dice che c'è soltanto l'unico giorno della vita. Dopo arriva la notte eterna e tutto finisce per sempre. Si deve dunque godere questo uno ed unico giorno senza nessuna paura, poiché l'essere umano non ha niente eli più. Un di più " non è preparato" Tutti quelli che dicono che dopo la notte arriverebbe un nuovo mattino, non sono altro che consolatori, traviatori e ingannatori17 • l.

Non vi fate sedurre: Non esiste ritorno. Il giorno sta alle porte, già è qui vento di notte. Altro mattino non verrà. 2.

Non vi lasciate illudere che è poco, la vita. Bevetela a gran sorsi, non vi sarà bastata quando dovrete perderla. 3.

Non vi date conforto: vi resta poço tempo. Chi è disfatto, marcisca. La vita è la più grande: nulla sarà più vostro .

.4.

Non vi fate sedurre dà schiavitù e da piaghe.

1 7 La poesia è intitolata Gegen Verfiihrung- Contro la seduzione. Si trova alla fine di Bçrtolt Brechts Hauspostille (1 927) [ed. it., Poesie e canzoni, Einaudi, Torino 1961, 3.]. Brecht la pubblicò separandola con il titolo di Luz;fers Nachtlied. ·

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Che cosa vi può ancora spaventare? Morite con tutte le bestie e non c'è niente, dopo.

Naturalmente questa predica, con i suoi ritmi così incalzanti, è rivolta soprattutto contro i cristiani. Agli occhi di Brecht, i cristiani si considerano i "redenti" poiché credono alla redenzione dall' aldiqua. È l'antica obiezione che, a partire da Karl Marx e Friedrich Nietzsche, non è più cessata: i cri­ stiani disprezzano la terra, consolano i poveri promettendo l'aldilà e, invece di amare il mondo, sperano in " un mondo dietro il mondo" L'obiezione è fondata nei confronti di certe note stonate che hanno accompagnato il cristianesimo, ma risulta infondata nei confronti della musica di fondo della fede cristiana. Lo stesso messaggio biblico dice qualcosa di completamente differente. Lo vedremo più avanti. In modo assai meno dogmatico di Brecht si esprime Marie Luise Kasch­ nitz ( 190 1 - 1 97 4). Ecco una delle sue poesie della risurrezione, intitolata

Nicht mutig -Non sono coraggiosa18 :

coraggiosi sanno Che non risorgeranno Che su di loro non ricrescerà la carne .·.Al nuovissimo mattino Che non ricorderanno più nulla Non incontreranno nessuno Che niente li aspetta Nessuna beatitudine Nessun supplizio I

I c> Non

sono coraggiosa.

La poesia traccia due visioni della vita. Dapprima, quella di coloro per i quali con la morte finisce tutto. n loro appare, così pensano, un atteggia­ mento sobrio e realistico. Chi può immaginare che sulle ossa ricrescerà la carne o che ci sarà un inferno nel quale le persone subiscono supplizi? Ap­ parentemente questa visione della vita deriva da un "sapere " " I coraggiosi sanno" Come mai coloro che sanno sono "coraggiosi" ? La posizione opposta è così insicura di sé stessa che solo indirettamente si presenta come il risultato di una messa in discussione della posizione dei coraggiosi. Essa è formulata, proprio alla fine, con un'unica frase: "Io/non s ono coraggiosa" Ci sarà forse la risurrezione? Ia· M.L. KASCHNITZ, Kein Zauberspruch. Gedichte, lnsel-Verlag, Frankfurt a. M. 1972.

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parte prima

Ad una considerazione più attenta, però, si vede come in quell"' Io/non sono coraggiosa" ci sia una velata critica nei confronti dei " coraggiosi" Evidentemente, diversamente da quanto poteva sembrare a prima vista, la poesia non è affatto una attestazione di grande stima verso i "coraggiosi " Forse, il senso inespresso della poesia si potrebbe formulare nel modo seguente: neppure gli scettici, che sanno così esattamente che non risorge­ ranno, possono essere così sicuri di quanto dicono. Essi rappresentano la posizione di chi descrive la risurrezione in termini relativamente grosso­ lani e superficiali (carne sulle ossa, supplizio dell'inferno) , per poterla poi negare. Tuttavia, anche per questo hanno bisogno di " coraggio" Quando per una cosa serve coraggio, l'esito è ancora incerto e aperto. Forse "i co­ raggiosi" si sbagliano di grosso. Che si nasconda n.ella poesia anche un velo di sarcasmo verso i " corag­ giosi" che spalancano la bocca audacemente, riempendo il mondo della loro " conoscenza" e della visione totale che pretendono di avere? La poesia di Kaschnitz non spalanca la bocca. Non osa neppure diffondere la sua idea di risurrezione. Non si presenta con il tono presuntuoso del predicatore, come quella di Bertolt Brecht. L'unico argomento della poesia è, all a fine, quel " Io/non sono coraggiosa " Molto più sicuro di tante cose s i mostra invece Kurt M arti ( 192 1 -) , i n un suo testo molto citato. Anche lui parla come Brecht, ma lo fa nella direzione opposta19: piacerebbe a più di un padrone se con la morte tutto venisse appianato e confermato per sempre il potere dei padroni la servitù dei servi piacerebbe a più di un padrone restare padrone per l'eternità in una ricca tomba di famiglia e i servi servi in misere tombe a schiera ma verrà una risurrezione che sarà diversa molto diversa da come pensiamo verrà una risurrezione che sarà

1� K. MAlti'!, Leichenreden, Luchterhand, Frankfurt a. M. 1969 [trad. it., Orazioni funebri, Crocetti, Milano 2001, 143].

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la rivolta di dio contro i padroni e contro il padrone di tutti i padroni: la morte.

Si tratta di un'orazione funebre che ha i toni della lotta di classe. Ecco la sua argomentazione: se non ci fosse la risurrezione, gli sfruttatori e gli schiavisti del mondo avrebbero ragione per sempre e trionferebbero an­ che nella morte. Essi però non trionferanno, perché Dio prepara da molto tempo una rivoluzione che rovescia i potenti di questo mondo dai troni, e alla fine rovescerà dal suo trono anche la morte. Il testo simile a una predica di Bertolt Brecht, la confessione titubante (e forse persino leggermente canzonatoria nei confronti dell'opinione che vuole contraddire) di Marie Luise Kaschnitz e infine le parole infervora­ te di Kurt Marti, dimostrano una cosa: oggi le numerose voci dissonanti dell'antichità sono ancora là. La domanda delle domande non è scomparsa. È la risposta continua a oscillare tra lo scetticismo radicale e la speranza nel totalmente "Altro" che possa rispondere finalmente a tutte le domande.

3. Sopravvivere nelle discendenze?

Le iscrizioni sepolcrali degli antichi greci e dei romani mostrano sempre che, per ricordare i propri morti, gli uomini dell'antichità hanno composto testi toccanti espressi in forma idiomatica. Spesso si esprimevano addirit­ tura in un sol verso. Quasi sempre volevano lasciare un messaggio a coloro che passavano davanti alle tombe. Lo stesso vale anche oggi. Le iscrizioni sulle nostre lastre tombali meri­ terebbero di essere tutte raccolte e analizzate dagli studiosi di folclore (con un'espressione più dotta: dagli antropologi culturali). Infatti, non ci sono soltanto quelle iscrizioni che riportano semplicemente il nome e la data di nascita e di morte - che, tuttavia, con questa loro essenzialità vogliono dire: qui giace una persona del tutto particolare, con la sua storia unica, irripetibile e insostituibile. Oltre a queste, ci sono anche numerosissime tombe sulle quali troviamo testi più o meno lunghi in grado di gettare una luce sulla concezione del mondo dei nostri antenati o dei nostri contem­ poranei. Prendo un esempio tra i tanti possibili. In un cimitero, nel nord della Germania, si legge su di una lapide piuttosto recente: Abbandonata la madre terra, assopiti e senza desideri,

andiamo incontro al grande enigma.

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Di tutt 'altro tono è ciò che leggiamo su una lapide del cimitero di Detwang presso Rothenburg ob der Tauber. Mi trascrissi questa iscrizione molti anni fa, in occasione di un viaggio lungo la valle del Tauber: Anno 1651, 27 aprile, di domeniéa tra la mezzanotte e l'una del mattino nel suo Redentore Gesù Cristo si è addormentata dolcemente e pietosamente la già virtuosa Maria Biilgin presso il mulino bianco nata Waltmann all'età di 22 anni 2 mesi e 2 giorni la cui anima Dio riceva. Amen

Si potrebbe fare una raccolta di testi simili. Non solo i greci e i romani amavano far sapere ai passanti la loro visione della morte. La morte provoca anche presso di noi la testimonianza di quanti sono rimasti, Oggigiorno, però, i testi veramente significativi non si trovano più sulle lapidi di pietra, ma sulle lapidi virtuali in una sorta di cimitero in Internet o sugli annun­ ci funebri che vengono spediti per posta o pubblicati sui quotidiani. In questi luoghi si trova una vera e propria miniera di informazioni per chi vuole sapere cosa pensino gli uomini e le donne di oggi sulla morte o sulla sopravvivenza dopo la morte. Sugli annunci funebri si può trovare ogni genere di posizione immagi­ nabile - dalla testimonianza di fede cristiana al nichilismo in veste poetica. Spesso si citano passi della Bibbia o frasi di poeti e scrittori. Non di rado, però, i testi sono formulati in modo assolutamente personale. In un an­ nuncio funebre, pubblicato su un quotidiano a larga diffusione, si poteva leggere: Cara mamma, tu mi hai sempre dato man forte in tutto quello che ho fatto nella mia vita. Caro papà, tu hai mostrato cosa significhi lavorare con dedizione e passione. A voi devo tutto. Voi siete in me e in me continuate a vivere.

Qui è interessante la frase finale: "Voi siete in me e in me continuate a vivere" Dietro sta l'idea che i morti continuino a vivere nei loro discen­ denti. Dal punto di vista personale, per i defunti tutto finisce con la morte. Tuttavia, ciò che hanno portato di bene in questo mondo non va perduto, ma, attraverso i figli e i nipoti, continua a propagarsi fino alle generazioni lontane. Così quel bene continua a sussistere. Così gli stessi defunti restano nel mondo.

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È sorprendente come questa concezione sia diffusa ovunque, a volte in fo rme particolarmente tangibili. In Nuova Guinea può accadere ancora oggi che i parenti mangino le ceneri dei loro defunti. La consumazione rituale delle ceneri deve assicurare che i morti non scompaiono in modo definitivo ma restano presenti nella famiglia o nel clan. I riti di questo genere sono antichissimi. Verosimilmente la loro origine risale ai primordi dell'umanità. L'idea della sopravvivenza nella progenie è presente anche nell'Antico Testamento. Nell'Israele delle origini il singolo individuo era profondamen­ te collocato nella macrofamiglia o nella federazione delle tribù e inserito nella loro storia20• La coscienza di sé dell'individuo si identificava quasi completamente con la coscienza dell'io della sua comunità familiare. Tutto ciò che si era continuava, così si credeva, nella sua discendenza. Il proprio nome continuava a vivere nei figli e nei figli dei figli. Per questo motivo una famiglia non doveva estinguersi, un nome non doveva spegnersi, il ricordo degli antenati non doveva andare perduto. Se si voleva maledire qualcuno, una delle maledizioni peggiori era che la sua famiglia si estinguesse e che il suo ricordo scomparisse dalla terra. N el Sal l 09, 13 , nella cui parte centrale si descrivono le maledizioni degli avversari contro l' orante del salmo, si dice: La sua discendenza sia votata allo sterminio, nella generazione che segu� sia cancellato il suo nome.

Qui, dunque, è una famiglia intera e con essa - questo è decisivo - il suo ricordo che deve essere sterminata dagli effetti esiziali della maledizione. Solo �enendo conto di ciò si può comprendere quale destino infelice fosse per un israelita non avere figli. Ciò non rappresentava soltanto un problema di assistenza o di certezza dei diritti per le persone anziane. Non avere figli pregiudicava la vita nel suo insieme. Era come se la morte mettesse già un piede dentro la vita. Invece, un numero grande di figli rendeva la morte più leggera, Avere molti figli era considerato una benedizione che rendeva par­ tecipi della benedizione data a tutto Israele, di generazione in generazione. Per molte persone, questo inserimento nell'intreccio delle generazio­ ni che si susseguono evidentemente continua ad essere una consolazione anche nel XXI secolo. Vedono sé stesse nei propri figli. Sono convinte di pqter trasmettere ai figli i risultati del proprio operato nel mondo. In modo

20

.Cf H. GESE, Zur biblischen Theologie, 32-38 [trad. it. , Sulla teologia biblica, Paideia, Brescia 1989, 39s., qui 41] .

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corrispondente, anche i figli si immaginano che i genitori restino vivi in loro. Come si diceva nell'annuncio funebre? "Voi siete in me e in me continuate . , a vivere In questo c'è certamente qualcosa di giusto. Effettivamente, molto dei nostri antenati continua a vivere in noi. Noi dobbiamo molto ai nostri genitori, ai nostri nonni e bisnonni. Si dovrebbe fare, tuttavia, una rifles­ sione: nell'Antico Testamento l'idea di essere inseriti nella successione delle generazioni è collegata fortemente alla fede in Dio che continuerà a man­ tenere sempre, nelle generazioni future, le promesse fatte a Israele. Se si perde questa fede nella promessa, la speranza in una sopravvivenza nella propria progenie perde le sue fondamenta. Non solo : il devoto israelita non credeva soltanto che Dio avrebbe adem­ piuto le sue promesse. Egli era anche convinto che già nel presente ogni generazione, tanto l'attuale quanto quella futura, starebbe sotto la bene­ dizione di Dio, almeno fino a quando Israele, allontanandosi dagli dèi del mondo, tornasse ogni volta a volgersi al suo Dio. Se scompare questa fede, fede che certamente ha bisogno di essere tra­ smessa di generazione in generazione, anche la speranza di sopravvivere nella progenie cambia aspetto. L'antica idea biblica diventa allora improv­ visamente tragica o addirittura ridicola. Negli annunci funebri di oggi si legge spesso una sentenza che viene attribuita ora a Lucio Anneo Seneca, ora a Immanuel Kant, ora a Ernest Hemin gway2 1 : Chi vive nel ricordo dei suoi cari non è morto, è solo lontano; muore soltanto chi è dimenticato.

Questa massima è molto amata. Molto frequentemente è utilizzata per riempire gli annunci funebri con qualcosa di significativo . Detto per in­ ciso: il fatto che nei necrologi si leggano sempre le stesse frasi dipende naturalmente dalle raccolte che le onoranze funebri o internet mettono a disposizione dei parenti. Anche il testo che segue appartiene allo zoccolo duro delle massime funebri che sono oggi in circolazione22 : Il vero autore è Joseph Christian von Zedlitz nella sua tragedia Der Stern von Sevilla- La stella di Siviglia. Cf " Trauerspruche- Universitiit Bielefeld" , all ' in d iri zz o int ern et: www.uni-bi el efeld.d e/lili/ personen/useelbach/STUD/trauersprueche.h tml 22 L' autore è Michelangelo Buonarroti. In alcuni necrologi il testo viene citato integralmente: Qui vuoi mie sorte c'anzi tempo i' dorma: Né son già morto: e ben c'albergo cangi, resto in te vivo, c'or mi vedi e piangi;

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Che cosa si pensa riguardo all'aldilà Né son già morto; e ben c'albergo cangi, resto in te vivo, c'or mi vedi e piangi.

Ma è dawero così? la morte consiste soltanto in un cambiare "albergo" ? e il ricordo dei vivi può sconfiggere veramente la morte? Un pensiero molto simile, sebbene in una forma un po' più sublime, è quello che si trova nella massima seguente, che pure si può leggere in cima a molti annunci funebri dei nostri giorni23 : dov'eri, tu ora non sei più, ma certo là sempre sarai, dove saremo noi. Là

Dunque il defunto vive ancora. Certamente, non è più tra di noi visi­ bilmente. Non è più qui come persona reale. Però egli vive nel ricordo, vive nel cuore dei suoi discendenti. Per questo motivo in un'altra massima funebre si dice24: Se mi cercate, cercatemi nei vostri cuori . Lì ho trovato un posto sicuro, per continuare a vivere in voi.

I defunti, pur essendo morti, continuano a vivere virtualmente: non solo nei cuori dei loro parenti e amici ma anche - proprio come viene spesso evocato - nei risultati, nelle opere, nelle azioni della loro vita, in tutto ciò che hanno realizzato in questo mondo. Nel 2 0 1 4 , il necrologio di una nota personalità della vita culturale europea veniva introdotto con queste p arole25 :

se l'un nell'altro amante si trasforma.

(Rime,l94) Qui son morto creduto; e per conforto del mondo vissi, e con mille alme in seno di veri amanti; adunche, a venir meno, per tormen' una sola non son morto. (Rime, 1 90 [MJCHELANGJOLO BuoNARRO'l'l, Rime, Laterza, Bari 1967, 99, 1 00] ) . 23 La citazione è spesso attribuita falsamente ad Aurelio Agostino o a Victor Hugo. Cf www. uni-biele· feld.de/lili!personen/useelbach/STUD/trauersprueche.html. 2� Spesso questa massima è attribuita falsamente a Rainer Maria Rilke o ad Antoine de Exupéry. Cf. www. uni-bielefeld.de/lili/personen/useelbach/STUD/trauersprueche.html. 2' Annuncio funebre per Gerard Mortier, nella Frank/urter Allgemeine Zeitung del 1 5 marzo 2014, 17 .

Saint-

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Ogni vita continua a vivere d a qualche parte, mio padre e mia madre continuano a vivere in me ed io in tutto ciò che ho realizzato. Questo significa per me risurrezione. I paradisi non mi interessano.

Queste parole erano una chiara confessione della concezione del mondo e della vita che aveva il defunto. Cosa si può dire al riguardo? Ovviamen­ te è giusto pensare che tutto ciò che di buono, di vero e di bello è stato realizzato da una persona penetri nella storia. Tutto quell o che un essere umano realizza si mescola dentro il corso degli eventi, modifica qualcosa o provoca addirittura un grande cambiamento nel nostro mondo. Quanto a lungo tutto ciò si conservi stabilmente nella storia è invece un'altra que­ stione. Ciò che qualcuno ha edificato può diventare un rudere già nella generazione seguente. E anche i ruderi possono a un certo punto andare . completamente in rovina e semplicemente scomparire. Ciò che di buono qualcuno ha compiuto può sfaldarsi . Al suo posto può inserirsi qualcosa di cattivo e distruggerlo. Falsità e manipolazione possono avere la meglio sulla verità. Ciò che è bello può essere distrutto o deturpato. E il tanto spesso evocato ricordo dei vivi, nel quale continueremmo a vivere? Un'altra sentenza, a cui ugualmente si fa ricorso per gli annunci mortari, afferma: Dopo le lacrime e la profonda tristezza, resta il ricordo. Il ricordo è immortale e ci dona forza e consolazione.

Oppure, in forma ancora più concisa e pregante: La vita è limitata, il ricordo invece è senza fine.

Oppure, in forma più poetica: I ricordi sono come l e stelle nel cielo, La tua brillerà per sempre.

O ancora, con un po' di romanticismo indiano: Nel nostro clan, intorno ai fuochi, nei giorni futuri si canterà di te. Si tesseranno i racconti della tua vita, e i racconti non muoiono mai.

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Tutto ciò è gradevole, come lo può essere un cocktail invitante, ma no­ nostante ciò è una pura illusione. Sono sempre molto stupito di quanto siano gracili i pensieri che oggi a volte si leggono nei necrologi. "La stella del tuo ricordo brillerà per sempre " ? l'autore di questo annuncio funebre ci credeva veramente? "i racconti non muoiono mai" ? veramente? Anche i racconti muoiono, soprattutto se sono racconti privati che non interessa­ no a nessuno, E il potenziale dei ricordi umani non è affatto "infinito " né ''eterno" Già lo stesso ricordo della propria storia di vita è frammentario, ha molti punti oscuri ed è pieno di autoinganni. I nostri nipoti si ricorde­ ranno ancora qualcosa di noi, poi però cadremo in un inesorabile oblio. . Possiamo fare anche una prova: dei nostri genitori noi sappiamo in ge­ nerale ancora abbastanza, anche se non sappiamo tutto. I ricordi dei nostri nonni diminuiscono già in modo significativo, ma restano comunque relati­ vamente numerosi. Dei nostri bisnonni non sappiamo quasi più nulla , e poi c'è il buio totale, a meno che, naturalmente, non facciamo delle ricerche sui no stri antenati. Anche in questo caso, però, raccogliamo soltanto dei fatti esteriori. Dell'essenziale non veniamo a sapere nulla. Lee Child, newyorkese e autore di un'affascinante letteratura di intrat­ tenimento, lo ha espresso in maniera efficace nel suo libro Il nemico. La madre di }ack Reacher, protagonista del romanzo, muore di tumore. Dopo la sua morte, tra Jack e suo fratello J oe si sviluppa il seguente dialogo26: «La vita», osservò Joe. «Che cosa strana è. Una persona vive sessant'anni, fa, , conosce, prova ogni genere di cose e poi a un tratto tutto finisce. Come se nien­ 'te fosse mai successo». «No i la ricorderemo sempre». . «No, ricorderemo certi aspetti di lei, quelli che aveva deciso di condividere, la ·punta dell'iceberg. Gli altri, solo lei li conosceva, perciò da questo momento non esistono più».

Sono parole che dicono tutto ciò che c'è da dire sul ricordo. Non è possibile conoscere veramente neppure la propria madre. E anche ciò che si ricorda , passa come un soffio. Eppure, si continua instancabilmente a evocare la memoria che resterà nei posteri come qualcosa che non verrà m ai meno. Denis Diderot ( 1 7 13 - 1784 ) , curatore di una delle più famose enciclopedie dell'illuminismo europeo, si permise l'affermazione:

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LEE CHILD, Die Abschussliste. Roman, Miinchen 2006, 365 -366 . Titolo dell'edizione originale a�ericana: The Enemy [trad. it. , Il nemico, Longanesi, Milano 2005 , 350-35 1 ] .

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«Non c'è che un solo grande individuo: il tutto [trad. it. , Il sogno di d)Alembert, in D. DIDEROT, Opere filosofiche, Feltrinelli, Milano 1963 , 2 1 5 (La Signorina de l'Espinasse)] . Il cervello, anzi il mondo intero, è come un clavicembalo che suona sé stesso, e la natura non ha bisogno di un Dio personale, allo stesso modo in cui l'essere umano non ha bisogno di un'immortalità diversa dalla sopravvivenza della propria fama nei posteri».

Evidentemente Diderot doveva essere fin troppo affascinato dal clavi­ cembalo che suonava meccanicamente che all'epoca era già stato inventato. Purtroppo, il grande illuminista non considera il fatto che i clavicembali non suonano da soli, neppure quelli meccanici ! Ma anche l'altro presup­ posto di Diderot ha i piedi d'argilla. La "fama presso i posteri" , dal punto di vista demografico, non si suddivide in modo equo. Soltanto una minima percentuale degli innumerevoli esseri umani vissuti su questa terra è riuscita a far entrare il proprio nome in un 'opera di consultazione ! E che forma misera d'immortalità è quella di sopravvivere in una enciclo­ pedia ! O chi può trovare consolazione nell'idea che un giorno sarà sepolto da qualche parte tra gli sterminati flussi di informazione del World Wide Web ! Magari in una nuvola informatica, nel Cloud-Computing? La speranza di una " sopravvivenza nella fama postuma" è inconsistente e assolutamente insoddisfacente. A tal proposito, un maestro di sapienza dell'Antico Israele, di nome Qohelet, era molto più onesto e realista. Scrisse: «Infatti, né del saggio né dello stolto resterà un ricordo duraturo e nei giorni futuri tutto sarà dimenticato. Allo stesso modo muoiono il saggio e lo stolto» ( Qo 2 , 16).

In un'intervista, il regista americano Woody All en ( 1935-) ha demistifi­ cato il dolce autoinganno che di chi crede di sopravvivere nei propri am­ miratori e nella propria discendenza: N on vorrei che fosse il mio lavoro a rendermi immortale. Preferirei diventare immortale non morendo. Non vorrei sopravvivere neppure nel cuore dei miei connazionali. Preferirei piuttosto sopravvivere nel mio appartamento di New York.

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4. Continue nuove reincarnazioni?

Nel capitolo precedente abbiamo parlato del desiderio di sopravvivere nella propria discendenza. Quest'aspirazione, probabilmente, ha prodotto lentamente, nel corso dei secoli, l'idea della migrazione delle anime. In ogni caso, sono stati gli studiosi delle religioni ad approfondire la questione di come sia sorta la dottrina della migrazione delle anime o della reincarna­ zione (nuova incorporazione ) . Al riguardo, delle numerose teorie almeno una sostiene che in principio ci sarebbe stata l'idea che la forza vitale del padre passasse al figlio e, allo stesso modo, quella della madre alla figlia. "Forza vitale " in molte culture ha lo stesso significato di " anima" Si trattava, dunque, dell'idea seguente: l'anima del padre passa nel figlio, tra­ smettendogli il valore, il coraggio, l'esperienza del padre e tutto ciò che era in suo potere. Questa concezione assai diffusa, dicono gli studiosi delle religioni, si sarebbe ampliata pian piano fino a diventare un insegnamento generale sull'inabitazione dell'anima nei nuovi corpi, che si rinnovava senza interruzioni, di generazione in generazione. Ci possono essere certamente anche motivazioni di tutt'altro genere per la nascita della fede nella reincarnazione. Per esempio questa: in ogni essere umano c'è il desiderio di migliorarsi, di andare oltre il proprio passato, di scuotersi di dosso gli errori, di trasformare la colpa in innocenza, in breve il desiderio di diventare una persona nuova. L'esistenza è però limitata. Una vita sola non è sufficiente per portare a termine questo lungo proces­ so di trasformazione. Per questo motivo, affinché la vita possa compiersi, è necessario che ci sia la possibilità di continue nuove reincorporazioni, permettendo così al singolo individuo, finalmente purificato e nobilitato, di giungere alla meta di un'esistenza umana autentica. Tuttavia, il modo il cui si è arrivati all'idea di lunghe catene di reincar­ nazioni, non ci deve necessariamente interessare. Molto più importante è la constatazione che questa idea è diffusa in tutto il mondo, che era già diffusa anche tra le popolazioni del passato e che oggi trova ovunque nuovi seguaci, persino tra i cristiani. In epoca antica, essa, partendo dall'India, che classicamente è la terra della dottrina della trasmigrazione delle anime, si aprì la strada verso l'Europa. Fu sostenuta dai greci Pitagora, Empedocle e Plat one. Nel XVIII e nel XIX secolo, uscì nuovamente dall'India verso l 'O cci dente. Secondo un'indagine demoscopica compiuta tra il 1 990 e il 1 9 93 , il 26% degli intervistati nella Germania occidentale, il 29% in Austria e il 36 % in Svizzera, credevano nella propria reincarnazione.

