A regola d'arte. Storia e geografia del campo letterario italiano (1902-1936)

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A regola d'arte. Storia e geografia del campo letterario italiano (1902-1936)

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Anna Baldini r o·ola d arte Sto1ia e geografia d 1 an1po l tt rario italiano (1902-1936) u dlib t tudio

Indice

Introduzione 7 IO

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24

Dinamiche di campo e regole dell'arte Autonomia cd eteronomia Consacrati e nuovi entranti: le avanguardie Storia e geografia: le capitali La dimensione transnazionale Com'è fatto questo libro 7. Ringraziamenti I.

2. 3. 4· 5. 6.

Capitolo primo I futuristi e l'avanguardia fiorentina (1902-1919) Napoli, Firenze, Milano

27 27 32 38 53 79 90 114

121 121 126 132

I.

2. 3. 4· 5. 6. 7.

Stato dell'arte 1900 L'irresistibile ascesa di Benedetto C. Gli esordi: «Leonardo» (1903-1906) e «Poesia» (1905-1909) Strategie di affermazione: «La Voce» (1908-1914) e i manifesti del futurismo ( 1909-1917) L'alleanza: «Laccrba» (1913-1915) Regole dell'arte Le avanguardie alla guerra

Capitolo secondo «La Ronda» e la "letteratura milanese" (1919-1924) Roma, Milano I. Movimenti di capitale: da Firenze a Roma 2. Decostruirc le regole dell'arte dominanti 3. Attacco al futurismo e ritorno all'ordine

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136 150 154 164 173 180

185 186 195 207 221 230 250 264

271 272 281 292 318 333 340 344 353 363 37 1 381 4o5

INDICI!

4· 5. 6. 7. 8. 9.

Tra politica e mercato: la "letteratura milanese" Dalla tena pagina alla prosa d'arte Le regole dell'arte della «Ronda» L'alternativa di Borgcse Il progetto transnazionale del «Convegno» Dopo la «Ronda»

Capitolo terzo Modernismo fascista e modernità italiana (1925-1929) Parigi, Firenze, Roma I. Le istituzioni culturali del fascismo 2. Alla conquista di Parigi 3. Attacco a «900» 4· Eredi e avversari della «Ronda» 5. La rete del modernismo fascista 6. Le regole dell'arte di Strapaese e Stracittà 7. Il prezzo dell'eteronomia: dentro e fuori dal canone

Capitolo quarto La battaglia per il romanzo (1929-1936) Firenze, Roma, Milano, Torino I. Posizionamenti e schieramenti: cronache del 1929 2. Un'aria di famiglia: «Salaria», «L'Italiano», «La Fiera/Italia letteraria» (1926-1930) Quel che resta di «Salaria»: oltre Firenze, il canone 3· 4· L'ascesa di un'avanguardia "romanzesca": dal «Saggiatore» a «Cantiere» (1930-1935) 5. I repertori: New York-Berlino-Mosca versus Parigi 6. Valentino Bompiani e il «romanzo collettivo» 7. Il quindicennio delle traduzioni (1926-1941) 8. Le regole dell'arte degli anni Trenta 9. Movimenti di capitale: da Firenze a Torino

Conclusioni Bibliografia Indice dei nomi

Introduzione

1.

Dinamiche di campo e regole dell'arte

Questo libro racconta i primi trentacinque anni della letteratura italiana del Novecento adottando una prospettiva ancora non tentata in maniera sistematica su questo oggetto di studio. Ho provato a disegnare una mappa che rendesse conto delle vette del canone e delle conurbazioni sparse della paraletteratura; a intessere una narrazione che desse spazio alle azioni e alle motivazioni degli individui, ma interpretandole alla luce di relazioni e dinamiche ricorrenti; a servirmi di una lente bifocale che mettesse a fuoco tanto il dettaglio minuto, all'occorrenza filologico, quanto le linee generali di una fenomenologia. Ho voluto insomma movimentare una storia troppo spesso congelata per effetto del canone. Leggere il passato alla luce delle opere che oggi consideriamo importanti è un'operazione doppiamente rischiosa per chi miri a un'autentica conoscenza storica: non solo la nostra prospettiva valoriale non coincide con quella di chi scriveva, leggeva e pubblicava un secolo fa, ma l'assolutizzazione del canone odierno si accompagna troppo spesso all'oblio sui conflitti che l'hanno prodotto. Proiettare sul passato il punto di vista del presente, cioè di chi giunge a battaglia terminata, non significa soltanto raccontare la storia dal punto di vista dei vincitori, ma spesso anche ignorare che delle battaglie sono state combattute. Nelle pagine che seguono mi sono proposta di raccontare la storia di un trentennio di letteratura rompendo con la narrazione irenica, costruita su un succedersi di autori, poetiche, generi e movimenti che caratterizza l'impianto narrativo dominante nell'insegnamento della storia letteraria, e più in generale

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A REGOLA

o'ARTE

l'approccio idealizzato ai mondi della creazione intellettuale e artistica. Nella percezione comune, riflessa nella successione di grandi autori dei manuali di storia delle arti, l'opera è il prodotto del genio individuale: in questa prospettiva, rivalità e conflitti trovano spazio esclusivamente come aneddotica biografica, idiosincrasie contingenti irrelate rispetto alle opere. In un'altra tipologia di racconto delle arti, quella derivata dalla storia delle idee, il conflitto è concepito come successione o alternanza di poetiche, di cui sono portavoce o portatori singoli artisti e movimenti, mentre nella tradizione marxista di sociologia delle arti le dinamiche conflittuali che lasciano segno nelle opere sono generate dalla struttura gerarchica e di classe delle società in cui gli artisti sono immersi. Dietro i tratti caratteristici di un'opera d'arte la migliore ermeneutica che fa riferimento a questa tradizione intravede in controluce il nodo di relazioni materiali, sociali e istituzionali che inglobano l'artista; troppo spesso, però, le storiografie letterarie che si richiamano al materialismo marxista hanno mimato la storia delle idee. Le forze sociali in conflitto, come le poetiche contrapposte, tendono così ad assomigliare ai «concetti scaturiti [... ] da intelligenze disincarnate» di cui parla Lucien Febvre a proposito di certa storia della filosofia: diventano, cioè, agenti di un dramma intellettuale astratto dalle relazioni umane documentate e dal processo concreto della creazione artistica 1 • Lo strumento di cui mi sono servita per tenere insieme sguardo dall'alto e attenzione al dettaglio, analisi di contesto ed ermeneutica, le motivazioni e passioni degli individui con le tra' «Tra tutti i lavoratori che si definiscono genericamente come "storici", con o sen1.a epiteti ulteriori, mi sembra che quasi tutti, per un verso o per l'altro, meritino tale qualifica tranne, nella maggior parte dei casi, quelli che, dedicandosi a ripensare per conto proprio sistemi a volte vecchi di secoli senza preoccuparsi minimamente di metterli in relazione con le altre manifestazioni dell'epoca che li ha visti nascere, si trovano a fare l'esatto contrario di quanto richiesto dal metodo storico. Contemplando generazioni di concetti scaturiti nella sfera speculativa da intelligen1.e disincarnate, e viventi poi di vita propria al di fuori del tempo e dello spazio, costoro annodano strane catene, dalle maglie allo stesso tempo irreali e serrate... »: Lucien Febvre, L'HistoiTe de la philosophie et L'HistoiTe des historiens, «Revucs de synthèse», III, 1, Mars 19 32, p. 99. Quando non precisato altrimenti, nel corso del libro le traduzioni sono mie.

INTRODUZIONE

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iettorie delle istituzioni in cui questi si muovono, si innesta sul troncone della tradizione marxista ma individua il motore della creazione non tanto nella conflittualità della società nel suo insieme, quanto nella rete in cui si muovono scrittori e scrittrici, traduttori e traduttrici, lettori e lettrici per svago o di professione, personale di scuole, università, imprese editoriali e delle altre istituzioni incaricate di tramandare il valore letterario. Il sociologo francese Pierre Bourdieu ha chiamato "campo letterario" il microcosmo in cui agiscono tutti coloro che, avendo fatto della letteratura il proprio principale orizzonte esistenziale, sono impegnati in un gioco sociale retto da norme diverse rispetto a quelle che regolamentano gli altri campi in cui la divisione del lavoro ha segmentato la società 2 • Quali relazioni e conflitti dinamizzano il campo letterario, e più in generale i campi artistici? Qual è la posta in gioco per la quale vi si investono energie e talento? Il principale motore dell'agire nel campo letterario, come in ogni ambito della società, è la ricerca di riconoscimento e prestigio: una moneta corrente che Bourdieu chiama "capitale simbolico", e che circola in conii diversi nei vari universi sociali. Il capitale simbolico posseduto dai vari attori del campo letterario si misura sul grado di riconoscimento loro accordato: sarà tanto più elevato quanto più i testi di uno scrittore sono considerati importanti e se ne profetizza la canonizzazione; quanto più un critico sa imporre la sua lettura di opere del passato, interpretare quelle presenti e orientare l'operato degli scrittori; 2 Bourdicu ha proposto uno studio della «genesi» e della «struttura» del campo letterario in Les Règ/es de l'art. Genèse et structure du champ littéraire, Scuil, Paris 1992, trad. it. di Anna Boschetti cd Emanuele Bottaro, Le regole dell'arte. Genesi e struttura del campo letterario, il Saggiatore, Milano 2005. Per una sintesi dei concetti cardine del libro si vedano I' lturodUZione di Boschetti a Bourdicu, Le regole dell'arte cit., pp. 1 1 -44, e Anna Baldini, li concetto di campo per una 11uova storiografia letteraria. «Le regole dell'arte» di Pierre Bourdieu, «Nuova rivista di letteratura italiana», XXVII, 2, 2015, pp. 141-155. Per un'introduzione generale alla sociologia di Bourdicu si vedano anche, delle stesse autrici, Anna Boschetti, La rivolUZione simbolica di Pie"e Bourdieu, Marsilio, Venezia 2003, e Anna Baldini, Introduzione a Pie"e Bourdieu e la sodologia della letteratura, «allegoria», 55, 1, 2007, pp. 9-25. Sul legame di Bourdicu con la tradizione marxista si vedano i saggi raccolti in Bourdieu e Marx. Pratiche della critica, a cura di Gabriella Paolucci, Mimcsis, Milano-Udine 2018.

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quanto più prestigioso e popolato di classici è il catalogo di una casa editrice. Il capitale simbolico può essere investito per rafforzare una certa idea di letteratura (uno scrittore riconosciuto può garantire per un esordiente, presentare o tradurre un testo straniero, curare una collana) e conferisce influenza e potere: gli individui e le istituzioni che ne sono più dotati determinano il nomos del campo, le norme in base alle quali le opere vengono giudicate. È raro che queste regole vengano esplicitate, ma le si può dedurre dalle prassi e dai comportamenti: che cosa viene scritto, come viene valutato, quali generi sono praticabili, quali contenuti sono considerati inaccettabili, quali forme accantonate come obsolete. Da ciò che gli scrittori producono - e ancor di più da ciò che non producono, che si rifiutano di scrivere - è possibile ricavare un corpus di precetti e interdetti, mai formalizzati in alcun decalogo, ma introiettati da tutti coloro che investono la loro esistenza nella conquista del capitale letterario. In questo libro chiamerò "regole dell'arte" questo set di imperativi continuamente negoziati, che Bourdieu definisce anche come "spazio dei possibili": entrambe le formule indicano il repertorio di forme, generi, contenuti che in un dato momento storico è praticabile da uno scrittore.

2.

Autonomia ed eteronomia

L'elaborazione delle regole dell'arte non avviene mai in totale autonomia. Nella macro-struttura che gerarchizza le società, i campi intellettuali si trovano in posizione dominata rispetto a quelli politico, economico, mediatico, in altri secoli religioso: rispetto, cioè, ai campi sociali che riescono a imporre le proprie norme di regolazione del conflitto e i propri capitali simbolici al resto della società. Criteri di valutazione eteronomi intrudono così nel campo letterario: un'opera può essere apprezzata per motivi che prescindono dal giudizio degli esperti, come la conformità a un'ideologia politica o religiosa, la visibilità pubblica, la capacità di generare denaro. Dalla seconda metà dell'Ottocento, quest'ultima forma di eteronomia si è venuta imponendo nei

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campi artistici occidentali come il principio contrastivo di maggior rilievo rispetto ai criteri elaborati da chi è interessato esclusivamente al valore d'arte. Si tratta di un'antitesi fondamentale, trasformatasi nell'automatismo percettivo che contrappone il bestseller alla letteratura di ricerca, la musica commerciale a quella indie, il blockbuster al film d'essai. La produzione letteraria si dispone così lungo uno spettro ai cui estremi teorici, di rado incarnati in oggetti concreti, si trovano un polo di produzione ristretta, dove si fa letteratura accessibile esclusivamente ad altri professionisti della letteratura, e un polo di produzione di massa, dove circolano opere fabbricate per avere il massimo successo commerciale. Delle opposte tipologie di testi prodotte in prossimità di questi due poli si sono tradizionalmente occupate discipline distinte: l'ermeneutica e la storiografia letterarie interpretano le opere canonizzate o da canonizzare; la sociologia della letteratura sotto forma di storia della ricezione o dell'editoria - studia la produzione di minor prestigio3. Ragionando sulla sfida intellettuale posta dalla massa di testi esclusi dal canone, «quel 99% di letteratura che si è perso nel nulla, e che nessuno si sogna di rivendicare» 4, Franco Moretti ha proposto nell'ultimo ventennio di rinnovare l'approccio al «Great Unread»S attraverso un distant reading- antitetico al close reading applicato alle opere del canone - che consenta, sfruttando le risorse della digitalizzazione e dell'interrogazione automatizzata dei testi, di «rovesciare la gerarchia tra la serie e l'eccezione, in cui la prima diventi- come è - la presenza dominante del campo letterario» 6 • 3 Nella tradi1fone critica italiana si è distinto in questo filone di studi il gruppo di ricercatori dell'Università degli Studi di Milano che dà vita all'annuario "Tirature,. diretto fino al 2020 da Vittorio Spina1.zola. 4 Franco Moretti, Atlante del romanzo europeo 1800-1900, Einaudi, Torino 1 997, p. 7. s Id., The Slaughterhouse of Literature, •Modem Language Quarterly,., March

2000,

p.

208.

Moretti, Atla11te del roma11za europeo cit., p. 155. Nel libro del '97 Moretti pone per la prima volta la questione di come interrogare storicamente il •Great Unread,., che riprende tre anni dopo in The Slaughterhouse of Literature. Lo Stanford Literary Lab ha fornito allo studioso le risorse umane e informatiche per diversi esperimenti di distant readi11g su ampi corpora; ne sono risultati studi scaricabili dal sito https:Jnitlab.stanford.edu, diversi dei quali sono tradotti in Franco Moretti, A 6

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L'opposizione tra close e distant reading mantiene però separati l'approccio al canone e al corpus7. Adottando come paradigma interpretativo le dinamiche messe in luce da Bourdieu è invece possibile integrare in un unico discorso quanto avviene ai due poli della produzione letteraria. In questo libro cercherò di connettere le azioni di autori, critici ed editori interessati principalmente all'elaborazione di valori letterari autonomi con quanto si scrive e si pubblica sotto l'influenza di princìpi eteronomi. La presenza di poesie, drammi e romanzi aderenti al gusto della maggioranza, che si limitano a riprodurre l'esistente o che si conformano ai desiderata di un'autorità politica, tendenzialmente destinate, perciò, a scomparire dal canone, ha conseguenze su quanto si produce nell'altra metà campo: chi ambisce a essere letto dai posteri, a figurare nei manuali di scuola e non solo nei cataloghi delle biblioteche nazionali, definisce i tratti delle proprie opere in primo luogo per negazione, come rovescio di quanto di più caduco viene scritto e letto nel suo tempo8 •

3. Consacrati e nuovi entranti: le avanguardie L'antitesi tra autonomia ed eteronomia non è l'unica modalità di conflitto nei campi letterari. La posizione di chi ha raggiunto prestigio e riconoscimento è continuamente minacciata da scrittori, critici ed editori nella fase iniziale della propria carriera, che aspirano a conquistare il capitale simbolico di cui sono ancora privi proponendo nuove regole dell'arte che contrastano con i valori incarnati nelle opere (e nelle persone) dei u11a certa distanza. Leggere i testi letterari nel nuovo mille1111io, a cura di Giuseppe Episcopo, Carocci, Roma 2020. 7 In Falso movimento. La svolta quantitativa 11ello studio della letteratura, nottetempo, Roma 2022, Moretti ha discusso la mancata conciliazione di questi due approcci nella sua ricerca. 8 «Gli storici della letteratura o dell'arte, facendo propria senza saperlo la visione dei produttori per produttori che rivendicano (con successo) il monopolio del nome di artista o di scrittore, conoscono e riconoscono solo il sottocampo di produzione ristretta: tutta la rappresentazione del campo e della sua storia ne risulta falsata»: Pierre Bourdieu, Raisons pratiques. Sur la théorie de l'actio11, Seuil, Paris 1994, trad. it. di Roberta Ferrara, Ragioni pratiche, il Mulino, Bologna 1995, p. 64.

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dominanti del campo. Ma come si affermano nuove regole in un campo letterario? Una delle strategie più efficaci per consolidare un nuovo nomos è l'alleanza: tra scrittori e scrittori, tra scrittori e critici, tra scrittori, critici, traduttori ed editori, con intellettuali e artisti di campi contigui. Questi gruppi di alleati danno vita a riviste, proclamano poetiche in un manifesto, fondano case editrici o orientano le scelte degli editori, interpretano in maniera innovativa i classici del canone nazionale o internazionale, traducono e promuovono opere straniere ancora ignote. Si tratta di strategie diverse, che però creano tutte l'immagine di un fronte unito e compatto: le idee e le opinioni degli individui che scrivono su una rivista, firmano un manifesto o collaborano con una casa editrice vengono percepite come un'emanazione del gruppo, invece che dei singoli. In questo libro chiamerò "avanguardie" queste alleanze di nuovi entranti, servendomi del termine in maniera più estesa rispetto all'uso invalso per indicare gruppi storicamente determinati (le avanguardie storiche di inizio Novecento -futurismo, dadaismo, surrealismo - e le neoavanguardie degli anni Sessanta). Nella mia trattazione, in altre parole, la redazione della rivista «La Ronda» figurerà come un'avanguardia né più né meno del futurismo9. Questo uso del termine per indicare il raggruppamento, le strategie e l'elaborazione normativa di alleanze di nuovi entranti mi consente di fare a meno di un altro concetto-scorciatoia caratteristico del racconto storico-artistico: quello di "movimento". Le storie letterarie tendono a presentare questi raggruppamenti strategici in maniera essenzialista, raccontando gli "ismi" che così frequentemente li denominano come organismi biologici che nascono, si sviluppano e muoiono, o come soggetti 9 L'uso del termine "avanguardia" che farò in questo libro è dunque strettamente funzionale: indica, cioè, una modalità di intervento nel campo letterario che prescinde dalle prese di posizione dei singoli e dai contenuti da esse veicolati, e in particolare dal loro rapporto con la tradizione, sul quale si fonda invece la distinzione tra "avanguardie" e "retroguardie" proposta da William Marx: cfr. LesArrières-Gardes au X xe siècle. L'autre face de la modenzité esthétique, a cura di William Marx, PUF, Paris 2008; William Marx, Avanguardie e retroguardie: per una complessità del modernismo, «allegoria•, 75, 1, 2017, pp. 23-34.

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dotati di intenzionalità e coscienza, che si avvicendano e si scontrano. Questo trattamento verbale e narrativo trascura il fatto che movimenti e "ismi" non hanno altra consistenza storica che quella di vessilli o bersagli nelle battaglie per la conquista del capitale simbolico. Nella storia non agiscono infatti i concetti ma gli individui, che si servono degli "ismi" in cui si inquadrano (o sono inquadrati) per esprimere prese di posizione e interessi che negli stadi iniziali delle traiettorie artistiche tendono a trovare un terreno di intesa nell'opposizione all'esistente. Le alleanze di nuovi entranti sono infatti più cementate dalla necessità di contrapporsi alle regole dell'arte invalse che da obiettivi condivisi; in seguito, man mano che alcune personalità del gruppo si affermano, consolidando la propria posizione e il proprio prestigio, i progetti creativi cominciano a differenziarsi in un processo di individuazione che finisce per dissolvere il gruppo degli esordi1°. 4. Storia e geografia: le capitali La pubblicazione nel 1992 delle Règ/es de l'art ha suscitato discussioni sulla possibilità di adottare quel modello per comprendere spazi e tempi diversi dalla Parigi della seconda metà del XIX secolou. Negli ultimi trent'anni diversi studi hanno sottoposto a verifica l'approccio di campo alla storia letteraria su altri contesti nazionali, mostrandone la valenza euristica ma anche la necessità di affinare, complicare e integrare quel para10 Questa tipica evoluzione delle avanguardie rende problematico evidenziare tratti comuni alle opere degli artisti che ne fanno parte, o all'intero percorso creativo di questi ultimi: un'impasse in cui incappano spesso i resoconti storiografici che csscnziali1.zano gli "ismi". L'impostazione della mia ricerca deve molto al modello offerto da Anna Boschetti, Ismes. Du réalisme au postmodemisme, CNRS Éditions, Paris 2014, in cui l'autrice descrive le traiettorie di diverse avanguardie dell'Ottocento e del Novecento mettendone in luce la dinamica ricorrente: alleanza strategica iniziale, affermazione di singoli che iniziano a differenziarsi dal gruppo, attacchi da parte di nuove avanguardie, storici1.1.azione. 11 Denis Saint-Jacques, Alain Viala, À propos du cbamp littéraire. Histoire, géograpbie, bistoire littéraire, «Annalcs. Histoire, Sciences Sociales», 49, 2, 1994, pp. 395-406.

INTRODUZIONE

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digma 1 2.. Le ricerche su casi europei e non europei hanno messo in luce quanto eccezionale sia il caso di studio affrontato da Bourdieu, a partire dal fatto che il campo letterario francese del tardo Ottocento è caratterizzato da un accentramento geografico che non si riscontra in nessun'altra nazione: tutti coloro che contano vivono a Parigi, tutto ciò che conta avviene a Parigi. Nessuna città europea - neppure Londra, Vienna o Madrid - è "capitale" nel senso in cui lo è quella francese: una città, cioè, in cui si concentrano, nelle parole dello storico Christophe Charle, «tutte le funzioni di comando (politiche, economico-finanziarie, intellettuali)» 1 3; una metropoli che attrae e in cui risiedono gli individui più dotati di ogni specie di capitale sociale, i dominanti di ogni campo. Anche a processo di nazionalizzazione avanzato o compiuto, nella maggior parte dei paesi europei le capitali 12 Sono numerosi gli studi sulla Germania e l'Europa dell'Est: Christine Magcrski, Die Ko11stituierung des literarisclum Fe/des ili Deutsch/a,uJ nach 1871, dc Gruytcr, Bcrlin 2004; Grcgor Ohlcrich, Sozja/istische Denkwe/te11. Model/ eitzes literarischen Fe/des der SBZ-DDR 1945 bis 1953, Univcrsititsvcrlag Wintcr, Hcidelberg 2005; Champ littéraire et 11atio11, sous la dircction dc Joscph Jurt, Frankreich-Zcntrum, Frciburg 2007; Heribcrt Tommek, Der tange Weg in die Gege11wartsliteratur.

Studien zur Geschichte des literarische11 Feldes i11 Deutsch/a11d von

1960

bis

2000,

De Gruyter, Bcrlin-Boston 2015; Lucia Dragomir, L'U11ion des écrivains. U11e i1zstitutio11 tr01isnatio1za/e à l'Est: l'exemp/e roumai11, Bclin, Paris 2007; Cécilc Vaissié, lngénieurs des omes en chef: littérature et po/itique en URSS (1944-1986), Bclin, Paris 2008. Per un caso di studio non europeo cfr. Tristan Lepcrlicr, Algérie, /es écrivains de la décennie noire, CNRS lt:litions, Paris 2018. Per l'Italia, tentano una ricostruzione di campo Gianluca Albcrgoni, I mestieri delle lettere tra istituzio11i e mercato. Vivere e scrivere a Mi/a110 nel/a prima metà dell'Ottoce11to, FrancoAngeli, Milano 2006; Anna Boschetti, Le genesi delle poetiche e dei ca11011i. Esempi italiani (1945-1970), «allegoria», 55, 1, 2007, pp. 42-85; Fabio Andrea1.1.a, Jdentificazio1ie di u11'arte. Scrittori e d11ema 1,e/ primo Novecento ita/ia110, Bulzoni, Roma 2008; Francesco Guglieri, Michele Sisto, Verifica dei poteri 2.0. Critica e militanza letteraria in Internet (1999-2009), «allegoria», 61, 2010, pp. 153-174; Cecilia Bcnaglia,

Engageme11ts de la forme. Une sociolecture des reuvres de Carlo Emilio Gadda et C/aude Simo11, Classiqucs Gamier, Paris 2020; Valentina Pero1.zo, Scrivere per vivere. Romanzi e roma11zieri 1,el/'ltalia di fine Ottoce11to, Unicopli, Milano 2020. Per una rassegna di case studies italiani rimando ai saggi e alla bibliografia ragionata di Lo spazio dei possibili. Studi sul campo letterario italiano del Novece11to, a cura di Anna Baldini e Michele Sisto, Quodlibct, Macerata 2023. ,, Christophe Charle, l1ztroduction. Pour u,ie histoire culture/le et symbolique des capita/es européennes, in Capita/es culturel/es, Capita/es symbo/iques. Paris et /es expérietices europée1111es, a cura di Id. e Daniel Roche, lt:litions de la Sorbonne, Paris 2002, p. 9.

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delle entità statali pre-nazionali hanno infatti continuato a esercitare alcune delle funzioni che in Francia si accentrano a Parigi: e ciò vale a maggior ragione in paesi dalla tardiva unificazione politica come l'Italia e la Germania. Dal 1871 Roma e Berlino sono le capitali politiche delle due nazioni, ma nel quadro di un sistema di ripartizione dei capitali sociali, e quindi del potere, rimasto policentrico fino a oggi. Le due città non svolgono subito, e non svolgono con continuità nel secolo e mezzo successivo, il ruolo di capitali nei diversi ambiti culturali, e in particolare quello di capitali letterarie: i centri urbani, cioè, dove scrittori, critici, traduttori e funzionari editoriali si trasferiscono facendone snodi fondamentali delle biografie; dove si addensano luoghi d'incontro come salotti, caffè, redazioni; dove hanno sede le case editrici, i quotidiani e le università che dànno lavoro ai letterati; dove si concentrano i settori più colti e aggiornati del pubblicol4. Se Parigi, ma anche Londra e New York, possono essere considerate le capitali letterarie dei rispettivi contesti nazionali, casi come quello italiano e tedesco mostrano un panorama più complesso1s. Città diverse dalla capitale politica possono competere e avvicendarsi nel ruolo di capitale letteraria; alcune possono specializzarsi in una funzione specifica, per esempio come centri dell'editoria nazionale. Capoluoghi locali possono esercitare un potere di attrazione sulle biografie intellettuali in quanto punti nevralgici del sistema di formazione superiore: i centri universitari attraggono gli aspiranti letterati, e nella città degli studi nascono collaborazioni, riviste e case editrici. Nella seconda metà del Novecento il policentrismo della letteratura italiana è stato oggetto di una ricca tradizione storiografica, che ha dato vita a importanti operazioni collettive. Il saggio di Carlo Dionisotti Geografia, e storia della letteratura italiana ' 4 In una stessa nazione possono coesistere diverse capitali culturali: ognuna di esse costituisce «per questo o quel campo di produzione simbolica un luogo di attrazione e di strutturazione del potere»: Christophc Charlc, lntroduction, in Le Temps des capita/es culturelles. xv11,e-xxe siècles, sous la dircction dc Christophc Charlc, conclusion dc Danicl Roche, Champ Vallon, Scysscl 2009, p. 15. •s Per il caso tedesco cfr. Miche! F.spagnc, Les Capita/es littéraires a/lemandes, ivi, pp. 323-334.

