Academica. L'arte del dubbio 9788817176095

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Academica. L'arte del dubbio
 9788817176095

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L'amicizia Bruto La casa Le Catilinarie Dell'oratore Difesa di Cluenzio Difesa di Marco Celio Due scandali politici I doveri Il fato Le Filippiche Lettere Lettere ai familiari La natura divina Orazioni cesariane Paradossi degli stoici Il poeta Archia Il processo di Verre La Repubblica Tuscolane La vecchiezza

Marco Tullio Cicerone

ACADEMICA L'arte del dubbio Introduzione, traduzione e commento di Daniele Di Rienzo

Testo latino a fronte

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Pubblicato per

da Mondadori Libri S.p.A. Proprietà letteraria riservata © 2022 Mondadori Libri S.p.A., Milano ISBN 978-88-17-17609-5 Prima edizione BUR Classici greci e latini: settembre 2022

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INTRODUZIONE

La scrittura come terapia

L'ultima stagione della vita di Cicerone conobbe momenti di profondo sconforto: la desolazione per la situazione poli­ tica della Repubblica, unita alla percezione del progressivo ridi mensionamento del proprio ruolo politico, fu esacerbata da dolorose vicende familiari; al divorzio, cui tenne dietro un matrimonio improvvisato e fallimentare con la giovane Publilia, seguì il triste anno 45, segnato dalla prematura morte di parto di Tullia, l'amata figlia; quei mesi invernali segnarono un discrimine e diedero inizio alla difficile, e pur assai fecon d a, ultima parte della sua vita. Fedele diario dei continui sobbalzi di un animo agitato sono le copiose lettere scritte nei mesi tra la primavera e l'estate ad Attico e agli amici.1 Riflessioni sul dolore per la propria perdita e ricerca della solitudine, amare considerazioni sui maneggi politici in corso e senso di esclusione, solacium letterario e tormentose lucubrationes: è in questo continuo e ondivago stato d'animo che si spendono quei mesi di un anno che, quasi a dispetto delle vicissitudini, fu contrassegnato da nuovi progetti e ricco di opere ispirate al confronto tra le varie scuole di età ellenistica su temi diversificati, ma riconducibili all'enucle­ azione dei principali temi di quella pars philosophiae che a Cicerone sembrava la più alta: la morale. 2 L'esclusione dalla 1 Nella corrispondenza con Attico esiste un vuoto dal mese di novembre del 4o al marzo del 45. Sulla cronologia del le opere d i Cicerone e sulle questioni relative alte d atazioni è fondamentale il volume di Mari none- Malaspina. 2 Fu proprio Cicerone a coniare i l term i ne per designare l'etica in latino:

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INTRODUZIONE

politica attiva, la distanza che ormai lo separava, e non solo psicologicamente, dal Foro, diventano una motivazione a impiegare le sue energie per l'utilità dei cives su un piano più alto: quasi un sogno platonico, quello di ricostruire su basi ideali la dinamica della vita pubblica partendo dalla conoscenza della fonte prima della razionalità, vale a dire la filosofia greca; un progetto che prevedeva tra l'altro l'inven­ zione di un nuovo linguaggio specifico i n lingua latina. Due testi purtroppo perduti e variamente ricostruiti, l'Hortensius e la Consolatio, aprono la strada a questa stagione; due ope­ re di grande impegno, il De finibus bonorum et malorum e gli Academica, sono portati alla loro veste finale entro il mese di agosto, mentre è già in fase di attuazione il grande progetto delle Tusculanae disputationes: si tratta di scritti che in sé recano i semi dei dialoghi successivi, incentrati sul rapporto con la divinità. Ripercorriamo alcune delle tappe fondamentali di questo percorso. 3 Una lettera ad Attico dell'8marzo dà il senso del partico­ lare connubio tra solitudine, lettura e scrittura che ha come fine immediato quello di distogliere dal dolore familiare: Nihil enim de maerore minuendo scriptum ab ullo est quod ego non domi tuae /egerim. Sed omnem conso/ationem vincit do/or. Quin etiam feci, quod profecto ante me nemo, ut ipse me per litteras consolarer. Quem librum ad te mittam, si descripserint librarii. Adfirmo tibi nullam consolationem esse talem. Totos dies scribo, non quo proficiam quid sed tantisper impedior. 4

cfr Fat. 1, 1 quia pertinet ad mores, quod �8oç il/i vocant, nos eam partem philosophiae de moribus appellare solemus, sed decet augen tem lingu am latinam nominare moralem. �Un i nquadramento generale nei ritratti classici d i Grimai 19R7, i n part. pp. 31R-347, e Nard ucci 2005. 4 Cfr. A tt. 2 5 1 , 3 1 2 ,14. La traduzione italiana d i riferimento delle Epistole ad A ttico è que l l a d i Di Spigno. La scrittura consol atoria aveva av uto un ampio periodo preparatorio nel la produzione di Cicerone: cfr. Zehnacker 1 9H5. S u l l a retorica del l a consolazione cfr. Wi lcox 2005. =

I N T RODUZION E

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Subito dopo la morte di Tullia, per sfuggire alla vista della villa di Tuscolo, dove tutto gli ricordava la perduta serenità, aveva soggiornato a casa di Attico a Roma, e aveva cercato di lenire la sua piaga con la lettura di tutte le opere che la biblioteca dell'amico poteva fornirgli sul tema del dolore; tra queste anche un aureo libello, quello del filosofo accademico Crantore, non a caso menzionato nel Lucullus.5 Da Roma si era poi spostato nella tenuta di Astura, da cui è inviata la lettera sopra citata: la volontà di trovare un luogo adatto alla costruzione di un sacellum - un vero e proprio �pav-racrla KaTaÀrpmK�; un fondamentale in quadramento in Donin i 2 01 1 a. In particolare su Antioco, cfr. Brittain 2 012 . S u l l a Q u inta Accademia, cfr. Pol ito 2 01 2 .

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I NTRODUZIONE

conoscenza "scientifica" nel senso stoico non era possibile. 13 Una compiuta esposizione del contenuto di questi libri era stata fatta, per bocca di Catulo, nel libro che portava il suo nome, e gli studiosi ne hanno in parte ricostruito la fisionomia dai riferimenti contenuti nel Lucullus. In questo libro ci è invece conservato, per bocca di Lucullo, il vivido racconto della reazione che, alla lettura dei Libri, ebbe il discepolo Antioco durante il soggiorno degli anni 87/86ad Alessandria quando era al seguito del condottiero, che lì ricopriva la carica di proquestore. Antioco rispose alle provocazioni del suo antico maestro, con cui si era già consumato un sostanziale distacco, con un pamphlet, anch'esso perduto, intitolato Sosus dal nome del filosofo stoico suo conterraneo Soso di Ascalona.14 Nel Lucullus si scontrano - in due discorsi ampi e dall'ar­ chitettura argomentativa molto serrata, come in un grandio­ so dibattimento in utramque partem -15 da un lato Lucullo, portavoce della "nuova" visione di Antioco, e dall'altro Cicerone, che sostiene per il saggio l'impossibilità di dare il proprio assenso alle rappresentazioni che gli si parano innanzi basandosi esclusivamente sulla testimonianza dei sensi, persino quando essi siano in perfetta salute. Seguendo la dottrina, anzi il metodo del probabile, il saggio dovrà esercitare il proprio iudicium ricercando ciò che, di volta in volta, si presenti con caratteri di verosimiglianza, per accordare ad esso non un assenso totale, ma quel tanto che basti a non paralizzare l'azione.16 Il criterio è da appli1 1 S u l l a figura di Fi lone cfr. Brittain 2 001. Una recente messa a punto del le posizioni di Cicerone in materia d i scetticismo è in Woolf 2015, in part. pp. 10-33 (Scepticism and Certainty). 1 4 Per una valutazione del peso di Antioco nel la storia del l'Accademia, come delle testimon ianze ciceroniane sul suo conto (in part. Lucullus 69-70), si vedano i lavori di G lucker 1 97H; Donini 1 9H2; B arnes l9H9; Mansfeld 1997; fondamentale il saggio d i Dorandi 1997; Brittain , pp. XXX-XXV; Don ini 2 01 1b; Schofield 2 01 2 . Il S u l l 'argomento cfr. Ruch 1 969. 1 " Cfr. G l ucker 1 995.