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Nell'hinduismo (e non solo in esso) la dottrina della reincarnazione è le­ gata strettamente all'idea del karma: la parola karma, che deriva dalle lingue dell' antica India (in Sanscrito: karman), esprime una specie di causalità del contraccambio: tutte le azioni di un essere umano hanno delle conseguenze che si riflettono nel suo destino futuro. Tutto ciò che una persona compie, ritorna su di lei come un'eco. Se agisce bene, la sua vita futura si orienta in senso positivo. Se agisce male, si volge in senso negativo. Ogni comporta­ mento si traduce in salute o malattia, in fortuna o .sfortuna, in benessere o miseria già in questa vita. Si potrebbe anche dire: ogni " azione" porta a un " esito " ; oppure: ogni atto ricade sull ' autore. Secondo la dottrina hinduista, però, il potenziale che scaturisce dalle azioni buone o da quelle cattive estende il proprio effetto oltre la morte. n karma esige l'affermazione di una sopravvivenza. L'anima, pertanto, dopo la morte e dopo una successiva condizione intermedia, si incarna in un nuovo corpo. In base al modo in cui l'individuo ha vissuto, ciò può avvenire secondo una forma di esistenza inferiore o superiore. Colui che .ha vissuto rettamente raggiunge, nella rinascita successiva, un livello di esistenza qua­ litativamente migliore. Egli può diventare uno spirito o addirittura un dio. Colui che ha vissuto in modo scorretto, si ritroverà in un livello di esistenza peggiore, a seconda della gravità delle sue mancanze. Egli . potrà diventare un demonio o un animale. Oppure potrà diventare di nuovo un essere umano, in questo caso, però, conformemente al comportamento avuto nella vita precedente, sarà un uomo povero oppure ricco, malato oppure sano, infelice oppure felice. Come abbiamo detto, il paese classico dell'idea dell 'incarnazione è l'India. Tuttavia, quest'idea può assumere molte connotazioni differenti. In India e nei paesi che sono stati sotto il suo influsso non ci fu mai una teoria unitaria della rinascita. Pertanto, se si fanno delle generalizzazioni, si sarà necessa­ riamente imprecisi. Le diverse tradizioni e scuole, i diversi scritti e autori hanno tra di loro delle differenze spesso significative. C'è però una idea centrale, che sembra affermarsi ovunque : l'idea dell' autoredenzione. Essa, infatti, è collegata in modo strettissimo al sistema del karma27: ogni essere umano deve eliminare le deformazioni della propria anima per poter alla fine sottrarsi al ciclo delle reincarnazioni e dissolversi nell ' anima del mondo. Se non gli riesce di staccarsi dalle sue impurità e dalle sue bramosie, resta dentro il movimento inesorabile della ruota di sempre nuove reincarnazionL

27 Per una discussione dell'idea dell'incarnazione cf. M. KEHL, Eschatologie, 71-76; Tod - und dann ?, 53-90; H. KESSLER, Was kommt nach dem Tod, 98- 120.

G.

GRESHAKE,

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Tutta questa concezione è legata nel buddhismo a un particolare in­ segnamento sulla rinuncia: ogni forma di "bramosia " irretisce l'essere umano nel mondo in modo sempre più inestricabile e lo affonda in una condizione sempre peggiore. Tutta la sofferenza del mondo ha la sua ori­ gine nel fatto che l'essere umano "brama" continuamente qualcosa e che questo suo bramare non ha mai tregua. La redenzione consiste proprio in una liberazione da ogni bramosia e, in tal modo, dalla sofferenza. Per questo motivo la redenzione è inseparabile da un distacco dal mondo . Il nirvatta è la libertà definitiva da ogni passione, da ogni brama, da ogni volontà, da tutto ciò che è del mondo e, proprio in tal modo, dal vortice delle rinascite. Si tratta dunque - almeno nelle espressioni più rigide del buddhismo - di distaccarsi da sé stessi . Di più, si tratta di liberarsi dall'illusione che un "io" o un " sé" semplicemente esistano. La vera redenzione è la " non realizzazione dell'io"28 Tutto ciò che non è redento, però, resta preso incessantemente nel ciclo nefasto delle rinascite. Non si deve tuttavia omettere di ricordare che il Buddha, vale a dire Siddhartha Gautama (circa 500 a. C . ) , pur parlando della rinascita, non era però interessato ad approfondire questo insegnamento e neppure a trasmetterlo come " dottrina" . Secondo la concezione del Buddha, infatti, la riflessione sul sistema delle rinascite non darebbe nessun contributo alla liberazione dalla sofferenza. Ciò avviene solo nel buddhismo Theravada e, in senso proprio, nel buddhismo Mahayana. È qui che la dottrina delle rinascite gioca davvero un ruolo. Nella sua forma originaria, il buddhismo è un ateismo pratico29• Si noti bene, ateismo pratico, poiché il buddhismo rigoroso rifiuta di fare qualsiasi genere di affermazione su Dio. Il vero illuminato non aspira a compren dere questioni riguardanti l'esistenza o meno di Dio. Anche il semplice desiderio di voler avere questo genere di conoscenze sarebbe come dare la caccia a una conoscenza falsa, sarebbe di nuovo inseguire un "volere" e una "bramosia" Così il buddhista vive come s e Dio non esistesse, ma come se nel mon­ do ci fosse soltanto la legge impersonale, eterna del karma, secondo la quale tutto il nostro comportamento ha un contraccambio. Questa legge leg a al ciclo eterno delle rinascite. Ciò che veramente conta è liberarsi da questo ciclo, nel quale il desiderio non ha mai termine. Questa è la vera 28

Cf Per un approfondimento YEONG DEOK LEE, Transzendenz, Erleuchtung und ErlOsung, 77-137. 29 Cf z'bid. , 29-76.

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conoscenza. Questa è la vera comprensione. Colui al quale si dischiude questa conoscenza giunge al vero " risveglio" In questo modo, però, anche nel buddhismo l'essere umano sta sotto l'obbligo dell' autoredenzione. Egli deve autoliberarsi da ogni desiderio. Deve autodistaccarsi. Egli (nella misura in cui questo " egli" esiste) deve liberarsi dal proprio " io " , da ciò che la tradizione europea ha chiamato " persona" Questo obbligo, almeno nell'hinduismo, è divenuto uno degli aspetti più minacciosi della dottrina della migrazione delle anime. Perché? Appunto perché l'essere umano deve migliorare da sé stesso la sua forza vitale. Posso dawero aiutare un povero, un malato, un emarginato sociale? Se lo aiuto, intervengo nel suo karma. Così facendo, non lo aiuto affatto. È lui stesso che deve patire. È lui che deve soffrire per migliorare lo stato del suo kar­ ma. Ciò può portare a un fatalismo sociale, a una indifferenza che accetta condizioni sociali insopportabili e, infine, a un sistema di caste che innalza barriere insuperabili tra i diversi livelli sociali. Proprio qui si trova l'elemento profondamente disumano della conce­ zione orientale della rinascita, non ancora edulcorata in chiave europea. In realtà, infatti, l'essere umano non è un'isola. Egli è creato per avere relazioni con gli altri esseri umani. Ha bisogno incessantemente delle attenzioni, della benevolenza, anzi della compassione degli altri. Solo l'interesse e l'aiuto da parte di altre persone gli permettono di vivere. Egli vive del fatto che altri si mettono al suo posto. Tra le infinite varianti delle diverse forme della religione indiana, spe­ cialmente nell'hinduismo più recente, troviamo qualcosa che i cristiani po­ trebbero chiamare "grazia " Tuttavia, considerando anche solo il ciclo delle continue nuove rinascite, si vede come in realtà il principio della grazia sia qui poco importante. A chi guarda dal di fuori, il tutto appare piuttosto come un meccanismo spietato di contraccambio. C'è ancora un altro aspetto: la concezione della reincarnazione svaluta la storia. La vita, data a ogni essere umano, riceve dignità e importanza proprio dal limite che la connota. O gni vita umana è qualcosa di unico. Essendo irripetibile, è qualcosa di prezioso. Niente può essere rimandato, niente può essere delegato a incarnazioni future. L'essere umano non può consolarsi con un "la prossima volta" , o un "in futuro" o un "forse nella prossima vita " . No, egli deve decidersi ora, deve agire oggi. Questo trasforma il tempo, che non è più un ciclo eterno. Diventa tempo lineare che va verso una meta in modo irreversibile. È possibile che questa meta non sia raggiunta, perciò è necessario tenerla ben fissa davanti agli

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occhi. È possibile trascorre la vita come addormentati, perciò si deve restare vigili. L' " oggi " dell'Antico Testamento o il " è questo il tempo" di Gesù hanno contribuito a diffondere, dentro la concezione ciclica e astorica del tempo propria di molti popoli, una coscienza quanto mai profonda della " storia" e del kair6s, vale a dire del momento opportuno, dell'ora storica che non si deve perdere. Molti esoterici occidentali e ammiratori delle religioni orientali, che sono entusiasti della reincarnazione, non hanno per nulla le idee chiare a propo­ sito della struttura fondamentale di questa dottrina e delle sue conseguenze. Costoro non vogliono sentir parlare della necessità che, secondo l'autentico pensiero orientale, caratterizza il ciclo delle rinascite né della aspirazione a esserne liberati. Né tanto meno vogliono sentir parlare di rinuncia o di privazione. Essi preferiscono combinare insieme la dottrina originaria del ciclo delle reincarnazioni con la visione del mondo propria della teoria dell'evoluzione. In un susseguirsi inarrestabile di "tentativi ed errori " , il singolo individuo migliora lentamente sé stesso o addirittura la stessa es­ senza dell ' " essere umano " in quanto tale. Da questo orizzonte i credenti nella reincarnazione arrivano poi ad ipotizzare l'esistenza di un "io " che si migliora costantemente, che di rinascita in rinascita acquista una forza e una qualità della vita sempre maggiore. Una forma particolarmente singolare e curiosa di combinazione tra mi­ grazione delle anime e teoria dell'evoluzione è quella proposta dall' esote­ rico e antroposofo Rudolf Steiner ( 1 861 - 1 925) . Anche in lui la concezione del karma gioca un ruolo decisivo. Quelli che sono gli errori o le mancan­ ze compiuti dall'" io " nella sua incarnazione precedente vengono riparati nell'incarnazione successiva conformemente al karma, inteso come "libro contabile della vita" Ogni sofferenza e ogni disgrazia è una " compensazio­ ne karmica" e una riparazione per errori compiuti nell ' incarnazione prece­ dente. In questo modo si realizza un miglioramento da una reincarnazione all'altra. Di questo continuo miglioramento dell "' io " spirituale fa parte anche il cambiamento di genere da una reincarnazione all'altra, nascendo, per esempio, in una incarnazione come maschio e in quella successiva come femmina. In questo modo l"' io" diventa pian piano perfetto, dotandosi di caratteri maschili e femminili. Tra le diverse reincarnazioni possono passare anche secoli. In ogni caso, secondo Rudolf Steiner, non ci sono regressi, come per esempio il regresso in un'esistenza animale, ma solo un progresso continùo. Sotto questo aspet­ to, la sua concezione della reincarnazione si differenzia da tutti gli esempi

parte prima

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orientali. Il lungo cammino di incarnazioni una diversa dall'altra porta ad 11na spiritualizzazione sempre più profonda dell'essere umano, fino al punto in cui il divino giunge a manifestarsi pienamente nel singolo. Proprio in questo punto si vede chiaramente come Steiner, se da una parte recepisce molti elementi dal buddhismo, dall'altra resta legato in definitiva al concetto occidentale di persona. Nel buddhismo. originario, infatti, non c'è il " sé" . Chi vuole essere un "io" o un " sé" è già, in tal modo, vittima della brama e dell'illusione. Oggigiorno, in Occidente, sempre più frequentemente viene preparato 11n mix in cui si mettono insieme la visione orientale del mondo, la psico­ terapia occidentale e la tradizione cristiana. È un preparato che si riesce a mettere sul mercato in modo straordinario, ma che con il buddhismo ori­ ginario può avere tanto a che fare come la cristianizzazione medievale, fatta con l'uso della spada, può averlo con Gesù. C apita così che ci siano centri per la " coscienza" o centri per la " guarigione dello spirito" che pubbliciz­ zano viaggi dell'anima, che condurrebbero verso incarnazioni precedenti. A tal scopo ricorrono a testi di questo genere: Il viaggio dell'anima ti riporta indietro nel tempq, in quello precedente alla vita che stai vivendo ora. L'anima può così guardare le sue vite passate, imparare da esse e prepararsi alla vita successiva. Durante il viaggio dell'anima, visiterai alcune " tappe" delle tue incarnazioni precedenti e farai esperienza delle cono­ scenze acquisite allora dalla tuà anima. Quali " stazioni " visitare, è deciso dalla tua stessa anima con il sostegno della tua guida spirituale. In UI1a normale terapia di reincarnazione ci occupiamo, nella maggior parte dei casi, di esperienze traumatiche allo scopo di superare dolore, paura, sofferenza e altri sentimenti spiacevoli. Succede spesso di piangere, ma il viaggio dell'a­ nima è il contrario. In esso sperimentiamo solamente amore, dolcezza, com­ prensione e molta, molta sapienza. Anche qui ci sono lacrime: lacrime piene di commozione, di gratitudine e di gioia. Il viaggio dell'anima è un' esperienzà che ti accompagnerà per tutta la vita. E anche per molte vite successive. (Cf Www; heilpraxis-wachenroth.de).

Un altro testo: Durante il viaggio dell' anitna ti tròverai in uno stato di distensione profonda. In questo viaggio nel mondo spirituale, nel quale noi come anime ci troviamo veramente a casa, io ti accompagnerò come guida personale. Il mondo spiritua­ le, nel quale l'anima vive eternamente, è caratterizzato da amore, approvazione, rafforzamento, conoscenza e guarigione. Il viaggio dell'anima ti conduce nel tempo che ha preceduto la tua vita attuale, potremmo dire tra le vite. Lì l'anima

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guarda l e sue vite precedenti, impara altre cose e s i prepara alla sua vita attuale. Ciò avviene passando per diverse "tappe " Durante il viaggio dell'anima visite­ rai alcuni di questi "luoghi" e sperimenterai le conoscenze acquisite dalla tua anima. Quali " tappe" visitare sarà deciso dalla tua stessa anima con il sostegno della tua guida spirituale. La scelta è orientata ad acquisire le informazioni più utili alla tua vita presente. Per alcuni l'aspetto più rilevante è quello dei processi di guarigione dell'anima, per altri un rafforzamento o una maggiore energia, per altri ancora doni che loro portano con sé nella coscienza del loro risveglio. Ogni viaggiatore dell'anima, in questo itinerario, sperimenta l'amore che abbraccia ogni cosa e la guida amorevole di esseri spirituali. (C/ www. ihre­ seelenreise. de)

Testi pubblicitari di questo tipo - su internet se ne trovano in quantità .,.... sono delle reazioni. Essi reagiscono, con una buona sensibilità e abilità commerciale, a ciò che si muove nella testa di molte persone. Nello stesso tempo, mostrano l'aspetto seducente dei nuovi mt'x religiosi. Una "terapia" , come quella che viene offerta in queste proposte, promette il superamento delle difficoltà della vita. Lo fa, però, saltando una vera conversione. Vi si promette il raggiungimento di un'esistenza più elevata, di incarnazione in incarnazione, mettendo completamente tra parentesi la storia e la società. L'interesse è sempre rivolto esclusivamente al singolo e alla sua felicità individuale. Nei testi pubblicitari citati, inoltre, si vede bene tutto l'impegno profuso dai commercianti della reincarnazione al fine di superare uno dei problemi fondamentali di tutte le concezioni di migrazione delle anime. Esso consiste nel fatto che l'essere umano non sa semplicemente nulla delle sue prece­ denti incarnazioni. Supponiamo, infatti, che io abbia avuto effettivamente UI:J.'altra esistenza: di questa vita precedente non riesco a ricordare sem­ plicemente nulla, e non servono neppure "lacrime piene di commozione, gratitudine e gioia" . Le lacrime, in ogni tipo di terapia, si possono versare per i più diversi motivi. No, di precedenti incarnazioni non so null a , assolutamente nulla. E que­ sta cosa è effettivamente molto strana, se si suppone che si sia conservato un " sé" che di incarnazione in incarnazione sta percorrendo un cammino di prova con il compito di arrivare a una perfezione sempre maggiore. Tuttavia, questa mancanza di ricordi di incarnazioni precedenti non rappresenta ancora l'obiezione principale contro il fantasma della migra­ zione delle anime nella sua versione " occidentale" Ho già accennato ri­ petutamente all'obiezione principale: le concezioni della reincarnazione, come quelle che abbiamo visto nei due testi pubblicitari, tolgono valore all a storia. Precisamente tolgono valore alla storia perché la relativizzano.

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Se, infatti, la vita consiste in una serie di incarnazioni, allora posso deci­ dermi sempre di nuovo, ogni decisione può essere ribaltata. Non mi devo mai determinare veramente, poiché davanti a me ho una serie infinita di possibilità evolutive per perfezionare me stesso. Ciò corrisponde certamente alla paura odierna di creare legami e alla arbitrarietà postmoderna. Non ci si vuole mai determinare in nessun modo. Si vogliono mantenere aperte tutte le opzioni. Si vuole provare tutto, senza assumersi però nessun obbligo e senza legarsi a nulla. Tuttavia, la sofferenza continua che ne deriva mostra una cosa: una simile mancanza di direzione fa perdere il mistero dell'essere umano. Fa parte dell'essenza dell'essere umano di non dire contemporaneamente sì e no, ma invece di creare legami, di stringersi fedelmente a ciò che egli ha riconosciuto come vero e alla persona amata. Il teologo Gisbert Greshake lo ha formulato in questi terminP0: Di fatto l'uomo è quell'essere che, W1Ìco nel suo genere, è in grado di compiere nel tempo, in virtù della sua libertà, qualcosa di definitivo e, per questo motivo, di attuare legami di fedeltà3 1 • La grandezza e la dignità dell' uomo consistono proprio in questa capacità di realizzare qualcosa di definitivo nel flusso del tempo e di p otersi vincolare stabilmente, oltre l' attimo presente, a forme di vita, legami e responsabilità che ha assW1to liberamente.

Certamente ogni religione e ogni concezione riguardante il significato del mondo ha in sé degli elementi di verità. Ciò vale anche per la dottrina della reincarnazione. Ovviamente, in essa c'è l'intuizione di qualcosa di giusto. Vi si trova, per esempio, un legittimo desiderio di purificazione. Vi è anche l'idea che l'esistenza umana non sia semplicemente annientata dall a morte. Infine c'è - soprattutto nel buddhismo - l'impulso basilare a sottrarsi al ciclo sempre nuovo di una sofferenza che si rigenera continuamente. Tutte queste legittime speranze non hanno bisogno, però, che si costruisca la concezione di continue reincarnazioni. Tutte queste speranze sono raccolte nel credo cristiano in forma molto migliore e anche molto più conforme alla dignità umana. Ciò va chiarito almeno in un punto: dietro la concezione della reincar­ nazione, oltre a molti altri elementi, si trova anche il desiderio profondo dell'essere umano che aspira alla giustizia. Per quale motivo, per esempio,

Jo

G. GRESHAKE,

Tod - und dann?, 55. Ovviamente, la fedeltà può essere presente anche tra gli animali. Non si tratta, tuttavia, di una fedeltà basata su di una libera scelta (postilla , GL ) .

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ci sono ricchi e poveri nella stessa società? come mai ci sono dominatori e sottomessi ? per quale ragione ci sono intelligenti e stupidi, saggi e stolti, sani e malati? Se la forma di ogni esistenza è la conseguenza del proprio comporta­ mento, tutti i poveri, i malati e in generale tutti coloro che sono afflitti da sofferenze non dovrebbero essere considerati come individui che vengo­ no puniti per il fallimento della loro vita precedente? In questo modo, ci sarebbe sicuramente nel mondo un sistema di giustizia riparatrice che continuamente tutto corregge e tutto rettifica. Un sistema di contraccambio come questo, a prima vista, potrebbe sem­ brare plausibile. In realtà, è qualcosa di profondamente disumano. Esso non considera che la povertà, le malattie, le situazioni di indigenza come anche ogni forma di esclusione sociale, possono avere delle cause che non hanno assolutamente nulla a che fare con la colpa personale. La povertà può essere originata da catastrofi naturali o da strutture ingiuste che hanno radici molto lontane nel tempo oppure semplicemente dalla violenza bru­ tale dei potenti di turno. Per questa ragione a ogni società si deve chiedere di fare il possibile contro la povertà che colpisce alcuni dei suoi membri. Concepire la povertà come karma, quindi come conseguenza del comportamento cattivo avuto in un'incarnazione precedente, non solo frena interventi concreti di aiuto, ma toglie ai poveri la loro dignità. La giustizia nel mondo non cresce grazie a un sistema di rinascite guidato dal karma ma grazie a chi si impegna per una società giusta. La fede ebraico-cristiana è ben consapevole che gli esseri umani non potranno mai realizzare una giustizia perfetta. Solo Dio lo può fare. Per questo la Bibbia parla in continuazione del Dio unico che fa giustizia per i poveri e i perseguitati e che alla fine farà luce su tutte le ingiustizie di questo mondo e separerà il bene dal male. li mondo non è governato da un karma impersonale ma dal Dio della Bibbia, che giudica con giustizia e usa misericordia.

5.

Dissolversi nell'universo?

Sopra ho citato un testo di Denis Diderot. Vi risuonava un'idea la cui presenza si riscontra tra tutti i popoli e che da sempre non ha mancato di

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esercitare un fascino particolare, vale a dire l'idea che l'essere umano sia una cosa sola con tutto ciò che esiste, con le stelle, le pietre, le piante, gli animali, con il cosmo intero. Diderot parla dell'universo come di un " uni­ co grande individuo" Con il termine individuo indichiamo ciò che non è divisibile, indichiamo l'unità, la totalità che non può essere scomposta in unità più piccole. Se si dice che l'universo sia un unico individuo, ciò ha naturalmente delle conseguenze per l'essere umano: a questo viene tolta la dignità di essere qualcosa di assolutamente unico e irripetibile. Egli resta soltanto una par­ ticell a minuscola in una macchina enorme o - come direbbe Diderot - nel grande clavicembalo che suona da solo dell'universo. L'universo, una macchina gigantesca che funziona da sola? Questa im­ magine era assolutamente nota in epoca illuministica. Però, c'era anche nn' altra immagine, che in fondo era molto più amata: l'immagine della " Madre natura" , intesa come grande unità universale che fa emanare tut­ to da sé e tutto a sé stessa riconduce. La morte qui diventa il ritorno nel grembo materno della natura. L'espressione migliore di questa concezione si ebbe nell'epoca del cosiddetto Sturm un d Drimg e nella successiva epoca goethiana. Nel 1 7 83 , venne pubblicato in forma anonima sul Tz'e/urther Journal un Frammento sulla natura, che significativamente venne poi attri­ buito al giovane Goethe32 : Natura ! Da essa siamo circondati e avvinti - né ci è dato uscirne e penetrarvi più a fondo. Senza farsi pregare e senza avvertire, ci rapisce nel vortice della sua danza e si lascia andare con noi, finché siamo stanchi e le cadiamo dalle braccia. Crea eternamente nuove forme; ciò che è qui non era ancora mai stato, ciò �he era non ritorna - tutto è nuovo, e tuttavia sempre antico. Viviamo nel suo seno e le siamo estranei. Parla incessantemente con noi e non ci rivela il suo segreto. Costantemente operiamo su di essa e tuttavia non abbia­ mo alcun potere sull a natura.

n Il frammento fu attribuito a Goethe già in vita. Cf. la sua annotazione al cancelliere von Miiller: «Non posso realmente ricordarmi se l'autore di queste considerazioni sono io, tuttavia esse concordano con le idee cui a quell'epoca il mio spirito era giunto>> [trad. it., Spiegazione delframmento sulla natura, in ] W G oETH E , Teoria della natura, Boringhieri, Torino 1958, 142 ] . Il frammento, però, non proveniva dalla mano di Goethe ma di Christoph Tobler, che Goethe aveva conosciuto in Svizzera, frequentando .

la cerchia di Lavater. Cf E. BEUTLER (ed.), Johann Wolfgang von Goethe. Gedenkausgabe der Werke (28. August 1949). Briefe und Gesprà'che: Naturwissenscha/tliche Schrz/ten I, Ziirich 1971, 92 1 -924, cf. 978 [ed. it., ].W. GoETHE, La natura, in Tebria della natura, Boringhieri, Torino 195 8, 1 3 8 -14 1 1.

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Sembra che abbia puntato tutto sull'individualità eppure niente le importa de­ gli individui. Costruisce sempre e sempre distrugge e la sua officina è inacces­ sibile. [ . . . ] Dal niente fa scaturire le sue creature e non gli dice di dove vengono e dove vanno. Basta che camminino, la natura conosce la strada. [ . ] . .

Il suo spettacolo è sempre nuovo, perché essa crea sempre nuovi spettatori. La vita è la sua invenzione più bella e la morte è il suo artificio per avere molta yita. [. . . ]

È tutto. Ricompensa e punisce sé stessa. Rallegra e tormenta sé stessa. È ruvida e mite, amabile e terribile, fiacca e onnipossente. Tutto è sempre presente in essa. Non conosce né passato né futuro. Il presente è la sua eternità. È benevo­ la. Ed io la esalto con tutte le sue opere. È savia e tranquilla. [ . . ] .