INTRODUZIONE

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(1967)16 è stato seminale sia per la Letteratura italiana curata per Einaudi da Alberto Asor Rosa (1982-1989)17 sia per l'Atlante della letteratura italiana (2010-2012) progettato dallo stesso editore all'inizio del nuovo millennio. Rispetto all'opera curata da Asor Rosa, che pone maggiormente l'accento sulle culture letterarie regionali, carte e mappe dell'Atlante evidenziano il protagonismo dcli' «Italia delle cento città [... ]. Sono loro, le città, il cardine intorno al quale ha ruotato la storia (non soltanto letteraria) del nostro paese» 18 • Per i decenni successivi all'Unità la distribuzione geografica del capitale letterario tra le città italiane si può rappresentare come un «monocentrismo alternato»: «di volta in volta uno è il centro culturale della nazione finalmente unificata, ma non riesce a durare più di qualche decennio, e spesso meno» 1 9. In questo libro dinamizzerò ulteriormente questa prospettiva: mostrerò come in diversi momenti storici le proposte di rinnovamento delle regole dell'arte siano plurime e in conflitto tra di loro, e come la rivalità tra avanguardie localizzate 16 Il saggio, che apre il volume omonimo (Einaudi, Torino 1967), nasce come prolusione in occasione della nomina di Dionisotti alla cattedra di letteratura italiana del Bedford College di Londra, e viene pubblicato una prima volta nel 1951 sulla rivista britannica «ltalian Studies». L'azione maieutica dell'editore, e in particolare di Giulio Bollati, per l'allestimento del libro del '67 si pu Lacerba (1913)» (ivi, pp. 57-58). ~ «Dove la storia, a guisa di gomito d'una strada, muta direzione e si ravvolge su se stessa, per raggiungere il fine [... ] le idee si personificano in un qualche gruppo di giovani, cavalieri del santo sdegno e profeti dell'assoluto [...]. Fu prima La Cronaca Bizantina; poi Il Marzocco giovane; e dopo Il Leonardo; oggi è La Voce»: Giuseppe Pre1.zolini, Il Marzocco. II, «La Voce», 13 maggio 1909, p. 86. 3° Papini, Fiorentinità cit., p. 58. 27

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I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA

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duenne ambizioso, privo di titoli intellettuali riconosciuti (ha un diploma magistrale che non gli permette di proseguire gli studi universitari), insofferente verso il proprio destino sociale: «Io non farò né il maestro né l'insegnante di francese come finora ero stato ridotto a desiderare - scrive nel suo diario il 2 7 luglio 1900 - ma farò il filosofo, il pensatore solitario»3 1 • Il «Leonardo» è il primo passo per sottrarsi a quel destino.

T RAl~TIURIA Al. 1919 Giovanni Papini (Fircn;,.c 1881-Fircnzc 1956) Giovanni Papini nasce in una famiglia di artigiani; il padre, ateo, repubblicano cd cx garibaldino, possiede una piccola biblioteca. Nel 1899 ottiene il diploma di maestro, che non gli consente l'accesso all'università, ma frequenta come libero uditore i corsi dell'Istituto di Studi Superiori di Firen1.c 1• Per mantenersi lavora come bibliotecario al Musco di Antropologia e insegna italiano all'Istituto inglese; nel 1902 pubblica il suo primo articolo. Nel 1899 aveva conosciuto Pre;,.zolini, che diventa il principale collaboratore della rivista «Leonardo», che Papini dirige dal 1903 al 1907. È capo-redattore della rivista nazionalista «Il Regno» di Enrico Corradini, fondata nello stesso 1903. Nel 1904 compie il suo primo viaggio all'estero, a Ginevra, per partecipare al Congresso internazionale di Filosofia, dove incontra Bergson e Pareto; a Roma conosce invece William James. Nel 1906 pubblica i suoi primi libri: una raccolta di racconti (Il tragico quotidia110), una di saggi (Il crepuscolo dei filosofi) e La coltura italiana, scritto a quattro mani con Prczzolini. Dal novembre 1906 al gennaio 1907 è a Parigi. Sposa nell'agosto 1907 Giacinta Giovagnoli, una campagnola di Bulciano in provincia di Arcz1.0; la tradisce con intellettuali più colte e moderne come Sibilla Aleramo e Mina Loy. Hanno due figlie, Viola (nata nel 1908, sposerà nel 1933 il conte Bama Occhini) e Gioconda (nata nel 1910, sposerà nel 1929 Stanislao Paszkowski, figlio del proprietario del Caffè Giubbe Rosse). ' L'Istituto di Studi Superiori di Firenze diventa Università degli Studi nel 1925.

J• Giovanni Papini, Il 110n fi11ito. Diario del 1900 e scritti i11editi giovanili, a cura di Giorgio Luti e Paola Casini, trad. it. di Anna Casini Paszkowski, Le Lettere, Firen;,.c 2005, p. 100.

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Nel 1908 si trasferisce a Milano nella speranza di venire assunto dal «Corriere della Sera» e di diventare un autore Treves. Collabora con la rivista «Il Rinnovamento» dei modernisti cattolici guidati da Alessandro Casati e Tommaso Gallarati Scotti, e pubblica il numero unico della rivista «Il Commento» finanziata da Gallarati Scotti e scritta interamente da Papini, Casati, Pre1.zolini e Soffici. Fallito il tentativo di introdursi nel mondo editoriale e giornalistico milanese, rientra a Firen1.e. Dal 1909 dirige per l'editore abruzzese Rocco Carabba le collane SCRITTORI NOSfR1, una serie di classici italiani che già nel nome ricalca gli SC:RTITORI D'TTAIJA di Croce, e I.A ClJl:tlJRA DFJJ.'ANIMA. OOIJ.EZIONE DI IJBRI 1-11.0SOI-l cap. 2, SS I e 7.

I. I FUTURISTI l! L'AVANGUARDIA FIORl!NTINA

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TRAIETTORIA

Giuseppe Prezzolini (Perugia 1882.-Lugano 1982.) Giuseppe Pre1.zolini nasce da una famiglia di origini senesi. La madre muore quando ha tre anni; segue il padre, prefetto, nei suoi spostamenti tra diverse città. Nel 1900 muore anche il padre, lasciandogli una piccola rendita. Prezzolini lascia il liceo senza diplomarsi, parte per Grenoble e Parigi, dove segue i corsi di Bergson, e collabora con il «Leonardo» di Papini; nel 1903 pubblica il suo primo libro, Vita intima. Nel 1904 e nel 1906 trascorre alcuni mesi in Germania per studiare il tedesco. Nel 1905 sposa Dolores Faconti, studentessa universitaria milanese dell'Istituto di Studi Superiori di Firen1.c. Con il sostegno dei cattolici modernisti inaugura nel 1905 una collana di scrittori mistici, POl-:TAE PHll.osol'HI ~l" PHl1.0SOPHI MINOR~:S, dove esce una sua traduzione di Novalis. Dal 2.8 dicembre 1908 dirige il settimanale «La Voce». Dal 1911 alla rivista si affianca la Libreria della Voce, una cooperativa che presto diventa anche casa editrice con i QUADERNI DFJl.A VOC:f. e diverse pubblicazioni cd opuscoli fuori collana. 1!. a Parigi nel 1910 per organi1.zare una mostra di pittura impressionista, e nel 191 2. come corrispondente per il quotidiano «Il Resto del Carlino»; in questo periodo Papini lo sostituisce alla direzione della «Voce», assunta nuovamente da Prczzolini con il numero del 7 novembre. L'ultimo numero della rivista da lui diretto esce il 2.8 novembre 1914; la direzione passa nel 1915-16 a Giuseppe De Robertis. Pre1.zolini si trasferisce a Roma dove lavora come corrispondente politico per «Il Popolo d'Italia» diretto da Benito Mussolini. Nel 1915 dirige i primi quattro fascicoli della «Voce-Edizione politica», che esce dal 7 maggio al 3 1 dicembre; si arruola volontario e il 2.7 agosto parte per il fronte. Nel corso del 1916 è inviato in diverse città come istruttore delle truppe; l'anno successivo lavora a Roma all'Ufficio Storiografico di Mobilitazione, ma dopo Caporetto fa domanda per essere nuovamente inviato al fronte. Nel 1919 il catalogo delle edizioni della Libreria della Voce, sopravvissute alla fine della rivista, viene spartito tra Vallccchi e la Società anonima editrice La Voce diretta a Roma da Pre1.zolini. La svalutazione postbellica non gli consente di mantenere la famiglia con la rendita lasciatagli dal padre: negli anni Venti lavora come editore e come agente letterario prima di trasferirsi a Parigi nel 192.3, dov'è impiegato dall'Istituto internazionale per la cooperazione intellettuale, un'emanazione della Società delle Nazioni, e nel 192.9 a New York, dove insegna letteratura italiana alla Columbia University.

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Dopo essersi conosciuti, Papini e Prezzolini intraprendono un impegnativo percorso da autodidatti che spazia dalla filosofia all'apprendimento delle lingue, dalla sociologia all'esplorazione delle letterature straniere. A differenza dell'amico, Prezzolini abbandona presto ogni ambizione filosofica e letteraria: con l'eccezione di alcuni testi pubblicati prima del 1908, la sua traiettoria non è quella di un'artista ma di un formidabile promotore di cultura, che mette al servizio degli altri le proprie capacità organizzative. I redattori del «Leonardo», come gli aspiranti riformatori della filosofia di tutt'Europa, si lanciano in una battaglia contro il positivismo, l'indirizzo di pensiero che ispira i metodi di studio dominanti nelle università. La rivista propone come modelli alternativi il pragmatismo anglosassone del filosofo William James, la teoria politica di Vilfredo Pareto, la filosofia di Henri-Louis Bergson, una nuova interpretazione di Nietzsche, ma anche i romantici tedeschi, senza distinzione tra filosofi e poeti. Il filosofo-poeta è infatti il modello di artista propugnato dal «Leonardo»: «Il filosofo che insieme è un classico della letteratura ci manca affatto [... ]. Filosofia e arte di scrivere, idee e chiarezza, pensiero e bellezza hanno fatto fra noi divorzio»H. Papini e Prezzolini importano la postura autoriale del poetafilosofo dalla Germania romantica discutendo sul «Leonardo» poeti e filosofi tedeschi di quasi un secolo prima, traducendoli e allestendone edizioni3 5• Anche quando Papini sposta le sue ambizioni dalla filosofia alla letteratura (nel 1906 pubblica la sua prima raccolta di racconti), la sua rimane una scrittura intrisa di pensiero, secondo una postura i cui punti di riferimento principali sono i romantici e un Nietzsche profondamente risignificato rispetto a quello dannunziano3 6 • 34 Giuliano il Sofista [Giuseppe PrC'J'.7.olini], SaggezzJJ e Misticismo, in Papini, Prczzolini, La coltura italiana cit., p. 13 3. Sul rapporto tta romanticismo tedesco e avanguardia fiorentina dr. Anna Baldini, La cultura tedesca nelle riviste del/'ava11guardia fiorentina (1903-1915), in «La densità meravigliosa del sapere». Cu/tuTa tedesca in Italia tra Settecento e Novecento, a rura di Mauri1jo Pirro, !edizioni, Milano 2018, pp. 147-165. 35 Cfr. i saggi di Michele Sisto, Gli editori e il rinoovamento del repertorio, e Stefania De Lucia, I mistici tedeschi tradotti e narrati da Giuseppe Prezzo/mi, in Baldini, Biagi, De Lucia, Fantappiè, Sisto, La letteratura tedesca i11 Italia cit., pp. 57-89 e 91-11 2. 36 Jérome Meizoz indica con «postura» il costrutto letterario e sociale con cui il singolo scrittore occupa la propria posizione nel campo letterario, e che si manifesta

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La battaglia ingaggiata dal «Leonardo» per rinnovare il panorama filosofico italiano attaccando la filosofia delle università è la stessa della «Critica», come riconosce lo stesso Croce recensendo favorevolmente la rivista fiorentina 37 • La sua approvazione è molto importante: «Di quell'uomo bisogna essere in ogni modo alleati», scrive Papini a Prezzolini il 10 novembre 19073 8• Per i due più giovani intellettuali Croce è un modello aspirazionale, come si evince da questa lettera di Prezzolini alla fidanzata, scritta dopo il primo incontro con il filosofo: È un uomo di gradevolissima conversazione, pieno di aneddoti e di idee. È un uomo felice che ha molti denari, molto ingegno, molta memoria, molti amici e molti nemici, molti libri e ben scelti. Un uomo che può dir male di chi vuole, che è temuto per le polemiche, in dispetto ai professori ufficiali. Viaggia, stampa come e quanto vuole, ha una bella donna ... Cosa vorresti di più?39

Papini e Prezzolini aspirano a occupare una posizione analoga, autorevole ma estranea alle istituzioni culturali, di cui denunciano la corruzione e la decadenza nel libro a quattro mani La coltura italiana, che nel 1906 chiude la stagione del «Leonardo». Nella prefazione al libro i due autori descrivono, con la lucidità di chi è estraneo a un gioco sociale e lo osserva dall'esterno, sia nelle opere sia nella sua presenza pubblica: dr. jéromc Mcizoz, Postures littéraires: mises en scènes modemes de l'auteur, Slatlcinc, Gcnèvc 2007 (l'autore ne ha offerto una sintesi in italiano in Postura e campo letterario, trad. it. di Anna Baldini, «allegoria», 56, 2, 2007, pp. 128-137); Id., La Fabrique des singularités. Postures littéraires li, Slatkinc, Gcnèvc 201 1; Id., La Littérature "en persotme ". Scime médiatique et formes d'incamation, Slatkinc, Gcnèvc 2016. 37 «Gli scrittori del Leonardo sono legati tra loro da una conce1lonc filosofica, ch'è l'idealismo [•.. ]. E sono scrittori vivaci e mordaci, anime scosse cd inebriate per virtù d'idee; non pedestri infilzatori di brani e di periodi altrui con frigidi commenti proprii, a scopo scolastico e professionale, quali di solito coloro che riempiono le riviste filosofiche. Ciò non può non attirare fortemente la nostra simpatia»: B.C. [Benedetto Croce], [recensione a] Leonardo, pubblicazione periodica, «La Critica», 1, 1903, p. 287. 38 Giovanni Papini, Giuseppe Prczzolini, Carteggio, I, 1900-1907. Dagli «Uomini liberi» alla fine del «Leonardo», a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghctti, Edizioni di Storia e Letteratura-Biblioteca cantonale Lugano-Archivio Prczzolini, Roma 2003, p. 731. 3!1 Lettera del 1 5 ottobre 1903 in Prcu.olini, Diario per Dolores cit., p. 89.

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il meccanismo con cui lo Stato controlla l'ingresso nei campi intellettuali, ed esaltano come unici intellettuali liberi i pensatori che vogliono «vivere con quello che sanno» ma non hanno un biglietto di ingresso validato dallo Stato: «lettori e cercatori disinteressati e indipendenti» che «possono permettersi la libertà di linguaggio»4°. Con questa rivendicazione orgogliosa della propria condizione rovesciano un handicap (la mancanza di titoli per un inserimento canonico nel mondo intellettuale) in un valore e un punto di forza. Per conquistare autorevolezza, Papini e Prezzolini si servono, seguendo l'esempio di Croce, non solo della forma-rivista ma anche della collaborazione con l'editoria. Papini è il primo a tentare questa strada, e spera di ricavarne una fonte di guadagni compatibile con l'attività intellettuale e che gli consenta di «pubblicare cose che nessun altro editore accetterebbe»: non trovo niente di immorale nel tentare qualcosa di simile in piccolo, a ciò che ha fatto il Dicdcrichs: cd essere un editore che non è solo un mercante- un pensatore che dopo aver predicato l'azione cerca di dar l'esempio - uno scrittore che dopo essersi accorto dello sfruttamento editoriale cerca di creare una piccola azienda un po' diversa dalle altre e in cui sarà possibile pubblicare cose che nessun altro editore accetterebbe. [ ... ] Io preferisco, ti confesso, cercar di guadagnare facendo il commerciante - se ciò avverrà - che scrivere controvoglia degli articoli sui giornali. Io non ho nessuna intenzione di lasciare il mio posto di educatore e di profcta4 •.

4° «Lo Stato fa distribuire malamente nelle sue scuole certe dosi di lingue o di scien1.e; concede largamente certificati, titoli e diplomi a chi le frequenta e non riconosce, nei concorsi di ogni genere, se non quella coltura ch'egli stesso ha fatto dare. Vale a dire che tutti coloro che vogliono vivere con quello che sanno sono obbligati a recarsi negli stabilimenti pubblici dove si confezionano, sotto la garanzia governativa, i colti, i dotti e i semidotti. Quanto a tutta la coltura che sta al di fuori di codeste scuole il Governo non se n'occupa. Per lui essa non esiste o non ha nessun valore legale. [... ] I pochi autodidatti che si formano qua e là, malgrado tutte le condizioni avverse, sono guardati con pietà dagli ignoranti perché non hanno una posizione ufficiale e un salario fisso e sono spregiati dai dotti regolarizzati e bollati perché non hanno né titoli né una specialità, e anche perché possono permettersi una libertà di linguaggio che a loro, stretti fra le mafie e le biu.e del mondo ufficiale, non è concessa»: Giovanni Papini, I11troduz;one, in Papini, Prczzolini, La Coltura ita/ianacit., pp. 6-7. 4 ' Papini, Prczzolini, Carteggio, I, cit., lettera del 15 aprile 1907, p. 69 5.

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All'editore tedesco Diederichs Prezzolini aveva dedicato un articolo di elogio sul «Leonardo», mettendo in luce il contrasto tra il suo operato e quello diffuso in un settore dominato per lo più dalla logica economica. L'editore è il mezzano intellettuale del pubblico. Ma è anche il mezzano della gloria per lo scrittore.[ ... ] Ogni nome di grande editore è legato alla moda del suo tempo. Il Lemerre ai Parnassiani; il Mercure ai Decadenti; Zanichelli a Carducci; Treves a D'Annunzio. [... ] Ora, in questo mondo della cassetta e del successo, in cui la grandezza è misurata dalla tiratura d'un libro, in cui ogni editore è un piaggiatore delle perturbazioni sessuali e intellettuali del pubblico, ho scoperto, per quanto sembri impossibile, un editore che vuole formare lui il pubblico, invece di esserne formato. Si tratta di Eugenio Diederichs4 2 •

Prezzolini diventa editore con le edizioni della Libreria della Voce43, mentre Papini avvia nel 1909 una collaborazione con un editore periferico e ambizioso, Rocco Carabba di Lanciano, in Abruzzo. Come Croce per Laterza, Papini è consulente dell'editore-imprenditore: ne dirige le collane e si occupa della distribuzione degli incarichi di traduzione e cura editoriale44. 3.2. Marinetti e «Poesia»

Filippo Tommaso Marinetti ha dieci anni meno di Croce, cinque/sei più di Papini e Prezzolini, ma i capitali che eredita dalla 42. Giuliano il Sofista [Giuseppe Prezzolini), Per un editore, «Leonardo», III, febbraio 1905, pp. 39-40. Dicdcrichs torna come paradigma esemplare nel capitolo dedicato all'editoria della Coltura italiana, e il primo numero della «Voce» pubblica una sua intervista. 43 Dal 191 o alla «Voce» si affianca una collana libraria, i QUAI>t-:RNI 1>1-lJA vcx:F., che diventa casa editrice nel 1912. con la sigla Libreria della Vocc. La libreria era stata aperta a Fircn1.c nel novembre 1911 cd era gestita da Piero Jahicr (Genova 1884-Fircn1.c 1966), uno scrittore di religione valdese, cresciuto a Torino e trasferitosi a Firenze nel 1897, dove si impiega alle ferrovie. Jahicr collabora alla «Vocc» e pubblica presso le sue cdi1Joni Resultmize in merito alla vita e al carattere di Gino Bianchi (1915) e Ragazzo (1919 ). 44 Sulle imprese editoriali di Papini e Prc1.zolini cfr. Alberto Cadioli, Papini e Prezzolini tra missione e mercato, in Id., Letterati editori. Papi,ù, Prezzolini, Debenedetti, Calvino. L'editoria come progetto culturale e letterario, il Saggiatore, Milano 1995, pp. 2.9-52.; su carabba cfr. Michele Sisto, Rocco Carabba editore, in Baldini, Biagi, Dc Lucia, Fantappiè, Sisto, La letteratura tedesca in Italia cit., pp. 171-182..

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famiglia - la ricchezza e un'educazione cosmopolita - lo avvicinano più al primo che ai secondi.

TRAIKITORIA Al. 1919 Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d'Egitto 1876-Venezia 1944) Filippo Tommaso Marinetti nasce in Egitto, dove il padre è l'avvocato personale del viceré ottomano. Frequenta scuole francesi e nel 1893 si trasferisce a Parigi per l'ultimo anno del liceo; ottiene il baccalauréat ès lettres (diploma di maturità in lettere) nel 1894. La famiglia rientra a Milano nel 1895. Marinctti si iscrive a legge prima a Pavia poi a Genova, dove si laurea nel 1899. Nel 1898 aveva vinto un premio di poesia dei Samedis populaires organizzati da Catullc Mcndès e Gustavc Kahn, e nel 1902 pubblica in Francia il suo primo libro, il poema epico La Conquete des étoiles. La scolari1.1.azionc in francese fa sì che nella scrittura letteraria sia più a suo agio con questa lingua che con l'italiano; per tutti gli anni Dicci le sue opere, originariamente pubblicate in francese, sono tradotte in italiano dal suo segretario Dccio Cinti. Collabora con diverse riviste francesi, e nel 1905 ne fonda a Milano una propria, «Poesia», che esce fino al 1909. Il padre muore nel 1907; anche il fratello maggiore e la madre erano morti, nel 1897 e nel 1902 rispettivamente. Marinctti si serve dell'importante patrimonio ereditato per finanziare riviste, pubblicazioni, mostre e toumées degli artisti a lui legati. Nel 1909 pubblica il Manifesto del futurismo e debutta a Parigi come drammaturgo con Le Roi bombatzce (è un fiasco). Tra il 1912 e il 1914 accompagna con letture e declamazioni la mostra di pittura futurista in toumée in Europa; nel 1914 pubblica Za,zg Tumb Tuuum, primo volume composto integralmente di "parole in libertà", la rivoluzione formale proposta dal Manifesto tecnico della letteratura futurista del 191 2. Nel 1915 è tra i principali animatori delle manifestazioni interventiste a Milano insieme a Mussolini. Ad agosto si arruola nel Battaglione Lombardo Volontari Ciclisti e Automobilisti dove militano molti artisti futuristi. Dopo lo scioglimento del Battaglione Marinetti combatte su diversi fronti di guerra; riceve due medaglie di bronzo al valor militare. Nel 1918 pubblica il Matzifesto del partito futurista italiano, e l'anno successivo porta l'adesione del partito futurista ai Fasci di combattimento di Mussolini: l'allean;,.a elettorale è sconfitta a novembre. In autunno fa visita a d'Annunzio, divenuto reggente della città occupata di Fiume.

Come Croce, Marinetti è orfano ed erede di un cospicuo patrimonio, e non è interessato alle carriere che il percorso univer-

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sitario gli apre. Investe invece energie e ambizione nella scrittura poetica in lingua francese: nel 1898 vince un premio di poesia bandito da due autorevoli esponenti dell'avanguardia simbolista, e la sua prima opera La Conquete des étoiles è pubblicata dalle edizioni di una rivista di quest'area del campo letterario francese, «La Piume». A cavallo tra i due secoli scrive articoli per diversi altri periodici di Parigi45 e lavora alla redazione del1' «Anthologie-Revue de France et d'ltalie», con sede a Milano, che gli offre un apprendistato nell'organizzazione culturale e un modello per «Poesia» (1905-1909 ). Anche «Poesia» è una rivista antologica, che ogni mese pubblica testi inediti, soprattutto in versi ma anche poèmes en prose. La maggior parte delle opere pubblicate è in italiano, con persino qualche esempio di poesia dialettale; seguono quantitativamente i testi in francese, di cui non viene mai fornita la traduzione; poesie tradotte da altre lingue appaiono più sporadicamente. La fondazione del periodico marca l'inizio dell'investimento di Marinetti nel campo letterario italiano. Le sue conoscenze nel mondo dell'avanguardia parigina gli consentono di pubblicare su «Poesia» nomi importanti della poesia francese (Paul Adam, Henri de Régnier, Paul Fort, Francis Jammes, Alfred Jarry, Gustave Kahn, Jules Laforgue, Catulle Mendès, Jean Moréas), che garantiscono al periodico visibilità a prestigio; i contatti e l'embrione di riconoscimento acquisiti in Francia costituiscono un vantaggio potenziale nel campo letterario italiano, che si trova in una posizione subordinata rispetto a quello francese. Non tutto ciò che è prassi a Parigi è però agevolmente replicabile a Milano: per esempio, la scelta di pubblicare una rivista composta quasi esclusivamente di testi poetici inediti risulta arrischiata nel nuovo contesto. Lo si evince da un aneddoto raccontato da Carlo Linati, un letterato milanese di un paio d'anni più giovane di Marinetti, anche lui esordiente in questi anni 46:

45 «La Piume», «La Revue bianche», «La Rénovation esthétique», «La Vogue», «Vers et prose», «Mercure de France», «Gil Blas». 4 6 Sulla traiettoria di Linati-+ cap. 2 §8. Nei primi anni del secolo sono diversi i progetti culturali intrapresi congiuntamente da Linati, Marinetti e l'editore-scrittore Umberto Notari (cfr. infra).

A REGOLA D'ARTE

[Marinetti) - Vogliamo mettere su insieme una rivista di poesia? [Linati) - Tutta di poesia? - Tutta di poesia. - Ma è pazzesca un'impresa simile in Italia, in questi tempi di commercialismo! - È appunto ciò che mi seduce. - Ci metteremo almeno un po, di prosa, un po, di critica. - Macché prosa! Tutta poesia. Vogliamo épater l'Italia barbogia e carducciana con questo gesto da pazzi47.

La sicurezza garantita dal ricco patrimonio consente a Ma-

rinetti di concepire e realizzare un «gesto da pazzi»: un investimento totalizzante nel genere più legittimo, la lirica, che però è anche quello con meno pubblico, poco redditizio e poco amato dagli editori di libri e periodici. Finanziando la rivista, Marinetti intraprende un investimento a fondo perduto sul piano economico, lungimirante su quello simbolico. Tra le spese da lui sostenute per «Poesia», oltre a quelle per carta, tipografie e distribuzione, c,è anche il compenso garantito a tutti gli autori, che aumenta l'attrattività della rivista per esordienti già attirati dalla possibilità di vedere il proprio nome pubblicato accanto a quello dei poeti francesi più in vista, di poeti italiani celebri come d, Annunzio e Pascoli, e di altre figure all'epoca di una certa notorietà come Giovanni Marradi, Ceccardo Roccatagliata Ceccardi, Ada Negri. «Poesia» offre così una vetrina che garantisce visibilità ai nuovi entranti collocandoli accanto a poeti già consacrati. Già nel 1905 alla rivista si affianca una casa editrice (le Edizioni di Poesia), sempre finanziata da Marinetti4 8 • Il poeta-editore chiede contributi per le spese di pubblicazione solo se gli autori se li possono permettere, e in ogni caso si fa carico delle spese di distribuzione dei volumi e dei (numerosissimi) invii-omaggio a scrittori, critici e giornalisti. Intorno a Marinetti comincia così 47 Carlo Linati, Sulle orme di Renza [ 1919], in Id., Sulle orme di Renzo e altre prose lombarde, Treves, Milano 1927, pp. 23-24. Oltre a testi inediti, in realtà, «Po-

esia» pubblica anche rubriche di polemiche, recensioni e segnalazioni, che occupano però una parte minoritaria dei suoi fascicoli rispetto alle riviste coeve. 4 8 Su questa e le successive imprese editoriali di Marinetti cfr. Claudia Salaris, Maritietti editore, il Mulino, Bologna 1990.