I NTRODUZI O N E

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care in tutti i campi della ricerca filosofica, a partire dalla fisica (poiché la natura ha coperto di un velo le verità più profonde, e nemmeno al sapiente è dato di scoprire i suoi segreti più riposti), per coinvolgere la logica (utilizzata dagli stoici come uno strumento di rivalsa intellettualistica che però, nel giudizio di Cicerone, spesso si alimenta di schemi dialettici che perdono il contatto con la realtà dei problemi per assurgere a un dogmatismo sterile) e soprattutto l'etica, campo in cui la prudenza del filosofo accademico rifulge per l'accortezza con cui procede nel discernere i termini estremi del bene e del male, argomento particolarmente a cuore a Cicerone in quei mesi, poiché ne fa l'oggetto del dialogo coevo, in cui opera un puntiglioso raffronto tra epicurei, stoici e accademici su questo tema . Cicerone imposta dunque un problema di natura epistemologica, perché esplora le modalità attraverso cui si accede alla vera conoscenza, ed è per questo che il dialogo potrebbe a giusta ragione essere considerato come un approccio all'esercizio della ragione, che va educata al giusto discernimento per non incorrere nell'errore, e investe il campo della ricerca sulla natura, sul giusto discorso e sull'individuazione del sommo bene.

La questione della lingua La struttura del Lucullus è dunque il frutto della confluenza di motivi che, composti dialetticamente nel mosaico delle posizioni interpretate dagli interlocutori, promanavano da varie scuole, e trova il suo baricentro nel confronto tra le due fondamentali correnti all'interno della stessa Accademia. È evidente come la formazione di Cicerone, che nella fre­ quentazione di maestri provenienti dalle varie scuole aveva assorbito le molteplici valenze dei termini tecnici, ed era finemente addentro alle sottili partizioni di ogni asserzione, può in questo testo esprimersi appieno, senza dissimulare

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INTRODUZIONE

la difficoltà dei passaggi, ma conservando il proposito di diffondere il messaggio della filosofia greca in un settore sentito come preliminare al suo esercizio. Si pone dunque all'Arpinate il serio problema di una resa che contemper asse l'esigenza artistica della verosimiglianza e della dinamicità nel dialogo con l'urgenza di non impoverire i passaggi argo­ mentativi con semplificazioni che avrebbero menomato la riuscita del suo intento. Pur essendo destinata a lettori non sprovvisti dei necessari strumenti per la comprensione, infatti, l'opera trattava di questioni che per la prima volta si affacciavano in prosa sullo scenario della produzione in lingua latina, che fino al quel tempo aveva perseguito solo il fine di una divulgazione semplicistica, in particolare alcuni testi che circolavano e contenevano facili volgarizzamenti della dottrina epicurea.17 Sul piano delle scelte linguistiche si giocava dunque una partita fondamentale, una sfida che Cicerone riuscì a vincere attraverso un lavoro di trasposizione dei termini più tecnici del greco tramite una risemantizzazio­ ne di termini latini, che da allora acquisirono una pregnanza peculiare nell'ambito del lessico filosofico. In tal senso è di fondamentale importanza, benché di difficile valutazione, una lettera scritta dalla villa di Tuscolo il 21 maggio e indi­ rizzata ad Attico, che probabilmente aveva manifestato delle riserve rispetto ad alcune scelte linguistiche nell'opera: De lingua Latina securi es animi. Dices t qui alia quae scribis t arroypawV!]!JlV. Biennium praeteriit cum il/e KaÀÀmn!O!]o:; adsiduo cursu cubitum nullum processerit. Per un'in­ terpretazione di questa lettera , anche nel la defi n i zione di a lcune question i di cronologia riguardanti le opere degl i a n n i 47-46, cfr. Robinson 1 949. Un'eco dell'i rritazione di Cicerone è ancora nel l'esord io degli A cademica posteriora: Att ico ri mprovera bonariamente Varrone per il suo silenzio letterario, ma quest'u ltimo risponde d i avere per le mani, e già d a tempo, u n'opera di eccezionale i mpegno da ded icare a Cicerone, ed è proprio il conti nuo lavoro d i rifinitura contenutistica e formale che gli i mpone di rimandare continuamente la sua pubbl icazione: ad hunc enim- m e autem dicebat (scii. Ciceronem) - quaedam institui, quae et sunt magna sane et limantur a me politius (Acad. post. 1 ,2). '° Cfr. Att. 326,3 13 ,19 absolvi nescio quam bene, sed ita accurate ut nihil posset supra, Academicam omnem quaestionem libris quattuor. In eis qua e erant contra aKaTaÀ!]Ijllav praec/are collecta ab A ntiocho Varroni dedi. A d ea ipse respondeo; tu es tertius in sermone nostro. La let tera è del 29 giugno. =

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INTRODUZIONE

voce più autorevole a Roma per parlare in difesa delle partes Philonis. 31

La lettera di dedica La decisione è ormai definitiva e Cicerone si dichiara soddisfatto del risultato raggiunto, ciononostante sono numerose le perplessità manifestate in svariate lettere ad Attico durante i primi giorni del luglio 45, tanto che il testo continua a essere al centro di un lavoro di revisione, anche a riprova del peso che egli annetteva a questa sua fatica letteraria. Il 9 di luglio, nella villa di Tuscolo, giunge in visita proprio Varrone:32l 'argomento dell'opera in corso di rifinitura non viene toccato, e la giornata trascorre in serene conversazioni sulle trasformazioni urbanistiche del campo Marzio insieme ad altri commensali, tra cui Gaio Capitone e Tito Carrinate; il lO luglio sono ancora in corso le ultime rifiniture.33 Nel corso della notte Cicerone scioglie 31 Cfr. A tt. 320,3 = 1 3,1 2 Ergo illam i\KaÒI]!JlK� v. in qua homines nobiles il/i quidem sed nullo modo philologi nimis acute loquuntur, ad Varronem transferamus. Etenim sunt A n tiochia, quae iste valde p robat. Catulo et Lucu/lo alibi reponemus. Per un i nquadramento del rapporto tra Varrone e il suo maestro, cfr. Blank 201 2 . Il giorno successivo, 24 giugno, Cicerone scrive ancora ad Attico per tornare sul tema della scelta di Varrone: non fa mistero della sua sodd isfazione per questa nuova redazione che, portando i libri da due a quattro, rest ituisce maggiore grandiosità alla trattazione degli argomenti, ed esprime con malcelato orgoglio la consapevolezza d i aver intrapreso una tipologia nuova, pur all'interno del consolid ato genere del dialogo fi losofico; ben a ragione, dunque, Attico avrebbe dovuto soppor­ tare la spesa già affrontata per la ricopiatu ra del l a pri ma versione: cfr. A tt. 321 ,l= 1 3 , 1 3 -14 Libri quidem ita exierunt, nisiforte me communis tÀauTla decipit, ut in tali genere ne apud Graecos qui dem simile quicquam. Tu illam iacturam feres aequo animo quod illa quae habes de A cademicis frustra descripta sunt. Multo tamen haec erunt splendidiora, breviora, meliora. 32 Cfr. A tt. 330 = 1 3 ,33a De Varrone loquebamur: lupus in fabula. Venit enim ad me et quidem id temporis ut retinendus esset. 33 Cfr. A tt. 331 ,2 = 1 3,23 Libri ad Varronem non morabuntur. Sunt enim adfecti, ut vidisti.