Come mi ha mandato qua così mi porterà vìa. Ho fiducia in lei. Può fare di quello che vuole. Non odierà la sua opera. Non ho parlato della natura. No, essa ha già detto ciò çhe è vero e ciò che è falso. Tutto è colpa sua, tutto è merito suo.

me

È

chiaro: qui la natura ha occupato il posto di Dio. Es�a è addirittura celebrata con un inno. È lei la grande creatrice, è santa e divina, è il senso ultimo e il mistero più profondo . Di lei l'autore del frammento parla quasi èome i suoi antenati avevano parlato del Dio della Bibbia. Il Frammento sulla natura può essere un buon esempio per illustrare un sentimento del mondo che è molto più diffuso di quanto crediamo. Esso ha profondi elementi in comune con la concezione del mondo di molti popoli antkhi e, durante l'epoca dell'illuminismo, si diffuse nuovamente dentro il pensiero europeo. TI giovane Goethe e molti suoi contemporanei furono animati da questo sentimento del mondo. La sua efficacia si estese anche in seguito. Nel 1 8 1 9 , il filosofo tedesco Arthur Schopenhauer pubblicò un li bro intitolato: Il mondo come volontà e rappresentazione. Come accadde più tardi per l'opera di Friedrich Nietzsche, anche questo libro esercitò un incredibile fascino . 11 4 1 o capitolo della 3a edizione ( 1 859) , divenuto molto celebre, portava questo titolo: Sulla morte e il suo rapporto èon l'indistruttibilità del nostro essere in sé [trad. it. , Il mondo come volontà e rappresentazione, Bompiani, Milano 2 006, 1 867s . (Supplementi al libro IV)] . Qui la natura diventa per Schopenhauer il criterio della questione dell 'immortalità. Le piante crescono, periscono e si dissolvono. Gli animali cre scono, muoiono e si dissolvono . Dalla materia organica, che resta dopo la m orte di piante e animali, si originano nuove piante . e nuovi animali. È

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un ciclo vitale infinito ! La natura non è interessata in alcun modo alla vita dell'individuo, ma è ad essa totalmente indifferente. La natura distrugge incessantemente la vita che essa stessa ha generato. La natura è interessata soltanto alla sopravvivenza del genere. Perché mai le cose dovrebbero essere differenti per l'essere umano? Si chiede Schopenhauer. Anche l'uomo, infatti, va considerato parte della na­ tura allo stesso modo di tutti gli altri esseri. Con la morte, la "Natura, madre universale" , riprende l'essere umano nel proprio grembo. L'immortalità gli appartiene soltanto nella misura in cui la materia, di cui è stato formato, e l'energia, che ha operato in lui, continuano a manifestarsi in nuovi esseri umani. Però, appunto, non come quella persona che è stata quel determi­ nato individuo, ma come genere "uomo " , che entra nel ciclo della natura sotto forma di generazioni che si ripetono incessantemente. Il vero "uomo" , perciò, non è il singolo, l'individuo, la persona. L'in­ dividuo è un "passo falso " , un "traviamento " , un " errore fondamentale" , qualcosa che sarebbe meglio non ci fosse. L'esistenza del singolo, infatti, non è nient'altro che miseria e sofferenza d'esistere. Il senso della morte è di liberarci dal peso del nostro "io " , da tutto ciò a cui la nostra individua­ lità è esposta. La. morte diventa così il passo definitivo verso la vera libertà. È il «ritorno in grembo alla natura», dal quale il singolo è emerso per un breve tempo, «allettato dalla speranza di condizioni di esistenza migliori di quelle poi toccategli» [trad. it. , 1 879] . La morte ristabilisce l'essenza vera, originaria, dell'essere umano che consiste appunto nel fare parte totalmente della natura, dell'universo. «Sembra che vengano di qui la pace e la tranquillità che si notano sul volto della maggior parte dei morti» [trad. it. , 1949 (cap . 4 1 ) ] .

afferma Schopenhauer. Anzi aggiunge: «Se si bussasse alle tombe e si domandasse ai morti se vorrebbero risorgere, essi crollerebbero il capo» [trad. it. , 187 1 (cap. 4 1 ) ] .

Quindi, chi h a capito veramente cosa siano la morte e l a vita, muore con­ tento e volentieri. Egli non desidera «la sopravvivenza della sua persona» [trad. it. , 1 95 1 ] . Egli sa che, con la morte, l'essere vivente non subisce un annientamento assoluto , ma continua a sussistere nel tutto della natura. Così Schopenhauer e la sua mistica della natura, quasi in forma ste­ nografica. Cosa è accaduto ? cosa è avvenuto nella storia del pensiero? Si tratta, in fondo , di una enorme frattura. Nell' antichità, la filosofia greca e

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il pensiero giuridico romano avevano posto le basi per il nostro concetto attuale di "persona" o di "personalità " . La teologia cristiana aveva poi ap­ profondito il concetto, trasferendolo in Dio mediante la teologia trinitaria. I teologi medievali svilupparono la loro filosofia della persona all'interno del trattato sul Dio uni�rino. Per loro "persona" umana significa: un io inconfondibile; una individualità non interscambiabile e insostituibile; un sé indivisibile e libero, singolare, che mai è esistito prima e mai potrà ripe­ tersi. E nonostante questa individualità inconfondibile, la persona esiste come qualcosa che è orientata agli altri, verso coloro che le sono "accanto" e sono " con " lei, addirittura come qualcosa che è indelebilmente orientata verso Dio. Essendo ogni essere umano una persona creata da Dio, da Dio chiamata per nome e amata , è portatore di una dignità profondissima. Per molti secoli si è vissuto di questo concetto cristiano di persona, trovando in esso solidità e sostegno. Durante il XVIII e il XIX secolo, però, in Europa in molti si sviluppò una forma di nausea nei confronti del cristianesimo. Il concetto cristiano di persona svanì e, con esso , anche la fede in un incontro con Dio nella morte. Questo fenomeno trovò un'espressione particolarmente accattivan­ te in Arthur Schopenhauer, che vi unì una buona dose di stanchezza e di rassegnazione occidentali. Tuttavia, con una radicalità estrema egli non fece altro che dar voce a ciò che non pochi sentivano in modo più o meno consapevole: la morte come un dissolversi nel cosmo o nell'anima del mondo, morire come ritorno nell'unità di tutti gli esseri, anzi come un identificarsi con tutti gli altri esseri umani che sono vissuti nei tempi passati e che vivranno in quelli futuri. I sistemi delle religioni orientali, che dal XVIII secolo in poi affascinarono molti eruditi europei, ebbero un ruolo importante in questo processo. Il buddhismo, in modo particolare, fu celebrato in Occidente come esempio di un felice connubio tra razionalità e spiritualità. Thomas Mann ( 1 875 - 1955 ) ha descritto magistralmente questo senti­ mento del mondo, che in Europa era inedito e che cominciava ad emergere sotto forma di senso di decadenza e di pessimismo, nel suo grande romanzo sulla decadenza dei Buddenbrook33 . Il senatore di Lubecca, Thomas Bud­ denbrook, all'età di cinquant'anni è caduto in una profonda crisi esistenzia­ le. È stanco. Non sa più che senso possa avere la sua vita. Alla risurrezione

Per quel che segue cf TI-IOMAS MAN N , Buddenbrooks. Ver/a ll einer Familie, Fischer, Frankfurt a. M. 1956 2 , 575-580 (parte X, capitolo V) [trad. it . , I Buddenbrook, in THOMAS MAN N, Romanzi I, Mondadori, Milano 2007 , 727s . , 73 l s . ] .

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cristiana non può più credere ormai già da molto tempo. Inoltre, suo figlio Hanno , inetto negli affari, è per lui una delusione enorme. Un giorno, un libro che era rimasto fino ad allora sepolto nella libreria gli capita tra le mani. Thomas Mann non nomina l' autore, ma si tratta ovviamente del Mondo come volontà e rappresentazione di Schopenhauer. Il senatore si immerge in una lettura che lo inebria. Il libro lo scuote pro­ fondamente portandolo per alcuni giorni in una condizione di felicità. Qui trova improvvisamente un motivo, che gli pare plausibile, per sperare in una sopravvivenza. Fino a quel momento Si era detto che come aveva vissuto nei suoi antenati, così sarebbe sopravvissu­ to nei suoi discendenti. Quell'idea, oltre che accordarsi con il suo senso della famiglia, la sua consapevolezza di patrizio, il suo rispetto per la storia, lo aveva sostenuto e confermato anche nella sua attività, nelle sue ambizioni, nella con­ dotta di tutta la sua vita. Ma ora, di fronte all'occhio vicino e penetrante della morte, tutto questo crollava miseramente [. . . ] . E Thomas Buddenbrook si al­ lontanò deluso e privo di speranze dal suo unico figlio nel quale aveva sperato di continuare a vivere forte .e ringiovanito, e cominciò a cercare con affannoso timore quella verità che pure da qualche parte doveva esistere per lui.

Questa "verità" la trova nelle ore inebrianti della sua lettura di Scho­ penhauer: «Vivrò ! disse Thomas Buddenbrook quasi ad alta voce, e si sentì scuotere il petto da un intimo singhiozzo. È così, vivrò ! Si vivrà. [. . . ] Che cos'era la mor­ te? La risposta non gli si presentò in parole povere e pretenziose: la sentì, la possedette nell'intimo. La morte era felicità, così profonda che poteva essere giudicata appieno solo ih momenti di grazia come quelli. Era il ritorno da un labirinto indicibilmente tormentoso, la correzione di un grave errore, la libera­ zione dai vincoli e dai limiti più avversi - rimediava a un incidente deplorevole. Fine e decomposizione? Tre volte degno di pietà chiunque fosse terrorizzato da quei concetti insignificanti ! Che cosa finirebbe e che cosa si decomporrebbe? Quel suo corpo . . . Quella sua personalità e individualità, quel lento, caparbio, imperfetto e odioso ostacolo a essere diverso e migliore ! Ogni uomo non era forse un errore e uno sbaglio? non cadeva in una penosa prigionia non appena nasceva? Carcere ! Carcere ! Vincoli e limiti ovunque ! Attraverso le sbarre della sua individualità l' uomo fissa disperato le mura di cinta delle circostanze esteriori, finché la morte non arriva e lo richiama a casa e alla libertà. [ . . . ] In mio figlio ho sperato di continuare a vivere? in un a personalità ancor più timorosa, p iù debole, più incerta? Infantile, fuorviata s tol t ezza ! Che me ne

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faccio di un figlio? Non ho bisogno di figli ! . . . Dove sarò quando sarò morto? .Ma è di una chiarezza così luminosa, di una semplicità così sbalorditiva ! S arò in tutti coloro che sempre hanno detto, dicono o diranno Io: ma soprattutto in coloro che lo dicono in modo più pieno, più vigoroso, più lieto . . .

Naturalmente, non sono affermazioni coerenti. n senatore, nell'ebbrezza procuratagli dall'idea della natura universale, non ha capito del tutto il suo Schopenhauer. Dire "io" con gioia e con forza, significa infatti cadere di nuovo nella dannata brama di individualità, del sé, della propria persona. Chi è veramente saggio, nel senso di Schopenhauer, rifiuta la volontà di vita, si stacca da qualsiasi volere, perviene allo «stato della volontaria rinuncia, della rassegnazione, della vera calma e assoluta assenza di volontà» [trad. it. , 737 (libro IV, § 68 ) ] . Proprio in questo modo, morendo al proprio sé, confluisce nel nulla in cui non, c'è più nessuna bramosia. Tuttavia, l'incoerenza del senatore Thomas Buddenbrook è già presente nello stesso buddhismo. Secondo questo, infatti, l'essere umano è sotto­ messo alla rinascita poiché non si è ancora spogliato della sua bramosia ed è ancora assetato dell'essere. In realtà, però, l'essere umano non pos­ sederebbe affatto un "io" che si conserva, ma ciò che si trasmette da una reincarnazione all'altra sarebbe soltanto una specie di potenziale di energia, un complesso di energie psichiche e di processi neuronali che continuano a sussistere. In questo modo il buddhismo contraddice sé stesso. Infatti, o queste energie fluttuanti garantiscono che continui a permanere l'identità della persona - e in questo caso continua a sussistere l' " io" . Oppure non c'è mai stato un "io " - e allora non si può parlare di una redenzione dell'uomo dal suo "io " ; allora non si può parlare neppure di una liberazione dall'illusione dell' "io" Un certo settore dell'esoterismo oggi in voga, che desidera rifarsi alla filosofia del buddhismo, lo fa però con la stessa incoerenza di Thomas Buddenbrook, il quale, fra l'altro, già dopo due settimane non potrà più cre dere alla pseudomistica di Schopenhauer. I nuovi esoterici preferiscono mettere da parte l'ascesi radicale e la negazione della volontà di vita, ma in cambio dipingono la morte con toni luminosi. Anche per loro essa significa lib erazione da tutto ciò che opprime, dalle catene dell'individualità. Anche per loro con la morte si arriva finalmente alla vera libertà, all'essere una cosa sola con tutte le cose e alla fusione con le oscillazioni e le energie del cosmo. A questo proposito è di nuovo utile dare un'occhiata alle differenze che si notan o sugli annunci funebri attuali. Non vi si parla solo della speranza c ristiana, neppure solo della sopravvivenza nella discendenza, ma appunto

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anche della allettante dissoluzione nella natura universale. N e è un esempio il testo seguente, stralcio di un lungo necrologio che occupava più di mezza pagina di giornale: Sono soltanto una piccola onda nell'oceano. L'onda va e viene. L'oceano resta, è sempre li.

In fondo al necrologio si leggeva: La sepoltura in mare avrà luogo, in forma privata, 1' 1 1 agosto 2009, nel Mar Mediterraneo. Altrove si usa alla testa dell'annuncio funebre un testo ironico del poeta austriaco Ernst Jandl ( 1 925-2 000)34: Siamo gente sui prati presto saremo persone che stanno sotto i prati e diverremo prati, e diventeremo bosco sarà un piacevole soggiorno temporaneo.

Il necrologio non ha croci, ma un albero riccamente ramificato. Tutto questo è semplicemente coerente. Per secoli i cristiani hanno sepolto i loro morti nelle tombe. Era un segno della loro fede nella risurrezione. Se questa fede viene meno, e al suo posto subentra la fede convinta (o quella piuttosto vaga) in un ritorno nell'universo eterno, allora è molto più appropriato far disperdere le proprie ceneri nel vento o nel mare, o seppellirle anonima­ mente ai piedi di un vecchio albero nel bosco - ancor meglio utilizzando un'urna biologicamente compatibile in un cimitero del bosco (Friedwald) . I parenti si potranno consolare al pensiero che i resti organici dei defunti un giorno si distenderanno al sole nelle foglie che mormorano al vento. Effettivamente, ai giorni nostri, le forme di sepoltura cambiano molto rapidamente. Sono sempre di più persone che possono immaginarsi di non essere più sepolte in un cimitero al vecchio modo ma con altre modalità: come cenere compressa trasformata in un " diamante del ricordo" , oppure come polvere dispersa in mare o soffiata via dal vento su di un monte, o anche come cenere inumata in cimiteri dei boschi e in " selve del riposo " (Ruhe/orsten) sotto un albero nel grembo della natura - o molto sempli­ cemente sparsa tra l'erba di un prato35 • Non è quindi un caso che una

34 35

FAZ del 12 marzo 20 16, 6. C/. l'interessante libro di R.

SòRRJES, Ruhe san/t.

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massima, attribuita all'imperatore Marco Aurelio, goda di un gradimento sempre maggiore come testo per i necrologi [c/ Ricordi, RCS Libri, Milano 1 997 , 1 07 (II libro, n. 4)] : Sei venuto all'esistenza come parte di un tutto, svanirai tornando di nuovo in ciò che ti ha generato.

Chiunque sia stato a formulare questa massima, il suo significato è as­ solutamente panteistico. L'essere umano ritorna nel grembo di una natura divina, eterna, incommensurabile, onnicomprensiva. Le persone che oggi citano questa massima, difficilmente potranno comprenderla chiaramente in questo senso - per loro sarà certamente tutto molto più rarefatto. Tutta­ via, resta ancora presente una certa percentuale di panteismo, accompagna­ ta da vaghe rappresentazioni di un " grande ambiente animato " all'interno del quale l'uomo come persona si dissolve. Questa mistica del dissolvimento trova sostegno, ovviamente, anche nelle odierne conoscenze di carattere biologico e fisico. Oggi sappiamo che nel nostro corpo ogni minuto muoiono circa 30 milioni di cellule, che vengono sostituite da altrettante nuove cellule. Ciascuno di noi - da un punto di vista puramente biologico - ogni due anni è completamente sostituito. Questo ricambio continuo del nostro organismo, però, con la morte s'interrompe. Che cosa succede allora? Lorenz Marti, giornalista radiofonico e figlio del teologo Kurt Marti, ha scritto un libro che cerca di mettere insieme scienze della natura, esoterica e mistica. Scrive36: Un giorno, speriamo non troppo presto, gli atomi del tuo corpo si separeranno definitivamente e prenderanno altre strade. Allora per te sarà purtroppo la fine. Non così per gli atomi. Essi instaureranno nuovi legami, appariranno forse nel giallo luminoso di un dente di leone, nell'umidità di una goccia di pioggia o nel collo di una giraffa. E di sicuro anche nel cuore di altri esseri umani.

Nel capitolo seguente del suo libro, Lorenz Marti parla dello scambio continuo di energia tra l'essere umano e il suo ambiente. E si chiede: Che ne sarà della tua energia, quando tu non esisterai più? Essa apparirà in forme nuove: alberi, nuvole e pietre. Si mostrerà in fragole, rinoceronti ed es ­ seri umani. Forse persino nella scia luminosa di una meteora. Questa certezza 36 LoRENZ MARTI, Eine Hand val! Sternenstaub. Was das Universum iiber das Gliick des Daseins erziihlt, Kreuz Verlag, Freiburg i. Br. 2012, 197 , 200.

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parte prima ci può riconciliare con la finitudine della nostra esistenza. C'è qualcosa che continua.

Egli cita poi il monaco Zen vietnamita Thich Nhat Hanh ( 1 92 6- ) , che tiene viva in sé questa consapevolezza: Ogni giorno contemplo come tutto intorno a me si deteriora: gli alberi, le mon­ tagne, i miei amici. In tutti loro riconosco me stesso, e so che non morirò. Soprawivrò in tante altre forme.

Confesso che il pensiero che le mie energie fisiche sopravvivranno un giorno nelle fragole o nei rinoceronti non mi aiuta affatto a riconciliarmi con la finitudine della mia esistenza. Neppure mi basta sapere che " qualcosa " continuerà o che sopravvivrò "in tante altre forme " . Per l a grazia creatrice di Dio, vorrei sopravvivere proprio con la mia persona, altrimenti niente. Considerando tutta questa mistica del dissolvimento, che (a quanto pare) è così felice che si possa fluire negli alberi, nelle montagne e nelle meteore, mi domando: l'evoluzione biologica e culturale dell'essere umano non è andata esattamente nella direzione opposta? vale a dire, verso una sempre maggiore consapevolezza di sé stessi, verso un'indipendenza da ciò che è soltanto istinto e necessità, verso un'emancipazione dal predominio del collettivo, verso il diventare persona, verso una comprensione sempre più intensa dell'insostituibilità di ogni individuo? Ciò si può osservare già nello sviluppo di un bambino. Da neonato, deve ancora imparare a distinguere fra sé e gli altri. Poi impara a percepire le persone di riferimento e, proprio in questo modo, a comprendere sé stes­ so, a costruire sé stesso. Impara a parlare, a utilizzare i concetti. Arriva il giorno in cui per la prima volta dice "io" . Passo dopo passo diventa capace di incontrare veramente gli altri, di uscire da sé stesso, di percepire l'altro, di voler bene, di amare. E ciò che vale per il bambino, vale per l'essere umano in generale. Tutto il suo sviluppo non è finalizzato ai compiti che sono propri di ogni indi­ vidualità, ma alla conoscenza più profonda che ci possa essere: prendere coscienza dell'altro come persona con la sua alterità, con la sua libertà, con tutta la sua capacità di porre resistenza e con la sua storia estranea all ' osser­ vatore, e proprio in questo modo diventare egli stesso un "io" . Giustamente Martin Buber sottolinea che il nostro "io" diventa un vero "io" soltanto nell'incontro con il "tu"37 • 37 M. BUBER, Ich und Du, 37 [trad. it., Uo

e

il Tu, in Il principio dialogico, 30] .

51

Che cosa si pensa riguardo all'aldilà

L'essere umano è fatto per l'incontro. La sua evoluzione eli milioni eli anni andata in questa direzione. Egli non,è rimasto né una stella marina che si muove solitaria sul fondo del mare e che viene fecondata se gli spermi, presenti nell'acqua, si spingono verso eli lei, né un animale del gregge, che va in qua e in là belando dietro la coda di un altro animale. L'essere umano h a un'andatura eretta e una storia unica, irripetibile. E ogni essere umano desidera volgere gli occhi verso il volto amato eli un altro suo simile. Che s enso ha tutto questo, se con la morte l'uomo scompare in un universo aponimo e se la fine della sua vita non è un giungere a una meta ma un disperdersi; non un riconoscere ed essere riconosciuto ma il dissolvimento eli tutto ciò che era; non un gioioso incontro guardandosi in volto ma un perdere sé stessi in un cosmo senza volto? Il grande ma ormai dimenticato poeta tedesco Jean Paul ( 1763 - 1 825 ) ha descritto questo cosmo vuoto in una visione terribile38• È intitolata Discorso

è

del Cristo morto, il quale dall'alto dell'edificio del mondo, proclama che non

vi � Dio alcuno.

In una visione fittizia, Jean Paul vede aprirsi il cielo not­ turno. Il suo sguardo si perde in un universo infinito. Gli si mostra la parte estrema e più profonda del mondo. Vede spalancarsi le tombe e i morti, tremanti, andare incontro alla risurrezione. La figura infinitamente sublime del Cristo morto appare nel cielo, ed ecco che tutta la schiera incalcolabile dei morti della terra, in preda a un terribile presentimento, esclama verso di lui: «Cristo ! Non c'è Dio alcu­ no?». Ed egli deve rispondere: «Non c'è» [trad. it. , 27 ] . A quel punto, C dsto racconta ai morti che sono nelle tombe, cosa accadde al momento :della sua morte: «Ho attraversato i mondi, sono salito fino ai soli e ho percorso a volo, lungo le vie lattee, i deserti del cielo; ma non c'è Dio alcuno. Sono disceso fin dove l'essere proietta le sue ombre e ho scrutato nell'abisso gridando: "Dove sei tu, Padre? " Ma ho udito solamente l'eterna tempesta che nessuno governa» [trad. , it., 27}

>& Die Rede des toten Christus s i trova nel romanzo Blumen-, Frucht- undDornenstucke oder Ehestand, Tod und Hochzeit des Armenadvokaten FS t. Siebenkiis im Reichsmarkt/lecken Kuhschnappel, Berlin '1 7 96 -1797 [trad. it . , Fiori, frutti e spine, ovvero Vita nuziale, morte e matrimonio dell'avvocato dei poveri .FSt. Siebenkiis nella borgata di Kuhschnappel, Laterza, Bari 1948] , e sta come Erstes Blumenstuck - Pri­ mo pezzo fiorito alla fine del Zweiten Biindchen Secondo libretto. Qui è citato secondo l'edizione J EAN PAUL , Siebenkiis (Rowohlts Klassiker 17/18), Hamburg 1957 162 [trad. it. , Discorso del Cristo morto, il quale dall'alto dell'edificio del mondo, proclama che non vi è Dio alcuno, in Tre scritti sul nichzlismo, Morcelliana, Brescia 2019, 27] . -

,.

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parte prima

Segue poi il passo più terribile di tutto il testo. Cristo racconta di aver cercato, in quello spazio incommensurabile, il volto del Padre. Non lo trovò. C'era soltanto il cosmo infinito, che lo fissò «Con una vuota orbita senza fondo; e l'eternità si stendeva sopra il erodeva e ruminava sé stessa» [trad. it. , 27] .

caos

e lo

Il Discorso del Cristo morto) il quale) dal!)alto dell'edificio del mondo pro­ clama che non vi è alcun Dio è, sotto il profilo linguistico, uno dei grandi

testi della letteratura tedesca, e certamente anche uno dei più inquietanti, sebbene il narratore alla fine si svegli rendendosi conto che si trattava sol­ tanto di un brutto sogno. Questo testo smaschera spietatamente tutte le mistificazioni che mettono in conto una "madre natura" che ci accolga tra le bràccia nel momento della morte e in cui possiamo dissolverci felicemente. Se non c'è alcun Dio, se non c'è alcun incontro con colui verso il quale già da sempre ci siamo incamminati, se non ci sarà un "vedere faccia a faccia" , noi moriamo cadendo in un nulla glaciale, senza volto.

6. n desiderio di spegnersi

Un "nulla glaciale" , certamente è soltanto un'immagine. Già il filosofo greco Epicuro (circa 341-27 1 a.C . ) sottolineava che non si deve temere la morte, poiché il tempo prima della morte non è ancora morte e la morte, in sé stessa, è l'ingresso in un puro nulla, nel quale non ci sono più sensazioni. «Quando ci siamo noi non c'è la morte, quando c'è la morte noi non siamo più»39• Della morte, quindi, non si deve avere paura. In effetti, oggi incontriamo molte persone che non s'interessano in nes­ sun modo della loro morte. Sono così occupati della loro vita, che per loro la morte non significa niente. Naturalmente, sanno che un giorno moriranno. Un giorno, non si sa quando. Però non adesso40• Neanche si fanno domande sul " dopo " . Nella loro vita non c'è posto per il tema "morte"

39

EPICURO, Lettera a Meneceo, nn. 124-126 [trad. it., in Opere, Einaudi, Torino 1973 , 108] . Cf. la descrizione di Pavel Nikolaevié Rusanov in ALEXANDER SOLSCHENIZYN, Krebsstation l , Rowohlt, Reinbek 1 97 1 , soprattutto 226 [tra d. it . , ALEKSANDR SOLGEN!TSIN, Divisione cancro I , Garzanti, Milano 1974, 349] . •o

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Ch e cosa si pensa riguardo all'aldilà

Certamente i media fanno vedere la morte migliaia di volte - e non solo nelle notizie. L'industria dell'intrattenimento vive di cadaveri - carbonizza­ ti, putrefatti, mutilati, fatti a pezzi. Così, ad esempio , uno dei motivi degli odierni romanzi criminali è senza dubbio l' autopsia, che viene descritta nel modo più dettagliato ed erudito possibile. In modo simile , è entrato a far parte da circa vent'anni nell'inventario dei personaggi della letteratura d'evasione una nuova figura: l'antropologo forense che, analizzando lo stato di sviluppo delle larve dei mosconi, stabilisce il momento in cui la vittima è stata uccisa. Simon Beckett inizia il suo romanzo La chimica della morte con queste parole41: Il corpo umano inizia a decomporsi quattro minuti dopo l a morte. Quello che è stato l'involucro della vita subisce adesso la metamorfosi finale. Comincia a digerire sé stesso. Le cellule si decompongono a partire dall'interno. I tessuti si trasformano in liquidi, quindi in gas . Non più animato, il corpo diventa un banchetto immobile per altri organismi. Prima i batteri, poi gli insetti. [ . . ] .