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a crearsi un gruppo di sodali devoti, che spesso gli sono debitori dell'ingresso e di un primo riconoscimento nel campo letterario49. La generosità del poeta-milionario, oltre che un genuino tratto di carattere, è anche un elemento strategico per la conquista di alleati nel campo letterario italiano. Il nuovo periodico non può contare però esclusivamente sui nuovi entranti; soprattutto all'inizio ha bisogno di rendere omaggio e corteggiare i poeti più consacrati. Il primo fascicolo del febbraio 1905 dichiara che la rivista è dedicata a Carducci; il primo inedito pubblicato è un brano dalla tragedia La Nave di D'Annunzio; nello stesso numero Marinetti pubblica una poesia dedicata a Pascoli e il fascicolo si chiude con un "medaglione" celebrativo dedicato nuovamente a Pascoli da Sem Benelli (1877-1949). Quasi coetaneo di Marinetti e da poco esordiente come poeta e drammaturgo5°, Benelli co-dirige la prima annata di «Poesia» insieme a Marinetti e Vitaliano Ponti (1874-1931), un altro poeta di poco più anziano. Già nella primavera del 1906, tuttavia, Benelli e Ponti scompaiono dalla copertina di «Poesia»: l'impresa ha avuto abbastanza successo da consentire a Marinetti di attribuirsela pienamente, senza l'assistenza degli altri due scrittori, che erano stati utili all'inizio in quanto meglio inseriti nel contesto italiano. L'accordo con Benelli e Ponti si rompe dopo il lancio su «Poesia» di un'inchiesta sul verso libero: un'innovazione metrica già acclimatata a Parigi, il cui principale propugnatore sarebbe, a detta di Marinetti, Gustave Kahnsx. Nella battaglia per il verso 49 In una lettera del 13 maggio 1914 Paolo Bul'.zi - un impiegato della Provincia di Milano che aveva vinto il primo concorso di «Poesia» - spiega ad Aldo Palau.eschi perché rimane a fianco di Marinetti pur non condividendone le proposte più audaci: «Causa la mia povertà e la necessità che ebbi di conquistarmi un posto con studi antideali, le mie tendenl'.e letterarie sarebbero morte chissà da quanto, se non avessi incontrato il faro elettrico di che sai. E, venuto a contatto con gli editori anche grandi, mi avvidi subito della cattiva mediocrità e del bottegaismo feroce che li anima» (Carteggio Mari1ietti-Pa/azzeschi, con un 'appe,uJice di altre lettere a Palazzeschi, introdul'fone testo e note a cura di Paolo Prestigiacomo, presentazione di Luciano De Maria, Mondadori, Milano 1978, pp. 103-104). so Nel 1902 debutta a teatro con il dramma Ferdi11ando Lassalle, cui ne seguono altri due prima del poema autobiografico U11 figlio dei tempi (1905). s• Cfr. Gian Maria Villalta, Atte11tato al verso, in Atla11te della letteratura italia1,a, lii cit., pp. 365-369.

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libero, generalmente avversato dai poeti italiani che rispondono all'inchiesta, Marinetti trova il sostegno di Gian Pietro Lucini (1867-1914), che da tempo propugna questa innovazione metrica, e che ne pubblica un'articolata difesa teorica per le Edizioni della rivistaP. A Lucini, che non è un nuovo entrante ma non ha l'autorità e il prestigio di un d'Annunzio e neppure di un Pascoli, «Poesia» offre una chance per uscire dall'ombra e rinnovare la propria immagine associandola a un gruppo di più giovani innovatori. Marinetti, dal canto suo, si conquista un alleato non solo nella difesa del verso libero, ma anche nell'avversione a d' Annunzio, il più ingombrante dei poeti consacrati. Tra Marinetti e Lucini si stringe così un'alleanza strutturalmente non dissimile da quella tra il «Leonardo» e Croce. Portare novità dall'estero, come il verso libero dalla Francia, è una tipica strategia di rinnovamento del nomos letterario in patria: un rinnovamento che serve a delegittimare i consacrati e a far spazio ai nuovi entranti che propugnano le novità. Anche gli strumenti di marketing di cui si serve Marinetti per allargare l'audience della propria rivista - l'inchiesta, costituita dalla pubblicazione delle risposte di diversi scrittori a un quesito posto dalla redazione; il concorso, che premia un testo letterario con denaro e/o la pubblicazione - sono prodotti di importazione, in quanto queste prassi di mobilitazione degli intellettuali sono da tempo in uso in Francia e diffuse anche nel resto d'Europa 53 • «Poesia», però, rispetto alle riviste coeve pubblicate a Parigi, pratica un marketing decisamente più aggressivo, che si manifesta soprattutto nelle paginate che in ogni numero pubblicano stralci di pareri firmati da intellettuali italiani e stranieri su «Poesia», sulle sue iniziative, sulle opere pubblicate dalle sue edizioni. All'altezza del 1908 le varie strategie messe in campo per raggruppare intorno alla rivista un gruppo di letterati che aspirano al rinnovamento della poesia italiana consentono a Marinetti una sicurezza sufficiente per fare i conti apertamente con d' Annunzio, che, come Croce per Papini, è insieme un rivale e un mos2 Gian Pietro Lucini, Ragion poetica e programma del verso libero. Grammatica, ricordi e confide,ize per servire alla storia delle lettere contempora11ee, Edizioni di Poesia, Milano 1908. B Cfr. Charlc, Gli intellettuali 11ell'Ottocento cit.

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dello aspirazionale54: Marinetti sta infatti cercando di costruire per sé un posizionamento analogo a quello dannunziano, e cioè caratterizzato da una consacrazione allo stesso tempo nazionale e transnazionale. Un anno prima di lanciare il Manifesto del futurismo, perciò, Marinetti taglia i ponti con l'ingombrante predecessore pubblicando Les Dieux s'en vont, d'Annunzio reste, un pamphlet costituito da pezzi già pubblicati su «Poesia» e su diverse riviste francesi55. Les Dieux ... si apre con la descrizione dei funerali di Verdi (1901) e di Carducci (1907): l'autore nota l'assenza di d'Annunzio a queste ultime esequie, mentre è presente «la legione vittoriosa di "Poesia"»5 6 : Marinetti avoca così al proprio gruppo l'eredità del poeta defunto contro d'Annunzio, ma anche contro coloro che si sono annessi Carducci senza averne diritto, i pedanti poeti-professori57. Negli altri capitoli che compongono il pamphlet, e che derivano da pezzi di colore pensati per il pubblico francese del «Gil Blas», d'Annunzio appare in varie vesti (drammaturgo, oratore, proprietario di cani, idolo pescarese), e lo sguardo che lo descrive tende a essere ironico e riduttivo. Marinetti ne enfatizza l'astuzia autopromozionale, l' «americanismo pubblicitario» 58; d'Annunzio sarà anche un grande artista (non però «il più grande poeta italiano vivente», che è invece Pascoli59), ma non è altro che un «genio libres-4 Stefano Bragato, «Figlio di una turbina e di d"Annunzio»: Maritietti edipico?, «Archivio d'Annunzio», 5, 2018, pp. 61-78. ss Anche l'altro libro pubblicato da Marinetti nel 1908, il poema epico La Ville cbarnelle, si pu nel 1900 a Parigi, dove conosce i principali esponenti dell'avanguardia, da Apollinaire a Picasso, da Alfrcd Jarry a Max Jacob, cd espone per la prima volta al Salon des Indépcndents nel 1905. Le difficoltà della vita bohème provocano però una crisi che lo spinge a rientrare in Toscana nel 1907. Ancora a Parigi aveva cominciato a collaborare con il «Leonardo»; è successivamente uno dei principali redattori della «Voce» e fa parte del gruppo fondatore di «Laccrba». È scrittore oltre che pittore e critico: la sua prima opera letteraria, pubblicata a sue spese, è Ignoto toscano (1909 ), poi per le edizioni della Libreria della Voce pubblica Lemmonio Borea (1911), Giornale di bordo (1915) e B1FSZF+r8. Simultaneità e chimismi lirici (191 5). Interventista, combatte in vari fronti e pubblica le sue memorie di guerra (Kobilek, 1918; La ritirata del Friuli, 1919).

Nel campo delle arti figurative il contributo maggiore è dato alla «Voce» dal pittore e scrittore Ardengo Soffici, la cui rilevanza per la storia del periodico non è inferiore a quella di Papini e Prezzolini: passano soprattutto attraverso di lui, infatti, i contatti tra il gruppo fiorentino e Parigi. Soffici si serve della propria competenza su ciò che è considerato nuovo e moderno nella capitale francese per condannare la cultura figurativa italiana come provinciale e obsoleta: critica ripetutamente la più

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importante mostra d'arte italiana, la Biennale di Venezia, e ridicolizza la Gioconda come epitome della pittura tradizionalé9. Sulla «Voce» Soffici commenta le opere di Cézanne, Picasso e Braque, presentando, primo in Italia, il cubismo, e promuove l'opera dello scultore Medardo Rosso, ignoto in patria ma consacrato a Parigi. Dedica un libro ad Arthur Rimbaud e grazie ai suoi contatti con artisti e galleristi «La Voce» può organizzare, nel 1910, la prima mostra di pittura impressionista in Italia. Il gruppo di intellettuali che leggono, scrivono e si raccolgono intorno alla «Voce» costituisce dunque un'alleanza di nuovi entranti in diversi campi artistici o intellettuali, che si ritrovano uniti più dagli obiettivi polemici che dagli scopi comuni. La disparità dei fini e degli interessi - radicata in traiettorie biografiche e sociali differenti - ha come esito le vicende di successive separazioni che segnano la vita del periodico e che portano alla nascita di nuove riviste: «L'Anima» di Papini e Amendola (1909), «L'Unità» di Saivernini (1911-1920), «Lacerba» (1913-1915). Nelle sue memorie Prezzolini commenta ironicamente questa continua gemmazione dalla sua rivista: «Io stesso mi sentivo sacrificato e avrei voluto un periodico dove parlare a modo mio»7°. Già nel 1903 Prezzolini aveva scritto, parlando del «Leonardo», «Siamo accomunati qui nel "Leonardo" più dagli odi che dai fini comuni», e proseguiva elencando gli oggetti di tale avversione: «Positivismo, erudizione, arte verista, metodo storico, materialismo, varietà borghese e collettivista della democrazia»7 1 • Dietro questo elenco di sostantivi possiamo individuare i "nemici" della nuova avanguardia, il cemento che tiene insieme l'olimpico Croce e i fiorentini più incendiari, aristocratici milanesi e diseredati meridionali, socialisti insofferen69 Il quadro leonardesco torna d'attualità nel 1911 quando viene rubato dal Louvre; tra gli interrogati ci sono Apollinaire e Picasso, sospettati di aver voluto compiere un gesto dissacrante. Il furto non ha però a che fare con gli ambienti dell'avanguardia artistica: il ladro è un immigrato italiano, Vincenzo Peruggia, convinto che La Gioconda appartenga al suo paese. Il quadro viene ritrovato nel dicembre 19 r 3. 70 Giuseppe Prezzolini, L'italiatio inutile. Memorie letterarie di Francia, Italia e America, Longanesi, Milano 1953, pp. 97-98. 1• Giuliano il Sofista [Giuseppe Prezzolini], Alle sorgenti dello spirito. I. Funerali del positivismo. 11. Del sogno. 111. L'avvento dello spirito, «Leonardo», I, 9, 19 aprile 1903, p. 4.

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ti e cattolici modernisti, estimatori del cubismo e detrattori di Richard Strauss, psichiatri incuriositi da Freud e poeti sedotti da Weininger. L'oggetto principale dell'attacco condotto dal fronte comune della «Voce» è il mondo universitario che li esclude: o per mancanza di titoli di accesso (è il caso di Papini e Prezzolini, ma anche di Cecchi e Amendola), o mantenendoli in una condizione di precariato professionale ed esistenziale a dispetto di uno specchiato cursus honorum (il caso più clamoroso è quello di Gentile7 2 ). L'università viene attaccata sulla «Voce» con violenza e da diverse angolature: la rivista è sempre pronta a discutere l'ultimo scandalo accademico, a ridicolizzare i più celebri esponenti del mondo universitario locale (come il poeta, storico e critico letterario dell'Istituto di studi superiori di Firenze Guido Mazzoni) o nazionale (Roberto Ardigò, Cesare Lombroso). L'università denigrata sulla «Voce» è quella "germanizzata", cioè caratterizzata dal prestigio crescente delle discipline scientifiche («positivismo», «materialismo»), dalla specializzazione all'interno delle discipline umanistiche ( «erudizione», «metodo storico»), dall'avvento di nuove discipline come la sociologia o la psicologia, che sottraggono a letterati e filosofi i loro tradizionali terreni di azione73. Contro l'università, gli esclusi della «Voce» si trovano sullo stesso fronte di un escluso dall'accademia che tale è per avervi opposto un gran rifiuto: Croce, che può permettersi quanto la maggior parte di questi giovani anti-accademici non può, cioè di usare la propria posizione di privilegio economico per garantirsi una vita intellettuale di libertà e autonomia. Croce è una sorta di patrono della «Voce» non solo perché, dalla sua posizione già piuttosto consolidata, assiste la rivista con incoraggiamenti, arti1 2 Nel 1909 Croce prende spunto dalle difficoltà incontrate da Gentile all'inizio della carriera accademica per un attacco frontale alle modalità del reclutamento universitario: Benedetto Croce, Il caso Gentile e la disonestà 11ella vita universitaria italiana, Laterza, Bari 1909. n Il fenomeno è europeo, come spiega Charle: «li prestigio degli universitari è molto più evidente nelle discipline scientifiche che nelle materie letterarie e giuridiche. Questo ideale, nato in Germania, istituisce inedite divisioni fra i membri della comunità universitaria più o meno disposti ad accettarle. Alcuni, soprattutto i sostenitori della cultura umanistica, criticano gli eccessi dello scientismo e della specializzazione universitaria» ( Gli intellettuali nell'Ottoce11to cit., pp. 2.05-2.06).

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coli, consigli (e anche con un contributo economico iniziale), ma soprattutto perché le armi concettuali usate dai vociani contro il mondo universitario sono quelle da lui apprestate nel decennio di affermazione del suo sistema: la demolizione epistemologica delle scienze "dure" che arriva fino alla negazione della possibilità di una filosofia della scienza74; la distruzione dei confini e delle specializzazioni disciplinari in nome di un sistema onnicomprensivo e dell'unità delle idee 75 ; la demolizione della validità dei riconoscimenti intellettuali provenienti dalle istituzioni scolastiche, con la complementare esaltazione delle posizioni indipendenti come le uniche in grado di produrre un autentico rinnovamento intellettuale7 6• Accanto al mondo accademico, il giornalismo è l'altro campo sociale rispetto al quale «La Voce» manifesta un'inesausta aggressività: un campo che si è istituito come tale, con la sua logica specifica, da poco più di un secolo. «Il giornalista è il nuovo eroe - annota lo storico dell'editoria Giovanni Ragone -, in perpetuo movimento sui sistemi di trasporto, autoimprenditivo, sempre connesso con le nuove tecnologie elettriche (telegrafo e telefono), avventuroso, sagace interprete dell'immaginario collettivo, mentore di nuove mitologie, in contatto diretto e quotidiano

7-4 In questo ambito l'avversario più attaccato da Croce, spalleggiato da numerosi articoli sulla «Voce», è il matematico Federico Enriques, organi1.1.atorc del IV Congresso Internazionale di Filosofia tenutosi a Bologna dal 5a11'11 aprile 1911: cfr. Claudio Bartocci, ScietWJ e filosofia: un divorzio italiano, in Atlante della letteratura italiana, lii cit., pp. 448-453. 1s Si veda quanto dichiara Croce nel 1908 in un'intervista al futuro collaboratore della «Voce» Luigi Ambrosini: «Il mio mondo dello spirito si formò. Nel qual mondo [... ] le idee si richiamano e si accennano le une le altre: e in ognuna di esse, per quanto piccola, è rispecchiato il tutto insieme. In ogni problema di filosofia è tutta la filosofia. Delle volte basta un'idea sola per costruire tutto un sistema» (Luigi Arnbrosini, Con Benedetto Croce, «il Mar1.0cco», ottobre 1908, p. 3). 7 6 In un articolo del 1908 Croce giunge alla proposta swiftianamcntc paradossale di abolire le cattedre di filosofia per sgomberare il campo dalla insignificante produzione accademica e lasciare spazio alle opere prodotte liberamente: «Con l'abolizione delle cattedre di filosofia si toglierebbe via un ingombro: si farebbe anzi come una larga e magnifica potatura, che sarebbe seguita da bc11i e freschi virgulti. La filosofia, coltivata per vocazione cd amore, richiamerebbe intorno a sé tutti gli spiriti simpatici e sinceri» (Benedetto Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiatia, «La Critica», 6, 1908, p. 174).

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con le masse» 77. Nei primi numeri della «Voce» tre articoli di Prezzolini, Croce e Papini mettono in guardia i laureati in lettere e filosofia dal farsi tentare da questa professione fascinosa, remunerativa, e che permette di farsi rapidamente una fama 78• Gli autori della «Voce» percepiscono il giornalismo come una minaccia da una parte perché i giornalisti sono entrati in concorrenza con i letterati umanisti nell'arena sociale, soppiantandone la tradizionale funzione "profetica", la capacità cioè di influenzare la pubblica opinione; dall'altra perché, nel momento in cui il giornalista interviene con i propri criteri di giudizio, rispondenti alla logica specifica del suo campo, nei campi dell'arte e della letteratura, vi importa princìpi di valutazione eteronoma che minano l'autonomia di quei campi intellettualF9• Come scrive Prezzolini, Il giornalista, forte della réclame gratuita che possiede, inquina il campo delle idee e dell'arte, ritarda gli onesti, gonfia i deboli, non tocca gli arrivati, ignora i giovani, traffica le lodi, minaccia col biasimo e più spesso col silenzio; perché è spesso invidioso di non essere stato o di non potere essere un poeta o un filosofo o semplicemente un onesto uomo di gusto, di discernimento, di riflessione80•

In effetti, i più frequenti attacchi contro giornalisti non sono tanto rivolti a cronachisti o editorialisti, ma a figure come Ojetti, che negli anni Dieci scrive d'arte e di letteratura sul più importante quotidiano italiano, il «Corriere della Sera», dopo aver collaborato con «La Tribuna», «L'Avanti!» e «Il Giornale

77 Ragone, Classici dietro le quinte cit., p. 250. Luigi Barzini (1874-1947), corrispondente del «Corriere della Sera,. tra il 1899 e il 1921, incarna esemplarmente la figura del giornalista di successo. 78 Giuseppe Prezzolini, Il giornalismo e la 11ostra cultura, «La Voce", 28 gennaio 1909; Benedetto Croce, I laureati al bivio, «La Voce,., 4 febbraio 1909; Giovanni Papini, Il giova11e scrittore italia110, «La Voce", 18 febbraio 1909. 7'J Sulla pressione eteronoma esercitata dal sistema mediatico sull'autonomia di altri campi intellettuali cfr. Pierre Bourdieu, Sur la télévision, Libre-Raison d'Agir, Paris 1996, trad. it. di Alessandro Serra, Sulla televisio11e, Feltrinelli, Milano 1997. So Pre1.zolini, Il giornalismo e la 11ostra cultura cit., p. 26. Nell'articolo Pre1.zolini descrive anche l'avvenuta autonomi1.1.azione del campo giornalistico: «il giornalista, diventato "fornitore di notizie", tende a costituire con i suoi colleghi un partito a sé, i cui interessi egli pone sopra tutti gli altri, compresi quelli del suo giornale e non esclusi, anzi!, quelli della cultura e del moto ideale del paese,. (ivi, p. 25).

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d'Italia» 81 • Secondo Prezzolini, critici come Ojetti compromettono il giudizio estetico importandovi la logica propria del campo giornalistico, che non ha niente a che fare con il riconoscimento che passa attraverso criteri d'arte. Una censura ancora più aspra tocca ai compagni di strada che scrivono sui giornali. «Borgese [... ] per tanti anni ha scialacquato il suo grandissimo ingegno nelle terze pagine dei quotidiani», scrivono Papini e Amendola in un articolo del 191082• Cinque anni dopo tocca a Cecchi: Molti anni fa il Cecchi si dava l'aria d'essere il più puro cd austero anacoreta dell'arte e andava dicendo che non avrebbe mai sputtanato il suo ingegno, come gli altri, su per i giornali e per le riviste [... ] Malagodi lo scritturò per la Tribuna e finalmente il sogno massimo della sua vita pratica e letteraria fu pago. Giornalista era nell'anima e giornalista diventò più che mai 8 3.

Cecchi aveva rigettato accuse analoghe in una lettera a Prezzolini: «non tollero che nessuno venga a dirmi che fo il mercenario. È facile vivere nelle venerabili altezze della coltura quando ci si chiama Casati o Croce; è difficile non diventare mercenari quando ci si chiama Cecchi» 84 • In altre parole: Casati o Croce possono vivere una vita intellettuale disinteressata grazie al proprio patrimonio, mentre uno come lui, figlio di un modesto negoziante, deve rassegnarsi al compromesso. In verità, a cercare impiego nei giornali saranno in parecchi, e tra questi lo stesso Prezzolini, che nel r9r5 si trasferisce a Roma (come Cecchi due anni prima di lui) per lavorare al «Popolo d'Italia». Tuttavia, l'opposizione strutturale tra il campo giornalistico e campi culturali più autonomi fornisce a polemisti come Papini l'oppor81 «"Abbonatevi alla Voce! Non ci collaboreranno mai: Ugo Ojetti, Domenico Oliva, G. de Lorenzo, Diego Angeli, Luciano Zuccoli ... " [... ] questi bastano a mo' d'esempio di noia, di scioccheria e di falsità letteraria e civile»: Giuseppe Prezzolini, I «Cahiers de la Qumzaine» Il, «La Voce», 4 agosto 1910, p. 370. Domenico Oliva e Diego Angeli sono critici letterari e teatrali del «Giornale d'Italia»; il romanziere di successo Zuccoli dirige «La Gazzetta di Vene1ja» e scrive per il «Corriere della Sera». 82 Giovanni Amendola, Giovanni Papini, Per la cattedra a Guglielmo Ferrero, «La Voce», 2. giugno 1910, p. 333. 83 Giovanni Papini, Lasor'Emilia, «La Voce», 2.8 febbraio 1915, p. 359. 14 Lettera di Cecchi a Pre1.zolini, datata 1912. o 1913, in Emilio Cecchi, «Gli amli che verratmo ... ». Lettere a Giuseppe Prezzolini, «Nuova Antologia», 1892., agosto 1958, p. 500.

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tunità di servirsi di scelte legate a necessità individuali come di un'arma contro il nemico del momento: com'è nel 1915 Cecchi, che ha appena stroncato l'ultima opera letteraria di Papini, le Cento pagine di poesia pubblicate dalla Libreria della Voce85 • «La Voce» raggruppa dunque, tra i propri collaboratori e lettori, aspiranti intellettuali umanisti il cui status è messo in crisi dall'ascesa del prestigio delle scienze dure, dalla specializzazione interna alle scienze umane e dall'influenza del giornalismo. Il contrasto tra un'alta opinione di sé e una posizione sociale mediocre accresce il timore per la perdita di uno status non ancora raggiunto e l'intolleranza nei confronti di quelli che sono percepiti come agguerriti concorrenti da delegittimare: e tra questi, nei primi anni del Novecento, ci sono anche le donne. Nel primo decennio del secolo in Italia come in altri paesi europei si dibatte la possibilità di estendere i diritti politici alla popolazione femminile 86• La discussione approda sulla «Voce» con un editoriale non firmato (che esprime perciò la posizione della rivista) in cui si sostiene che il voto non sia la più urgente tra le ingiustizie contro le donne da sanare 87. Una replica giunge da Margherita Sarfatti, critica d'arte socialista e protagonista della vita intellettuale milanese (-. cap. 3, §2), che alza la posta prospettando un futuro in cui le donne potranno autodeterminarsi non soltanto politicamente, con il voto, ma anche partecipando del potere giudiziario 88 • Emilio Cccchi, False audacie, «La Tribuna», 13 febbraio 1915, p. 3. Nel 1906 Maria Montessori invita le donne a iscriversi nelle liste elettorali pur non avendone diritto, come gesto dimostrativo; nel 191 o il capo del PSI Filippo Turati discute su «Critica Sociale» con un'altra dirigente del Partito, Anna Kuliscioff, sull'opportunità di concedere il voto alle donne; la questione emerge anche nel dibattito parlamentare del 1912 che precede il varo della legge che concede il suffragio a tutta la popolazione maschile. 87 «La donna è considerata ancora nella pubblica coscien1.a come una suppellettile casalinga, un oggetto di proprietà, un arredo forse sacro ma arredo, che si può comprare, rubare, vendere cd impegnare a vita: un bicchiere che si deve rompere quando non ci si può più bere. Non già qualcosa che abbia volontà, libertà, che sia un "essere".[ ... ] Ora in queste condizioni le donne che chiedono il voto in Italia ci sembran persone che domandino le paste non avendo il pane»: La Voce, Il voto alle donne, «La Voce», 26 giugno 1913, p. 1105. 88 «Caro Prezzolini, quando anche noi donne italiane saremo un poco più progredite, rivendicheremo insieme con il voto, il diritto di formare parte delle giurie 8S

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Accanto a queste prese di posizione sull'attualità politica, «La Voce» discute dei rapporti tra i generi soprattutto nel numero sulla "questione sessuale" del febbraio 1910. Il fascicolo dà la parola e mette a confronto le opinioni di scienziati della mente (tra cui, come abbiamo visto, Freud), medici, insegnanti, sacerdoti, filosofi; l'unica voce femminile è quella di Sarfatti (che si presenta però come madre, non come intellettuale89). L'autore che risulta più influente è il viennese Otto Weininger, morto suicida a 2 3 anni, autore del trattato Sesso e carattere che diventa un /ivre de chevet per gli intellettuali dell'avanguardia fiorentina: il libro legittima la retorica misogina che circola sulla «Voce» e negli scritti personali, teorici o creativi di molti autori che si riconoscono nella rivista90• Weininger pone la dualità dei generi a fondamento di una metafisica che attualizza la tradizione millenaria secondo la quale il femminile sarebbe intellettualmente e moralmente inferiore al maschile. È vero che per Weininger non sono le donne in sé a essere inferiori - le due essenze non corrispondono, infatti, ai generi degli individui, che sono costituiti da percentuali variabili dell'una e dell'altra -, ma è altrettanto giudicanti, per difendere la vita delle nostre sorelle contro la rivoltella o il coltello del primo furfante che soffra nel suo bisogno di possedere, per egoismo, per vanità, o per interesse, l'affetto, il corpo o la borsa d'una donna»: Margherita Sarfatti, Le suffragiste i11glesi, «La Voce», 2. ottobre 1913, p. 1170. 119 Margherita Grassini Sarfatti, Quel che pe11sa dell'educazjone sessuale una mamma, «La Voce», 10 febbraio 1910, pp. 2.63-2.64. 90 Sul numero del febbraio 1910 ne parla l'insegnante di liceo Giulio A. Levi (Ottotte Weinittger, «La Voce», 10 febbraio 1910, pp. 2.60-2.61). Geschlecht und Charakter era stato segnalato anni prima da Prezzolini sul «Leonardo» (Giuliano il Sofista [Giuseppe Pre1.zolini], Utt ttemico della femmina, «Leonardo», ottobredicembre 1906, p. 358) e Papini ne recensisce la traduzione italiana appena esce per i Fratelli Bocca di Torino (Giovanni Papini, Un nemico della domuz, «La Stampa», 2.1 dicembre 1912.). Sulla ricezione di Weininger in Italia cfr. Alberto Cavaglion, La filosofia del pressappoco. Weininger, sesso, carattere e la cultura del Novecento [1982.], l'Ancora del Mediterraneo, Napoli 2.001. Sulla circolazione del libro a Firen1.e cfr. Alba Andreini, Weini11ger e weittingeriani ttella riflessione e 11ella biografia di Sibilla Aleramo, in Svelamettto. Sibilla A/eramo: u,uz biografia intellettuale, a cura di Annarita Buttafuoco e Marina Zancan, Feltrinelli, Milano 1988, pp. 12.0-136. Sulle donne soggetto e oggetto nelle pagine della «Voce» cfr. Anna No1.zoli, «La Voce» e le donne, in Les femmes-écrivai,zs e,i Italie (1870-1920): ordres et libertés, études réunies et présentées par Emmanuelle Genevois, Université de la Sorbonne Nouvelle, Paris 199 5, pp. 2.07-2.2.2..