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le riserve e il giorno successivo, o al massimo il 12,34 invia a Varrone da Tuscolo una lettera che costituisce la dedica degli Academica; Cicerone fa scherzosamente allusione a quattro admonitores da lui inviati, i libri della nuova reda­ zione a lui dedicata, abitualmente denominata Academica posteriora, giunti a ricordare all'amico il suo impegno. Tanta esitazione nell'inviare l'opera a Varrone era motivata dal temuto giudizio, come confessa ad Attico: Volo Varronem, praesertim cum il/e desideret; sed est, ut scis,

«6EtVÒc; av�p· TTO». fta mihi OCCUrrit vultus eius querentis fortasse ve/ hoc, meas partis in iis Libris copiosius defensas esse quam suas, quod mehercule non esse intellegeres, si quando in Epirum veneris. 35

Come era successo tanti anni prima con il riferimento ai testi di Euripide, la definizione del suo rapporto con questo anziano intellettuale è da Cicerone affidata a un classico gre­ co, questa volta Iliade 11,654: il paragone è con Achille, che aveva inviato Patroclo alla tenda di Nestore per informarsi sui feriti della battaglia, e tra essi Macaone; pur invitato a sostare e a rinfrancarsi, Patroclo, una volta acquisita la triste notizia, decide di tornare per non esasperare l'impazienza dell'amico, che fa presto a incolpare anche chi dalla colpa è esente. L'antica soggezione, unita a un'istintiva diffidenza, pur nella comune vicenda politica e nell'affinità delle scelte culturali e filosofiche, non è ancora definitivamente superata. Di seguito, testo e traduzione della missiva di presentazione e dedica degli Academica a Varrone (fam. 9,8): '4 Prat icamente i n contempora nea scrive l 'epistola ad Attico: perman­ gono ancora alcune remore, ma ormai l a riserva è stata sciolta: cfr. A tt. 332,1 (13 ,24) Quid ti bi ego de Varrone rescribam? Quattuor S tcj>Stpatsunt in tua potestate. Quod egeris id p roba bo. Nec tamen atcStof.Lat Tpwaç. Quid enim? Sed ipsi quam res illa probaretur magis verebar. Sed quoniam tu suscipis, in alteram aurem . '5 Cfr. A tt. 333,3 (13 ,25).

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Scr. in Tusculano VI aut V Id. Quint. An. 45 Cicero Varroni (1) Etsi munus flagitare, quamvis quis ostenderit, ne populus quidem solet nisi concitatus, tamen ego exspectatione promissi tui moveor, ut admoneam te, non ut flagitem. Misi autem ad te quattuor admonitores non nimis verecundos; nosti enim profecto os huius adulescentioris Academiae. Ex ea igitur media excitatos misi; qui metuo ne te forte flagitent, ego autem mandavi ut roga­ rent. Exspectabam omnino iam diu meque sustinebam ne ad te prius ipse quid scriberem quam aliquid accepissem, ut possem te remunerari quam simillimo munere. Sed cum tu tardius faceres, id est, ut ego interpretar, diligentius, teneri non potui quin coniunctio­ nem studiorum amorisque nostri, quo possem litterarum genere, declararem. Feci igitur sermonem inter nos habitum in C umano, cum esset una Pomponius. Tibi dedi partis Antiochinas, quas a te probari intellexisse mihi videbar, mihi sumpsi Philonis. Puto fore ut, cum legeris, mirere nos id locutos esse inter nos quod numquam locuti sumus, sed nosti morem dialogorum. (2) Posthac autem, mi Varro, quam plurima, si videtur, et [de) nobis inter nos, sero fortasse; sed superiorum temporum Fortuna rei publicae causam sustineat, haec ipsi praestare debemus. Atque utinam quietis temporibus atque aliquo, si non bono, at saltem certo statu civitatis haec inter nos studia exercere possemus! Quamquam tum quidem vel aliae quaepiam rationes honestas nobis et curas et actiones darent; nunc autem quid est sine his cur vivere velimus? Mihi vero cum his ipsis vix, his autem detractis ne vi x quidem. Sed haec coram et saepius. Migrationem et emptionem feliciter evenire volo tuumque in ea re consilum probo. Cura ut valeas.·'6

�6 Per le Familiares, l'e d izione d i riferi mento è Cavarzere; la nostra lettera si trova alle pp. H77-H79 ed è stata oggetto d i disamina anche in Cappello 201 9, pp. 56-60.

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Tuscolo, 11 o lO luglio del 45 Cicerone a Varrone (1) Nemmeno il popolino, a meno che non sia in preda alla frenesia, è solito reclamare un dono, anche se è stato mostrato; e tuttavia l'attesa per ciò che mi hai promesso mi spinge a mandarti un avviso, non certo un sollecito; anzi, ti ho spedito quattro 'ammonitori', e per niente timidi; di certo, tu hai ben presente la sfrontatezza di questa più giovane Accademia. Sono dunque andato a prenderli proprio lì e te li ho mandati, ma ho paura che vengano da te a reclamare quel regalo con eccessiva determinazione, quando io li avevo inviati solo per ricordartelo. Senza dubbio, lo aspettavo già da tempo e mi trattenevo dal dedicarti uno scritto per primo: preferivo riceverlo, per poter poi ricambiare con un dono di valo­ re del tutto simile; ma, poiché troppo ti attardavi -o per meglio dire, se bene interpreto, ti soffermavi nelle rifiniture -non potei trattenermi dal dimostrare la comunanza di interessi e di affetto che ci lega con uno scritto del tipo che meglio mi riesce. Ho quin­ di immaginato un dialogo avvenuto tra di noi nella mia villa di Cuma, alla presenza di Pomponio: a te ho assegnato le posizioni di Antioco-mi sembrava di aver capito che riscuotano la tua appro­ vazione -mentre io parlo per Filone. Credo proprio che resterai a bocca aperta nel leggere questa conversazione mai avvenuta tra noi; ma tu ben conosci le regole dei dialoghi. (2) In seguito, mio caro Varrone, potremo parlare tutto il tempo che ci pare tra di noi dei nostri argomenti: forse tardi; ma lasciamo che sia la sorte dello Stato a sopportare il peso di una causa per i fatti del passato, rioi possiamo garantire solo per il presente. Magari ci fosse concesso di coltivare questi nostri studi tra di noi in tempi tranquilli e in una condizione politica, se non buona, almeno stabile! Anche se, in quel caso, di certo ben più di un'esigenza finirebbe per imporci nobili incombenze e responsabilità. Ora invece, senza i nostri studi, perché mai dovremmo voler vivere? Anche in loro compagnia, io ne ho ben poca voglia; se mi fossero tolti, nessuna. Ma di questo potremo parlare da vicino e in più occasioni. Ti auguro di condurre a termine con successo il trasferimento e l'acquisto della casa, e ritengo tu abbia fatto una buona scelta. Stammi bene.