Oggigiorno, testi di questo genere sono frequentissimi nei romanzi d'e­ vasione. Le sale della medicina legale di color bianco-ospedale sono ormai il luogo più importante di tutti i film polizieschi della televisione. Le au­ topsie sono obbligatorie. Si dovrebbero menzionare, al riguardo, anche gli innumerevoli video giochi nei quali la regola principale consiste nell'essere abili e veloci ad uccidere. La morte è quindi assolutamente presente nella nostra società. Però, lo è per soddisfa re quotidianamente comportamenti consumistici, non come tema esistentivo . Se questi consumatori di cada­ veri e di morte, un giorno , nella loro famiglia, si confronteranno con la morte reale, saranno in profondo imbarazzo, ammutoliti e impotenti . Per fortuna, nelle vicinanze ci sarà un'impresa di pompe funebri, che penserà a sistemare tutto. Tuttavia, è così solo in una parte della società. In campo filosofico, per esempio, la morte ha continuato a rivestire un ruolo straordinario42• Lo stesso vale nella letteratura. Da molto tempo, numerosi scrittori e poeti si confrontano intensamente con il tema della morte. Anche nell' ambito della cosiddetta "letteratura della mutua assistenza" i libri sulla morte e sul

SlMON BECKETT, Die Chemie des Todes. Thriller, Rowohlt, Reinbek 20092\ 7 [trad . it. , La chimica della morte, Bompiani, Milano 2015 , 7 ] . 42 Su questo rimandiamo alle panoramiche di G . Scr-IERER, Das Problem des Todes in der Philosophie [tr ad. it. , Il problema della morte nella filosofia, Queriniana, Brescia 1995 ] , e a P. GEI·TRING, Theorien des Todes zur Ein/uhrung.

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parte prima

morire sono ben rappresentati43 • Si deve anzi dire che oggi regna una certa "loquacità" sulla morte44• In ogni caso, per molte persone accorte, oggigior­ no non c'è più quella "rimozione della morte" , di cui si è parlato in passato. Ci sono sempre più uomini e donne che riflettono su come potranno morire dignitosamente, che con consapevolezza guardano alla propria morte, la considerano apertamente e parlano con i propri parenti di che cosa fare in caso di demenza progressiva o di un coma che si protrae nel tempo. Altri s'impegnano nel movimento Hospice per l'accompagnamento di fine vita. Questo movimento - che esiste degli anni '60 del secolo scorso - afferma giustamente: abbiamo bisogno di case di cura, di centri di medicina pal­ liativa e di servizi infermieristici specifici, che possano dare alle persone in fin di vita il tempo e le attenzioni necessarie. Infatti, i nostri ospedali e il personale che vi lavora normalmente non sono in grado di permettere ai morenti una morte dignitosa. li medico Michael de Ridder, di Berlino, sulla base di un'esperienza clinica pluridecennale, ha scrittq45: I nostri ospedali, se si prescinde da qualche rara eccezione, sono l'espressione, fattasi cemento e acciaio, del contrario di ciò di cui una persona, alla fine della propria vita, ha bisogno. Tanto la loro configurazione architettonica e gli arre­ damenti interni quanto la disponibilità. e competenza di un personale medico e infermieristico ampiamente sovraccarico di lavoro, non sono adatti a pren" dersi cura e ad assistere una persona che sta andando incontro alla morte. Alla stregua di macchinari più o meno perfetti, essi suscitano nel morente piuttosto la sensazione di essere come sabbia ·nei loro ingranaggi. Gli instillano senso di impotenza, di dipendenza e anche qualcosa che alla fine può pregiudicare l'efficacia di certi sforzi terapeutici: ansia esistentiva.

Ci deve forse meravigliare che, di fronte a questa situazione, un terzo dei cittadini tedeschi abbia già pensato, almeno una volta, di togliersi la vita nel caso in cui divenga, in modo permanente, bisognoso di cure e che un'alta percentuale della popolazione sia d'accordo con l ' " eutanasia attiva" ? N o n si tratta soltanto della p aura di una situazione in cui si diventa radicalmente dipendenti dall'aiuto altrui. È evidente che, per molti nostri

43 Cf p er es empio G.D. BoRASIO, Ober das Sterben. Was wir wissen. Was wir tun konnen. Wie wir uns darauf einstellen, C. H. Beck, Miinchen 201 1 [trad. it. , Saper mo rire .. Cosa possiamo /are, come possiamo prepararci, Bollati Boringhieri, Torino 2015] . 44 Cf P. GEHRING, Theorùm des Todes, 167 - 168 . 4� M. DE RrnDER: , Wie wo llen wir sterben ?" Ein à'rztliches Plà'doyer/iir eine n eue Sterbekultur in Zeiten der Hochleistungsmedizin, Deutsche Verlagsanstalt, Miinchen 2010.

Che cosa si pensa riguardo all'aldilà

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contemporanei, sta crescendo al contempo il fascino esercitato da un suici­ dio pianificato ip modo consapevole. Non sarebbe forse sensato celebrare la propria morte come ultimo " atto di libertà" ? Non si tratta solo del fatto che in Europa ci sono, già da molto tempo, cliniche nelle quali i medici assistono in questo con gli strumenti necessari. E neppure si tratta solo del fatto che ci sono organizzazioni, come la sviz­ zera Dignt'tas, che possono essere contattate allo scopo di togliersi la vita e che poi prestano la consulenza, l'accompagnamento e gli ausili necessari al suicidio. No, ci sono sempre anche più libri e film nei quali si racconta minuziosamente come ammalati gravi o persone anziane preparino il loro exitus e lo celebrino con una sceneggiatura accurata. Vi si descrive come puliscono l' abitazione e mettono i fiori sul tavo­ lo, perché la morte scelta liberamente sia una "festa " . Poi mettono sulla porta della loro stanza da letto una dichiarazione in cui comunicano di aver scelto liberamente di morire. L'uomo si spazzola i capelli e si infila il pigiama migliore. La donna si dà il rossetto e indossa la collana più bella. Le compresse vengono contate, schiacciate e sciolte in un liquido. Prima del bicchiere letale si prende un po' di cibo e un farmaco antiemetico, per impedire che lo stomaco rigetti il veleno. Su di una lista sono state indicate in modo accurato tutte le cose da fare e da osservare. Le hanno potute trovare in Internet o sui libri di riferimento che danno, in modo dettagliato, tutti i consigli necessari. Tutto questo entra nelle nostre case sotto forma di libri o di film - e così anche noi possiamo essere presenti. Il desiderio macabro di presenziare al suicido mediatico di altre persone può avere naturalmente - oltre al sem­ plice voyeurismo - molti motivi. Dato che, in pratica, nella nostra società pon esistono più tabù (la sessualità già da tempo è totalmente pubblica e viene commercializzata fin nei suoi più piccoli dettagli) , qui si offre la possibilità di infrangere forse uno degli ultimi tabù4 6• Questi suicidi volontari diventano ancor più sconfortanti quando non sono fittizi, ma sono portati a termine realmente, con i parenti presenti come spettatori. A Monaco, era stato diagnosticato l'Alzheimer a una donna di settantasette anni che, a seguito di ciò, aveva deciso di togliersi la vita in casa alla presenza dei suoi familiari. Dopo il suicidio, in un primo momento, il pubblico ministero iniziò un procedimento contro i parenti per omissio­ ne di soccorso. Il prowedimento però fu poi velocemente annullato. Nel

46

C/ R. GRONEMEYER, Au/ dem Weg zur Selbstverwaltung des Sterbens?, 272.

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parte prima

decreto eli annullamento, emanato dal pubblico ministero di Monaco il 3 0 luglio 2010, l'accaduto viene descritto nel modo seguente47 : I figli della futura defunta giunsero nell'abitazione della loro madre la sera del 28 febbraio 2009. Qui, in un primo momento, si trascorse un momento di conversazione e poi si prese un pasto insieme. La futura defunta assunse poi un farmaco antinausea. Circa mezzora più tardi ingoiò le compresse. Dopo si bevve insieme dello spumante. Trascorsi circa dieci minuti, la futura defunta cominciò ad avvertire stanchezza, si lavò i denti e indossò la vestaglia. Dopo si coricò nel proprio letto. Uno dopo l'altro gli imputati si avvicinarono alla loro madre e si accomiatarono. Quando, intorno alle 0:30 del l o marzo 2009, la respirazione divenne superficiale e irregolare, gli imputati si sedettero al letto della loro madre, tenendole la mano. Intorno alle 0:4 1 , osservando l'assenza di respirazione e di battito cardiaco, fu costatato il decesso. Non si fece nessun intervento volto a salvare la defunta.

Ci si può domandare che cosa sia passato nell' animo dei familiari di fron­ te a questa morte. Afflizione, compassione, affetto, ricordi accompagnati da gratitudine? o forse, magari in forma velata, anche qualche pensiero meno nobile? oppure forse l'idea, che piaceva già a tanti filosofi greci e romani, che la libertà dell'essere umano culmini nel poter scegliere la propria fine e il modo in cui attuarla? Questa convinzione è condivisa da un numero sempre più grande di per­ sone. La dignità dell'essere umano non si manifesta forse in una "uscita" da questa vita autonomamente scelta? Nessuno ha potuto scegliere di entrare in questo mondo, ma è possibile scegliere da soli di uscirne, affermando così la propria libertà. Proprio questo sarebbe il privilegio dell'essere umano, che lo distingue dagli animali: poter "mettere le mani" sulla propria vita. In questa ideologia della libertà certamente gioca un ruolo anche un altro fattore. Cresce sempre più l'interesse a superare le problematiche della vecchiaia e ciò dipende, ovviamente, anche dal fatto che diventiamo più vecchi, molto più vecchi degli uomini delle precedenti generazioni . Diventa sempre più lungo l'ultimo segmento di vita nel quale le energie vitali diminuiscono lentamente, ma inesorabilmente. Lo descrisse in modo magistrale già Arthur Schopenhauer48:

47 OLJVER ToLMElN, Chronik eines angekiìndigten Todes, in Frank/urter Allgemeine Zeitung . FAZ

del 17 settembre 2010, 3 3 .

4 � A . SCHOPEN I IAUER, Die Welt als Wille und Vorstellung, 4 1 ° capitolo della } " edizione (1859) [trad . it. , Il mondo come volontà e rappresentazione, Bompiani, Milano 2006, 1 867s. (Supplementi al libro IV) ] .

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«In vecchiaia le passioni e i desideri vanno sempre più spegnendosi, insieme alla proporzione con la ricettività per i loro oggetti; gli affetti non trovano più stimoli, giacché l'immaginazione si fa sempre più debole, le sue immagini si fanno sempre più sbiadite, le impressioni non attecchiscono più, passano senza lasciare traccia, i giorni si avvicendano sempre più veloci, gli avvenimenti per­ dono la loro importanza e tutto impallidisce. Il vecchio si aggira vacillante, o riposa in un angolo, null'altro che un'ombra, un fantasma di quel che una volta fu. Che cosa resta qui alla morte da distruggere? Un bel giorno un lieve sonno sarà allora l' ultimo, e i suoi sogni saranno- - -» [trad . it. , 1 877s. (cap. 4 1 ) ] .

I n Schopenhauer le tre lineette stanno per l a pienezza del nulla a cui, mo­ rendo, perviene l'uomo nella fase finale della vita. Per Schopenhauer (che comunque era fermamente contrario al suicidio) il dissolvimento dell'uomo in questo nulla era qualcosa di assolutamente positivo. Fa parte dell'uomo, è profondamente conforme alla sua essenza, poiché l'uomo, come le piante e gli animali, è parte del ciclo eterno della natura. Questo è evidentemente ciò che sentono anche molti uomini oggi, sebbene in circostanze diverse. La morte, sia quella procurata sia quella "naturale" , pone termine semplicemente a una vecchiaia il cui peso è di­ venuto sempre più difficile da portare. Si è oramai stanchi. Non c'è più assolutamente nessun interesse per la politica né per i politici. Non si ha voglia di accendere la televisione. Anche la lettura è diventata faticosa. Camminare per la strada richiede estrema prudenza. La memoria a breve termine è sempre peggiore. Anche della memoria a lungo termine, però, non ci si fida più. La mente è sempre più annebbiata. Non si ricordano i nomi e non si riconoscono i visi. I figli hanno la loro vita e poco tempo per fare una visita. Il numero degli amici e dei parenti che sono morti cresce. Perché mai, allora, temere la morte. Essa fa parte della vita umana. Già da sé stessa è una "liberazione" dal peso della vecchiaia. La questione della "vita eterna" non ha nessun ruolo. Di vita, si è avuta questa. In parte è stata bella, in parte irriguardosa. Ora, però, è arrivata alla fine, ed è bene così. Sono questi i sentimenti che si rispecchiano anche nei necrologi. Per esempio, in un testo come questo : La morte, quando arriva, può essere anche dolce, per le persone cariche di anni, la cui mano non è più ferma, i cui occhi sono stanchi, la cui voce ormai può dire soltanto: La vita è stata bella, però ora è abbastanza.

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parte prima

"È abbastanza" - è un motivo antico diffuso già nella lirica del Barocco. N el Canto alla morte di An ton Ulrich von Braunschweig tutto è segnato da questo sospiro49: È abbastanza ! Il mio stanco spirito desidera andare là dove dormono i miei padri. Alla fine ho un buon motivo50 È abbastanza ! Devo darmi riposo.

Nell'insieme il canto ripete per sette volte "è abbastanza ! " . E termina con l' autodettato sommesso e insieme risoluto: «Quindi sia la morte ! ». Tuttavia il canto non parla solo di una vita che è oppressa dal peso che sempre più la opprime; e non parla nemmeno unicamente del desiderio di addormentarsi per sempre. No, l'essere umano, che brama alla fine il sonno redentivo, pone l'intera vita nelle mani di Dio: Così ora prendi, Signore ! l'anima mia, che dispongo nelle tue mani e alla tua cura. Scrivila nel libro della vita. È abbastanza ! Che io mi distenda e dorma. Qui sta la più profonda differenza dal mero desiderio di molti anziani della nostra società che vogliono semplicemente addormentarsi per scom­ parire per sempre. Il poeta dell'epoca barocca voleva morire per essere con Dio. Reinhold Schneider ( 1 903 - 1 95 8 ) , nel suo Winter in Wien - Inverno a Vienna, afferma che in fondo il desiderio di addormentarsi, di spegnersi, sia stato sempre qualcosa di normale, di umano, di conforme alla natura. La questione della "vita eterna" sarebbe collegata a una costellazione storica ben determinata, che ebbe il suo culmine con l'arrivo di Gesù. Al di là di essa, la questione relativa alla vita eterna non sarebbe stata affatto presente e oggi comincerebbe di nuovo a scomparire5 1 : L'intera cultura cristiana, con tutte le s ue irradiazioni, s i sostiene sulla serietà di questa questione. Si tratta, però, di una questione essenziale per l'essere urna-

49 Da LUDWIG REINERS (ed. ), Der ewige Brunnen. Ein Hausbuch deutscher Dichtung, a cura di Albert von Schirnding, C.H. Beck, Miinchen 2007 . 5° Con questa antica locuzione si intende: "Alla fine ho il diritto" REI NHOLD ScHNEIDER, Winter z'n Wi'en. Aus meinen Notizbuchern 1 957/58, Herd er Freiburg i. Br. 1 9616, 98-99. ,

Che cosa si pensa riguardo all'aldilà

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no? essa è imprescindibile? No. Né i presocratici né gli stoici se la sono posta; schiere innumerevoli di popoli sono passate e passano senza esserne turbate.

Per Reinhold Schneider, quindi, il desiderio d'immortalità non fa parte dell'essenza dell'uomo. Di sicuro questo desiderio della vita eterna è stato presente nell'ambito della cultura cristiana. Tuttavia, ci sarebbero stati in­ teri popoli che " sono andati incontro alla morte" senza nessun desiderio di eternità. Nella società odierna, i predicatori cristiani si troverebbero all ' im­ provviso di nuovo di fronte al " silenzio sulla questione dell'immortalità" Che cosa dire di questa tesi storico-culturale? È certamente accattivante. Reinhold Schneider avrebbe potuto citare Friedrich Nietzsche (1 844- 1900) che in Ecce homo, il suo ultimo grande libro, nel quale guarda retrospetti­ vamente alla sua vita e opera, scrive con un tono quasi trionfalistico e un ' po millantatore: «Dio», «immortalità dell'anima», «redenzione>>, «al di là», sono tutti concetti. ai quali non ho dedicato nessuna attenzione, e neppure il mio tempo, anche da bambino, ..,.. forse non sono mai stato abbastanza infantile per farlo? - L'a­ . t eismo, per me, non è un risultato, e tanto meno un awenimento, - come tale i10n lo conosco: io lo intendo per istinto. Sono troppo curioso, troppo proble­ matico, troppo tracotante, perché possa piacermi una risposta grossolana. Dio è una risposta grossolana, una indelicatezza verso noi pensatori -, in fondo è solo un grossolano divieto che ci vien fatto: non dovete pensare ! [trad. it. , F. NIETZSCHE, Ecce homo, in G. CoLLI ...., M. MoNTINARI (edd . ) , Opere di Friedrich Nietzsche VI/III, Adelphi, Milano 1 970, 286 (Perché sono così accorto 1 ) ] .

Nietzsche sembra aver annunciato così l a fine della questione dell'immor­ talità. Aveva dunque ragione Reinhold Schneider? No, anche lui pensava e sentiva come uomo del suo tempo. Evidentemente non riusciva a vedere che il desiderio della vita eterna si può celare nelle forme più differenti, per esempio nella fede nella reincarnazione o nel desiderio di ritornare nel grembo della natura, madre universale, o nell'idea di un eterno ritorno, oppure semplicemente anche nella speranza disperata di sopravvivere nei discendenti. Soprattutto non poteva sapere ancora niente del nuovo risve­ gli o dell'Islam, che stiamo sperimentando oggi. Per l'Islam la fede nella risurrezione dei morti è una cosa ovvia. Reinhold Schneider non sapeva niente neppure dell'esoterismo neopaga­ no del presente: qui il desiderio dell'aldilà conosce una crescita rigogliosa e fiorisce con colori esotici. Infine, per quanto riguarda lo stoicismo antico, Reinhold Schneider si è semplicemente sbagliato. La dottrina degli stoici s ull� " cose ultime" non era assolutamente unitaria. Oscill ava tra un puro

60

parte prima

materialismo e una pia credenza nell'anima. Nella Stoà media e più recente incontriamo alcuni pensatori di primo piano che erano convinti dell'im­ mortalità dell'anima, come per esempio Posidonio ( 135-5 1 a.C . ) e Seneca ( 1 -65 d.C. )52• Sul cammino dell'anima dopo la morte, Seneca ha potuto scrivere queste parole'3: Integro, senza lasciar nulla di sé sulla terra, è fuggito e se ne è andato nella sua completezza. Si è soffermato brevemente in un luogo superiore, per purificarsi e scuotersi di dosso i difetti e tutte le patine che ineriscono alla vita mortale, poi si è innalzato nel più alto del cielo e colà si muove liberamente tra le anime felici. Lo ha accolto una compagnia sacra.

Per Seneca questa idea rappresentava un dogma fondamentale del suo insegnamento. L'anima immortale attraversa le regioni celesti ancora per un tempo determinato, in modo da puri:ficarsi da tutte le proprie mancanze. Poi giunge nella sede dell'essere eterno, dove può dimorare nella " compa­ gnia sacra" dei filosofi e dei saggi. No, su questo punto Reinhold Schneider si è semplicemente ingannato. La domanda sull a sorte dell'uomo dopo la morte fu posta con grande in­ tensità già migliaia di anni prima del cristianesimo. Si pensi, per esempio, solo all'Egitto (cf Parte II, 3 del libro), e a tutt'oggi non si è ancora tacitata. Riemerge sotto tanti aspetti, spesso in modo nascosto e in forme sfuggenti. Essa fa parte dell'essenza dell'essere umano che, in tutto ciò che fa, si pro­ tende verso l'infinito. Pertanto, possiamo e dobbiamo domandarci: che ne è di noi al momento della morte? che ne è della nostra vita, del nostro io, della nostra coscienza, della storia della nostra vita? quel momento segna la nostra fine? dopo c'è solo la grande notte, il sonno eterno e il nulla assoluto? il nostro io svanisce per sempre? o dopo viene quella vita che i cristiani, con un'espressione così logora e comunque insostituibile, chiamano "beatitudine eterna" ? Ma c'è di più . Possiamo e dobbiamo domandarci: Che ne è della storia del mondo? che ne è del numero incalcolabile di persone declassate, tor­ turate, violentate, uccise? l'ingiustizia, la menzogna, la manipolazione, la sofferenza di miliardi di innocenti, non saranno mai portate alla luce e chiarite? e, viceversa, alla fine gli innumerevoli sforzi .di cercare la verità, di

52 Cf. K. AnEL, Poseidonios un d Senecas Trostschrz/t an Marcia (dia!. 6, 24, 5//.), in Rheinisches Museum 107 (1964) 22 1 -260, specie 25 8. 53 Seneca nella sua Consolazione a Marcia, 6 (Dialogo finale) [trad . it. , Tutte le opere, Bompiani, Milano 200, 1 5 1 (25 , n n . l e 2 ) ] .

Ch e cosa si pensa riguardo all'aldilà

61

alleviare le sofferenze delle vittime, di migliorare la situazione della società finiranno nel nulla , perché non ci sarà soltanto la morte del singolo, ma an­ che la scomparsa di intere nazioni e culture e perché il tramonto inesorabile sarà la conclusione di tutte le cose? o, invece, ci sarà Dio che chiarirà tutto ciò che è accaduto nella storia universale e dunque anche la risurrezione di tutta la storia in Dio, nell'amore di Dio che instaurerà la giustizia?

parte seconda

CHE COSA SPERIMENTÒ ISRAELE

1.

Una fede che cerca di comprendere

N ella prima parte del libro, ci si è dischiuso un vasto orizzonte di rituali, immagini, miti e concezioni filosofiche, di speranze coinvolgenti ma an­ che di negazioni distaccate. In realtà, si è trattato solamente di un piccolo scorcio. Lo sguardo avrebbe potuto allargarsi all'infinito. Tuttavia, questo è bastato a farci capire una cosa: stiamo trattando una domanda essenziale per l'essere umano. Essa emerge dal profondo della sua esistenza. E non può tacitarsi. Non si può mettere a tacere neppure quando la morte viene considerata soltanto come uno spegnersi. Persino nell'affermazione capar­ bia: "Veniamo dal nulla e al nulla torniamo " , che è in tutti i sensi una specie di professione di fede, vibra probabilmente la domanda se forse non possa essere vero che tutto sia totalmente diverso. Lo sguardo sulla storia delle culture e delle religioni, però, non mostra solamente che la ricerca indagatrice di una risposta non possa fermarsi. Mostra anche un'altra cosa: le risposte cangiano in tutti i colori e in tutte le direzioni. Si muovono su livelli infiniti che vanno da credenze religiose nell' anima a uno scetticismo radicale. C'è un grande coro che alza la sua voce davanti a noi. Non canta però soltanto in polifonia, ma fa sentire anche dis sonanze stridenti. Evidentemente, dal punto di vista delle possibilità umane, non c'è una risposta univoca alla domanda sulla sorte dell'uomo dopo la morte. Al riguardo, infatti, le parole umane concernono un fatto che nessun uomo vivente ha sperimentato in prima persona1 • Ma è possi­ bile in generale rispondere a questa domanda? 1 Nel libro non mi occupo delle cosiddette "esperienze ai confini della morte" . Esse sono interessanti, spesso addirittura affascinanti, tuttavia neanche ad esse è possibile dare una risposta alla domanda sul "dopo " . Infatti, coloro che hanno fatto queste esperienze sono arrivati fino a un confine, ma poi sono tornate indietro.

66

parte seconda

In primo luogo, dovremmo aspettarci una risposta da parte della filo­ sofia. Che cosa significa propriamente che l'uomo è un essere che si pone domande e che non arriva mai al termine di questo suo chiedere? e per quale motivo è incessantemente in ricerca? Desidera qualcosa e poi, quando lo ottiene, poco dopo già non gli basta. Oppure per quale motivo, in tutto ciò che pensa, sente, dice e fa, si protende incessantemente oltre sé stesso e per quale motivo, quando crea concetti, lo può fare solo sullo sfondo di un orizzonte infinito2 ? Qualsiasi cosa faccia, è sempre orientato verso l'infinito, soprattutto nella sua passione e nel suo desiderio di piacere e di bellezza. Ciò è stato espresso, in forma quasi impareggiabile, da Friedrich Nietzsche nel Canto del nottambulo del suo Cosz'parlò Zarathustra3: Uomo sii attento ! Che dice la mezzanotte profonda? «lo dormivo, dormivo -, «Da un sonno profondo mi spno risvegliata: «Profondo è il mondo, «E più profondo che nei pensieri dd giorno. «Profondo è il suo dolore -, 7 Rm 1,4 - che è un'affermazione sull'innalzamento ed è parte di una formula di fede precedente ­ non è comprensibile se si prescinde dall'affermazione sulla risurrezione. Questa; infatti, viene aggiunta subito dopo: «In virtù della risurrezione dei morti». Fi/ 2 ,9 - che è pure tra le più antiche affermazioni sulla glorificazione - combina al suo interno la teologia della preesistenza, mostrando così di essere secondaria rispetto alla formula di risurrezione, che ·è ancora più antica.

Che cosa venne al mondo con Gesù

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nella professione di fede, a noi così familiare, secondo cui Dio avrebbe risu­ scitato Gesù dai morti è contenuta l'affermazione: con la sua risurrezione è già iniziata la fine, anzi, con il suo risuscitamento è già iniziata la risurrezione universale dei morti. TI risuscitamento di Gesù non è in nessun modo " una eccezione nell'agire di Dio " , che doveva servire semplicemente come "legit­ timazione" di Gesù38• Invece, essa significa che con Gesù Dio ha già inau­ gurato ciò che riguarda tutti. Evidentemente, l'una e l'altra cosa, l'aspetto collettivo (si tratta di tutti) e quello escatologico (si tratta della fine) fanno parte in modo inscindibile dell'esperienza dei primi testimoni pasquali39. La chiesa delle origini ebbe piena consapevolezza dell'elemento rivolu­ zionario che in ciò era contenuto. Essa definì Gesù «primizia di coloro che sono morti» (l Cor 15 ,20.23 ), «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29 ) , «primogenito dei morti» (Co/ 1 , 1 8; Ap 1 ,5 ) e «autore della vita>> (At 3 , 15 ) . Oppure disse semplicemente che egli è «il primo tra i risorti da morte»

(At 26,23 ) .