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vero che il filosofo identifica il principio inferiore e materiale nel "femminile", cui oppone quello "maschile", ideale e spirituale. La dicotomia weiningeriana viene strumentalizzata nel dibattito letterario. Papini, per esempio, costruisce un canone italiano fondato sull'opposizione tra «arte maschia» (realista e plebea) e «arte femmina» (sentimentale, retorica, arcadica, dannunziana: tutta la letteratura contemporanea sarebbe per Papini femminilizzata)9 1 • Lo scrittore usa poi la femminilizzazione anche per degradare singoli avversari, come nell'articolo La sor'Emilia in cui l'inversione di genere delegittima Emilio Cecchi fin dal titolo9 2 • L'individuazione nel femminile di un principio inferiore o degradato è un tratto tipico delle società a dominio maschile, ma la sua frequenza nella retorica che circola nelle avanguardie di inizio Novecento invita alla ricerca di interpretazioni meno generali e a considerazioni più specifiche. Mi sembra che l'asprezza della retorica misogina di questi anni trovi una spiegazione in un fatto inedito nella sua natura sistemica: gli aspiranti intellettuali maschi si trovano a fianco, per la prima volta con una frequenza tale da non poterle ricondurre a casi eccezionali, donne che competono negli stessi campi, con formazione e ambizione comparabili, laureate che non sempre (o non subito) si ritirano in buon ordine a gestire una famiglia ma diventano concorrenti sul mercato del lavoro culturale. Accanto a poetesse e romanziere come Sibilla Aleramo, che occupano una funzione sociale normalizzata per le donne da circa un secolo; accanto a figure ibride come Margherita Sarfatti, che fonda il proprio potere culturale sulla ricchezza e sul tradizionale soft power del salotto intellettuale93; accanto, infine, a figure di provenienza esotica come le intellettuali giunte in Italia dall'Europa orientale {le dirigenti russe del PSI Anna Kuliscioff e Angelika Balabanova, la litua9 ' Giovanni Papini, Miele e pietra, «La Voce., 11 agosto 19rn, pp. 72.7-72.8; Giovanni Papini, Le due tradivo,u letterarie, «La Voce•, 3 gennaio r 912., p. 373. 9 1 Papini, 1A sor'Emilia cit. 93 Sui capitali sociali su cui si fonda il potere intellettuale di Sarfatti dr. Anna Baldini, Margherita Sarfatti. U11a do1111a di potere 1rell'ltalia fascista, «doppiozero,., 28 ottobre 2.018 (https://www .doppiozero.com/matcriali/una-donna-di-potcrc-ncllitalia-fascista).

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na Eva Kiihn che nel 1906 sposa Amendola), negli anni Dieci si avviano all'attività intellettuale donne come Barbara Allason (1877-1968), Lavinia Mazzucchetti (1889-1965), Rosina Pisaneschi (1890-1960) e Alessandra Scalero (1893-1944): coetanee dei vociani, laureate, la cui ambizione non si appaga di una posizione da insegnante nelle scuole, che scrivono su quotidiani e riviste, collaborano con case editrici, e trascorrono, da sole, periodi di studio e lavoro all'estero 94 . 4.2. L'esplosione del Futurismo: Manifesti e sera'te

Il Manifesto del futurismo esce sulla prima pagina di «Le Figaro» il 20 febbraio 1909; il testo era stato pubblicato nelle settimane precedenti su diversi giornali italiani95. Il quotidiano francese era una tribuna autorevole anche in campo artistico, in quanto aveva pubblicato altri manifesti, come quello del simbolismo di Jean Moréas9 6 ; il testo marinettiano si distingue però dagli antecedenti per la modalità espressiva, non più argomentativa e didascalica, ma lirica e immaginifica97. Il Manifesto si compone di un prologo narrativo, di undici punti programmatici e di una conclusione. Nella prima parte un "noi" composto dal narratore e da un gruppo di amici si lancia in una corsa automobilistica che si conclude in un incidente: al ripescaggio del narratore e dell'auto da un fosso- un'allegoria di morte-risurrezione - segue la proclamazione degli undici punti. Questi comprendono una pars construens, che enuclea ciò che la nuova poesia sarà in termini di contenuti emotivi (audacia, coraggio, violenza) ed oggettuali (i manufatti del mondo contemporaneo, con il loro corollario, la velocità), e una pars destruens, 94 Su queste intellettuali e altre figure analoghe cfr. La dorma itwisibile. Traduttrici nel primo Novece11to italiano, a cura di Anna Baldini e Giulia Marcucci, Quodlibet, Macerata 2023. 95 Il Manifesto viene poi pubblicato in francese e in italiano nel fascicolo di febbraio-mano di «Poesia•; nel numero successivo gli undici punti programmatici sono tradotti in inglese. 96 Jean Moréas, Un Ma11ifeste littéraire. Le Symbolisme, «Le Figaro•, 18 Septembre 1886. 'TI Cfr. Tommaso Pomilio, Automobilismo futurista, in Atlante della letteratura italiana, III cit., pp. 403-407.

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dedicata a ciò di cui s'invoca l'abbattimento (musei, biblioteche, accademie; moralismo, femminismo, opportunismo). Il testo si chiude su una descrizione del cronotopo da cui viene lanciato il proclama: l'Italia «mercato di rigattieri», infestata da una «fetida cancrena di professori, d'archeologhi, di ciceroni e d'antiquarii», con la loro «eterna ed inutile ammirazione del passato»9 8 • Questa descrizione presenta una significativa rassomiglianza con quella con cui Papini e Prezzolini avevano gettato un guanto di sfida alle istituzioni della cultura italiana: In certe città, dunque, sembra che tutta la vita presente sia al servigio di quella passata, in cui non si concepisce l'attività se non come venerazione, conservazione, custodia e descrizione dei prodotti dell'attività che fu - in cui non trovate che storici dell'arte, touristes, albergatori, antiquari, venditori di fotografie e di cartoline illustrate, guide e uscieri di gallerie - in cui i sagrestani delle chiese sono dei ciceroni, e ogni palazzo pubblico è trasformato in musco, e ogni cittadino è un guardiano di monumenti. [ ... ] A noi piacciono le situazioni nette e dispiacciono le transazioni. È bene che ci siano delle piccole città lontane dalle grandi lince, ritiri spirituali di solitari, serbatoi di silenziose belleac, ma è pur necessario che sorgano le grandi città moderne, dalle grandi strade diritte, piene di luce e di gente, attraversate da fasci di fili telegrafici e telefonici, coi grandi magazzini illuminati e affollati e rimbombanti delle grida dei venditori e degli squilli dei vcicoli99.

Sebbene si schierino a favore del presente, con un entusiasmo prefuturista per la città moderna, Papini e Prezzolini immaginano una sorta di conciliazione paratattica tra antico e nuovo: città morte da una parte, metropoli contemporanee dall'altra. Marinetti invece porta l'opposizione all'estremo, la radicalizza trasformando passato e futuro in schieramenti l'un contro l'altro armati e invocando la demolizione degli emblemi del fronte opposto: «date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei! [... ] Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate!» 100 • 9 8 Filippo Tommaso Marinctti, Fondazione e manifesto del Futurismo, «Poesia», 1-2, febbraio-marzo 1909, p. 7. 99 Papini, TtltrodUZione, in Papini, Prc1.zolini, LA coltura italiana cit., p. 10. ' 00 Marinctti, Fo,uJavone e manifesto del Futurismo cit., p. 8.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

Per comprendere pienamente questa ode alla distruzione bisogna leggere il Manifesto fino alla fine. La terra bruciata del passato si rivela parte di un ciclo di alternanza che allegorizza il principio fondamentale del rinnovamento nei campi dell'arte moderna: I più anziani fra noi non hanno ancora trent'anni; ci rimane dunque almeno un decennio, per compier l'opera nostra. Quando avremo quarant'anni, altri uomini più giovani e più validi di noi, ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili. - Noi lo desideriamo! [... ] si avventeranno per ucciderci, spinti da un odio tanto più implacabile inquantochè i loro cuori saranno ebbri di amore e di ammirazione per noi 101 •

Questo finale costituisce una mise en abyme della «sfida delle stelle» che si compie attraverso il Manifesto, la sfida cioè ai consacrati del campo letterario, i quarantenni ammirati, da far fuori in un rito parricida per poterli soppiantare. Marinetti trasfigura allegoricamente la logica che regola l'avvicendamento delle avanguardie al polo di produzione ristretta, confermando così la sua padronanza delle regole del gioco apprese a Parigi, dove già a fine Ottocento questa successione aveva raggiunto un parossismo di accelerazione 102• Al primo Manifesto ne segue a breve un secondo, intitolato Uccidiamo il chiaro di lunai che, come il prologo dell'altro, è costruito come un apologo allegorico 103. Marinetti vi descrive l'assalto contro le forze del passato dell'armata dei futuristi, cui si alleano pazzi liberati dal manicomio e belve liberate dal serraglio. L'istanza narrante si identifica di nuovo in un "noi", individuato però questa volta con nomi e cognomi: «poeti incendiari», Ibidem. Nelle Regole dell'arte Bourdieu parla di «frenesia settaria» per il campo della poesia francese a cavallo del secolo: «il ritmo delle rivolu1joni (progettate se non riuscite) si accelera e, all'inizio del secolo, !'"anarchia letteraria .., come alami dicono, è al culmine: il "congresso dei poeti", che si tiene il 27 maggio 1901 a Parigi, presso l'École des hautcs études sociales, con lo scopo di fratemi1.1.are, si conclude nel tumulto di una battaglia. Le scuole si moltiplicano, provocando scissioni a catena» (Bourdieu, Le regole dell'arte cit., pp. 189-190). 103 Il testo esce in francese su «Poesia» (7-8-9, agosto-settembre-ottobre 1909, pp. 1 -9 ); una traduzione italiana è pubblicata sen1.a titolo come prefazione alla raccolta di Paolo Bu1.zi, Aeropla11i, Edizioni di Poesia, Milano 1909. 101

102

68

A REGOLA D'ARTE

«fratelli futuristi» sono, all'altezza del 1909, Paolo Buzzi (18741956), Federico De Maria (1883-1954), Enrico Cavacchioli (1885-1954), Corrado Govoni (1884-1965), Libero Altomare (1883-1966), tutti già pubblicati da «Poesia» 104. Il Manifesto del 1909 è solo il primo di un profluvio di testi analoghi, di volta in volta immaginifici o "tecnici", ora incentrati su una forma d'arte, ora volti contro bersagli specifici (Venezia, il tango, Parsifal... ). Questi testi, spesso prodotti a più mani e circolanti senza firma, sono il principale strumento di azione e propaganda del Futurismo negli anni Dieci, soprattutto dal momento in cui «Poesia» cessa le pubblicazioni; l'ultimo fascicolo della rivista, triplo, esce dopo una serie di numeri doppi e addirittura quadrupli che segnalano una difficoltà a garantire uscite regolari dovuta probabilmente al dirottamento altrove dell'attenzione e delle energie del direttore105. I manifesti vengono pubblicati e fatti circolare autonomamente come volantini, ma vengono anche inseriti come introduzioni o prefazioni ai volumi delle Edizioni futuriste di Poesia (l'aggettivo compare nel 1910). I paratesti aggiunti da Marinetti e anche i titoli delle opere, che spesso sono coniati da lui, tendono a stridere con i contenuti dei volumi; in un articolo del 1915 Prezzo lini denuncia questa prassi manipolatoria, sottolineando che «tanto l'Incendiario [di Palazzeschi, 1910] che le Revolverate [di Lucini, 1909], titoli di pura marca futurista, furon imposti da Marinetti a due libri che futuristi non erano» 106 • In realtà nella prefazione al secondo volume Marinetti aveva ammesso candidamente che «del Futurismo, G.P. Lucini è il più strano avversario, ma •04 L'elenco di futuristi che apre il manifesto cambia a ogni riedizione, con nomi che si aggiungono e scompaiono: dr. la nota al testo in Filippo Tommaso Marinetti, Teoria e inve11Zione futurista, a cura di Luciano De Maria, Mondadori, Milano 1983, pp. cxXJ-c:xxm. Una lettura approfondita di Uccidiamo il chiaro di lunai si trova in Simona Micali, Miti e riti del modemo. Marinetti, B011tempel/i, Pirandello, Le Monnier, Firen1.e 2002. • 0 s La forma-rivista si rivela in realtà indispensabile, se già nel 1913 Marinetti cerca una sponda in «Lacerba» (-+ cap. 1 S5) e successivamente, fallito questo tentativo, appoggia la creazione di un nuovo periodico a Firenze, «L'Italia futurista» (1916-1918). 106 Giuseppe Pre1.zolini, Marinetti disorgani,:;zatore, «La Voce», 20 marzo 1915,

p.514.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902.-1919)

anche, involontariamente, il più strenuo difensore. [... ] Egli ha dichiarato di non essere un settatore del Futurismo. E sia. Ma se non tali i suoi amori, tutti i suoi odi sono i nostri» 107. Marinetti sottoscrive in pieno, insomma, la formula con cui Prezzolini aveva descritto l'avanguardia fiorentina ai suoi esordi: «Siamo accomunati [ ... ] più dagli odi che dai fini comuni». Nel caso di Lucini e di altri autori del circuito marinettiano, è l'avversione per le forme più consunte della poesia italiana e per l'accademia a portarli a condividere le battaglie futuriste per il verso libero o per il rinnovamento della lingua. Gli autori "manipolati", d'altra parte, accettano etichettatura e titoli azzardati sia perché sinceramente interessati a far parte di un gruppo di innovatori anche se non sempre auspicano il cambiamento nei termini in cui lo propone Marinetti -, sia perché prima «Poesia» con le sue Edizioni, poi le Edizioni futuriste di Poesia consentono alle loro opere di circolare, di venire conosciute e in alcuni casi di ottenere un riconoscimento anche al di là dei circuiti marinettiani (è il caso di Palazzeschi e Govoni) 108 • L'uscita del Manifesto attrae intorno a Marinetti artisti provenienti da altri campi, che ne condividono la prospettiva rivoluzionaria. I primi ad aggregarsi al gruppo dei poeti sono gli artisti figurativi: Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Fortunato Depero, Enrico Prampolini, Gino Severini, Mario Sironi creeranno le opere futuriste più celebri e celebrate fino a oggi. Marinetti attira anche musicisti e architetti, e pubblica manifesti sul teatro, la danza e il cinema.

•01 Filippo Tommaso Marinctti, Prefazione futurista a «Revolverate» di Gian Pietro Lucini, in Id., Teoria e inve,,zione futurista cit., p. 2.9. 108 Si veda quanto scrive lo stesso Lucini a Palaz1.cschi: «Oggi, credetemi, non posso più fare l'editore di mc stesso, prima di tutto perché mi irrito pensando che tanti giovani citrulli e canaglie si fan pagare e vivono colle loro inettissimc castronerie e pessime opere. [...] li Editori italiani sono dei furbi ebrei che non vogliono pregiudicarsi, e stampano cose da imbecilli per il pubblico imbecille» (lettera del 2.3 agosto 1910, pubblicata in Carteggio Marinetti-Pa/azzeschi cit., pp. 12.0-12.1).

A REGOLA D'ARTE

I manifesti futuristi delle arti (1910-1917) TITOLO

DATA

Manifesto dei pittori futuristi

1910

Giacomo Balla, Umberto Boccioni, Aroldo Bon1.agni, Carlo Carrà, Romolo Romani, Luigi Russolo, Gino Scverini

FIRMATARI

La pittura futurista. Manifesto tecnico

1910

Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini

Manifesto dei drammaturghi futuristi

1910

Gian Pietro Lucini, Paolo Bu1.zi, Federico Dc Maria, Enrico Cavacchioli, Aldo Palazzeschi, Corrado Govoni, Libero Altomare, Luciano Folgore, Giuseppe Carrieri, Mario Bètuda, Gesualdo Manzclla Frontini, Enrico Cardile, Armando Mazza, Umberto Boccioni, Carlo Carrà, Luigi Russolo, Giacomo Balla, Gino Severini, Francesco Balilla Pratella

Manifesto dei musicisti futuristi La musica futurista. Ma11ifesto teaiico

1911

Francesco Balilla Pratella

1911

Francesco Balilla Pratella

La scultura

1912.

Umberto Boccioni

Manifesto tecnico della letteratura futurista

1912.

Filippo Tommaso Marinetti

La pittura dei suo11i, rumori e odori

1913

Carlo Carrà

L'arte dei rumori

1913

Luigi Russolo

Distruzione della sintassi hnmagi1,azione se1,za fili parole i11 libertà

1913

Filippo Tommaso Marinetti

Il teatro di varietà

1913

Filippo Tommaso Marinetti

L'architettura futurista

1914

Antonio Sant'Elia

futurista

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA

TITOLO

DATA

(1902.-1919)

71

FIRMATARI

Lo sple11dore geometrico e mecca11ico e la sensibilità ,iumerica

1914

Filippo Tommaso Marinetti

Ricostruzio11e futurista dell'u1ùverso

1915

Giacomo Balla, Fortunato Depero

Il teatro futurista si11tetico

1915

Filippo Tommaso Marinetti, Emilio Scttimelli, Bruno Corra

La ci,iematografùi futurista

1916

Filippo Tommaso Marinetti, Bruno Corra, Emilio Scttimelli, Arnaldo Ginna, Giacomo Balla, Remo Chiti

Ma11ifesto della dama futurista

1917

Filippo Tommaso Marinetti

A prescindere dalle proposte contenute nei singoli manifesti, per comprendere le quali è necessario radicarle nella storia specifica dei diversi campi artistici e nella traiettoria dei loro estensori, l'effetto complessivo di questo susseguirsi di programmi è la cristallizzazione di un'immagine del futurismo come movimento a tutto campo, che raduna tutti gli artisti interessati a rivoluzionare le proprie arti, anzi l'Arte, anzi l'universo, come suggerisce il titolo del manifesto firmato da Balla e Depero nel 1915. A creare quest'immagine non sarebbero bastati però i manifesti, né le Eclizioni futuriste di Poesia, né le mostre dei pittori: decisiva è la svolta performativa del movimento, inaugurata da una prima "serata" al Teatro Lirico di Milano il 15 febbraio 1910, cui ne seguono numerosissime altre in altrettante città, che impegnano Marinetti e i suoi artisti in giro per l'Italia. Con le mostre e le "serate" l'attività di Marinetti, che continua a far base a Milano (nella sua residenza di via Senato arriva e parte posta da e per l'Italia e il mondo, e vi hanno sede le Eclizioni), si allarga all'intera nazione1 09 • Nelle serate futuriste l'alleanza tra artisti di diversi campi si concretizza in happenings: versi e orazioni si alternano all'esecuzione di composizioni musicali, mentre scenografie, costumi '09

Mappe e cronologia delle "serate futuriste" si trovano in Patricia Gaborik,

Lo spettacolo del futurismo, in Atlante della letteratura italia11a, III cit., pp. 408-42.2..

A REGOLA D'ARTE

e oggetti di scena sono allestiti dai pittori 110 • Ancora più importante dell'interazione che si svolge sul palco è però quella tra palco e platea: la "serata futurista" scatena l'antagonismo, strutturale al polo di produzione ristretta, tra artista e pubblico, tra l'artista e il borghese da épater. L'invito ad assaporare la «voluttà d'essere fischiati», rivolto ad autori e attori nell'undicesimo punto del Manifesto dei drammaturghi futuristi, esplicita come lo scontro con gli spettatori - i fischi, gli insulti, i lanci di oggetti dalla platea - fosse un risultato voluto: non solo perché una tale spettacolare manifestazione dell'incomprensione del pubblico nei confronti dell'arte futurista colloca quest'ultima risolutamente al polo di produzione ristretta; ma anche perché gli articoli scandalizzati della stampa locale e nazionale fanno conoscere il futurismo in tutto il paese, attirando altri artisti interessati all'innovazione. L'effetto combinato delle strategie messe in atto a partire dal 1909 si può constatare nell'indice dell'antologia I poeti futuristi uscita nel 1912: ci sono più nomi nuovi (Mario Bètuda, Enrico Cardile, Giuseppe Carrieri, Auro d'Alba, Luciano Folgore, Gesualdo Manzella Frontini, Armando Mazza, Aldo Palazzeschi) che "veterani" (Altomare, Buzzi, Cavacchioli, Govoni, e naturalmente Marinetti). Il 1912 risulta un anno cruciale per almeno altri due aspetti. È questo l'anno in cui esce il Manifesto tecnico della letteratura futurista, che dà avvio alla rivoluzione formale del futurismo letterario(---+ cap. 1 §6.2), ma è soprattutto l'anno della tournée europea della mostra di pittura futurista, che parte da Parigi a febbraio e approda a Budapest a novembre, passando per Londra, Berlino e numerose altre città tedesche, austriache, olandesi, belghe, svedesi, norvegesi e polacche; dei futuristi si parla in tutte le capitali europee e le tele esposte influenzano profondamente le avanguardie locali I I I . Questo successo transnazionale 110 Un'idea dello svolgimento di una "serata futurista" è data dalla vera e propria sceneggiatura pubblicata su «Laccrba» il 15 dicembre 1913 con il titolo Gra,ide serata futurista. A questi eventi sono intitolate le memorie di Francesco Cangiullo, Le serate futuriste. Romanzo storico vissuto [1930], Ccschina, Milano 1961. 111 La mostra della pittura futurista arriva anche a Mosca e San Pietroburgo nel 1914. Sugli effetti di sincroni1.1.azione del tempo delle avanguardie prodotto dall'approdo dei futuristi nelle varie città europee dr. Boschetti, lsmes. Du Réalisme au postmodemisme cit., pp. 128-155.

I. I FUTURISTI I! L'AVANGUARDIA FIORl!NTINA (1902-1919)

73

era stato auspicato e progettato fin dalla scelta di pubblicare il primo Manifesto a Parigi, la capitale della République mondiale des lettres; conquistare Parigi significa conquistare l'Europa e il mondo, spiega Marinetti al musicista Balilla Pratella in una lettera del 12 aprile 1912: li mando tutto ciò che c'è di più avanzato in fatto di musica a Parigi. Rave! è, credo, giustamente considerato il più importante dei novatori francesi. È assolutamente indispensabile necessario che tu lo superi e lo schiacci a Parigi con uno scoppio di originalità strapotente. Non accontentarti dunque dell'entusiasmo che suscita il tuo grande ingegno. Non si tratta per te di essere semplicemente un grandissimo musicista di genio, né il più grande musicista italiano, ma il più novatore dei novatori, il più audace dei rivoluzionari in musica, saltando a pié pari al di là di Debussy, e del suo seguace Rave/ e al di là di Strauss e del suo seguace Florent Schmith [sic] [... ]. Per vincere a Parigi e apparire agli occhi di tutta Europa come un novatore assoluto, più avanzato di tutti, io ti consiglio con tutto il cuore di metterti al lavoro con la volontà decisa di essere più audace, più avanzato, più pazzo, più inatteso, più eccentrico, incomprensibile, grottesco ccc. di tutto ciò che è stato fatto in musica 11 2..

Già nel 191 o Borgese aveva parlato di Marinetti in un articolo per «La Stampa» come dell' «italiano più conosciuto all'estero» IIJ. Nell'articolo Borgese analizza il "fenomeno" futurismo a un anno dal suo debutto dandone un resoconto ambivalente. Da una parte il critico intravede nelle strategie promozionali di Marinetti una fame di celebrità tipicamente contemporanea, che ha sostituito la ricerca dell'autentica gloria poeticaII4; dall'altra, Borgese intuisce nell'uso di tali strategie pubblicitarie un carattere auto112• Filippo Tommaso Marinctti, Lettere rugge1lti a R Balilla Pratella, a cura di Giovanni Lugaresi con un «chiarimento" di Giuseppe Prczzolini, «Quaderni dell'Osservatore», II, 8, dicembre 1969, pp. 32-33; corsivi dell'originale. 11 1 Giuseppe Antonio Borgcse, Gli allegri poeti di Milano, «La Stampa», 8 marzo 1910, p. 3· 11 • «Marinctti si propose di diventar celebre come Gabriele D'Annunzio. [... ] E parve fin d'allora aver fissato una bi1.1.arra scommessa con se medesimo: la celebrità? Vi farò vedere come si conquista. Da quel geniale dilettante cd epicureo che era, non stette nemmeno un istante a pensare s'egli non avesse per avventura i mezzi di conquistare la gloria. Purché si facesse del frastuono intorno al suo nome. Ed inventò il futurismo.[ ... ] I metodi adoperati dal Marinctti non sono dissimili da quelli con cui si lancia un nuovo specifico contro l'esaurimento nervoso" (ibidem).

74

A REGOLA D'ARTE

riflessivo, che costituirà un tratto distintivo delle avanguardie storiche e della loro messa in scena, spesso parodica o burlesca, del ruolo dell'arte nella modernità. Marinetti è un uomo equilibratissimo, e il futurismo è una meravigliosa facezia. [... ] Nel futurismo il poeta ha assunto un atteggiamento da buffone shakesperiano: fa ridere gli altri, sì, ma ride anche lui. Il pubblico, che va ad ascoltare nei teatri le declamazioni futuriste, lancia torsoli ai poeti, e si smascella dalle risa, e va fuori tentennando desolatamente la testa, per ipocrita pietà di quei poveri pazzi. Ma si divertirebbe meno, se sapesse che il caposcuola futurista, com'io fermamente credo, si diverte più di lui, e ride meglio perché ride l'ultimo. In una beffa così grandiosa il beffeggiato è colui che crede di divertirsi alle spalle di chi ha inventato il giuoco' 1 s.