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INTRODUZIONE

Una lettera non lunga, dal tono leggero nella prima parte e poi malinconicamente accorato nella seconda. Emerge con chiarezza nel primo paragrafo il tema della recipro­ cità del dono, in quello che si configura come un rituale di remuneratio, una forma di contraccambio che, lungi dall'essere subordinata a un obbligo legale o a una sorta di legge naturale, si estrinseca piuttosto come espressione della propria liberalità nell'ambito specifico della remune­ ratio benivolentiae, categoria ben enucleata da Cicerone, in riferimento a Gneo Pompeo, in quella vera e propria lode dell'amicitia contenuta in un passo dell'orazione Pro domo sua. 37 Giocando sulla polisemia del termine munus - che nella sua prima accezione vale come "prestazione", "obbligo" e per metonimia "incarico", e che normalmente ha poi il significato di "dono", in quanto concessione che sia segno anche di affetto o cortesia , per poi significare a nche "spettacolo" in riferimento alle concessioni dei magistrati al popolo, e in particolare agli spettacoli dei gladiatori - Cicerone si autorappresenta come un uomo che, ormai incapace di resistere all'attesa (un anti-filoso­ fo !), lascia trasparire senza reticenza la propria smania, come fa il popolo quando si lascia andare a un coro di richieste per uno spettacolo gladiatorio promesso, ma non ancora concesso. Un variegato lessico dell'impazienza, infatti, attraversa i primi righi: concitatus, expectatione promissi tui moveor, exspectabam , teneri non potui, sono le espressioni che si intrecciano come un filo alle diverse gradazioni di un lessico della richiesta perentoria rappresentato dai verbi �7 Cfr. Dom. 27 qui tan tus fu it /abor, quae simultas, quae contentio, qua m ego non pro illius dignitate susceperim? qui ab ilio in me honos, quae praedicatio de mea /aude, qua e rem uneratio benivolentiae praetermissa est? I nteressante anche i l passo da Fam . 10,24, in cui è usato i l semplice munus per espri mere il senso d i un contraccambio non adeguato al beneficium ricevuto nelle parole di Planco a Cicerone: neque ego libenter pro maxim is tuis beneficiis t a m vili m un ere defungor orationis, et malo praesens obser­ vantia, indulgen ti a, assidui/ate memorem me tibi probare.

I NTRODUZIONE

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flagitare, admonere e rogare. 38 È sulla base di questa filigrana, una sorta di coro, che si articola poi la vera rap­ presentazione, il gioco delle parti tra un ego e un tu che, in un continuo effetto di rifrazioni dato dalla martellante KÀlmç (ego -mihi; tu-tibi-te), finiscono per diventare un nos, che culmina nell'espressione coniunctionem studiorum amorisque nostri. La scrittura, lo studium che accomuna, lo scambio delle rispettive fatiche letterarie come segno tangibile della stima e della visibilità pubblica diventano lo spazio di una comune rivalsa, di un campo d'azione virtuale in cui la forzata inerzia, il ruolo marginale trova­ no il riscatto cercato: gli honores che l'agone politico non può più concedere possono essere compensati su un piano ideale; il desiderium, la mancanza del confronto reale viene temporaneamente colmata attraverso la scelta del dialogo aristotelico, che non ha solo motivazioni artistiche, ma che, nel perseguimento di una veridicità storica della rappresentazione, concede agli attori di sperimentare su un piano più alto quella coniunctio studiorum che avrebbero potuto vivere , e a cui comunque aspirano, in una Roma finalmente pacificata. È dunque in questo scenario di impazienza, di richiesta e di offerta del privilegio di essere destinatari di un'opera, che si inserisce l'immagine dei quattuor admonitores che, chiamati e tirati fuori dall'Accademia, giungono a bussare con vigore alla porta di Varrone per reclamare il dono. Chi sono queste quattro entità animate? Senz'altro i quattro libri della nuova redazione degli Academica; eppure, questa fictio personae sembra voler dire qualcosa in più, anche perché Cicerone si preoccupa della loro "faccia tosta", tipica di quattro giovanotti dai modi poco cerimoniosi. La man­ canza di timidezza, di verecundia, di questa adulescentior Academia forse richiede uno sforzo interpretativo: sembra 3R Sulla topica di queste moven ze stil istiche si veda Wh ite 1 993 (in par­ t icolare i l capitolo Request and Pressu re, che contiene molti riferi menti ciceron iani, pp. 64-9 1 ) e W h ite 201 0.

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naturale un riferimento alla fondamentale rifondazione di Carneade, primo scolarca della Nuova Accademia che con il suo spirito riformista non ebbe remare nel dare alla scuola platonica un nuovo corso. A ben vedere, però, l'at­ teggiamento iconoclasta, trasgressore e tendenzialmente innovatore in varie fasi della sua evoluzione fu una caratte­ ristica dell'intera Accademia, che nell'esercizio del dubbio e nell'astensione dall'approvazione, insomma nel suo scettici­ smo sistematico si costruì gradatamente una meritata fama di scuola antidogmatica per eccellenza;39 quattro furono le personalità che con le loro riforme avevano impresso il proprio segno: Arcesilao, Carneade, Filone e Antioco, tutti con buon margine di probabilità e a vario titolo rientranti nelle "questioni academiche" toccate nei quattro libri della redazione finale di cui purtroppo così poco possediamo. 40 Quattro Accademici che in questo accenno di prosopopea bussano alla porta di Varrone per dirgli che nel libro che gli è stato recapitato troverà rappresentata anche la sua storia, il suo itinerario fi losofico: nella sua infaticabile opera di poligrafo, questo diligentissimus investigator antiquitatis41 aveva contribuito in misura decisiva con le sue opere ad avviare per Roma un percorso di riconoscimento identi­ taria attraverso gli aspetti più sconosciuti e reconditi della propria storia: gli Academica rappresentano dunque anche il munus, il contraccambio che Roma, attraverso Cicerone, offre al venerato maestro.42 .w Su l lo spirito accadem ico si veda, ad esempio, il passo da Leg. 1 ,39 Perturbatricem a utem harum omnium rerum Academiam, lzanc ab A rcesila et Carneade recentem, exorem us ut sileat. Nam si in vaserit in haec, quae satis scite nobis instructa et composita videntur, nimias edet ruinas. 40 Una penetrante lettura della rappresentazione ciceron iana del l 'Acca­ demia più antica si trova nei lavori di loppolo 201 3a e 201 3b. 4 1 Cfr. B rutus 60. 42 È forse i n questa chiave che bisogna leggere anche il sentito elogio, d i Cicerone a V arrone, che signi ficativamente dà in izio alle prime fasi del dialogo; non si tratta quindi solo di un omaggio personale, ma d i un omaggio comu nitario, espresso per bocca del la sua personalità più rappresentativa (A cad. post. 3,9).