Ciò significa evidentemente di più dell'essere il primo di una successio­ ne numerica. È anche di più di un'enfasi sulla dignità di Cristo. Significa piuttosto il legame inscin dibile tra la risurrezione di Gesù e la risurrezione di tutti i morti (l Ts 4 , 1 4 ) . Anzi, con ciò si afferma che tutti i credenti sono già coinvolti nel processo della risurrezione di Gesù (E/ 2 ,5-6) . Che cosa significhi questo e come si possa rappresentarselo, non lo abbiamo ancora visto. Non a caso, l'ultimo e più importante capitolo di questo libro è inti­ tolato: Quando inizia l'eternità? Ora, si deve tener fermo innanzi tutto che poiché l'evento pasquale oc­ · c orso a Gesù, nella sua origine immediata, non fu sperimentato né come rapimento né come assunzione di un martire al cielo né come glorificazione 38 Cosl H.VORGRIMLER, Der Tod im Denken und Leben des Christen , 60, 108. Nel suo saggio di esca­ tologia ,Hoffnung auf Vollendung" Speranza nel compimento tenta in modo determinato di tenere il motivo della risurrezione collettiva dei morti al di fuori delle affermazioni più antiche sull'evento pasquale. Scrive: «Dio glorificò Gesù dalla morte a Messia, del quale si attendeva la venuta imminen­ te» {46). Però, non è l'affermazione sull'innalzamento a stare all'inizio, ma la dichiarazione: "Dio ha risuscitato Gesù dai morti" , con tutte le implicazioni che vi si intrawedono. Qui H. Vorgrimler si basa troppo sulle ricostruzioni di K. Berger in ,Die Au/erstehung des Propheten ". 39 Ciò che si è detto qui è confermato, subito dopo la Pasqua, dalla storia reale. Soltanto un esem­ pio: ben presto, dopo la Pasqua, il gruppo dei dodici fu integrato con la scelta di Mattia (At 1 , 15-26). Successivamente, non si fece così, ad esempio dopo l'uccisione di Giatomo di Zebedeo (At 12, 1 -2): ne.ssuno ne prese il posto. Il motivo: immediatamente dopo la risurrezione di Gesù, la giovane comunità era convinta che fosse imminente la risurrezione universale. N el giudizio che ne sarebbe seguito, i dodici dovevano però sedere accanto al Figlio dell'uomo per giudicare le dodici tribù di Israele (Mt 19,28). Per questo motivo fu scelto subito un sostituto. Cf sugli eventi successivi alla Pasqua G. Loi-IFINK, fesus von Nazaret, 410-436 [trad. it. , Gesù di Nazaret, 353 -376] . -

124

parte terza

ma come risurrezione dai morti, proprio per questo motivo fu chiaro che la risurrezione di tutti i morti, la restaurazione e la trasformazione del mondo, la creazione nuova di Dio che è la meta finale di tutta la storia - tutto questo è "già" iniziato con la risurrezione di Gesù.

6. Nuova creazione

Nell 'ultima frase del capitolo precedente si è parlato di " nuova crea­ zione " I concetti "risurrezione dei morti " e "creazione nuova" sono stati accostati. Ciò è stato voluto. Infatti , la risurrezione non è un fenomeno naturale che spetta all'essere umano quasi fosse un'eredità biologica. Con altre parole: la risurrezione non è il vertice di un processo naturale in cui culmina, in modo necessario, l'evoluzione degli esseri viventi. La biosfera non diventa sempre più sottile, complessa e autonoma fino al momento in cui, da sé stessa, arriva a generare finalmente nell'essere umano, come suo prodotto insuperabile, l'immortalità. Neppure alla biologia sintetica sarà mai possibile arrivare a null a di si­ mile. Se la medicina moderna crea le condizioni che permettono all'uomo contemporaneo di essere più longevo delle precedenti generazioni, e forse in un tempo breve di esserlo in misura ancora più significativa, naturalmen­ te ciò non ha nulla che fare con l'immortalità. Ogni risultato ottenibile al riguardo dalla civilizzazione o dalla medicina sarebbe, in ogni caso, una " cattiva" immortalità, di cui dovremmo avere piuttosto terrore. La " risurre­ zione dei morti " è qualcosa di totalmente diverso. Essa non è qualcosa verso cui l'essere umano abbia una disposizione fisico-naturale. Essa è un'azione salvifica di Dio, non gli è dovuta, è un puro dono. È a questo che fa riferi­ mento l'aggettivo "nuova" nell'espressione "nuova creazione" In questa espressione biblica, però, non si parla solo di qualcosa di "nuo­ vo " ma di "creazione " - e anche a questo si deve prestare attenzione. Il nuovo viene messo in rapporto a ciò che accadde all'inizio del mondo e che accade continuamente: creazione ! Creazione è però l'atto incessante con cui il mondo è tratto all'esistenza dal nulla. Ben presto la teologia cristiana ha riconosciuto di non poter par­ lare soltanto di un atto creatore di Dio "in principio" , ma di dover parlare anche di credtio continua , vale a dire di un atto creatore divino incessante. " Continuamente " Dio chiama la sua creazione dal null a .

Ch e cosa venne al mondo con Gesù

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E per nessuno questa creazione dal nulla è qualcosa di dovuto. Essa può essere intesa soltanto come atto continuo, che mai viene meno, dell'a­ more donativo di Dio. Proprio per questo, teologicamente è giusto, anzi è necessario, interpretare la risurrezione dei morti come "nuova creazione" , mettendola così in rapporto con la creazione del mon do. In questo modo, infatti, diventa chiaro che la risurrezione dei morti non è un'aggiunta che poteva esserci oppure no, ma che essa fa parte - pur essendo pura grazia - del disegno divino della creazione: essa è pensata fin dal principio per il compimento, per la gloria, per stare con Dio. La risurrezione dei morti, quindi, non è un evento naturale ma puro dono di Dio . Però, anche la creazione continua del mondo è puro dono benevolo .di Dio, atto del suo amore creatore. Se si comprende questo, si può vedere l'unità esistente tra la " creazione del mondo " e la "nuova creazione del mondo nella risurrezione" . Fondamentalmente, esse diventano un evento unitario che procede dall'amore di Dio che effonde sé stesso. Inoltre, il concetto di " creazione nuova " non è un'invenzione cristiana. Le sue radici sono nel libro di Isaia. L' affermazione centrale dei capitoli 40-55 è che ora Dio crea per Israele qualcosa di nuovo. Attraverso il re persiano Ciro, strumento delle sue mani, egli farà ritornare nella loro p a­ tria i deportati nel paese dei due fiumi. Egli darà così inizio a una nuova esistenza per Israele: «Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche ! Ecco, io faccio una cosa nuova: proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?» (Is 43 , 1 8- 1 9) .

Alla fine del libro di Isaia questa affermazione diventa ancora più forte. Lì si trova questa promessa: «Ecco, infatti, io creo nuovi cieli e nuova terra; non si ricorderà più il passato, non verrà più in mente, poiché si godrà e si gioirà sempre di quello che sto per creare, poiché creo Gerusalemme per la gioia, e il suo popolo per il gaudio» (Is 65 , 1 7 - 1 8 ) .

Poi, nei versetti seguenti, si dice che in Israele non ci saranno più né lamento né pianto, che nessuno sarà più cacciato dalla propria casa, che non faticheranno più "invano " e non genereranno per una morte precoce. Il " cielo nuovo" e la "terra nuova" sono dunque del tutto terreni, anche se rappresentano una discontinuità con ciò cui siamo abituati. Sono un mondo senza ingiustizia e senza sofferenza. L a storia terrena, il nascere e il morire

126

parte terza

continuano. Si tratta, però, di un mondo " nuovo" , un mondo in cui ci sono giustizia e pace, consolazione e felicità. Gli scritti ebraici extra biblici riprendono la promessa del " cielo nuovo" e della "terra nuova" . Essi parlano della " creazione nuova" che sarà operata da Dio40• Si deve però notare che l'esperienza del mondo, riportata dagli autori, ha connotazioni profondamente negative. Per una parte di questi scritti Israele sta sotto la dominazione romana, Gerusalemme è distrutta, il tempio è ridotto a un cumulo di macerie. Dopo la distruzione di Gerusa­ lemme nel 7 0 d.C . , vengono scritte apocalissi come quella del Quarto !t'bra di Ezra o come l'Apocalisse siriaca di Baruc41• I loro autori non credono più in un buon esito finale della storia. Essi distinguono in modo netto tra il mondo vecchio e quello nuovo. Distinguono tra " questo eone" e quello "futuro" . In " questo eone" le promesse di Dio non possono compiersi (4 Ezr 4 , 26-27 [trad. it., 3 0 1 s.] ) . " Questo eone" , dunque il mondo presente, è corrotto e sottomesso alla morte. Per questo Dio lascia che questo mondo sia annientato nel fuoco e crea un nuovo eone. Solo con esso arriveranno la giustizia anelata e, alla fine, la pace. Qui, pertanto, la " creazione nuova" del libro di isaia riceve una radicalizzazione apocalittica. Il "nuovo " non si realizza più nella storia, ma totalmente al di là di essa. La chiesa antica ha recepito molto di questa radicalizzazione apocalittica: la risurrezione finale dei morti segna la fine del tempo della storia. Tuttavia la chiesa, fin dalle origini, conservò una differenza fondamentale rispetto a tutte le apocalittiche: " questo eone" , nonostante tutte le colpe e tutto il caos provocato dagli esseri umani, resta la creazione buona di Dio, e proprio in essa si compiranno le sue promesse. Certamente, nel noto capitolo ottavo della lettera ai Romani, Paolo dice che tutta la creazione è sottomessa alla caducità e che, fino ad oggi, essa geme e soffre le doglie del parto. Allo stesso tempo, però, dice che essa deve essere liberata dalla schiavitù e dalla corruzione per entrare nella gloria dei figli di Dio (Rm 8 , 1 8-25 ) . Dunque non annientamento e condanna dell'eo-

40 Libro etiopico di Enoc 45 , 4-5 ; 72, l; 9 1 , 16-17 [trad. it. , Libro di Enoc, in Apocrifi dell'Antico Testamento l , UTET, Torino 198 1 , 525s . , 573 , 634s.] ; Libro dei Giubilei l , 29; 4, 26; 5 , 12; 19, 25 [ t ra d. it. , in Apocrifi dell'Antico Testamento l, 22 1 , 23 8s . , 242s., 304] ; Apocalisse siriaca di Baruc 3 1 , 5-32 , 6; 44, 12; 57, 2 [trad. it. , i n Apocrifi dell'Antico Testamento 2, UTET, Torino 1989, 193s., 200, 213] ; 4 Esdra 7, 75 [tra d . it. , Quarto libro di Ezra, in Apocrifi dell'Antico Testamento 2, 329]. 41 [trad. it. , in Apocrifi dell'Antico Testamento 2 , UTET, Torino 1989, 235s., 147s. ] . Come traduzioni cf. E. KAUTZSCH, Die Apokryphen un d Pseudepigraphen desAlten Testaments Il, Wissenschaftliche Buch­ gesellschaft, Darmstadt 1962 . Inoltre nella serie cu rat a da H. LICHTENBERGER (ed . ) , ]iidische Schrzften aus hellenistisch-romischer Zeit, V: Apokalypsen.

Che cosa venne al mondo con Gesù

127

ne antico, come per esempio nell'apocalittica del Quarto libro di Ezra, ma liberazione e salvezza. La creazione sarà ciò che da sempre doveva diventare nel disegno divino. C'è, però, un altro punto: nell'apocalittica l'eone nuovo arriva solo dopo the il vecchio è passato. L'eone nuovo, il mondo nuovo di Dio, presuppone la distruzione di tutto ciò che esiste attualmente. Per Paolo, invece, l'eone antico e quello nuovo si compenetrano. li mondo vecchio, con la sua schia­ vitù e mancanza di libertà è ancora presente. Però in mezzo ad esso inizia già il mondo nuovo di Dio. Quando parla di " creazione nuova " , Paolo sorprendentemente non si riferisce a qualcosa che accadrà in un futuro imprecisato o nell'aldilà, ma alla vita nuova in Cristo che per i battezzati è già iniziata. I cristiani, mediante lo Spirito di Dio, ricevuto in dono nel battesimo, sono già diventati " creazione nuova" «Tanto che, se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono pas­ sate; ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5 , 17 ) .

L a creazione nuova attraverso l o Spirito vivificante di Dio s i realizza già dentro questa storia. N ello stesso senso va la teologia battesimale di tutto il Nuovo Testamento: con lo Spirito Santo, che è donato nel battesimo, i battezzati si trovano già nel campo di forza della creazione nuova di Dio . Questo è più radicale di quel che tutta l'apocalittica abbia mai potuto es­ �ere. È la radicalità della novità inafferrabile che è arrivata con la risurre­ zione di Gesù Cristo, che però, al tempo stesso, è fedeltà a questo mondo presente, che non viene disprezzato ma portato alla sua meta. Nella teologia battesimale del Nuovo Testamento, quindi, emerge di nuovo ciò che avevamo già visto all'inizio di questo capitolo: il mondo futuro della risurrezione e il mondo nel quale viviamo ora non sono due realtà separate, che non hanno niente a che fare l'una con l' altra. Al contra­ rio, entrambi provengono dall'amore creatore di Dio che vuole che esista l'essere umano - e per lui un mondo intero. Tanto la creazione quanto la risurrezione sono puro dono e sono legate inscindibilmente l'una all'altra. Anche in questo punto il messaggio cristiano si nutre di ciò che riceve dal fondamento irrevocabile rappresentato dall'Antico Testamento. Si tratta sempre di questo mondo e di questa creazione. Redenzione non signifi­ ca fuga dal mondo o separazione dal mondo, non significa rapimento in un aldilà estraneo al mondo. Significa, invece, salvezza e trasformazione proprio di questo mondo presente, significa portare la creazione intera al raggiungimento della sua meta. ·

128

parte terza

In altre parole, la risurrezione dei morti non è un finale fulminante, che Dio , alla stregua di un grande mago, si è escogitato a conclusione del suo gran galà "Terra" allo scopo di sbalordire gli spettatori e che poi, alla fine, deve lasciare di nuovo il posto alla stessa oscurità che c'era prima. Essa è piuttosto la realizzazione di ciò per cui la creazione è stata fatta fin dal principio: essa deve essere un mondo che esiste alla presenza di Dio, creato per un amore che non si può né comprendere né motivare, un mondo che da sempre deve trovare dimora in Dio. La risurrezione dei morti, pur non essendo un evento fisico-naturale, è però la conseguenza della creazione del mondo per pura grazia. Essa, però, è soprattutto la conseguenza del risuscitamento di Gesù dai morti. Gesù, infatti, è l'immagine originaria e il primogenito di ogni creatura ( Col 1 , 15- 17 ) .

parte quarta

CHE COSA AVVERRÀ DI NOI

Iniziamo qui la parte centrale del libro. Tutto quello che si è detto finora, è stato una preparazione, un'introduzione e, in un certo modo, come una ricognizione del terreno. Inoltre, finora si sono fatte delle considerazioni prevalentemente di carattere cronistorico, sia che si trattasse della credenza antica nella sopravvivenza dell'anima o dell e concezioni odierne dell'aldilà, sia che si trattasse dell'annuncio di Gesù o della teologia neotestamentaria della risurrezione. Ora ci deve essere invece un cambiamento di metodo. D'ora in poi le argomentazioni non saranno più prevalentemente di carattere cronistorico perché l'interesse sarà rivolto soprattutto all'interpretazione teologica delle affermazioni della fede . . La riflessione razionale continuerà ad avere il suo ruolo, ma partirà dai dati che provengono dalla fede cristiana. Una seconda considerazione preliminare: di ciò che accade dopo la mor­ te si può parlare solo per immagini. Tutte le affermazioni sulla risurrezione dei morti, esattamente come le affermazioni su Dio, sono un "linguaggio metaforico" . La teologia parla per " analogia" . Ciò significa: in ogni discor­ so su Dio e sulla vita definitiva con Dio la dissomiglianza è maggiore della somiglianza. Della somiglianza con che cosa? Con momenti che sconvolgono l' esisten­ za umana e l'arricchiscono. Della somiglianza con momenti in cui riceviamo il dono di sperimentare una pienezza profondissima. Ma anche della so­ miglianza con il momento in cui, pieni di tremore, riconosciamo la nostra colpa. Esperienze di questo genere sono indispensabili. Se non potessimo attingere a esperienze reali che abbiamo fatto con noi stessi o con altre persone, ogni discorso su Dio e sul mondo futuro di Dio sarebbe privo di senso, anzi sarebbe impossibile. Dobbiamo partire sempre dalle esperienze di grazia, fedeltà, amore e donazione, dai gesti di generosità e di autotra­ scendimento che ci sono in questo mondo. Dopo, però, vale comunque il fatto che tutte queste esperienze sono solamente un'ombra rispetto a ciò che ci accadrà nella morte. La dissomiglianza non è solo maggiore, ma è incomprensibilmente maggiore della somiglianza.

132

parte quarta

Tutte le affermazioni che saranno fatte nei seguenti dodici capitoli sulla risurrezione dei morti sono, quindi, immagini e metafore. Dobbiamo essere sempre consapevoli di questo carattere metaforico. Anzi, spesso capiterà che le immagini e i modelli raf:figurativi dovranno completarsi o correggersi vicendevolmente. Un sistema chiuso di immagini escatologiche non sarebbe né possibile né giustificabile. Infine, una terza considerazione preliminare: tutto ciò che si dirà in que­ sta Parte IV, senza eccezioni, ha il suo fondamento nella risurrezione di Gesù. La conoscenza cristiana sugli tcrxfJ.'tal éschata, le " cose ultime" , non è nient'altro che un'estrapolazione di quanto è accaduto nella risurrezio­ ne di Gesù. L'escatologia cristiana non è una speculazione fantasiosa che si profonde in una " geografia" dettagliata della vita eterna. In definitiva, essa interpreta soltanto ciò che è accaduto con Gesù. Più esattamente: la dottrina cristiana sulle " cose ultime " interpreta ciò che è accaduto nel­ la predicazione, nella vita, nella morte e nella risurrezione di Gesù. Vita, morte e risurrezione di Gesù sono il punto di partenza e il centro di tutta l'escatologia cristiana 1 • In questa Parte IV, per semplicità, spesso si parlerà della morte come di incontro con " Dio " Però, alla fine, nel capitolo dodicesimo, si spiegherà dettagliatamente come il "luogo " di questo incontro con Dio sia il Cristo risorto, il Cristo che risorge . Senza di lui, per noi non c'è risurrezione, né tantomeno c'è un incontro definitivo con Dio. È importante premetterlo fin d'ora, onde evitare fin dall'inizio che questa parte possa essere fraintesa. Sarà necessario averne una visione d'insieme. La risurrezione di Gesù dai morti è il presupposto assoluto di tutto ciò che di seguito si potrà dire.

l.

Incontro definitivo con Dio

Chi vuole dire qualcosa sull ' essere umano oltre la morte, o meglio sull ' es­ sere umano nella morte, deve ricorrere al concetto dell"'incontro " Nella morte l'uomo incontra Dio , il mistero insondabile della sua vita. Il lato interno della morte non è altro se non l'incontro con il Dio vivente, del quale la Scrittura dice che il cielo e la terra non possono contenerlo ( l Re

Cf M. KEHL, Eschatologie, 29-3 1 ; M . REMENYI, Au/erstehung denken, 3 9-40.

Che cosa avverrà di noi

133

8,27 ) . Di certo l'uomo incontra Dio già prima della sua morte - spesso senza saperlo. Ciò avviene nel suo desiderio e nella sua felicità, ma anche nel suo lamento, nelle sue tristezze e disperazioni. Naturalmente anche nelle sue preghiere e nel suo servizio a chi ha bisogno di aiuto. Nella morte, però, l'essere umano incontra Dio in modo definitivo e per sempre. In ogni incontro, avvenuto in questo tempo che passa, è rimasta l'inco­ gnita di Dio . È stato come se egli tacesse. Come se si tirasse sempre indietro. L'obbedienza con cui si è voluto seguirlo, le parole con cui si è cercato di comprenderlo, sembravano finire nel vuoto. Egli è rimasto il Dio nascosto. Ora egli mostra il suo volto. Non è possibile descrivere come ciò accada. Infatti, «nessun occhio mai lo vide, né orecchio mai lo udì, né mai entrò in cuore di uomo» (cf l Cor 2,9) . Tutti quelli che presumono di descrivere con facilità questo incontro definitivo con Dio o di rappresentarlo si rendono ridicoli. Essi banalizzano il Dio infinito, incommensurabile, incomprensibile e la potenza del suo automostrarsi riducendolo a un intrattenimento piccolo borghese2 • Eppure, si deve parlare dell'incontro con Dio nella morte. Non è possi­ bile che i cristiani, di fronte a questo interrogativo decisivo della loro vita, restino in silenzio per timore di essere derisi o per paura di fronte all'ine­ sprimibile. Però, com 'è possibile parlarne in maniera giusta e adeguata? È sorprendente come i vangeli p arlino di questo incontro in modo parsimonioso e sobrio. «Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio», dice Gesù in Mt 5 ,8. «Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo» , dice il giudice del mondo in Mt 25 ,34. «Oggi sarai con me nel paradiso», promette Gesù sulla croce al terrorista, convertitosi all'ultimo secondo3 (Le 23 ,43 ) . «Vedranno il suo volto», si dice infine nell'ultimo libro del Nuovo Testamento (Ap 22,4 ) . Uno dei maggiori teologi del XX secolo, Hans Urs von Balthasar, ha sintetizzato l'incontro definitivo dell'uomo con Dio - potremmo dire, fon­ damentalmente, l'intera escatologia - in tre affermazioni4:

2 Sulla inafferrabilità e in comprensibilità di Dio cf K. RAHNER, Die mensch liche Sinn/rage [trad. it., Il problema umano del senso difronte al mistero assoluto di Dio] . ) Letteralmente: "brigante " , così i romani chiamavano coloro che facevano parte del gruppo ribelle degli zeloti, che in Israele si opponeva all a potenza di occupazione e che organizzava imboscate contro i soldati romani. 4 H.U. VON BALTHASAR, Eschatologie, 407 [trad . it . , I novissimi nella teologia contemporanea, 44] . Cf anche ToMMASO D'AQUINO, De rationibus fidei 9 [trad . it . , Contra Saracenos. Gli errori dell'islam, Clinamen, Firenze 2008 : «Dio è la realtà ultima della creatura».

134

parte quarta

Dio è il "fine ultimo" della sua creatura. Egli è il cielo per chi lo guadagna, l'in­ ferno per chi lo perde, il giudizio per chi è esaminato da Lui, il purgatorio pe chi è purificato da Lui. Egli è Colui per il quale muore tutto ciò che è mortale e che risuscita per Lui e in Lui.

Con questo è detto tutto. In fondo, non abbiamo bisogno di sapere niente di più. Eppure, la fede deve dire di più e non può interrompere il suo discorso a questo punto. Però, con quali immagini, con quali metafore? Io provo a farlo con parole prese dalla liturgia pasquale, che a loro volta si rifanno a un salmo dell'Antico Testamento. La liturgia che la chiesa celebra la mattina di Pasqua, nella sua forma più antica, non inizia con cori giubilanti, né con le trombe della risurrezione, né con orchestre altisonanti, ma con un corale delicato, ancora segnato dalla mestizia della morte. Mi sto riferendo all'antifona d'ingresso della messa del giorno di Pasqua. Si richiama al Salmo 139. Il testo di questo introito, nella forma breve - che non tiene conto dei ritornelli - è il seguente: Resurrexi et adhuc tecum sum, alleluia. Posuisti super me manum tuam, alleluia. Mirabilis /acta est scientia tua, alleluia, alleluia. Domine probasti me et cognovisti me, tu cognovisti sessionem meam et resurrectionem meam.

Sono risorto, e sono sempre con te, alleluia. Tu hai posto su di me la tua mano, alleluia. È stupenda per me b tua saggezza, alleluia. Signore, mi hai messo alla prova e mi hai conosciuto, tu hai conosciuto il mio riposo, e la mia risurrezione.

Chi sta parlando qui? chi sta dicendo " Sono risorto, e sono sempre con te" ? Naturalmente, è il Risorto che parla così. E a chi si rivolge? a chi sta dicendo : " Tu hai posto su di me la tua mano, mi hai messo alla prova e mi hai conosciuto" ? Il Risorto parla a Dio. Tutto l'antifona del giorno di Pasqua è parte di un colloquio fra il Cristo risorto e il suo Padre celeste. È emozionante come qui la liturgia della chiesa, riformulando liberamente i versi del Salmo 1395, presenti il momento della risurrezione di Gesù sotto 5 Si tratta del Sal 138 della Vulgata - precisamente del v. 18, dei vv 5-6, e dei vv 1-2. Il testo ebraico non parla di risurrezione, ma di stare seduti e in piedi. Inoltre l'adhuc nel salmo non ha il significato di " sempre" ma di " ancora" .

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Che cosa avverrà di noi

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forma di un rivolgersi di Gesù al Padre, per così dire delle prime parole che Gesù pronuncia, riaprendo gli occhi dall'oscurità dell a morte e guardando il volto del suo eterno Padre. Formulare qualcosa di questo genere con parole umane testimonia un'audacia grandissima - sebbene ci si sia aiutati con le espressioni del salterio. Infatti, chi può mai descrivere come sia il momento in cui un uomo çhe muore incontra nella morte Dio in forma definitiva e per sempre? La liturgia ha osato farlo, almeno per Cristo, e lo canta al mattino di Pasqua, addirittura con una melodia sommessa, delicata e quasi timida. n testo di questa antifona d'ingresso, oltre ad essere indubbiamente un esempio di poesia cristiana, cela anche un'affermazione centrale della fede cristiana: il lato interno della morte è un incontro con Dio - nel caso di Gesù un incontro sorprendente del figlio con il suo Padre celeste - nel caso di noi peccatori non solo un incontro gioiosamente sorprendente ma anche un incontro sconvolgente con il Santo assoluto. Sì, un incontro, che certamente sarà la somma e la meta di tutti gli incontri immaginabili. La morte è incontro con il Dio vivo e santo, nient'altro. Dopo questa vita, Dio stesso è il nostro "luogo " , dice Agostino interpre­ tando il Salmo 3 1 ,2 1 e per lui questa espressione è più decisiva del dire che allora saremo "nel cielo" o "in paradiso" o "nel seno di Abramo "6• Già nell 'Antico Testamento si fa strada l'idea che Dio , incontrando l'uomo nella morte, divenga tutto per lui, così che ormai non ci sia per lui nient' altro se non Dio stesso. L'arante del Salmo 73 pone numerose domande amare a Dio, però poi alla fine riconosce, nonostante questo interrogare, di essere rimasto sempre presso Dio. E, per quanto riguarda la morte, egli è sicuro che: -

«Mi guiderai secondo i tuoi disegni e poi mi accoglierai nella gloria. Chi avrò per me nel cielo [al di fuori di te] ? Con te non desidero nulla sulla terra. Vengono tneno la mia carne e il mio cuore;

6 AGOSTINO, Ennarationes in psalmos, sul Sal 3 0 (MIGNE, Patres Latini 36, col. 252) [trad. it. , Esposi­ zioni sui Salmi I, in Opere di Sant'Agostino XXV, Città Nuova, Roma 1967, 497 (Esp. sul S. 30, II, d. 3 , 8) ] : «Abscondes eos in abscondito vultus tui. Qualis est locus iste? Non dixit, Abscondes eos in coelo tuo: non dixit, Abscondes eos in paradiso: non dixit, Abscondes eos in sinu Abrahae. [ . ] Qui nos tuetur in loco vftae hujus, ipse post istam vitam sù locus noster - Che cosa segue? Li nasconderai nel segreto del tuo volto. Qual luogo è questo? Non ha detto: li nasconderai nel tuo cielo; non ha detto: li nasconderai in paradiso; non ha dettq: li nasconderai nel seno di Abramo. [ . . ] Colui che ci protegge nel luogo di questa vita, sia egli stesso il nostro luogo dopo questa vita». . .