Le strategie promozionali del futurismo non hanno però a che fare soltanto con la messa in scena esasperata del rapporto conflittuale tra artista e pubblico. I futuristi costituiscono un'avanguardia élitaria che si muove al polo di produzione ristretta, ma sono anche sinceramente innamorati di quella modernità di cui sono elementi costitutivi la pubblicità e i mass media 116: nuovi e potenti strumenti da cui l'artista futurista non solo trae ispirazione, ma di cui si serve senza snobismo, a maggior gloria dell'arte. Marinetti aveva una relazione molto stretta con un innovatore avventuroso e spregiudicato dei media italiani. Fin all'inizio del secolo era diventato amico di Umberto Notari (1878-1950), un giornalista di origini bolognesi arrivato a Milano nel 1898, che a partire dal 1903 fonda e dirige una serie di quotidiani e periodici, cui affianca un'attività editoriale librarian7. La sua " 5 Ibidem. ''" «Le affichcs gialle, rosse, verdi, le grandi lettere nere bianche e bleu, le insegne sfacciate e grottesche dei negozi, dei bazar, delle "LIQUIDAZIONI" [...], ecco ciò che ci inspira e ci affascina»: Umberto Boccioni, Pittura scultura futuriste. Dinamismo plastico, Edi1Joni futuriste di Poesia, Milano 1914, pp. 27-28; grassetto dell'originale. " 7 Cfr. Bruno Wanrooij, Umberto Notori, o de/l'ambigua modernità, «Bclfagor», 44, 1 gennaio 1989, pp. 181-193; Mauro Chiabrando, L'amico dei futuristi. Umberto Notori giornalista, editore e scrittore, «Charta», luglio-agosto 2009, pp. 38-43. Chiabrando calcola che Notari abbia fondato 21 testate, abbia pubblicato come editore 770 titoli, e sia stato autore tra 1903 e 1940 di 50 volumi.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

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prima impresa - il settimanale di attualità «Verde azzurro», per cui sperimenta aggressive campagne pubblicitarie, e al quale Marinetti collabora-fallisce nel 1904, e Notari ripiega momentaneamente sulla scrittura letteraria, pubblicando il romanzo Quelle signore, ambientato in un bordello. Gli intenti di denuncia sociale del romanzo non gli risparmiano un processo per oltraggio al pudore, da cui Notari viene assolto anche grazie alla testimonianza di Marinetti. Il processo fa da volano al libro, con i proventi delle cui vendite Notari fonda una nuova casa editrice, l'Istituto editoriale italiano, alle cui collane economiche e divulgative Marinetti collabora come autore o traduttore; già in precedenza Notari era stato il suo editore (escono con una sua sigla D'Annunzio intime nel 1903 e La Momie sanglante nel 1904}. «Poesia» pubblicizza, tra le poche italiane, le riviste di Notari, e nel 1905 raccoglie, rilancia e promuove la proposta dell'editore di creare un'Accademia d'Italia sul modello di quella francese 118 • L'intraprendente Notari - autore di bestseller, giornalista, editore commerciale - ha tutto per farsi disprezzare dall'avanguardia fiorentina: e in effetti il suo romanzo viene bollato da Papini come «letteratura suina» sul «Leonardo» 11 9, mentre sulla «Voce» Cepperello (pseudonimo del giornalista Luigi Ambrosini) stronca uno dei numerosi quotidiani da lui fondati («La Giovane Italia», su cui verrà tra l'altro pubblicato il Manifesto del futurismo) e accomuna il Notari scrittore alla prolifica Carolina Invernizio 120; nel 1913 è un editoriale firmato «La Voce», dunque da attribuire al direttore Prezzolini, a fare le pulci a due collane di classici pubblicate dall'Istituto editoriale italiano121 • Per i fiorentini, dunque, Notari rappresenta, sia come scrittore sia come editore, un esponente dell'eteronomia legata al mercato e al successo di vendita, il polo negativo di quell'antinomia che oppone il valore letterario a tutto ciò che è commerciale o di consumo. Ma Marinetti è un autore strettamente associato a Notari - e per di più è milionario: così, uno dei modi con cui «La 118

Il progetto verrà realizzato vent'anni dopo dal fascismo: -+cap. 3 51. Gian Falco [Giovanni Papini), La letteratura suina, «Leonardo., V, 2, aprilegiugno 1907, p. 228. 120 Ccppcrello, Il signor Notari, «La VOCJ!•, 14 gennaio 1909, pp. 19-20. 121 La VOCi!, Il fuoco, l'acqua e l'onore, «La VOCi!•, ro luglio 1913, p. rr 15. 11 9

A REGOLA D'ARTE

Voce» attaccherà ripetutamente l'impresa futurista sarà proprio quello di brandirvi contro l'accusa di eteronomia legata al denaro. Come scrive Scipio Slataper in un articolo del 3 r marzo 1910, Il così detto futurismo è uno dei molti tentativi di produrre un moto spirituale qualunque perché se n'ha in tasca la possibilità commerciale. È nato dal grossolano equivoco che l'aver i mezzi per lanciare un'idea basti a produrla. È un lusso di letterati che, pregno il sangue della potenza finanziaria milanese moderna, han creduto di poterla far valere pur nel mondo disinteressatissimo dell'arte 122•

Secondo Slataper, il futurismo è un fenomeno «milanese», costruito dal denaro e tenuto in vita dagli strumenti commerciali del marketing e della pubblicità 123, cioè da «quella foia di reclamismo americano che fa ballare questi poeti, questi pittori, come pagliacci impiastricciati di biacca e di minio, davanti a un pubblico sbalordito» 124. L'autore di quest'ultimo passo è Soffici, il primo redattore della «Voce» ad attaccare il Manifesto: a poco più di un mese dalla sua pubblicazione ne aveva già minimizzato la sbandierata originalità, esplicitandone gli antecedenti francesi e italiani1 2 5. La battaglia anti-futurista della «Voce» è portata avanti in buona parte proprio da Soffici, non solo per l'autorevolezza del giudizio di un pittore sulla produzione dei colleghi futuristi, ma anche perché la sua traiettoria oscillante tra Italia e Francia - così simile a quella di Marinetti - conferisce credibilità ai suoi giudizi riduttivi sull'originalità delle proposte marinettiane. L'impegno di Soffici nella campagna anti-futurista 122 12 3

S.S. [ScipioSlataper], Il futurismo, «La Voce», 31 mar1.o 1910,p. 2.95. Su Milano come città del denaro e della volgarità che vi si accompagna,-->

cap. 2., S4. 124 Ardengo Soffici, Risposta ai futuristi, «La Voce», 19 maggio 1910, p. 32.4. 12s «Per parer novatori essendo gaglioffi. Ecco qua: Pigliate un chilo di Verhaeren, dugento grammi di Alfred Jarry, cento di Laforgue, trenta di Laurent Tailhade, cinque di Vielé-Griffin, una manciata di Morasso -sì anche del Morasso - un pizzico di Pascoli, una boccetta d'Acqua Nunzia. Pigliate ancora: quindici automobili, sette areoplani, quattro treni, due piroscafi, due biciclette, diversi accumulatori elettrici, qualche caldaia rovente; metteteci di vostro fior d'impoten1.a e ampollosità; frullate il tutto in un lago di materia grigia e bava afrodisiaca, fate bollir la miscela nel vuoto della vostra anima, al fuoco della ciarlataneria americana, e poi datela a bere al pubblico d'Italia»: A.S. [Ardengo Soffici], La ricetta di Ribi buffone, «La Voce», 1 aprile 1909, p. 63.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

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ne farà il bersaglio, nel giugno 1911, di una spedizione punitiva di Boccioni, Carrà e Marinetti, conclusasi con due scazzottate, al caffè Giubbe Rosse e poi alla Stazione di Santa Maria Novella, cui partecipano anche Prezzolini, Slataper e Alberto Spaini. Le accuse della «Voce» sono tanto più significative-in quanto testimoniano che il futurismo era percepito come un contendente temibile per la leadership dell'avanguardia italiana - quanto prive di senso. Come spiega nel 1910 Marinetti durante il processo in cui deve difendere la sua opera Mafarka da un'accusa di oltraggio al pudore, lui non ha mai guadagnato denaro con l'arte: semmai ha sperperato il suo denaro per l'arte. Ebbi la fortuna di ereditare da mio padre una discreta sostanza, ma non mc ne sono mai servito in modo basso e banale. Mi sono valso, anzi, della mia posizione indipendente per attuare un mio vasto e audace progetto di rinnovamento intellettuale e artistico in Italia: quello di proteggere, incoraggiare cd aiutare materialmente i giovani ingegni novatori e ribelli che quotidianamente vengono soffocati dall'indiffcrcn1.a, dall'avarizia o dalla miopia degli editori. Questi, naturalmente, tutto sacrificando ai morti illustri, agli opportunisti, o ai gloriosi moribondi, professano un profondo disprc-zzo per la gioventù quando essa esplica la sua attività in modo temerario e innovatore 126 •

Molti decenni più tardi, in un testo scritto poco prima della morte e impregnato del consueto rodomontismo mescolato a una nostalgica mitizzazione dello stato nascente dell'avanguardia, il vecchio Marinetti rovescerà l'accusa di eteronomia con cui i vociani avevano tentato di delegittimarlo denunciando la presenza nel loro operato di logiche estranee alla purezza dell'arte: la politica (di cui viene eletto a rappresentante Slataper: «Tu come tutti i triestini ami l'arte in funzione di politica e noi siamo soltanto artisti») e il denaro (Prezzolini «commercerebbe volentieri la poesia pura e non riesce»} 127. In effetti Prezzolini aveva ' 26 Il processo e l'assoluzione di «Mafarka il futurista», in Filippo Tommaso Marinetti, Distruvo11e. Poema futurista, Edi1foni futuriste di Poesia, Milano 1911, p. 4. •~7 «CARRÀ Tu [Slataper] come tutti i triestini ami l'arte in funzione di politica e noi siamo soltanto artisti Capisci? E se non molli ti taglio coi denti le dita e non scriverai più PR~ZZOIJNI Dicono che ho la voce stridula di una zitella ma non ho paura di te Marinetti che sei il volgare megàfono delle poesie popolaresche MARINHTn Megàfono forse che non trasmette vane contumelie di chi commercerebbe volentieri la poesia

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cercato di sminuire l'operato dell'editore Marinetti servendosi di argomenti di natura prettamente economica - probabilmente invidiando, lui editore costretto a far quadrare i conti, il disinteresse dell'editore milionario: Il libro futurista non vale più nulla sul mercato librario. Chi è mai così imbecille da comprare un libro futurista, quando sa che inviando un semplice biglietto da visita a F.T. Marinetti, Corso Venezia, 61, Milano, se ne vedrà scaraventar dalla posta un intero pacco[ ... ]? È noto che la roba regalata val meno di quella pagata 128 •

Così dicendo, però, Prezzolini mostra quanto Marinetti aderisse pienamente ai principi dell'economia rovesciata dei campi artistici, non solo organizzando e finanziando a fondo perduto tournées e mostre in Italia e in Europa, ma anche facendo opera di diffusione capillare dei libri futuristi regalandoli: perché, nella logica del profitto economico denegato che vige nel campo letterario, se l'unico valore delle opere dev'essere quello d'arte, queste non possono circolare che nella forma del dono. Le avanguardie italiane di inizio secolo tentano quindi soluzioni diverse al problema del rapporto conflittuale tra culture innovatrici e gusto della maggioranza. Il progetto editoriale della Libreria della Voce - come quelli analoghi di Croce con Laterza, e di Papini e Borgese con Carabba - intercetta e costruisce un mercato alternativo a quello di massa a partire dalla base di lettori della rivista; Marinetti sfrutta invece l'eccezionale risorsa del proprio patrimonio per ribadire quanto l'avanguardia sia fuori mercato, ma si serve allo stesso tempo di strategie di conquista di visibilità non dissimili da quelle dell'amico editore e giornalista Umberto Notari. Nelle strategie di affermazione dei futuristi domina così l'elemento performativo: gli alleati che Marinetti ha attratto a sé sono, d'altronde, tutti artisti - poeti, pittori, architetti e musicisti- mentre i nuovi entranti della «Voce» agiscono in una più ampia gamma di campi culturali e intellettuali. pura e non riesce»: Filippo Tommaso Marinetti, Alberto Viviani, Firenze biotulazzurra sposerebbe futurista morigerato [1944], a cura di Paolo Perrone Burali d'Arezzo, Sellerio, Palenno 1992, pp. 44-45. li testo memorialistico, scritto a quattro mani, era pronto per la stampa nel 1944 ma rimane inedito per decenni dopo la morte di Marinetti. 128 Prezzolini, Maritzetti disorgatziZzatore cit., pp. 5u-512..

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902.-1919)

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5. L'alleanza: «Lacerba» (1913-1915)

L'n aprile 1912 Ardengo Soffici lancia dalle colonne della «Voce» una profferta di conciliazione. Dal movimento futurista può uscire, un uomo, una coscienza nuova, un artista (mi dicono che c'è già un buon musicista e Paolo Buzzi, G.P. Lucini, e magari qualche altro sono gli unici che dopo Carducci, Pascoli e d'Annunzio abbiano dato all'Italia un segno di vera poesia). Quelli stessi che io ho altra volta attaccato e sbertcggiato perché le loro opere erano sciocche e arretrate, possono domani in uno slancio, con uno sfor.lo maggiore, creare qualche cosa degna di vivere 129.

A indurre Soffici a un cambio di rotta così deciso è lo scalpore suscitato negli ambienti dell'avanguardia letteraria e artistica francese dalla mostra della pittura futurista aperta a febbraio: se il futurismo riscuote interesse a Parigi, forse non è quel circo Barnum dell'arte che «La Voce» (Soffici in primis) aveva descritto fino a quel momento. Un'alleanza tra futuristi, Soffici e Papini si stringe sulle pagine del nuovo quindicinale «Lacerba», fondato a Firenze nel gennaio 1913. Il 21 febbraio, un paio di mesi dopo l'uscita del primo numero, Papini partecipa a una serata futurista al Teatro Costanzi di Roma, e di lì a poco «Lacerba» comincia a ospitare testi di poeti e artisti futuristi13°. La nuova rivista è frutto dell'insofferenza maturata da Papini e Soffici nei confronti dello scarso spazio che la direzione della «Voce» concede alle sperimentazioni creative dei suoi autori: «Lacerba» si occupa perciò esclusivamente di arte e letteratura131. Grazie al network parigino di Soffici il nuovo periodico ri129

Ardengo Soffici, Ancora del futurismo, «La Voce», 11 luglio 1912., p. 852.. Il numero di «Laccrba» del I marzo 1913 ospita il discorso pronunciato da Papini al Teatro Costanzi (Il discorso di Roma) e un brano dal diario ( Giornale di bordo) di Soffici: «Roma, 2.1 febbraio. Giornata futurista. [... ] Ohi Gioia di trovare un amico nell'avversario di ieri, di legarsi d'affetto e di stima con colui che si credeva dover disdegnare per sempre! Gioia più grande scoprire alfine il drappello dei camerati cui aggiungersi nelle battaglie per la vita e per la belle1.zal» (p. 43). Nel fascicolo successivo del 15 marzo appaiono per la prima volta le firme di Bu1.zi, Marinetti, Folgore, Boccioni, Govoni e Carrà. 1 3' «La Voce era stata creata da Prczzolini colla volontà di raccogliere giovani di culture, origini e provenienze diverse per formare la nuova generazione attorno a un i3o

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suita ben integrato nel circuito dell'avanguardia transnazionale: fa da sponda italiana alle «Soirées de Paris» di Apollinaire, di cui la rivista fiorentina pubblica testi in lingua originale insieme a prose di Max Jacob e a riproduzioni di opere di Picasso 132 • «Lacerba» non ha un unico direttore, ma nasce dalla collaborazione di Papini e Soffici con Italo Tavolato (1889-1963), uno studente di origini triestine 1 33, e Aldo Palazzeschi (1885-1974), un poeta fiorentino. Palazzeschi aveva pubblicato a proprie spese alcune raccolte di versi prima di incontrare Marinetti che, divenutone editore e instancabile promotore, contribuisce alla fama nazionale dell'Incendiario (Edizioni futuriste di Poesia, 191 o); è attraverso la mediazione di Palazzeschi che nel corso del 1912 i futuri lacerbiani trovano un terreno comune con i futuristi. L'accordo è fondato su alcuni vantaggi reciproci. Per Papini e Soffici l'alleanza con i futuristi significa l'aggregazione a un movimento artistico in procinto di ottenere una consacrazione internazionale, l'opportunità di un distacco radicale dall'ambiente vociano, ma anche un appoggio finanziario non sgradito. Papini e Soffici negheranno sempre di aver ricevuto denaro da Marinetti134 - e in effetti, in senso letterale non ne ricevono; tuttavia, Marinetti contribuisce indirettamente al bilancio in attivo della principio di moralità intellettuale superiore. Per un pezzo l'accordo fu quasi perfetto e si erel:fA Ili RRhVIARI INTFllJffll.fAIJ dell'Istituto editoriale italiano di Notari pubblica, accanto ai Ma11ifesti del futurismo (1919) e a opere di Marinctti e altri futuristi, la prima traduzione di Versi e prose di Mallarmé (1917; il traduttore è Marinctti stesso) e Les Fleurs du mal di Baudclairc in una versione in versi liberi di Buzzi (1917); nel 1907, inoltre, «Poesia» aveva pubblicato inediti di Alfred Jarry, l'autore della tragedia satirica Ubu roi (1896) cui Marinetti si ispira per la messa in scena parigina del suo debutto teatrale, Le Roi Bomba11ce (1909). Soffici è invece il principale punto di riferimento per il repertorio francese dell'avanguardia fiorentina. Il pittore pubblica nel 1911 nei QUAl>F.RNJ DFlJ.A voa; una monografia dedicata a Rimbaud - un autore il cui esempio è di importanza cruciale, insieme a Baudclaire, per l'affermazione del genere ibrido della poesia in prosa, tanto praticato dagli scrittori legati alla «Voce». Su «Lacerba» Soffici porta i testi dell'amico Apollinairc, avvicinatosi in quegli anni anch'egli ai futuristi, e di Max Jacob (un altro dei modelli per la poesia in prosa). Prczwlini valori1.za nella «Voce» esperienze alternative e più periferiche rispetto a quelle promosse da Soffici: crea una connessione tra «La Voce» e i «Cahicrs dc la Quinzainc» di Charlcs Péguy, dove esce a puntate il romanzo Jean-Christophe di Romain Rolland, ampiamente promosso e discusso sulla rivista italiana'; appoggia la promozione di Paul Claudel da parte di Jahicr, che traduce Partage du Midi per la Libreria della Voce (1912), e quella di Mistral da parte di Giovanni Boinc e Alberto Spaini, che precede di un paio d'anni l'assegnazione del Nobel al poeta occitano. Il repertorio fiorentino punta però soprattutto sulla letteratura tedesca, e ne valorizza in particolare il periodo romantico 2 • Si tratta di una strategia di distin1jonc dall'avanguardia rivale, dalla massa dei letterati italiani prevalentemente francofoni e dal ceto intellettuale per cui il tedesco era la lingua di cultura, i professori dell'università. Il tedesco è la lingua delle nuove scicn1.c, anche di quelle umane come la onnipresente Phi/o/ogie, così come tedesco era il modello istituzionale universitario che si afferma nel corso dell'Ottocento su tutto il continente europeo. Alla cultura positivista proveniente dalla Germania il repertorio fiorentino contrappone quella romantica di un secolo prima: la primissima operazione editoriale del gruppo è la traduzione di Novalis di Prczzolini, e nelle collane carabba dirette da Papini escono Fichtc, Hiildcrlin, Klcist, Schclling (vi viene anche riedita la traduzione di Novalis di Prczzolini). Si sono formati nell'ambiente vociano i primi traduttori italiani delle F.spe-

• Hcnri Giordan, Romain Rolland et le mouveme11t florenti11 de la «Voce», «Europc», 43,439, 1 novembre 1965, pp. 212-224; Rossana Dedola, «La Voce» e i «Cahiers de la Qumzaine»: u11a messa a punto, «Giornale storico della Letteratura Italiana», CLVI, 496, 1979, pp. 548-563. 2 Or. Baldini, Biagi, Dc Lucia, Fantappiè, Sisto, La letteratura tedesca in Italia cit.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

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riem:e di Wilhelm Meister di Goethe, Rosina Pisaneschi e Alberto Spaini, che si laureano con Borgcse e pubblicano l'opera per Laterza. «La Voce» promuove inoltre le conferenze e i libri sul Romanticismo del germanista torinese Arturo Farinelli. Alruni autori tedeschi divengono un punto di riferimento non solo per l'opera ma per l'intreccio tra vita e opera: Slataper, Tavolato e Papini modellano le proprie posture autoriali rispettivamente sul drammaturgo e diarista Friedrich Hebbel (Slataper), sull'aforista Karl Kraus (Tavolato e Papini in «Lacerba» ), e su Friedrich Nietzsche (Papini nell'Uomo fi11ito). Nietzsche è, accanto Rimbaud, il solo autore condiviso e conteso da entrambe le avanguardie. Il filosofo viene appropriato negli anni Dieci da tutti gli attori in campo: Laterza pubblica una ri-traduzione della Nascita della tragedia (1919) in cui il prefatore Enrico Ruta misura pregi e difetti dell'opera in base alla sua prossimità o estraneità alla linea Vico-Hegel-De Sanctis-Croce; la postura enunciativa profetica dello 7.arathustra di NietLSChe è ripresa e imitata dal protagonista dell'Uomo finito (1913) di Papini, che nella sua collana Clll:JURA DFJJ?ANIMA pubblica un Niet7.sche "futuristizzato" dall'Introduzione firmata Valerio Benu:r.zi a Lettere e frammenti epistolari (1914); zarathustriano è il sottotesto degli impianti immaginifici dei primi manifesti futuristi\ e alla fine del decennio, nel 1920, il segretario di Marinetti Decio Cinti cura per Facchi un'edizione di Pagine scelte del filosofo tedesco. 3

Cfr. Micali, Miti e riti del modemo cit., pp. 50-5 1 .

A differenza di quanto implica il concetto partenogenetico di poetica, le regole dell'arte che ho cercato di esplicitare a partire dalla riflessione critica, dalla produzione letteraria e dai repertori proposti e tradotti dalle due avanguardie italiane di inizio secolo non sono generate dal genio individuale o di gruppo ma dalla contrapposizione alle istituzioni letterarie esistenti e ai gusti della maggioranza. Questo antagonismo è letteralmente messo in scena dai futuristi sui palchi che ospitano prima le serate poi gli sketch del teatro sintetico, ma anche nelle aule giudiziarie in cui si dibattono i processi scaturiti dalla postura "cattivista" di Papini e Tavolato su «Lacerba». Il rifiuto dell'esistente da parte degli artisti dell'avanguardia fiorentina è meno spettacolare ma non meno radicale di quello futurista: rigettando la pratica di tutti i generi letterari esistenti (anche) in forme commerciali, questi scrittori si trovano a far confluire sotto il termine "lirica" opere dal genere ibrido, incentrate sull'espressione dell'io concepita come unica verità accessibile. L'armamentario critico con cui vengono difese que-

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ste scelte è tratto dalle estetiche romantiche, di cui quella di Croce è l'estrema epitome. Al soggettivismo romantico dell'avanguardia fiorentina si contrappone drasticamente la variante più avanzata e radicale della produzione poetica futurista, antiromantica in quanto mira a una lirica dell'oggetto e non del soggetto. I fiorentini costruiscono un repertorio letterario e critico che risale alla grande stagione romantica dell'arte tedesca; la lirica della materia futurista prosegue invece una linea di ricerca avviata dall'avanguardia lirica francese a cavallo tra Otto e Novecento. Il maggior punto di forza dell'avanguardia fiorentina risiede nell'amplissimo raggio delle alleanze intessute sulla «Voce», il cui progetto di rinnovamento dell'esistente non si limita alle arti, ma vuole partire dalla cultura per riformare la nazione. L'avanguardia futurista è un'alleanza esclusivamente inter-artistica che però, proprio in quanto tale, eredita l'utopia tardo-ottocentesca della fusione delle arti e la riformula come «ricostruzione futurista dell'universo». Per entrambi i gruppi l'estate del 1914 sembra l'occasione decisiva per riformare la nazione e ricostruire l'universo.

7. Le avanguardie alla guerra Allo scoppio della prima guerra mondiale, nell'estate del 1914, artisti e intellettuali di ogni schieramento si ritrovano uniti nella battaglia politica per l'intervento dell'Italia nel conflitto contro gli imperi tedesco e austro-ungarico. MIRACOLI PATR1orr1c1. Al comizio per la guerra a Firenze si poté vedere: Prezzolini che batteva le mani a Federzoni; Federzoni che liberava Prenolini dai questurini; Ojetti che applaudiva Soffici; Soffici che diceva bene di un articolo di Ojetti nel Corriere della Sera ... 226

Così commenta il fronte comune degli intellettuali «Lacerba», che dal 15 agosto 1914 si trasforma da rivista d'arte a principale

u 6 Caffè, «I.acerba», 1 novembre 1914, p. 303. Luigi Fcderzoni è un politico nazionalista criticato a più riprese da Preu.olini sulla «Voce».

I. I FUTURISTI I! L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

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organo culturale della propaganda interventista2.2.7; secondo Marinetti, tale decisione viene raggiunta anche grazie al suo intervento e a un accordo con Soffici che travalica i dissidi estetici e di poetica2.2. 8 • «I.acerba» cessa le pubblicazioni alla vigilia dell'entrata in guerra; l'ultimo numero del 22 maggio 1915 si apre con un editoriale di Papini che proclamando Abbiamo vinto12.2.9 rivendica quel successo politico all'azione di artisti e intellettuali. La chiusura di «I.acerba» e l'inizio della guerra segnano la dispersione dell'avanguardia fiorentina. A Firenze rimane soltanto Papini, riformato per miopia; Prezzolini è a Roma già alla fine dal '14, come inviato del «Popolo d'Italia» di Mussolini, e nel 1915 si arruola volontario. L'ultimo numero della «Voce» da lui diretto risale al 28 novembre 19142.30; a dicembre la direzione passa allo studente universitario Giuseppe De Robertis (1888-1963 ), che ne fa una rivista esclusivamente letteraria che prosegue e rafforza l'impianto di regole consolidatosi nel decennio precedente grazie ai testi di autori della «Voce» e «Lacerba»2.3i, e di altri reclutati dal nuovo direttore2.32._ Borgese, Cecchi, Jahier, Palazzeschi, Slataper, Serra e Soffici sono arruolati, e in misura diversa affrontano l'esperienza militare e della guerra; Serra e Slataper cadono al fronte, e nel 1917 la tubercolosi uccide Boine. La maggior parte dei futuristi si arruola tra i volontari: Boccioni e Sant'Elia muoiono nel 1916, il 24enne fiorentino Ugo Tommei è disperso nel 1918. Il fascicolo si apre con il seguente corsivo: «A partire da questo numero sarà soltanto politica e per ottenere maggior diffusione sarà venduta a due soldi. Riprenderemo la nostra attività teorica e artistica a cose finite» (p. 241 ). :uS «Vengo da Firen1.c, dove mi sono recato per trasfonnare, con Soffici, Lacerba in un giornale politico coll'unico scopo di preparare l'atmosfera italiana alla guerra contro l'Austria»: lettera di Marinetti a Francesco Balilla Pratella, 12 agosto 1914, in Lettere ruggenti a F. Balilla Prate//a cit., p. 50. 229 «Ora, dopo aver fatto fino all'ultimo il nostro dovere di scrittori, pensiamo ad altri doveri. Abbandoniamo, almeno per qualche tempo, la rivista ch'è stata l'arme nostra in tante guerre e alla quale abbiamo dato, in questi anni, il meglio di noi. Questo è l'ultimo numero di Lacerba. Crediamo necessario sospenderla almeno per tutta la durata della guerra. [... ] Ora non è il momento di far riviste di pura lirica»: Giovanni Papini, Abbiamo vinto!, «I.acerba», 22 maggio 1915, p. 162. 230 Da maggio a dicembre del 191 5 Prezzolini dirige una serie politica della rivista. 2 3• Agnoletti, Campana, Carrà, Folgore, Govoni, Jahier, Pala1.1.cschi, Papini, Rebora, Sbarbaro, Soffici, Stuparich, Ungaretti. 2 3 2 Riccardo Bacchelli, Antonio Baldini, Vincenzo Cardarelli, Carlo Linati, Arturo Onofri, Alberto Savinio, Enrico Pea, Giambattista Vigolo. 2.2.7

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Durante e dopo la guerra Marinetti rappresenta l'esperienza al fronte in scritti di natura diversa indirizzati a pubblici distinti: alle tavole parolibere e alle sintesi teatrali pubblicate su «L'Italia futurista», rivolte a vecchi e nuovi seguaci, alterna articoli di giornale dalla scrittura più accessibile. Dopo la guerra il fondatore del futurismo riversa la materia bellica nella scrittura narrativa non parolibera di 8 anime e una bomba (Edizioni futuriste di Poesia, r9r9) e L'alcova d'acciaio (Vitagliano, r92r). A dispetto della presenza di un io narrante e di un resoconto che si presenta come autobiografico, anche questi racconti bellici, rispetto a quelli prodotti dall'altra avanguardia, mantengono tratti della de-psicologizzazione promossa dal Manifesto tecnico, come spiega Stefano Bragato: nel suo taccuino l'esperienza della guerra non è, come per gli altri soldati al fronte, come per Gadda,Jahier, Serra, ma anche per Ungaretti, Rebora, Lussu, Comisso, ecc. occasione per riflettere sulla guerra, interrogarsi sul proprio posto in quella guerra e infine sul significato di esser uomini. Il taccuino di Marinetti non è un compagno di trincea, un confidente, una zona privata dove riflettere o sfogarsi, bensì prima di tutto uno strumento di lavoro dove appuntare dati e sviluppare soluzioni stilistiche2 33.

La rielaborazione dei taccuini nelle opere pubblicate, L'alcova

d'acciaio in particolare, si fonda su un processo di trasfigurazione e astrazione del vissuto operata attraverso procedimenti di montaggio, metafore ad alto tenore analogico, personificazioni e zoomorfizzazioni dell'inanimato e meccanizzazioni dell'animato non dissimili dalle tecniche messe in pratica nelle tavole parolibere. Anche la corrispondenza tra i futuristi in tempo di guerra obbedisce all'imperativo della desoggettivizzazione. Cangiullo inventa un modello di anti-lettera: stampata sui colori della bandiera italiana e diffusa a cura della Direzione del movimento futurista, la «cartolina futurista» è suddivisa in sette fasce orizzontali, da riempire a cura del mittente, che vincolano le possibilità di espressione individuale a una rosa di argomenti prestabiliti (futurismo; guerra; novità e affari; piaceri; donne; viaggi e appuntamenti; saluti e insulti). 133

Bragato, Futurismo in nota cit., p. u7.