EDIZIONI, TRADUZIONI E COMMENTARI

Brittain Cicero. On Academic Scepticism, Translated, with Introduction and Notes by Ch. Brittain, Indiana­ polis- Cambridge 20 06. Cavarzere Marco Tullio Cicerone, Lettere ai Familiari, I-II, a cura di A. Cavarzere, Milano 20162 ( 20 07). Di Spigno M . Tullio Cicerone, Epistole ad Attico, I-II, a cura di C. Di Spigno, Torino 20 052 (1998). Kany-Turpin Cicéron, Les Académiques. Academica, traduction par J. Kany-Turpin, introduction par P. Pel­ legrin, Paris 2010. Plasberg M. Tullius Cicero, Academicorum reliquiae cum Lucullo, 4 2, recognovit O. Plasberg, editio stereotypa editionis prioris (19 22Stuttgart), 1980. Rackham Cicero, De natura deorum. Academica, with an English Translation by H. Rackham, Cambridge­ London 19675 (1933). Reid M. Tuili Ciceronis Academica. The Text revised and explained, by J.S. Reid, Georg Olms Verlagsbu­ chhandlung, Hildesheim 1966(London 1885). Riganti Marco Tullio Cicerone, I libri accademici. Passi scelti (Testo latino e traduzione) a cura di E. Riganti, Bologna 1995.

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EDIZIONI, TRADUZIONI E COMMENTARI

Russo

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CRONOLOGIA DELLA VITA E DELLE OPERE

a . C. Marco Tuili o Cicerone nasce ad Arpino d a agiata famiglia equestre; compie p o i studi retorico­ filosofici a Roma , frequentando il Foro sotto la guida del grande oratore Lucio Licinio Crasso. Stringe con Tito Pomponio Attico un'amicizia destinata a durare tutta la vita.

l 06

90- 89 a. C. Nella guerra sociale Cicerone presta servizio militare sotto Gneo Pompeo Strabone, padre di Gneo Pompeo M agno. 84 a. C.

Cicerone compone probabilmente il de inventione.

81 a. C. In quest'anno, se non prima, debutta come avvocato (pro Quinctio) e nell'SO a.C. ottiene fam a difendendo con successo S esto Roscio d i Ameria d all'accus a di parricidio (pro Roscio A m erino), ma viene in conflitto con esponenti del regime sillano. 79-77 a . C. Durante un viaggio in Grecia e in Asia ha modo di studiare filosofia e retorica, in particolare ad Atene e a Rodi, dove segue le lezioni di Molone, da lui già ascoltato a Roma . 75 a. C.

È questore i n Sicilia.

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CRONOLOG IA DELLA V ITA E DELLE OPERE

70 a . C. Trionfa nell'accusa contro l'ex governatore della Sicilia Gaio Verre ( Verrinae) e si conquista la fama di ottimo oratore.

69 a. C.

È eletto edile curule.

66 a. C. Come pretore sostiene la proposta di concedere poteri eccezionali a Pompeo nella guerra contro Mitridate VI del Ponto (de imperio Cn. Pompei o pro lege Manilia). 63 a. C. Eletto console con Gaio Antonio Ibrida, sventa la cosiddetta congiura di Catilina (Catilinariae) e ottiene l'allontanamento da Roma di quest'ultimo e la succes­ siva condanna a morte dei suoi complici. Nello stesso anno difende Lucio Licinio Murena, console designato per l'anno seguente, accusato di broglio elettorale (pro Murena) e Gaio Rabirio accusato di aver ucciso il tribuno della plebe Lucio Apuleio Saturnino nel 10 0 a.C. (pro Rabirio). Pronuncia infine le quattro orazioni de lege agraria (tre delle quali conservate) , contro una proposta, per quanto moderata , del tribuno Publio Servilio Rullo. 62 a . C. Dopo la sconfitta di Catilina a Pistoia, Cicerone sostiene la difesa di Publio Cornelio Silla (pro Sulla), accusato di complicità con i congiurati e pronuncia la pro Archia per il poeta Archia di Antiochia, accusato di usurpazione di cittadinanza. 59 a. C. Nell'anno del primo consolato di Cesare ( già legato dal 6 0 a.C. a Pompeo e Crasso nel cosiddetto primo triumvirato) Cicerone pronuncia la pro Fiacco, in difesa di Lucio Valerio Fiacco, accusato repetundarum che, in qualità di pretore urbano lo aveva aiutato nella repressione dei catilinari. 58 a. C.

Cicerone va in esilio, prima a Tessalonica poi a

CRONOLOG I A DELLA V I TA E DELLE OPE R E

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Durazzo, in seguito alla legge fatta approvare da Clodio, suo nemico personale, secondo la quale è condannato a questa pena chi, come Cicerone nei confronti dei catili­ nari, abbia mandato a morte un cittadino romano senza consentirgli di appellarsi al popolo. 57

a. C. Richiamato a Roma, pronuncia le due orazio­ ni post reditum (cum senatui gratias egit e cum papula gratias egit); in seguito la pro domo sua per recuperare le proprietà sul Palatino, dove, per volere di Clodio, era sorto il tempio della Libertà.

56 a. C. Ha inizio, da una parte, un'attività oratoria avversa a Clodio (de haruspicum responso; in Vatinium testem; pro Caelio), dall'altra un tentativo di avvicinamento ai triumviri, per influenzarne la politica, sostenendo il provvedimento di proroga di un quinquennio del governo delle Gallie a Cesare (de provinciis consularibus). 55 a. C. Sotto il consolato di Pompeo e Crasso, Cicerone continua gli attacchi a Clodio e ai popolari (in Pisonem). È questo l'anno della composizione del de oratore. 54 a . C. Cicerone pubblica probabilmente il De rerum natura di Lucrezio e tiene le orazioni pro Scauro; pro Plancia; pro Rabirio Postumo; attorno a questa data si collocano anche le Partitiones oratoriae. 52 a. C. Roma è in balia delle fazioni e il 18gennaio, in uno scontro tra le bande armate di Tito Annio Milone, creatura degli ottimati, e di Clodio , quest'ultimo rimane ucciso. Milone viene quindi accusato di omicidio e Cice­ rone assume la sua difesa, ma, in un Foro massicciamente presidiato da truppe e di fronte alla minacciosa ostili­ tà del pubblico, perde l 'abituale sicurezza e pronuncia un'orazione fiacca e inconcludente, per cui M i lone

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CRONOLOG IA DELLA V ITA E DELLE OPERE

viene condannato. Più tardi rivedrà e pubblicherà la sua pro Milon e, che, quale ci è giunta , appunto nella sua versione rielaborata , deve considerarsi perfetta.