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136

parte quarta

ma Dio è roccia del mio cuore, mia parte per sempre» (Sa/ 73 ,24-26) .

Q ui non s i parla ancora di " risurrezione" C ' è però l a ferma certezza che chi pone in Dio la sua gioia, la sua sicurezza e il suo futuro, viene " accolto" nella vita di Dio " per sempre" Nella storia della fede della chiesa ci sarà sempre la medesima convinzione. «Dio solo basta», dice la grande Teresa d'Avila. La teologia cristiana parla di visio beatifica, della visione beata di Dio dopo la morte, della conoscenza eterna di Dio donata da Dio stesso - e, in tal modo, appunto dell'incontro definitivo con Dio. È sufficiente aprire l'Antico Testamento per vedere come Israele sia pie­ no del desiderio di vedere Dio. Si dice per esempio, «Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27 ,8), oppure, «Sono certo di contemplare la bontà del Si­ gnore» (Sa/ 27 , 13 ) . Nei culti dell'Antico Oriente era usuale, in occasione di grandi feste, portare in processione le immagini delle divinità attraverso la folla; in quelle circostanze, si poteva "vedere " letteralmente "il volto di Dio " , appunto il volto di una rappresentazione della divinità. L'Antico Testamento riprende questo uso linguistico, dando ad esso però un signi­ ficato nuovo: «L' anima mia ha sete di Dio, del Dio vivente: quando verrò e vedrò il volto di Dio? Le lacrime sono il mio pane giorno e notte, mentre mi dicono sempre: " Dov'è il tuo Dio? " Questo io ricordo e l' anima mia si strugge: avanzavo tra la folla, la precedevo fino alla casa di Dio, fra canti di gioia e di lode di una moltitudine in festa» (Sa/ 42,3 -5 ) .

Qui, ovviamente, guardare il volto di Dio non ha più il significato di rivolgere lo sguardo verso una rappresentazione degli dèi. In primo luogo, significa del tutto semplicemente: andare in pellegrinaggio a Gerusalem­ me e visitare il tempio di Dio . Si tratta dell'incontro con il Dio nascosto

137

Che cosa avverrà di noi

di Israele, dell'incontro con la sua storia. "Vedere Dio " , quindi, significa addirittura essere liberati dal bisogno, essere salvati, viverel . Nei salmi l'e­ spressione "vedere il suo volto " si trasforma lentamente fino ad assumere un significato molto più grande: restare davanti al volto di Dio per sempre, persino oltre la morte. Qui c'è il fondamento sulla cui base Gesù potrà proclamare beati coloro che sono puri di cuore, «perché vedranno Dio» (Mt 5 ,8) - è lo stesso fon­ damento che permetterà a Paolo di affermare che verrà il giorno nel quale vedremo Dio «faccia a faccia» ( l Cor 13 , 12 ) 8 . N on si deve pensare che affermazioni come queste siano ovvie. N ella maggior parte delle religioni arcaiche, dopo la morte l'essere umano cade nell' assenza di comunicazione che caratterizza gli inferi, oppure viene " riu­ nito" agli antenati defunti. In questo caso, egli continua a vivere nelle strut­ ture della vecchia famiglia - ma non davanti al volto di un dio. Anche per quanto riguarda le cosiddette "religioni mondiali " , l'incontro nella morte con Dio o con una divinità non è per niente una cosa ovvia. N ell'hinduismo l'essere umano , subito dopo la morte, attraversato uno stato intermedio, passa alla successiva reincarnazione. Quando arriva final­ mente al termine della lunga serie di rinascite e raggiunge la redenzione, egli trova, come ultima realtà, sé stesso come essere divino. Nel buddhismo antico, all'essere umano non è consentito neppure di riflettere sull'incontro con il totalmente Altro . La redenzione è un pro­ cesso in cui, in modo solitario e faticoso, ci si libera dalle proprie passioni e, conseguentemente, dal proprio io . Essa non è, però, la ricerca di una controparte, tantomeno di una contrapposizione divina. Nell'r-�"# 1/l-i/lam/Islam le cose sono diverse. I;Islam vive di un forte teocentrismo. Tutta la vita del fedele musulmano è orientata a Dio - nella professione di fede, nella preghiera, nella cura dei poveri, nel digiuno, nel pellegrinaggio alla Mecca. Tenendo conto di ciò, appare ancora più sor­ prendente che nel uì _j.llj l-qur)an/Corano - per quel che riguarda la vita dopo la morte - questo teocentrismo sia chiaramente messo da parte. L'aldilà vi è descritto come uno splendido giardino. Per questo c'è una formula fissa che ricorre frequentemente: chi obbedisce ad ���Allah e al suo Messaggero «Egli lo farà entrare in giardini ('.ç l�.Jjannatin ) sotto i quali scorrono ruscelli, per dimorarvi in eterno. Ecco la grande riuscita» (Sura 4 [Le donne] , 1 3 ) . ..

7 8

Cf e u . BARTH, Die Errettung vom Tode, 150. Cf anche l Gv 3 ,2 e Ap 22 ,4.

138

parte quarta

Questa formula ricorre nel Corano circa sessanta volte9 - per lo più con piccole varianti, spesso però anche con grandi ampliamenti che descrivono esattamente in cosa consista la beatitudine. Coloro che sono accolti nei giar­ dini eterni sono salutati dagli angeli, vivono godendo di continue delizie, sono in compagnia dei profeti, sono come fratelli tra loro, posseggono qual­ siasi cosa desiderino, indossano vesti verdi di seta e broccato, sono adorni di perle e braccialetti d'oro, riposano tra i guanciali o siedono su poltrone preziose, tutt'intorno ci sono canali di acqua purissima, ruscelli di latte che non inacidisce, rivoli di vino che non rende ebbri. Stanno insieme all'ombra di alberi i cui rami si piegano per offrire i loro frutti, sono circondati da erbe aromatiche, mangiano in piatti d'oro, sono serviti da ragazzi eternamente giovani che assomigliano alle perle, e Allah, insieme a tutto questo, dà loro in premio vergini coetanee, dai grandi occhi, voluttuose10 e spose purissime. Sempre ricorre la formula: "Questa è la loro beatitudine" Ed ora la questione decisiva: in tutti questi benefici, che Alliìh dona nei giardini del paradiso, gioca un ruolo anche l'incontro con lui? per esempio, nella formula che ricorre alcune volte: «All ah li ha graditi ed essi lo hanno gradito»11? La risposta è incerta, perché non è necessario interpretare que­ sta formula nel senso di una relazione con una controparte personale. Inol­ tre, c'è un testo che non ha parall eli, nel quale si dice che coloro che sono arrivati nei giardini del paradiso vedranno gli angeli «in cerchio attorno al Trono» (Sura 39, 75 ). Però, anche questo testo non è chiaro. Loro vedranno solo gli angeli? A fronte di ciò, le immagini piene e turgide dei piaceri ter-

9 çj le 5ure 3 , 198; 4, 57; 4, 122 ; 5, 12; 5 , 85 ; 5 , 1 1 9; 7 , 43 ; 9, 2 1 ; 9, 88-89; 9, 100; 10, 9-10; 13, 3 5 ; 14, 23 ; 15, 45 -48; 16, 3 1 -32; 18, 3 1 ; 22, 14; 22, 23 ; 22, 56; 25, 10; 25, 15-16; 29, 58; 30, 15 ; 32, 19; 36, 55-58; 37, 41 -49; 38, 49-52; 39, 20; 39, 73-75; 41, 30-32; 43 , 70-73 ; 44, 5 1-57; 47 , 12; 47, 15; 48, 5; 48, 17 ; 50, 34-35 ; 5 1 , . 15-16; 52, 17 -24; 55, 46-78; 56,12-40; 56, 88-89; 57, 12; 57, 20-2 1 ; 58, 21; 61, 12; 64, 9; 65 , 1 1 ; 66, 8; 68, 34; 69, 2 1 -24; 74, 40-41; 76, 5-6; 76, 1 1 -22; 77' 41-44; 78, 3 1 -35; 83, 22-28; 88, 8-16; 98, 8. 10

C'è anche un'esegesi occidentale del Corano che lo interpreta in modo storico-critico, metten­

dolo sul tavolo anatomico. Essa ritiene che molti passi del testo èonsonantico del Corano siano stati

modificati nel loro significato attraverso una vocalizzazione successiva. Per quanto concerne lè .;p/bur - "le abbaglianti " , vergini che in paradiso assistono i beati, per esempio (44, 54; 52, 20) , si tratterebbe originariamente di uva bianca [Christoph Luxenberg nel suo libroDze syro-aramiiische Lesart des Koran interpreta la parola in quest'ultimo senso come allegoria di benessere e di agio. Poiché il Corano (44, 54) parla di "matrimonio degli umani con le bur'; viene criticata l'esegesi di Luxenberg] . - L'ermeneutica di questa esegesi critica del Corano, per esempio nel libro di B. Koster (Der missverstandene Koran) , è assai . ingenua. L a base di un'esegesi adeguata del Corano non può essere rappresentata d a certe fasi preliminari di questo libro, ricostruite cronistoricamente ma, proprio come per

il canone cristiano, dall'lslam e

esclusivamente da qu ella redazione del Corano che viene riconosciuta come libro sacro che viene letta oggi

nell'Isldm ufficiale. 11 Cf le Sure 3 , 15; 5, 1 19; 9 72; 58, 22;. 98, 8. ,

Che çosa avverrà di noi

139

reni, con le quali viene descritta la beatitudine eterna, percorrono l'intero Corano. In nessun passo si può parlare chiaramente di incontro con Dio12• Si deve aggiungere un'altra considerazione: la lode e l'adorazion e di Dio hanno un ruolo importante nel Corano. Il libro sacro dell' Islam si apre, infatti, con le parole: «Nel nome di Dio, misericordioso, misericorde. Lode a Dio, Signore dei mondi, misericordioso, misericorde. Sovrano del giorno della retribuzione» (Sura l [I:aprente] , 1 -4 ) .

C'è una strana discontinuità nel fatto che questa lode di Dio non abbia più nessun ruolo proprio nelle numerose descrizioni del paradiso13 • Il pa­ radiso non si presenta affatto come il luogo in cui propriamente si loda Dio e lo si incontra, ma piuttosto come un gigantesco ed efficace apparato di ricompensa, che permette di avere una beatitudine privata, al quale corri­ sponde simmetricamente l'inferno come apparato di punizione. Non vorrei essere frainteso. Non c'è dubbio che nell'Islam Dio si trovi assolutamente nel punto centrale. Inoltre, le correnti mistiche islamiche discutono sulla visione di Dio in paradiso, in modo anche molto approfon­ dito14. Tuttavia, per quanto riguarda la vita dopo la morte, il Corano mette al centro altre tematiche. I cristiani, però, al confronto non dovrebbero pensare di collocarsi a un livello superiore. Nella sua lunga storia, il cristianesimo può esibire qualco­ sa di analogo. Negli anni 1 988/90 fu pubblicato, dapprima negli Stati Uniti poi anche in Germania, il libro Storia del paradiso15• Gli autori, Bernhard Lang e Colleen McDannell, fecero vedere come a partire dal XVIII secolo, tanto negli USA quanto in Europa, ci fu una diffusione considerevole di modi di concepire la beatitudine eterna nei quali Dio ricopriva un ruolo piuttosto marginale. Il paradiso veniva visto come una specie di continuazione della vita bor­ ghese, non di rado addirittura come una specie di ritrovo di famiglia. Il ritrovarsi insieme al proprio coniuge, ai figli, ai parenti e agli amici, aveva i2 Un'altra eccezione potrebbe essere la Sura 75, 22 -23 : «Quel giorno vi saranno volti splendenti che volgeranno gli sguardi verso il Signore». Però si tratta di un'affermazione piuttosto marginale. Non si lascia cogliere una tematizzazione della visione di Dio in quanto tale, specialmente non la si trova nelle descrizioni del paradiso. n La Sura 7, 43 non è propriamente un'eccezione. Non si tratta esplicitamente di una lode di Dio. 14 All a base ci sono le Sure 7, 143 e 75 , 23 . 15 [trad . it., Garzanti, Milano 199 1 ] . Cf anche B. LANG, Himmel oder Paradies?

140

parte quarta

un ruolo decisivo. In cielo, come sulla terra, c'era un lavoro, aiuto vicende­ vole, attività educativa e formativa, progresso, svago e soprattutto relazioni affettive. Come nel Corano, si proiettava senza remore la felicità terrena nel cielo. Lang e McDannell chiamano questo cambiamento di mentalità, che si dif­ fuse soprattutto in età vittoriana, «un cielo basato sull'amore domestico»16. Il paradiso fu imborghesito perché molti cristiani respingevano l'idea che in cielo avrebbero dovuto suonare l'arpa, cantare l'Alleluia e meditare le qualità di Dio per tutta l'eternità. Secondo i due autori, però, il motivo più profondo fu una nuova concezione dell'amicizia, del matrimonio, della famiglia e dell'amore. Non si voleva che questi valori della relazione coniu­ gale e dell'intimità della piccola vita familiare, che rappresentavano delle nuove acquisizioni, andassero perdute in paradiso. Lì si voleva non solo incontrare Dio, ma prima di tutto ritrovare i propri affetti, le persone care e poter godere di esse. Tuttavia, questa " rivoluzione domestica" delle concezioni del paradiso si realizza di preferenza nei romanzi di evasione17, nella pittura, nei racconti di alcuni visionari, nelle prediche delle comunità delle chiese libere, nelle speculazioni, impregnate di spirito del tempo, di alcuni teologi e nella let­ teratura di edificazione religiosa che circolava in certi gruppi. È proprio verso questi ambiti che si rivolge in modo particolare l'interesse di Lang e McDannell. In altri contesti, soprattutto nella dottrina cattolica della fede, si continuò ad affermare che il fondamento di ogni beatitudine sarebbe incontrare Dio, la visio beatifica. Nei capitoli successivi mi occuperò di una questione che ritorna sempre, vale dire della domanda sulle relazioni umane nel cielo: ritroverò lì le persone che ho amato? faranno parte anch'esse della mia esistenza alla presenza di Dio? (IV Parte - 6. 12). A questo punto, però, è stato necessario dire innanzitutto, con estrema chiarezza, ciò che è assolutamente decisivo: la morte diventa l'incontro con Dio. Dio stesso diventa il cielo dell'essere umano o il suo giudizio. Per l'essere umano Dio diventa tutto, e per lui non c'è nient'altro, veramente nient'altro se non in Dio. Nella parte iniziale di questo capitolo abbiamo richiamato le parole di Paolo:

16

B. LANG - C. Mr:DANNELL, Der Himmel, 352 [trad . it. , Storia del paradiso, 327].

Così, per esempio, nel XIX secolo, tra i romanzi d i evasione più letti i n lingua inglese c'erano i cosiddetti " romanzi cdesti" (Bernhard Lang) .

141

Che cosa avverrà di noi

«Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì, n é mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano» ( 1 Cor 2,9).

Su questo punto si deve restare assolutamente fermi. Quello che Paolo elice qui è come una spada che distrugge tutte le fantasticherie umane sul cielo. Questa sobrietà nel descrivere la gloria celeste si trova anche nel giudaismo rabbinico. Sono descritte solamente le gioie dell'età messianica, ' ma non quelle del mondo futuro18• «E disse ancora 1\�15 ì:;). K'�I:T '�l/Rabbf F:H;a bar 'Abba a nome di noi' '�l/Rabbi Jobandn: Tutti i profeti profetizzarono solamente riguardo all'era messianica, ma non riguardo al mondo a venire, in base al versetto che dice: Ness un occhio oltre al Tuo, Dio, ha visto» (ni'Jl�B"rakh6th 34 b [trad. it. , Trattato Berakhòt (Benedizioni), in Talmud Babilonese I/ 1 , Giuntina, Firenze 2 0 1 7 , 469] ) .

I n modo simile leggiamo nel seguente testo rabbinico: �>. Naturalmente, si dovrebbe tener conto al riguardo anche di At 2,26: «La mia carne riposerà nella speranza» (= Sal 15 ,9 LXX) e l'interpretazione corrispondente riferita alla risurrezione di Gesù nd discorso di Pietro. 98 Cf per esempio prima lettera di Clemente 26, 3 [trad. it. , Lettera di Clemente romano ai Corinti, in !Padri apostolici, Città Nuova, Roma 201 1 , 55] ; lettera di Barnaba 5, 6 [trad . it., Lettera di Barnaba, z'bid. , 189] ; 2 lettera di Clemente 9 [trad. it. , Seconda lettera di Clemente ai Corinti, ibid. , 22 1s J ; 14, 5 [trad. it. , 225 ] ; lRENEO, Contro le eresie I 22, l ; V 2, 2 [trad. it. , Jaca Boqk, Milano 1 98 1 , 97s . , 414] ; TAZIANO, Ai greci, Paoline, Milano 2015, 165s. (n. 6). 99 De resurrectione carnis 8, 2 [trad. it. , La resurrezione della carne, in Opere dottrinali ( Scrittori cristiani dell'Africa romana 3 /2.b), Città Nuova, Roma 2010, 285 ] . -

,

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176

parte quarta

«Caro salutis est cardo» La carne è cardine della salvezza

Cosa significa tutto questo per il nostro discorso? Significa che la risur­ rezione riguarda l'essere umano nella sua interezza e non una sua parte soltanto. Riguarda tutto ciò che lo fa essere quel che è: le sue gioie e i suoi dolori - la sua felicità e la sua tristezza - tutto ciò che ha elaborato nella sua vita e tutto ciò che ha sofferto - ciò che ha realizzato con il proprio impegno e ciò che gli è stato donato - le grandi cose che ha pensato e quelle piccole che ha fatto con fedeltà quotidiana - tutte le ore in cui ha tenuto duro - ogni lacrima che ha versato - ogni sorriso sul suo volto - in breve: tutta la storia della sua vita, perché è tutto dò che è inseparabile dal suo corpo. Corpo e anima si compenetrano. L'essere umano non "ha" un corpo, ma " è " cor­ po; non "ha" un'anima, ma "è" anima. Egli può essere compreso soltanto come unità psico-somatica. Quando la Bibbia parla di " carne" , presuppone proprio questa unità. Ovviamente l'uomo deve essere giudicato, purificato e santificato (c/ Parte IV, 2.4) , però deve essere redento nella sua totalità. Queste considerazioni hanno comunque bisogno di essere ulteriormente precisate. Tutto ciò che è stato detto si potrebbe infatti riferire al singolo individuo , vale a dire alla sua storia privata, che allora potrebbe essere considerata in forma isolata e separata dalla storia degli altri uomini. Però, un'esistenza isolata in questo senso non esiste affatto. Ogni singo­ lo individuo è legato ad altri esseri umani da migliaia di fili: ai genitori, ai fratelli, agli amici, ai vicini, ai conoscenti, ai contemporanei. Soprattutto è legato, nel modo più profondo, alle persone che ama. Senza gli altri egli semplicemente non può diventare uomo. Non può diventare un "io" senza il "tu " . Individualità, essere sé stesso, essere persona, tutto questo non può esistere senza legami vivi con gli altri. Vivere come persona significa "vivere in relazione " . Esistere significa " scoprire gli altri" La risurrezione della carne deve comprendere tutto questo. Se deter­ minati libri sono stati parte del mio diventare persona, la mia relazione con questi libri deve risorgere con me. Se un giardino, che ho coltivato e curato, è stato un pezzo della mia vita, la mia relazione con quel giardino, il mio coltivarlo e curarlo, risorgerà con me. Se ho amato un animale, che è diventato un pezzo della mia vita, la mia relazione con il suo affetto e con la sua fedeltà risorgeranno con me. Ma molto più importante: se un altro essere umano è diventato mio amico, uno che per me c'era sempre e che sempre mi ha aiutato, questo " essere con " il mio amico sarà parte della mia risurrezione. Infine e prima di tutto: se due persone si sono amate, se hanno condiviso la loro vita, se una è diventata un pezzo dell'altra, se - con

Che cosa avverrà di noi

177

le parole della Scrittura - sono diventate «una carne sola» 100, la risurrezione comprenderà tutto ciò che si sono donate l'una all'altra. Si potrebbero aggiungere ancora molti altri esempi. Il concetto biblico di " carne" comprende tutto questo. C'è una poesia del poeta russo Evgenij Aleksandrovic Evtusenko ( 1 932-) che è intitolata Uomini. La seconda par­ te di questa poesia può chiarire ciò che qui voglio dire101: Ognuno ha il suo segreto mondo personale. In quel mondo c'è l'attimo felice. C 'è in quel mondo l'ora più terribile, ma tutto ci resta sconosciuto. Quando un uomo muore, muore con lui la sua prima neve, e il primo bacio e la prima battaglia . . . Tutto questo egli porta con sé. [ . ] . .

È la legge d'un gioco spietato. Non sono uomini che muoiono, ma mondi. [ . ] . .

Che sappiamo dei fratelli nostri, degli amici? Di colei che sola ci appartiene? E del nostro stesso padre, tutto sapendo non sappiamo nulla. Gli uomini se ne vanno . . . e non tornano più. Non risorgono i loro mondi segreti. E ogni volta vorrei gridare ancora contro questo irrevocabile destino.

Questo senso di sconcerto, di fronte al "mondo" insostituibile che è ogni uomo è il presupposto necessario per comprendere ciò che vuoi dire la fede cristiana nella risurrezione della carne. La risurrezione significa che all'incontro con Dio arriva l'uomo intero, l'uomo con il suo primo bacio e la sua prima neve, veramente l'uomo con tutta la storia della sua vita. «Non sono uomini che muoiono, ma mondi>>. Anche queste parole di Evtusenko rievocano l'idea che di ogni singolo individuo fa parte un mondo intero: anche il mondo dei genitori, degli amici e delle persone che ha amato 100

Gen 2,24; Mt 19,5 ; Mc 10,8; l Cor 6,16. La poesia inizia col verso: «Non esistono al mondo uomini non interessanti» [trad. it. , Poesie, Newton Compton, Roma 1972, 173s.] .

parte quarta

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in tutta la sua esistenza. In Evtusenko, però, tutto questo se ne va irreparabil­ mente. Secondo la fede cristiana non se ne va, ma viene risuscitato. Niente va perduto, neppure il più piccolo ricordo. Tutto ciò che in questa vita abbiamo vissuto soffrendo e gioendo diventerà "materia" della vita eterna davanti a Dio - anche se certamente sarà rielaborato, purificato, trasformato. Se così non fosse - se nella vita davanti a Dio non fosse portato con noi tutto il nostro passato e con esso un pezzo di mondo - la vita eterna sareb­ be un nuovo inizio a. noi estraneo, un aldilà nel senso peggiore, un mondo dietro i mondi che con la nostra vita e con la nostra storia non avrebbe più nulla a che fare102 • Molti anni fa, mi annotai una massima che era dipinta a caratteri cubi, tali su una parete della tetra sala di ricevimento di un ospizio religioso per anziani: Non si porta niente con sé di questa terra, come siamo arrivati così ce ne andremo.

Questa sentenza non era soltanto uno schiaffo in faccia alle persone an­ ziane che trascorrevano lì i loro ultimi anni, alle quali quelle parole facevano sentire quotidianamente la minaccia della loro "partenza" . Era anf:he pro­ fondamente falsa dal punto di vista teologico perché passava sotto silenzio la risurrezione della carne e rinnegava la terra. Infatti, la confessione della risurrezione della " carne" non si riferisce soltanto al corpo ma alla storia dell'uomo nella sua interezza, a questa meravigliosa, avventurosamente ag­ grovigliata storia, con le sue lacrime e le sue estasi, le sue tristezze e le sue gioie - nella vita eterna con Dio " si porta con sé" tutto.

7.