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA

(1902-1919)

Se l'avanguardia fiorentina si disperde dopo la guerra, quella futurista esce dal conflitto riconfigurata nelle persone e negli obiettivi. Nel periodo bellico il centro propulsivo del movimento è la rivista «L'Italia futurista» (1916-1918), che ha sede a Firenze ed è diretta in tempi diversi da Settimelli, Corra e Ginna con la collaborazione di Mario Cadi, Remo Chiti ma soprattutto, per la prima volta nella storia del gruppo, con la partecipazione attiva di diverse artiste - tra cui Maria Ginanni2· 34, Rosa Rosà 235 , Enif Robert2 36 -, che non solo pubblicano articoli, recensioni, tavole parolibere e romanzi nella rivista e presso le case editrici vicine al movimento (l'Istituto editoriale italiano di Notari e lo Studio editoriale lombardo di Gaetano Facchi, che nel 1919 diventa editore a proprio nome), ma animano anche una vivace polemica sulla rappresentazione del femminile in Come si seducono le donne, il "manuale" pubblicato con grande successo da Marinetti nel 1917. Mentre l'avanguardia fiorentina disdegna teatro e romanzo, quella futurista durante la guerra allarga la propria prassi dalla lirica verbo-visuale al teatro e alla narrativa, cercando, in entrambi i casi, il dialogo con un pubblico più ampio di quello in grado di apprezzare le tavole parolibere 2 37. Le scrittrici sono protagoniste con Corra e Marinetti del tentativo di costruire una narrativa futurista focalizzata sulla messa in scena di rapporti tra i sessi svincolati dall'istituzione matrimoniale e dai limiti del2 H Maria Crisi (Napoli 1892-Fircn1.e 1953), nota come Ginanni dopo il matrimonio con Arnaldo, oltre a partecipare assiduamente alla vita dcli' «Italia futurista» dirige le Edizioni dell'Italia futurista e successivamente una serie di collane (UBRI DI VAIDRF~ I UBRI DFJJ.' AMORF~ GRANtn: CDIJJ-ZIONF. FRCJtlCA) per Facchi. 2 n Edith von Haynau (Vienna 1884-Roma 1978), di origini viennesi, si stabilisce a Roma dopo il matrimonio con il giornalista Ulrico Amaldi; collabora a «L'Italia futurista» con lo pseudonimo di Rosa Rosà pubblicandovi poesie visuali e illustrazioni; è autrice del romanzo Ut1a donna con tre anime, Studio editoriale lombardo, Milano 1918. 236 Pseudonimo di Enif Angiolini (Prato 1886-Bologna 1974), nota come Enif Robcrt dopo il matrimonio con l'attore Alfredo Robcrt, è un'attrice, collaboratrice dcli' «Italia futurista» e autrice di un romanzo scritto a quattro mani con Marinctti: U11 ve,itredi don11a. Roma11zo chirurgico, Facchi, Milano 1919. 2 17 Un ulteriore indicatore dell'interesse dei futuristi per la narrativa di consumo è la direzione assunta nel 1920 dal poeta futurista Enrico Cavacchioli della casa editrice di Nino Vitagliano, uno degli editori protagonisti dopo la guerra dell'esplosione di una narrativa commerciale scritta da autori italiani (--+ cap. 2 S4).

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la morale corrente, nel nome non solo di una nuova etica sessuale che liberi anche le donne, proclamata fin dal 1913 dall'autrice del Manifesto della Lussuria, la danzatrice e poetessa francese Valentine de Saint-Point (1875-1953), ma anche come presa di posizione avanguardistica contro l'esistente: contro, cioè, le trame e i tropi ricorrenti nei romanzi più letti, caratterizzati dalla ricorrenza ossessiva di intrecci incentrati su matrimoni e adulteri, esattamente come il teatro borghese ridicolizzato dalle sintesi teatrali. Come spesso avviene nelle prassi delle avanguardie, la pratica di generi percepiti come eteronomi è funzionalizzata alla decostruzione dei meccanismi costitutivi di tali generi. Ma la più radicale trasformazione del futurismo postbellico non ha a che fare con la letteratura o l'arte. Nel 1917 «L'Italia futurista» pubblica il Programma politico futurista, e nel febbraio 1918 il Manifesto del partito futurista: partito che però nascerà soltanto a novembre. I futuristi aderiscono il 23 marzo 1919 ai fasci di combattimento di Benito Mussolini, e le due formazioni politiche si presentano insieme alle elezioni del novembre 1919, dove vengono sconfitte. Nel maggio 1920, al secondo congresso dei fasci di Milano in cui Mussolini dà una svolta reazionaria al suo partito, Marinetti dà le dimissioni dal comitato centrale238 • Benché ferocemente nazionalista, antidemocratico e concepito per dar sfogo al malcontento dei reduci, il programma politico futurista era anche caratterizzato da proposte di trasformazione della vita sociale e della morale comune - dall'anticlericalismo all'istituzione del divorzio, dalla socializzazione delle terre all'imposta progressiva - così radicali e numerose da rendere il Manifesto del partito futurista una petizione di principio più che un piano d'azione concreto; Mussolini, invece, con il pragmatismo dell'uomo politico, sa rimodulare il progetto fascista originario scendendo ai compromessi necessari per la conquista del potere. Con il 1920 tramonta così il tentativo di fare della lotta politica uno degli strumenti per la «ricostruzione futurista dell'universo». ~38 Qualche anno dopo Marinetti si riavvicinerà al presidente del Consiglio Mussolini, pubblicando nel 1924 Futurismo e fascismo, in cui identifica nell'operato fascista l'attua1fone del "programma minimo" del futurismo. A dispetto di un sostegno garantito al regime fino alla Repubblica di Salò, Marinetti non riuscirà mai a far riconoscere il futurismo come arte fascista ufficiale(-+ cap. 3).

I. I FUTURISTI E L'AVANGUARDIA FIORENTINA (1902-1919)

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Una combinazione ideologica simile a quella del programma del partito futurista caratterizza la pressoché coeva Carta del Carnaro, la costituzione elaborata dall'anarco-sindacalista Alceste De Ambris negli ultimi mesi della Reggenza di Fiume (settembre 1919-dicembre 1920), la città occupata da Gabriele d'Annunzio con un colpo di mano agito in contrasto aperto con le istituzioni dello Stato. La guerra aveva consentito a d' Annunzio di restaurare presso l'opinione pubblica il suo status di poeta nazionale, offuscato dall'"esilio" per debiti in Francia del 1911. L'eroe della prima guerra mondiale, reggente del Carnaro e sperimentatore di strategie retoriche poi imitate da Mussolini, non restaura però in questi anni soltanto la propria immagine, ma anche la propria produzione letteraria. Nel 1910 era uscito Forse che sì forse che no, il suo ultimo romanzo; negli anni successivi d'Annunzio si dedica a una produzione autobiografica, lirico-meditativa e frammentaria che si apre con le Faville del maglio, pubblicate dal «Corriere della Sera» a partire dal 1911, e culmina con il Notturno del 1921. Astenendosi dal genere romanzo e dedicandosi invece a una prosa dalla forma frammentaria, d'Annunzio si mostra insomma consapevole delle regole dell'arte affermatesi nel campo letterario italiano, e vi si adegua per mantenere il proprio dominio simbolico. Tale movimento è bidirezionale: la nuova maniera dannunziana viene infatti appropriata dall'avanguardia fiorentina, che la legge attraverso le proprie categorie critiche: nelle Lettere Serra individua la novità e l'eccellenza di quella prosa nella sua natura impressionistica e frammentaria, che libera l'autobiografismo soggiacente a tutta la produzione del poeta dall'ingombro di «costruzioni arbitrarie» e «falsificazioni tragiche estetiche eroiche» (cioè dalla fiction): «la pagina ne acquista un non so che di vero, una individualità, una realtà, che ci prende il cuore, come mai non era accaduto» 239 • Gli fa eco Prezzolini, che individua in maniera esplicita un legame tra il Notturno e la pratica letteraria dell'avanguardia fiorentina:

2.39 Serra, Le lettere cit., p. 65. Serra definisce le Faville «quasi un giornale [francesismo per "diario"], a frammenti e ritocchi» (p. 64).

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Le opere di questo periodo sono caratterizzate da una maggiore schiettezza, da una ricerca di semplicità, da uno sforzo verso l'interiorità. A ciò non è estraneo il mutamento avvenuto negli ultimi anni della letteratura dei giovani verso le stesse direzioni. [... ] Vi sono punti del libro che starebbero benissimo nei libretti impressionisti esciti tra il 1910 e il 191 5. [... ] Come egli ha sentito nei primi tempi l'influenza di Maupassant e di Dostojevski, così ha sentito negli ultimi tempi l'influenza dei frammentisti italiani, di Soffici, di Govoni, di Papini, persino forse dei futuristi24°.

In effetti anche Marinetti aveva provato ad appropriarsi del nuovo d'Annunzio, nell'articolo D'Annunzio e le parole in libertà che apre il secondo numero della rivista di breve vita «Il futurismo. Rivista sintetica illustrata» (1922): ma si tratta di un tentativo poveramente argomentato, che si limita a citare un singolo brano e a invocare come pareri autorevoli sul presunto legame tra il Notturno e il paroliberismo quelli di altri autori futuristi come Balilla Pratella e Paolo Buzzi. La prassi letteraria dell'avanguardia futurista - il paroliberismo con la sua abrogazione della sintassi, della punteggiatura e della soggettività, e la sperimentazione tipografica realizzata nelle tavole parolibere - rimane un percorso sostanzialmente interrotto. La battaglia degli anni Dieci è vinta dall'avanguardia fiorentina con la sua pratica letteraria fondata sull'indistinzione tra letteratura e filosofia, sulla commistione di prosa e poesia, sull'ibridazione dei generi letterari, sulla prevalenza di forme liriche e impressioniste e sulla predilezione per contenuti autobiografici e composizioni frammentarie. Tuttavia, anche se nel campo letterario l'unica impresa riuscita al futurismo è la legittimazione del verso libero, i germi lanciati dal movimento daranno frutto negli anni Venti e Trenta: come mostrerò nel terzo capitolo, l'integrazione multimediale delle arti e la precoce associazione ai mass media praticati dai futuristi fin dal 1909 hanno sviluppi nella storia del teatro e del design, e nella pratica consapevole di generi situati alla periferia più eteronoma del campo letterario da parte di autori che si situano al polo di produzione ristretta. 2-4° Giuseppe Pre1.zolini, D"Annu11Zio impressionista, «Rivista d'Italia», 15 marzo 1922, cit. in Simona Costa, D'Annu11Zio «notturno» e la prosa d'arte, in D'A11nu11zio 11ottumo, atti dell'VIII Congresso di studi dannunziani, Pescara, 8-10 ottobre 1986, Centro nazionale di studi dannun7jani in Pescara, Pescara 1987, pp. 139-140.

Capitolo secondo «La Ronda» e la "letteratura milanese" (1919-1924)

Roma, Milano

L'arco di vita della rivista letteraria «La Ronda», pubblicata a Roma tra il 1919 e il 1923, coincide con anni drammatici per l'Italia. Il periodo di riassestamento postbellico è caratterizzato da una diffusa violenza politica, che in alcune zone del paese assume i tratti di una guerra civile strisciante, e sfocerà nell'ascesa al potere del Partito Nazionale Fascista di Benito Mussolini. In questi anni di transizione tra guerra e fascismo si trasformano anche le gerarchie e i valori che si erano consolidati nel campo letterario italiano degli anni Dieci. Dopo la guerra, scrive Prezzolini, «il lirismo non va più; le impressioni, che una volta riempivano tutte le riviste dei giovani, hanno aria di cosa oltrepassata: si racconta, si organizza, i critici scrivono romanzi o almeno novelle» 1 • Tuttavia, i tentativi di Giuseppe Antonio Borgese di fare del romanzo un genere legittimo per la letteratura di ricerca falliscono: l'alleanza di nuovi entranti che riesce a imporre al decennio successivo un nuovo sistema di regole dell'arte, e che fa capo alla rivista romana, non investe sul romanzo ma su un nuovo genere di prosa non narrativa.

r. Movimenti di capitale: da Firenze a Roma Definendo "fiorentina" una delle avanguardie in conflitto negli anni Dieci ho posto l'accento sulla concentrazione nel ca• Giuseppe Pre1.1.olini, La coltura italiana, Società anonima editrice La Voce, Firen1.e 1923, p. 15. Il libro, intitolato come quello scritto a quattro mani con Papini nel 1906, sarà seguito eia una teu.a e ultima rassegna su protagonisti e istituzioni della cultura italiana pubblicata nel 1927 da Corbaccio. Sulle tre versioni del libro cfr. Marino Biondi, li libro u,zo etri,zo. «La cultura italiana» (1906-1927), in Id., La cultura di Prezzolitzi, Pagliai Polistampa, Firen1.e 2005, pp. 31-144.

12.2.

A REGOLA D'ARTE

poluogo toscano, dall'inizio del secolo allo scoppio della prima guerra mondiale, di una leva di intellettuali insoddisfatti dello stato di cose presente e fortemente motivati a trasformare le gerarchie interne ai vari campi culturali. Tra questi sono fiorentini o cresciuti a Firenze solo Cecchi, Jahier, Palazzeschi, Papini, Prezzolini e Soffici; molti altri vi si trasferiscono per frequentare l'università, come Borgese nel 1900 e Giuseppe De Robertis nel 1907, e in anni diversi i molti triestini della «Voce» e di «Lacerba»: Scipio Slataper e Alberto Spaini, Giani e Carlo Stuparich, Guido Devescovi e Italo Tavolato 2 • «Tutti hanno sentito che qua era la sola officina disinteressata che vi fosse in Italia e qua son venuti a vivere e ad imparare», dichiara orgogliosamente Papini nel 1915 3: e davvero poco prima dell'inizio della guerra Firenze è la capitale italiana dell'avanguardia, con cui anche i futuristi di Marinetti devono scendere a patti. È qui che ci si sposta, se si vuole diventare uno scrittore riconosciuto (e non commerciale): nel 1905 vi si trasferisce l'aspirante poeta Umberto Saba, che riesce a pubblicare il suo secondo libro per la Libreria della Voce ma senza integrarsi nell'avanguardia fiorentina 4; nel 1910 arriva a Firenze da Ancona un professore liceale con ambizioni letterarie, Massimo Bontempelli, che rimarrà però confinato nella periferia dell'editoria scolastica e di una rivista attardata come le «Cronache letterarie» 5; vi giungono nel 1911 da Roma un altro aspirante poeta senza studi regolari alle spalle, Vincenzo Cardarelli, e nel 1912 da Bologna uno studente universitario altoborghese, Riccardo Bacchelli, entrambi con l'obiettivo, raggiunto, di inserirsi nel giro della «Voce»: nel 1916 versi di Cardarelli e prose di entrambi appaiono sulla rivista diretta da De Robertis. All'altezza del '16, però, Bacchelli e Cardarelli, come già Saba e Bontempelli, hanno lasciato Firenze, e questi spostamenti si inseriscono in un movimento più generale. Nel 1914 Prezzolini ~ Sui triestini a Firenze ai tempi della • Voce» cfr. Renate Lun1.er, Irredenti redenti. Intellettuali giuliani del '900 [2.002.), con una presentazione di Mario lsnenghi,

trad. it. di Federica Marzi, LINT editoriale, Trieste 2.009, pp. 51-66 e 135-2.16. 3 Papini, Fiorentinità cit., p. 58. • Sulla traiettoria di Saba-> cap. 4 S3s Per la traiettoria di Bontempelli _,. cap. 3 S2..

Il, «LA RONDA• E LA "llITERATURA MILANESE"

(1919-1924)

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lascia la direzione della «Voce», e Firenze, per lavorare come corrispondente da Roma del «Popolo d'Italia»; nella capitale si erano già trasferiti Cecchi e Borgese nel 1910, per lavorare, rispettivamente, come critico letterario del quotidiano «La Tribuna» e come professore alla Sapienza; Rosina Pisaneschi e Alberto Spaini, traduttori del Wilhelm Meister e allievi di Borgese, ne seguono i corsi di letteratura tedesca all'università romana dal 19n. Anche Mario Carli ed Emilio Settimelli, collaboratori dell' «Italia futurista» (1916-1918), ultima fiammata del futurismo fiorentino, vi si trasferiscono nel 1918 per dirigere prima «Roma futurista» (1918-1920), poi il quotidiano «L'Impero» (1923-1932). Perfino Soffici tra il '22 e il '23 lascia per un paio d'anni la sua residenza di Poggio a Caiano per dirigere a Roma la terza pagina del «Corriere italiano» 6• All'inizio degli anni Venti, insomma, «a girar per le strade della nostra Firenze siamo restati in pochi. E ogni giorno che passa saremo sempre in meno»7: anche chi scrive, Adolfo Franci, un fiorentino formatosi nell'ambiente del caffè Giubbe Rosse, finirà per lasciare la città per intraprendere una carriera di critico letterario nei quotidiani milanesi. Nel 1915, mentre quest'esodo è agli inizi, un occhio attento coglie la costituzione di un nuovo gruppo letterario tra quegli scrittori che dopo la dispersione della guerra si ritroveranno a vivere a Roma. Recensendo Le lettere di Renato Serra Giovanni Boine nota che il libro non mette in giusto rilievo «un altro gruppo coscientemente indirizzato a cui, per es., appartiene il Cardarelli [... ], in certe cose l'Onofri, ed il Bacchelli: gruppo che ha il suo critico simpatizzante, quasi il suo teorico, il suo incitatore, la sua estetica in Emilio Cecchi» 8• Con l'esclusione di Onofri, gli altri tre scrittori citati da Boine andranno a costituire le colonne portanti della «Ronda»: l'autore che vi contribuirà maggiormente a livello quantitativo (Bacchelli), quello che fornirà le prove 6 Cfr. Paola Italia, Savinio, Soffici e la politica culturale del fascismo 11ei primi a1111i Ve11ti: «Il nuovo paese» e il «Corriere italiano», «Nuova rivista di letteratura italiana», III, 2, 2000, pp. 389-450. 7 Adolfo Franci, Il servitore di pia:a11, Vallccchi, Firenze 1922, p. 172. 8 Giovanni Boine, Frantumi seguiti da Plausi e botte, a cura degli Amici, Libreria della Vore, Firen1.c 1918, p. 163. Il gruppo identificato da Boine aveva creato a Roma una propria rivista, «Lirica» (1912-1913), diretta da Umberto Fracchia e Arturo Onofri.

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A REGOLA D'ARTE

maggiori nel genere letterario legittimato dalla rivista (Cecchi) e chi la dirige dal maggio 1920 (Cardarelli). Accanto ai nomi di Bacchelli, Cecchi e Cardarelli, la quarta di copertina della «Ronda» indica come redattori anche Antonio Baldini (che però interrompe la collaborazione nel 1920), Bruno Barilli, Lorenzo Montano, e il segretario di redazione Aurelio E. Saffi. Contribuiscono in maniera rilevante alla rivista anche Marcello Cora, Alfredo Gargiulo e Giuseppe Raimondi 9 •

TRAIHfORIF. Al. 1919

Antonio Baldini, Riccardo Bacchelli, Bruno Barilli, Vincenzo Cardarelli, Emilio Cecchi, Marcello Cora, Alfredo Gargiulo, Lorenzo Montano, Giuseppe Raimondi, Aurelio Enrico Saffi AIIITONI0 BAWINI (Roma 1889-Roma 1962), di origini nobili, compie studi regolari a Roma e scrive su «Lirica». Dal 1915 debutta come elzevirista su «L'Idea nazionale» e «L'Illustra1jone italiana». Nel 1918 pubblica un libro di memorie di guerra, Nostro purgatorio. Rtc:C.ARJ)() BAa:H~lJJ (Bologna 1891-Mon1.a 1985) è figlio di un avvocato eletto deputato in Parlamento. Frequenta la facoltà di lettere dell'università di Bologna sen1.a mai laurearsi e si trasferisce a Firenze nel 1912. Allo scoppio della guerra si arruola volontario e nel 19 19 si trasferisce a Roma. Nel 1911 aveva pubblicato a proprie spese il romanzo Il filo meraviglioso di Lodovico Cl,,, nel 1914 Poemi lirid per Zanichelli. (Fano 1880-Roma 1952) è musicista oltre che scrittore: compone e lavora come critico musicale per diversi quotidiani.

BRUNO BARIIJJ

VINC:1-:NZO CARl)ARl'JJJ (pseudonimo di Na1.areno Caldarelli; Cometo Tarquinia 1887-Roma 1959) è figlio illegittimo e non compie studi regolari. Nel 1906 si trasferisce a Roma come redattore dell'«Avantil». Tra il 1911 e il 1915 è spesso a Firen1.e, anche per seguire Sibilla Aleramo con rui ha una relazione, ma viaggia molto, cambiando continuamente residenza. Viene riformato e non partecipa alla guerra; alla fine del '17 si trasferisce in maniera più stabile a Roma come critico teatrale del quotidiano «Il Tempo». Nel 1916 pubblica un volume di prose e versi, Prologhi, per lo Studio editoriale lombardo.

9 L'elenco dei redattori scompare a partire dal numero dell'aprile 1920. Dal maggio 1920 Saffi è indicato come direttore insieme a Cardarelli; Giuseppe Raimondi subentra come segretario di redazione.

Il.

«LA RONDA» l! LA "Ll!'ITl!RATURA MILANl!Sl!" (1919-1924)

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EMIIJO CF.CO-11 (Firenze 1884-Roma 1966) è figlio di un artigiano. Frequenta scuole tecniche e lavora qualche anno come impiegato studiando nel frattempo da autodidatta le lingue e letterature classiche e moderne. Nel 1910 si trasferisce a Roma, dove ha ottenuto una collaborazione fissa con «La Tribuna». Fino al 1913 scrive sulla «Voce» come critico letterario; la polemica con Papini successiva all'articolo di quest'ultimo La Sor'Emilia (1915) segna il suo distacco dall'ambiente fiorentino. È arruolato e dopo la guerra, tra novembre 1918 e aprile 1919, partecipa a una missione diplomatica in Gran Bretagna e diventa corrispondente per il «Manchester Guardian»; al rientro in Italia torna a vivere a Roma. Pubblica un volume di versi nel 1909 (ln110 primo), saggi su Pascoli e Kipling per la Libreria della Voce e Storia della letteratura inglese 11el secolo XIX (Trcves 1915) '. MARC:HJ.O CoRA (pseudonimo di Mé>r Korach, Miskolc 1888-Budapcst 1975) è un ingegnere chimico ungherese, esule dal 1912 in Italia. Insegna alla scuola d'arte annessa al musco della ceramica di Faen1.a e dal 1925 dirige il dipartimento di chimica industriale dell'università di Bologna. Viene introdotto nella «Ronda» dal compagno d'armc Bacchclli, e vi scrive di letteratura tedesca. Al.l'RF1X> GARGIUI.O (Napoli 1876-Roma 1949) viene da una famiglia modesta e compie studi umanistici da autodidatta incoraggiato da Croce. Scrive sulla «Critica» e traduce La critica del giud;z;o di Kant per Latcr,.a, ma intorno al 1908 comincia a sviluppare una teoria estetica autonoma da quella crociana. Nel 1910 si trasferisce a Roma dove lavora come bibliotecario. È introdotto nella «Ronda» da Cccchi. L0RF.NZO MONTANO (pseudonimo di Danilo Lcbrecht; Verona 1893-Montrcux [Svizzera] 1958) è figlio di un ricco industriale di cittadinanza austriaca e ascendcn1.a ebraica; il suo debutto letterario avviene sulle pagine di «Lacerba». Durante la guerra conosce Cecchi, che lo coopta nella «Ronda». GIUSEPPE RAIMONDI (Bologna 1898-Bologna 1985) è figlio di un artigiano; autodidatta, da adolescente è un militante anarchico-socialista. Collabora con la rivista «Dada» e con la rivista romana dadaista «Avanscoperta». Amico dei pittori Morandi, Dc Pisis e Carrà, nel 1918 fonda «La Raccolta» (1918-19). AUR~110 ENRlm SA~l'I (Bologna 1890-San Varano 1976) è conte e nipote del patriota Aurelio Saffi; studia a Roma e si laurea in lettere con una tesi su Baudclairc.

' La traiettoria sociale e intellettuale di Cccchi è ricostruita con accuratezza e acume interpretativo da Bruno Pischcdda in L'idioma molesto. Ceccbi eia letteratura 11oveamtescaa sfo11do razziale, Aragno, Torino 2015.

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A REGOLA D'ARTE

Le traiettorie biografiche e letterarie dei redattori della «Ronda»

sono tutt'altro che omogenee: in un intervento commemorativo del 19 55 Emilio Cecchi ha anzi dichiarato che «sarebbe stato difficile trovare e mettere insieme scrittori di tendenze più indipendenti e diverse» 10• L'eterogeneità dei trascorsi e degli sbocchi è d'altra parte un tratto caratteristico delle avanguardie, che si fondano più sui bersagli polemici che sugli obiettivi comuni. I redattori e i principali collaboratori della «Ronda» condividono in effetti due sole caratteristiche di rilievo: non sono nuovi entranti in senso assoluto (molti hanno già volumi pubblicati alle spalle oppure hanno esordito in rivista) e hanno più o meno tutti un passato da ripudiare: futurista (Montano), dadaista (Raimondi), o, nel caso di Cecchi, Cardarelli e Bacchelli, di prossimità all'avanguardia fiorentina. Un anno prima che si chiuda il lungo e accidentato percorso della «Voce», in quello stesso 1915 in cui Boine rimprovera a Serra di non aver individuato il nuovo gruppo romano, Bacchelli scrive a Cecchi, non senza una punta di compiacimento: «La baracca fiorentina traballa», «si mangiano a vicenda e cercano pietosamente adepti» 11 • Passata la tempesta della guerra, i futuri autori della «Ronda» sono pronti a liquidare quell'eredità e a proporre qualcosa di nuovo.

2.

Decostruire le regole dell'arte dominanti

Nel corso dei quattro anni di pubblicazione12 , gli scritti apparsi sulla «Ronda», da quelli programmatici a quelli più legati alla contingenza come le recensioni, procedono a uno smantella' 0 Emilio Cccchi, Prefazione, in La Ronda. Antologia, a cura di Giuseppe Cassieri, Landi, Firen1.e 19 55, p. Vll 11 Lettera di Riccardo Bacchelli a Emilio Cecchi, 1 marzo 1915, citata in Carla Gubert, «Era già il tempo di ritrovarsi altrove•. Cardarelli e Bacchelli al tempo de «La Voce•, «Rivista di letteratura italiana., XXII, 3, 2004, p. 96. Il fatto che l'anno successivo Bacchelli e Cardarelli pubblichino sulla «Voce» non significa, quindi, piena adesione alla linea della rivista ma piuttosto «una possibilità di pubblicazione in una delle sedi di maggior risonan1.a dell'epoca» (ivi, p. 96). Sulla transi1jone tra «La Voce» e «La Ronda» cfr. anche Eraldo Bellini, Politica e cultura t1ella «Vraie Jtalie•, in Id., Studi suArde11go Soffici, Vita e Pensiero, Milano 1987, pp. u3-169. 12 La rivista esce con continuità dal 1919 al 1922; nel 192 3 esce un solo numero straordinario a dicembre.

Il. «LA RONDA» E LA "LETTERATURA MILANESE" (1919-1924)

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mento delle regole dell'arte istituite dall'avanguardia fiorentina, a partire da quell'egemonia della critica sulla produzione creativa, da quella subordinazione dell' auctor al /ector che era stata tollerata con fastidio già da autori come Boine. E il lector più autorevole, quello che poteva permettersi di dar lezione a ogni giovane auctor, era stato Benedetto Croce. Nella decina d'anni che trascorrono tra il 1914 in cui esplode la campagna interventista e il 1925 in cui Croce scrive il manifesto degli intellettuali antifascisti la sua autorità e il suo prestigio risultano alquanto appannati. Nel 1914 Croce si era schierato contro l'intervento dell'Italia in guerra e, nel pieno di una campagna germanofoba di cui «Lacerba» è la principale portavoce sul piano culturale, aveva difeso l'idea di una cultura europea superiore alle chiusure nazionalistiche: una presa di posizione sia politica sia culturale che gli fa il vuoto intomo1 3. Tramontati i furori interventisti e la campagna antitedesca, l'offensiva della «Ronda» contro Croce sceglie altre angolature. Se all'inizio del Novecento il filosofo poteva presentarsi come il campione dell'anti-accademismo e della cultura libera al di fuori delle istituzioni, per i pretendenti alla successione di inizio anni Venti è facile ribaltare tale rappresentazione, presentando sé stessi come paladini della libertà e dell'indipendenza contro un sistema, l'idealismo, e la critica estetica che vi è fondata, diventati ai loro occhi istituzione: Gentile è da tempo professore universitario, e Croce, sebbene continui a rimanere estraneo all'università, tra il giugno 1920 e il luglio 1921 è ministro della Pubblica Istruzione nell'ultimo governo Giolitti. E se Croce non è andato in cattedra, molti suoi seguaci sì, e ne hanno trasformato il magistero, secondo gli scrittori della «Ronda», in un «crocianesimo inferiore», in un «basso crocianesimo» 1 4 di epigoni, «quasi tutti giovanissimi 1 3 Come reazione, durante la guerra Croce lavora a un libro su Goethe che esce per Later1.a nel 1919. Sul nesso tra la genesi del libro e il posizionamento di Croce in questi anni cfr. Anna Baldini, «La Ronda» e la letteratura tedesca iti Italia dopo la gra11de guerra, in Politiken der Tra,,s/atioti in Italien. Wegmarker, eitier deutsch-italieriische,1 Obersetzimgsgeschichte vom Risorgime,uo bis zum Faschismus, herausgegeben von Andrcas Gipper, Lavinia Hellcr, Robert Lukenda, Steiner Franz Verlag, Stuttgart 2021, pp. 99-121. 1• Alfredo Gargiulo, «Salvatore di Giacomo» di Luigi Russo, «La Ronda», lii, 8-9, agosto-settembre 1921, p. 604.