51 a. C. Cicerone è proconsole in Cilicia. Ha completato prima della partenza il de re publica, cominciato qualche anno prima, e vi fa seguire, secondo il modello platonico, un de legibus. 49 a. C. Al passaggio del Rubicone da parte di Cesare, Cicerone si schiera con Pompeo e lo segue a Durazzo. 48 a. C. Dopo la disfatta di Pompeo a Farsalo, Cicerone decide di consegnarsi al vincitore e ne ottiene il perdono nel 47 a . C . 46 a. C. Cicerone pubblica l'elogio di Catone, suicida a Utica per non cadere nelle mani di Cesare, dopo che un importante focolaio di resistenza pompeiana è stato stroncato a Tapso, in A frica. Cesare, investito ormai di un potere pressoché assoluto, risponderà l'anno succes­ sivo con l 'Anticato. Cicerone si dedica a opere retoriche e filosofiche: Brutus; Orator; de optimo genere oratorum; Paradoxa Stoicoru m . Accettando d ignitosamente il dominio di Cesare, sostiene la causa di due pompeiani (pro Marcello; pro L igario).

45 a. C. Alla morte della figlia Tullia Cicerone com­ pone una consolatio ( p erduta) ; i rapporti con Cesare, che ha ormai definitivamente stroncato i pompeiani a Munda, sono cordiali e nella casa stessa del dittatore difende con successo Deiotaro, tetrarca della Galazia, che aveva combattuto a fianco di Pompeo a Farsalo, dall'accusa di aver attentato alla vita di Cesare durante la guerra contro Farnace II del Ponto (pro rege Deio ­ taro). Cicerone, tuttavia, tende a dedicarsi sempre più

CRONOLOGIA DELLA V ITA E DELLE OPERE

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agli studi filosofici: compone l'Hortensius (perduto); gli Academica; il de finibus bono rum et malorum; probabil­ mente comincia le Tusculanae disputationes e il de natura deorum. Traduce il Timeo e il Protagora di Platone.

44 a. C. Cesare è nominato dittatore a vita (14 febbraio) e il giorno seguente Marco Antonio, suo magister equitum, durante la festa dei lupercali, gli offre la corona regale, platealmente rifiutata. Ma, per il suo potere sempre più autocratico, Cesare è assassinato alle idi di marzo (15 marzo); secondo la tradizione, Bruto, uno dei congiurati, alza il pugnale insanguinato gridando: «Cicerone», quale punto di riferimento e ispiratore dei repubblicani. Cice­ rone, dapprima entusiasta, decide poi di lasciare l'Italia, quando il potere è preso da Antonio e i congiurati sono costretti a fuggire. Al comparire sulla scena di Ottaviano (il futuro Augusto), figlio adottivo di Cesare, Cicerone rientra a Roma, sperando di salvare la costituzione repub­ blicana e pronuncia le prime Philippicae, per spingere il senato ad appoggiare Ottaviano contro Antonio. Sono di questo anno anche il Cato maior de senectute; il de divinatione; il Laelius de amicitia; il de officis, oltre alla pubblicazione delle Tusculanae e del de natura deorum. 43 a. C. Cicerone pronuncia le altre Philippicae, mentre Antonio è sconfitto a Modena e costretto a rifugiarsi in Gallia. Morti in battaglia i due consoli, Aulo Irzio e Gaio Vibio Pansa, Ottaviano, che, investito di un comando pro praetore, li aveva aiutati con un esercito personale, si fa eleggere console con un colpo di mano e si riavvicina ad Antonio, dando vita, assieme a lui e a Marco Emilio Lepido, al secondo triumvirato. Cicerone è iscritto da Antonio nelle liste di proscrizione ed è ucciso a Formia il 7dicembre. Le sue mani e la sua testa, mozzate, saranno esposte sui rostri di Roma.

PREMESSA AL TESTO E ALLA TRADUZIONE

Il testo del Lucullus e di ciò che ci è rimasto degli A cade­ mica è stato ricostruito in diverse edizioni; tra di esse, si segnalano quella di O. Plasberg (Leipzig 19 22) e di J. S. Reid (London 1885). Nella presente edizione si è scelto di adottare il testo critico stabilito da Reid, che lo corredò di una corposa introduzione e un dotto commento. Il problema della constitutio textus e della esatta collocazione stemma­ tica di alcuni testimoni recenziori del Lucullus sono adesso al centro dell'interesse di E. Malaspina (in particolare, cfr. A tradiçiio manuscrita do Lucullus de Cicero: do corpus Leidense a William de Malmesbury e à fortuna no periodo humanfstico, in I. Tardin Cardoso - M. Martinho, Cfcero: obra e recepçiio, Coimbra University Press, Coimbra 2019, pp. 19-53). La traduzione ha lo scopo di rendere fruibile anche a un pubblico di lettori non specialisti il testo di quest'opera cice­ roniana, che si presenta in alcuni passaggi alquanto ostica, sia per il contenuto tecnico, sia per l'adozione di un lessico filosofico sostanzialmente nuovo. Si è cercato di adottare un registro stilistico il più possibile scorrevole e piano, pur nella complessità dei temi trattati, nel tentativo di rendere le caratteristiche tipiche della conversazione erudita dei protagonisti. Le note hanno il mero scopo di orientare il lettore attraverso la rievocazione di un breve profilo dei numerosi personaggi menzionati nel testo - soprattutto alcuni filosofi non altrimenti noti - e di enucleare, nelle linee essenziali, gli aspetti del serrato dibattito; in alcuni limitati casi si rimanda a bibliografia specialistica di area italiana.

RIASSUNTO TEMATI CO

VARRONE 1 - 14. Incontro di Cicerone e Attico con Varrone a Cuma. Dopo aver ricordato a Varrone la promessa non ancora mantenuta della dedica del De lingua Latina, Cicerone gli chiede perché non si sia mai dedicato alla scrittura di opere filosofiche. Varrone esalta la lingua greca come vera fonte del pensiero filosofico, ma Cicerone ribatte che, come nell 'oratoria e nella poesia tragica i Latini ottengono gli stessi eccelsi risultati dei Greci, anche nella scrittura di opere filosofiche si possono aprire scenari di grande pre­ stigio, e propone l'esempio di Bruto, oltre che di se stesso. Varrone chiede a Cicerone il motivo della sua rottura con la Vecchia Accademia di Antioco e il ritorno alla Nuova di Filone, ma Cicerone conferma, proprio sulla base di Filone, la sostanziale linea di continuità tra i due orienta­ menti; chiede tuttavia a Varrone di trattare le differenze tra quest 'ultimo e Antioco. 15 - 18. Comincia l'esposizione di Varrone della filosofia di Antioco: Socrate per primo spo­ stò il problema dalla ricerca della prima scaturigine della vita, che aveva tenuto impegnati i filosofi a lui precedenti, al problema antropologico, partendo dall 'assunto che il presupposto per raggiungere la conoscenza è l'ammissio­ ne della propria ignoranza. La sua fu una fondamentale esortazione alla pratica della virtù e alla ricerca del bello morale, nella convinzione che la conoscenza della natura