Tutta la storia del mondo

n capitolo precedente voleva portare all'attenzione qualcosa che è in fondo un'ovvietà: l'essere umano è qualcosa di più di un individuo isolato. Per diventare uomo ha bisogno dell'incontro con gli altri. E anche quando si trova "a metà strada" di questo percorso, egli non può in nessun modo 102

G. SCHERER, Zukun/t un.d Eschaton, 64-65 ..

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diventare veramente persona senza una molteplicità di relazioni con altri esseri umani. Aver compreso questa cosa non è tuttavia sufficiente. Infatti, i tanti, che ognuno incontra nell a storia della propria vita e che lo aiutano ad essere sé stesso, sono a loro volta legate a molte altre persone. Secondo gli studiosi della comunicazione, ogni persona conosce bene circa 150 persone, cia­ scuna delle quali a sua volta conosce altre 150 persone, e così via. Questo conoscersi, inoltre, è sempre legato anche ad un'influenza reciproca. La tesi degli studiosi della comunicazione è giusta. Basta dare un' oc­ chiata alla propria rubrica, togliere i contatti di carattere solo lavorativo aggiungendo le tante persone che si sono conosciute nei decenni passati e che non sono più registrate nell'elenco attuale. Viviamo effettivamente in una rete di relazioni e interazioni che si allarga sempre di più, nello spazio � nel tempo, comprendendo sempre più persone. Essa arriva ad abbrac­ ciare tutti gli spazi e i tempi della storia umana. L'umanità è una unità, in senso molto più profondo di quello che non sembri a prima vista. Io sono collegato con quello che un giorno inventò la ruota, modificando così ra­ dicalmente le tregge che si usavano abitualmente per il trasporto. Io sono collegato con lui perché, non solo quando guido l'automobile ma anche in infinite altre circostanze, io vivo della sua straordinaria scoperta. Sono collegato con quanti inventarono il tetto, perché io vivo in una casa in cui l'acqua non entra neppure quando c'è un temporale. Sono collegato con le innumerevoli persone che hanno contribuito a rendere il linguaggio umano sempre più differenziato e flessibile, perché io vivo del linguaggio. Sono collegato p rofondamente con gli uomini che un giorno ebbero la geniale idea di inventare dei segni grafici, perché io vivo della scrittura. Si potrebbero fare molti altri esempi. Si potrebbe così vedere che non siamo legati soltanto agli uomini che fecero invenzioni utili, ma anche alle memorie collettive e con lo spirito oggettivo di intere epoche. Per questo motivo si deve parlare di una rete infinita. Senza questa semplicemente non potremmo vivere. Inoltre, essa diventa sempre più fitta. La crescita repen­ tina delle moderne tecniche informatiche genererà un intreccio di rapporti tra gli uomini (dagli effetti tanto positivi quanto negativi) che cent'anni fa non era neppure immaginabile. Cosa significa tutto questo per la risurrezione dei morti? Significa che la risurrezione non può essere in nessun modo una risurrezione esclusi­ vamente individuale. n singolo uomo, che nella morte incontra Dio, può incontrarlo solamente insieme a tutti i morti della storia del mondo, perché ogni individuo non p uò essere quel che è senza gli alt ri . Egli ha vissuto di

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loro. Ha ripreso i loro pensieri o ha preso invece le distanze dal loro pen­ siero. Altri uomini hanno reso possibile la sua libertà e lui ha reso possibile quella di altri - o l'ha invece negata. Egli ha danneggiato altri o è stato da loro gravemente danneggiato. Dunque, anche il suo giudizio potrà avvenire solo nel legame che lo unisce a tutti questi individui. Il giudizio divino sui singoli deve quindi confluire nel giudizio su tutti. Le azioni dei singoli, infatti, sono collegate e intrecciate con quelle di molti altri - a volte armonizzandosi con esse, altre volte distanziando­ sene103 E naturalmente questo legame non esiste solo con le " azioni" ma anche con le concezioni valoriali, con le interpretazioni della realtà e con gli ideali di intere epoche. Chi visse in Germania al tempo del Terzo Reich , visse con l'ideologia nazionalsocialista. Egli, in ogni caso, diventò un " autore " di ciò che fu compiuto . In quella situazione c'erano per lui quattro possibilità, naturalmente con molte forme intermedie: poteva a) assumere apaticamente e senza determinazione l'ideologia del popolo, del Reich e del Fiihrer; b) aderire per libera decisione al nazionalsocialismo; c) vivere in una forma di " resistenza" silenziosa, non pubblica104; d) opporsi pubblicamente, andando così, nella maggior parte dei casi, incontro a una morte sicura. Accade qualcosa di simile in molte altre situazioni. Noi tutti abbiamo dei rapporti - di opposizione o di accoglienza - nei confronti delle ideo­ logie e degli universi di significato della nostra epoca. Per questo motivo, la risurrezione per il giudizio non può mai riguardare soltanto il singolo individuo. Il giudizio avviene anche per le epoche della storia del mondo, insieme a tutti quelli che vi sono coinvolti. Non è dunque un caso che la Bibbia parli sempre al plurale della " risur­ rezione dei morti " , e questo anche nel caso di Gesù. Nel Nuovo Testamen­ to, come abbiamo visto, si parla di lui come della "primizia" o dell"' inizio" della risurrezione universale dei morti105 . I primi cristiani erano convinti che la risurrezione di Gesù avesse introdotto la fine del mondo e che, quindi, fosse imminente la risurrezione dei vivi e dei mortP06•

H.U. VON BAI.:fHASAR, Eschatologie im Umriss, 433 : «Le azioni di tutti sono reciprocamente intrecciate" [trad. it. , Lineamenti di escatologia, 3 7 2 ] . 10� Il concetto di "resistenza" (Resistenz) all'interno delle dittature fu coniato da Martin Broszat alla fine degli anni '70 del secolo scorso, in analogia al concetto utilizzato comunemente in medicina. Con questo termine si indica l'atteggiamento con cui determinati gruppi dell a società non si adeguano all'i­ deologia dominante, l'opposizione interna oppure le disobbedienze e le ostilità civili di questi gruppi. 1 05 Cf in questo libro Parte III, 5 (Il primogenito dei morti). 106 Per un approfondimento cf G. LOHFINK, ]esus von Nazaret, 410-436 [trad. it. , Gesù di Nazaret, 353-3 76] .

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D i fronte al mancato arrivo della fine del mondo, si pose alla teologia cristiana il compito di integrare in un sistema concettuale coerente le " cose ultime" del singolo e la risurrezione dei morti alla fine del mondo. Conse­ guentemente si ricavò che quando l'individuo muore, soltanto la sua anima incontra Dio. Questa viene giudicata individualmente e poi, nel caso in cui abbia superato il giudizio positivamente, vive godendo pienamente della visione di Dio (eventualmente dopo aver trascorso un tempo delimitato in purgatorio) . All a fine del mondo avviene poi la risurrezione corporea e il giudizio universale. Questa concezione, con tutti questi elementi, dominò per secoli la teologia e la pietà popolare. Vi si celavano però due problemi, almeno nella forma in cui veniva pensata nella maggior parte dei casi: l . In questo modo il corpo dell'uomo veniva privato di valore, anzi reso superfluo. Se, infatti, dopo la morte, il giudizio individuale e la purificazio­ ne, l'anima gode della piena visione di Dio, il sopraggiungere successivo del corpo, alla risurrezione dei morti, è un elemento che, in senso stretto, non è più necessario. L'anima, difatti, si trova già nella beatitudine con Dio. A che scopo si aggiungerebbe il corpo? 2 . Tutta il costrutto presupponeva, perlopiù in modo del tutto acritico, che oltre la morte il tempo scorresse come prima della morte: ore, giorni, anni, secoli. Il corso della storia terrena andava avanti in forma esattamente parallela al corso della vita con Dio: la singola anima deve aspettare che la storia del mondo sia giunta alla fine e avvenga la risurrezione dei morti. Gli stessi teologi, che sapevano che di tutto ciò che riguarda il mondo di Dio si può parlare soltanto per concetti " analoghi" 107, facevano improvvisamente un'eccezione per questo " stato intermedio " : il tempo terreno e il "tempo" presso Dio erano la stessa cosa o erano " commensurabili " , cioè " confron­ tabili " o meglio " misurabili l'uno rispetto all'altro" Tuttavia, si deve riconoscere a questa complesso tradizionale di idee di aver attribuito allo stadio intermedio, che veniva postulato, qualcosa non solo di assolutamente giusto ma anche di estremamente importante: la rete di legami di cui abbiamo parlato diffusamente in questo capitolo. Siamo " persone" sempre solo a partire dalla comunicazione con gli altri . Per questo motivo , frattanto, molti e significativi teologi dicono: il singolo individuo, anche se si trova già presso Dio, può essere presso Dio in forma piena e compiuta solo quando viene purificato e rielaborato tutto ciò che lo lega a coloro che vivono ancora sulla terra - per esempio, la sofferenza

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Sul concetto di analogia cf l'introduzione alla Parte IV del presente (Che cosa ci accadrà) .

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che egli ha inflitto ad altri. J oseph Ratzinger formula ciò che, in questo senso, è ancora da attendere e da portare a compimento con il seguente interrogativo108: Può un uomo essere considerato già del tutto finito e la sua storia conclusa fintanto che per causa sua si sta ancora soffrendo, fintanto che una colpa com­ messa da lui continua a ripercuotersi in terra, a far soffrire degli uomini?

Secondo Ratzinger, la rielaborazione, che è necessaria per questo motivo, si estende all'intera storia perché tutti gli uomini sono dipendenti gli uni dagli altri e sono collegati gli uni agli altri da una rete di relazioni. Egli parla della «concreta interdipendenza tra tutti gli uomini» e la spiega così109: Ogni uomo esiste dentro di sé e insieme fuori di sé; ogni uomo esiste con­ temporaneamente negli altri; ciò che accade al singolo, si ripercuote sull'intera umanità e ciò che accade all'umanità, accade al singolo.

Solo quando "sarà finita tutta la sofferenza della storia" , coloro che erano già morti - anche se potevano essere già certi della loro salvezza definitiva - potranno giungere alla meta e al loro vero compimento. È proprio qui che, secondo Ratzinger, l'idea dello stato intermedio tra .la redenzione del singolo e il giudizio universale alla fine della storia trova la sua giustifica­ zione teologica. Queste considerazioni persuadono e corrispondono con quanto ho detto sulla purificazione nella morte (Parte IV, 4) e sulla rete di legami tra i molti individui. n problema è solo il seguente: lo " stato intermedio" richiesto ' da giuste motivazioni, può collegarsi di nuovo a uno schema temporale irriflesso. L' "intermedio" , che si ritiene necessario sulla base di argomenti convincenti, poi viene spesso immaginato secondo un tempo terreno, dato che appunto la fine della storia non è ancora arrivata e la sofferenza della storia non è ancora finita110• 108

J . RATZINGER, Eschatologie, 15 1 [trad. it. , Escatologia, 197] . J . RATZINGER, Eschatologie, 153 [trad . it. , Escatologia, 200]. 110 In J. Ratzinger c'è assolutamente un'analisi critica del concetto del tempo terreno, u sato per la questione degli 'f.axa:r:aléschata, in particolare per l'evento della purificazione. Nel fare questo si richiama ad Agostino. Cf sulla sua posizione G. LOHFINK, Das Zeitproblem, 15 1 . J . Ratzinger scrive: 1 09

«Il " momento" trasformante di questo incontro [con ciò ].R. si riferisce all'evento della purificazione] si sottrae alle misure di tempo terrene: esso non è eterno, ma un passaggio; tuttavia volerlo qualificare come molto breve o molto lungo, secondo le misure di tempo derivate dall a fisica, sarebbe altrettanto ingenuo e non farebbe alcuna differenza. La sua "misura di tempo" sta nella profondità degli abissi di questa esistenza, i quali vengono misurati a passi e trasformati nel fuoco. Voler misurare un simile

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Certamente è necessario che tutto ciò che ha rovinato le relazioni o il male che c'è stato tra le persone sia risanato. Ciò avviene attraverso la purifìcazione nella morte. In questo senso, ci deve essere una situazione "intermedia" e un processo di "interazione" con le altre persone che tocchi proprio e anche il " corpo" Questo processo però - nella misura in cui riguarda la prospettiva dell'al­ dilà - non si può più pensare secondo un tempo terreno e non esige più, per i defunti, un'attesa "temporale" fino al termine della storia. Infatti, ciò significherebbe esattamente mettere il "tempo intermedio" del processo di purifìcazione in parallelo con lo scorrere del tempo della storia terrena, come se fossero commensurabitim. Per questo motivo possiamo presupporre che il giudizio individuale nella morte e il giudizio universale alla fine del mondo coincidano. Essi non sono identici, ma non si possono neppure separare l'uno dall' altro - né oggettiva­ mente né nel senso del tempo terreno. E sempre per questo motivo, anche l'incontro con Dio nella morte è un evento che non può essere separato dalla risurrezione di tutti i morti. Questa è la ragione per cui ho parlato dell' incontro di "tutto l'uomo" e dunque anche dell'incontro di "tutta la storia" con Dio. Naturalmente questo discorso richiede un concetto critico di tempo. Di questo si parlerà diffusamente in un capitolo successivo (Parte IV, 10) . Si dovrà parlare più precisamente anche di ciò che qui abbiamo chiamato "interazione" tra i vivi e i defunti (Parte V, 1 ) . Gli studi attuali sui temi di escatologia sono pienamente consapevoli di tutta questa problematica.

tempo di " esistenza" con il metro del tempo terreno significherebbe travisare la particolarità dello spirito umano nel suo rapporto con il mondo e nel suo distacco da esso» (Eschatologie, 183 [trad. it. , Escatologia, 239] ) . - J. Ratzinger, quindi, distingue nettamente tra "tempo del mondo" e "tempo" dopo la morte, che può essere compreso solo per analogia. Questa considerazione va presa sul serio. Tuttavia, essa deve valere ovviamente non solo per il processo della purificazione, ma di principio per tutte le affermazioni sull 'esistenza oltre la morte. Se si prende sul serio questo, ogni genere di parallelismo tra "tempo" dell 'aldilà e "tempo terreno" deve essere escluso. In senso stretto, si è arrivati a questo punto all' idea di una "risurrezione nella morte" , poiché se "tempo del mondo" e "tempo dell'esistenza" non possono essere calcolati insieme per farli corrispondere, ne segue che, quando l'uomo lascia dietro di sé il " tempo terreno" , proprio allora è "già" raggiunta la risurrezione dei morti. Cf le obiezioni di Ratzinger contro di me in Eschatologie, 97-99 [trad. it. , Escatologia, 127- 130] e la mia risposta in G. LOHFINK, Das Zeitproblem, 148-15 1 . m Non c'è quindi nulla da obiettare se anche chi sostiene una "risurrezione nella morte" si esprime dicendo che l'essere umano, già risorto nella morte, deve ancora "aspettare" che termini il corso della storia universale, poiché proprio la risurrezione individuale, già avvenuta nella morte, presuppone che giunga a compimento il corso della storia. Solo che questa "attesa" è allora appunto un concetto analogo, di cui non ci si può più fare una rappresentazione positiva.

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Nel frattempo sono molto numerosi i teologi cattolici che parlano di una " risurrezione nella morte " , sebbene lo facciano con alcune varianti11 2 : Tuttavia allo schema della "risurrezione nella morte" si può arrivare per due vie completamente diverse113 Una via parte dal concetto di anima e si pone la domanda: che cosa è veramente l'anima che incontra Dio nella morte? non ha niente a che fare con il corpo? non ha essa interiorizza­ to tutto il proprio corpo e tutta la propria storia? e perciò nell'incontro dell'uomo con Dio, che avviene nella morte, non c'è forse già !"'inizio" della risurrezione corp'o rea? L' altra via di accesso parte da un discorso sul tempo. Ci si chiede: " nella" morte o " dopo" la morte c'è ancora il tempo nel senso terreno? Si ritiene che, perlomeno, questo "tempo" dell'aldilà non possa più essere commen­ surabile con il tempo terreno. Per questo motivo, !"'intermedio " fino alla risurrezione universale dei morti non si potrà formulare semplicemente con i concetti usati per il tempo terreno. Pertanto, si parla di risurrezione " nel­ la " morte, tenendo presente però che ovviamente anche questo "nella " è un concetto analogo, del quale non ci si può più fare una rappresentazione.

8. La creazione intera

/ Abbiamo visto cosa significa risurrezione: è l'uomo intero che arriva a Dio, con tutto ciò che gli appartiene, con la pienezza e la colorata varietà della sua vita. Abbiamo visto anche un'altra cosa: la storia di ogni singola vita è intrecciata con le storie di vita di molte altre persone, anzi con gli svi­ luppi e gli universi di significato di intere epoche. Perciò, con ogni singolo individuo deve arrivare a Dio la storia di tutti gli uomini. 1 12

Cf , fra gli altri, J. FmNER - L. VISCHER, Neues Glaubensbuch, 3 4 1 -342 [trad. it., Il nuovo libro della fede, 465s. ] ; F.-J. NOCKE, Liebe, Tod und Au/erstehung, 146-147; ID. , Eschatologie zwischen Glau­ bensiiberlie/erung un d neuer Erfahrung, 1 13 - 1 14; U. LOKE, Au/erstehung am fiingsten Tag; E. MoLT­ MANN-WENDEL - J. MoLTMANN, Mit allen Sinnen glauben, 728; M. REMENYI, Au/erstehung denken, 77, 290. - Cf inoltre gli elenchi IN G. GRESHAKE - J . KREMER, Resurrectio, 254 nota 270, e G. GRESHAKE, Auferstehung im Tod, 53 8 nota 4.

113 Purtroppo spesso non si tiene conto di questi due approcci di pensiero differenti al discorso sulla "risurrezione nella morte" . Gisbert Greshake rappresenta la via che passa dall'anima, io quella che passa dal tempo. Greshake, ammesse pure tutte le somiglianze, si è sempre dovuto difendere, giustamente, da una identificazione pura e semplice del suo approccio con il mio. Cf soprattutto G. GRESI-IAKE,

Au/erstehung im Tod, 545 -547.

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Queste due affermazioni, però, non sono ancora sufficienti. La risurre­ zione è ancora di più: secondo il Nuovo Testamento, con la risurrezione di Gesù inizia ciò che l'apocalittica dell'Antico Testamento e del proto­ giudaismo114 chiama "nuova creazione" o creazione «di un nuovo cielo e una nuova terra»115• La risurrezione di Gesù non riguarda perciò soltanto il mondo degli umani ma, insieme ad esso, l'intero cosmo. Con il Risorto non arriva alla meta soltanto la storia dell'umanità. Con lui trova il proprio compimento anche l'universo. Ciò suona essere un discorso elevato. Ep­ pure, è proprio questo quanto è affermato dal Nuovo Testamento, come vorrei mostrare in questo capitolo. Se nella risurrezione dei morti, che inizia con Gesù, non giunge alla meta solo f essere umano ma il cosmo intero, allora ciò significa che tra l'uomo e il cosmo esiste un legame indissolubile. È facile comprendere l'importanza che deve essere riconosciuta a questo legame. Il pianeta Terra è parte del sistema solare, il nostro sistema solare orbita attorno al centro della Via lattea, la Via lattea è una tra i molti miliardi di galassie - e l'universo delle galassie si espande ad una velocità inimmaginabile e sempre maggiore a partire dal Big bang, circa 13 ,8 miliardi di anni fa. Da qualche parte, in questi spazi che non siamo più in grado di rappresentarci, il nostro pianeta fa la sua corsa intorno al sole. Tuttavia, ciò che è accaduto su questo pianeta Terra - minuscolo rispetto all'universo - è qualcosa che toglie il respiro: qui è sorta la vita, che si è organizzata in forme sempre più complesse fino ad ospitare in sé lo spirito umano. I biologi, che studiano l'evoluzione molecolare, dicono che il batterio originario, dal quale si sarebbero sviluppati tutti gli organismi succes�ivi, comparsi sul nostro pianeta, deve essersi formato in sorgenti calde, avrebbe scambiato con quell'ambiente diossido di carbonio e idrogeno e sarebbe stato molto ricco di metalli. Da queste origini organiche, attraverso un'evoluzione lunga e altamente differenziata, si è sviluppato l'essere umano. Egli proviene dalla materia della terra e, in tal modo, dalla polvere e dai gas delle stelle. E ancora oggi egli vive della terra, del sole e dell'acqua. Uomo e cosmo, spirito e mondo fanno parte inseparabilmente gli uni degli altri. Un'esistenza umana senza 114

Sul concetto di apocalittica cf III, 6 di questo libro. Cf Is 65 , 1 7 ; 66,22; Libro etiopico di Enoc 45 , 4-5 ; 72, l; 9 1 , 16-17 [trad. it. , Libro di Enoc, in Apocrifi dell'Antico Testamento l, UTET, Torino 1 9 8 1 , 525s., 573, 634s. ] ; Libro dei Giubilei l , 29; 4, 26; 5, 12; 19, 25 [trad. it., in Apocrifi dell'Antico Testamento l , 22 1 , 23 8s., 242s., 3 04] ; Apocalisse siriaca di Baruc 3 1 , 5-3 2 , 6; 44, 12; 57, 2 [trad. it., in Apocrzji dell'Antico Testamento 2, UTET, Torino 1989, 193 s ., 200, 2 13 ]; 4 Esdra 7 , 75 [trad. it. , Quarto libro di Ezra, in Apocrifi dell'Antico Testamento 2 , 329] . 1 15

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mondo è impensabile. «Possiamo invece constatare come [ . ] la materia e la sua evoluzione formino la preistoria dello spirito» (J. Ratzinger) 116• La Bibbia è pienamente consapevole di questo forte legame tra l'essere umano e il cosmo. È già sufficiente sfogliare solo le prime pagine dell'Antico Testamento. Lì si racconta la creazione del mondo. Si parla di cielo e terra, suolo e mare, piante e alberi, sole, luna e stelle, pesci e uccelli, bestiame e animali selvatici. Poi viene creato l'uomo come signore e custode di tutte le piante e gli animali. E alla fine si dice: . .

«Così furono portati a compimento il cielo (Gen 2 , 1 ) .

e

la terra e tutte le loro schiere»

Qui "schiera" (K';J�f$ebha) potrebbe indicare l e schiere delle stelle (cf Is 40,26) e poi, in analogia, il brulichio degli animali e degli umani117• La Septuaginta, la traduzione greca dell'Antico Testamento, che risale al III secolo a.C., con una certa ragione usa la seguente formulazione: Così furono portati a compimento il cielo e la terra con tutto il loro ornamento (K6a�oç;lk6smos) .

E al centro di tutto questo l'essere umano ! Questo intreccio, che unisce inscindibilmente l'umano con il resto del cosmo, è testimoniato dall'Antico Testamento anche quando non invita solo l'uomo all a lode di Dio ma, oltre a lui, anche la creazione intera. Tutti gli angeli e le schiere celesti, il sole e la luna, il fuoco e la grandine, neve e nebbia, i monti e le colline, gli animali selvatici e quelli domestici, i rettili e tutti gli uccelli, i giovani e le ragazze, tutti gli esseri umani, tutte le creature e anche le profondità della terra lodino il nome del SIGNORE, perché solo il suo nome è sublime: la sua maestà sovrasta la terra e i cieli.

Questo elenco ricalca il Salmo 148. Insieme ai Salmi 146-150 forma la grandiosa conclusione del salterio. Questi cinque ultimi s almi sono compo116 J. RATZINGER, Einfiihrung in das Christentum, 266 [trad. it. , Introduzione al cristianesimo, 262] . Sul rapporto tra uomo e mondo, cf ibid. , 264-268 [trad. it. , 260-264 ] . 117 La prima versione della Einheitsiibersetzung - traduzione unificata della Bibbia, in uso per molto tempo, diceva: «E tutta la sua compagine (Ge/iige)». In ogni caso non si tratta di qualcosa di supple­ mentare o di aggiunto in un secondo momento, ma d h ma caratterista già propria del creato.

Che cosa avverrà di noi

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sti come uno sguardo aperto verso i tempi escatologici. E vogliono dire: viene il giorno in cui l'intera creazio�e si trasformerà in lode di Dio. n salterio termina con questo finale, nel quale prima si è parlato sempre di miseria, discordia, guerra, pericolo e morte. Alla fine l'universo sarà pura lode - la creazione intera con il sole e la luna, la neve e la nebbia, le piante, gli animali e l'uomo118• Come è possibile, però, che la creazione non-umana lodi Dio? Ovvia­ mente essa non lo può da sé stessa. Essa lo può solo perché l'uomo sempre di nuovo contempla il mondo con attenzione e con stupore, percependo la forza e la bellezza della creazione e dando voce ad essa. Egli sta così da­ vanti a Dio come "bocca" del cosmo intero. È proprio in questo modo che l'uomo e il cosmo, al di là di ogni identità fisica, vanno a formare un'unità definitiva e irrevocabile. Quando l'essere umano, come bocca di tutta la creazione, diventa puro inno di lode e di ringraziamento, egli interiorizza la creazione, diventa una cosa sola con essa, le conferisce spirito e senso. L'Antico Testamento è tutto attraversato dall'idea dell'unità della cre­ azione. Questa unità vi è però evocata anche da un'angolazione del tutto diversa: l'uomo può certo lodare Dio, facendosi così voce della creazione. Egli, però, può anche agire andando contro 1'ordine della creazione. E allora egli non distrugge solo sé stesso, ma anche il suo ambiente vitale - e non solo quello che lo circonda ma la Terra intera. I profeti di Israele descrivono ampiamente come il caos nella società porti al caos nella natura119• Così si legge, per esempio, in Is 24,3 -7 : Sarà tutta devastata la terra, sarà tutta saccheggiata, perché il SIGNORE ha pronunciato questa parola.

È in lutto, languisce la terra; è squallido, languisce il mondo, gli abitanti altolocati della terra120 sono intristiti. La terra è stata profanata dai suoi abitanti, perché hanno trasgredito le leggi, hanno disobbedito al decreto, hanno infranto l'alleanza eterna. 118

Il male sarà allora giudicato e annientato: Sal 146,9; 147,6; 149,5"9. Cf. p er esempio Is 13 ,9- 13; 24,18-23 ; Ger 4,23 -28; 23 , 1 0 ; Ez 32,6-8; Os 2,14; 4 , 1 -3 ; Am 8,9. Quando, in questi passi, viene indicato Dio come autore di ciò che si descrive, si tratta in realtà di un modo di esprimersi abbreviato. La vera causa è il peccato umano, che non può restare senza risposta. 1 19

120

Si pensi qui allo strato sociale superiore.

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Per questo la maledizione divora la terra, i suoi abitanti ne scontano la pena; per questo si consumano gli abitanti della terra e sono rimasti solo pochi uomini rapidamente li si conta. La vigna languisce, lugubre è il mosto, gemono e sospirano tutti i cuori che una volta erano in festa.