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A REGOLA

o'ARTE

e professori, pallidi e linfatici», che «non essendosi provati mai a far qualcosa di serio, con piglio e cipiglio autoritario ordinano, a destra e sinistra, quello che altri dovranno fare» 1 5. «La Ronda» attacca Guido De Ruggiero 16, Luigi Russo 17 , Francesco Flora18 e quell'Enrico Ruta che, introducendo la sua traduzione della Nascita della tragedia uscita per Laterza nel 1919, fa di Nietzsche un precursore dell'Estetica crociana 19. Tra quelli che «La Ronda» sferza come galoppini di Croce c'è anche «un tal Piero Gobetti che mi dicono allievo della Facoltà di Lettere Torinese. Ciò è quanto dire un buon virgulto della scuola di Farinelli e della filosofia crociana»2.0; le sue riviste sono bersaglio di polemica anche in quanto eredi della «Voce» «moralizzatrice, politica virtuista, protestante e democratica»2. 1 • Rispetto a questi crociani più o meno incattedrati, gli autori della «Ronda» rivendicano, ironicamente ma con orgoglio, la propria appartenenza al «proletariato bolscevizzante delle lettere, che inonda i giornali e le riviste»: una qualifica che non trovano «mortificante» in quanto è garanzia di «indipendenza»2.2.. Non sono solo allievi e seguaci di Croce a finire sotto attacco; viene criticato anche il maestro, soprattutto quando si presenta

1 s Il Tarlo [Emilio Cccchi], Libri nuovi e usati, «La Tribuna», 7 luglio 1922, cit. in Emilio Cccchi, I tarli, a cura di Silvia Bctocchi, introduzione di Enzo Siciliano, Fazi, Roma 1999, pp. 66-67. 16 «Il Prof. Guido dc Ruggicro è un filosofante di mc1.1.a tacca che ha fatto fortuna coll'idealismo»: Polemiche di costume, «La Ronda», III, 6, giugno 1921, p. 402. 1 7 «La Ronda» stronca due suoi libri: Giovan11i Verga (I, 7, novembre 1919, pp. 114-117), a firma di Cccchi, e Salvatore di Giacomo (III, 8-9, agosto-settembre 1921, pp. 604-614), a firma di Gargiulo. 18 È di nuovo Gargiulo a stroncare il suo Dal Roma11ticismo al Futurismo (IV, 2, febbraio 1922, pp. 138-142). 1 9 al.sav. [Alberto Savinio], Museo degli orrori. La nascita della tragedia, ossia avve,1tura spaventevole di u11 filosofo 11apoleta110, «La Ronda», II, 6, giugno 1920, pp. 445-450. 20 v.c. [Vincenzo Cardarelli], Dico a te, 11uora. (Risposta ad un critico), «La Ronda», II, 8-9, agosto-settembre 1920, p. 66. Se Gobctti è la nuora, la suocera è naturalmente Croce. ~ 1 X.Y., Dalle riviste, «La Ronda», IV, 2, febbraio 1922, p. 167. u «La qualifica per noi non ha nulla di mortificante e invece molto dell'onorevole. È involontario omaggio alla nostra indipcnden1.a»: Pole,niche di costume cit., p.403.

Il. «L\

RONDA»

EL\ "LETTERATURA MIL\NESE"

(1919-1924)

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in veste di critico letterario2 3. «La Ronda» stronca un saggio di Croce su Baudelaire2.4 e il suo libro su Goethe, con una vis polemica che non avrebbe sfigurato su «Lacerba» 2 5. «Non sappiamo che farci di una filosofia dell'arte che fallisce nelle esemplificazioni», sentenzia Cardarelli26 • Il ripudio delle regole dell'arte degli anni Dieci non si limita, naturalmente, alla critica estetica di Croce e dei suoi seguaci. Nel 1920 il giornalista e traduttore dal tedesco Alberto Spaini, che era stato un importante collaboratore di Prezzolini e un amico di Slataper, trae un bilancio estremamente critico della produzione letteraria legata all'avanguardia fiorentina recensendo l'edizione degli Scritti letterari e critici di quest'ultimo appena pubblicata dalla Società anonima editrice La Voce 27•

13 Su un diverso piano, quello della teoria storiografica, «La Ronda» ospita una polemica dello storico Guglielmo Fcrrcro contro Croce: Guglielmo Fcrrcro, Storie e storici nella critica di Be11edetto Croce, «La Ronda», III, 10, ottobre 1921, pp. 679689; Id., Contraddizio11i e i11compete,zze di un filosofo (Replica a Benedetto Croce), «La Ronda.., N, 3-4, marzo-aprile 1922, pp. 228-231. 2'4 a.c.s. [Aurelio Enrico Saffi], Benedetto Croce, «Baudelaire», «La Ronda», I, 2, maggio 1919, pp. 61-62. 1 s «Il Croce, ancora una volta, per cogliere le mele dorate di cui il poeta da lui studiato parla in ermetico tono, entrò nell'orto delle Esperidi con quelle tali forbici del buon senso, che andavan bene piuttosto per tagliare delle pcz1.c di lana. Indubbiamente, il buon senso è uno strumento forte; indubbiamente il Croce lo maneggia benissimo; indubbiamente, esso basta per molti bisogni del mondo geografico. Ma ci sono paesi favolosi in cui si vive d'aria e quindi il buon senso va tutto surrogato da un consentimento indefinibile: dal senso di poesia come postulato. Quando il Croce, filosofo quadrato e illustre, s'accinge a leggere il Goethe - o a commentarlo, ch'è lo stesso-col tono di voler mettere a posto qualcuno, anzi "i gocthiani", anzi, tra i borghesi, il Goethe stesso, noi sentiamo più forte quell'aristocrazia ch'è ormai riservata a chi, tra le seduzioni degl'inviti filosofici, l'ha scampata bella»: m.c. (Marcello Cora), Benedetto Croce, «Goethe», «La Ronda», III, 1-2, gennaio-febbraio 1921, p. 104. 26 v.c. [Vincenzo Cardarclli], Rifacitori del li11guaggio, «La Ronda», Il, 12, dicembre 1920, pp. 805-808. 17 Alberto Spaini (Trieste 1892-Roma 1975) è uno dei primi traduttori professionisti di letteratura tedesca, formatosi prima a Firenze poi a Roma, dove è allievo di Borgese. Sulla sua figura e la sua opera di mediatore di letteratura tedesca dr. Carla Galinetto, Alberto Spaini germanista, Istituto giuliano di storia, cultura e documentazione, Gorizia 1995; Daria Biagi, Alberto Spai11i, in Baldini, Biagi, Dc Lucia, Fantappiè, Sisto, La letteratura tedesca in Italia cit., pp. 211-218; Alberto Spaini, Giuseppe Prc1.zolini, Carteggio 1911-1974, a cura di Daria Biagi, Edizioni dello Stato del Cantone Ticino, Bcllinzona 2020.

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C'era nell'aria una strana idea, in quei giorni: che tutta la poesia già fatta era da considerarsi come non esistente, e che agli avventurati contemporanei fosse destinato di creare una poesia nuova, buona a sostituire tutto il passato. Per non andar errati, solo si riconosceva fonte autorizzata l'ispirazione del senso e della fantasia, che per disgrazie era povera; e ogni tentativo era fatto a dispetto dei buoni insegnamenti e della provata tradizione. [... ] [Slatapcr] credeva che solo la assoluta originalità, la malintesa originalità del tutto nuovo, desse diritto all'espressione [... ]; gli sarebbe parso altrimenti di non essere poeta, di fare della letteratura. [... ] Egli è veramente posseduto dalla parola: nuovo. Nulla di ciò che si può già trovar fatto nella vita è buono. Solo ciò che è proprio, aspramente proprio, vale. [... ] messo di fronte alla necessità dell'espressione, la smania di novità e di originalità assolute lo faceva saccheggiare a caso ogni modello letterario28•

La recensione di Spaini ha un tono severo, giudice, e insieme molto amaro. Liquidando Slataper come un artista «minore»2.9, e le sue convinzioni come illusioni, Spaini ripudia probabilmente una parte di sé, un proprio vissuto, idee che aveva condiviso. Ma soprattutto individua come illusoria e fallimentare quella tensione a una "poesia" originale e sincera, attinta direttamente alle fonti dell'io («solo ciò che è proprio, aspramente proprio, vale») e incurante del peso della tradizione, che non aveva attraversato solo gli scritti di Slataper. Un anno dopo finisce sotto scrutinio, questa volta per mano di Bacchelli, un altro dei testi fondamentali dell'avanguardia fiorentina: il Lemmonio Boreo di Soffici, la cui prima parte era stata «annunciata come la bibbia e il breviario laico ed artistico, il libro da capezzale, il Wilhelm Meister insomma, (qualche audace diceva, credo, il Jean Christophe) dello Sturm und Drang vociano»3°. Nella sua recensione Bacchelli si interroga sulla natura dell'oggetto che sta osservando: «È un'epopea tragicomica in vesti quotidiane, una novella o bozzetto di colore, una satira politica e di costume? Purtroppo è qualcosa di tutto questo in confuso: un romanzo lirico» JI. Quindi anche la mistione dei ge28 A.Spa. [Alberto Spaini], Scipio Slataper, «Scritti letterari e critici», «La Ronda, Il, 7, luglio 1920, pp. 526-528. 2 9 «Fra i minori con cui il nostro secolo si è aperto, Scipio Slataper è quello che più merita di essere ricordato»: ivi, p. 529. 30 Riccardo Bacchelli, «Lemmonio Boreo» di Soffici, «La Ronda», Ili, 8-9, agosto-settembre 1921, p. 599. 3' Ivi, p. 602.

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neri - implicita nella definizione "romanzo lirico"-, così importante per la produzione letteraria dell'avanguardia fiorentina, viene liquidata dai rondisti. «La Ronda» apre infine un fronte contro il frammento: se di Ragazzo di Jahier e del Notturno di d'Annunzio si critica proprio la natura frammentaria32, nell'articolo I poeti di un verso solo Cecchi contesta il tentativo «di ridurre i poeti antichi e moderni al massimo di concentrazione estetica, e al minimo di superficie verbale»H. Bersaglio specifico di Cecchi sono le indicazioni ermeneutiche esposte da Giuseppe De Robertis in Saper leggere, un saggio apparso sulla «Voce» nel 1915, in cui il direttore della rivista teorizzava la maggior modernità della letteratura frammentaria (parlando di d'Annunzio sostiene ad esempio che «le "Faville" sostituiscono bene l'" Alcione"») e la necessità di una «critica frammentaria di momenti poetici»34. Ma nell'attacco di Cecchi a De Robertis è implicita, naturalmente, anche la rivolta contro l'opposizione crociana tra "poesia" e "non poesia": L'idea era questa: scrutare, auscultare un poeta, in modo da ritrovarlo in quel punto unico e centrale in cui egli è assolutamente poeta, e poeta soltanto; o, come allora dicevano: lirico puro. Isolato cotesto punto, veniva buttato a mare tutto il resto, dove il poeta è anche storico, profeta, moralista insomma lirico impuro35.

32. «A noi pare che sotto questo aspetto sia da cercare il valore di questo scrittore vivo e colorito, di osservazione acuta e cattivella, acariatre, ma inevitabilmente frammentaria, senza nessuna capacità di progressione e di armoniosa complessità» (r.b. [Riccardo Bacchelli], Piero Jahier, «Ragazzo», «La Ronda», II, 1, gennaio 192.0, p. 77); «Non so se da questo, come da altri indizi, si possa inferire che il D'Annunzio sia stato intento, negli ultimi anni, alla letteratura giovane; certo però, in ogni caso, ha un profondo senso questa assunzione di modi formali ultimi della nostra letteratura», vale a dire, i «modi ellittici di cui abusarono i giovani fino alla completa oscurità» e un «punteggiare tutto all'interno, profondo, incurante d'ogni formalismo tradizionale e d'ogni grazia esteriore, fino alla crude1.1.a, all'urto» (Alfredo Gargiulo, «Il Notturno», «La Ronda», lii, 11-12., novembre-dicembre 192.1, pp. 749-750). n e.e. [Emilio Cccchi], I poeti d'u,i verso solo, «La Ronda», II, 2., febbraio 192.0, p. 137. 34 Giuseppe De Robcrtis, Saper leggere, «La Voce», 30 marzo 1915, pp. 498 e 489. Sulla significatività di questo saggio e della sua proposta ermeneutica cfr. Giacomo Debcnedetti, Il roma11w del Novecento [1971), La Nave di Teseo, Milano 2.019, pp. 2.0-2.5. 3S Cccchi, I poeti d'u,z verso solo cit., p. 137.

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3. Attacco al futurismo e ritorno all'ordine L'avanguardia fiorentina con le sue regole dell'arte costituisce dunque per «La Ronda» un antecedente da ricacciare nel passato: ma è un passato cui pure, in misura maggiore o minore, i suoi redattori sono appartenuti3 6• Radicalmente diversa è la relazione tra i rondisti e l'altra avanguardia degli anni Dieci: nei confronti del futurismo di Marinetti «La Ronda» ostenta distanza e disprezzo. Un primato mondiale il futurismo l'ha avuto, e non spregevole, secondo la condizione dei tempi. Raccolse infatti tutte le scemenze internazionali, tutti i rancidumi delle più rancide romanticherie, delle lucubrazioni più insipide, e ne fece una specie di macchina da tourismo catafratta. Ci mise della giovinezza, della spensieratezza, del brio e dell'estro e della mattana, e corse il mondo. [... ] Le fortune internazionali del futurismo sono una vera epopea eroicomica, la più grande dei tempi moderni37.

Il testo più significativo con cui «La Ronda» condanna all'irrilevanza la ricerca letteraria dei futuristi è la "fantasia" di Emi36 Un segnale ulteriore di questo legame, pur nella discontinuità, è dato dal fatto che a partire dal 192.0 la gestione amministrativa della «Ronda» è affidata alla Società anonima editrice La Voce di Pre1.zolini. Dandone rannuncio, quest'ultimo scrive: «Abbiamo assunto con piacere rincarico di amministrare e diffondere questa rivista perché la riteniamo, in questo momento, la migliore che esista in Italia nel campo delle lettere, e ottima l'influenza che essa potrà esercitare» ( «La Ronda», I, 8, dicembre 1919, pp. 83-84). 37 Il diavolo i,weccbia, «La Ronda», III, 10, ottobre 192.1, pp. 692.-693. Se prima della guerra il futurismo aveva dato vita a un'epopea, sia pure eroicomica, Alberto Savinio constata invece che dopo la guerra il movimento ha perso anche la sua guittesca capacità di attirare l'attenzione: «Ritornava Marinetti dalla guerra, innocuo e poco scaltro avventuriero, cd era intorno a lui non più il baldo manipolo delle prime lotte in Galleria di Milano, sibbcne alcuni molto giovani seguaci misti a pochi adulti d'indefinibile sapore, che certo altro merito non avevano in questo mondo fuorché quello di militare nelle schiere del futurismo smunto e illanguidito. [...] Marinetti bruciò le sue ultime bordate. Ma quanto inutilmente ahimè!; ché a quei romori nessuna eco rispose, e sprofondarono essi in un silenzio di tomba» (al. sav. [Alberto Savinio], Il Co11gresso di Parigi, illustrato co11 ampio comme11to e seguito da un apologo, «La Ronda», IV, 1, gennaio 192.2., p. 71). Bacchelli concede invece che «nel futurismo ci furono artisti rispettabili», e che il movimento ebbe «qualcosa di autentico e di eroico»: ma rimane il sintomo della «crisi di un gusto condotto fino all'aberrazione, e di una coerenza formale condotta fino alla demen1.a» (r.b. [Riccardo Bacchelli], Propositi di critica, «La Ronda», I, 6, ottobre 1919, p. 53).

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lio Cecchi che apre il secondo numero della rivista, Comunicazione accademica. Il testo si presenta come un estratto dagli «Annali di filologia» del 3009; quattrocento anni prima, intorno all'anno 2600, una serie di tumulti avrebbe portato alla devastazione delle biblioteche pubbliche. Fortunatamente, però, i privati difendettero per proprio conto e trafugarono i libri che avevan più cari, e a questo modo cc li trasmisero quasi tutti. Fu illustrato ieri su questi Annali l'episodio quasi leggendario della dama che fuggì dal proprio palazzo nascondendo in una calza quel dialoghetto dello pseudoMontano che altrimenti avremmo perduto. La distruzione cicca, elementare, toccò ad opere come questo Zang-Tumb e le sue compagne, che tuttavia erano state largamente diffuse. Perché nessuno si curò di salvarle? Che cosa era avvenuto dei loro lettori? Ma, soprattutto, in che lingua queste opere erano scritte?38

Nell'apologo Cecchi non solo immagina gli scritti di Marinetti e seguaci espulsi dal canone a venire, ma, con un tocco di sarcasmo, prevede che saranno conservati esclusivamente da quelle biblioteche che i futuristi avrebbero voluto bruciare; e, una volta quelle bruciate davvero, sopravvissuti esclusivamente come curiosità per filologi. La ricerca futurista è viziata dallo stesso difetto rilevato da Spaini nell'opera di Slataper: la smania del nuovo condotta fino alla confusione e all'anarchia formale e stilistica. «È indecente [... ]quest'accettazione supina, da ogni parte, dell'ideologia rivoluzionaria nelle arti; che non è l'ultima fra gli aborti ideali della rivoluzione francese», si legge in un testo non firmato pubblicato nel 191939. E ancora, nella dichiarazione di intenti che apre la rivista, anch'essa non firmata ma scritta da Cardarelli: Abbiamo poca simpatia per questa letteratura di parvenus che s'illudono di essere bravi scherzando col mestiere e giocano la loro fortuna su dicci termini o modi non consueti quando l'ereditarietà e la famigliarità del linguaggio sono le sole ricchezze di cui può far pompa uno scrittore decente. Ci sostiene la sicurezza di avere un modo nostro di leggere e di rimettere in vita ciò che sembra morto. Il nostro classicismo è metaforico 38 39

Emilio Cecchi, ComutùcaZiotie accademica, «La Ronda», I, 2, maggio 1919,p. 5. Rivoluzioni varie, «La Ronda», I, 6, ottobre 1919, p. 59.

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e a doppio fondo. Seguitare a servirci con fiducia di uno stile defunto non vorrà dire per noi altro che realizzare delle nuove eleganze, perpetuare insomma, insensibilmente, la tradizione della nostra arte. E questo stimeremo essere moderni alla maniera italiana, senza spatriarci4°.

Il programma enunciato dal Prologo in tre parti prospetta un'inversione di rotta: dalla valorizzazione del nuovo o dell'originale a ogni costo verso un classicismo moderno che si inserisca nella tradizione della letteratura nazionale. Si tratta di un capovolgimento caldeggiato non solo dalla «Ronda» ma da altri attori del campo letterario italiano di questi anni (come Borgese e la rivista «Il Convegno»), e che caratterizza anche la traiettoria di artisti già affermati come Papini e Soffici. Dopo la guerra, infatti, Papini matura la propria conversione al cattolicesimo e si impegna nella stesura del libro che farà di lui uno scrittore venduto a decine di migliaia di copie, la Storia di Cristo (1921)4 1 ; nel periodo immediatamente postbellico si tiene però ai margini del conflitto letterario. Sebbene sia lui a fondare, nel febbraio 1919, «La Vraie Italie»4 2 , è Soffici a subentrargli dopo qualche mese come direttore e autore quasi unico; lasciata la rivista per un dissidio con Papini sull'impresa di Fiume, Soffici passa a dirigere «Rete Mediterranea» (marzo-dicembre 1920), in cui sostiene la necessità di abbandonare l'avanguardismo e di tornare ai valori della tradizione artistica italiana, e collabora occasionalmente alla rassegna d'arte, dal simile impianto anti.,io Prologo in tre parti cit., pp. 5-6. "' Secondo i calcoli di Michele Giocondi (Lettori i11 camicia nera. Narrativa di successo nell'Italia fascista, D'Anna, Messina-Firen1.c 1978), dal 192.1 al 1943 la Storia di Cristo avrebbe venduto circa 15omila copie. 42 Papini fonda «La Vraie Italie» nel febbraio 1919; la rivista dura poco più di un anno, e chiude nel maggio 192.0. Scrivendo a Prezzolini, Papini spiega che il suo obiettivo è «far conoscere le idee, le tendenze, le forze, le debolcZ7.e, le persone dell'Italia agli stranieri al di fuori delle propagande ufficiali, ufficiose ccc. Dunque libera, disinteressata, si11cera. Mi accorgo sempre più che fuori ci conoscono poco e male. E la colpa è della lingua, che pochi leggono. Ho pensato dunque di rivolgermi agli stranieri in una lingua più diffusa e familiare, come il francese, benché la rivista non sia rivolta solo ai francesi. (Ma io non so scrivere l'inglese, che forse prenderebbe più gente)» (lettera di Papini a Prczzolini del 2.5 gennaio 1919, in Giovanni Papini, Giuseppe Pre1.zolini, Carteggio, III, 1915-1956. Dalla Grande Guerra al secondo dopoguerra, a cura di Sandro Gentili e Gloria Manghetti, Edizioni di Storia e Letteratura-Biblioteca Cantonale di Lugano-Archivio PreZ7.olini, Roma 2.013, p. 94).

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avanguardistico, «Valori plastici» (Roma, 1918-1922), diretta dal pittore e collezionista Mario Broglio43. Non è Soffici, però, l'artista di riferimento di quest'ultima, che ha tra i collaboratori più assidui i pittori Carlo Carrà, Giorgio De Chirico e Alberto Savinio. Soffici, Carrà, De Chirico e Savinio scrivono anche sulla «Ronda», che a sua volta presta a «Valori plastici» le firme di Mario Bacchelli, Emilio Cecchi e Giuseppe Raimondi. La rassegna d'arte e i suoi collaboratori si trovano insomma in una relazione di omologia di posizioni rispetto alla rivista letteraria, della quale condividono il programma di restaurazione. Come i rondisti, anche gli autori che scrivono su «Valori plastici» hanno un passato da ripudiare: quel futurismo che entrambe le riviste presentano come un fenomeno tramontato, e per cui sono passati Broglio, Carrà e altri collaboratori di «Valori plastici» come il poeta Luciano Folgore e l'ex protetto di Papini Italo Tavolato. Lo sguardo volto al passato e gli intenti restauratori che cementano l'alleanza tra «La Ronda» e «Valori plastici» non riguardano esclusivamente l'arte e la letteratura italiane, ma sono un fenomeno europeo. Se a livello internazionale si parla di rappel à l'ordre (dal titolo di un volume di Jean Cocteau che ne raccoglie gli scritti critici degli anni 1918-2 3 ), in Italia si parla invece di "ritorno all'ordine": il titolo con cui Cecchi annuncia sul quotidiano «La Tribuna» l'uscita della «Ronda» il 19 maggio 191944 . 43 Soffici giustifica il radicale cambiamento delle proprie posizioni come conseguenza dcll'cspcricn1.a bellica: «La guerra mi ha insegnate tante cose e, prima di tutte, che noi artisti eravamo sur una falsa strada quando ci racchiudevamo ncll'élites intellettuali senza guardare ad altro che alla nostra arte, senza pensare che al nostro io. Mi ha insegnato ad amare cd ammirare questo popolo nostro ricco di meravigliose qualità. Ho ritrovato un mc stesso lontano, sono ritornato ad amare le cose semplici, i gesti parchi, le parole sostanziose. Il Kobilek segna il principio della mia rinascita; sentivo, scrivendolo, che non m'era possibile far delle frasi nel momento in cui, intorno a mc, si moriva con tanta sublime rassegnazione. E appunto per questo il Kobi/ek è un libro che tutti possono leggere e capire» (Franci, I/ servitore di piazza cit., pp. 26-27). 44 Nell'avanguardia parigina la sperimentazione sulle forme della tradizione si era avviata già nel pieno della guerra, come mostrano le traiettorie di Picasso e Apollinaire, esemplari rispettivamente per le arti figurative e per la poesia. Anna Boschetti illustra il senso di questa ricerca nel quadro del principio fondante dei campi di pro-

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4. Tra politica e mercato: la "letteratura milanese" Nel Prologo in tre parti che apre «La Ronda» Cardarelli rivendica una concezione dell'arte che, rimontando i secoli, si rifà al magistero dell'antichità classica: «Dai classici, per i quali, come per noi, l'arte non aveva altro scopo che il diletto, abbiamo imparato ... »45. Questa dichiarazione di fedeltà alla tradizione costituisce anche un chiaro posizionamento nel presente: gli scrittori della «Ronda» intendono collocarsi al polo più autonomo del campo letterario, dove la letteratura ha valore esclusivamente per sé stessa e non deve essere sottoposta né mescolarsi a criteri di valore provenienti da altri campi sociali: in primis quello politico. La necessità di questo posizionamento sembra avvertita con particolare urgenza dalla «Ronda» ai suoi esordi. Nell'immediato dopoguerra, in effetti, diverse personalità che avevano acquisito o consolidato nel decennio precedente una posizione letteraria di prestigio sembrano voler trasformare in capitale politico il capitale simbolico acquisito nel proprio campo: Croce accetta di fare il ministro, i futuristi fondano un partito, d'Annunzio è per un anno il leader di una città-Stato. La strenua difesa dell'autonomia dell'arte da parte dei nuovi entranti legati alla rivista romana, il loro porsi come garanti del valore distintivo del polo di produzione ristretta fa dunque parte di una strategia complessiva di affermazione che passa anche attraverso la delegittimazione dei dominanti. Dopo il Prologo in tre parti, il primo numero della rivista pubblica così una Meditazione fra due tempi di Lorenzo Montano che, sotto il trasparente travestimento di un personaggio di nome Medardo, riflette sulla propria condizione di intellettuale ed ex combattente. Mentre passeggia per Milano - la città che, duzione artistica più autonomi: «gli innovatori [... ] sono consapevoli delle impasses generate dalla logica della rivoluzione permanente: l'invecchiamento rapidissimo delle invenzioni, la difficoltà sempre crescente di trovare vie nuove, il sentimento di aver esaurito ogni possibilità, la messa in discussione radicale dell'arte e della sua funzione, lo scarto creatosi tra le ricerche dell'avanguardia e i gusti del pubblico colto. [... ] Il "ritorno all'ordine" è innanzitutto espressione di queste preoccupazioni» (Boschetti, La Poésie partout cit., pp.2.30-2.31). 45 Prologo ili tre parti cit., p. 5, corsivo mio.

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tra socialismo al governo e fascismo nascente, è terreno di scontro dell'avanguardia politica4 6 - Montano/Medardo riflette sul tempo concluso della guerra e su quello che si apre. Rifletté a talune questioni politiche sorte proprio in quella fine di guerra, o meglio dalla definizione di essa, le quali tenevano assai occupata la gente, e in quei giorni a Milano la portavano perfino a scendere nelle piazze. Constatò ancora una volta quanto poco interesse avessero per lui quei dibattiti; e al pensiero di avere durante quattro anni preso parte con l'animo e con la persona alle vicende politiche del suo paese, sentì il bisogno di rendere conto a sé medesimo di questa indifferen7.a, e in certo qual modo di giustificarsela. [... ] Egli si compiacque del paragone che gli rendeva evidente la cagione della ritrovata indipendenza del suo spirito, e gliela dimostrava legittima47.