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R IASSUNTO TEMATI CO

non poteva assicurare la felicità; dal suo insegnamento prese spunto il genio di Platone, che si spese in ogni ambito della ricerca filosofica, e che lasciò un 'eredità così profonda e duratura che dal suo insegnamento scaturirono poi due orientamenti, gli Accademici e i Peripatetici, che stabili­ rono dei nuovi principi a base della loro dottrina. 19 - 23. Si introduce la tripartizione della filosofia ereditata da Platone in etica, fisica e logica. L'etica raggiunge la sua forma suprema quando implica la conformità alla natura per ciò che concerne animo, corpo e vita, ognuno dei quali ha i propri beni specifici. I beni del corpo si dividono in quelli che attengono alla totalità e quelli insiti nelle parti; i beni dell 'animo si dividono in naturali (come la memoria) e acquisiti (l'inclinazione personale, da rafforzare con l'e­ sercizio). I beni che si congiungono alla vita sono quelli che servono a conseguire e accrescere la virtù. 24 - 29. Inizia la presentazione della sezione rrepl cpucrewç forza creatrice e materia inerte sono due diversi principi che nella realtà si integrano e coesistono per dar forma ai corpi, detti anche "qualità ". Ve ne sono di due specie: qualità primarie, ovvero aria, fuoco, acqua e terra; secondarie, ovvero la molteplicità dei corpi. A ria e fuoco sono principi attivi, acqua e terra sono passivi; a questi, A ristotele aggiungeva una quinta qualità, destinata a dar forma ai corpi celesti e all 'intellet­ to. Soggiacente alla qualità v 'è la materia, priva di forma e dotata della capacità di subire ogni trasformazione: su di essa opera una forza creatrice che dà origine al mondo, permeato da una Mente universale che tutto ordina. 30 - 32. Esposizione della logica secondo Antioco. Il criterio della verità nasce dai sensi, ma non si basa soltanto su di essi, perché solo l'intelletto può intervenire a discernere il vero dal falso grazie al ricorso alle forme astratte. I sensi sono fallaci, perché non riescono a percepire nella sua interezza il flusso della vita, che è dominio della M�a, mentre alla vera conoscenza si arriva per via di ragionamento sulla base delle forme astratte. L'etimologia era una risorsa

RI ASSU NTO TE MATICO

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ammessa; alla dialettica seguiva la retorica, il cui scopo era quello di persuadere. 33 - 42. Dopo l'esposizione delle tre parti della filosofia, così come le aveva rese canoniche Platone, Varrone inizia a esporre il complesso dibattito sorto intorno ad alcune questioni cruciali, e che determina, dopo un periodo di sostanziale continuità, la scissione nelle tre scuole degli Accademici, dei Peripatetici e degli Stoici. Dopo aver brevemente esposto la critica alla dottrina delle idee nell'ambito della scuola aristotelica, si passa alla figura di Zenone e alle sue posizioni intorno all'etica, ambito in cui subito si presenta come particolarmente intransigente, alla fisica, in cui introduce la dottrina del fuoco che tutto crea, e alla logica: è in quest 'ultima sezione che le novità di Zenone determinano un decisivo cambiamento di rot­ ta, soprattutto per l'importanza concessa alla conoscenza su base sensistica. 43 - 46. Cicerone parla in difesa della Nuova Accademia, prendendo le mosse da Arcesilao e dalla sua posizione che estremizzava i termini dell 'affermazione socratica sul sapere di non sapere, poiché nemmeno questo residuo di conoscenza era possibile. Di qui la necessità di una scepsi eletta a sistema, perché la verità è inaccessibile e per il vero e il falso si possono trovare argomentazioni di eguale peso. La sua linea fu mantenuta fino a Carneade.

LUCU LLO 1 - 12. L'opera si apre con un elogio di Lucullo, un uomo che univa alla competenza bellica alcune strabilianti doti personali, e che aveva costruito la sua gloria lontano dal Foro. I suoi interessi filosofici e letterari ne avevano fatto un uomo di profonda cultura, paragonabile ai noti esempi di Catone e dell 'Africano. Apologo di Cicerone: gli uomini che ricoprono alte cariche pubbliche non possono esimersi dal coltivare il proprio spirito, e a giusta ragione, quindi,

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RIASSUNTO TEMATICO

figurano tra gli interlocutori dei suoi dialoghi; egli stesso considera il proprio impegno nella scrittura di opere filo ­ sofiche come un aspetto non secondario di una missione civica. Alcuni obiettano che una conoscenza tecnica del sapere filosofico è improbabile in uomini che normalmente attendono ad alti incarichi pubblici, ma nel fare queste affermazioni riescono solo a dar prova di invidia; altri stra/i, poi, si abbattono sulla specifica scelta di una scuola filosofica, quella degli Accademici, che fa della ricerca continua il proprio obiettivo: si tratta di un orientamento che programmaticamente rifugge dal dogmatismo e cerca di vagliare le varie posizioni intorno ai problemi filosofici più rilevanti. Tra questi, assume estrema importanza quel­ lo della definizione del vero sapiens: è questo il tema di una discussione tra Cicerone, Lucullo, Ortensio e Catulo. Quest 'ultimo chiede ad Antioco di riferire il contenuto di un confronto a cui aveva assistito anni prima ad Alessan­ dria tra Antioco di Ascalona ed Eraclito Tirio; il tema era il contenuto dei libri scritti a Roma da Filone. Discorso di Antioco. 13 - 18. La Nuova Accademia mistifica l'evoluzione della

storia della filosofia chiamando in causa le autorevoli, ma ormai superate, posizioni degli antichi intorno alla possi­ bilità della conoscenza; in tanti secoli, tuttavia, molti passi avanti sono stati compiuti. Lucullo paragona Cicerone e gli Accademici ai tribuni sediziosi che per darsi una patina di populismo si richiamano ai riformisti del tempo antico: essi basano il loro scetticismo sulle affermazioni dei filosofi fisici di un tempo. L'ostentata ostilità di Filone verso la KaTaÀrpmK� >. 3. Et ego «ista quidem», inquam, «Varro, iam diu exspectans, non audeo tamen flagitare: audivi enim e Libone nostro, cuius nosti studium - nihil enim eius modi celare possumus - non te ea intermittere, sed accuratius tractare nec de manibus umquam deponere. I llud autem mihi ante hoc tempus numquam in mentem venit a te requirere: sed nunc, postea quam sum ingressus res eas, quas tecum simul didici, man­ dare monumentis philosophiamque veterem illam a Socrate ortam Latinis litteris illustrare, quaero quid sit cur, cum multa scribas, genus hoc praetermittas, praesertim cum et ipse in eo excellas et id studium totaque ea res longe ceteris et studiis et artibus antecedat». II. 4. Tum ille «rem a me saepe deliberatam et multum agitatam requiris. Itaque non haesitans respondebo, sed ea dicam, quae mihi sunt in promptu, quod ista ipsa de re multum, ut dixi, et diu cogitavi. Nam cum philosophiam viderem diligentissime Graecis litteris explicatam, exi­ stimavi, si qui de nostris eius studio tenerentur, si essent Graecis doctrinis eruditi, Graeca potius quam nostra lecturos: sin a Graecorum artibus et disciplinis abhor­ rerent, ne haec quidem curaturos, quae sine eruditione Graeca intellegi non possunt; itaque ea nolui scribere, quae nec indocti intellegere possent nec docti legere curarent. 5. Vides autem - eadem enim ipse didicisti - non posse

1

Lucio Scribonio Libone, suocero di Sesto Pompeo. Nel 79 a.C. Cicerone e Varrone avevano seguito l'i nsegnamento d i A ntioco d i Ascalona a d Atene. 2

L I B RO I (VA R RO N E)