In questo testo apocalittico del libro di Isaia non si parla evidentemente della terra di Israele, ma del mondo dei popoli nel suo insieme. La terra è desolata e languisce poiché i suoi abitanti peccano. «L'empietà dell'uomo altera anche l'ordine del cosmo» (Hans Wildberger12 1 ) . È proprio sullo sfondo di questa teologia apocalittica che Paolo, i n Rm 8 , 1 8-25 , parla dei sospiri e gemiti di tutta la creazione. Gli esseri umani non sono gli unici a sospirare e gemere, lo fa anche tutta la restante creazione. Essa soffre le doglie del parto insieme al mondo degli esseri umani. La caducità, la vanità e la vacuità continuano ancora a caratterizzare il mondo. Come abbiamo detto: Paolo parla qui sullo sfondo delle descrizioni apo­ calittiche dell'Antico Testamento e del primo giudaismo. Sono tutti testi che provengono da un lontano passato. Risalgono a duemila anni fa e in parte sono addirittura più antichi. Inoltre, essi utilizzano immagini e metafore. Nonostante ciò, noi oggi possiamo confermare in modo terribile queste immagini. Esse d sono vicine e sono divenute assolutamente reali. Ormai da decenni stiamo sperimentando lo sfruttamento, la distruzione del nostro mondo vitale, anzi della Terra. Distruzione perché non ci si pone nessun limite, perché si è avidi e arroganti. I campi sono contaminati, i fiumi inquinati, i mari riempiti di rifiuti di plastica, intere foreste pluviali abbattute, i terreni cementificati, innumerevoli specie animali sterminate, massicci cambiamenti climatici accettati con un'alzata di spalle. In questi decenni abbiamo preso coscienza dei gemiti della creazione, di cui parla Paolo in Rm 8 ,22 , con una drasticità che non potevamo immaginare. Non voglio però dilungarmi oltre su questo fenomeno . Ciò che qui mi interessa è il punto seguente: anche in Rm 8 si mostra il legame inscindi­ bile che esiste tra l'uomo e il cosmo. La creazione extra umana1 22 geme

H. WrLDBERGER, ]esaja. 2. Teilband (BKAT X/2) , Neukirchen-Vluyn 1978, 92 1 . Col termine Ktimçlktfsis (creazione) Paolo intende qui soprattutto le creature non umane, dato che in 8,20 fa riferimento all a maledizione sulla creazione di Gen 3 , 1 7 - 1 8 . Tuttavia, non si possono 122

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1 89

e soffre come un umano - però anch 'essa, come l'uomo, è in uno stato di attesa. Cosa sta aspettando? La liberazione e la redenzione, dice Paolo (8,2 1 ) . Ed ora la cosa sorprendente ed inaspettata di questo testo singolare: da cosa la creazione intera si aspetta liberazione e redenzione? verso cosa guarda con gemiti e con trepidazione ( 8 , 1 9 ) ? Essa guarda verso la " rivelazione dei figli di Dio" (8, 1 9 ) . In cosa consiste questa rivelazione dei figli di Dio? Essa si realizza con la risurrezione, con la redenzione del corpo umano (8,23 .29 ) . Paolo h a dunque in mente l a risurrezione, l a piena manifestazione di ciò che ai credenti è già stato donato come " caparra " in questo tempo attra­ verso lo Spirito di Dio. Quando questa rivelazione si realizzerà, insieme al ritorno di Cristo, allora ci sarà, in modo definitivo e irrevocabile, la libera­ zione dalla schiavitù della caducità a cui il mondo è sottomesso a causa del peccato - e questa liberazione coinvolgerà tutta la creazione extraumana . Con ciò si chiarisce anche che una cosa come la risurrezione non può essere un prodotto della creazione, e neppure di quell'essere altamente sviluppato che è l'uomo. La risurrezione dell'umano e del cosmo è parteci­ pazione alla risurrezione di Gesù Cristo. Perciò, in Rm 8,29, Paolo afferma: quelli che egli [Dio] da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli.

In questa concisa formulazione paolina balena per un istante il racconto della creazione di Gen 1 : come là, nella prima creazione, l'essere umano fu definito «immagine di Dio» ( l ,27 ) , così ora, nella nuova creazione, è de­ finito "immagine del Figlio suo " , dunque immagine del Risorto. Tuttavia, si deve sapere che qui "immagine" è molto di più di una semplice figura esteriore. " Immagine" è la forma luminosa dell'essenza stessa123 • Dunque Rm 8,29 vuole dire: nella risurrezione coloro che credono in Dio e che lo amano saranno resi conformi all'essenza di Cristo. La loro risurrezione sarà partecipazione - aver parte alla gloria pasquale di Cristo. Tutta la sezione di Rm 8 , 1 8-30 arriva così a dire: l'uomo che crede e che spera partecipa alla

tirare dei confini troppo netti. Il termine potrebbe includere anche l'umanità non cristiana. Su tutto il problema cf. la posizione ben motivata ed equilibrata di E. K.i\SEMAN N , An die Romer (HNT 8a), Mohr, Tiibingen 19 73 222-225 . 123 Cf l Cor 1 1 ,7 ; 15 ,49; 2 Cor 3 , 1 8; 4,4; Col 3 , 10. Si veda anche H Kleinknecht in Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament - Th WNT II 386 [trad. it. , G. Km'EL - G. FtUEDJUC!-1 (edd . ) , Grande lessico del Nuovo Testamento III, Paideia, Brescia 1967 , 160s.] . ,

1 90

parte quarta

rìsurrezione di Cristo - e con lui vi partecipa la creazione intera. Anch'essa sarà liberata e redenta. Con una terminologia differente e sotto un altro punto di vista, dice la stessa cosa anche l'autore della lettera agli E/esini quando afferma che Dio «dispensa la pienezza dei tempi» riconducendo «al Cristo, unico capo, tutte le cose» così riunite, «quelle nei cieli e quelle sulla terra» (E/ 1 , 10) . Dunque, tutta la storia è diretta verso il Cristo glorificato. Non solo tutta la storia, ma la creazione intera è raccolta e portata a compimento in Cristo. In questo contesto va ricordata anche la lettera ai cristiani di Colossi. li suo autore, in 1 , 15-20, parla di Gesù Cristo con uno stile aulico124: Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. Egli è anche il capo del corpo, della chiesa. Egli è principio, pri­ mogenito di q_uelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. E piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.

Questo testo, incredibilmente denso e teologicamente ricco125, nella se­ conda parte parla del Cristo crocifisso, risuscitato e glorificato, attraverso il quale Dio ha riconciliato il mondo. Questo si riallaccia alla cristologia più antica: Cristo è il primo, il principio della risurrezione universale dei morti,

124 Ricostruire, qui come in altri passi della letteratura epistolare neotestamentaria, inni e cantici è di certo la gioia più grande degli esegeti, però questo tentativo non può che fallire. In

Col 1, 15-20 (e già

prima in 1,12-14) c'è sicuramente un linguaggio aulico, che forma delle lunghe catene di congiunzioni relative e di locuzioni preposizionali messe di seguito le une alle altre, però questo è tipico dello stile delle preghiere solenni. La forma linguistica non è quella di un inno, cantato dalla comunità, ma quello della preghiera solenne che viene recitata da colui che presiede la celebrazione. Queste preghiere venivano formulate liberamen te e coloro che le recitavano dovevano servirsi di espressioni prestabilite e di formule tradizionali, mettendole insieme non sempre con la stessa abilità. Su tutta la questione cf

Sprache und literarische Formen des Neuen Testaments, 173-178. Questo è il motivo per cui non ho riportato il testo sud dividendolo in versi ma in forma continua, proprio come veniva pregato nella celebrazione. 125 Per la storia dell'interpretazione di Co/ 1,15-20 cf la sintesi di P. STUHLMACHER, Biblische Theologie des Neuen Testaments 2, 4-14. Stuhlm acher si oppone giustamente a una revisione del testo esistente. - A parer mio, però, non si tratta in nessun modo di un inno comunitario, ma di uno stile di preghiera libera in linguaggio aulico. I p residenti delle celebrazioni comunitarie parlavano utilizzando questo stile di preghiera, e l'autore della lettera ai Colossesi era in grad o di utilizzare questo stile in modo magistrale.

M. REISER,

Che cosa avverrà di noi

191

e già solo in questo si fonda l a sua dignità superiore. In lui h a preso dimora Dio stesso, con tutta la sua pienezza e la sua gloria (cf Col 2 ,9) e per mezzo di lui e in vista di lui Dio ha riconciliato l'universo. Ben presto si sviluppò però anche una cristologia che non prendeva le mosse dalla risurrezione e glorificazione di Cristo ma, appoggiandosi a testi sapienziali dell'Antico Testamento126, dalla creazione del mondo: Cristo è il modello originario di tutta la creazione - e anche in questo consiste la sua dignità superiore. Il testo di Cal l , 15-20 collega i due approcci: Cristo è "il primogenito di tutta la creazione" ed egli è "il primogenito dai morti" , dunque il principio della nuova creazione di Dio. L'aspetto particolare di Cal 1 , 15�20 si trova nel fatto che qui, non meno di quattro volte, si parla dell'universo, in greco tà. navta/tà pdnta. Cosa si intende? È del tutto evidente che non ci si riferisce semplicemente alla totalità delle creature ma, in un senso ancora più specifico, alle potenze del mondo in eterno conflitto tra di loro. L'autore parla di " troni " , " do­ minazioni" , "principati" e "potenze 1' (Col 1 , 16) . Si tratta, in primo luogo, di potenze sociali. Però, secondo la visione ellenistica del mondo, dietro i partiti in conflitto e le nazioni in lotta ci sono potenze cosmiche. Ogni discordia del mondo ha alla base queste potenze, che offuscano il nostro mondo fin nelle sue più recondite profondità e lo rendono schiavo. Ora, di fronte a questa situazione, l'autore vuole dire ai cristiani di Colossi: tutte queste potenze negative del mondo sono impotenti, perché l'universo non è solo stato " creato in vista di Cristo " , ma è stato anche riconciliato da Dio per mezzo della morte di Gesù. La riconciliazione fondata in lui non è solo tra gli uomini, ma è riconciliazione tra le potenze del cosmo, è dunque riconciliazione dell'universo. Così anche Co/ 1 , 15 -20 (sebbene in una forma del tutto diversa da Rm 8 , 18-25 ) dice che il cosmo intero viene raccolto nella gloria della creazione nuova, poiché l'universo è creato e riconciliato in vista di Cristo. Col 1 , 15-20 non parla quindi soltanto della pace e della riconciliazione tra gli uomini, ma anche della meta finale della creazione intera. Certamente, però, se vogliamo rappresentarci il modo in cui la creazione extraumana sarà raccolta e redenta, non troviamo qui null a di utile. Non è però neppure necessario che ci dipingiamo davanti agli occhi questi eventi. Si tratta di qualcosa che non possiamo rappresentarci: il cosmo intero parte­ ciperà alla risurrezione che è iniziata con Gesù Cristo. La liberazione della creazione non avverrà quindi isolatamente o per sé ma, in un modo che 126

Principalmente

a

Prov 8,22-3 1 .

parte quarta

1 92

non possiamo immaginarci, sarà integrata in ciò che si realizza nel Cristo Risorto e, per mezzo suo, in noi esseri umani127 Non saremo redenti "da questa terra" ma " con essa" 128 • Una volta che si è compreso questo, l'appello alla tutela della creazio­ ne riceve un significato ancora più profondo. Esso, infatti, rende l'essere umano maggiormente consapevole dell'interdipendenza che lo unisce alla creazione p re-umana. Con la nostra attenzione e protezione nei confronti della Terra e di tutte le creature, ci uniamo alla creazione e le diamo voce davanti a Dio. Allora, però, anche l'arte poetica, che apre gli occhi sulla creazione con fascino sempre nuovo - anzi, che non solo apre gli occhi su di essa ma che anche la ricrea con il linguaggio - ha una funzione teologica. Così, per esempio, in questi versi di Matthias Claudius129 Nero e silente è il bosco e dai prati sale bianca e meravigliosa la nebbia,

il mondo non viene solo riprodotto ma interpretato, e non solo interpreta­ to ma interiorizzato. In questo modo, però, è raccolto nel mondo "cosciente" dell'essere umano e, proprio in questo modo, aperto verso la risurrezione. Lo stesso vale naturalmente di tutti i grandi pittori che, rappresentando il mondo, lo portano alla sua identità, di tutti i musicisti nelle cui sinfonie risuonano i ritmi del mondo e della storia. Ciò che abbiamo detto vale ovviamente anche per l'arte astratta. Essa, certo, non riproduce il mondo, ma crea nuovi mondi - però anche questi sono de facto rispecchiamenti e interpretazioni del mondo già esistente130•

1 27

Nel suo saggio Sulla teologia della morte, Karl Rahner cerca di mostrare come già con la morte si

realizzi un'unità più profonda tra l'uomo e il cosmo: «Nella morte l'anima dell'uomo entra completa­ mente nella condizione al di là del mondo, oppure viene a trovarsi proprio per questo in una maggiore vicin anza e in un più intimo rapporto a quel fondamento difficilmente intelligibile, ma tuttavia reale, dell' unità del mondo, nel quale tutte le cose del mondo sono collegate e comunicano fra loro prima ancora del loro reciproco influsso, non essendo più vincolata dalla sua forma corporea particolare?»

( 1 9-26, qui 20) [trad. it. , Sulla teologia della morte. Con una digressione sul martirio, Morcelliana, Brescia 1965 , 20] . 1 2R

Formulazione che riprende E. MOT.T MANN- W F.N Diil.. -]. MoLTMANN, Mit allen Sinnen glauben, 725 . - Canto della sera ( " La luna è sorta" ) , fine della prima strofa. 129

MATTHIAS CLAUDHJS, Abendlied (Der Mond ist au/gegangen)

13°

Ciò si vede, per esempio, quando certi quadri assolutamente astratti, spesso in modo sbalorditivo

e del tutto involontario, assomigliano a microscopiche riproduzioni del mondo molecolare.

Che cosa avverrà di noi

1 93

Allo ra, però, anche tutta l'attività di ricerca - dal lavoro dei biologi mo­ lecolari fino ai calcoli degli astrofisici - riceve un alto significato teologico . Anche la "misurazione del mondo " , infatti, rende sempre più forte il le­ game dell'uomo con il cosmo. Quando viene fatta in modo approp riato, può portare l'uomo alla meraviglia. La meraviglia, però, sarebbe l'inizio della lode - e attraverso questa, in cui l'uomo racchiude tutte le cose, dalla struttura del mondo atomico, al bosco silente, fino alle nebulose a spirale, si può pensare che sia aperta una strada per raccogliere l'intera creazione pre-umana nella realtà della risurrezione. Certo, sarebbe una via di pura conoscenza. Tuttavia, la conoscenza e la meraviglia sono le espressioni pro­ prie dello Spirito - e proprio così il cosmo viene spiritualizzato e preparato alla sua risurrezione13 1 • Ovviamente, gli artisti e gli scienziati non sono gli unici che esplorano il mondo. In fondo, ogni uomo incontra continuamente dò che qui chiamo "mondo " Ogni uomo lo osserva, lo indaga, lo esamina, si confronta con esso, opera su di esso, lo cura, lo ama. Proprio così il mondo viene interio­ rizzato dall'uomo. Non voglio dire che con queste riflessioni sia già detto tutto. Béla Weiss­ mahr afferma che l'universo, nel suo compimento, sarà la "personalizzazio­ ne di tutta la materia" 132• Joseph Ratzinger si spinge ad affermare che nella risurrezione della carne «la materia apparterrà allo spirito in un modo del tutto nuovo e definitivo e che per questo sarà tutt'uno con la materia». In questo contesto egli parla di «scambio universale " tra spirito e materia, di «apertura universale" e di «superamento di ogni estraneazione" Scrive: «Solamente allorquando si stabilirà una simile unità del creato, potrà valere che " Dio è tutto in tutti" ( 1 Cor 15,28)»133 . È bello che ci siano formulazioni elevate come queste. Permettono di vedere l'ampiezza delle promesse bibliche. Tuttavia, a me è sembrato giu­ sto seguire la riflessione "più bassa" che considera il lavoro degli artisti e degli scienziati, e in generale di tutti gli uomini. È proprio in questo modo che viene preso sul serio il ruolo dell 'essere umano nella creazione - il ruolo dell'uomo che cerca incessantemente di comprendere il "mondo " , dell'uomo che indaga tutto, d à un nome a tutto, assegna a tutto il suo po­ sto, rappresenta tutto, vuole sempre la totalità, e proprio in questo modo assume tutto facendolo proprio. Ciò che gli è diventato proprio, però, non

Sul tema della "raccolta della creazione " , cf M. KEI-IL, Eschatologie, 240-244 . 1 3 2 B. WmSSMAHR, Kann Gott die Auferstehung]esu durch innerweltliche Krli/te bewirkt haben ?, 45 8. 1 33 J. RATZINGER, Eschatologie, 154- 155 [trad . it . , Escatologia, 202 ] .

1 94

parte quarta

può finire, poiché la risurrezione, come abbiamo visto, abbraccia la storia intera dell'uomo e tutto ciò che gli appartiene (Parte IV, 6). Inoltre, la ricezione del mondo materiale, così come l'abbiamo descritta, si fonda sul principio della partecipazione, senza il quale la risurrezione non si può in alcun modo pensare: al mondo preumano è dato di prendere parte all a risurrezione dell'uomo perché esso è stato interiorizzato dall'uomo. E all'uomo - questo è decisivo - con tutto ciò che ha interiorizzato, è dato di prendere parte alla risurrezione di Cristo. Tornerò di nuovo più avanti sul principio della partecipazione (Parte IV, 12). I n ogni caso, però, questo capitolo dovrebbe aver mostrato che l a crea­ zione del mondo e le " cose ultime" sono collegate in modo strettissimou4• li mondo è creato in vista della sua risurrezione perché esso è creato in vista dell'uomo - e l'uomo in vista di Cristo.

9.

La città desiderata

La Bibbia ci propone una visione grandiosa che esprime ciò che è stato detto negli ultimi tre capitoli: l'immagine di una città splendente che scende dal cielo sulla terra. Con questa visione finisce l'Ap.ocalt'sse di Giovanni135, finisce il Nuovo Testamento e termina anche l'intera Scrittura: «E vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c'era più. E vidi anche la città santa, la Gerusalemme nuova, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente, che veniva dal trono e diceva: " Ecco la tenda di Dio con gli uomini ! Egli abiterà con loro ed essi saranno suoi popoli ed egli sarà il Dio con loro, il loro Dio. E asciugherà ogni lacrima dai loro occhi e non vi sarà più la morte né lutto né lamento né affanno, perché le cose di prima sono passate» (Ap 2 1 , 1 -4).

Poi appare un angelo che trasporta il veggente su di un alto monte e gli mostra la meraviglia della Gerusalemme nuova, la città escatologica: la: città santa, Gerusalemme, che scende dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio. Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissi-

«.

. .

n4 Cf H. V. VON BALTHASAR, Eschatologie im Umrt'ss, 410 [trad. it. , Lineamenti di escatologia, 352] . u' Ciò che segue è soltanto la testimonianza finale che serve da conclusione dell'intero libro: 22,6-2 1 .

Che cosa avverrà di noi

1 95

ma, come pietra di diaspro cristallino. È cinta da grandi e alte mura con dodici porte: sopra queste porte stanno dodici angeli e nomi scritti, i nomi delle dodici tribù dei figli d'Israele. A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzo­ giorno tre porte e a occidente tre porte. Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello» (2 1 , 1 1 - 14).

Poi, davanti agli occhi del veggente, la città viene misurata dall'angelo, comprese le porte e le mura: «La città è a forma di quadrato: la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'an­ gelo misurò la città con la canna: sono dodicimila stadi; la lunghezza, la larghez­ za e l'altezza sono uguali» (2 1 , 16).

Segue la descrizione dei materiali con cui essa è costruita. La città è d'oro, così puro come terso cristallo. I basamenti delle mura sono adorni di pietre preziose, e ogni porta è una perla. «In essa non vidi alcun tempio: il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio. La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria diDio la illumina e la sua lampada è l'Agnello» (2 1 ,22 -23 ) .

Se, fino a questo punto, l a visione della città celeste era già ricca di ri­ chiami a testi dell'Antico Testamento, ora le allusioni bibliche diventano ancora più fitte: «Le nazioni cammineranno alla sua luce, e i re della terra a lei porteranno il loro splendore. Le sue porte non si chiuderanno mai durante il giorno, perché non vi sarà più notte. E porteranno a lei la gloria e l'onore delle nazioni. Non entrerà in essa nulla d'impuro, né chi commette orrori o falsità, ma solo quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello» (2 1 ,24-27 ) .

Qui si allude al pellegrinaggio dei popoli a Sion, di cui parla il libro di

Isaia136• Seguono poi le citazioni tratte dal profeta Ezechiele137:

«E mi mostrò poi un fiume d'acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello. In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall'altra del fiume, si trova un albero di vita138 che dà frutti dodici volte all'an13 6

Cf. Is 2 , 1 -5; 18,7; 25 ,8; 66,22 e soprattutto il capitolo 60. 137 Cf. Ez 47 ,1-12, in particolare il v. 12. us Ciò che è chiaro è che c'è la piazza, il fiume, l'albero, ma il testo non chiarisce quale sia la corre­ lazione tra tutti questi elementi.

1 96

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no, portando frutto ogni mese; le foglie dell'albero servono a guarire le nazioni. E non vi sarà più maledizione [di Dio]» (22 , 1 -3 ) .

L a visione si conclude rinnovando la certezza della vicinanza salvifica di Dio e dell'Agnello - una vicinanza che riempie tutto del suo splendore. Se all'inizio della visione la presenza di Dio culminava nell'asciugare ogni lacrima dagli occhi dei suoi, ora la conclusione culmina nella promessa: «vedranno il suo volto» (Ap 22 ,4 ) .

Tutta la visione riprende continuamente affermazioni dell'Antico Te­ stamento139. Molte sono le grandi parole della Bibbia che compaiono qui: creazione, cielo, terra, Israele, Gerusalemme, il popolo, i popoli, Dio, volto, gloria. Inoltre, si aggiunge immagine ad immagine, promessa a promessa - e tutto sotto il segno della realizzazione e del compimento. Tuttavia, anche se ci troviamo di fronte a una successione di molte imma­ gini, una domina l'intera visione dall'inizio alla fine: l'immagine della città. Perché proprio questa immagine? perché non si descrive un"' isola dei be­ ati " ? o gli stessi beati che regnano sulle nubi? o ancora meglio: un paradiso escatologico, dove il leone pascola insieme all'agnello e un fanciullo gioca sulla buca del serpente (Is 1 1 ,6-9) ? Così tutta la Bibbia si troverebbe inclusa da due paradisi: dal paradiso perduto all'origine e da quello ritrovato alla fine. Invece no: viene descritta una città. Come mai? In primo luogo, ovviamente, a motivo di Gerusalemme ] Nella Bibbia Gerusalemme era, da molto tempo, espressione del desiderio profondo del popolo di Dio. Da tempo essa era divenuta il simbolo del compimento di tutte le promesse, era la patria sperata, ideale di sicurezza e di bellezza. In uno degli inni di pellegrinaggio di Israele si dice: «Quale gioia, quando mi dissero: " Andremo alla casa del SIGNORE ! " Già sono fermi i nostri piedi alle tue porte, Gerusalemme ! Gerusalemme è costruita come città unita e compatta.

È là che salgono le trib ù, le tribù del SIGNORE, secondo la legge d'Israele, per lodare il nome del SIGNORE» (Sa/ 122 , 1 -4 ) . 139 Cf soprattutto Gen 2 , 10-14; Es 6,7; Lv 26, 1 1 -12; Tb 13,17; Is 24,23 ; 25,8; 43 ,19; 54,1 1-12; 60, 11 1 . 19; 61,10; 65 ,17; 66,22; Ez 47 , 12; Zc 14,8.

Che cosa avverrà di noi

1 97

Qui, come in molti altri testi dell'Antico Testamento, si vede come Ge­ rusalemme rappresenti il centro e l'essenza del popolo di Dio. La città santa, che discende dal cielo e che viene chiamata "nuova Gerusalemme " , è dunque l'immagine dell'Israele escatologico e del vero popolo di Dio140• Però, qui si usa l'immagine della città anche perché si deve descrivere un'immagine opposta alla città di Babilonia che, nei capitoli 17-1 8, è pre­ sentata come prostituta. Da una parte Babilonia è la terribile città sull'Eu­ frate, la " devastatrice" di Israele (Sal l37,8) dove, secondo Gen 1 1 , 1 -9, gli uomini, nella loro superbia, avevano tentato di raggiungere il cielo con una torre dovendosi poi disperdere, perché Dio aveva confuso le loro lingue. Però, allo stesso tempo, Babilonia è anche cifra segreta della città di Roma nella quale furono uccisi gli apostoli e i profeti (Ap 18 ,20) . Ap 2 1-22 va letto su questo sfondo di edificazioni di città che hanno avuto esiti negativi. Ora, alla fine dei tempi, la costruzione della città riesce. Essa non è edificata dalla u�ptç/hybris umana, ma discende dal cielo , come progetto divino in opposizione a ogni città precedente. Il suo splendore non si basa sulla rapina, sull'oppressione e la violenza, ma viene soltanto da Dio . Essa non disperde gli uomini, ma li raccoglie (Ap 2 1 ,24 ) . Però , l'immagine della città è ancora molto più ricca. Si deve semplice­ mente sapere quale fosse il significato della " città nuova " a partire dall'e­ poca di Alessandro Magno141• Nella tarda antichità, essa era diventata l'e­ spressione più alta del progresso civile, un'opera frutto di pianificazione e di progetti orientati al futuro . C'erano intere città che, ancor prima di essere costruite, erano state progettate scrupolosamente a tavolino, calcola­ te nei minimi particolari. Erano a pianta quadrata, le porte erano disposte simmetricamente, l' approvvigionamento delle acque e il loro smaltimento erano pianificati, erano attraversate da grandi viali con portici su entrambi i lati. Molte delle città ellenistiche di nuova fondazione volevano essere espressione non solo di funzionalità ma anche di solennità e bellezza. Inoltre, nell'antichità la città era anche simbolo della "società" . Aristo­ tele, che ha definito per primo il concetto di " società" , la descrive come noÀtttKij Kotvrovialpolitiké koinonia - come " associazione della n6Àtç/ p 6 lis '' , cioè della città 142 •

14 0 Per un approfondimento cf G. LoHriNK, ]esus und die Kirche, 28-30 [trad . it . , Gesù e la Chiesa, 5 1 -54] . 14 1 C/ per quanto segue soprattutto D. GEORGI, Die Visionen vom himmlischen ]erusalem. 142 Cf M. RIEDEL, Biirgerliche Gesellscha/t, in O. BmJNNER et al. (edd. ), Historisches Lexikon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland 2, Stuttgart 1975 , 71 8-800.

1 98

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Già a prima vista è chiaro come in Ap 2 1-22 si rispecchi ampiamente questo ideale della città nuova: soprattutto la pianta quadrata, poi le quat­ tro porte orientate verso i quattro punti cardinali e infine il grande viale rettilineo che attraversa la città. Pertanto, non si può non tener conto di ciò che l'Apocalisse di Giovanni vuole esprimere con l'immagine del cielo nuovo e della terra nuova, come anche con quella della nuova Gerusa­ lemme: il compimento, che Dio donerà alla fine della storia, non sarà un compimento del singolo, per una gioia e un piacere che ora potrà godersi per conto suo. Ciò che Dio dona è invece una nuova società, ciò che i secoli hanno desiderato e voluto conquistare. Sì, essa è la società nella sua forma più alta. Essa è "incontro, raduno e comunicazione in tutto" Infatti,