Il tema è ripreso nel secondo numero della rivista, in una specie di secondo editoriale per aforismi, non firmato e intitolato Rondesca. Questa volta le «questioni politiche» che fanno «scendere nelle piazze» non sono solo alluse ma identificate nella rivoluzione bolscevica, che in quei mesi sembra estendersi dalla Russia alla Germania all'Italia: l'autonomia dell'arte viene rivendicata contro quegli intellettuali che «dovrebbero essere liberi e spediti d'ogni orgoglio e d'ogni interesse di classe» e che invece «di fronte alla rivoluzione collocano in essa delle speranze antiaccademiche» e «si compromettono da sventati con grandi parole e scalpori, tra cose sulle quali non hanno parte né forza»; «ci par di vederli, certi poeti di conoscenza nostra, leggere qualche componimento encomiastico davanti a un comitato d'operai e soldati!». L'arte dev'essere invece «libera, inutile, inefficace e indistruttibile», «non può pretendere d'essere considerata, rispettata e rimunerata, né dai conservatori né dai rivoluzionari. [... ] L'abbassa e l'innalza fuori dell'ordine suo, chi le cerca consensi, anche econo-

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A Milano risiedono i principali dirigenti del Partito Socialista italiano, e dal vi ha sede il quotidiano del partito. Dal 1914 al 1922 Milano è amministrata da una giunta socialista; nella stessa città Mussolini fonda il 23 marzo 1919 i Fasci italiani di combattimento. 47 Loren1.0 Montano, Medardo o una meditavo11e tra due tempi, «La Ronda», I, 1, aprile 1919, p. 8. 1911

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miei, in un ordine pratico»4 8• L'unico e autentico impegno civile degli intellettuali dovrebbe consistere nel «fornire opere insigni, o decorose per lo meno, e se letterato, di scrivere belli e buoni libri senza preoccuparsi d'altro»; a modello del «dovere civico per eccellenza» degli artisti viene proposto l'operato di Goethe: «Il rispetto attorno al proprio lavoro, e la libertà di servire alla comunità nei modi e nelle forme proprie del poeta e dell'artista egli non li rivendicava già privatamente e come tributo alla sua grandezza individuale, ma come diritti che spettano a chiunque eserciti l'arte con purità d'intenzioni, e che non possono essere contestati senza scandalo e grave ingiuria per tutti»49. Tutt'intorno, invece, nel biennio successivo alla guerra si assiste a una confusione di compiti e ruoli: i filosofi doventan ministri, e i poeti reggitori di città; [ ... ] gli scrittori irrompono nel Parlamento a dozzine alla volta, per non parlare dei giornalisti; i critici letterari più illustri disertano la critica per la politica militante; e perfino gli autori più suggestivi alternano al racconto postribolare il romanzo sociale. [ ... ] ora i nostri futuristi, parolibcristi, sintctisti, ccc. non curano più i giochi vani dell'intelletto, e sono invece indaffaratissimi a bruciarsi le dita sui "'più scottanti problemi dcli'ora" so.

Queste rivendicazioni di autonomia non implicano che sulla «Ronda» si parli solo di arte e di letteratura; nella rivista non mancano gli articoli di riflessione politica, ospitati dalle rubriche curate dalla redazione (soprattutto il «Commento alla cronaca»), oppure, nella forma più estesa del saggio, firmati da pensa48 Rondesca, «La Ronda», I, 2, maggio 1919, pp. 52-53. l.m. [Lorenzo Montano], Comme11to alla cronaca, «La Ronda», II, 8-9, agosto-settembre 1920, p. 620. In questa descrizione di Goethe Montano omette ogni riferimento alla carriera politica dello scrittore tedesco: i rondisti si fabbricano cioè un Goethe a proprio uso e consumo, come d'altra parte avevano fatto già l'avanguardia fiorentina e Croce. so 1.m. [Lorenzo Montano], Commento alla cronaca cit., p. 618. Tra le prese di posizione rondiste contro l'impegno politico dei letterati si pu di Guido da Vero11a [1919], in Id., Tempo di edificare cit., p. 74. 144 Ivi, p. 76. 145 «Guido da Verona non si intende e non si giudica esattamente, sen1.a tener conto della sua ra1.1.a»: r.b. [Riccardo Bacchelli], Letteratura servile, «La Ronda», II, 2, febbraio 1920, p. 147; «Qualcuno fra i più fervorosi giustizieri di da Verona gli ha rinfacciato il sangue ebraico, quasi esalando un sospiro di nostalgia verso le memorie dei ghetti. Antisemitismo letterario? E poi accusano di cattivo gusto Guido da Verona»: Borgese, Le mie letture, I cit., p. 89. 146 «Siamo dunque decisi a seppellire nel bujo più profondo [ ... ] il molto profitto col quale Borgesc confessa d'aver letto I'Antonelli, il Mariani, il Calzini, Gino Rocca e Salvator Gotta etc. etc.»: Parevmt1i d'essere in u1,a villetta, «La Ronda», II, 3, marlO 1920, p. 220; «Non c'era orrore di Dario Niccodemi o di Guido da Verona nel quale egli non ritrovasse un segno, una promessa del "dolce stil nuovo", anzi dell'ampio e reboante stil nuovo. Finché in una grande intervista ("Secolo", 12 marzo 1920) sulle condizioni attuali della letteratura,[ ... ] egli dichiarò di star leggendo "con molto profitto" l'Antonelli, Gino Rocca, il Calzini, il Mariani ... »: Emilio Cccchi, «Rubé> di G.A. Borgese, «La Tribuna», 12 aprile 1921, p. 3.

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«quella ultima tralignazione del romanzo sociale, sperimentale, commovente, moralista magari a rovescio, che è sempre stato fuori dall'arte» 147: romanzi con un'impronta sociale come quelli di Mariani, romanzi immoralisti come quelli di da Verona o Pitigrilli, commoventi-sentimentali come quelli di Gotta e Mura. Borgese, in quanto critico dal prestigio consolidato, sarebbe insomma per i rondisti qualcuno che tradisce i princìpi fondanti del polo di produzione ristretta nel momento in cui sembra nobilitare l'ondata romanzesca uscita durante e dopo la guerra dalle tipografie di Sonzogno, Vitagliano e Baldini & Castoldi. Se è vero che Borgese concede un'apertura di credito ai romanzieri della letteratura "milanese", non è certo su da Verona o Gotta che costruisce un canone romanzesco e drammaturgico. Nei saggi dei primi anni Venti il critico individua in Verga, Federigo Tozzi (Siena 1883-Roma 1920) e Pirandello gli scrittori grazie al cui magistero sarà possibile dare inizio al «tempo di edificare». Di Pirandello Borgese prende in considerazione soprattutto i lavori teatrali 148, mentre di Tozzi mette in luce l'evoluzione solitaria, lontana sia dalle lusinghe del polo di produzione di massa, sia dalle regole in vigore in quello di produzione ristretta 149 . Anche «La Ronda» aveva individuato in Tozzi un autore importante, ma aveva distribuito diversamente l'apprezzamento tra le opere dello scrittore senese: mentre Borgese privilegia i romanzi - Con gli occhi chiusi ( 1919) e Tre croci (1920) -, la rivista preferisce le prose brevi di Bestie (1917)150_ È però Verga il romanziere di riferimento per Borgese, che lo inserisce in un trinomio a suo dire riconosciuto da tutti L'ituàile chinta,za cit., p. 2.93. «Pirandello [... ] sta quasi completamente a sé, [...] ha prodotto cose a modo loro perfette come li giuoco delle parti e Così è se vi pare,.: Giuseppe Antonio Borgcsc, TeatTO nuovo, in Id., Tempo di edificare cit., p. 2.2.2.. 149 «Non aveva scritto racconti licenziosi da piacere al pubblico né "frammenti lirici" da placare la critica,.: Giuseppe Antonio Borgcse, Federigo ToZZi [192.0], in Id., Tempo di edificare cit., p. 33. 1 s0 Nella recensione a Con gli occhi chiusi Saffi spende parole di elogio per Bestie mentre lamenta la monotona struttura del romanzo, caratteriu.ato da un «tritume grigio che non si muove né avanti né indietro,.: a.e.s. [Aurelio Enrico Saffi], Federigo Tow, «Con gli occhi chiusi», «La Ronda,., I, 5, settembre 1919, p. 74. 147 14 8

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( «Oggi non v'è letterato rispettabile che non risconosca la trinità Leopardi, Manzoni, Verga» )15 1 • A differenza di Leopardi e Manzoni, tuttavia, Verga va difeso da un'accusa ricorrente: Anche fra quelli che lo ammirano come grande scrittore (e lo ammirano tutti) non manca neppur oggi chi ripeta che Verga è un grande scrittore, sì, ma scrive male. Questa contraddizione in termini non è ammessa per nessun'altra arte, non si dice mai che un grande pittore dipinge male. Ma si ammette in letteratura. Lo stesso Luigi Russo, l'affettuoso biografo cd espositore di Verga, se non dice che scrive male dice che è scrittore dialettale 152.

Per Borgese Verga è invece «il più esatto prosatore del secolo, dopo Leopardi e Manzoni», dotato di una «sintassi [... ) di una pieghevolezza asciutta, di un candore, di una mobilità, di una prontezza che non hanno riscontro fra i contemporanei [... ]. Anche il suo orecchio ritmico è perfetto» 153 , e nel migliore dei suoi romanzi, I Malavoglia, «l'organismo narrativo è un blocco, e non v'è martello di critico che lo possa sfaldare» 1 54. Per «La Ronda», invece, Verga è un grande autore nonostante abbia scritto romanzi: il «romanzo [... ] è sempre stato fuori dall'arte, o ci è rientrato di straforo, per qualità certo non proprie del genere, come in Italia ne abbiamo per avventura il più istruttivo e grande esempio nei romanzi di Giovanni Verga» 1 55.

•s• Borgese, Federigo ToZZi cit., p. 33. Dopo la guerra si avvia in effetti unariscoperta dell'opera del romanziere siciliano: nel febbraio 1919 Papini dedica a Verga un profilo su «La Vraie Italie» e nel novembre dello stesso anno esce (con la data 1920) un'importante monografia di Luigi Russo per Ricciardi. •s 1 Giuseppe Antonio Borgcse, Giovmmi Verga, in Id., Tempo di edificare cit., p. 12. IS3 Ivi, pp. 12-13. •H Ivi, p. 14. •ss L'inutile chinta,,a cit., p. 293.

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TFSll FSF.MPIARI

Giuseppe Antonio Borgese, Rubè Treves, Milano 1921

Rubè è pubblicato da Treves nel 1921 con discreto successo•. Il romanzo appartiene al genere storico-sociale contemporaneo: segue la biografia dell'avvocato siciliano Filippo Rubè, ambizioso ma di scarsi me1.zi, dall'inizio della carriera, prima a Roma in politica poi a Milano negli affari, fino alla morte nel 1920 a seguito di un incidente durante la repressione poliziesca di una manifestazione socialista. Tra Roma e Milano si incardina l'esperienza della guerra, fortemente voluta da Rubè, ma nella quale crede di scoprirsi vigliacco. Intorno al protagonista si incardina un sistema di personaggi costruito per coppie contrapposte: la moglie Eugenia e l'amante Celestina; la moglie non amata e l'amore di gioventù Mary; l'ambizioso ma spiantato Rubè e l'agiato Federico, marito di Mary. Nonostante il complesso sistema di personaggi e il narratore extra-diegetico, la critica dell'epoca accolse il romanzo concentrandosi unicamente sul personaggio protagonista, e leggendovi una trasposizione della biografia dell'autore: un'interpretazione riduttiva, per Borgese, ma coerente con le pratiche dominanti al polo più autonomo del campo letterario italiano a partire dagli anni Dieci, incentrate sull'autobiografismo e sulla proiezione dell'io dell'autore nell'opera. Quella lettura trascurava però due elementi compositivi fondamentali del romanzo: l'extralocalità, cioè la distanza ontologica che separa autore e personaggi (protagonista compreso), e la rifrazione dei caratteri principali (ancora una volta, protagonista compreso) nelle coscienze degli altri personaggi 1 • I critici vicini alla «Ronda» si concentrano invece sulla dispersione in particolari prosastici e sulle deficienze stilistiche del romanzo: come Verga, insomma, e come tanti altri romanzieri italiani prima e dopo di lui, anche Borgese viene accusato di "scrivere male". ' Secondo la Biografia di Giuseppe Antonio Borgese, a cura di Gandolfo Libri1.zi, Fondazione Borgese, Polizzi Generosa 2012, p. 37, il romanzo ebbe una tiratura di 15mila copie tra 1921 e 1930: «A titolo di paragone, Il piacere di d'Annunzio ne vendette 35.000 tra il 1889 e il 1919 e Il Fu Mattia Pascal di Pirandello 12..000 tra il 1904 e il 192.4». 1 Sono debitrice di questa lettura a Daria Biagi, Prosaici e modemi cit., pp. 12.8-154.

Il. «LA RONDA» E LA "LETTERATURA MILANESE" (1919-1924)

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8. Il progetto transnazionale del «Convegno» Dicci anni fa quando mi stabilii a Roma era moda svillaneggiare Roma come se fosse tutta Aragno 1 56• Papini venne apposta a Roma per tenere un fierissimo discorso adversus romanos. Un principe romano se ne adontò. Prc-a.olini poi era inconciliabile, e pareva a sentirlo che quella sciagurata città fosse la bestia dell'Apocalisse. Poi alla spicciolata si trapiantarono tutti a Roma. Anche Prezzolini è alloggiato da papa, lavorando come sempre sul scrio alla sua Libreria della Voce, sulla Trinità dei Monti. Io, dalli dalli, mi ridussi modestamente a Milano. Ed ceco che, appena vi presi stanza, cominciò il crucifige a Milano. Si capisce che io non c'entro per nulla, e che si tratta di disgraziate coincidenze. Ma insomma sono disgrazie 157.

In questa annotazione autobiografica Borgese rappresenta la propria traiettoria come perennemente contro-tempo, rispetto agli spostamenti - geografici e di poetica - prevalenti nel campo letterario italiano. Anche la sua battaglia a favore del romanzo, in effetti, risulta prematura: una piena legittimazione del genere al polo di produzione ristretta si avrà soltanto all'inizio degli anni Trenta(-+ cap. 4), quando ormai Borgese ha lasciato l'Italia per gli Stati Uniti. Dietro l'avversione della «Ronda» per la "letteratura milanese", perciò, possiamo leggere non solo la contrapposizione strutturale tra polo di produzione ristretta e polo di produzione di massa, ma anche un conflitto tra il progetto letterario della rivista romana e un'ipotesi alternativa, incentrata sul teatro e sul romanzo, che non è portata avanti dal lavoro del solo Borgese ("milanese" in quanto cattedratico a Milano, collaboratore del «Corriere della Sera» e più tardi di Mondadori). Un anno dopo la «Ronda» nasce infatti a Milano un'altra rivista portatrice di un progetto di rifondazione della letteratura italiana compatibile con quello di Borgese: «Il Convegno» (1920-1940) fondato da Enzo Ferrieri insieme ad alcuni amici critici e scrittori, tra i quali il più noto è Carlo Linati15 8• •S 6 Il Caffè Aragno è stato uno dei ritrovi intellettuali più importanti della Roma dei primi trent'anni del Novecento. •s1 Giuseppe Antonio Borgese, Lemie letture, II, Maggio 1920, in Id., Tempo di edificare cit., pp. 102-103. •s 3 «La Ronda» reagisce prontamente alla rivista di Ferrieri con una stroncatura (r.b. [Riccardo Bacchelli], L'Accademia dei pentiti. Il Cotwegno, «La Ronda»,

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TRAIKITORIF.

Enzo Fcrricri e Carlo Linati ENzo FF.RRIF.RI (Milano 1890-Milano 1969) studia medicina e giurisprudenza a Pavia. Nel 1920 fonda la rivista «Il Convegno», cui affianca nello stesso anno una libreria, una casa editrice (Il Convegno editoriale, 1921-29), un circolo culturale (1922-35), una compagnia teatrale (Teatro del Convegno, 1924-31), un cineclub (1926) e un'appendice cinematografica («Cineconvegno», 1933-35). Nel 1929 viene assunto all'Eiar come direttore artistico, ma viene declassato a semplice regista nel 19 3 1 perché non iscritto al partito fascista. Lavora per la Rai anche dopo la seconda guerra mondiale; tra 1956 e 1960 ridà vita al Teatro del Convegno•.

CARI.O LINAll (Como 1878-Rebbio di Como 1949) si laurea in giurisprudenza nel 1906 e vive amministrando le proprietà terriere di famiglia. Fin dai primi anni del Novecento è una figura importante dell'ambiente letterario milanese: è amico di Marinetti, contribuisce al ritorno in auge di Lucini, è socio dei progetti editoriali di Notari e di Facchi. Esordisce con i racconti del Tribunale verde (1906), collabora a «La Voce», «La Raccolta», «La Ronda», «Il Convegno». Cura la rubrica Francia della rassegna bibliografica di Trevcs «I libri del giorno» e scrive di autori anglo-americani prima sul «Corriere della Sera» (1925-28) poi su «L'Ambrosiano». Traduce numerosi autori anglosassoni, tra cui Lawrence, Yeats, Synge e Joyce; con quest'ultimo stringe amicizia nel 1918.

• La traiettoria di Fcrrieri è ricostruita da Anna Antonello in «I/

Convegno» e le letterature straniere, «tradurre», 21, autunno 202.1: https:// rivistatradurre.it/il-convegno-e-le-letterature-stranierc/.

Come «La Ronda», anche «Il Convegno» dichiara di voler intraprendere un progetto di ricostruzione dopo la dissoluzione formale operata delle avanguardie degli anni Dieci, ma i suoi collaboratori non riescono a costituirsi in un gruppo autorevole e prestigioso. Come scrive Linati a Ferrieri nell'autunno 1920, rintuzzando l'ambizione di quest'ultimo di dar vita a un "gruppo lombardo", II, 8-9, agosto-settembre 1920, pp. 622-626). Nei numeri successivi «Il Convegno» continua a essere oggetto di attacco in varie rubriche (Exempla elocutionum, 10-1 r, ottobre-novembre 192.0, pp. 759-760; Delle riviste, 8-9, agosto-settembre 192.1, pp. 645-648; Delle riviste, 10, ottobre 192.1, pp. 717-72.1).

Il. «L\ RONDA» EL\ "LETTERATURA MIL\NESE" (1919-1924)

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nojaltri quassù non abbiamo quella volontà polemica, quello spirito di pura battaglia letteraria che hanno, poniamo, quelli della Ronda. Con quel po' po' di fatalismo che abbiamo nell'ossa! Con quel non volerci mai guastare con nessuno, tutt'in buona: con la nostra mancanza di frivolezza salottaia, satirica, pettegola: col nostro veder le cose dal punto savio e fattivo! Per esempio non vedo LcvP59 con lo spadone del polemista; e poco ti ci vedo anche te: mentre sta benissimo in mano a Savinio, a Bacchelli, putacaso, gente che non han nulla da perdere e schermeggiano con molta agilità. - Del resto, fai, e applaudirò con piacere. - Tornando all'idea del gruppo lombardo, ascolta un'idea d'amico sincero: lasciala perdere: continua a fare la tua Rivista coi migliori nomi italiani e stranieri, che così va benissimo e il pubblico non desidera di meglio; di più dai maggiore ospitalità a scrittori e argomenti lombardi. Ecco, per ora, quello che si può fare. E in fondo quello che vuoi fare, perché, nella tua lettera, mentre in principio ti accalori tanto per questo gruppo lombardo in fondo mi parli con entusiasmo delle collaborazioni di Jahier, Papini, Soffici, Cccchi, etc., et similia. Dunque? r6o

Nei suoi vent'anni di vita, «Il Convegno» risulta in effetti cruciale più per il lavoro di scouting operato sulle letterature straniere che per la creazione di tendenze originali nella letteratura italiana: la rivista importa e discute per la prima volta in Italia autori come James Joyce e Franz Kafka 161 , mettendo in circolazione nel campo letterario italiano scrittori europei contemporanei e nuovi paradigmi letterari. Per quanto riguarda la letteratura nazionale, invece, il suo ruolo è piuttosto quello di 1s9 Eugenio Levi, docente di greco e latino nei licei milanesi, sul «Convegno» scrive soprattutto di teatro. 160 Lettera di Carlo Linati a Enzo Ferrieri, 20 settembre 1920, cit. in Anna Modena, Milano anni Ve11ti: editori, riviste e circoli letterari, in L'editoria i11 area pada1,a: libri, lettori, editori tra Otto e Novece11to, «Padania. Storia cultura istituzioni», VI, 11, 1992, p. 142. 161 «li Convegno» pubblica le prime traduzioni di Joyce e Kafka in Italia: il dramma di Joyce Esuli nel 1920 nella versione di Linati, e alcuni racconti di Kafka tradotti da Giuseppe Menassè nel 1928. Sul «Convegno» e le letterature straniere cfr. il dossier curato da Anna Antonello per la rivista «tradurre», 21, autunno 2021: Anna Antonello, «Il Conveg110» e la letteratura tedesca, https://rivistatradurrc.it/ il-convegno-e-la-letteratura-tedesca; Antonio Bibbò, «Il Conveg110» e la letteratura irlandese, https://rivistatradurre.it/il-convcgno-e-la-letteratura-irlandesc; Sara Culeddu, «Il Cotweg,w» e le letterature scanditzave, https://rivistatradurre.it/il-convegno-e-le-letterature-scandinave; Sara Sullam, «Il Conveg110» e la letteratura i11g/ese, https://rivistatradurre.it/il-convegno-e-la-letteratura-inglcse.

A REGOLA

o'ARTE

mediare tra le ricerche delle avanguardie e un pubblico colto e borghese. Come ricorda il critico Giovanni Titta Rosa, che cominciò a collaborare con la rivista appena trasferitosi a Milano all'inizio degli anni Venti, Ferrieri era allora una specie di motore della vita letteraria; e s'era proposto una bellissima cosa: far accogliere con curiosità se non subito con amore alle signore della borghesia lombarda (forse, la sola borghesia che ha avuto ed ha un costante interesse per il libro) la letteratura nuova, i nuovi nomi, venuti un po' da tutte le parti; dalla "Voce" e dalla "Ronda", dalle riviste d'avanguardia e dai clans delle altre città della penisola, dove erano rimasti in ombra, noti soltanto a pochissimi, da Pirandello a Bacchelli1 62•

«Il Convegno» non è, infatti, soltanto una rivista, ma un esperimento a tutto campo di intervento culturale che comprende il Circolo, dove si tengono letture e conferenze16J, una biblioteca e una sala riviste, un teatro di ricerca, e il primo cineclub italiano. Di quest'ampia e variegata programmazione culturale ci offre testimonianza la rivista stessa, che pubblica le conferenze tenute al circolo e alcune delle pièces messe in scena dal Teatro del Convegno per la regia di Ferrieri o di registi ospiti, e alla quale si affianca per un paio d'anni l'appendice cinematografica «Cine-convegno». E forse in quegli anni solo la tanto vituperata Milano poteva offrire pubblico, sinergie e risorse economiche per un progetto simile: lo capisco, per altro, l'orgoglio dei milanesi. Milano è la sola città d'Italia che sia capace di dare un serio finanziamento a qualunque impresa, ed è l'unica che accompagni l'impresa con la cordialità necessaria perché continui. La sua abbondanza non ha nulla di egoistico. Presa da sola, Milano vale un terzo d'Italia 164. Titta Rosa, I lumi a Milano cit., p. 290. Tra gli scrittori stranieri sono invitati al Circolo Paul Valéry (1924), Stcfan Zwcig (1930 e 1933), Katrin Michaclis (1932); tra gli italiani Svevo (1927), Alessandro Dc Stcfani (1927), Bontcmpclli (1929 e 1932); tra i critici (o gli scrittori in veste di critici), Borgcsc parla del Werther (1928), Giacomo Debencdctti di Proust (1928), Guido Piovene di Aniante, Titta Rosa di Alvaro (1932), Mario Robcrtazzi di Eurialo Dc Michclis e Alberto Moravia (1932), Piero Gadda di Alessandro Bonsanti e Elio Vittorini (1933). 1 64 Prczzolini, La coltura italiatta cit., p. 28. 161

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Il.

«LA RONDA» F. LA "LF.ITF.RATURA MILANF.SF." (1919-1924)

CANONI IN CONIUrro

I repertori «Fra due anni di Ronda ho fiducia che avremo messo in circolazione un Goethe, uno Shakespeare, un Leopardi e un Manzoni originali. Il programma è tale da darci un'autorità e un'importan7.a europea», scrive Bacchelli a Cora un paio di mesi dopo la nascita della rivista 1 ; il repertorio attivato dalla «Ronda» è dunque poco peregrino, e incentrato su grandi classici italiani e stranieri. La ricerca di una prosa classica e moderna è guidata dai «convitati di pietra», tra i quali predominano gli autori italiani antecedenti la seconda metà dell'Ottocento 1 • La rivista propone come modelli esemplari la prosa del Convivio di Dante3, quella di Cattaneo4, ma soprattutto quella di Leopardi. Sui suoi inediti si concentra metà dell'attività della «Ronda» editrice: la pubblicazione dei brani dello Zibaldone, prima in rivista poi in volume, è presentata come «il principale, anzi l'unico evento critico ed estetico avvenuto dopo l'uscita dell'Estetica di B. Croce» 5• Leopardi è un punto di riferimento teorico, un paradigma linguistico, ma anche un modello per il genere della prosa d'arte: dietro alcuni esempi del genere in forma di dialoghi e apologhi si intravede il magistero delle Operette mora/i6 • Uno spazio di poco inferiore a quello di Leopardi è occupato nel repertorio rondista da Goethe7. L'attenzione al grande classico tedesco non è per la 1 La lettera è citata da Giuseppe Langclla, Passaporto per «La Ro,ula», «Otto/Novecento», 1, 2000, p. 104. 1 Elenco qui i «convitati di pietra», indicando tra parentesi il numero di occorrenze quando superiori a una: Bartoli, Baudelaire, Bembo, Berchet, Caro, Castiglione, Cattaneo, Cicerone, Davanzati, Dclacroix, Lorenzo de' Medici, Goethe, Leopardi (3), Machiavelli (2), Magalotti, Manzoni, Montaigne, Monti (2), Nietzsche (2), Petrarca, Péguy, Poe, Taine, Tasso. 3 Calepino dantesco (defìniZioni di lingua tolte dalle "opere minori"), «La Ronda», IV, 2, febbraio 1922, pp. 97-n8. • Emilio Cecchi, Cattaneo, «La Ronda», Il, 3, mari.o 1920, pp. 171-175. 5 «La Ronda», IV, 2, febbraio 1922, p. 171. 6 Cfr. Antonio Baldini, Giotto e Cimabue in una osteria di Mugello, «La Ronda», I, 4, luglio-agosto 1919, pp. 5-u; Lorenzo Montano, La fi,iestra aperta, ode/le tentazioni, «La Ronda», Il, 3, marzo 1920, pp. 198-205; r.b. [Riccardo Bacchelli], Dialogo tra Dionisio e Filosseno, «La Ronda», Il, 4, aprile 1920, pp. 305-307; Riccardo Bacchelli, Dialogo di Seneca e Bu"o, «La Ronda», II, 5, maggio 1920, pp. 325-328; Riccardo Bacchelli, La cambiale. Dialogo tra due morti di secolo diverso, «La Ronda», IV, 5, maggio 1922, pp. 326-334; Mario Bacchelli, Dialogo tra Rube,is giovane e un vecchio maestro fiammingo, «La Ronda», IV, 9-10, settembre--0ttobre 1922, pp. 64 7-6 5 1; Lorenzo Montano, La morte della sirena, «La Ronda», IV, dicembre 1923, pp.829-831. 7 Nel numero 10-11, ottobre-novembre 1920 sono pubblicati la traduzione di un saggio di Goethe su Shakespeare, un saggio di Emil Ludwig su

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A REGOLA D'ARTE

rivista una scelta neutrale, poiché si tratta di un autore sulla cui appropriazione si è aperto un conflitto nel campo letterario italiano fin dagli anni Dicci: Goethe era stato un riferimento dell'avanguardia fiorentina, Croce gli dedica una monografia nel 1919 cimentandosi anche come traduttore, e Borgese ne fa un oggetto privilegiato di studio e di insegnamento, un modello di scrittura romanzesca e il cardine di diversi progetti editoriali. «La Ronda» si appropria anche di un altro autore tedesco già presente nel repertorio dei letterari degli anni Dicci, e su cui aveva da poco messo le mani anche Croce: Nietzsche è convocato due volte come «convitato di pietra» ed è accostato a Leopardi anche attraverso la pubblicazione di inediti dell'archivio di Weimar8. A un altro grande classico straniero, Tolstoj, «La Ronda» dedica un'attenzione significativa e anche piuttosto inattesa, essendo lo scrittore autore soprattutto di roman1j e racconti9. Tolstoj è però presentato da Bacchelli come un maestro di stile in contrapposi1jone all'altro grande romanziere russo, Dostoevskij.

Goethe ottuage11ario e un saggio di Marcello Cora sul Tasso del poeta tedesco; nel numero straordinario del dicembre 192.3 appaiono due traduzioni da Goethe (Goethe e un wertheria110; «I.A figlia dell'aria» di Ca/dero11). 8 Documenti inediti da/l'archivio di Nietzsche, «La Ronda», IV, 1, gennaio 192.2., pp. 5-2.1; Nietzsche e Leopardi. Da carte edite e i11edite di Nietzsche, «La Ronda», IV, 6, giugno 192.2., pp. 361-373. «"La Ronda" era indiri1.zata, ispirata a uno spirito veramente moderno ... , quella modernità che può avere il suo patriarca in Wolfango Goethe e i suoi profeti in un Leopardi, in un Nietzsche; e noi anzi, a questo proposito, dir