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certamente, e non risparmio fatiche nel rifinirlo con la lima.» (3) E dissi io «Di certo, Varrone, anche se quest'opera già la aspetto da molto tempo, tuttavia non oso reclamarla: so bene dal nostro Libone1 - il suo entusiasmo ti è noto: un'opera del genere non può rimanere celata - che non ne interrompi la composizione, e che con crescente scrupolo te ne occupi senza posada mai dalle mani. C'è una cosa, però, che prima di adesso non mi era mai venuto in mente di chiederti: ma ora, dopo aver intrapreso la stesura di opere sugli argomenti che insieme a te ho appreso, 2 con l'intento di far risplendere in lingua latina l'antica filosofia nata da Socrate, mi chiedo come mai, considerando la varietà dei tuoi scritti, tu tralasci proprio questo genere letterario, soprattutto se si pensa che eccelli in quel campo e quella passione, insieme alla filosofia nella sua interezza, supera di gran lunga le altre passioni e discipline». II. (4) Allora Varrone «Mi solleciti su un argomento che ho molto esaminato, e su cui spesso ho riflettuto. E quindi risponderò senza esitazione e dirò le conclusioni che per me sono ormai evidenti, perché, come ho detto, ho analizzato la questione in profondità nel corso del tempo. Considerando che la filosofia è stata egregiamente trattata in greco, ritenni che un nostro compatriota, se attratto dal suo studio e istruito nelle dottrine greche, avrebbe scelto di leggerle in lingua originale piuttosto che nella nostra; gli altri invece, se dalle arti e dalle discipline greche si tengono addirittura alla larga, non si sarebbero nemmeno curati di opere che risultano inaccessibili senza una formazione greca; in conclusione, ho deciso di non scrivere libri che gli indotti non potrebbero comprendere, e che i dotti non si darebbero la pena di leggere. (5) Sai bene, del resto - tu stesso, infatti, hai appreso i medesimi insegnamenti - che

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nos Amafini aut Rabiri similis esse, qui nulla arte adhibita de rebus ante oculos positis volgari sermone disputant, nihil definiunt, nihil partiuntur, nihil apta interrogatione concludunt, nullam denique artem esse nec dicendi nec disserendi putant. Nos autem praeceptis dialecticorum et oratorum etiam, quoniam utramque vim virtutem esse nostri putant, sic parentes , ut legibus, verbis quoque novis cogimur uti, quae docti, ut dixi, a Graecis petere malent, indocti ne a nobis quidem accipient, ut frustra omnis suscipiatur labor. Iam vero physica, si Epicurum, id est, si Democritum probarem, possem scribere ita piane, ut Amafinius. 6. Quid est enim magnum, cum causas rerum efficientium sustuleris, de corpusculorum - ita enim appel­ lat atomos - concursione fortuita loqui? Nostra tu physica nosti, quae cum contineantur ex effectione et ex materia ea, quam fingit et format effectio, adhibenda etiam geo­ metria est, quam quibusnam quisquam enuntiare verbis aut quem ad intellegendum poterit adducere? Ecce, haec ipsa de vita et moribus , et de expetendis fugiendisque rebus? Illi enim simpliciter pecudis et hominis idem bonum esse censent: apud nostros autem non ignoras quae sit et

3 Non possediamo nulla d i questi autori d i scuola epicurea. S ulla figura di Gaio A mafinio cfr. Tusc. 4,6-7, in cui Cicerone già lamenta che l'estrema accessibi lità della sua comu nicazione, un ita alla tendenza a sempli ficare la portata dei problemi filosofici per una faci l e divulgazione, aveva no favorito il successo della scuola epicurea presso un nutrito pubblico. La trad i zio-

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non possiamo essere simili a un Amafinio o a un Rabirio, 3 che senza valersi di alcuna arte disputano, in un linguag­ gio da strada, di argomenti alla portata di tutti, ma non definiscono, non operano divisioni, non concludono con alcuna argomentazione adeguata, e insomma ritengono che non esista alcuna arte del parlare e del discutere. Noi invece, che obbediamo ai precetti della dialettica e della retorica come a delle leggi, giacché i nostri ritengono che entrambe queste facoltà siano una virtù, siamo costretti a ricorrere anche a parole nuove, che i dotti, come ho già detto, preferiranno prendere dai Greci, mentre gli indotti non accoglieranno nemmeno da noi, di modo che ogni fatica la si intraprende invano. E infatti nel campo della fisica, se fossi in accordo con Epicuro, ma farei meglio a dire Democrito, potrei scrivere in maniera semplice, come Amafinio. (6) Cosa c'è di difficile, una volta rimosse le cause efficienti, nel discettare dell'aggregazione casuale dei corpuscoli (così infatti chiama gli atomi)?4 Tu conosci bene i principi della nostra fisica: se è vero che essa si basa sul concetto di causa efficiente e di materia, plasmata e modellata dalla causa efficiente,5 è necessario fare ricorso anche alla geometria: e chi mai sarà in grado di spiegarla, e con quale terminologia, o chi mai potrà portare qual­ cuno a comprenderla? Ecco, forse proprio quella parte della filosofia che si interessa della vita e dei costumi, di ciò che bisogna scegliere ed evitare? Quelli candidamente ritengono che il bene sia il medesimo per l'uomo e per la

ne rappresentata dalle d i ramazioni della scuola platonica (Accademici, Peripatet ici , Stoici) a nnetteva i nvece u n'estrema i mportanza alla ricerca di u n vocabolario tecnico. 4 Cicerone nega origi nalità alla fisica epicurea, ritenendola un adatta­ mento dell'atomismo democriteo. 5 La fisica accadem ica i nclude cosmologia e astronomia come esposte nel Timeo. Effectio rende i l term ine tecnico Mva�ow; nournK� .

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quanta subtilitas. 7. Sive enim Zenonem sequare, magnum est efficere ut quis intellegat quid sit illud verum et sim­ plex bonum, quod non possit ab honestate seiungi, quod bonum quale sit negat omnino Epicurus sine voluptatibus sensum moventibus ne suspicari quidem. Si vero Acade ­ miam veterem persequamur, quam nos, ut scis, probamus, quam erit illa acute explicanda nobis! quam argute, quam obscure etiam contra Stoicos disserendum! Totum igitur illud philosophiae studium mihi quidem ipse sumo et ad vitae constantiam quantum possum et ad delectationem animi, nec ullum arbitror, ut apud Platonem est, maius aut melius a dis datum munus homini. 8. Sed meos ami­ cos, in quibus est studium, in Graeciam mitto, id· est, ad Graecos ire iubeo, ut ea a fontibus potius hauriant quam rivolos consectentur. Quae autem nemo adhuc docuerat nec erat unde studiosi scire possent, ea, quantum potui - nihil enim magno opere meorum miror - feci ut essent nota nostris. A Graecis enim peti non poterant ac post L. Aeli nostri occasum ne a Latinis quidem. Et tamen in illis veteribus nostris, quae Menippum imitati, non inter­ pretati, quadam hilaritate conspersimus, multa admixta

" Zenone di Ci zio (336 - 264 a.C. circa), i ntorno al 300 fondò una scuola che dalla :ETOà rrotKlÀ'l , cioè dal " Portico d ipi nto" in cui aveva la sua sede, trasse il nome di stoica. Cicerone ne mette in l uce la stretta aderenza a un ideale molto severo d i etica, che si realizzava nella ricerca del bello mora le, TÒ KaÀov, reso con honestum. 7 Il riferi mento platon ico è tratto d a Tim . 47 b trropta